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la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
Anno II (1964)
n. 1-6 (genn. - dic.)
L'ANNO DI GALILEI
Metodo e tempo
Sempre il drammatico svolgimento storico delle cose umane comporta il
travaglio del parto. « Nasce l'uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento ».
Così il poeta, ma anche la morale, la religione impongono, al momento del rischio
mortale, la fine della madre, cioè di chi porta per la salvezza del portato. Nel nostro
caso, il « portato » può essere un'idea, un nuovo modo di vedere le cose di questo
mondo. E qui ancor piú il crisma del dolore non allenta la morsa: possono alcuni
uomini portare una nuova luce e possono molti uomini amare le tenebre più che la
luce. Il poeta, l'evangelista e lo scienziato pensoso, tra divergenze e convergenze,
nell'urto drammatico, tipico della condizione umana, in un'opera di redenzione si
troveranno sempre di fronte a un calvario, a una coppa di cicuta, a una catena di
prigione.
Rivolgimenti e rivoluzioni sono sempre il prodotto di una idea, di una
invenzione, di una scoperta o semplicemente di un metodo nuovo di ricerca.
Guerre, sommosse di popoli, roghi, carceri, deportazioni, condanne a morte,
ordigni atomici e genocidi sono, però, le conseguenze funeste di funeste idee. Mentre queste portano rovine e danni collettivi come i flagelli naturali, le idee benefiche,
invece, sono fatali singolarmente a chi le porta e annunzia. In tal caso costui si
carica del gran peso atlantico del mondo e paga per tutti con la croce, la cicuta e la
prigione.
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Di tale carica rivoluzionaria sono dunque le tranquille e tremende
meditazioni dei filosofi e degli scienziati nel Seicento. Dal riposo invernale, accanto
al tepore di una stufa, si parte dal « cogito » e si arriva, in una progressiva reazione a
catena di abbattimento di tutte le specie di autorità, alla ghigliottina. Dal fondo di
un carcere, quasi contemporaneamente a sua volta, in una tetra meditazione di oltre
un quarto di secolo, e con pazienza pari alla sua rovina, il calabrese Campanella
(primo comunista a suo modo), cantava: « Stavamo tutti al buio... Altri sopiti
d'ignoranza nel sonno... Io accesi un lume... ».
Galilei, col suo terrificante buonsenso, guardò con occhi nuovi e limpidi le
cose che lo circondavano; e partendo dal moto delle cose vicine, con geniale slancio
« vide / sotto l'etereo padiglion rotarsi / più mondi, e il Sole irradiarli immoto ».
Sgombrò egli cosí le vie del firmamento non solo all'anglo Newton ma anche al
tedesco Einstein per l'iniziale intuizione della relatività del moto. Vide e lesse, non
più nel contingente libro storico (in quanto a sapere scientifico) della Bibbia, ma in
quello non erroneo, più veritiero e sicuro della natura, scritto esclusivamente da
Dio. La sua fulminea ribellione abbatté d'un fiat tutti i muri d'ombra prodotti dai
vani sillogismi, dai miti, dalle leggende, dalle più ventose dottrine e ideologie del
tempo.
E venne, così, l'ora sua di fama e di sventura. Nello storico svolgersi degli
eventi umani, con una svolta decisiva e radicale, si è avuto il momento di Galilei, la
sua stagione, l'anno o il secolo che potrebbe portare il suo nome. E questo tragico
portatore di luce, per via di un metodo, pagò, dové pagare di persona.
Il metodo galileiano è per l'appunto, detto brevemente, nuovo in questo: « le
istorie », cioè le cose sensate, si fondano sull'esperienza e tutti gli stabilimenti di
princìpi derivano da essa. Ora, queste osservazioni di Galilei non sono osservazioni
teoriche, ma praticamente fatte. Vale a dire, non è il solito metodo, che dire?, di
Bacone o di Cartesio. Cartesio segue la via opposta, quella che si chiama del
metodo deduttivo, lo scendere, cioè, dal principio generale al particolare. E anche il
metodo di Bacone è un metodo generico e, si direbbe, esteriore. La grandezza del
metodo galileiano sta proprio nel partire dalla osservazione, nel provocare la natura
in un gabinetto scientifico per arrivare alla
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enunciazione della legge. Ed ecco, per inciso, il gabinetto scientifico che nasce con
Galilei, come laboratorio, sia laboratorio universitario, sia laboratorio privato,
perché ogni professore a quel tempo, per campare, doveva avere anche alunni
privati ed un laboratorio in casa.
Prima, quindi, osservare, poi provocare la natura ad una risposta, cercando
di riprodurre il fenomeno nel chiuso di un laboratorio, infine enuciare
conseguentemente una legge, ma con tutta prudenza; e, se mai, in un tempo
ulteriore, farne verifica per correggere il principio o per distruggere la stessa ipotesi
da cui è nata la legge.
Sembra una cosa da nulla, quand'essa è riferita così, semplicemente, ma per
l'urto che essa ebbe con la mentalità del tempo e per la novità in sé grandissima,
rappresenta un fatto di primaria importanza nella storia della civiltà della scienza.
Galilei dice sempre, infatti, « l'eternità della natura »; l'eternità è la necessità
delle cose in natura. Noi diciamo oggi che una legge scientifica è fondata, per
l'appunto, sulla uniformità e sulla necessità. Ed egli già diceva eternità per uniformità, scorporando, quindi, tutta la parte sensibile per cogliere quello che
permetteva a lui di guardare la cosa dal punto di vista quantitativo; e quantitativo
significa la possibilità dell'applicazione matematica, e conseguentemente il
passaggio dell'applicazione matematica al campo fisico, e dal campo fisico alla tecnica, e dalla tecnica alla scienza. Questa è la grandezza di Galilei, vista da un punto
prospettico semplicemente scientifico.
Ma se noi poi ci trasferiamo nel campo filosofico, dobbiamo dire che Galilei
comprese una cosa di fondamentale valore, cioè che qualsiasi osservazione noi
facciamo, anche se la vogliamo ridurre ad assoluta oggettività, ad assoluta
quantitatività e, si potrebbe dire in questo senso, ad assoluta uniformità, essa è
sempre soggetta alla esperienza umana, vale a dire essa è sempre in rapporto alla
nostra sensibilità. Problema di grande importanza da cui scaturisce quella famosa
scienza moderna, l'epistemologia, anch'essa derivata, si potrebbe dire, da Galilei:
quella scienza, cioè, riguardante la validità dei nostri mezzi nell'apprendere e
nell'enunciare leggi scientifiche, o anche l'esame della capacità umana in rapporto ai
fatti di natura che sono sempre eterni, uniformi, costanti. È un problema, vedete,
che in qualche modo adombrerà poco dopo anche il Vico, che in un certo senso
intuì, sia pure in modo pratico, Leo3
nardo da Vinci, ma che risolse più tardi Emanuele Kant con la sintesi a priori.
Questo metodo Galilei attuò, esemplificandolo nelle sue opere scritte in
volgare perché tutti avessero la possibilità di essere informati delle sue scoperte e
potessero apprendere anche le conseguenze pratiche. Direttamente, c'è qui un
riflesso sociale della sensibilità galileiana, ma c'è anche una delle ragioni della
drammaticità della sua situazione, una volta venutasi a trovare di fronte alle
sovrastrutture corazzate della mentalità del tempo.
Tuttavia quello che ci preme dire è che la innovazione metodologica
galileiana è in rapporto alla sua concezione modernissima della scienza, rispetto alla
mentalità dominante negli ambienti culturali e scientifici del suo tempo. Che cosa,
infatti, è il metodo? Che valore hanno i nostri mezzi di conoscenza empirici,
sperimentali, matematici, filosoficì e speculativi? Fino a che punto ci portano ad
una conoscenza vera della realtà? Questa domanda che a noi, oggi sembra così
chiara come è chiara la tavola pitagorica, era una novità che doveva necessariamente urtare contro i tempi suoi. Galilei venne così a trovarsi come uno che avesse
tra le mani una miccia pericolosa, una miccia, che, accesa da lui, provocò appunto
l'esplosione nel campo della scienza vera e propria, nel campo sociale, nel campo,
come si è detto, religioso. Badate: metodo che urta contro il tempo. E qui bisogna
distinguere tre aspetti del tempo (ci riferiamo soprattutto ai giovani per essere
meglio compresi): c'è un tempo storico, che è quello che vediamo tutti; c'è un
tempo scientifico, già più assottigliato in rapporto ad un pensiero che man mano
progredisce; e c'è un tempo assoluto, cioè un tempo metafisico.
Qual'è questo tempo storico nel quale è vissuto Galilei? P, bene esaminarlo;
questo ci farà comprendere quello che possiamo chiamare il dramma di Galilei e
forse il dranuna di ogni scienziato. Negli stessi anni, o poco prima del secondo processo di Galilei, un giovane innamorato, promesso sposo, va verso la terra di S.
Marco. Siamo intorno al 1630, al tempo della peste, e nel famoso capitolo
manzoniano dedicato alla peste troverete questa espressione: « Erano i tempi in cui
il buon senso aveva paura e si nascondeva dietro il senso comune ». Questi erano i
tempi galileiani, e la peste sta anche a significare, per noi, la mentalità del tempo in
cui, appunto, è vissuto Ga4
lilei. Mentalità da predominio spagnolo, che non è certo quella entro cui si è
venuta maturando la personalità di Galilei, prima a Venezia, che era ancora la
Parigi del tempo, e poi in Toscana. Si spiega così l'urto tra mentalità vecchia e
mentalità nuova; nuova quella di Galilei, che ha reso pericolose dopo
cinquant'anni le teorie copernicane per via del metodo e della loro applicazione,
vecchia quella dei suoi contemporanei, aristotelici che hanno tutta l'aria di
essere altrettanti don Ferrante del tempo.
Ci sia permesso di dire, comunque, che di una cosa tutta la letteratura
galileiana sembra non aver tenuto conto: dell'opera della Spagna contro
Venezia. Non dimentichiamo che proprio a Venezia era stato avvelenato nel
1613 Traiano Boccalini; non dimentichiamo che Galilei era notoriamente legato
da rapporti di studio e da interessi tecnici con gli scienziati olandesi e che
l'Olanda era in perpetua lotta con gli Spagnoli. Quindi l'intervento spagnolo è il
momento politico primo da mettere in luce, quando si parla dei processi a
Galilei; la lotta contro di lui fu opera soprattutto di certi Domenicani e di certi
Gesuiti che per l'appunto vengono dalla Spagna.
Questo è forse un motivo da approfondire da un punto di vista storico,
ma riferendoci ai don Ferrante del tempo ci sia concesso fare questa seconda
osservazione: che cos'è questo aristotelismo, se non una posizione dogmatica
che si fonda sull'ipse dixit, un giustificare col principio di autorità qualsiasi
concezione, anche scientifica? Contro questa concezione viene ad urtare
l'evidenza, l'autorità dell'evidenza, dei fatti, del metodo sperimentale, delle
esperienze sensate, quelle che Galilei chiama le « istorie ».Siamo quindi al
secondo momento, ci troviamo di fronte al secondo aspetto del tempo, di
fronte a questo tempo scientifico che urta contro la mentalità scientifica di quel
tempo storico; urto che non è soltanto di allora, ma anche di oggi e di sempre.
Fondarsi sull'autorità non tolta dall'evidenza, ma sull'evidenza dell'autorità e
viceversa, sono due momenti dialettici sempre presenti nella storia della vita
intellettuale dell'uomo. Come si può parlare, oltre che del Romanticismo inteso
quale momento storico, che è quello che è stato, anche di un Romanticismo
come stato d'animo, come momento costante dello spirito, cioè come categoria
che poteva esprimersi prima del Romanticismo storico e lo potrà sempre, così
c'è un aristotelismo perenne contro di cui si è combattuto ieri
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e si può combattere oggi, cioè un aristotelismo che è quasi un momento
costante contro cui ogni scienziato, e soprattutto Galilei, ha lottato e deve
lottare.
Torna nuovamente in evidenza la necessità di chiarire qual'è la posizione
di Galilei in questo momento storico, qual'è il momento di Galilei rispetto al
doppio dissidio tra scienza e religione, da lui risolto egregiamente, e tra filosofia
e religione, da lui appena intuito e non risolto. Ora si parla, ed ecco una
osservazione che ci sembra pertinente, si parla di errore allora commesso ed
ora generosamente ammesso dalla Chiesa, col dire che la Chiesa è fatta dagli
uomini e che quindi cammina con gli uomini, e di essi condivide alle volte
passioni ed errori. Ci pare anche questa, sostenuta recentemente da qualche
padre gesuita, una concezione aristotelica che insiste su un falsificamento della
storia: si doveva, non si doveva fare così.
A noi sembra che errori non ve ne siano stati, che errore non ci poteva
essere, perché si è trattato semplicemente di due coordinate ritmiche che ad un
certo momento si sono sconcordate per via del metodo galileiano.
Giustamente poteva credersi: uccidiamo Galilei per uccidere il metodo. La
questione qui è che la Chiesa aveva una preoccupazione d'ordine teologico,
d'ordine educativo che improvvisamente non poteva più correre al passo della
scienza. E aveva bisogno di tempo.
PASQUALE SOCCIO
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Prof. PASQUALE SOCCIO, preside del Liceo Classico Statale « R. Bonghi » di
Lucera.
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Realtà e prospettive di sviluppo
dell’agricoltura in Capitanata
Metodologia e limiti del presente lavoro.
1. - La persistente fondamentale importanza dell'agricoltura per
l'ulteriore progresso economico e sociale della Capitanata è così largamente
diffusa tra le classi dirigenti e tra gli strati della pubblica opíinione che, dopo le
analisi e i dibattiti svoltisi a livello nazionale e locale, in questi ultimi anni, si
potrebbe ritenere superfluo indugiare in ulteriori diagnosi ed indicazioni
terapeutiche, attendendo invece alla pratica realizzazione dei rimedi già indicati.
Ma una simile opinione può aver un certo fondamento ed essere accolta,
se consideriamo statici il pensiero e la vita economica e sociale di una
determinata comunità locale o nazionale e riteniamo largamente convergenti le
opinioni sulle vie dell'ulteriore cammino da percorrere.
Poiché, invece, il pensiero e la vita sono in continuo divenire, mentre
permangono dissensi sulle linee e sugli strumenti dello sviluppo economico e
sociale, il periodico riesame delle esperienze, delle realtà e delle possibili vie di
ulteriore progresso, nonché il frequente confronto delle opinioni, lo scambio
d'informazioni e di idee, l'aggiornamento delle analisi, si rivelano utili e feconde.
Del resto una riconsiderazione dei problemi agricoli nazionali, regionali e
provinciali è resa necessaria da particolari importanti fenomeni nuovi.
Infatti, l'impetuoso sviluppo economico dei nostro Paese, che, nonostante i caratteri di disuguaglianze di ritmo, ha visto in questo ultimo
quindicennio accrescersi il reddito nazionale in misura di gran lunga
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superiore a quella dei primi ottantacinque anni della nostra storia unitaria, ha
determinato nell'agricoltura situazioni, tendenze ed esigenze nuove, nel tempo
stesso in cui ha reso più accentuato e più evidente il dislivello di reddito e di
produttività tra settore agricolo ed altri settori economici.
Con la crescente liberalizzazione degli scambi e con il processo di
unificazione economica europea in atto, sono oramai definitivamente
tramontati i tempi romantici della nostra vita agricola, così come è in corso di
rapido superamento il tempo dell’economia di sussistenza, di autoconsumo,
allorché i coltivatori si preoccupavano prevalentemente di produrre le quantità
ed i tipi di produzione sufficienti a soddisfare i bisogni ed i gusti delle proprie
famiglie. L’agricoltura è diventata un'attività eminentemente economica,
orientata - nel quadro delle sue connaturali caratteristiche strutturali - verso un
continuo sforzo di adeguare metodi e procedimenti a quelli impiegati in altri
settori economici.
L’economia di mercato è una realtà che va sempre più affermandosi e
dilatandosi, costringendo le produzioni ad adeguarsi ai gusti delle masse
crescenti di consumatori ed accentuando l'esigenza di produrre a costi
competitivi.
Questi fatti, altamente positivi, accompagnati da altri fenomeni, quali il
progressivo generale miglioramento del livello di vita delle nostre popolazioni,
la mobilità territoriale e settoriale della mano d'opera, la diversa e migliore
posizione del lavoro rispetto ad altri fattori della produzione, rendono
particolarmente pressante la necessità di organizzare l'agricoltura su basi tali da
assicurare livelli di redditi unitari di lavoro e di capitale, comparabili con quelli
di altre attività economiche.
E' questa una esigenza imprescindibile da tenere costantemente presente,
se si vuole effettivamente inserire l'agricoltura nel contesto dinamico della
nostra economia e se si vuole contenere, nei limiti fisiologici, l'esodo rurale,
assicurando alle campagne la presenza di sufficienti energie attive, valide ed
anche giovani.
Tutto ciò richiede di affrontare una serie di problemi, la cui soluzione
pone nuovi grossi compiti all'azione pubblica ed a quella privata; ma
soprattutto esige il defintivo abbandono dei tradizionale isolamento degli
operatori agricoli e la operante presenza di efficienti organizzazioni.
2. - Ciò premesso, desidero subito indicare i limiti della mia esposizione.
La complessità e molteplicità dei problemi posti allo sviluppo agricolo
dall'accentuato dinamismo economico e sociale dei nostri tempi, l'indubbia
influenza delle tormentate vicende storiche della Capitanata
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sulle realtà presenti ed i profondi mutamenti culturali e psicologici delle
popolazioni rurali, indurrebbero ad una analisi ampia ed approfondita degli
aspetti, delle tendenze e delle reali possibilità di sviluppo dell'economia e della
società della Provincia Dauna nel contesto del possibile sviluppo generale della
Regione e dei Paese. Ciò è reso necessario dal rapporto di crescente, stretta
interdipendenza che lo sviluppo dei sistemi economici e sociali moderni va
stabilendo tra i vari settori d'attività e le diverse aree territoriali. Questa esigenza
sarà tenuta presente ed ispirerà sostanzialmente le mie osservazioni e
considerazioni sulla realtà agricola foggiana, ma non sarà esplicitamente
richiamata che in qualche caso. Ai fini di introdurre il dibattito odierno, mi
sembra sufficiente un esame rapido e sommario degli essenziali fenomeni
economici e sociali, delle principali linee evolutive manifestatesi nella situazione
foggiana dalla fine dell'ultimo grande conflitto mondiale ad oggi. Da tale esame
sarà possibile trarre alcune indicazioni sui nuovi problemi e sulle vie da battere
nei prossimi anni per consentire balzi in avanti all'agricoltura dauna.
La mia esposizione non sarà quindi una radiografia della realtà foggiana,
per la cui esecuzione sono ovviamente necessari ulteriori studi particolari, ma
tenterà di tracciare un quadro di assieme dei fenomeni e dei problemi che oggi
si presentano all'osservazione non disattenta di un economista agrario che ha
avuto ed ha la possibilità di compiere dirette esperienze e di contribuire alla
trasformazione dei mondo agricolo della Capitanata.
Passato e presente.
3. - Ad avviare il tentativo di delineare tale quadro, possono giovare
alcuni cenni ad episodi importanti e significativi nel processo di sviluppo della
Capitanata.
La giacitura delle terre del Foggiano e la loro prevalente natura,
presentando un notevole grado di suscettività, specie nei confronti di quelle
dell'Appennino campano e lucano, sin dall'epoca dei Borboni spinsero a
considerare le potenziali risorse agricole della Provincia e a compiere i primi
esperimenti di colonizzazione, quali ad esempio, quelli di S. Ferdinando, di
Margherita di Savoia, ecc. Con l'abolizione della Dogana delle pecore disposta
con legge del 21 maggio 1806 e la successiva completa affrancazione delle terre
del 1865, il Tavoliere di Foggia cominciò ad essere oggetto di alcuni interventi
pubblici e di studi sulle possibilità di rinnovamento agricolo. Apprezzabili
proposte fu9
rono presentate alla fine dei secolo scorso da Leone Morì, amministratore
della Casa Rochefoucol di Cerignola. Ma, com'è noto, l'avvio alla difficile e
lunga azione di bonifica del Tavoliere risale ad epoca più recente, alle leggi di
bonifica integrale del 1933 e al Piano Curato, cui seguirono il Piano
Medici-Carrante-Perclisa e quello Mazzocchi-Alemanni. Questi piani
rappresentano indubbiamente dei pregevoli documenti che rivelano anche l'alto
livello di progresso conseguito in quel tempo dalla scienza e dalla tecnica
agraria. Tuttavia l'esame attento della realtà dei Tavoliere consente di rilevare come ho fatto in altre occasioni - che lo sviluppo agricolo di larghe zone si è
realizzato secondo linee radicalmente diverse da quelle indicate dalle direttive di
trasformazione dei piani stessi. Le cause di tale diversità sono state indicate da
me altre volte e sono sostanzialmente da ricercarsi nella scarsa valutazione dei
requisiti tecnici produttivi dell'ambiente e nella non prevista linea di politica
economica dello Stato concretatasi nell'ulteflore difesa del grano rispetto ad
altri prodotti agricoli.
Ma il motivo fondamentale sta, a mio avviso, nella scarsa fiducia e
conseguente modesta valutazione della capacità degli uomini che nell'ambiente
già erano dediti all'agricoltura. I predetti piani di bonifica si ispirarono a due
criteri principali : il primo faceva perno essenzialmente sullo sviluppo
zootecnico, in sostituzione di quella che era considerata « misera » cerealicoltura;
il secondo - per me ancora più importante - prevedeva nell'organizzazione
aziendale l'introduzione dei contratto di mezzadria, tentando così di
organizzare la società agricola dauna sul vecchio modello di quella toscana e di
lasciar consolidare una situazione in cui la direzione aziendale, i centri decisionali
restassero nelle mani di pochi individui ritenuti i soli dotati di preparazione e di
intelligenza sufficienti ad assolvere i compiti imprenditivi.
L’azione successiva intrapresa nel dopoguerra, sia pure disordinatamente,
per iniziativa di singoli operatori, di organizzazioni e di Enti, svoltasi in un clima
sociale spesso molto acceso, ma nel quale l'individuo andava acquisendo
progressivamente maggiore dignità e rispetto, ha sortito risultati apprezzabili.
La costituzione di cooperative per la conduzione unita delle terre, i decreti per
l'occupazione delle terre incolte, le leggi sulla formazione della piccola proprietà
contadina in particolare la legge stralcio della Riforma Fondiaria, hanno posto
in evidenza l'influenza che la proprietà della terra da parte di chi la lavora o la
conduce direttamente può esercitare nel processo di rinnovamento agricolo.
Mi sembra perciò opportuno rilevare che i segni di progresso oggi
evidenti in larghe zone della Capitanata traggono origine essenzialmente
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dal fatto che è stata riconosciuta agli uomini addetti all'agricoltura della
Provincia una capacità notevole di operare affidando direttamente la
responsabilità delle iniziative di sviluppo agricolo. Oggi è infatti dato di notare
che all'insuccesso della colonizzazione dell'O.N.C., basata sulla conduzione
mezzadrile e di alcune aziende gestite con sistema mezzadrile proprio ed
improprio, si contrappongono i risultati altamente positivi di tutte le zone a
nuova proprietà contadina e di quella a proprietà imprenditrice capitalistica nelle
quali l'elemento responsabile, il protagonista dei processo produttivo resta
l'imprenditore.
Anche nelle prime esperienze di riforma fondiaria in Capitanata il
pregiudizio di tecnici maturatisi in ambienti diversi dal nostro ha avuto effetti
ritardatori nello sviluppo delle aziende contadine.
Tale pregiudizio si manifestava nell'opinione secondo cui taluni
ordinamenti produttivi affermatisi presentavano caratteri di arretratezza. D'altro
canto i lavoratori chiamati alle nuove responsabilità imprenditive erano ritenuti
incapaci di evoluzione. Furono così preparati piani comunali, aziendali e
poderali rigidi ai quali i contadini erano chiamati ad attenersi rigorosamente.
Citerò alcuni fatti significativi. Alcuni già in possesso di un equino furono indotti
a venderlo, perché ritenuto superato e sostituibile con bestiame di razza
marchigiana. Fu vietato il ringrano anche su terre idonee ed imposta
l'introduzione di foraggere seccagne in determinate e rigide percentuali e di
alcune colture di rinnovo che in asciutto non potevano dare adeguati risultati.
Furono imposti un determinato tipo di casa colonica ed alcune formule di
concimazione e di lavorazione della terra; vennero eseguiti scassi su terreni crostosi mediante esplosivi; furono affidati in appalto gli impianti dei vigneti, la
costruzione delle spalliere e del tendone e persino l'innestatura ed a volte la
potatura dei vigneti stessi. I risultati di tali operazioni non furono incoraggianti.
Essi furono invece migliori allorché ci si accorse della infecondità dei metodi di
imposizione dall'alto di nuove tecniche e di nuove economie aziendali e si
cominciò a fare affidamento sulla libertà e responsabilità dei nuovi proprietari e
sulla loro capacità ad evolversi limitando l'azione dell'Ente ad un'opera di
assistenza, di collaborazione e di incentivazione.
Tali esperienze possono costituire motivi essenziali di ispirazione e di
orientamento per l'azione da svolgere nei prossimi anni, tenendo costantemente
presente il principio secondo cui anche in un programmato ed organico
processo agricolo il ruolo fondamentale di protagonista deve essere lasciato alla
responsabilità del l'imprenditore.
Dopo questi rapidi ricordi delle vicende più significative della storia
recente dello sviluppo agricolo della Capitauata, il nostro inte11
resse si svolge ora a rilevare i fenomeni più importanti manifestatisi
nell'agricoitura dauna in quest'ultimo periodo.
Proprietà agricola: struttura e situazioni.
4. - Alla fine dell'ultima guerra mondiale, la realtà agricola della Provincia
di Foggia risultava caratterizzata da situazioni economico-sociali e da strutture
produttive cristallizzate ed immobilistiche: la proprietà era fortemente
accentrata ed in larga misura assenteista; molto diffuse la cerealicoltura e la
pastorizia.
Erano ancora in atto alcuni allevamenti bufalini a pascolo brado; pochi i
bovini da reddito e da lavoro; limitato lo sviluppo della meccanizzazione.
A ciò si aggiungevano tre grandi centri di particolare sviluppo viticolo,
olivicolo ed arboricolo, quali quello di Cerignola fino ai confini di Terra di Bari,
quello di S. Severo e dei Comuni limitrofi, e quello dei Gargano, dove esisteva
un'oasi particolarmente fiorente ma molto limitata di superficie orticola lungo
la fascia litoranea da Margherita a Zapponeta fino a Manfredonia.
Generalmente i rapporti fra proprietà, impresa e lavoro erano quelli
tipici dell'impresa capitalistica con salariati fissi ed avventizi specie sulle terre
buone di pianura.
Nelle vicinanze dei centri abitati prevalenti erano le piccole imprese
contadine su terre in proprietà o in affitto gestite dai cosidetti « versurieri ». Ma
nel Tavoliere dominante era il latifondo che raggiungeva le porte della città,
come ebbe a scrivere il Ricchioni parlando di Lucera.
Su tali strutture agricole gravavano una forte pressione demografica ed
un foltissimo bracciantato misero, sottoccupato e spesso disoccupato. Ciò
acuiva la tensione tra impresa e lavoro dando luogo a manifestazioni talvolta
violente ed a conflitti sociali. Non vi è chi non ricordi le avvilenti condizioni del
lavoro agricolo: l'ingaggio della mano d'opera avveniva ancora di sera o nelle
prime ore dei mattino sulle piazze dei Comuni, spesso valutando la forza
muscolare dell'operaio. In realtà il lavoro era in posizione di netta soggezione
nei confronti della proprietà della terra. L'imprenditore proprietario ed affittuarici conduceva il processo produttivo della terra secondo la propria
convenienza economica imponendo tipi di rapporto fra imprese e lavoro, patti
agrari e salari. In forza di questo predominio contrattuale della proprietà sul
lavoro e sull'impresa, si configuravano alcune situa12
zioni imprenditoriali e produttive. Ovunque infatti vi erano possibilità di
sviluppo di colture suscettibili di assicurare una rendita fondiaria o un profitto
d'impresa, quali i cereali, gli allevamenti ovini, l'olive ecc., prevaleva l'impresa
capitalistica. Laddove invece la terra era magra, come sul Gargano, lungo i
tornanti di Monte S. Angelo o lungo la striscia di sabbia di Margherita di Savoia
o Zapponeta, o nelle terre magre del subappennino, Deliceto, Faeto, Alberona,
Casalnuovo Monterotaro ecc., l'impresa veniva affidata a piccoli affittuari;
qualche volta si organizzavano alcune colonie parziarie e solo per alcune colture
fortemente attive, richiedenti cioè molta mano d'opera, venivano concesse in
compartecipazione zone di terra ricca.
Nonostante tali condizioni di immobilismo sociale ed economico, nel
primo periodo dell'immediato dopoguerra, gli sforzi di tutti furono diretti a
riparare i considerevoli danni prodotti dalla guerra, ad aumentare la produzione
e la produttività sia per soddisfare i bisogni alimentari, sia per elevare i redditi di
capitale e di lavoro. Nel quadro di tali sforzi l'agricoltura foggiana mantenne un
ruolo non trascurabile cercando di migliorare le tecniche produttive,
diffondendo la meccanizzazione, aumentando i consumi di concimi, utilizzando
semi selezionati.
Gli sforzi dell'iniziativa privata furono agevolati da una serie di
provvidenze legislative e da interventi pubblici, fra i quali assumono rilievo
quelli relativi alle opere di bonifica, finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno,
alle agevolazioni sui miglioramenti fondiari, alla riforma fondiaria, al Piano
Verde.
Incrementi produttivi: 1959-1962.
5. - Per effetto degli investimenti pubblici e di quelli privati, provocati e
spontanei, l'agricoltura foggiana ha segnato considerevoli incrementi produttivi,
realizzatisi con lo sviluppo di ordinamenti più attivi ed intensivi e con una
graduale contrazione di quelli estensivi.
Nel quadriennio 1959-62 ad una contrazione della superficie cerealicola,
rispetto a quella dei periodo 1939-42 (7,3%), ha fatto riscontro un aumento
considerevole della produzione. Il frumento, infatti, ha avuto nel corso
dell'ultimo quadriennio un incremento dei 33,6% rispetto al quadriennio
1939-42 con una maggiore incidenza del grano duro, la cui area di diffusione
nell'ultimo triennio ha superato quella investita a grano tenero.
L'introduzione di trattrici pesanti ed il più largo impiego di fertilizzanti e
di sementi elette hanno determinato un aumento notevole
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delle rese unitarie per il grano duro (da q.li 13,9 in media per ha. nel 1951 a q.Ii
22,5 nel 1962), e per il grano tenero (da q.li 14,4 a q.Ii 21,4). Lo sviluppo delle
colture industriali, ortive e foraggere ha ridotto l'estensione dei pascolo e dei
riposi seminativi. La coltura del tabacco che nel 1929 risultava nel Catasto estesa
su 10 ettari, ha oggi superato i 200 ettari, mentre la barbabietola, che non
veniva neanche menzionata nel precitato Catasto, si estende su circa undicimila
ettari.
Nel settore delle colture ortive mentre la superficie investita a patata si è
ridotta di più del 50%, quella del pomodoro si è più che raddoppiata.
Particolare espansione ha avuto la coltura del carciofo che da meno di 100
ettari nel periodo prebellico raggiunge ora diverse migliaia di ettari, con
evidente tendenza ad un progressivo aumento.
Anche l'area delle foraggere risulta oggi quasi triplicata rispetto al 1939-42.
Per le colture arboree in complesso si è avuto nello stesso periodo un
aumento determinato dalla maggiore diffusione degli olivi ed ancora piú
dall'espansione della vite; per il mandorlo e per gli agrumi è proseguita la nota
tendenza a ridurre l'area. In particolare la produzione di uva da tavola della
provincia di Foggia, seguendo l'andamento ascensionale della Puglia - ove la
produzione si è quintiplicata in confronto al periodo pre-bellico - ha subito un
incremento di 18 volte.
Gli incrementi produttivi si sono tradotti in un aumento del valore della
produzione lorda vendibile ed in sensibili variazioni nella sua composizione.
Infatti, il valore della produzione lorda vendibile dell'agricoltura in Provincia di
Foggia a prezzi correnti si è quasi raddoppiato, passando da oltre 49 miliardi di
lire del 1951 a 109 miliardi e 191 milioni del 1962.
L'incidenza delle colture erbacee dal 47,9% si è ridotta al 36,9%, mentre
quella dell'ortofrutticoltura è salita dal 9% al 18,7% e quella della vite dal 13 al
24,1%. Anche il peso relativo dell'olivicoltura ha avuto un lieve aumento
(dall8,4% all'11%), mentre quello dei prodotti zootecnici è sceso. Vi è tuttavia
da registrare un miglioramento qualitativo dei patrimonio zootecnico che oggi
conta un più elevato numero di bovini di razza pregiata, mentre risulta
contratto quello degli equini. Gli allevamenti ovini, dopo la drastica riduzione
operata dagli interventi di riforma, vanno segnando una ripresa.
I risultati produttivi della Provincia di Foggia sono stati conseguiti in
aziende che, secondo il censimento dei 1961, risultano per l'87,6% a
conduzione diretta, per l'8,4% a conduzione salariale e per il 4% ad altre
conduzioni.
Un indice dei considerevoli progressi tecnici conseguiti è dato dal
14
parco trattoristico che è passato da 1547 trattrici nel 1952, per una potenza di
57.437 HP, a 4.988, per una potenza complessiva di 187.814 HP nel 1962.
Elevata è stata la diffusione delle motopompe, il cui numero è salito da 333 a
6.465. Notevole anche la diffusione delle mietitrebbie che con un parco di 612
macchine pone la Provincia di Foggia al primo posto tra le altre provincie
italiane.
Sensibili variazioni si sono pure verificate nel campo dell'esportazione dei
prodotti tipici.
Nel settore della lavorazione e trasformazione dei prodotti, da una recente
indagine sono state rilevate 80 cantine della capacità complessiva di lavorazione
di 810 mila q.li di uva; di esse solo 33 sono ritenute efficienti per una capacità
lavorativa complessiva di circa 600 mila quintali, mentre le produzioni di uve da
vinificare toccano punte di oltre 3 milioni di q.li.
Nel settore olivicolo-oleario, sono stati rilevati 122 oleifici per una capacità
lavorativa complessiva di 380.000 q.li di olive; di essi solo 12 hanno attrezzature
moderne ed efficienti per una capacità lavorativa di circa 80.000 q.li di olive,
contro una produzione che in questi ultimi anni ha superato 1 milione di
quintali.
Nel settore lattiero-caseario, la Centrale dei Latte di Foggia utilizza parte
della produzione provinciale, ma non ha una adeguata rete di centri di
refrigerazione per la raccolta del latte stesso.
Notevole sviluppo ha avuto recentemente l'industria saccarifera che ha
realizzato due nuovi stabilimenti.
I progressi produttivi e tecnici si sono tradotti in un incremento dei
reddito globale e dei redditi individuali.
Proprietà, impresa e lavoro.
6. - Ma nell'ultimo dopoguerra si sono verificati nel mondo contadino
profondi mutamenti di ordine psicologico e culturale che hanno spinto e
spingono tuttora a porre su basi diverse i preesistenti rapporti fra proprietà,
impresa e lavoro. Per effetto delle esperienze belliche, dei contatti con le truppe
alleate, della prigionia trascorsa in paesi diversi, dello sviluppo delle grandi
comunicazioni di massa (stampa, radio, tv e cinema), della libertà politica e
sindacale e della diffusione dell'istruzione, si andava maturando una nuova
presa di coscienza dei propri diritti e della propria dignità da parte di numerose
schiere contadine.
Accentuatasi fortemente l'ansia di miglioramerito economico e so15
ciale, la proprietà della terra era ritenuta conquista di fondamentale importanza,
strumento indispensabile per soddisfare l'inderogabile bisogno di reddito e di
sicurezza per le famiglie.
Per corrispondere a tale diffusa e profonda aspirazione delle categorie
bracciantili, fu adottata una serie di misure volte da una parte, con l'imposta
patrimoniale, i contributi unificati, l'imponibile di mano d'opera, a rendere
piuttosto difficile la vita dei proprietari assenteisti, dall'altra, con le leggi sulle
terre incolte, sulla formazione della proprietà contadina e con la riforma
fondiaria, a favorire largamente l'accesso alla proprietà della terra da parte di
numerosi braccianti.
In provincia di Foggia in questo dopoguerra in forza delle leggi di riforma
sono state costituite n. 7.610 unità produttive per un totale di 52.810 ettari; per
effetto delle leggi a favore della piccola proprietà contadina si sono verificati
acquisti per una superficie complessiva di oltre 47.000 ettari.
Nel frattempo si determinavano nuovi movimenti verso la realizzazione di
più moderni assetti produttivi delle aziende.
Alcuni medi e grandi proprietari di terre, dediti esclusivamente all'impresa
agricola, avviavano infatti una graduale conversione colturale ed una
ristrutturazione produttiva dell'azienda introducendo la meccanizzazione,
eliminando il bestiame da lavoro e riducendo la mano d'opera salariata ed
avventizia. Peraltro nei primi anni « 50 » si organizzavano grandi e grandissime
aziende sia su basi cooperative per la conduzione unita della terra e sia su base
capitalistica con afflusso di capitali da parte di società industriali e di
assicurazioni. Cooperative furono infatti organizzate a Cerignola, a
Manfredonia, Foggia, Lucera, Deliceto, ecc.; sorsero l'azienda di Palazzo
D'Ascoli, della SEBI, l'azienda Zaccagnini, quella di « Terra Apulia », aziende
che, secondo alcuni, erano destinate ad essere le imprese dell'avvenire.
Anche iniziative borghesi a carattere dilettantistico tornavano ad affacciarsi,
sull'esempio lodevole di un compianto tecnico pugliese, il Prof. Carrante :
medici, avvocati, professionisti di ogni genere, artigiani e commercianti della
provincia di Foggia, ma anche estranei alla provincia stessa cominciavano qua e
là ad organizzare imprese con notevoli apporti di capitali ed entusiasmo.
Inoltre vicino ai centri abitati dove ferveva anche l'attività edilizia, sorgeva
qua e là, specialmente a Foggia, S. Severo e Cerignola, un tipo d'impresa gestito
da famiglie di cui alcuni componenti realizzavano redditi in altre attività.
7. - Nel corso degli anni « 50 » si andavano dunque sostanzial16
mente affermando, sul piano dei l'organizzazione aziendale, le seguenti tendenze:
1 ) aziende capitalistiche di grandissime dimensioni appartenenti ad elementi
extragricoli e condotte con salariati fissi e avventizi per la pratica di colture
fortemente attive e spesso su terre magre a compartecipazione (vedi i vigneti di
Palazzo D'Ascoli);
2) aziende cooperative di grandi dimensioni per la conduzione unita delle
terre, nelle quali il socio della cooperativa forniva il lavoro come nella grande
impresa capitalistica, ricevendone un compenso integrato a fine della gestione con
la ripartizione di eventuali utili;
3) imprese capitalistiche di proprietari o affittuari conduttori con salariati
fissi e avventizi o a compartecipazione per le colture attive industriali o orticole che
timidamente andavano comparendo (bietola da zucchero, peperoni, ecc.);
4) imprese contadine in proprietà o affitto e colonia parziaria di vecchia e
nuova formazione con il ricorso a mano d'opera avventizia nei momenti di punta;
5) imprese di proprietari borghesi che spesso facevano ricorso a
compartecipanti per le colture arboricole o orticole;
6) imprese integrative di artigiani o di contadini con figli operai di industrie
locali o braccianti agricoli presso terzi.
Sarebbe certo interessante un esame particolare dell'evoluzione subita da questi
tipi di imprese nell'ultimo decennio; ma ciò che preme ora sottolineare è la pluralità
delle iniziative che davano luogo ad un vivace movimento, impegnando molte
energie umane locali o immigrate, mentre gli interventi della Cassa per il
Mezzogiorno e dei Consorzio di Bonifica andavano eseguendo numerose, anche se
non sufficienti, opere infrastrutturali. Intanto la Riforma Fondiaria, determinando
un risveglio della proprietà privata, induceva anche molti proprietari assenteisti a
vendere o ad impegnarsi nella conduzione delle imprese. Non mancano infatti
esempi lodevoli di proprietari che prima vivevano di rendita fuori dell'ambiente e
che sono poi tornati in provincia di Foggia per gestire direttamente la loro
proprietà. Larghe zone dell'agricoltura di Capitanata si sono quindi mosse con
slancio conseguendo risultati apprezzabili.
Infatti, mentre l'impresa capitalistica introduceva la Simmenthal oppure la
Bruno-Alpina, i fruttiferi a Palazzo d'Ascoli, nelle aziende contadine si andavano
affermando la coltura del carciofo, quella del mellone, del peperone, del vigneto a
tendone. Lo sviluppo di queste ultime colture va indubbiamente attribuito a merito
del lavoro contadino, perché anche quando le imprese capitalistichie o della
borghesia
17
cittadina si interessavano a tali piante, quasi sempre lo facevano con sistemi a
compartecipazione.
Naturalmente in questo moto di rinnovamento produttivo vi è stata possibilità
di sperimentare nuove energie imprenditive ed affinare le capacità di vecchi
conduttori o direttori di grandi aziende o di fattorie e di masserie.
8. - Ma, nella seconda metà degli « anni 50 », il nascente equilibrio economico e
sociale delle campagne, caratterizzato da più vaste responsabilità imprenditoriali da
parte degli strati contadini e da un graduale miglioramento dei salari e dei redditi di
lavoro, subiva un grave turbamento per effetto del diseguale sviluppo economico
generale del Paese. Le nuove possibilità di occupazione industriale a livelli salariati
più alti offerte dalle regioni nord-occidentali del Paese, la domanda estera di mano
d'opera, determinavano massicci spostamenti territoriali di popolazioni rurali ed un
intenso esodo dalle campagne particolarmente da parte delle giovani generazioni
contadine.
Tutto ciò ha dato luogo in questi ultimi anni ad un fatto di estrema
importanza e profondamente innovatore dei rapporti preesistenti nelle campagne: il
lavoro agricolo ha assunto in molti territori una posizione di forza, talvolta di
preminenza rispetto all'impresa. In altri termini, il lavoratore può dire al
l'imprenditore: « lo sono disposto a lavorare per te, se mi assicuri un adeguato
compenso ».
Permangono tuttavia situazioni di sottoccupazione, stati di soggezione dei
contadini soprattutto appartenenti alle vecchie generazioni nei confronti della
proprietà e dell'impresa. Le une e gli altri si sono comunque notevolmente ridotti.
E' peraltro scomparso il metodo di ingaggio fatto sulle piazze tastando i muscoli;
sono scomparse le forme tradizionali e romantiche della spigolatura. Chi non
ricorda le fitte schiere di contadini che provvisti di bisacce scendevano a dorso d'asino dai paesi del sub-appennino nel Tavoliere e giungevano da Andria su un
carretto? Appena i covoni venivano ritirati essi invadevano come cavallette la
sterminata piana cerealicola alla ricerca delle briciole, ché così poteva considerarsi la
spiga di grano lasciata sul campo dai lavoratori dell'impresa capitalistica.
Queste nuove condizioni dei lavoro agricolo vanno dunque salutate con
soddisfazione e con l'augurio che esse possano consolidarsi e diffondersi anche
nelle residue zone nelle quali non è stato possibile realizzarle. Tuttavia da più parti si
lamentano l'insufficienza della disponibilità di mano d'opera avventizia o a salario,
la scarsa propensione dei lavoratori a stipulare contratti di mezzadria o di
compartecipazione e si auspicherebbero anacrostiche ed irrazionali misure atte a
frenare
18
la fuga dai campi. Non manca anche chi giudica negativo l'esodo rurale
considerandolo una « cacciata dalle campagne ». E' necessario valutare tale
fenomeno caratteristico di ogni processo di sviluppo economico con senso di
equilibrio e di obiettività. Esso ha ricreato in molte zone un più giusto equilibrio tra
terra e uomo; ha posto fine allo stato di soggezione del lavoro; ha dato ai
lavoratori una nuova posizione di dignità e di forza contrattuale; ha indotto ed
induce le imprese di ogni tipo ad accrescere la loro competitività. L'esodo rurale è
sostanzialmente un fatto positivo e fisiologico in un sistema economico come il
nostro che nel complesso ha superato la fase di decollo.
Certo le forme disordinate e spesso patologiche con cui l'esodo si è realizzato
in molti territori meridionali non sono esenti da riserve e rilievi. Ad ogni modo la
positività degli effetti dell'esodo si rivela anche nell'esigenza di una diversa
organizzazione agricola. Oggi, infatti, non si tratta più di assicurarsi il possesso della
terra di qualsiasi dimensione, ma di organizzare aziende che siano in grado di
produrre redditi di lavoro e di capitali in parità con quelli realizzabili in altri settori
di attività. Ciò deve anche realizzarsi nel tempo in cui la costituzione del M.E.C. e la
liberalizzazione degli scambi esigono di produrre a costi decrescenti.
Sembrerebbe contraddittorio pensare a dover aumentare i redditi e
contemporaneamente diminuire i costi; eppure il processo evolutivo in atto ci dice
che ciò è possibile anche se richiede sacrifici, maggiore impegno da parte delle
categorie imprenditoriali e adeguati interventi dello Stato.
Una via facile ci sarebbe per raggiungere lo scopo: basterebbe una politica di
artificiosa difesa dei prezzi dei prodotti agricoli. Ma questa politica che - come è
noto - già è stata praticata per decenni, in particolare con il dazio sul grano, non ha
consentito al Mezzogiorno agricolo di progredire, ha attenuato lo spirito di
iniziativa e non consente la formazione di un'agricoltura moderna e competitiva.
Un'altra via viene indicata dallo stesso mondo agricolo di Capitanata, anche se essa
si va percorrendo con sforzi notevoli e velocità inferiori a quella desiderata. Tale via
consiste nel porre i fattori della produzione in condizione di esprimere al massimo
la loro produttività e le aziende in grado di elevare al massimo la propria
redditività.
E' possibile realizzare ciò nell'agricoltura di Capitanata? Vi sono potenziali
risorse da mobilitare per contribuire a raggiungere tale scopo?
Siamo dunque al punto più interessante e più delicato di questa disamina.
19
Produttività, redditi e costi di produzione.
9. – Le linee di azione per conseguire il massimo di produttività,
l'elevazione dei redditi unitari di lavoro e di capitale e contemporaneamente
l'abbassamento o il contenimento dei costi di produzione sono le seguenti :
1 ) Per elevare la produttività: a) localizzazione delle colture in base alla
vocazione economica delle terre; b) elevazione del rendimento del lavoro sia
attraverso la qualificazione e specializzazione sia attraverso la modifica delle
strutture produttive; c) adozione delle tecniche colturali moderne e
meccanizzazione.
2 ) Per elevare la redditività : organizzazione dei produttori per
aumentare la capacità contrattuale ed intervenire decisamente nella formazione
del prezzo.
10. - Forse sarebbe stato opportuno disporre di una particolare indagine
volta ad individuare le singole situazioni pedo-climatiche al fine di stabilire la
migliore destinazione delle terre in base alla loro vocazione economica. In
mancanza di tale indagine, ai fini dei nostro dibattito può essere sufficiente il
ricorso alle esperienze ormai ventennali che ho dell'agricoltura di Capitanata e
che ho avuto modo di fare sia come tecnico di aziende private che come
tecnico di aziende della Riforma. Dal 1944 in poi mi sono infatti interessato dei
terreni ubicati in agro di Manfredonia, località Pagliete, in agro di Lucera,
Volturara, Ascoli Satriano, Rocchetta S. Antonio, Cerignola, Margherita di
Savoia, e nel Gargano da Torre Mileto agli olivastreti di Cagnano Varano. Alle
indicazioni derivanti da tali esperienze vanno aggiunti i risultati degli studi
condotti per diversi anni per conto dell'Osservatorio di Economia Agraria
dell'Università di Bari su numerose aziende, ambienti e poderi del Tavoliere.
11. - La provincia di Foggia, che si estende per circa 700 mila ettari, può
essere suddivisa in quattro grandi zone aventi una sufficiente omogeneità. Esse
sono:
1 ) quella dei Tavoliere centrale che, partendo da Ripalta e dal lago di
Lesina e scendendo lungo il corso del Candelaro, si estende sino ai confini della
Puglia, comprendendo parte dell'agro di S. Severo, Foggia, Cerignola,
Trinitapoli, Margherita di Savoia. Essa è caratterizzata da terre da grano, terre
pesanti argillose, nelle quali le condizioni favorevoli alla cerealicoltura
meccanizzabile rendono di difficile introduzione altre colture. La natura dei
terreno e il clima non sono favorevoli alle colture arboree ed arbustive. A
prescindere da alcune parti leggermente elevate che potranno pure alimentare
una viticultura o oli20
vicultura e frutticultura ad alto reddito, specialmente con l'irrigazione di
soccorso, nella zona non si tratterà di sostituire il grano, ma di altenarlo con
altre colture, quali il carciofo e la barbabietola da zucchero, specie se per
quest'ultima la meccanizzazione sarà perfezionata. D'altra parte, i continui
progressi delle tecniche colturali e della meccanizzazione con conseguente
aumento delle produzioni unitarie, consentono di affermare che è possibile
conservare una cerealicoltura altamente economica, anche perché non solo la
produzione dei grani duri ma anche quella dei terreni risultano avere
caratteristiche nettamente superiori a quelle dei prodotti di altre regioni
cerealicole italiane. Potrà anche essere avviata una pioppicoltura su vasta scala,
dopo che i primi tentativi in atto consentiranno di trarre più concrete
esperienze.
2) zona che si estende sulle cosiddette « terre di crosta » e « terre rosse »
pedegarganiche ed interessa anche la parte pianeggiante dei comuni garganici,
parte dell'agro di S. Severo, San Paolo Civitate, Serracapriola, Chieuti,
Torremaggiore, Lucera, Troia, Castelluccio dei Sauri, Ordona, Ortanova,
Cerignola, S. Ferdinando, Trinitapoli, Margherita di Savoia.
In questa situazione economica si riproducono gran parte delle caratteristiche della fascia litoranea barese, anche se con un clima leggermente
meno mite. Essa può considerarsi il prolungamento della terra dell'albero,
come fu definita dal Ricchioni parte della Puglia, e può evolversi insistendo
ancora sulle colture arboree, prima fra tutte la vite per uva da vino e per uva da
tavola. A questa indicazione alcuni obietteranno che l'uva, è in crisi. E'
necessario replicare che trattasi di crisi derivante da fattori vari e suscettibili di
modifiche e di correzioni, mentre attraversiamo una fase di transizione
caratterizzata dalla ricerca di nuovi equilibri produttivi nel cui quadro la vite per
uva da vino e da tavola troverà collocazione economica, se coltivata in ambienti
adatti. Del resto oggi più che mai le terre di S. Severo, Lucera, Cerignola, stanno rivelando un'elevata suscettività delle colture arboree, specie se si può
disporre di irrigazioni di soccorso.
D'altra parte, le zone agrumicole del Gargano, quelle viticole già esistenti
e ampliabili, le zone olivicole ampliabili anche con l'introduzione dei nuovi
sistemi di impianti irrigui, e con la coltura delle piante fruttifere, quali il pesco e
probabilmente l'albicocco, il susino, potranno consentire una migliore
destinazione di quelle terre in base proprio alla loro vocazione economica;
3) la zona rappresentata dalla parte alta, montagnosa, asciutta del
Gargano e dalle terre collinari e montane del subappennino dauno. La sua
vocazione economica sta esclusivamente nell’allevamento del be21
stiame per l'utilizzazione dei pascoli naturali. Ancora oggi visitando tali zone si nota
che terre con pendenza eccessiva e quindi non meccanizzabili vengono destinate alla
cerealicoltura o al granoturco o a fava. In realtà esse non hanno possibilità di
realizzare produzioni competitive. Si rende quindi necessario un ulteriore
alleggerimento della pressione demografica, in modo da favorire la formazione di
aziende zootecniche. E' altresì necessario realizzare alcune infrastrutture, specie
quelle riguardanti le strade di fondo valle che possono collegare gli abitati e le terre
migliori con la pianura sottostante. Tale necessità deriva anche dal fatto che molti di
coloro che emigrano lasciano nei comuni di origine le famiglie che con forze di
lavoro esigue (vecchi, donne e bambini) continuano a reggere l'azienda agricola.
Sono infatti sorte aziende integrative in cui il reddito principale è
rappresentato dal salario percepito dagli uomini che lavorano nelle industrie del
Nord o in Paesi dell'Europa Occidentale. Il collegamento attraverso le strade di
fondo valle, per esempio, lungo il Fortore, il Calaggio, il Carapelle e d'altri corsi
d'acqua più o meno importanti, potrebbe spingere a trasformare i comuni collinari
e montani in zone residenziali da cui potrebbero muoversi le maestranze delle
industrie destinate a svilupparsi nel Tavoliere a seguito del probabile reperimento di
notevoli risorse metanifere. Alcune terre di questa terza zona potrebbero quindi dar
luogo ad aziende integrative, o « part-time », mentre la maggior parte della zona
dovrebbe essere indirizzata verso l'allevamento zootecnico, in particolare quello
della pecora, giacché i prodotti ovini, specie carni e formaggi, hanno riacquistato
notevole pregio sul mercato. La zona garganica si presta anche a un più vasto
allevamento dei caprini, che potrebbe essere favorito abolendo una vecchia legge
che impedisce il pascolo delle capre nei boschi. Si può constatare che nei boschi,
negli olivastreti o cespuglietti la capra non arreca danno alcuno, ma vantaggi.
Danno essa arreca in fase di rimboschimento e di sviluppo di boschi tagliati, per
cui in questi casi si potrebbe conservare il divieto.
4) la quarta zona comprende aziende a specializzazione orticola, localizzate
negli arenili di Margherita di Savoia, ed in varie parti dell'agro di Ortanova, Chieuti,
Lucera, Foggia, Trinitapoli, Manfredonia, Lesina, Cagnano Varano,
Macchiarotonda, Fonterosa, Mattinata.
La superficie orticola va assumendo crescenti dimensioni, come si osserva
lungo la strada che da Foggia porta a Lucera, ma, ancor più, lungo la strada che da
Trinitapoli, via Mezzanone, porta a Foggia e nella zona orientale del Lago di Lesina
ed in agro di Ortanova : oramai diverse migliaia di ettari sono investiti a cavoli,
carciofi, finocchi, lattuga, agli, cipolle, indivia, ecc. Trattasi quindi di una situazione
econo22
mica in grande slancio. Essa, a parte eventuali fattori depressivi dovuti a qualche
gelata o a strozzature di mercato, ha un sicuro avvenire, tenuto conto della
riduzione dell'area napoletana destinata all'orticoltura, della tendenza
all'espansione dei consumi interni di ortaggi freschi e del possibile incremento
della domanda da parte dei mercati dell'Europa centro-settentrionale.
Tracciate così molto succintamente, per ognuna delle quattro grandi
situazioni economiche, le linee di sviluppo già manifestatesi, possiamo
tranquillamente affermare che l'azione pubblica e privata deve essere
decisamente ed organicamente indirizzata verso una più diffusa localizzazione
di esse secondo la vocazione economica dei singoli ambienti.
Nelle quattro zone indicate, lo strumento che può determinare un
miglioramento della produttività è indubbiamente costituito dall'acqua di
irrigazione. Però, mentre per la prima, quella delle terre da grano, e per la terza,
quella delle terre da pascolo, l'irrigazione può avere una funzione
complementare, diretta cioè ad integrare le risorse foraggere o a consentire la
coltura della barbabietola o del carciofo, per la seconda o la quarta l'irrigazione
sostituisce uno strumento fondamentale per favorire il processo di
intensificazione.
12. - Di recente si è visto che la produttività di molte terre foggiane può
salire rapidamente, può anche raddoppiarsi con l'introduzione dell'acqua
destinata alle colture già in atto. E' questo il fatto più importante che si sia
spontaneamente manifestato.
Si è visto cioè che, se si irriga l'oliveto già esistente con irrigazioni di
soccorso, è possibile triplicarne le produzioni; se si irriga un vigneto per uva da
tavola con irrigazioni di soccorso in momenti difficili, quel vigneto può
produrre 100 quintali di uva in più, abbassando quindi in misura sensibile il
costo di produzione. Se si irriga il carciofo nel mese di luglio, è possibile
raccogliere i carciofi in ottobre, novembre fino a tutto il periodo invernale
realizzando produzioni e prezzi soddisfacenti; se si irrigano certe colture
orticole verso la fine dell'estate, è possibile realizzare nell'inverno prodotti di
pregio per i mercati dell'Europa centrale e dei Nord d'Italia.
Si può quindi riaffermare che lo strumento capace di elevare la
produttività delle terre nelle aziende agricole è essenzialmente l'acqua di
irrigazione.
Vale perciò la pena di soffermarsi un po' sull'argomento.
Nel passato tutta la programmazione riguardante la bonifica e la
irrigazione dell'italia meridionale fu informata ai criteri seguiti nello sviluppo
dell'irrigazione della Valle Padana.
Si disse che nel Sud bisognava utilizzare l'acqua nella coltura delle
23
foraggere per sviluppare gli allevamenti di bestiame ed ottenere anche la
produzione di letame e la reintegrazione della fertilità dei suoli. Furono così previsti
grandi impianti di irrigazione per le terre seminatorie, per le terre cioè molte volte
compatte delle pianure litoranee, scartando di proposito quelle zone arboricole che
potevano rientrare anche in comprensori irrigui, perché si riteneva inutile e talvolta
dannoso destinare l'acqua alle colture arboree.
Si è verificato però che in molte terre destinate all'irrigazione, la coltura
cerealicola, che sembrava destinata a scomparire, va acquistando una crescente
posizione di favore. Essa infatti consente la meccanizzazione integrale e la riduzione
di oltre il 60% della mano d'opera, anzi fino al 70% attraverso l'uso delle trattrici
per la semina, per la sarchiatura, per la eliminazione delle cattive erbe, della
mietitrebbia. Si sono quindi cambiati i termini del problema e il giudizio di
convenienza economica nella trasformazione irrigua di terre da grano con colture
foraggere. Nello stesso tempo si è visto che la stessa quantità di acqua se anzicché
alle foraggere, viene fornita all'ulivo acquista un prezzo di trasformazione da
giustificare il suo reperimento in condizioni ritenute antieconomiche per la coltura
delle foraggere.
Nuove prospettive di valorizzazione produttiva delle terre sono quindi
aperte dalla tecnica moderna e dall'irrigazione.
Poiché oramai dalle esperienze fin qui fatte risulta evidente che le colture
arboree in Puglia elevano di più il prezzo di trasformazione dell'acqua - come ha
avuto modo di rilevare in altre occasioni - è possibile porci il problema di
estendere notevolmente l'irrigazione in Terra di Capitanata. Dove reperire l'acqua?
Vi sono risorse nel sottosuolo? Per queste però è bene dire subito che non si può
andare oltre certi limiti, avendo già messo in azione un numero notevolissimo di
pozzi i quali attingono acqua dalla falda sotterranea e possono anche col tempo
rischiare di depauperarla fino al punto di doverne sospendere l'utilizzazione.
La Capitanata può considerarsi in posizione privilegiata quanto a risorse
idriche. Entro un anno o poco più saranno invasati 300 milioni di mc. nella Diga di
Occhito; altri invasi possono essere costruiti sull'Ofanto a valle di Occhito, sul
Cervaro e sul Carapelle. Notevoli quantitativi di risorse idriche di non difficile
acquisizione potrebbero quindi essere destinate all'irrigazione, dopo aver
soddisfatto le esigenze dell'industria e degli usi civili. E' tuttavia necessario
prepararsi ad affrontare in termini globali il problema dell'utilizzazione delle acque
in maniera che, man mano che esse sono disponibili, possano essere razionalmente
utilizzate anzicché essere per molti anni costretti a confluirle in
24
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Ieri: distribuzione governativa del chinino in una masseria della zona malarica
( Fotografia inedita di Nicola Scardino, g.c. dell’Archivio Simone)
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Oggi: speranze di un avvenire sereno nel comprensorio della riforma fondiaria
( Fotografia, g.c. dell’Ente di Riforma Fondiaria)
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Macchine nuove per un’agricoltura moderna
( Fotografia di Leone, g.c. dall’E. A. « Fiera di Foggia » )
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA
Una fattoria modello, presupposto di migliori prodotti
( Fotografia di Leone, g.c. dall’E.A. « Fiera di Foggia » )
gran parte al mare, così come purtroppo si fa per alcuni invasi meridionali.
Lavoro agricolo e istruzione professionale.
13. - Altra fondamentale linea di sviluppo agricolo è costituita dal
miglioramento della produttività del lavoro. Ciò va conseguito anzitutto con un
più equilibrato rapporto tra terra e uomo e fra capitali ed unità lavorative.
L'impresa agricola non può oggi esercitarsi con il semplice possesso della terra
nuda; occorrono adeguati investimenti fondiario-agrari, aziendali ed
extraziendali, nonché capitali di esercizio. Naturalmente, il rapporto fra capitali
e unità lavorative assume dimensioni e termini diversi in relazione al possibile
processo di intensività o di estensività degli ordinamenti produttivi.
Peraltro il lavoratore non deve essere più fornitore di forza bruta, di
forza fisica, soltanto, ma deve essere invece prestatore di un lavoro intelligente e
specializzato che riduce sensibilmente le forze materiali e sviluppa quelle
organizzative. Come in tempi lontani chi, anziché limitarsi a fare lo zappatore,
era capace di potare gli alberi, o di azionare un qualsiasi congegno, o di
selezionare o di innestare le piante, conseguiva un salario ed un reddito di
lavoro notevolmente superiore, così oggi chi, anziché guidare un cavallo, guida
un trattore può venirsi a trovare nella condizione di avere un compenso più
adeguato.
Perciò si pone per coloro che devono restare in agricoltura l'esigenza di
un miglioramento sensibile e diffuso dell'istruzione di base e dell'istruzione
professionale. La guida del trattore, ad esempio, dovrebbe essere una conquista
di larghi strati di lavoratori da realizzarsi con corsi di massa in modo che, come
nel passato i ragazzi imparavano a guidare i carretti tirati dai buoi o dai cavalli o
dal mulo, oggi siano posti in grado di guidare un trattore.
Ma, oltre alla guida della trattrice, è necessario conseguire una maggiore
specializzazione nelle varie operazioni agricole. Sarà così possibile anche il
ricorso a mezzi meccanici per i trattamenti anticrittogamici e fare uso razionale
dei diserbanti.
E' superfluo rilevare il danno che può produrre un trattamento
sbagliato. Bisogna che il lavoratore abbia cognizioni adeguate e competenza.
Ecco quindi la necessità di una più larga diffusione dell'istruzione professionale,
post-elementare, post-scuola media. In provincia di Foggia non mancano
buone iniziative al riguardo.
I problemi della scuola a tutti i livelli meritano dunque di essere
25
affrontati su scala più vasta e con programmi rispondenti alle prospettive che lo
sviluppo economico offre all'occupazione.
14. - Ma la realtà agricola della Capitanata, accanto agli aspetti positivi,
presenta non pochi aspetti negativi, cui in parte si è già accennato in precedenza.
Questi ultimi attengono soprattutto al suo aspetto strutturale e ai persistenti
irregolari rapporti tra impresa e mano d'opera. Gli aspetti negativi derivano da
un insufficiente sviluppo economico generale della provincia, che, globalmente
considerata, nonostante gli innegabili progressi di questo ultimo decennio o
dodicennio, permane un'area sottosviluppata. Grave risulta ancora lo squilibrio
di rapporto fra agricoltura ed industria, come è facile rilevare dagli ultimi dati
pubblicati dal Tagliacarne sull'alta percentuale del reddito agricolo sul reddito
globale della provincia.
Nel settore delle strutture fondiarie, il principale aspetto negativo è
costituito dal grave e crescente fenomeno di polverizzazione e frammentazione
delle aziende e delle proprietà, che contraddistingue tutte le zone agricole, anche
se la sua intensità e gravità si distribuiscono in misura varia.
Ai fini della localizzazione del fenomeno, non disponendo di indagini
recenti, può ritenersi sostanzialmente valida la distribuzione del numero delle
proprietà per classi di superficie risultante dall'indagine INEA 1947, giacché il
fenomeno sembra non abbia subito considerevoli correzioni in questi anni ed
anzi sembra essersi aggravato.
Tale problema che negli anni passati non è stato possibile affrontare ed
avviare a soluzione, a causa della forte pressione demografica e della fame di
terra, oggi deve essere affrontato e può essere gradualmente avviato a
soluzione, data la progressiva rarefazione della mano d'opera agricola.
Le misure legislative e gli strumenti operativi vanno attentamente, ma
rapidamente studiati ed organizzati.
Un fatto deve essere comunque chiaro: che un processo di riordino
fondiario va orientato ed organizzato, poiché il suo svolgimento naturale, oltre
a trascinare il problema per lunghi anni rischia di produrre risultati parziali e
spesso, dal punto di vista tecnico, economico e sociale, di scarsa efficacia.
In provincia di Foggia le zone a più diffusa polverizzazione sembrerebbero quelle arboricole e quelle orticole e si potrebbe essere tentati di
andare a ricomporre gli orti di Margherita di Savoia od i vigneti intorno a S.
Severo. La polverizzazione che deve invece preoccupare è quella della zona
collinare montana. Infatti, mentre le piccole aziende e le piccole proprietà delle
zone orticole e viticole non consen26
tendo la meccanizzazione, non risentono molto dell'ampiezza del fondo, nelle
zone collinari da estensivare ha molto peso sulla produttività l'ampiezza della
terra disponibile perché da essa sono condizionati il numero di capi di bestiame
allevabile e l'impiego delle macchine.
Per una maggiore efficienza delle imprese.
15. - Nel quadro della ristrutturazione agricola, assumono anche rilievo
misure organiche e coordinate atte a determinare lo sviluppo dei tipi di impresa
ritenuti più efficienti.
Può a tal fine essere utile ricordare che sono sparite o tendono a sparire
le conduzioni unite della terra. Anche gli allevamenti collettivi organizzati dalla
Riforma Fondiaria alla « Moschella » in agro di Cerignola o per l'utilizzazione
dei pascoli del Gargano non hanno avuto successo. Ad essi si sono dovuti
sostituire quelli individuali con risultati migliori. Il motivo dell'insuccesso delle
conduzioni unite (che pure furono numerose in Terra di Capitanata) va
indubbiamente ricercato nella mancanza di senso di responsabilità e di stimolo
da parte del lavoratore il quale non proprietario della terra, ma semplice
prestatore d'opera, non si sentiva vivamente impegnato nel processo
produttivo.
A sottolineare l'importanza della responsabilità individuale nell'esercizio
dell'impresa agricola, concorrono le ultime vicende di grandissime aziende
finanziate dal capitale e organizzate da uomini provenienti dalle regioni
settentrionali del nostro Paese. La SEBI, ad esempio, è in vendita; l'unica
soluzione è di cederla in proprietà ai mezzadri che in gran parte la coltivano e
l'hanno resa, con l'assistenza del capitale, altamente produttiva. « Terra Apulia »
non dice più nulla all'agricoltura di Capitanata; Palazzo d'Ascoli è tramontata e
vorrei che ciò si fosse verificato solo per il fatto che al tramonto si avvia anche
chi con tanto entusiasmo la organizzò nei primi anni del dopo-guerra. Sono invece convinto che il tramonto è da attribuirsi al fatto che in questa azienda,
come in quelle a conduzione unita, coloro che prestavano il loro lavoro tecnico
ed esecutivo si sentivano estranei alla proprietà della terra ed ai risultati
dell'impresa.
Va quindi sottolineato che una tendenza fondamentale, non solo della
nostra agricoltura, è quella di unificare nella persona del lavoratore la proprietà
e l'impresa. Ecco perché sono destinate a progressivo tramonto molte forme
di conduzione che in altri tempi ebbero modo di affermarsi, così come non
rispondono alle attuali esigenze delle campagne e alle profonde aspirazioni dei
lavoratori agricoli, vecchie forme
27
contrattuali e sistemi di organizzazione aziendale sperimentati in alcuni Paesi.
Significativi sono infatti i recenti discorsi di Kruscev sulia situazione agricola
del suo Paese dopo aver constatato per decenni che la conduzione unita della terra
non consente di raggiungere gli obiettivi dei piani quinquennali o decennali.
Perciò i tipi fondamentali di impresa destinati ad affermarsi anche
nell'agricoltura di Capitanata sono rappresentati dall'impresa contadina a carattere
familiare, vitale e di dimensioni economiche, e dalla media impresa capitalistica,
gestita da operatori quotidianamente impegnati nell'esercizio agricolo e rispettosi
delle esigenze nuove del lavoro.
16. - E' comune e diffusa opinione che oggi in Capitanata come in Italia, per
poter produrre a prezzi concorrenziali sul mercato nazionale ed estero, bisogna
favorire la formazione di grandi e medie aziende, perché ritenute le sole capaci di
produrre a costi più bassi rispetto alle aziende familiari, giacché per le prime è
agevole il pieno impiego delle macchine.
Da uno sguardo retrospettivo al processo di sviluppo dei tipi di impresa
nell'agricoltura italiana, si rileva che fino a qualche anno addietro, tranne nelle zone
di riforma, l'impresa contadina si affermava là dove si dovevano praticare colture
richiedenti forte impiego di mano d'opera. Laddove invece più ridotta era la mano
d'opera cointeressata, si riteneva più idonea l'impresa capitalistica. Aggiungo che,
ovunque la terra era povera e non presentava prospettive di miglioramento della
produttività, si è maggiormente concentrata ed affermata l'impresa contadina; dove
la terra era ricca ha resistito l'impresa capitalistica.
L'affermazione dell'impresa contadina è stata quindi favorita dal bisogno di
mano d'opera. Tutta la regione pugliese, nelle zone povere, era ad impresa
contadina, od in affitto o a mezzadria o piccole proprietà, ma sempre impresa
contadina. L’impianto di gran parte degli oliveti ha avuto origine da vecchi contratti
di colonia miglioritaria, in virtù dei quali il contadino profondeva risparmi e sudori
per tutta la sua vita per lasciare poi l'oliveto al proprietario. Sono sorti in questo
modo migliaia e migliaia di ettari di oliveto. Anche in zone dove si coltivava, per
esempio, la fava da seme come miglioratrice del grano, si concedeva la fava a
compartecipazione, mentre il grano era di pertinenza dell'impresa capitalistica. Né si
può affermare che queste situazioni siano del tutto scomparse, riscontrandosi zone
in cui il contadino coltiva i piselli in compartecipazione sotto l'oliveto ed il
proprietario si riserva la raccolta delle olive.
Una manifestazione della tendenza ad affidare all'impresa conta28
dina le colture che richiedevano molta mano d'opera, o la terra più povera, è
data dal regime fondiario a tutti noto. Nei Paesi poveri di montagna, la
proprietà presenta un elevato grado di frazionamento, mentre a valle è più
accentrata. Quivi la grande proprietà si è sostenuta perché, attraverso la
capitalizzazione del lavoro, l'introduzione di colture pregiate e di colture nuove,
poteva dar luogo a fenomeni di suscettività, era capace cioè di assicurare al
capitale investito un reddito certamente crescente.
L'aspirazione al possesso della terra non era un fatto psicologico, come
alcuni credono, ma un elemento di sicurezza o di previdenza, in un tempo in
cui non erano stati istituiti assegni familiari, carente o inesistente era in Italia
qualsiasi forma di previdenza ed assistenza sociale, per cui un evento dannoso,
come un sinistro o una malattia, poteva essere causa della miseria più nera in
una famiglia, spesso costretta a privarsi di ogni bene per fronteggiarlo.
Guardando al tipo di proprietà e di impresa contadina sviluppatesi in
condizioni difficili, molti concludono a favore dell'organizzazione dell'impresa
capitalistica, delle grandi aziende cioè nelle quali, attraverso il razionale impiego
dei fattori della produzione, con un direttore tecnico ad alto livello, con parco
macchine adeguato, seguendo le norme tecniche più moderne, remunerando
bene la mano d'opera specializzata, si possa produrre a costi competitivi. E'
questo l'orientamento di buona parte della nostra letteratura di questi ultimi
tempi, di molta stampa agricola ufficiosa ed ufficiale.
Forse tale orientamento non è estraneo ad una certa influenza sull'atteggiamento della Cassa per il Mezzogiorno, la quale ha finanziato la
trasformazione fondiaria di una grande azienda agraria di un proprietario che
vive a Milano, e quella di una grande azienda del Tavoliere di proprietà di un
industriale, con la convinzione che l'impresa capitalistica sia l'azienda
dell'avvenire.
Ma, da un esame della realtà concreta, in particolare di quella delle zone
irrigue, su terre che possono dar vita ad ordinamenti produttivi che richiedono
molta mano d'opera anche specializzata, non è difficile pervenire a conclusioni
diverse. Non sono poche le grandi proprietà che in siffatti ambienti non si
muovono neanche sotto la spinta dell'irrigazione, universalmente riconosciuta
come elemento propulsore del rinnovamento agricolo. Lungo le strade dei
Tara e dei Rendina, si notano da una parte proprietà contadine che utilizzano
l'acqua, dall'altra invece, dove esistono alcune grandi proprietà, finora non è
stata richiesta l'acqua. Tuttavia alcuni affermano che in qualche grande azienda
irrigua il livello di produttività sia più elevato di quello raggiunto da
29
aziende contadine di limitata estensione. Ma un esame più ponderato porta a
convincersi che l'azienda contadina produce a costi più bassi dell'azienda
capitalistica.
Anche nelle zone del Fortore, dove esiste la proprietà contadina, si nota
una maggiore utilizzazione dell'acqua da pozzi, riscontrandosi ovunque poderi
con delle macchie verdi, mentre nella grande proprietà persiste la coltura
granaria unitamente a qualche ettaro di vigneto a tendone. Analoghi fenomeni si
riscontrano in ambienti ad irrigazione casistica, da pozzi. A convincersi di ciò,
più di ogni discussione, varrà la constatazione delle realtà irrigue del Sud.
Macchine e uomini.
17. - Preme ora osservare che non è neppure esatta l'opinione secondo
cui nell'impresa contadina non è possibile l'impiego della macchina. Vediamo il
caso della cerealicoltura specializzata.
Anch'io, fino all'anno scorso, ho sostenuto che essa fosse dominio
esclusivo dell'azienda capitalistica. Tre anni fa, in un Convegno qui a Foggia,
suscitando non poche perplessità fra i presenti, affermai che gli agricoltori deil
foggiano non avrebbero mai irrigato le terre se avessero dovuto destinare
l'acqua alle foraggiere. A distanza di tempo essi non possono non darmi
ragione. In quella occasione sostenni anche che un'azienda cerealicola di
100-200 ettari in Sicilia, come in Calabria o in Puglia e anche in Valle Padana,
avrebbe potuto realizzare redditi più elevati impiegando la macchina. Ciò resta
valido. Ma anche nel settore della cerealicoltura si stanno manifestando fatti
nuovi ed importanti. E' infatti possibile noleggiare macchine operatrici ad un
prezzo non superiore al costo di esercizio delle stesse macchine che si realizza
nell'impresa capitalistica.
Inoltre si sta avviando un movimento cooperativistico che proprio
attraverso la mietitrebbia e la trattrice pesante sta avendo una affermazione
superiore ad ogni previsione, rendendo conveniente la gestione delle macchine.
Così nel settore della cerealicoltura, l'impresa contadina è messa in condizione,
se non di vantaggio, almeno di parità nei confronti dell'impresa capitalistica.
Nel settore poi degli allevamenti di pecore, l'organizzazione di una
grande azienda incontra difficoltà nel reperimento dei pastori. I lavoratori si
dichiarano disposti anche ad una maggiore fatica, come la zappa, piuttosto che
alla custodia del bestiame. L'avversione è spiegabile ove si pensi ai sacrifici che
comporta la vita del pastore. Ancora
30
oggi si incontrano pastori che restano sui pascoli 14-15 giorni, per recarsi il 16°
giorno in famiglia.
Non è raro vedere ovili dotati di un unico vano nel quale si preparano
latticini e nello stesso vano in un angolo vi è il letto per il pastore. Ma per
quanto ancora si potrà protrarre questa condizione di inferiorità in una società
in continuo sviluppo con la crescente diffusione della radio, dei cinema della
televisione ed in genere di tutti i conforti? Se oggi a stento si adattano gli anziani
e gli analfabeti, con la fuga dei giovani verranno a ridursi sempre di più le forze
di lavoro in questo settore. Come si può quindi pensare ad organizzare una
impresa capitalistica con grande allevamenti ovini? Se i pastori avranno la
proprietà della terra e del gregge ed una abitazione munita di un minimo di comodità, è possibile che ancora per una o due generazioni resteranno pastori
conduttori diretti, capaci di mantenere dei greggi numerosi ed utilizzare i
pascoli delle zone povere. E' quindi, quello della pastorizia, un altro settore
dove l'azienda famigliare trova la sua migliore affermazione. Ciò è confermato
anche dai risultati dei bilanci dei poderi di riforma dell'estensione di 70-80 ettari
con greggi di 100 capi affidati a contadini di Altamura che vantano un'antica
tradizione di allevamento di pecore.
Rimane peraltro da considerare il lavoro che, nell'impiego a costi ottimali
di tutti i fattori della produzione, costituiva un elemento elastico del costo. Se
per l'uva, per il tabacco o per il grano si ricavano un prezzo inferiore al costo o
un utile poco remunerativo, si riversava sul lavoro l'alea della produzione, come
in genere tutto il peso della cattiva annata. Non essendo ciò oggi possibile,
poiché il lavoro è divenuto un elemento rigido del costo di produzione, se si
vuole conseguire un'adeguata produttività bisogna cointeressare il lavoro. E'
fuori dubbio che nel vigneto un potatore cointeressato presta la sua opera con
diligenza maggiore di quella del potatore a salario. Altrettanto può dirsi per
altre operazioni, come la lotta contro i parassiti, l'assistenza al bestiame, ecc.
Tutte queste considerazioni si confermano nell'opinione che l'azienda
contadina a carattere famigliare abbia un avvenire sicuro, giacché si manifesta la
più idonea a produrre a costi competitivi.
Trattasi naturalmente di organizzarla su basi sviluppando anche in
agricoltura un processo di industrializzazione inteso come aumento della
quantità di capitali intorno alle singole unità di lavoro.
Oltre all'impresa contadina, ha ed avrà vitalità l'impresa media
capitalistica la quale ha possibilità di raggiungere il duplice scopo di
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assicurare ai lavoratori soddisfacenti condizioni civili e di reddito e buoni redditi ai
proprietari di terre e di capitali.
Anche gli altri due tipi di impresa, cioè quella dilettantistica e quella
integrativa, hanno possibilità di conservare la loro vitalità e di realizzare un certo
sviluppo. Può destare qualche riserva e qualche commento il fatto che molti poderi
dell'O.N.C. non siano diventati proprietà di mezzadri ma di elementi borghesi.
Però, l'apporto di risparmi e di entusiasmo da parte di tali gruppi extragicoli può
comunque essere considerato un fatto positivo nella fase di sviluppo dell'agricoltura. Ciò tuttavia non deve essere sopravvalutato fino al punto di indurre gli organi
dello Stato a concedere contributi di qualsiasi genere. Questa mia affermazione può
non incontrare il consenso di molti che sostengono la necessità di premiare coloro
che intervengono con nuovi mezzi e nuove iniziative nel l'agricoltura, da qualsiasi
ambiente essi provengano. Questa opinione poteva avere una certa validità in altri
tempi quando diversa era la posizione del lavoro. Ma, oggi, con le nuove esigenze
di redditività del lavoro e del capitale agricolo l'attività imprenditiva di figure
extragricole può costituire motivo di turbamento dell'andamento economico
generale dell'agricoltura. Queste figure economiche non sono infatti costrette ad
organizzare l'impresa agricola sulla base dell'equilibrio fra costi e ricavi, come deve
fare chi vive esclusivamente di agricoltura. Manca in esse l'interesse e lo stimolo alla
competitività. Perciò, ben vengano in agricoltura uomini di ogni ceto, ma operino
con i propri mezzi. I mezzi finanziari della collettività siano invece destinati esclusivamente alle imprese contadine che devono costituire il tessuto connettivo, le
strutture portanti dell'agricoltura italiana.
Particolare considerazione meritano anche le aziende integrative o part-time,
la cui importanza è destinata a crescere, specie se il processo di industrializzazione
del Mezzogiorno investirà adeguatamente anche la provincia di Foggia. Poter
evitare il sorgere di agglomerati umani intorno ai nuovi centri industriali
consentendo condizioni civili di vita in campagna a popolazioni di cui parte dei
componenti attivi possano essere impiegati nelle industrie, sarebbe un fatto
altamente positivo dal punto di vista sociale ed economico. Si eviterebbero così il
completo spopolamento di certe contrade e gli inconvenienti gravi degli accentramenti di popolazione; si avrebbe peraltro il vantaggio di vedere destinate
all'agricoltura forze altrimenti inutilizzate nei centri urbani.
Tra i problemi principali di tali tipi di imprese, oltre alle abitazioni ed alle
infrastrutture, vanno considerati quelli relativi alla raccolta, al collocamento, e
all'utilizzazione delle produzioni.
32
Un più largo e razionale impiego dei mezzi tecnici.
18. - Ma la produttività dell'azienda può essere elevata anche con un più
largo e razionale impiego di mezzi tecnici.
Non ripeterà qui quanto è già noto sull'importanza delle concimazioni, della
lotta antiparassitaria, dell'impiego delle sementi elette, ecc.. Ribadisco solo la
necessità di una sempre più capillare assistenza tecnica.
E' opportuna invece qualche considerazione sulla meccanizzazione.
Le operazioni meccaniche che sembravano limitate a determinate colture
oggi hanno possibilità di più ampie applicazioni. Gli stessi vigneti a tendone - come
è stato rilevato in precedenza - possono abbassare del 50% le spese di lavorazione
ed eliminare il 50% della mano d'opera con l'introduzione dei mezzi motorizzati.
Anche per l'ulivo, oltre all'aratura, non si tarderà a disporre di mezzi meccanici per
la raccolta.
Ma la meccanizzazione non va intesa semplicemente come acquisto di
trattrici e di macchine operatrici, ma anche nel settore dell'irrigazione (come
l'acquisto di motopompe) nonché come realizzazione di impianti per aspersione
che possono addirittura ridurre al minimo la mano d'opera per ettaro di coltura.
Come è stato rilevato in precedenza, nel periodo 1952-62 si è realizzato un
considerevole incremento di macchine.
Tenuto conto dell'incremento dei cavalli vapore derivante dall'aumentato
numero dei trattori e dall'incremento dei cavalli vapore riferiti ad altre macchine
che sono mietitrebbie, motozappe, motocoltivatori, ecc. si rileva che l'aumento
complessivo di cavalli vapore nel periodo 1952-62, che è andato a sostituire
l'energia animale ed umana, è di CV. 767.821.
Supponendo che ogni macchina lavori circa 500 ore effettive all'anno in
agricoltura, si rileva che nell'anno si hanno CVh. 83.910.000 circa. Ritenendo ancora
che di questi CVh due terzi hanno sostituito lavoro animale ed un terzo lavoro
umano, poiché il prof. Candura ritiene che un'ora di lavoro umano equivalga a
5/72 di CVh di macchina, si deduce che le macchine hanno sostituito 194 milioni
di ore di operaio e 24.250.000 di giornate lavorative. Nell'ipotesi che un operaio
agricolo lavori 250 giornate all'anno, si può calcolare che l'incremento delle
macchine ha sostituito il lavoro di 970.000 unità emigrate.
Ma è possibile un'altra considerazione: il prof. Candura ha valutato anche il
costo dell'unità del CVh fornito dall'uomo in L. 4320, dagli animali in L. 500 e
dalle macchine in L. 120. Moltiplicando i cavalli vapore ora forniti dall'uomo ed i
cavalli vapore ora forniti dalle macchine
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che hanno sostituito il lavoro umano, per i prezzi unitari fissati dal prof.
Candura, è possibile affermare che con l'introduzione delle macchine si è
realizzata una riduzione notevole dei costi di diverse decine di miliardi.
Elevare la redditività.
19. - Ma oramai si riconosce da tutti che non basta produrre bene,
occorre anche saper acquistare e vendere bene. Con la produttività occorre
elevare anche la redditività.
L'agricoltura subisce da una parte i costi dei servizi e dei beni strumentali
e dall'altra i prezzi dei suoi prodotti nella misura imposta dalle categorie
industriali e commerciali. Analoga imposizione subiscono i consumatori dei
prodotti agricoli alimentari, i quali pagano tutto l'anno o per tutto il periodo
stagionale le uve o i mandarini o le arance allo stesso prezzo, mentre il prezzo
dell'uva scende più o meno settimana per settimana o mese per mese, il prezzo
degli agrumi subisce oscillazioni continue a seconda di determinati elementi che
subentrano nei rapporti tra produttore e commerciante, tra produttore ed
industriale trasformatore del prodotto. Questo ci conferma che non sempre il
costo di produzione può essere l'elemento su cui agire per rendere conveniente
una certa attività agricola. Alle volte il gioco del mercato e specialmente delle
figure economiche intermediarie tra produttori e consumatori è tale da
attribuire alla produzione un prezzo inferiore al costo minimo. I consumatori
invece pagano un prezzo di gran lunga superiore.
Recente è il caso delle patate che a Roma costavano ancora 70-80-100
lire, mentre nella zona di Margherita, ad esempio, alla produzione si volevano
pagare 5-6-7 lire al chilo, al di sotto cioè della sola spesa per la raccolta. Quelle
patate, raccolte e messe invece in frigorifero locale ed immesse gradualmente
sul mercato, avrebbero potuto essere forse tranquillamente assorbite ad un
prezzo leggermente superiore al costo di produzione. E' quindi evidente che, in
presenza di queste strozzature di mercato, un modo efficace per poter
mantenere il costo leggermente al di sotto del prezzo è quello di una attiva
influenza dei produttori nel processo di formazione del prezzo.
Non si può prescindere assolutamente dalla necessità di organizzare da
parte dei produttori una difesa dei prezzi. La evoluzione della nostra economia
ha determinato una progressiva riduzione dell'area di influenza dei produttori
agricoli nella determinazione dei prezzi. Gli agricoltori sono diventati i
produttori di materia grezza e l'economia
34
delle regioni agricole è sempre più diventata economia a carattere colonialistico,
cioè un'economia di produttori ai quali si chiede la materia prima che altri operatori
economici trasformano e distribuiscono ai consumatori attraverso organizzazioni
imprenditoriali completamente staccate dall'agricoltura.
Per poter assicurare ai redditi agricoli un più elevato incremento, occorre che
gli agricoltori partecipino alla fase di formazione dei prezzi dei propri prodotti e
non subiscano i prezzi dell'esterno.
Tutti abbiamo quotidiana esperienza del forte divario esistente tra prezzi alla
produzione e prezzi al consumo. Nel suo passaggio dalla azienda al mercato di
consumo, il prezzo del prodotto agricolo, allo stato naturale o trasformato, subisce
un incremento del 50-100-200 e più per cento rispetto al prezzo pagato al
produttore. Ma tale incremento concorre a remunerare adeguatamente tutte le
figure economiche che hanno partecipato al processo trasformativo e distributivo,
ad eccezione del produttore agricolo che fornisce la materia prima.
Con ciò non si vuole sostenere la necessità di riportare all'imprenditore
agricolo il valore finale del prodotto, ma di consentirgli almeno i redditi che si sono
assicurati le altre categorie, cioè fare in modo che la categoria agricola che ha
prodotta la materia prima ricavi la stessa remunerazione ottenuta da tutte le altre
figure economiche ed equilibrare così i redditi di distribuzione.
Mi sia consentito dire, anche se la parola può suonare male alle orecchie di
qualcuno o dispiacere, che dobbiamo arrivare anche noi a un monopolio dei
produttori agricoli. Larga parte della economia italiana è organizzata in imprese che
sono in grado di fissare a priori il prezzo di vendita dei loro prodotti. Perché
soltanto gli agricoltori devono rimanere in una posizione di inferiorità?
E' invece possibile organizzarsi per assicurare ai prodotti agricoli prezzi più
remunerativi, considerando anche il fatto che la percentuale delle spese per
l'alimentazione, rispetto al reddito delle famiglie, va diminuendo.
Qualcuno obietterà che l'organizzazione dei produttori è difficile ad attuarsi,
perché essi non sono ancora maturi. E' ovvio che ciò non può realizzarsi da un
giorno all'altro; ma questa è la via da battere. Nel frattempo lo Stato dovrebbe
svolgere una certa azione di sostegno e difesa dei prezzi in modo tale da non fare
subire tracolli eccessivi e danni notevoli a coloro che si dedicano all'attività agricola
così come sta facendo, sostenendo in sede di M.E.C. alcuni prezzi per i prodotti
italiani tipici.
Resta comunque imperiosa la necessità di organizzare i produttori
35
di uva in cantine cooperative, i produttori di olio in oleifici cooperativi, i
produttori di latte in caseifici cooperativi. Occorre anche costruire centrali
ortofrutticole ed una adeguata catena del freddo. Va quindi studiato e realizzato
un programma di sviluppo cooperativo nei suoi diversi e necessari gradi e di
dimensioni capaci di consentire ai produttori una disponibilità di prodotti tale
da regolare opportunamente l'offerta e concorrere efficacemente alla
formazione dei prezzi.
Ciò implica naturalmente anche un programma di capitali di investimento e di credito che il settore agricolo non può affrontare e risolvere senza
la concreta, larga solidarietà dello Stato. Anzi nelle zone particolarmente
depresse, gli impianti di lavorazione e trasformazione dei prodotti vanno
realizzati ad iniziativa ed a spesa dello Stato, provvedendo successivamente al
loro trasferimento in proprietà delle cooperative.
Nel settore della cooperazione l’Ente Riforma ha promosso ed assistito
n. 49 cooperative a scopo plurimo e dei servizi collettivi, alle quali hanno
aderito n. 6.812 coltivatori diretti di cui 380 non assegnatari. Di esse 22 sono
meccanizzate con un parco macchine che comprende anche 71 trattori e 12
mietitrebbie.
Nella scorsa annata le suddette cooperative hanno fornito ai soci
sementi, concimi ed anticrittogamici per un valore complessivo di circa 210
milioni ed hanno collocato prodotti dei soci per un valore di 430 milioni circa.
Inoltre lo stesso Ente ha promosso ed assistito n. 6 cantine cooperative
con 2.777 soci, n. 5 oleifici cooperativi con 525 soci. Nel 1963 sono stati
lavorati 133 mila q.li di uva e circa 13 mila q.li di olive. Presso l'oleificio di
Cerignola sono stati lavorati 5.500 quintali di olive da mensa. Inoltre le
cooperative dei servizi collettivi hanno svolto operazioni di credito di esercizio
per un totale di 4 miliardi e 58 milioni.
Programmazione.
20. - Le linee di sviluppo agricolo in precedenza indicate ed in
particolare i problemi di ordine strutturale, le cui soluzioni si rendono
indispensabili per la creazione di un nuovo equilibrio economico e sociale nelle
campagne, non possono realizzarsi per moto spontaneo o con un processo
automatico, ma hanno bisogno di essere inquadrati in un programma organico
capace di adeguare gli obiettivi di una politica di sviluppo stabiliti a livello
nazionale alle diverse realtà locali. Ciò non significa introduzione nelle
campagne dei sistemi collettivistici e dirigistici, mortificatori della libertà e
responsabilità delle imprese agricole.
36
Trattasi invece di una serie di misure coordinate dirette a rimuovere ostacoli e a
creare condizioni di piena affermazione dello spirito imprenditoriale di tutti i
ceti agricoli ed in particolare di quelli che attualmente rivelano maggiore
debolezza.
Una volta create strutture aziendali idonee a tutte le economie esterne, la
programmazione può arrestarsi ai limiti dell'azienda, mentre forme associative
di imprenditori agricoli potrebbero costituire strumenti per un coordinamento
delle scelte produttive onde impedire un disordinato sviluppo di produzioni e
soprattutto di varietà che non rispondono alle esigenze dei mercato.
Il discorso sulla necessità o sulle modalità della programmazione
meriterebbe un ampio sviluppo, in riferimento anche ai livelli e agli organi che
si ritengono qualificati per una formulazione e la sua attuazione. Basti qui
accennare all'opportunità che gli organi locali, e in particolare la Provincia,
partecipino alla fase preparatoria del programma, predisponendo tutti gli
elementi conoscitivi necessari a meglio individuare le risorse e a fornire un
quadro aggiornato delle realtà economiche e sociali. Questi elementi potranno
indubbiamente giovare alla fissazione degli obiettivi e delle linee della politica di
sviluppo.
Nel quadro della programmazione globale nazionale può inserirsi un
piano di sviluppo agricolo per la Provincia di Foggia, alla elaborazione ed
esecuzione del quale, con il competente controllo del Ministero dell'Agricoltura
e Foreste e quindi dell'ispettorato Compartimentale e Provinciale, possano dare
il loro contributo il Consorzio di Bonifica e l'Ente di Sviluppo.
In particolare i compiti del Consorzio di Bonifica dovrebbero essere
quelli di : 1 ) rivedere il piano generale alla luce delle nuove esigenze
economiche sociali ; 2) impostare su nuove basi l'approvvigionamento idrico
prevedendo l'invaso di tutte le acque che vanno attualmente perdute; 3)
approntare un primo piano di viabilità tenendo conto della necessità di aprire le
strade di fondo valle; 4) programmare una capillare rete di distribuzione di
acqua potabile nelle campagne; 5) completare la rete dell'energia elettrica
completare i borghi di servizio.
L'Ente di Sviluppo dovrebbe: 1) curare il passaggio agevolato della
proprietà di quelli che emigrano, e di chi, dedito ad altre attività, considera la
terra solo come una fonte di rendita fondiaria, trasferendola nelle mani di quelli
che effettivamente la lavorano. Verrà così effettuata una necessaria opera di
ricomposizione fondiaria; 2) favorire la formazione di cooperative necessarie
per ridurre i costi di produzione (cooperative di servizio per mietitrebbie, per
macchine di ogni genere, anti parassitarie, consorzi antigrandine e cooperative
creditizie,
37
ecc.), per migliorare la qualità dei prodotti e la loro tipizzazione (cantine sociali,
oleifici sociali, conservifici sociali, caseifici sociali, zuccherifici sociali) e per
aumentare la competitività commerciale dell'agricoltura (centrali frigorifere e di
mercato, ecc.); 3 ) attuare una assistenza tecnica capillare a tutte le aziende nella
fase di rinnovamento delle strutture aziendali ed in quella dell'esercizio; 4)
organizzare un moderno sistema di esercizio dei credito agrario alle singole
aziende ed assistere finanziariamente le organizzazioni cooperative, per
consentire ai produttori capacità di resistenza ad eventuali azioni di speculazione
e superare i momenti di depressione dei prezzi dei prodotti agricoli; 5)
collaborare con istituti già esistenti per favorire le ricerche di mercato e la sperimentazione necessarie per localizzare sempre meglio le colture ed individuare le
varietà più idonee a soddisfare le richieste dei mercato stesso, provvedendo ad
una vasta azione di informazione fra gli imprenditori agricoli; 6) individuare
con la massima aderenza alla realtà le linee naturali secondo le quali si svolge
l'esodo rurale ed intervenire per favorire il trasferimento di aliquote di addetti
all'agricoltura dalle zone da estensivare verso le zone da intensivare o verso i
poli di sviluppo industriale, cercando di creare i presupposti atti a rendere il più
agevole possibile il trasferimento delle famiglie ed il loro adattamento nei nuovi
ambienti di lavoro.
Conclusioni.
21. - Il quadro sommario della realtà e delle prospettive di sviluppo
dell'agricoltura di Capitanata che ho tentato di abbozzare con riferimento agli
aspetti positivi e negativi, alle innegabili luci ed alle persistenti ombre, va ora
completato con un duplice ordine di particolari rilievi che scaturiscono dal
l'osservazione attenta dei fenomeni economici e sociali in atto non solo nella
provincia dauna.
Il primo attiene al fatto che una soluzione integrale ed organica dei
problemi economici e sociali dell'agricoltura non è realizzabile nell'ambito dei
solo settore agricolo. Sorge quindi la necessità inderogabile di creare nuovi e
più razionali equilibri tra agricoltura e altri settori economici, in particolare tra
agricoltura ed industria.
Il secondo ordine di considerazioni si riferisce alla modalità della mano
d'opera. Nel momento in cui si dà luogo ad un dinamico processo di sviluppo
economico che non può, ovviamente, investire in eguale misura i sessanta
campanili della Capitanata, movimenti settoriali e territoriali delle forze di
lavoro sono inevitabili. Essi sono altresì sostanzial38
mente positivi se determinano più giusti equilibri e sociali ed economici e
soprattutto se si svolgono lungo le direzioni stabilite non dalla concentrazione
capitalistica ma lungo le vie segnate dal potenziamento delle risorse naturali e da
forme umane e razionali di attività economiche.
Trattasi quindi di studiare ed attuare organici programmi che consentano
alle popolazioni di compiere liberamente le proprie scelte professionali, senza
condizionare queste al cambio della resistenza.
Nel caso della Capitanata ritengo che sussistano notevoli possibilità per
recuperare l'attuale stato di sottosviluppo di vaste zone, a condizione che si
ponga mano ad una solidale e programmata azione di equilibrato sviluppo
economico che consenta anche alle popolazioni daune ulteriori progressi sociali.
DECIO SCARDACCIONE
Prof. DECIO SCARDACCIONE, presidente dell'Ente Irrigazione di Puglia e
Lucania
39
FEDERATI AUTORI EDITORI TIPOGRAFI
E LIBRAI MERIDIONALI
ENCICLOPEDIA (in 8°, fig.) – Salvatore Calabrese, Agostino Gervasio e gli studi
umanistici napoletani nel primo Ottocento. Pref. di Antonio Altamura. Pp.
VIII-128, 3 tavv. f.t. L. 1.000.
TEMI E TEMPI. "Biografie del Sud" (in 8°, cop. fig.) - Domenico Lamura,
Terra salda. Pres. di Raffaele Ciasca, Note e schiarimenti. Pp. 132, cop. e
4 tavv. orig. f.t. di Francesco Galante. L. 700. - 2. M. Brandon Albini,
Tommaso Fiore, Alfredo Petrocci, Michele Vocino, « France Observateur », La « Legge » di Vailland, con Due parole dell'editore (Mario
Simone). Pp. 80, cop. di Luigi Pellegrino, dis. nel t. di Petrucci e Vocino.
L. 500.
MISCELLANEA GIURIDICO -ECONOMICA MERIDIONALE - Serie «
Dogana e Tavoliere di Puglia » (in 16°, fig.) - Angelo Caruso, La Dohana
menae pecudum, o Dogana di Foggia, e il suo Archivio, con Nota bibliografica.
Pp. 52, n. 4 tavv. f.t. L. 500. Giuseppe Coniglio, La Dogana di Foggia nel
sec. XVII. Documenti ined. dagli archivi spagnuoli. Pp. 148, n. 4 tavv. f.t.
L. 1.500. Addolorata Sinisi, I beni dei Gesuiti in Capitanata nei sec. XVIIXVIII e l'origine dei centri abitati di Orta, Ordona, Carapelle, Stornarella e
Stornara. Documenti inediti e bibliografia. Pp. 132, n. 8 tavv. f.t. L.
1.500.
- Serie « I Maestri » (in 8°, fig.) - Angelo Fraccacreta, Scritti meridionali.
Pref. di Mario de Luca (in corso di stampa).
QUADERNI DI « RISORGIMENTO MERIDIONALE » (in 8°, cop. fig.) Dimenico Pace, Vincenzo Lanza e la vita universitaria e ospedaliera a Napoli nel
primo Ottocento. Presentazione di Raffaele Chiarolanza. Contributo
documentario di Alfredo Zazo. Note, bibliografia, indice dei nomi. Pp.
80, tav. f.t. L. 600. - CRISTANZIANO SERRICCHIO, Gian Tommaso
Giordani e il liberalismo dauno nel 1820. Note, appendice di documenti ined.,
indice dei nomi. Pp. 124, tav. f.t. L. 1.000. 3. G. e E. Tedeschi, Ascoli
Satriano dal 1799 al 1829. Diario. Avvertenza e notazioni di Mario
Simone. Bibliografia e indice dei nomi. Pp. 152, 5 tavv. f.t. L. 1.000.
P O E S I A, collana in ricordo di Umberto Fraccacreta (in 8°) - John
Gawsoworth, Maggio d'Italia (La Gradogna). Trad. poetica di U.
Fraccacreta col testo inglese a f. Pp. 72, 2 ritr. f.t. L. 600.
« LA FORTUNATA TERRA DI PUGLIA », biblioteca del turista (in 16°,
soprace. fig.) 1. Michele Vocino, Alla scoperta della Daunia con viaggiatori di
ogni tempo. Nota bibliografica. Pp. 144, 16 tavv. f.t. ril. L. 1.000. 2.
Pasquale Soccio – Tommaso Nardella, Stignano. Pp. 64xIV, 10 tavv. f.t.
L. 500. 3. Caruso, V. D'Alterio, G. de Matteis, Aria ed arie di Alberona.
Pp. 190, 10 tavv. f.t. L. 1.000.
Commissioni a: LAURENZIANA in Napoli (via Tribunali, 316), c.c.p. 6/23302. - Studio
Editoriale Dauno in Foggia (Casella Postale) c.c.p. 13/3637.
Diploma accademico di Agostino Gervasio
( da: S. Calabrese, « Agostino Gervasio...» )
INGRESSO AL GARGANO
Siponto, Manfredonia e lo Sperone dalle cave di tufo di Santa Lucia
( dal Saint-Non, « L’Italie Pittoresque » )
MANFREDONIA
La sede municipale nel settecentesco convento di S. Domenico
( Fotografia del rag. Nicola de Feudis )
GARGANO
Un secolare colloquio che dura
( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia )
Agostino Gervasio
e gli studi umanistici dell'Ottocento
Uno strano destino sembra pesare talvolta su alcuni studiosi: dimenticatí
o addirittura ignorati per lungo periodo di tempo, ridestano all'improvviso un
interesse vivissimo, appaiono nella loro giusta luce, vengono - come oggi suol
dirsi - ridimensionati e riescono ancora a direi qualcosa d'interessante e di
nuovo, offrendo innumerevoli spunti di lavoro e suggestioni e insegnamenti.E’
questo il caso di Agostino Gervasio: per circa un secolo quasi del tutto
dimenticato, ora solamente si è cominciato a delineare intorno alla sua figura un
certo interesse per merito di un accurato e bene informato lavoro di mons.
Salvatore Calabrese (Agostina Gervasio e gli studi umanistici a Napoli nel primo
Ottocento, C.E.S.P., Napoli-Foggia-Bari, 1964), e grazie ancora a due letture di
carattere bibliografico tenute dal p. Antonio Belluccii all'Accademia Pontaniana
nell'aprile 1964 e nel marzo 1965.
Nato a San Severo in Capitanata il 19 giugno 1784 da Antonio e da
Gaetana Patavino, il Gervasio fu educato nei primi anni dallo stesso padre, che
era un bravo medico, e poi nel Seminario Urbano di Napoli. Di là a quattro
anni ritornò in patria, dove terminò i suoi studi nuovamente sotto la guida
paterna e quella del geologo Matteo Tondi e del matematico Michele Zannotti.
Di nuovo a Napoli nel 1802, frequentò la scuola del famoso giurista Nicola
Valletta e poi quella di Adamo Santelli, laureandosi in legge. Sentendo però di
possedere assai scarse attitudini alla libera professione forense, preferì piuttosto
impiegarsi presso il ministero dell'Interno, dove rimase per l’intera sua vita ( il
Gervasio mori’ a Napoli il 15 novembre 1863 ), percorrendo tutti i gradi della
carriera amministrativa fino a quella di Ufficiale di Dipartimento.
Già dai primi anni di residenza a Napoli il Gervasio venne a contatto
con i piu’ eminenti rappresentanti dell'alta cultura napoletana del tempo, quali il
p. Giovanni Andrés, Giovanni Antonio e Luigi Cassitto, Francesco Daniele,
Francesco Maria Avellino, Gian Vincenzo Meola,
41
Camillo Minieri Riccio, ecc. La continua dimestichezza con questi dotti uomini
fece sorgere in lui la passione per gli studi letterari e archeologici; inoltre, i suoi
doveri di ufficio gli consentivano di venire a contatto anche con studiosi
stranieri, e ciò gli fu di grande aiuto per iniziare, con l'apporto di numerosi
corrispondenti disseminati in tutta Italia e all'estero, la raccolta di documenti
creduti smarriti, di stampe rare e di medaglie e iscrizioni di cui sembrava
perduta ogni traccia. Da parte sua, il Gervasio forniva agli amici lontani - più
illustri tra tutti il De Rossi e il Mommsen - notizie di scavi, informazioni bibliografiche, trascrizioni di lapidi, proposte di emandamenti testuali, spesso
rinunziando alla paternità di una scoperta o di una sua peregrina congettura,
sempre lieto di render cosa grata ai suoi compagni di studi, che poi lo
ripagavano a loro volta di egual moneta.
Sessant'anni di operoso fervore di studi: ma, al tirar delle somme, il
Gervasio riuscí appena a pubblicare una quindicina di memorie negli Atti
dell'Accademia Pontaniana e di quella Ercolanese, e quasi tutte di carattere
archeologico. A tal proposito, è da considerare che il Gervasio, non certo
inferiore ai contemporanei Avellino e Minervini e Jannelli e De Jorio, offrì
importantissimi contributi agli studi di archeologia campana, segnatamente in
tema di iscrizioni napoletane e puteolane (e della sua collaborazione si avvalse
frequentemente lo stesso Mommsen per alcuni testi epigrafici del Corpus
inscriptionum latinarum); senonché, il Calabrese ha visto giusto quando ha limitato
un po' il valore critico di alcune dissertazioni archeologiche del Gervasio,
perché, in verità, il nostro erudito era sì un abilissimo raccoglitore di notizie, un
acutissimo ricercatore, un uomo capace di fiutare a migliaia di chilometri di
distanza i « pezzi » esistenti in qualche lontana biblioteca europea (e le centinaia
di lettere con corrispondenti italiani e stranieri sono testimonianza non solo di
tale sua abilità, bensì della tenacia con la quale inseguiva e individuava i suoi
tesori, dandosi pace solamente quando era riuscito a ottenerne copia), ma si
avvaleva di un rudimentale metodo critico, era sempre incerto nelle sue stesse
opinioni e si lasciava troppo facilmente suggestionare quando in una
disquisizione ricorrevano i grossi nomi dello Henzen, del Rochette, del
Garrucci, del Cavedoni, del Borghesi o del Mommsen.
A mio avviso, l'opera del Gervasio è stata davvero meritoria nel campo
delle ricerche sull'Umanesimo napoletano; ma anche qui l'erudito pugliese ha
dimostrato la sua incapacità di pervenire a una sintesi storica di quei cento anni
così ricchi di cultura e di poesia, quali furono quelli dal 1442 al 1550 circa. Al
pari del profeta Daniele, il Gervasio veniva chiamato vir desideriorum dagli stessi
suoi amici: tutto avrebbe voluto leggere, di ogni libro raro avrebbe voluto un
esemplare, di ogni antico testo avrebbe desiderato una copia: ma, dopo aver
tutto ottenuto a furia di richieste pressanti e di iterate preghiere, dichiarava egli
stesso di « esser ritroso a venire in pubblico e a farsi strada fra gli amatori della
nostra letteratura ». E le carte si aggiungevano alle carte, gli appunti agli appunti,
le copie alle copie; e talvolta arrivava persino a buttar giù il testo di una
biografia o di uno studio preliminare all'edizione critica di qualche rara
operetta, ma alla fine
42
veniva preso dal panico e, anziché darlo alle stampe, lo conservava, insieme con
cento altri tentativi più o meno riusciti o falliti, tra quei suoi brogliacci, che ora
costituiscono ben ottantotto volumi manoscritti serbati nella Biblioteca
Oratoriana di Napoli. Ovviamente, grandissima parte di quel materiale non è
affatto rara né preziosa come forse il buon Gervasio credeva: molte le
trascrizioni da incunaboli e cinquentine tuttora esistenti in molte biblioteche
italiane; numerose le copie di testi inediti di discutibile autenticità ricevuti da
quell'allegro ed infido falsario che fu Gian Vincenzo Meola; del tutto superflue
alcune faticose rimasticature delle opere biografiche dell'Ammirato, del
Toscano, del Capaccio, del Chioccarelli, del Crasso, di Toppi-Nicodemi, del
Tafuri, del Soria, del Napoli,Signorelli. Ma la messe è tale e tanta che chiunque
abbia familiarità con i quattro-cinquecentisti meridionali potrà sempre rinvenirvi
notizie ignote per altre vie, copie di documenti scomparsi, testi di indiscusso
interesse come quelli di Camillo Porzio (per i quali cfr. la recente edizione di E.
Pontieri, Napoli, 1958, pp. 386-410) e memorie manoscritte ricche di preziose
informazioni bio-bibliografiche, che si rilevarono di somma utilità ad Erasmo
Pèrcopo per i suoi studi sul Pontano e sul Cariteo e sul Tansillo, ad Alfredo
Parente per la sua edizione laterziana dei drammi e degli altri scritti di
Marcantonio Epicuro, e a me stesso che per il passato mi avvalsi di appunti e
documenti gervasiani riguardanti il Compatre, il Summonte, Bernardino
Oriense, così come più recentemente - negli studi dedicati a Riccardo Filangieri
e a Berthold L. Ullman - mi son fatto grato debitore del Gervasio a proposito
di Scipione Capece e di quel famoso « codicillo » del testamento del Sannazaro
da lui rinvenuto, mediante il quale ho avuto la prova inoppugnabile per poter
fissare al 6 agosto 1530 la vera data di morte del poeta napoletano anziché
quella tradizionale ma erronea del 24 aprile.
Per codesti motivi penso che le ricerche letterarie del Gervasio siano
state superiori a quelle di natura archeologica. Per comprendere ed apprezzare
l'importanza della sua opera nella storia della cultura napoletana bisogna
ricordare in quale dimenticanza fossero caduti già da lunghi anni gli studi sul
Quattrocento. La breve stagione dell'Umanesimo napoletano - iniziatasi col
Panormita e col Pontano, e poi giunta col Sannazaro al più alto segno di
ricchezza espressiva e di perfezione formale - aveva cominciato a declinare fin
dalla metà del Cinquecento, allorquando Don Pietro di Toledo, sospettoso
sull'ortodossia di Scipione Capece e di altri simpatizzanti dell'Ochino e del
Valdés., aveva ordinata la chiusura dell'Accademia Pontaniana. Erano poi venuti
i tempi grigi della dominazione spagnuola e di quella austriaca e di quella
francese; e la instabilità politica, le continue soppressioni di conventi, le
spoliazioni delle più vetuste biblioteche napoletane avevano portato a una quasi
totale dispersione di tutto il materiale ancora inedito dei nostri umanisti, che
andò poi ad arricchire le biblioteche di Francia, di Spagna, di Austria.
Solamente alla fine della prima guerra mondiale fu possibile rivendicare
all'Italia alcuni manoscritti trafugati dal convento napoletano di San Giovanni a
Carbonara e poi finiti nella Staatsbibliothek di Vienna;
43
ma ancora oggi interi « fondi » della Nazionale di Parigi e delle più importanti
biblioteche di Monaco, di Siviglia, di Valencia sono costituiti da preziosissimi
manoscritti umanistici rubati a Napoli dai sovrani austro-spagnoli e francesi.
Buona parte, però, di codesto materiale, è ritortiato a Napoli da piú di un
secolo attraverso le più o meno accurate trascrizioni dei corrispondenti stranieri
del Gervasio e costituiscono il nucleo più vitale della monumentale raccolta di
documenti da lui lasciati in eredità ai pp. Filippini dell'Oratorio, alla quale hanno
già attinto copiosamente alcune generazioni di studiosi, e molti ancora potranno
rintracciarvi, sol che sappiano ricercare con cura ed amore, i tesori di dottrina
accumulati dall'umile ed operoso erudito di San Severo.
ANTONIO ALTAMURA
Prof. ANTONIO ALTAMURA, libero docente nell'Università di Napoli, preside
di quel Liceo Classico Statale « G. B. Vico ».
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Come vivono e come parlano
sul Gargano
Raccolgo qui alcune impressioni che sono andato fermando un
tre-quattro anni addietro, durante le inchieste che ho condotto in Puglia e in
Lucania per conto dell'Atlante Linguistico Italiano. L'opera, che è in cantiere sin
dal 1925, interessa non meno di un migliaio di comuni distribuiti su tutto il territorio nazionale; e per ognuno di questi è stato raccolto un materiale corrispondente al risultato di un interrogatorio di circa una settimana su argomenti
di ordine generale, sulla famiglia, sul focolare, sulle usanze, sugli utensili, sulle
tradizioni, sulle manifestazioni di vita pubblica, sulle arti e sui mestieri, sull'agricoltura, sull'arte della pesca, su tutto ciò che riguarda le attività e la vita di
un centro. Tutte notizie che saranno leggibili diffusamente in una serie considerevole di carte linguistiche. In ognuna di queste carte sarà raffigurata la
fortuna che una parola o un oggetto ha avuto da un capo all'altro dell'Italia.
Una raccolta di carattere linguistico, ma anche di carattere etnografico e
sociale. Le voci e i suoni vanno considerati insieme alle cose e alle usanze e in
considerazione dei ceti e delle categorie che costituiscono una società di uomini.
E quando si coglie l'indirizzo di una voce o di una corrente fonetica o di un
movimento lessicale, si viene a cogliere anche la parabola di un uso, di una
tradizione, di un fatto storico.
Perché l'Atlante Linguistico Italiano (ora specialmente che la direzione è
affidata alla competenza e alla sensibilità del prof. Benvenuto Terracini) vuole
essere essenzialmente un'opera storica, o, se piace di piú, un'opera strumentalmente linguistica, ma sostanzialmente storica.
A MANFREDONIA
Divisa da una lunga strada centrale, che si svolge parallela alla fascia
costiera, la cittadina di Manfredonia distribuisce dalla parte di ponente quelli che
vivono del retroterra. Due categorie di abitanti che vivono di attività e di
abitudini diverse.
I contadini e gli agricoltori hanno disposto le loro case sulla strade che li
portano a lavorare alle vicine pendici del Gargano, dove i detriti della
montagna hanno reso lussureggianti le ampie distese di ulivi, o li portano sulle
caratteristiche lande pianeggianti rese deserte
45
dalla malaria che un giorno vi ha infuriato da padrona lasciando dietro di sé la
testimonianza di una solitudine che oggi è rotta solo dalla presenza di qualche
mandra di bufali che bruca un'erba rada e filiforme. Dove la terra emerge di
qualche metro sul livello del mare non vi è che tufo, uno “smalto”, che sembra
rimuovere da sé ogni possibilità di una vera e propria vegetazione, e dove si
abbassa all'altezza del mare od anche al di sotto (a meno che non vi sia giunta
l'idrovora che ridona alla luce del giorno il fondo del pantano) non vi è che
acqua stagnante e limacciosa. Un ambiente favorevole alla caccia, alle sortite
brevi, alla sosta di una giornata. I casolari costruiti con abbondanza di materiali
e senza economia di spazi sono lontani l'uno dall'altro divisi da enormi distanze,
divisi dalla comunione con gli uomini, come testimonianze di tentativi
sovrumani fatti per superare le avversità del luogo. Tentativi compiuti in tempi
lontani anche da ordini religiosi, che poi hanno ceduto abbandonando tesori di
scultura e di arte, quali quelli compendiati nell'oasi di San Leonardo, che di
tanto in tanto si cerca di abbellire e di popolare sempre senza successo. Gli
uomini vi passano come ombre. Dì vivo non vi resta che l'immagine del
mandriano, la sagoma di qualche carretto che si staglia sull'ampio ponte del
Candelaro sospeso su un mondo che sembra tutta una cosa con la immensità
del mare, l'andar trepido di un cacciatore, l'ansimare della macchina o del treno
che ti riporta dove a te pare che sia stabilita la vera stanza degli uomini. Un
mondo avvolto in un'atmosfera di fuga, di corsa o di scampo. Gente che non
vuol sentirsi sola, gente che non riesce a dominare la campagna o che va
correndo come dinnanzi a un nemico che ti insegue. Una psicosi di
devastazione tramandata dagli antichi sipontini, dai primi manfredoniani
superstiti del maremoto e della successiva infestazione malarica, che
seppellirono l'antica Siponto fondata dagli Elleni della prima colonizzazione.
Corsero al sicuro su di una costiera piú alta, proprio là dove Manfredi stava
costruendo quello che poi al Lenormant, lo storico della Magna Grecia, è parso
« opera d'ingegnere piú possente e meglio architettata che abbia lasciata il
secolo decimo-terzo ». Alla campagna va strappato tutto quello che può
offrire, di corsa, senza essere eccessivamente abitata. E cosí, tolti i giorni della
maggiore attività, al tempo della semina o del raccolto, la gente di campagna,
che poi corrisponde ad una buona metà dell'intera popolazione, vive in città,
alimentando la vita dei circoli, delle piazze, dell'interminabile corso centrale, di
ogni manifestazione piú propriamente sociale.
Ma i marinai (pescatori, pescivendoli e calafati) vivono per conto
proprio, tagliati da tutti quanti gli altri. Un grande esercito di uomini valorosi
(80 motopescherecci, 170 motobarche, 243 removelici), che si muove di tutte le
stagioni per nutrirsi del mare che sentono veramente tutto loro. Le case che
abitano sono tante logge che spiano soltanto sul mare. Sulle imbarcazioni che
sostano in attesa di prendere il largo, su quelle che si stagliano lontano
all'orizzonte, su quelle che tornano cariche di quel pesce, di cui riescono ad
imporre e per la qualità e per l'abbondanza un primato non solo nelle Puglie,
ma in
46
tutto il Mezzogiorno. Un'attività incessante, che è in rapporto inverso con le
possibilità di penetrare nella parte viva della società. I loro stessi circoli li
riuniscono solo per il resoconto di un viaggio o per la preparazione di una,
partenza; non comunicano con gli altri, e direi fra loro stessi. Divisi in pieno
mare per la gettata delle reti, divisi ancora nelle lunghe ore di attesa, si
incontrano solo alla levata nel momento culminante di una attività che si ripete
sempre uguale con la solennità e la successione dei tempi di un rito. Quelli che
non hanno un'imbarcazione, chiusi anche essi ad un conversare libero ed esteso,
si avvicendano a tirare gli aloni della sciabica, uniti fra loro soltanto da una
stessa corda e dal ritmo di un ' oh! ' lungo e roco che accompagna ogni nuova
spinta in avanti; oppure sciolti dalle corde, dove la riva diventa scogliera, si
piantano nel mare intenti come rìcercatori di perle ad una pesca minore che sa
piú di romanticismo che di lavoro davvero redditizio e produttivo. Un lavoro
quest'ultimo che ripetuto dai tempi omerici non si adatta ad organizzarsi e a
produrre di piú. Un'ulteriore prova della solitudine che avvolge la gente di
mare ed anche una testimonianza della loro fedeltà alle tradizioni, al mestiere,
un saggio della loro indifferenza a ciò che interessa piú da vicino le vicende
della vita cittadina. Rotti alla parola e al conversar sociale gli agricoltori, chiusi in
se stessi e quasi confinati nell'uso di un lessico sempre uguale quelli del mare.
Loquaci e ciarlieri gli agricoltori, muti o di brevi cenni i marinai.
Etnicamente però (e quindi linguisticamente) gli agricoltori e i marinai
sono i veri custodi del patrimonio storico di Manfredonia. Un patrimonio
fondamentalmente appulo, come quello di Vieste e di Monte Sant'Angelo. Un
fondamento tipicamente orientale, che è in fondo segnato nei suoi tratti piú
notevoli dai caratteri fondamentali della civiltà ellenica, dualistica, etnicamente e
socialmente, come appare ampiamente dagli studi del compianto professore
Raffaele Pettazzoni. O si è dei campi o si è del mare. Non vi è un posto di
rilievo per una categoria diversa. Lo stesso artigianato non costituisce una
categoria veramente a sé. Vive di riflessi come rifugio di chi è stanco di
navigare o di zappare. Un artigianato che completa quella classe
cittadino-borghese di negozianti, di municipali e di professionisti, che sono nati
essi pure da contadini o da marinai.
Nonostante questa comunione di origine, linguisticamente la cittadina è
sensibilmente divisa. Una lingua che presenta tanti piani, su cui gli abitanti piú
che per ceti vanno raggruppati per generazioni. Molti manfredoniani lasciano la
loro terra per trovare delle fortune migliori, ma sono ancor di piú quelli che si
ritirano a Manfredonia. La cittadina, dove gli originari continuano a battere la
stessa strada degli antenati di epoche incalcolabili, è meta ambita degli abitanti
di Monte Sant'Angelo e dei cittadini del capoluogo della Capitanata.
I primi, i montanari, che fino ad oggi ascendono ad un numero che
corrisponde a non meno di un quinto della intera popolazione manfredoniana,
si sono arroccati nel quartiere piú alto della città. Vi hanno trasferito il culto del
loro Patrono, al quale hanno dedicato la moderna Chiesa di San Michele, e
vivono legatissimi alle loro tra47
dizioni e alla loro lingua. Restii ad accogliere ogni influenza da parte degli
ospitanti, compatti premono sulle abitudini e sulla lingua di Manfredonia.
Foneticamente e lessicalmente. Ed i Manfredoniani interpellati per lo
svolgimento del questionario dell'Atlante Linguistico, quelli che hanno
accompagnato il colloquio con le fonti principali, talvolta sono stati divisi nella
risposta. Alcuni hanno risposto con l'antica voce manfredoniana, ed altri con la
voce venuta dal prestito dei Montanari.
I Foggiani poi, che arrivano a Manfredonia per utilizzare la spiaggia
locale e quella della nuova Siponto, sono numerosissimi, al punto da dare
l'impressione che ormai il golfo, specialmente nella stagione balneare, diventa
cosa tutta loro. Influenzano naturalmente anch'essi lo svolgimento della parlata
manfredoniana.
Per avere un saggio di queste innovazioni basterà mettersi dinnanzi
(come è stato fatto dal ricercatore dell'Atlante) quattro fonti, corrispondenti a
quattro generazioni diverse: un giovane poco piú che ventenne, un quarantenne,
un sessantenne ed un ottantacinquenne. Da una parte vi è il giovane che usa
generalmente ll da LL (mullé 'bagnare', u ruzzìlle 'il cerchio', iallícchie 'lo spicchio',
ecc.) e gi da DJ (iògge HODJE, ecc.) alla maniera foggiana, o palatilizza la A
tonica di sillaba aperta (sciusscé, iaté 'soffiare', iasteié 'castigare', tucché 'toccare',
ecc.) alla maniera montanara. Dall'altra parte vi sono le restanti fonti che dal
quarantenne in su conservano fedelmente le consonanze delle origini: dd da LL
(muddé, ecc.), sc da GJ e simili (felíscene 'fuliggine', desciuno 'digiuno', ci scètta 'si
getta', ecc.) ed una a tonica che non ha ancora raggiunto un grado di completa
palatilizzazione o di riduzione al moderno e dei giovani. L'informatore della
generazione piú giovane ha dimenticato o ha trasformato molte delle parole
che poi sono mantenute intatte nella lingua di quelli che stanno oltre la
quarantina. Il che vuol dire che i tempi precipitano anche per la lingua di
Manfredonia. Ed i vent'anni che dividono il marinaio dell'ultima generazione
dalla fonte di mezza età contano molto di piú dei quaranta e cinquant'anni che
dividono quest'ultima dal vecchio di ottantacinque anni.
A MONTE SANT’ANGELO
Un'inchiesta linguistica ha sempre due tempi. Uno preparatorio o di
orientamento e l'altro d'impressione o di pratica attuazione, che si svolge con il
questionario alla mano alla presenza della fonte o delle fonti prescelte. Con la
stessa seguenza di tempi si svolge l'inchiesta di Monte Sant'Angelo.
Il paese (piace intenderlo come tale anziché come città o cittadina, per
quel non so che di antico, di sano e di composto che vi traspira da tutte le
parti) viene raggiunto con una corriera. La quale per il ricercatore è un pò come
l'anticamera del centro da studiare. Quando il mezzo arrivando da Foggia viene
a sostare a Manfredonia, nel quartiere di Monticchio (il quartiere che i
montanari hanno po48
polato nella parte piú alta della città di mare per muovere uniti fra le attività e le
abitudini degli altri), i paesani vi ci si trovano gioiosi come a casa propria, liberi
dalle costrizioni che un ambiente non abituale impone alla lingua e al cuore.
Esplode liberamente la gioia di un affare, di un successo, di un ritrovamento
impensato, e spesso si aggiunge una nota di amarezza per un viaggio sfortunato
o la vicenda di una pena che riprende a camminare per l'antica strada. Lingua e
cuori sciolti che ti danno il quadro sincero di quello che circola nei sentimenti,
nella storia, nella cultura, nella lingua di questa gente.
Il quadro si va compiendo o meglio incorniciando man mano che avanzi
sul rettilineo che corre parallelo alla fascia costiera. Da una parte il mare limitato
all'orizzonte dalla chioma compatta dei campi di ulivi, dalla parte del Tavoliere
campi quasi brulli dove testimoni di terre infeconde prosperano rigogliosi
sconfinati filari di fichidindia, di fronte il baluardo del Gargano su cui
svolgentisi per lunga tesa si protendono ben salde la case di Monte Sant'Angelo.
Le casette, che lungo la strada vanno diventando piú numerose man
mano che ti accosti alla frazione di Macchia, tutte sormontate nell'architrave
dalla statuetta del loro Santo, sembrano tante ancone di uno stesso Santuario,
che ha poi il suo Sancta Sanctorurn là in alto dove in un antro immenso si apre
la caratteristica Basilica dedicata all'Arcangelo San Michele. Una civiltà cristiana
che è venuta a distendersi su di un paesaggio e di una storia che sanno tanto di
primitivo e direi di 'grotticolo'. Di una civiltà che va apparentata a quella dei
'sassi' o a quella che si è sviluppata nelle cosidette 'grave', nelle caverne, che
hanno offerto ed offrono naturalmente, senza l'intervento della mano
dell'uomo, il primo rifugio contro le avversità delle intemperie e gli assalti delle
fiere.
Una civiltà che si è fissata lungo la strada alle pendici della montagna,
dove di sotto ai piedi improvvisi ti spuntano foggiati come enormi colonne o
come piramidi addolcite nella cuspide terminale i giganteschi fumaiuoli delle
case che sono interrate al di sotto del livello stradale. Una gente che dei sassi ha
fatto la propria ragion di vita. Nella pietra che ti acceca, là dove è tagliata di
fresco, disposti di grado in grado, hanno aperto degli ariosi terrazzì che hanno
reso fecondi col terreno portato di lontano perché vi prosperino il grano, il
mandorlo, l'ulivo, la vite. Gente attiva, intraprendente, sicura di sé, che ha
trasferito sulla montagna le iniziative e la vitalità della gente appula.
Le peculiarità di questa stirpe vengono poste in maggiore risalto, quando
finalmente, raggiunta l'altezza della montagna, ti fermi ad aprire il colloquio con
un gruppo di montanari che vestiti di panni pesanti e strettamente imberrettati
d'inverno e d'estate si trattengono volentieri sulla loro piazza centrale quasi in
attesa di offrire, con i loro discorsi, con il loro lessico, con la loro inflessione, al
primo arrivato la testimonianza vivente delle vicende della loro storia.
L'attenzione del ricercatore si ferma su tre fonti. Un funaro quarantunenne che viene utilizzato per un questionario generale; un
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'tufarolo' in pensione di oltre sessant'anni, che viene utilizzato per un questionario
che riguarda le arti e i mestieri; un agricoltore-pastore di ottantatre anni che viene
utilizzato per il questionario speciale che riguarda le abitudini e le attività della vita di
campagna. Queste le fonti principali. Ma all'inchiesta, per correggere o per meglio
illustrare, partecipano ancora altri montanari: un giovane contadino di trentasei anni,
molto informato e molto pronto, un professionista di mezza età che ha messo a
disposizione la sua raccolta di animali locali (bruchi, coleotteri, serpi, ecc.), un
muratore di una sessantina di anni, un contadino-pastore intorno ai sessant'anni, un
contadino-boscaiolo di ottant'anni (un analfabeta che poi senza essere mai stato a
scuola ha imparato a segnare la sua firma).
Un quadro completo dei ceti e delle generazioni, che ha fatto da sottofondo
ai tre protagonisti essenziali, che erano incoraggiati dal consenso dei presenti.
Mancano le donne, restie ad affrontare il colloquio con un forestiero, e quindi
inadatte (almeno per Monte) a dare un'impressione sincera della vita e della lingua
del loro paese.
Il colloquio si converte in un estenuante interrogatorio che condotto
saltuariamente per cinque giorni svolge circa seimila domande. Quante bastano per
fare una rassegna completa della fonologia e del lessico di Monte.
Le conclusioni che se ne traggono sono quelle della prima impressione. Che
qui ci troviamo in un centro tipicamente pugliese, pugliese del tipo barese (non
vogliano scandalizzarsene i daunisti ad oltranza). Gli Appuli, che hanno occupato
una lingua di terra che comprende buona parte dell'attuale Puglia e tutta la parte
orientale della Lucania, si sono assestati a Monte, conservando la schiettezza
originaria, alla stessa maniera che oggi ci è data riscontrarla dall'altezza della linea
Cerignola-Zapponeta in giú. Si conservano fondamentalmente appule Manfredonia
e Vieste, ma qui a Monte non ancora sono arrivati gli influssi del dominio
appenninico (o sono arrivati molto attenuati). Per intenderci meglio si vuol dire che
è più pugliese Monte che una Foggia, o una San Severo o una Torremaggiore, che
pur essendo molto anticamente abitate da popolazioni indubbiamente appule, oggi
(e sembrerebbe ormai da parecchio) vanno stabilizzandosi in una nuova fase
linguistica. Nel Tavoliere l'elemento appulo si è ridotto alla funzione di un sostrato
notevole, ma ormai fossile, su cui viene a stratificarsi l'incessante dilagare degli
Appenninici, che, abbandonate le montagne di origine, scendono al piano per
trovare delle nuove fonti di lavoro.
Ma a Monte (dove la vera ed ultima immigrazione deve rimontare a quella
delle origini) il pugliese originario dà segni di grande vitalità. Tutto questo
naturalmente per la posizione particolare del paese pressoché isolato e per la sua
stessa popolosità. I montanari hanno fatto della loro montagna (tutta un sasso) un
loro edificio, a cui non sono disposti a rinunziare. Vi ci si sono arroccati come in
una fortezza, e di tanto in tanto ne scendono (non rinunziando quasi mai al diritto
di residenza) per estendere la loro attività (come agricoltori, impresari e
professionisti) fin dentro le mura della stessa
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Manfredonia ed anche oltre. Nella provincia di Potenza non vi è centro dove
non arrivi un uomo di Avigliano. Nella provincia di Foggia non vi è attività
dove non sia arrivata (e con che forza!) la penetrazione di un montanaro.
Monte fa la parte del leone in tutto il Gargano, e va modellando sensibilmente
costumi e lingua di una stessa Manfredonia, che è molto piú popolata e che
pure vanterebbe storia e tradizioni lontane.
Un isolamento offensivo, che violenta la unità culturale e linguistica degli
altri, rinsaldando la schiettezza originaria delle proprie abitudini e della propria
lingua.
Comunque una lingua non sarebbe mai vitale, se non avesse un suo
svolgimento, un suo fermento, una sua storia. Ed anche la lingua di Monte, per
conservativa che possa essere, offre indubbi segni di una certa disgregazione, di
un certo movimento, di un qualcosa che va mutando. Basterà esaminare i
risultati di un controllo condotto mettendo di fronte alle stesse domande due
fonti di età diverse, un quarantenne ed un ottantatreenne.
Foneticamente non ci sarà dato annotare delle differenze notevoli. Per
l'uno e per l'altro ci si dovrà limitare a segnare delle oscillazioni. La vocale
tonica e a volte suona come una e molto aperta e a volte resta invariata. La
vocale tonica a sembra a volte pressoché invariata e a volte tendente ad un'e
apertissima (un particolare questo che viene a colpire per prima l'orecchio del
forestiero che per la parola 'stella' registra 'stalla' e viceversa per la 'stella'
annoterà una 'stalla'). I dittonghi tonici a volte sembrano piú ii ed úu e a volte
piuttosto degli íe e degli úo. Il che vuol dire che vi sono, delle incertezze e che
quindi la lingua è in uno stato di fermento. Vi è una condizione di svolgimento
endogeno per cosí dire: anche se poi la distanza che divide le generazioni non
sembra almeno da un punto di vista fonetico cosí marcata.
Lessicalmente però è da notare che tra le generazioni sta correndo
parecchia acqua. La fonetica, solo però per i fatti piú diffusi e meglio radicati, è
legata alle nostre predisposizioni fisiche, che sono indubbiamente di natura
etnica e quindi molto antiche e molto difficilmente eliminabili. Ma il lessico
cammina con maggiore rapidità. Se arrivano notizie di cose nuove, arrivano
naturalmente dei fatti linguistici nuovi, delle parole nuove, che vengono accolte
nella lingua tante volte con la stessa fonetica di origine, alimentando quell'insieme di oscillazioni che determineranno in parte anche il movimento
fonologico. I vocaboli sono un po' come le punte di avanguardia nello
svolgimento della lingua. Il controllo (condotto saltuariamente solo per un
numero limitato di voci) rivela che le due fonti, appartenenti l'una alla
generazione giovane, l'altra alla generazione anziana, pur concordando in un
congruo numero di suoni, discordano in un numero piú abbondante di voci.
A che cosa attribuire questo passo in avanti? Esclusa la possibilità di
un'influenza veramente pesante dall'esterno, bisognerà ripiegare su qualcosa di
veramente connaturato con le esigenze di una lingua. Le esigenze di una
comunicatività piú estesa, piú raffinata,
51
piú propria, e conseguentemente meno concreta. La culìma, che per la fonte
giovane è soltanto una pianta, 'l’attacamani', per la fonte di ottantatre anni fa
tutt'uno con lo 'scolatoio per il latte', che egli otteneva tutte le mattine
sistemando quest'erba nel fondo dell'imbuto del latte. Lo 'spaventapasseri' che
resta tale nella versione della fonte giovane, dalla fonte antica è indicata con gli
'stracci', (i strázze), di cui in genere è composto. Il 'pascolo', che i moderni
definiscono con un termine pressoché astratto o impreciso, dagli antichi veniva
definito con il parco (u párche) ossia a dire con un'indicazione estremamente
concreta. Un aggettivo come 'tiepido' nella fonte giovane è pressoché la stessa
cosa (tépede), ma nella fonte antica l'aggettivazione è ottenuta con un'immagine
concreta (ácqua de sóle). Un bisogno di concretezza che persiste ancor oggi, e la
stessa fonte giovane per indicare quelli «che domandano la parola» per il
fidanzamento, alludendo alla realtà della cerimonia tradizionale, dirà che quelli sò
venúti nnánze la pórta.
A SAN MARCO IN LAMIS
La preoccupazione principale che un ricercatore ha quando si accinge ad
avviare un'inchiesta linguistica consiste nell'individuazione della fonte adatta a
fotografare lo stato della lingua presa in esame. O meglio consiste nella
individuazione delle fonti. Perché una sola fonte è generalmente insufficiente.
Occorrono tante fonti quanti sono i ceti, quante sono le categorie, quante sono
le generazioni. Solo così si ha un quadro veramente completo dello stato dì una
lingua, della sua storia, della parabola che la lingua va percorrendo nel giro degli
ultimi settanta-ottant'anni.
E così arrivando a San Marco in Lamis, si pensa di mobilitare tre fonti:
un dodicenne appartenente a famiglia che vive tra la campagna e il paese,
utilizzato solo per un saggio della generazione piú giovane; un uomo di mezza
età (utilizzato per tutti e quattro i questionari), che dice di essere
fondamentalmente fabbro, ma di fatto è vissuto interessandosi di un po' tutte
la attività del paese, dei lavori di campagna, della bottega ed anche (e parrebbe
moltissimo) del ricamo di chiacchiere che gli uomini di tutte le età si
consentono di fare una volta assicuratasi la disponibilità dell'essenziale per tutta
un'annata; e da ultimo, per un saggio della generazione piú antica, un muratore
di ottant'anni che sembra sazio della sua magra pensione, che forse deve essere
molto piú abbondante della paga in natura percepita nei periodi della sua piú
fiorente attività (il pagare a contanti è un'invenzione moderna, un privilegio da
pensionati: generalmente qui si paga in natura o a credenza, che è poi una
forma di pagamento in natura dilazionato).
Il paese vive con personaggi di questo tono. La topografia stessa del
centro abitato sembra un'ottima alleata per favorire una vita divisa dal
progresso frenetico che tutti gli altri paesi vicini stanno realizzando per crearsi
un piano di attività che vada oltre i confini della
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propria terra (e penso a quelli di San Giovanni Rotondo, che vanno
attrezzando modernamente alberghi e ospedali al punto da stabilire un primato
indiscusso fra tutti gli altri centri del Mezzogiorno, e a quelli stessi di Rignano,
della cittadella del Gargano, che sono scesi in pianura per contendere con le
attività di una San Severo o di una Foggia).
Ma San Marco è restata chiusa nella gola delle sue montagne. Quando vi
ci si accede da Foggia, una volta lasciata a destra la massiccia costruzione del
convento di San Matteo, la Montecassino del Gargano, si ha l'impressione di
precipitare nella cava piú paurosa di tutto il promontorio. Improvvisamente ci
si inabissa in uno dei primi grandi canali che venano la compattezza del
Gargano. Sul letto di questo canale, un immenso 'decumano' naturale, si
assiepano le bianche case di San Marco. Timidamente pendendo dalle pareti
della montagna, ancora altre case, ancora tanti terrazzi guardano tutti sulla
strada principale, sul corso o sulla piazza, che è il cuore di tutto il paese. La loro
vista non va oltre le chiuse dei loro monti. Lontano, al di là di questi, non vi è
che l'emigrazione. Chi è intenzionato a distinguersi vive in agguato pronto a
scattare il volo lontano per affermarsi come ottimo professionista o come
intelligente e laborioso lavoratore. Gli altri, i piú, vivono una vita uniforme,
quasi inerte, eternamente la stessa.
La campagna medesima in nessun altro posto sembra come qui una
cornice, un completamento del paese. Altrove si esce all'aperto per stabilire una
comunione di lavoro e di interessi con altri paesi. Qui invece la campagna,
quella veramente frequentata, non si estende oltre lo sguardo del paese. Ai
campi lontani si preferiscono quelli che consentono di far capo piú
frequentemente (anche pìú volte in una stessa giornata) al richiamo del paese,
della piazza, sia che si vada al pascolo, o che si vada a tagliar legna o che si vada
a cavar le pietre. Magre attività che vengono tutte, come le rimesse
dell'emigrante, ad alimentare una vita senza progresso.
Sono delle condizioni queste che naturalmente vengono a stabilire una
posizione di privilegio per la unità e la conservazione (sempre limitatamente,
come si vedrà) della lingua. Non vi sono delle attività ben distinte, non vi sono
dei ceti veri e propri. Vi è una lingua che è un po' di tutti e che va colta là dove
tutti mirano, nel pieno del paese, là dove sì svolge la vita a cui tutti aspirano, là
dove i paesani nella continuità dei loro incontri vanno essi pure modellando
suoni e voci. E cosí nessun ambiente meglio di uno dei tanti circoli, che si affacciano sulla piazza numerosi come gli usci di uno stesso cortile, poteva offrire
dei soggetti piú idonei a darci testimonianza delle condizioni della parlata del
paese.
Il colloquio avviato nel circolo degli artigiani non parte da un soggetto
prestabilito. I soggetti hanno una qualifica approssimativa, e l'informazione è
fornita un po' da tutti. Si tratta di scegliere il piú paziente ed anche il piú
disinvolto, e questo soggetto si scopre strada facendo, dopo la distribuzione
delle fotografie che ricordano la loro esperienza diretta nell'agricoltura o nei
mestieri. Il questionario gene53
rale viene svolto successivamente, quando ormai la fonte ha superato quello
stato di disagio che si viene necessariamente a stabilire al primo contatto con un
interrogante non abituale. Gli interventi dei presenti ci vanno convincendo che
una gamma di oscìllazioni non manca, ma queste sono proprie della stessa
fonte principale, sono proprie di tutte le fonti.
Non si vede che si possano determinare dei gruppi di parlanti bene
individuati e ben distinti nei loro ceti o nelle loro categorie. In fondo il
professore di liceo (un giovane valoroso che ha raccolto nel gabinetto di
scienze della sua scuola tutta la fauna e tutta la flora del paese) è intervenuto di
frequente per illustrare e talvolta per correggere, ma la sua parlata non si
distingueva gran che dalla parlata del nostro fabbro.
Dei gruppi debbono esserci però quando i parlantì vengono considerati
nei piani delle varie generazioni. La prova dì questa varietà per generazione è
balzata fuori attraverso un breve controllo, che si è voluto spingere dalla
generazione piú giovane (quella del ragazzo dodícenne mai uscito dalla gola dei
suoi monti) alla generazione piú antica (a quella del vecchìo ottantenne che ha
passato tutta la sua vita stando sempre legato alle consuetudini del suo paese).
Foneticamente le oscillazioni piú frequenti delle fonti consultate con
maggiore insistenza riguardano la pronunzia della vocale a in posizione tonica e
in posìzione di atonìa. La a finale, propria in genere dei femminili ìtaliani, e tante
volte anche della terza persona singolare dei verbi, e qualche rara volta di
espressioni pronunciate con enfasi (particolari che potrebbero suggerire di
esaminare la cosa per stabilire se la vocale debba intendersi come il
continuatore dell'A latina o solo come una variante dell'abituale schwa delle
regioni centro-meridionali), nelle 17 voci esaminate ricorre 9 volte nella fonte
giovanissima, 8 volte nella fonte di mezza età e 12 volte nella fonte antica. Un
certo vantaggio a favore dell'ultima fonte, che comunque non è bastevole per
definire esattamente la curva del fenomeno.
La a protonica di 6 vocì prese in esame è pronunziata come leggermente
palatilizzata una sola volta dalla fonte giovanissima, due volte dalla fonte di
mezza età e nessuna volta dalla fonte piú antica. Indicazioni di un fenomeno in
atto, dì cui però non si riesce ugualmente a stabilire la direzione.
La a tonica in sillaba aperta considerata in 7 voci è generalmente
palatilizzata dal giovanissimo (due volte debolmente e 5 volte fortemente), è
palatilizzata 4 volte dalla generazione di mezzo ed è pronunciata senza essere
palatìlizzata dalla generazione antica. Un fatto notevole questo che dovrebbe
dire a chiare note che certi turbamenti fonetici sono avvenutì in epoca molto
recente e sono naturalmente attribuibili all'azione dei paesi del contermine, del
foggiano, del territorio di San Severo, della parlata del tipo montanaro. Tutte
parlate che riscono a far sentire il loro peso, non ostante che i sammarchesi
siano così gelosi del patrimonio linguistico. Le strade che vengono a morire a
San Marco dalla parte di San Severo, dalla parte di Foggia, dalla parte di
Rignano, di San Giovanni, di San Nicandro, riportano
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ogni giorno al centro di origine l'emigrante di un giorno o di un anno, che ha
da offrire qualcosa di piú fresco allo svolgimento della lingua materna.
Nel controllo lessicale il giovanissimo non ripete la fonte di mezza età
per ben 14 volte su 20; quest'ultima fonte poi non ripete la fonte antica solo
per una o due volte. Il che vuol dire che il progresso lessicale della lingua è piú
sensibile, e che questo progresso risalta con maggiore evidenza negli ultimi
tempi. Nel complesso una lingua molto unitaria nei raggruppamenti dei ceti,
ma sensibilmente divisa nei raggruppamenti per età.
Una lingua che fondamentalmente sembrerebbe del gruppo
appenninico-molisano e che è sottoposta agli attacchi di provenienza
tipicamente appula.
La presenza delle dd da LL (che poi si vanno diradando sempre di piú
dinanzi alle voci moderne che entrano a far parte del patrimonio linguistico
tante volte con la fonetica che sembrerebbe propria della corrente originaria) fa
pensare a quella unità linguistica che dovette pur esservi tra la Puglia, la Lucania
(parzialmente), la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Le voci comuni che hanno
accompagnato questa antichissima e vasta comunione di popoli non
dovrebbero esser poche, ma non ancora ci è dato riconoscerle come
veramente sicure. La maggior parte di queste voci debbono essere nascoste,
nella toponomastica, nei nomi delle contrade, nei nomi dei fiumi, in qualcosa di
legato al veramente primitivo, là dove i simboli restano piú o meno gli stessi,
anche quando una lingua tramonta nella sua fisionomia di base. Simboli oscuri,
che per essere scientificamente validi debbono risultare presenti almeno in
qualche altro punto di questo vasto territorio che sembrerebbe qualificabile
come essenzialmente mediterraneo. Un problema che qui naturalmente per la
sua serietà si può delibare soltanto ponendolo.
D'incomparabile rilievo sono le prove dell'ossatura appeninico-molisana.
Ricordiamo fra i fenomeni fonetici: la schiettezza dei suoni vocalici (che
comunque, almeno per la a, è sensibilmente intaccata nelle generazioni giovani),
gli esiti di DJ, GE e simili generalmente uscenti nella semivocale i; l'attenuazione
o la perdita di G, sia iniziale, sia intervocalico e sia componente del nesso GR;
l'inserimento di uno schwa nei nessi di L con T, K e simili; la riduzione del nesso
MBJ e del consonante NG al suono palatilizzato gni; la palatalizzazione del nesso
si. Per il lessico si potrebbero ricordare delle voci come ammuccia 'nascondere',
vussà 'spingere', ntasà 'comprimere', annicchià 'nitrire', abburretà 'avvolgere', la
cróffela 'la piaga', la puca 'il ramoscello dell'innesto', lu cóffele 'la paglia della
pannocchia', lu zencóne 'la scala a piuoli', la tónza 'il ciuffo', li grúgghie 'le rughe', li
kózze 'i contadini', la spàra 'il cercine', la lózza 'la chiavarda nella punta del
timone', l-acchie 'la bica del frumento', lu manócchie 'il covone di frumento', li listre
'la resta del frumento', li ciavúrre 'i grandi mucchi di fieno sul prato' e tante altre,
che stanno tutte a dar testimonianza del fondamento appenninico. Una
costruzione solidamente appenninica che viene però minata sempre piú. E
pensiamo al
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caratteristico pronome impersonale ci (es. ci méte, ci pésa, ecc. per dire « si miete,
si trebbia » ecc.), alle varianti specciàvete, sbreiàvete 'muovetevi', (la prima
tipicamente appenninica, la seconda tipicamente appula), alle voci piú
propriamente pugliesi (sarebbe lungo e complesso enumerarle anche in parte).
Tutti sintomi di una disgregazione della lingua, anche quando i parlanti chiusi fra
i monti sembrerebbero messi al riparo da ogni innovazione.
A SAN NICANDRO
I paesi di montagna, a meno che non siano frequentati per delle attrattive
turistiche, offrono in genere uno spettacolo di pauroso abbandono. Case nella
maggior parte disabitate, strade pressoché deserte, solo qualche ombra di una
generazione che si va consumando. Ma qui a Sannicandro hai l'impressione di
qualcosa di robusto e di veramente vitale. Le case fanno tutt'uno con il fondo
roccioso. I muri sono innestati direttamente sulla roccia, che tante volte si
solleva dalla strada per accompagnare di qualche metro l'altezza della
costruzione. Qua e là dei portali che fanno a gara con quello imponente della
Chiesa Madre, una ricchezza di scalinate, di archi e di portici, ariose volte a
botte, grandi balconate, superbi architravi, dappertutto un uso abbondante
della bella pietra del Gargano. Ti senti con i piedi veramente al sicuro, o che tu
sia in casa o che cammini sulle strade che hanno la saldezza della pietra mai
rimossa, di un tutto pieno, di un cuniculo aperto in una roccia compatta.
Un'impressione di solidità che si completa con la disposizione topografica del
paese. Le case sono strette le une alle altre, con gli spioventi piegati tutti nella
stessa direzione, ordinate come ambienti di uno stesso edificio. La parte piú
antica del paese è quella della 'terravecchia': case basse e robuste solcate da
labirintiche stradette che si svolgono attorno al 'Castello' (u kastédde). Dalla parte
di mezzogiorno vi è il quartiere del vaddóne, dall'altezza del quale spii l'ultima
parte del Tavoliere che si stende fino al mare. Dalla 'terravecchia' e dal vaddóne si
scende alla 'terra rossa', al quartiere della Chiesa del Carmine, verso la parte un
pò pianeggiante del paese, sulla piazza o sul corso principale, la zona piú
frequentata, un passo obbligato per chi abita verso il Convento o verso San
Martino, o piú a Nord nel quartiere della 'civetta', o dalla parte del 'boschetto'
o dalla parte del Camposanto, dalla parte piú lontana della Stazione, o anche
dalla parte dello stesso villaggio Brenna. Una disposizione molto benarticolata,
ma unitaria ed adatta a favorire incontri facili e frequenti.
Qui non trovi nulla del tipico fatalismo della gente meridionale. Hai
dinnanzi una massa di uomini in pieno fermento. Ti restano indelebilmente
fissati i tratti di questa gente di campagna che si muove per la via principale
compassata e disciplinata come sospesa nei tempi di una lunga marcia. Le
donne stesse strette nei larghi fazzolettoni neri rilegati dietro sotto la crocchia
dei capelli sembrano esse pure in procinto di metter mano ad un lavoro. Gente
compatta che ti spaura
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se la vedi irrompere inquadrata in una processione o in un corteo. Anticamente
erano dei pastori, perché questa era l'unica possibilità di impiego che offriva la
loro campagna, che non produceva nient'altro al di fuori dell'erba, dei cespugli
e degli olivastri. Una campagna per giunta non loro, possesso del demanio,
fino a quando non sono passati all'occupazione arbitraria, alla divisione e
finalmente allo sfruttamento razionale dell'olìvastro, che ora hanno ingentilito e
reso fecondo di provvidenziali bacche. Una storia che si è svolta negli ultimi
cento anni e che è valsa a levare di un piano tutta la loro attività: da pastori a
piccoli contadini, a potatori, ad agricoltori. Un'attività che ha miracolosamente
accresciuto la popolazione di San Nicandro con gente che è venuta dalla vicina
San Marco in Lamis in tal numero che non vi è sannicandrese che non vanti di
avere o di avere avuto un antenato sammarchese.
Anche senza la testimonianza di questi rapporti di parentela, l'affinità
linguistica che intercorre tra i due centri fa pensare a una comunione di vicende
molto intensa. Si azzarderebbe l'ipotesi che ci si debba trovare dinnanzi ad
un'isola caratteristica del Gargano, che, affermatasi prima tra San Nicandro e
San Marco ora si va espandendo fino a Lesina. Questo centro, che in origine
era popolato probabilmente da albanesi e poi certamente da pugliesi del tipo
foggiano-sanseverese, ora si va modellando secondo la lingua e i costumi sannicandresi.
San Marco, San Nicandro, Lesina sono le tappe dell'espansione di una
stessa popolazione. Dalla cittadina chiusa nel cuore del Gargano i pastori di
origine sono scesi a popolare la terra di San Nicandro. Ed ora San Nicandro
riversa su Lesina la irruenza della sua vitalità e della sua popolosità. Gente che si
sposa giovane e che figlia abbondantemente, e che oggi disdegna di stabilire
rapporti di sangue e di lavoro con chi non sia nato e domiciliato a San
Nicandro.
Tutte condizioni che dovrebbero favorire la conservazione di questa
singolare comunità linguistica.
Malgrado queste misure di sicurezza, i giovani vanno parlando una lingua
che non è piú quella dei loro padri. A questa conclusione si arriva dando uno
sguardo ai risultati del controllo ottenuto mettendo di fronte alle stesse
domande un bracciante di 53 anni ed un giovanissimo di 16 anni, appartenente
a famiglia di braccianti. Su 31 voci prese in considerazione i due informatori
concordano pienamente o all'incirca 19 volte. Ma nelle restanti 12 voci
presentano delle differenze sensibili.
La fonetica si svolge anch'essa piuttosto rapidamente. Su 27 suoni presi
in esame la concordanza piú o meno assoluta si riscontra in un numero di suoni
inferiore alla metà, mentre in un numero superiore si riscontrano, specie per
quanto riguarda l'uso delle vocali toniche, delle differenze di rilievo.
Ma un quadro ancora piú completo della instabilità della parlata ci è
offerto dalle incertezze, dalle esitazioni, dalle correzioni ed anche dalle apparenti
contraddizioni che si possono raccogliere nelle deposizioni di altre fonti, che
pure sono state scelte fra le meglio informate
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e le meno esposte agli elementi disgregatori. Un bracciante, che non ha fatto
neanche il servizio militare, che ha frequentato le scuole elementari del paese e
che non è andato mai oltre il tenimento del suo comune, si corregge
frequentemente, e altrettanto frequentemente offre delle varianti lessicali e
fonetiche. La a di sillaba chiusa oscilla fra un suono schietto ed un suono
palatilizzato in genere; ma sono anche molto frequenti le palatilizzazioni deboli
e non manca qualche esempio con una palatilizzazione forte. Un'oscillazione
analoga si ha per la a delle tronche degli infiniti: generalmente schietta, ma di
frequente anche palatilizzata debolmente, ed isolatamente palatilizzata con una
maggiore accentuazione. La a finale in genere non è percepita, ma non
mancano casi in cui si fa sentire con molta chiarezza. E' addirittura sconcertante
l'uso dell'articolo femminile singolare: la fonte oscilla tra la ed a. Una sola volta
è stato inteso un la con la consonante molto indebolita (una prova della
gradualità dello svolgimento dell'oscillazione, che comunque non basta per farci
intendere da che parte stia la forma piú antica). La locuzione del tipo pasqu-i-róse
('Pasqua delle rose', ossia la 'Pentecoste') oscilla con la locuzione del tipo la téle
de line, la quale ultima forma dovrebbe essere molto verosimilmente quella di
epoca piú recente.
Le cose non cambiano quando dal bracciante passiamo al calzolaio di 71
anni. Ha l'arte della parola, e quando ti risponde dà l'impressione di volere dire
la sua come la migliore, la parola del vero sannicandrese. Eppure anche nella
solennità di questo simpaticissimo uomo rion sarà difficile raccogliere i sintomi
di qualcosa che ti fugge dinnanzi, di qualcosa di veramente vivace e mutevole.
In un interrogatorio che è durato non meno di quattro ore si corregge per ben
12 volte; la a tonica di sillaba chiusa generalmente è pronunciata schietta, ma
risulta anche palatilizzata con una certa frequenza, talvolta anche fortemente. La
stessa vocale tonica in sillaba aperta in genere viene pronunciata come una
schietta, ma di rado anche leggermente palatilizzata. La a tronca degli infiniti
generalmente suona immutata, ma non mancano esempi di a palatilizzata. La
vocale finale dei femminili è generalmente percepita come a. Ma non mancano
esempi in cui la vocale si dilegua. L'articolo singolare femminile è reso generalmente con la, ma non mancano esempi, anche se pressoché isolati, della forma
con a. L'articolo plurale maschile in genere è ottenuto con i, ma si contano pure
pochi esempi con li.
L'ultima fonte, l'agricoltore, quest'uomo davvero unico che ha una
conoscenza ammirevole della sua lingua e che disdegna la terminologia e
l'accentuazione degli ultimi tempi, preoccupato quasi di evocare solo ciò che vi
è di veramente antico, manifesta egli pure senza volerlo (e forse non lo
crederebbe) le sue sintomatiche incertezze. Si corregge egli pure, ma a
differenza degli altri possiede un uso costantemente schietto della a tonica ed
atona in qualsiasi posizione. Non fa sentire la a delle finali se non in qualche
esempio isolato. L'articolo singolare femminile oscilla tra la forma con a e la
forma con la, con un leggiero vantaggio per la seconda.
Ogni fonte dunque ha una propria storia linguistica, ha delle pro58
prie contraddizioni e riflette lo stato di disagio in cui parlano una lingua che
pure sanno di conoscere (e a ragione) in maniera perfetta.
Se consideriamo ora nell'insieme alcuni particolari fenomeni nelle tre
fonti principali, ci accorgiamo che la parlata presenta dei piani diversi distinti
non solo a seconda delle età o delle generazioni (come quando mettiamo il
ragazzo sedicenne di fronte all'uomo fatto di 53 anni), ma anche a seconda
delle categorie professionali.
Vi è la lingua del bracciante, che per quanto possa vivere confinato nel
territorio del suo comune, pure corre da una parte all'altra, da un padrone
all'altro ed ha dei contatti svariati anche con gente che scende a lavorare da altri
centri. Vi è la parlata vivace dell'artigiano che è investito egli pure dalle correnti
forestiere, che salgono la scaletta della sua casa assieme alle scarpe da riparare e
alla suola da acquistare. Piú conservativo sembrerebbe il piano dell'agricoltore
che ha un campo di azione che non varia: un andata e ritorno quotidiano tra la
'masseriola' e la casa del paese.
Tre piani linguistici diversi nelle categorie professionali piú importanti, ed
un piano linguistico fra i giovani (almeno per quelli del ceto bracciantile).
Ci troviamo cosí in una comunità che presenta quattro gruppi di parlanti
diversi. Una distinzione bastevole per farci orientare sulla direzione che la
parlata nel suo svolgimento va seguendo e sulla storia dei vari fatti fonetici,
morfologici e lessicali. Il suono della a tonica, ad esempio, che in tutte le
posizioni è generalmente schietto nella pronunzia dell'agricoltore, si tinge di una
certa palatilizzazione nella parlata dell'artigiano, si palatilizza piú frequentemente
con il bracciante e si palatilizza fortemente con il sedicenne, direbbe a chiare
note che certi turbamenti vocalici (e oltre all'a si pensi pure alla serie delle altre
vocali turbate che potrebbero indurci a fantasticare su non si sa quali precedenti
etnici) vanno messi in relazione con dei fatti storici che sono di epoca molto
recente, e piú precisamente con le correnti pugliesi che ti premono da tutte le
parti.
L'insistenza con cui l'artigiano pronunzia la a finale dei femminili di
contro all'abituale schwa dell'agricoltore e la preferenza spiccata che il primo
rivela per un articolo femminile singolare in tutto identico alla forma italiana di
contro alle oscillazioni del secondo starebbero ad indicarci che anche qui stiamo
di fronte a correnti di epoca moderna provenienti non piú dalle parlate del
contermine ma dalla stessa lingua letteraria.
Dei fatti notevoli questi che dovrebbero servire a farci intendere con
quanta facilità si vada svolgendo, almeno per alcuni fenomeni, il cambio della
lingua, e con quanta labilità si affaccino quelli che non sono gli elementi
veramente costitutivi di una lingua.
D'altra parte vi sono degli altri fatti, che, ritornando con la stessa
costanza in tutti gli strati, potrebbero avviarci a riconoscere quel fondo non
trascurabile di un antico patrimonio comune. Si ricordino per tutti l'inserimento
della u in funzione di semivocale dopo il suono k, la particella impersonale ce, le
locuzioni del tipo i sfér-u llórg 'lancette dell'orologio', quel bisogno di
concretizzare o di sintetizzare le
59
espressioni un po' troppo astratte o letterarie, la inclinazione a portare il
colloquio ad un livello di confidenza e di bonarietà. Sono questi caratteri che ci
richiamano a quel non so che di saldo che è in tutte le manifestazioni di questa
gente, anche se poi vadano trovando ognuno per proprio conto delle vie
diverse per una maggiore affermazione delle proprie individualità.
A VIESTE
La cittadina, qualcosa di veramente molto bello, è sistemata sulla Testa
del Gargano, come in capo al mondo. Il che potrebbe indurre a vedere
segnato dal faraglione che è detto di pízze múmme un FINIS MUNDI, e quindi
si potrebbe essere tentati a correggere la toponomastica tradizionale accertata
sulla bocca di tutti i viestani con un indicativo pízze múnne, in cui la voce múnne
dovrebbe derivare da un anteriore múnde. E saremmo cosí arrivati ad ottenere
qualcosa come il FINIS TERRAE del Capo di Leuca o, se vogliamo andar piú
lontano, come il Capo di Finisterra nella Galizia.
Un'interpretazione seducente, che ho personalmente carezzato per un
po' di tempo, ma che ora respingerei, perché lasciando le cose come stanno
(cioè continuando a dire pízze múnne e non pízze múmme), vedo rispettata la
tradizione linguistica viestana e vedo che quel benedetto mú-mme potrebbe
essere messo in relazione con un onomatopeico del tipo 'mommo' letterario,
che poi è presente nella fantasia popolare del Mezzogiorno per indicare
bonariamente un qualcosa che non si muove e non serve a nulla.
Per l'inchiesta sono state utilizzate tre fonti principali. Un bidello delle
scuole elementari, di 38 anni, abitante in uno dei rioni piú antichi (in dialetto
ind-a víste), per il questionario generale e per quello riguardante arti e mestieri; un
agricoltore quarantenne del quartiere piú moderno (sópe la réna) per quanto
riguarda la fauna, la flora ed in genere le occupazioni di campagna; ed un
marinaio sessantenne del quartiere che si stende dalla parte del mare (sópe la
tórre) per quanto riguarda la nomenelatura dei pesci, le attrezzature e le abitudini
della pesca. Una distribuzione per quartieri, pur cercando di tener conto delle
professioni e delle età.
Qui il mestiere, come in tante altre parti del Mezzogiorno, sa sempre di
generico e di suppergiú. Il bidello in fondo è stato marinaio, ed aveva lavorato
al 'trabucco' paterno, là dalla parte della spiaggia di San Francesco. Ma questa
sua attività di pescatore da terra non lo dispensava dai lavori di campagna; in
famiglia oltre il 'trabucco' vi sono un uliveto da coltivare, un carretto da
guidare, dei muli da governare. La seconda fonte, l'agricoltore, dopo la sua
giornata di lavoro è in paese, e qui con il mare che ti si apre dinnanzi da tutte le
parti non puoi sentirti del tutto estraneo alla partenza delle paranze, al loro
rientro, allo scarico del pesce, alla contrattazione, alla spedizione lontana. Tutte
cose che avvengono nelle due piccole 'secche' (mi servo della loro
terminologia) che vengono ad aprirsi fin dentro al paese
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perché tutti possano essere informati delle vicende che le animano a tutte le ore
del giorno e della notte. La fonte più matura, la terza, quella che attualmente
parte ogni sera con la sua breve ciurma, in gioventù era agricoltore, e con la
stessa disciplina, con lo stesso ritmo ripeteva le sue andate e i suoi ritorni dalla
campagna. Senza allontanarsi mai molto. Perché questa è la caratteristica dei
Viestani. Non vanno oltre le sette miglia, o che stiano in mare o che stiano in
campagna. La campagna (veramente molto bella ed estesa), sempre oltre detta
distanza, la vanno abbandonando all'iniziativa di quelli di Mattinata (l'antica
frazione di Monte S. A.) che vanno popolando sempre di piú i quaranta
chilometri e piú dell'hinterland che si svolge lungo la fascia costiera della Testa
del Gargano. I Viestani si ritirano dal mare di fronte all'organizzazione dei
Molfettesi (gente che in fatto di pesca sa il fatto suo), che fanno scalo a Vieste
per alleggerirsi degli abbondanti carichi di pesce che passati su dei veloci
camions vengono indirizzati a Foggia, a Bari, a Napoli, a Roma. I Viestani, un
po' per natura e un po' perché sprovvisti di un porto che li incoraggi, assistono
tranquillamente al movimento che si svolge sotto i loro occhi. Ma non si
impegnano quasi mai in una gara di iniziative. O si impegnano solo per creare il
tanto quanto basta per tirare avanti una vita senza scosse, una vita che è fatta
solo per sostenersi. Bando dunque ad una vita professionalmente specializzata.
Ognuno produca quanto basti per non aver bisogno di altri. Una concezione
radicata nelle abitudini che viene a scartare la possibilità di stabilire o di
graduare una certa gamma di ceti e di professioni. Non resta che una
distinzione topografica, una distinzione per quartieri.
Da una parte, dalla parte alta, il borgo, il quartiere antico, che fa capo al
castello (u kastídde), con un complesso di rioni, che prendono nome o da una
semplice disposizione topografica (mmizz-u fússe, la parte piú bassa e meno
panoramica; a d-alte, cioè in alto, dalla parte della Chiesa Madre; ngastídde,
proprio là dove sta il castello; u mundaróne, la parte scoscesa che si inerpica verso
il castello, il rione piú popolare), o dal ricordo e in parte dalla testimonianza
delle antiche mura (índ-a viste, dentro Vieste cioè e non fóre la pórte): delle case
ben salde che si inseguono come gradi di un'immensa scala tenute strette alla
mole del castello che le sovrasta da archi e da portici che sembrano essere
quegli stessi levati al tempo delle incursioni dal mare. Dall'altra parte tagliata
decisamente dal quartiere alto, in basso si stende la seconda ala del paese, dove i
rioni prendono nome dalla testimonianza di un antico edificio (u kumménte; sópe
la tórre; addrete la tórre), oppure da una chiesa (Sandakróce con la t di Santa
sonorizzata in d, come è in tutte le parlate centromeridionali), da un albero
ormai inesistente (u cilze 'il gelso') da un posto di vendita (la peskaríe), da una
depressione molto breve (la funnate) o anche da un'ariosa balconata (la bankíne,
con la b iniziale molto rafforzata analogamente con quanto avviene in tutte le
parlate del Mezzogiorno): un complesso di case molto uniformi, ma anche
molto razionali, che debbono essere state costruite le piú in un periodo di
tempo che non
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dovrebbe andare oltre i due secoli dai borghigiani scesi al piano da fóre la porte o
anche da gente affluita dai paesi vicini.
Questa condizione di distacco che passa tra le due grandi ali del paese
(che doveva significare anche una divisione linguistica sensibile) oggi
apparirebbe mutata per la creazione di un nuovo quartiere (sópe la réne), che,
svolgendosi lungo la moderna via Fazzini ed il Viale XXIV Maggio (dove si
trova tutto ciò che vi può essere di piú vitale per le necessità e i rapporti della
comunità: vari circoli, qualche ristorante, qualche locanda, una chiesa molto
frequentata, la villetta, i negozi, ecc.), viene ad accostare necessariamente gli
abitanti dei due agglomerati piú importanti. Perciò le antiche differenze linguistiche si debbono essere andate man mano appianando. E cosí oggi di
veramente distintivo tra i due complessi non vi è che il trattamento dell'a tonica
in sillaba aperta con esito generalmente (o quasi) palatilizzante (ossia tendente al
suono della e) nei rioni antichi e generalmente (o quasi) schietta nei rioni
moderni.
Per appurare l'entità di questo e di altri eventuali dati distintivi le tre fonti
sono state messe di fronte alle stesse domande.
Le fonti hanno confermato l'impressione che era venuta prendendo
corpo nel corso dell'interrogatorio: che vi era cioè piú una varietà fonetica che
lessicale. Su 21 voci prese in esame la fonte del quartiere piú in alto, il bidello,
palatilizza la a tonica di sillaba aperta per 11 volte, ma per 10 volte non offre
traccia di palatilizzazione. Le altre due fonti, l'agricoltore e il marinaio,
pronunziano la a generalmente schietta.
Lessicalmente non si notano delle notevoli differenze (almeno lì per lì).
Nella fonte piú giovane, in quella che rappresenterebbe la varietà piú
conservativa, si noterebbe una conoscenza sicura della parlata, ma qua e là si
notano anche varie incertezze, che naturalmente stanno ad indicare che la parlata
è si conservativa, ma è anche violentemente attaccata da nuove correnti culturali.
Un grado di notevole conservazione in rapporto alle altre due fonti la stessa
fonte lo rivelerebbe nella preferenza che mostra di possedere per le voci e per
le immagini che sono piú aderenti alla concretezza e alla realtà.
Mi limito ad un solo esempio: al 'santonico', alla medicina indicata per
distruggere il mal dei vermi nei bambini. Per l'agricoltore, quello del quartiere
piú moderno, e per quelli del suo ceto, la medicina è intesa come u vermefúoche;
per la fonte del quartiere che data a uno-due secoli fa, la stessa medicina è intesa
come sanduníne; ma per la fonte della varietà piú conservativa la medicina si
risolve in un atto concreto, nella indicazione esatta del movimento che si
compie per la cura: l'ágghie vecíne u náse. E' come dire: « io non conosco l'astrattezza della medicina, ma so solo che la malattia va curata accostando l'aglio alle
narici del naso ».
Al di là degli indubbi segni di disgregazione che la parlata offre nel
limitatissimo esame fatto sulle fonti provenienti dalla stessa comunità linguistica,
vi sono dei fatti che rapportati alle peculiarità delle parlate viciniori mostrano
quali sono le forze che si contendono la caratterizzazione in atto della parlata di
Vieste.
62
Se Monte S. A. sta a significare il punto estremo dei parlari piú
propriamente pugliesi nella parte interna e molto elevata del Gargano, Vieste
rappresenta la punta estrema del pugliese vero e proprio sulla fascia costiera
dello stesso promontorio.
Una caratterizzazione pugliese che è alimentata dai contatti con la stessa
Monte, con Mattinata, con Manfredonia, che sono fondamentalmente pugliesi
del tipo barese piú che foggiano. Ma da nord premono anche quelli di Vico,
quelli di Peschici e quegli stessi di Rodi, che hanno un fondamento che sembra
piú molisano-appenninico che pugliese.
Anche dalla parte del mare, se è vero che degli incontri frequenti
avvengono con gente che viene da Manfredonia e da Molfetta, è pure vero che
i Viestani preferiscono alle flottiglie organizzate delle cittadine anzidette gli
accoppiamenti con le modeste paranze di Rodi o di Tremiti stessa (che è poi
una colonia napoletana in pieno Adriatico che ha non meno di due secoli di
vita).
Le oscillazioni, che sono svariate e da un punto di vista fonetico e da un
punto di vista lessicale, fanno pensare che i fatti che si vanno affievolendo siano
quelli di origine pugliese. Del caratteristico inserimento della u in funzione di
semivocale subito dopo la iniziale k dei nomi maschili ho registrato solo
pochissimi esempi, in cui peraltro la semivocale è molto attenuata. Vedo poco
frequente la sonorizzazione della consonante che segue L, R. La caratteristica
epitesi delle tronche del tipo barese la ritrovo (e per giunta attenuata) solo
isolatamente. Trovo varie testimonianze della caduta delle vocali atone in
protonia oltre che delle atone finali: una conseguenza della natura spiccatamente
dinamica dell'accentuazione pugliese che poggiando tutta su di una sola vocale
viene a sacrificare la tonicità delle altre.
Il lessico ci conforta con un'esemplificazione ancora piú indicativa. Di
fronte alle tante voci che sembrano apparentabili al pugliese del tipo barese (la
sarcetédde, u filatúre, u skúpele, i mmíquele, ecc.), vanno messe tutte le altre che
sembrano piú proprie del dominio appenninico-molisano.
Concludendo si ha l'impressione che siano vari i sintomi della erosione
che su di un corpo fondamentalmente pugliese viene esercitata dall'attacco
sistematico di quelli che premono dall'estremo confine della Puglia
settentrionale. Un processo che sembra l'inverso di quello che va indicato per la
lingua della vicina San Marco in Lamis, l'oasi appenninico-molisana in un
territorio investito da tutte le parti dall'espansione del pugliese.
MICHELE MELILLO
___________
Prof. MICHELE MELILLO, libero docente di dialettologia nella Università di
Roma. Preside del Liceo Scientifico Statale «Galilei» di Manfredonia.
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NOTA BIBLIOGRAFICA - Per un'informazione sull'ambiente, sulla
storia e sui problemi del Gargano troverai sempre molto importanti le
impressioni lasciateci dai viaggiatori d'ogni tempo (cfr. per dei saggi il prezioso
manuale di Michele VOCINO, Alla scoperta della Daunia, con 8 tavole, Studio
Editoriale Dauno, Foggia, 1957, dove per di piú potresti trovare un'ampia
elencazione dei contributi piú notevoli). Il libro che comunque non dovrebbe
essere trascurato per sensibilizzarsi sul peso che ha la parte umana e sociale in
ogni aspetto della vita garganica è quello di Antonio BELTRAMELLI (Il
Gargano, con 156 illustrazioni, edito dall'Istituto d'Arti Grafiche di Bergamo
nell'ormai lontano 1907). Per un'informazione piú propriamente linguistica ci si
dovrà rifare ad uno studio accuratissimo del compianto mio zio Giacomo
MELILLO (I dialetti del Gargano, Pisa, Simoncini, 1926), del quale potresti
vedere, per intendere con quanto profitto gli usi e i costumi della nostra gente
possono essere utilizzati in una ricerca scientifica, un saggio su La pesca nel Lago
di Varano in quel di Foggia, con 9 illustrazioni e 2 tavole nella rivista « L'Italia
dialettale », vol. I, 1935, pp. 252-266. Inchieste linguistiche sul Gargano sono
state condotte da Gerard ROHLFS, limitatamente ai centri di San Giovanni
Rotondo e Vico Garganico, e sono state pubblicate nel voluminoso primo
Atlante linguistico (Sprach-und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Halle, 1928 e
ss.), il cui materiale, ora che specialmente l'opera è stata seguita da un
preziosissimo Index generale, costituisce un primo contributo veramente
scientifico alla conoscenza del patrimonio lessicale del Gargano.
Successivamente è toccato proprio a me (postremo fra tutti) di riprendere in
esame i dialetti di tutti i centri del Gargano per inquadrarli nelle tavole del mio
Atlante fonetico pugliese (Roma, 1955). Ed ultimamente vi son dovuto ritornare
per conto del secondo Atlante linguistico italiano e per portare a termine una
nuova rilevazione linguistica di tutta la Puglia, muovendo non piú dall'analisi di
una frase o di una parola, ma dall'esame di un discorso liberamente ed
ampiamente espresso. Sono delle opere che stanno per vedere oggi la luce nella
loro interezza (speriamo presto), comunque la sostanza di quest'ultime mie
ricerche può risultare piú evidente dalla relazione dell'inchiesta a S. Nicandro
(pubblicata nel « Bollettino » dell'A.L.I., 1962) e dalla comunicazione fatta circa
gli Appenninici ed Appuli nel Gargano al X Congresso internazionale di linguistica e
filologia romanza a Strasburgo nel 1962 (ora pubblicata nel III volume degli
Atti dello stesso Congresso).
Naturalmente non si vorrebbe gettare ombra su studiosi locali quali G.
TANCREDI (Vocabolarietto dialettale garganico, 2a ed., Lucera, 1915) o L.
PASCALE (Il dialetto manfredoniano ossia dizionario dei vocaboli usati dal popolo di Manfredonia, 2a ed., Roma, Tip. Conti, 1931), che hanno compiuto opera indubbiamente molto meritoria. Ma negli ultimi cinquant'anni anche la dialettologia è
diventata una scienza, e di conseguenza la ricerca va affrontata con strumenti e
metodi piú aggiornati non solo per la trascrizione (che è la cosa piú appariscente ma la meno sostanziale), ma anche per il metodo di ricerca, per l'uso
del questionario, per il settore da indagare, per la parte veramente interessante
su di un piano piú propriamente scientifico e storico. Ecco perché, prima di
avviare uno studio specifico sulla parlata del Gargano, occorrerà agguerrirsi anche tecnicamente. E per me il primo passo va fatto sempre muovendo dal manuale di Clemente MERLO (Fonologia del dialetto di Sora, Annali Università
Toscane, vol. IV, 121-258).
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La Capitanata
negli scritti di Tommaso Fiore
TOMMASO FIORE nell'arco di poco più di un decennio, dal 1951 al
1962, ha dato alla luce tre volumi fondamentali per lo studio e la conoscenza
della nostra Puglia: Un popolo di formiche, Il cafone all'inferno, Formiconi di Puglia.
Se consideriamo che, oltre i tre volumi anzidetti, egli in questo lasso di
tempo ha dato alle stampe altri scritti, come I corvi scherzano a Varsavia (Milano,
1954) e consideriamo altresì la sua molteplice e varia attività di studioso, di
pubblicista, di uomo politico in una sfera vasta di interessi sociali, economici,
politici, letterari, scolastici, sempre attento ai problemi della Puglia e del
Mezzogiorno, davanti a tale attestato di vitalità e di fecondità possiamo bene
affermare di lui ultrontattenne quanto egli scrive dello scrittore bitontino
Giuseppe Caiati: « Pochi sono gli scrittori che, come il Caiati, a tardissima età
producono il meglio di loro » (« La Gazzetta del Mezzogiorno » 11/2/1964).
Di fronte a numerosi altri contributi precedenti, di sicuro grande pregio, come:
La poesia di Virgilio (Bari, 1930) noi non possiamo perentoriamente affermare
che i tre volumi costituiscono « il meglio » di Tommaso Fiore. Attendiamo
vivamente che Mario Simone pubblichi col Fiore un'interessante Antologia storica
della Puglia in tre volumi, mondo antico e medievale ed età moderna, fatta con
molta cura.
Dal punto di vista che più ci interessa, e cioè da quello meridionalistico e
pugliese in particolare, potremmo senz'altro affermare di sì. E comunque
questa viva, instancabile e complessa attività sta a dimostrare che per lui non
valgono gli schemi biopsicologici che qualificano « età caduca » il decennio che
va dal 71° all'80° anno di vita. Possiamo se mai catalogarlo nella « verde
senilità» del decennio precedente ed augurarci che possa felicemente pervenire
ad summan senectutem in stato di giovanile vivacità, feconda di nuovi pregevoli
frutti.
Egli che ha provato il morso dell'umana malvagità, attraverso la persecuzione politica e la tragica uccisione del figliuolo Graziano, temprato
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dalle lotte e dal dolore, sta lucido e vivo sulla breccia, continuando ad agitare la
vecchia gloriosa bandiera del riscatto della terra e delle genti di Puglia. Tale
riscatto costituisce in sostanza il contenuto e l'oggetto dei tre volumi indicati,
che compongono una magnifica trilogia pugliese, per lo stretto legame che vi è
tra di essi.
Il vivo amore per la sua terra, lo studio attento dei suoi problemi, la
diagnosi acuta e spregiudicata dei suoi mali e la viva speranza e il caldo auspicio
del riscatto e del rinnovamento sono la nota costante dei tre volumi.
« UN POPOLO DI FORMICHE »
Nelle sei lettere scritte dal 15 gennaio 1925 all'agosto 1926 a Piero Gobetti prima ed a Giuseppe Gangale poi, che costituiscono il contenuto di Un
popolo di formiche, la sua indagine sul fenomeno dell'emigrazione e
dell'acclimazione del fascismo nel Sud, specie in Puglia, e sulle cause dello
stesso, non potè essere estesa alla Capitanata a causa della repressione che glielo
impedì (egli fu fermato a Cagnano Varano) e rimase limitata al Barese ed al
Salento. E tuttavia quante analogie fra quelle terre e la nostra, e soprattutto
l'amore, la comprensione e la pietà pei contadini, i cui problemi egli sente e
studia ed analizza in maniera esemplare.
Tale amore e tale simpatia per questi umili discendono in Fiore, oltre che
dalla sua stessa umile origine (egli è figlio di un muratore), dalla sua viva
passione pel grande poeta contadino latino, per l'autore immortale delle
Georgiche, come ebbe a rilevare Gabriele Pepe.
E peraltro questo « popolo di formiche », così come egli chiama la gente
del paese dei trulli « della murgia più aspra e più sassosa », tutta intenta con
paziente e tenace lavoro di formiche « a ridurla a coltivazione, facendo le
terrazze », non è lo stesso dei nostri contadini de Il cafone all'inferno, dei quali egli
stupito ammira il prodigio di un lavoro immenso, di un'opera paziente, di un
popolo di formiche o di schiavi ostinati e il sacrifizio per generazioni di
lavoratori? Qui, egli osserva, (siamo nella zona di Mattinata), « salendo verso il
bivio, ai due fianchi, su per la gran massa montuosa, aspra per qualche
cocuzzolo che se ne stacca d'improvviso per la regolarità di cono, tutti gli
aspetti intorno intorno non sono che muri rustici, a secco, saldamente piantati
per contenere appena un piccolo lembo di terra; e non dieci muretti, non venti,
non cinquanta, ma a centinaia, a migliaia, senza più numero, impensabili,
dall'alto, dalla punta estrema giù giù per lo snodarsi dei fianchi e sino alle valli
invisibili ». Contadini cacciati dal bisogno scesero già da Monte S. Angelo e con
le loro mani « scavarono abitazioni, con le loro mani ritrovarono, ammucchiarono, difesero, lavorarono quel pò di terra, ricolmo d'acqua piovana per sè
e pei loro microscopici orti, piantarono ulivi fra pietra e pietra». Fertilizzarono
la roccia: ecco il miracolo di queste pazienti ed operose formiche!
Il tema contadino è dominante ed assorbente per Tommaso Fiore; ed
esso peraltro è il nostro punctum dolens. I contadini, i cafoni sono sempre presenti
al suo cuore ed al suo spirito. Il Mezzogiorno, la Puglia: ecco il suo costante
pensiero, la sua passione, il suo cruccio. Quale immenso la66
voro da compiere per operare il riscatto di queste nostre terre, la loro
redenzione, il loro rinnovamento!
Redimere la terra, « il gran sogno umano », il suo sogno, che è il nostro
sogno! Ma quanto cammino da compiere perchè i nostri contadini possano
assurgere dallo stato di alienazione e di suprema abiezione a dignità di uomo, «
non più oggetto di mercato altrui, ma soggetti pensanti, ormai maturi, creatori
di una nuova vita ».
Siamo a S. Nicandro Garganico, « la gloriosa cittaduzza, la Molinella del
Sud, che da mezzo secolo è il segno delle lotte sociali più accese », il luogo
donde « si godono i tramonti più luminosi d'Italia ». Ma eccoci a Torrevecchia,
« dove tutto è lercio, maiali, cani, bambini ». Egli conta in un locale sotterraneo
« dieci persone, più, inchiodati per terra secondo l'uso locale, il porco, poi un
asino e le galline ». « Dei 18.000 abitanti ben tremila son chiusi in queste carceri,
condizione veramente straziante ».
E qui apprende quella che egli chiama l'epopea contadina, « lotte per il
pane al posto del parrozzo, lotte per il peso giusto, che all'antica era un quinto
di meno, una frode, lotte per introdurre il chinino di stato, lotte per l'abolizione
del lavoro notturno, lotte soprattutto per la terra ». Chi potrà mai narrare con
precisione e ordine la storia di queste grandi battaglie per la liberazione, per la
dignità dell'uomo? E lo rattrista lo spettacolo del calcare nudo, senz'ombra di
verde, come una condanna irreparabile della natura. Come sono trattati nelle
masserie i lavoratori! Ed ecco il cafone dal suo inferno, nel racconto
immaginario di Giovanni Mascolo, si incontra con Satana e gli espone la sua
condizione di vita e quegli teme la concorrenza al suo inferno.
« IL CAFONE ALL'INFERNO »
Storie di altri tempi, storie del passato. Ma oggi il nostro contadino per
la disperazione lascia la terra ed emigra al Nord d'Italia o all'estero. Già il Fiore,
accennando a questo angoscioso problema, fin d'allora si domandava ne Il
cafone all'inferno: « Siamo noi forse retori incartapecoriti della fedeltà alla terra?
Non credo. Ma per redimere il Mezzogiorno bisogna restar nel Mezzogiorno,
penetrarne l'anima, tradurla in termini che gli altri possano capire. Cosa sarà di
questi giovani, una volta emigrati a Torino o a Milano? Ma poi... quando non è
possibile vivere in questi luoghi? ». Ecco il grande problema dell'oggi pel nostro
Mezzogiorno. Richiamare a noi questi nostri fratelli emigrati, richiamarli alla
terra disertata, ma ad una terra redenta dal dispotismo degli uccelli grifoni e che
essi possano fare propria.
Il « piano nudo » del Tavoliere lo fascia di tristezza e gli stringe il cuore la
« dura realtà di cultura estensiva » della terra; e teme il ritorno « dello squallido
autunno, quando angosciosamente si allunga la faccia terrea, ripugnante del
suolo brullo ». Egli sente fisicamente la sofferenza per la nostra terra povera e
deserta, soffre la sofferenza dei cafoni e dei cozzi, dell'umile gente dei campi, e
lo rattrista anche lo spettacolo delle « case dei contadini, color sporco e rosa... e
intorno a ognuna nient'altro che l'aia vuota, con un unico stollo ».
A Foggia, la nostra Foggia, il nostro capoluogo? « Per tante piaghe fa
67
sangue il misero corpo della città e soffre in segreto, come nessuno saprebbe
immaginare. Lo spettacolo dei « Granili » e delle « Casermette » è terribilmente
raccapricciante e desolante! Infinita miseria e suprema degradazione! Gente
«istupidita dalla miseria » allogata in orridi stambugi già destinati a latrina, in una
nauseante lordura! Un moto di ripugnanza e di sdegno ti stringe il cuore! Il
tragico problema della casa, delle grotte e delle baracche trova riscontro negli
orrori dello Zimotermico di S. Severo, già deposito di rifiuti di ogni sorta e poi
rifugio di esseri umani ridotti al rango di bruti. Sono una trentina questi canili
disposti in due fabbricati, alti non più di un metro, su due fronti, dinanzi e di
dietro ». Il Ministro Tupini, venuto per visitare i lavori della falda freatica che
minacciava la stabilità di quel centro abitato, rimase esterrefatto davanti alla
sconcertante visione. E così al quartiere Hoffmann e così all'ex convento di S.
Berardino, altri aspetti « della stessa miseria ». E così anche a Lucera con la sua
Stalingrado, « una misera chiesa abbandonata, dove han trovato rifugio nove
famiglie ». E che dire dei cavernicoli del Gargano? « Anche l'arcangelo
protettore è un cavernicolo ». Dalle buche-case di Montesantangelo (buche
scavate nella roccia scoscesa) e dalle baracche e dalle grotte (« ancora grotte,
maledette grotte ») passiamo di sopra al vico chiamato del dirupo: sotto ci
sono altre grotte, ma chi ha forza di scendere? E Peschici, la « necropoli
dissepolta del Vittorini »? « La strada si incassa paurosamente fra la nuda roccia;
a mano a mano una serie di miserevoli porticciole su grotte, o l'occhio scuro di
locali abbandonati, da cui subito ti afferra una zaffata di escrementi ». Terra
delle grotte e delle caverne dunque questa nostra terra, nell'epoca dei grattacieli?
In stridente contrasto con tanta miseria e con tanto squallore il Fiore ci fa
vedere in una triste sequenza di quadri ritratti con spregiudicato realismo i nostri
signori « feroci per tirchieria paesana », che « odiano a morte la politica, specie
quella dei ceti medi, pensa un pò quella dei contadini! »; e l'esosa avidità degli «
uccelli grifoni » ed il « cerchio di corruttele ». Uno dei maggiori e più urgenti
problemi della nostra vita associata è l'estirpazione recisa delle radici nelle quali
alligna il malcostume, e la moralizzazione della vita pubbica.
DOPO LE « FORMICHE » I « FORMICONI »
Racconta il Fiore stesso nella prefazione: « Un giorno che c’era stato un
comizio nella capitale dei contadini, Andria, (aveva parlato Peppino Di Vittorio,
con quell'umanità che lui solo sentiva), dopo si andò alla Camera del lavoro e lì
ridevano i contadini accennando a me: 'E’ quello delle formiche'. E poi
additarono l'oratore e gli altri della presidenza: 'Quelli sono i re delle formiche',
diceva uno; e un altro soggiunse: 'Sono formiconi'». Ecco spiegato il titolo di
questo volume della trilogia.
Primo e massimo dei formiconi Pietro Giannone di Ischitella, che il
Fiore definisce « vero creatore del Mezzogiorno », e del quale non vi è
maggiore elogio di quello del De Sanctis ricordato dal Fiore: « Giannone fu lo
storico del mondo civile, come Vico ne fu il filosofo... In tempi di feroci
persecuzioni lottò sino al martirio: la persecuzione fece di lui un eroe ».
68
Larga parte fa il Fiore nei suoi Formiconi di Puglia ad uomini e cose della
Capitanata, alla quale è quasi completamente dedicato Il cafone all'inferno. E noi
gli siamo grati per l'attenzione che egli, di Altamura, presta ai nostri problemi e
per l'amore che manifesta per la nostra terra. « Vita e cultura in Puglia dal 1900
al 1945 ». Questo il sottotitolo. E la manchette: « E’ il libro della democrazia
pugliese e della opposizione al fascismo ».
Anche qui la questione centrale, quella preminente, è la questione
contadina. Ed ecco in prima linea Peppino Di Vittorio, il grande bracciante, il «
capo-cafone », tutto inteso « a redimere il popolo di formiche », ad affermare
la nuova civiltà contadina, il diritto dei contadini alla vita civile; ecco Ruggiero
Grieco, « tutto impegnato nella soluzione comunista del problema agrario », e
Luigi Allegato, « uomo mite ed onesto », cui tutti volevano bene e che da «
magro pastorello » ignorava che cosa fossero il pane e la casa e doveva « ben
presto trovar casa nel carcere e saggiarvi un pane amaro; ma poi, in carcere e
nell'esilio, avidamente si cibò di quel pane dolcissimo che è il sapere »; e
Domenico Fioritto, « uno dei patriarchi del socialismo », « l'animatore delle
lotte contadine a Sannicandro Garganico e nella provincia ».
Siticulosa la Puglia secondo Orazio; e Matteo Renato Imbriani chiari, nel
presentare il progetto dell'Acquedotto pugliese, che era sete « di acqua e di
giustizia ». Ma oggi ancora l'acqua l'abbiamo col contagocce e la giustizia, la
giustizia piena, è di là da venire.
Il Fiore ci presenta una ricca galleria di quadri, di uomini che onorarono
ed onorano la nostra terra con le loro opere e che lottarono per il popolo e
per la libertà e contro l'oppressione fascista.
Il fascismo, si sa, fu una malefica espressione e produzione del Nord
d'Italia e trovò poi nel Sud un clima favorevole nella mentalità della borghesia
agraria, retrograda e reazionaria. Così noi non fummo esenti da arbitri, da
prepotenze e da abusi di ogni sorta. Non mancarono le violenze e le
persecuzioni e molti nostri uomini ne furono le vittime, perchè non vollero
piegare la schiena all'infausta dittatura. Quella che fu chiamata « la peste nera »
purtroppo maculò e afflisse anche le nostre contrade ed anche noi in tante
occasioni abbiamo sopportato la visione di certe facce patibolari... Possiamo
però segnalare anzitutto il magistrato Mauro Del Giudice che non volle, nel
processo Matteotti, piegare alle sollecitazioni, che la sua altissima coscienza
ripudiava. Poi dai repubblicani Felice Figliolia, caduto sul Carso, e Mario
Simone che con altri costituì l'associazione « M. R. Imbriani » ed il circolo
giovanile « Oberdan », e ancora i radiologi Pasquale Tandoia e Giuseppe
Muscettola, e infine Ciro Angelillis e Raffaele Perna, studiosi e scrittori di
Montesantangelo, Michele Vocino di Peschici, che fece innammorare il Fiore «
di quella terra dalle infinite bellezze », il Gargano, e poi lo scienziato Antonio
Lo Re e Antonio Salandra.
Che dire di Antonio Salandra, l'ultra-conservatore che, come dice Romolo Murri, « dal suo ceto sociale e dalla sua terra pugliese... portava la fierezza
rude del proprietario di suolo e del signore rurale », l'uomo del « sacro
egoismo », dell'interventismo e della guerra 1915-18, il fautore del fascismo,
che fu giocato dal Re e dai fascisti e che solo il 3 gennaio 1925, il giorno della
riscossa del regime, dopo le preoccupazioni dell'Aventino
69
e della temuta furia popolare, troppo tardi si accorse che, complice il Sovrano,
la nera dittatura stava smantellando ed affossando lo stato costituzionale;
l'uomo, che fu poi dimenticato al punto che quasi alla chetichella nel 1931 le sue
spoglie mortali furono trasportate nel camposanto della natia Troia. Un senso
di cristiana pietà ci indurrebbe a « parcere sepulto », ma per la sua personalità e
per le alte funzioni che ebbe come uomo pubblico, la Storia non può che
darne un giudizio negativo e severo. Non si possono dimenticare Pasquale
Soccio di S. Marco in Lamis e Romolo Caggese di Ascoli Satriano, G. B.
Gifuni di Lucera e Mario Simone di Manfredonia, del quale si segnalano
pregevoli lavori di storiografia e di carattere bibliografico, e il poeta dialettale di
Cerignola Filippo Pugliese « poeta maledetto ». Umberto Fraccacreta nel
poemetto Il pane che, fra i suoi, resterà quello di più lungo respiro, canta il
lavoro dei campi. Filippo Ungaro, il vecchio pubblicista montanaro, con Il canto
della speranza ci fa pervenire una voce poetica garganica. E poi tutta una nuova
generazione di studiosi, scrittori, poeti ed artisti che avevano in cuore i postulati
del Risorgimento, Matteo Fraccacreta, Gian Tommaso Giordano e Saverio
Altamura. Presso l'Istituto tecnico « Giannone » si accese un focolaio di
democrazia positivista con Giovanni Carano Donvito e il preside Santoro, il
fisico Vincenzo Nigri, l'agronomo e sociologo Lo Re sino al Tria. Il filantropo
Rodolfo Santollino animò l'Università popolare, prima che fosse conquistata
dal fascismo, a Lucera la cultura laica « pontificava per bocca di uno studioso
di Vico, Michele Longo » e ad opera di Gaetano Pitta sorgeva il periodico
socialista « Il Foglietto », stampato da Massimo Frattarolo. Angelo Fraccacreta,
liberale « autentico e fiero », portò la sua attenzione alla questione sociale.
Alfredo Petrucci, poeta e romanziere, « un'autentica gloria della Capitanata », di
cui si segnalano due opere: Gli incisori dal sec. XIX, ed il recente volume sulle
Cattedrali di Puglia, una grande opera, geniale e destinata a non morire. Egli ha
dimostrato che « la scultura nostra si chiamerà d'ora innanzi romanico-pugliese;
è nata nè più nè meno sul Gargano ». Fra le iniziative locali vengono segnalate
lo « Studio Editoriale Dauno » di Antonio Simone e del figlio Mario, la « Corte
d'Assise », diretta dal magistrato Cocurullo e dagli avvocati Lamedica e Mario
Simone, la « Biblioteca del Risorgimento, pugliese » che tra gli altri ospìtò il
Lucarelli e il Pontieri, l'Istituto per la storia del Risorgimento, « che non potè
inaugurare un monumento allo Zuppetta », un'altra grande pura gloria nostra,
di Castelnuovo della Daunia « ed una Sezione della Società internazionale di
criminologia e antropologia » che fu subito soffocata (oh matta bestialità!) dal
Sindacato fascista. Lamedica poi fondò a Roma « Il Mezzogiorno ».
Umberto Giordano è « il maggiore di quanti musicisti ha dato la Puglia
nel nostro secolo », una delle figure più cospicue e interessanti del teatro lirico
contemporaneo. Le tragedie di Umberto Bozzini di Lucera « furono colmate
di lodi anche dal maggior critico teatrale del tempo, l'Oliva ». Opportunamente
si ricorda la nobile figura - alla quale abbiamo sopra accennato - di Mauro Del
Giudice di Rodi Garganico, che, nella Sezione d'accusa nel processo Matteotti,
non volle riversare « la colpa del delitto sopra la vittima ». Trasferito a Catania
sotto la vigilanza
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della polizia, fu costretto a ritirarsi in pensione. Anche Vincenzo Tangaro con la
moglie riparò a Napoli, essi pure vittime del fascismo.
I pregi del volume, come degli altri due volumi della trilogia, sono molti
ed evidenti, ed essi sono stati rilevati nelle presentazioni e nelle varie recensioni e
da quanti hanno avuto occasioni di occuparsene. Noi porremo l'accento
soprattutto sulla grande efficacia delle descrizioni, di un realismo vivo ed
impressionante, delle situazioni di estrema miseria, talora abietta e degradante,
delle nostre popolazioni, e su talune caratteristiche espressioni dello stile, come «
color di carogne uccise », « povere coppole di cafoni », « innocenza culturale », «
cicciuto e sanguigno », « guardava allocchita ». Rende con molta efficacia le
situazioni di contrasto che gli dettano accenti commossi di pura poesia, come
allorchè la visione « fascinosa » del Gargano lo riconforta dopo quella
rattristante delle « nostre povere terre, così schive e chiuse ». « Ma laggiù in
fondo in fondo, sulla destra, poco prima di Foggia e soprattutto dopo, cos'è
che si stende ora come un lungo velario; quasi trasparente, con striature di rosa
nell'azzurro? ». Ed ancora: « Ma la desolazione di tutte le altre terre, lo squallore
continuo richiamavano per l'assenza di ogni forma di vita; salvo che la mollezza
del Gargano, sempre più vicino, e il suo color rosa tentavano di sedurci a non
so quale evasione obliosa ». « A destra e a sinistra la monotonia accecante dei
campi mietuti dà come una vertigine di stupidità. Sempre più si va in direzione
del mare: non dovrebb'essere lontano. Ah! eccoci dinanzi la linea lievemente
mossa del Gargano. Ora il grande acrocoro pare si dimembri, si spartisca in
zone varie, tutte remote, scoscese, inaccessibili; non altro che macchie e sole,
sole e macchie, nessun segno di vita ».
Siamo al lago di Varano, il lago malato, terra travagliata che sa l'infinita
miseria dei pescatori dalla « vita stracciata », trascorrente « entro misere capanne
di fango e di paglia simili a tucul abissini », nella zona delle moffe (dune
sabbiose). « A sinistra il Gargano solleva l'aerea illusione del suo teatro azzurro,
vuole incantarci lì per non farci vedere il resto. D'un tratto una piccola sorpresa
lo arresta: « la casa del guardiano del Consorzio Bonifica ». « Il posto è piccolo,
ma delizioso per il nostro vecchio cuore arcade »... « un pergolato sotto i pini
»... « canne fogliute e rossi oleandri »... « un gelso con alte viti »... « polli a
pigolare, cani a uggiolare, inoffensivi ». Con un rapido lieve tocco ecco una
visione rasserenante, una nota lieta, una piccola oasi di pace fra tanto squallore e
tanta dolorante miseria!
Sempre vibra nella pagine del Fiore la passione viva della sua terra e, di
fronte a spettacoli penosi di miseria e di abbandono che egli descrive con
insuperata efficacia e con icastica precisione, si arresta sconfortato; e tu senti,
manifesta o sottintesa, l'accusa e la condanna di una classe dirigente inetta ed
incapace, responsabile di tanta miseria e di tanta bruttura.
Case sordide e fatiscenti, muri crollanti, figure lercie e subumane,
degradazione suprema, squallore ed abiezione sconfinate! Tutto questo richiama
la sua attenzione ed il suo pennello è all'opera per darci squarci descrittivi di
grande potenza.
La visione dei « Granili » e delle « Casermette » di Foggia, come tutti
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gli spettacoli di desolazione e di abbandono, gli stringono il cuore nell'amarezza, lo immalinconiscono: « Non posso liberarmi dall'ossessione di questo
paesaggio, se prima non vado a fondo, non ne bevo tutto l'amaro... Mai un
albero dovunque all'intorno, mai una forma umana ». Ovunque miseria, dolore,
abbandono! Sunt lacrimae rerum! Ed egli partecipa, di una partecipazione
sofferta, alla miseria, al dolore, all'abbandono.
Con i tanti pregi, dei quali ci siamo limitati a segnalare qualcuno, vi è da
rilevare qualche lacuna e qualche omissione, avvertite dallo stesso Fiore.
Accanto ad Umberto Fraccacreta, « il poeta che aveva cantato la fedeltà
alla terra », altro gentile e squisito poeta, pure di S. Severo (natio tuttavia di
Casalnuovo Monterotaro) merita di essere annoverato. Parlo di Ernesto
Mandes, morto il 27 gennaio 1959, del quale abbiamo un volume di versi Rosai
in cui effonde la piena dei suoi sentimenti (« I canti del cuore », « Canti mistici »
e « Italici canti ») con una ricca e dolce vena di schietta poesia. Egli appartiene
alla scuola del Pascoli, del quale fu alunno diletto. In una lettera a lui diretta in
lingua latina l'autore di Myricae gli comunica che nella scuola gli avevano dato il
nome di « Ape Matina », « poichè tu, a mo' dell'ape, vai suggendo il timo (della
poesia) e sei nato presso il monte Matino » (« ore enim apis thima carpis, ad montem
Matinum natus es »). E rinviandolo al carme II del 4° libro dei Carmi di Orazio «
tuo conterraneo » (« civis tuus ») che tratta dell'ape matina, conclude: « Spero che
tu per questo ci amerai di più. Addio dunque, apetta nostra dolcissima (apicula
nostra mellitissima) ed a mio nome saluta tanto il monte Gargano ed i suoi
querceti ». Il Mandes, di fede socialista, fu sindaco di S. Severo e fu altresì
valente avvocato penalista e lottò in favore della sua terra e della gente povera
ed umile.
In morte del poeta Umberto Fraccacreta egli cantò:
Il poeta non muore: il canto resta
di là del gran mistero de la vita:
e sfida il tempo, il gelo, la tempesta,
la sua perenne, magica fiorita.
.. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .
Tu l'armi pie del pio lavoro umano
cantasti; l'armi sole benedette:
il Pane, il cibo esangue, sovrumano...
e il verso attinse le più alte vette ».
E Ai Mani di Domenico Fioritto:
Tutta la vita donata al popolo
per le battaglie dure, magnanime:
pel santo ideale
che vuole fugato ogni male.
Pel Socialismo... Oh! fede altissima
che noi stringemmo nel cuore giovane.
Oh! nostra bandiera
purissima tra la bufera. »
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GARGANO
Antico rione di Monte S. Angelo
( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia )
GARGANO
Un altro discorso, ma in musica
( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia )
ARTE IN CAPITANATA
MAESTRO DI BOVINO: « Martirio di San Pietro »
Tela del sec. XIII in « San Pietro » di Bovino
( Fotografia di Mastrolilli, Bari )
ARTE IN CAPITANATA
VACCARO: « L’Annunziata e l’Angelo »
Tela intorno al sec. XV nella Chiesa dei Cappuccini di Vico Garganico
( Fotografia di Ficarelli, Bari )
E giacchè siamo a parlare di S. Severo, non può essere dimenticato Luigi
Schingo, apprezzato pittore, scultore, architetto. A proposito di una rassegna
tenuta in Foggia nel 1962 Alfredo Petrucci in una sua presentazione così scrive,
fra l'altro: « La squadra, la stecca, il pennello si avvicendano nelle sue mani,
pronti al richiamo di un'anima particolarmente sensibile, in cui gli aspetti del
mondo e le voci del sogno assumono volta a volta la figura dell'edificio ben
costrutto, della statua potentemente modellata, del quadro sfavillante di luci. Il
nome di Luigi Schingo si lega al Tavoliere di Puglia ed al Promontorio del
Gargano per la preponderanza che tali paesaggi hanno nella sua produzione ».
È doveroso aggiungere qualcosa al fugace accenno su Michele Longo il
quale, nativo di S. Giovanni Rotondo, rifulse quale insigne giurista e professore
di diritto e procedura penale, con pregevoli opere apprezzate anche all'estero.
Fu penalista di grido e partecipò a parecchi dei processi più celebri del tempo.
Illustre letterato e filosofo, a soli 30 anni pubblicò un pregevole lavoro su
Lucrezio - egli ebbe grande passione per la poesia - e successivamente lavori
rinomati su Spinoza, Vico e Romagnosi. Fu attivo giornalista e grande
conferenziere, e trattò i più svariati argomenti, quali Pessina, S. Tommaso d'Aquino,
Cavallotti, La soglia del mistero, Delinquente nato e delinquente passionale, Ofelia, Giulio
Cesare Vanini.
Va fatta menzione anche dei poeti subappenninici, di Alberona, M.
Caruso, G. De Matteis e V. D'Alterio che nel 1963 han pubblicato presso lo «
Studio Editoriale Dauno », Aria ed arie di Alberona e celebrati dal Fiore. Per
costui, l'abbiamo già rilevato, è assorbente il problema contadino, il problema
della terra, che poi è il problema dei cafoni e delle formiche. Ma se esso volesse
fare una sommaria escursione verso l'altro problema, quello industriale, che
oggi costituisce il nostro problema essenziale e preminente, anche per i suoi
riflessi sul problema agrario, non potrebbe non accennare fra l'altro alla difesa
ed al potenziamento della Cartiera di Foggia ed alla valorizzazione della Miniera
di bauxite di S. Giovanni Rotondo, denunciando l'assurdo del minerale estratto
dalle viscere della nostra terra, che viene trasportato con ingenti e con assurde
spese e lavorato al Nord, mentre l'installazione in loco di un impianto per la
suddetta lavorazione ovvierebbe in gran parte alla disoccupazione e contribuirebbe notevolmente allo sviluppo economico della Provincia.
VERSO L'AVVENIRE
Chi scrive ha sostenuto una lunga battaglia, parlamentare ed extraparlamentare, per tale scopo, cozzando di fatto contro la pervicace ostilità della
Società concessionaria, la « Montecatini », come contro una mostruosa ed
invincibile fatalità. Che vale nelle fata dar di cozzo? La recente scoperta di ricchi
giacimenti di metano nella Provincia potrebbe fornire l'occasione per spezzare
una lancia in favore della sua industrializzazione. Del problema della bauxite,
come della industrializzazione in genere dei Mezzogiorno e delle Isole lo
scrivente si interessò tra l'altro con vari interventi al Senato della Repubblica, nel
1951 e successivamente, sostenendo, come già tanti altri, che la questione aveva
carattere nazionale e spez73
zando fin d'allora, tra i pochissimi sul piano parlamentare, una lancia in favore
della nazionalizzazione delle industrie elettriche. Siamo lieti di leggere ne « La
Gazzetta del Mezzogiorno » (4 dicembre 1964, Francesco Schino), che anche la
rivista « Civiltà degli scambi » di Bari, sostiene che il problema meridionale « è
fatto unitario e nazionale non solo per un atto di giustizia riparatrice, ma perchè
lo stesso sviluppo del Nord è legato, per ragioni economiche sociali e politiche,
al superamento del divario ancora esistente tra le due parti della Nazione ».
Il Fiore ha accennato anche agli eccidi di Lucera ed ai moti di S. Severo,
indici degli squilibri sociali che affliggono la nostra terra. Su questo piano il
discorso sarebbe lungo e assai doloroso. Candela ci ricorda il primo eccidio
contadino del secolo, con la scandalosa premiazione del brigadiere Centanni.
Ma il primato degli eccidi proletari, che insanguinarono l'Italia nel primo
dopoguerra, tocca purtroppo nella nostra Provincia a S. Giovanni Rotondo,
ove il 14 ottobre 1920 ben 14 morti ed un centinaio di feriti bagnarono col
loro sangue la Piazza dei Martiri, che già era stata teatro nel 1860 di una feroce
reazione borbonica, nella quale 24 egregi cittadini caddero vittime.
Chiudiamo queste rapide note, rilevando che per il riscatto della nostra
terra, ed in genere del Sud, preliminare e decisivo è il rinnovamento sostanziale
della classe dirigente, nemica di ogni progresso e talora persino dell'alfabeto.
Giovanni Giolitti, nelle Memorie della mia vita, parla di un convegno di grossi
proprietari a Caltagirone, il quale propose nientemeno che l'abolizione
dell'istruzione elementare, perchè i contadini e i minatori « non potessero,
leggendo, assorbire delle idee nuove ». Questa esigenza, già affermata dal
Dorso, oggi è conclamata da tutti i meridionalisti, e tra questi, recentemente da
Francesco Compagna. Nello stesso solco e nello stesso spirito è Tommaso
Fiore. Oggi, nel ventennale dello storico Congresso di Bari, risuonano ancora
attuali le parole ivi pronunziate da Guido Dorso: « Noi abbiamo bisogno di
una classe dirigente meridionalista, cioè di una classe di meridionali che lotti per
l'elevazione del Mezzogiorno e lo sollevi dalla situazione coloniale, in cui è stato
finora tenuto. Da anni avevamo chiesto una bandiera intorno alla quale
raggrupparci; ebbene ora l'abbiamo, ed è quella del meridionalismo
rivoluzionario».
Mezzogiorno dunque irredento e irredimibile! esclama con amarezza
Tommaso Fiore, giudicando La loi di Vailland, che presenta un quadro
pessimistico del Mezzogiorno, in particolare del Gargano, dominato dalla
violenza nell'amore e nella vita sociale, come nei secoli passati. Ma il giudice
Alessandro insegna alla moglie, donna Lucrezia, che « le présent pourrait étre
transformé »; e noi diciamo, deponendo l'amarezza, può e deve essere
trasformato, negli uomini e nelle cose, negli spiriti e nelle istituzioni. A
quest'opera di necessaria e doverosa trasformazione Tommaso Fiore ha
dedicato la sua vita e la sua azione.
E noi che già all'inizio del nostro dire abbiamo messo in rilievo la
mirabile vivacità e la fecondità giovanile di lui, non possiamo che ripetere con
fraterno amore l'augurio che egli felicemente superi la tardiva vecchiaia e giunga
fra molti anni alla meta lieto e sereno di una vita inten, samente operosa e bene
spesa per il bene dell'umanità.
La vittoria già si intravede, ma non bisogna deflettere, non bisogna
74
desistere. La battaglia, la buona, sacrosanta battaglia continua. « Ciò che conta
nella vita è la trincea da cui si combatte ». Così scrive Fiore nelle ultime pagine
de Il cafone all'inferno. La trincea buona, la trincea valida è quella che ci addita
Guido Dorso, quella dalla quale ha combattuto e combatte Tommaso Fiore, e
con lui tutti i meridionalisti di buona lega.
Avanti dunque, da tale trincea, per colmare « la frattura storica », per
realizzare, nell'uguaglianza, la vera unità d'Italia.
Oggi ormai tutti rintengono che qualcosa si muove nel Mezzogiorno ed
una grande trasformazione è in corso. Uomini di studio ed uomini di Governo
sono della stessa opinione, vi sono nuove provvidenze pel Mezzogiorno,
prossima è la presentazione della nuova legge sulla Cassa del Mezzogiorno e si
parla di rilancio della politica meridionalistica. Il grandioso « Centro Italsider »
di Taranto è già in piena operosità e fra le nuove iniziative industriali che
dovranno realizzarsi vi è un grande stabilimento per la produzione e
lavorazione di gomma sintetica che, secondo ultime notizie giornalistiche,
prossimamente sarà costruito a Brindisi dalla Monteshell nelle immediate
adiacenze del petrolchimico.
Giovanni Russo, un giornalista collaboratore dell'organo magno della
borghesia nostrana, « Il Corriere della Sera », nel suo recente lavoro Chi ha più
santi in paradiso (Laterza, Bari, 1964), prevede che i contadini « magma secolare
di odio e di disperazione », che in Svizzera spregiativamente chiamano « Sioux »
o « gli ultimi dei Moicani », « entreranno, come protagonisti, finalmente, nella
storia ». E di Foggia, della nostra Foggia, scrive: « A Foggia si può osservare il
mutamento della vita sociale ed economica nella più grande pianura d’Italia,
dopo quella padana: il Tavoliere. Se diventerà una terra coltivata
modernamente, una grande ricchezza sarà data non solo al Mezzogiorno, ma
all’Italia ». E poco dopo soggiunge: « Il Tavoliere diventerà la California del
Sud ».
Con questa speranza e con questa prospettiva noi attendiamo fiduciosi il
grande rinnovamento auspicato da secoli.
Foggia, 5 dicembre 1964
LUIGI TAMBURRANO
__________
Senatore prof. avv. LUIGI TAMBURRANO (S. Giovanni R. 14-1-1894 - Foggia
18-12-1964).
Questo scritto conchiuse la giornata laboriosa del suo autore, di cui può
considerarsi, senza retorica, il testamento culturale. Quando egli lo abbozzò nella
primavera u.s., per destinarlo a « La Capitanata », il cuore di Lui non reggeva
75
più alla fatica di superare razionalmente le contraddizioni del nostro tempo che, pur
trovandolo comprensivo, lo amareggiavano. Aggravatosi dopo un ardito intervento
chirurgico, sembrò che il vecchio rappresentante popolare del Gargano contendesse gli
ultimi giorni alla morte, per dettare la chiusa, che è un viatico di amore ai superstiti.
Avvocato dall'anima nuda di ogni orpello, abilitato all'insegnamento della Filosofia nelle scuole medie, L.T. aveva aderito giovanissimo al Socialismo, tanto che nel
1920 - leggiamo nell'Annuarío parlamentare - era eletto sindaco del suo Comune,
trovandosi in carcere per i fatti locali del 14 ottobre di quell'anno. Partecipò con coraggio
alla guerra 1915-18, raggiungendo il grado di capitano, dal quale fu rimosso, per la sua
convinzione repubblicana.
Nel 1943, ritornato alla Scuola da cui era stato dimesso per quel medesimo motivo
politico, concorse a riorganizzare in provincia il P.S.I., che volle affidargli importanti
incarichi. Fece parte della Amministrazione provinciale democratica, presieduta dal sen.
Allegato, assolvendo le funzioni di vice presidente; senatore,nel primo Parlamento
repubblicano per il Collegio di Foggia (voti 32.848 di preferenza), fu componente della Il
Commissione « Giustizia e autorizzazioni a procedere ».
Tra i suoi numerosi interventi, ricordevoli quelli: per la industrializzazione del
Mezzogiorno e delle Isole; per la riorganizzazione della Cartiera di Foggia appartenente al
Polígrafico dello Stato; per la lavorazione in loco della bauxite garganica; per la riparazione
dei danni causati dal maltempo; per la ricostruzione edilizia di Foggia; per i rimedi della
disoccupazione; per la valorizzazione turistica del Gargano.
Doveva toccare proprio a Tommaso Fiore di commemorare a Foggia il suo sodale
nel Palazzetto della Cultura e dell'Arte. Sgorgò dalla sua rievocazione quella profonda
simpatia umana che, insieme con la tematica socialistica, aveva promosso e tenuta viva la
loro collaborazione. Il ricordo del Fiore rivela lo stato d'animo del Nostro, mentre
elaborava le pagine, che dovevano significare il primo e più significante sdebitamento della
Capitanata, verso il padre vivente dell'ultimo meridionalismo. « Ho avuto la fortuna in questi
ultimi anni di trovarmi in corrispondenza con l'amíco Luigi, e io ero lieto di dettare lunghe
epistole rivolte a un uomo come lui, semplice e probo. Ora i suoi figli dicono che con
questi scritti gli prolungavo la vita, suscitavo in lui nuovi interessi ed egli finiva con
l'immergersi di nuovo nel mondo delle idee, dimenticandosi di tutte le avversità... Di rado
accennava alle sue sofferenze fisiche, di sfuggita, senza fermarsi su. Si sforzava, anzi, di
minimizzarle, di negarle addirittura. Il discorso del mio eccezíonale corrispondente era,
come nel meglio della sua giovinezza, pieno di pathos... ».
« La Capitanata », nella commozione procuratale dal compito triste e onorifico di
presentare un cotal documento, associata nel grave lutto che ha colpito la Cultura e la
Puglia, si fa interprete della Cittadinanza dauna, ringraziando gli Eredi del compianto
Senatore, i quali hanno destinato gran parte dei suoi libri alla Biblioteca provinciale di
Foggia.
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Profilo economico di Manfredonia
IL PAESAGGIO
Il viaggiatore che viene da Foggia lungo la statale 89, dopo aver superato la
balza di Monte Aquilone e la badia di S. Leonardo, a una svolta della strada,
vede in lontananza, tra il grigio violaceo del Gargano e l'azzurro del mare, una
macchia bianca circondata da una fascia verde scuro che si allunga verso sud
lungo la costa. E' questa l'immagine che offre Manfredonia, una delle più
importanti città della Capitanata, che si adagia alle pendici della montagna in un
paesaggio che assume caratteristiche diverse a seconda della natura del terreno.
Infatti a nord dell'abitato si erge il Gargano con formazioni calcaree nude
affioranti in più punti, con pascoli molto magri e discreti uliveti che vanno però
diradandosi procedendo verso ovest. E' questa la zona più povera dell'intero
territorio; mancano nuclei abitati ad eccezione della frazione « Montagna » che
ricade però interamente sul Gargano. Abbondano invece i tratturi demaniali
che costituiscono i segni dell'antica attività armentizia molto fiorente nel passato,
quando cioè l'intero Tavoliere era tenuto a pascolo e costituiva un complemento dell'economia agricola dell'Appennino. Tale zona continua con caratteri
piú o meno accentuati fino all'incidenza del torrente Candelaro con la strada
statale, ed è delimitata a sud dalla ferrovia Manfredonia-Foggia.
A valle della ferrovia si estende immensa la pianura, solcata dai torrenti
Candelaro, Cervaro e Carapelle, che la rendono paludosa lungo una fascia
immediatamente vicina alla costa.
E' questa la parte dove viene maggiormente praticata l'agricoltura, e in essa
ricadono le altre due frazioni: Mezzanone a ovest, quasi a costituire un'isola
nell'agro di Foggia, e Zapponeta a sud, sulla costa.
La zona è solcata da una fitta rete stradale, in pessimo stato di viabilità, che
collega le numerose case coloniche sorte in seguito all'attuazione della riforma
agraria. Accanto a queste costruzioni recenti che vanno raggruppandosi intorno
ai centri di Fonterosa e di Beccarini, di tanto in tanto si incontrano nuclei di case
decrepite, in stato di progressivo abbandono: sono le tradizionali masserie che
fino a decenni addietro ospitavano eserciti di braccianti nel periodo della semina e della mietitura del grano.
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Lungo la costa, bassa e sabbiosa fino alle porte della città, si rinvengono
numerosi 'sciali' sedi di un'attività agricola molto arretrata con allevamenti di
bufali e ovini che sfruttano i pascoli dei terreni paludosi e sotto colmata.
A settentrione della foce del Candelaro, in un triangolo che ha per lati la
costa, la ferrovia e la strada delle Saline, si estendono le ex paludi sipontine
avviate a bonifica sin dai primi dell'800 dal governo francese (Murat) e sedi di
una fitta vegetazione. Qui, alle spalle dell'antica Basilica di Siponto, sorge
l'importante centro balneare di Siponto che, distante da Manfredonia 2
chilometri, va collegandosi a questa lungo la costa con numerosi villini.
LA CITTA'
La città è dotata di una discreta rete stradale che la collega con i piú
importanti centri del Tavoliere (Foggia, Cerignola, Margherita di Savoia e
quindi tutte le città della costa barese) e del Gargano (S. Giovanni Rotondo,
Monte S. Angelo, Vieste). Altra importante via di comunicazione, una volta
molto attiva per i commerci che realizzava con l'altra sponda adriatica, è il
porto che, con i suoi 4 km. di banchina e la sua attrezzatura, è uno dei più
importanti esistenti sull’intera costa pugliese.
Il centro abitato si snoda lungo la « Garganica » su una superficie di circa
3 kmq., piú in lunghezza che in larghezza, con strade diritte e funzionali specie
nella parte più antica dell'abitato, con costruzioni solide e modeste, ora
soffocate dai moderni mostri di cemento armato.
Importanti sono i monumenti storici (Castello Svevo-AngioinoAragonese, Palazzo San Domenico, le Chiese di S. Maria di Siponto e di S.
Leonardo); notevoli anche i rinvenimenti archeologici che portano alla luce i
segni di antichissime civiltà.
LA POPOLAZIONE
La popolazione (41.101 abitanti) piú che raddoppiata in circa 30 anni
(nel 1934 si contavano 17.827 abitanti), solo in minima parte è rappresentata da
gente originaria; in maggioranza essa è costituita da cittadini dei comuni
limitrofi (specie di Monte S. Angelo) che si sono stabiliti al piano a causa della
mitezza del clima e della piú fervida attività economica. Infatti si calcola che dal
1934 siano immigrati nel comune oltre 14.000 cittadini, mentre nel medesimo
periodo si sono avute emigrazioni per circa 12.000 unità, rappresentate in
massima parte da originari emigrati nell'Italia centrosettentrionale e in questi
anni anche all'estero.
Nella Tav. I sono raffrontati i dati relativi alla popolazione residente
distinta per classi di età,rilevata nei due censimenti del 1951 e del 1961.
Dal loro esame risulta che nel decennio 1951-1961 la popolazione fino a
25 anni è scesa dal 57,40% àl. 53,85%, mentre quella oltre i 25
78
anni è salita dal 42,60% al 46,15%. Ciò è dovuto piú che a una contrazione del
tasso di natalità e di sopravvivenza (che sono alti, essendo rispettivamente il
33% i nati morti e il 50% i morti entro il primo anno di vita), al fatto che nel
decennio, in seguito alla abrogazione della legge contro l'urbanesimo, è
aumentato il flusso delle immigrazioni specie negli anni dal 52 al 56, prima cioè
che gli stessi 'rnontanari' prendessero direttamente la via dell'estero.
L'ISTRUZIONE
L'istruzione si è molto sviluppata in questi ultimi anni. Infatti accanto a
tre circoli didattici (due cittadini e uno rurale) esistono due Scuole Medie, un
Liceo Ginnasio e un Istituto Magistrale legalmente riconosciuti, un Liceo
Scientifico, un Istituto Magistrale, due Istituti Tecnici, uno commerciale e l'altro
nautico, un Istituto di avviamento professionale a indirizzo marinaro.
I dati rilevati nel censimento della popolazione del 1961, che si riportano
nella Tav. II, raffrontati a quelli del 1951, sono vicini a quelli provinciali e
dicono che molto cammino occorre ancora fare per ridurre ulteriormente la
percentuale degli analfabeti che si aggira sul 17% della popolazione. E' pur vero
che dal 1951 tale percentuale è passata dal 24,42 al 16,95%, ma la situazione
resta pur sempre grave per una cittadina come Manfredonia le cui condizioni di
vita non sono certamente quelle della Lucania o della Calabria che detengono il
triste primato della piú alta percentuale degli analfabeti (rispettivamente il 20,1 e
il 21,45% degli abitanti).
Se si potesse disporre dei dati relativi all'età degli analfabeti e degli
sprovvisti di titolo di studio (qualificati alfabeti nel prospetto), risulterebbe
senz'altro che buona parte dei cittadini in tale condizione sono i piú anziani. Ciò
non toglie però che sono molti i giovanissimi che, conseguita la licenza
elementare, vengono utilizzati nell'attività edilizia e quindi destinati ad ingrossare
il flusso di ritorno all'analfabetismo.
I SETTORI DI ATTIVITA'
I settori di attività, il numero delle imprese e quello degli addetti,
risultano dalle Tavole III e IV in cui sono raffrontati i dati rilevati nei due
censimenti del 1951 e del 1961.
Per quanto riguarda i settori di attività economica, è da notare come
l'agricoltura continui ad assorbire il 21,95% dell'intera popolazione da 10 anni
in poi e oltre il 50% della popolazione attiva, con una contrazione del 4% circa
rispetto al 1951.
Il settore 'industria' ha subito un incremento dovuto soprattutto al
maggiore sviluppo avuto dalle costruzioni edilizie, mentre quasi invariata è
rimasta la percentuale della popolazione impegnata in altre attività. Invariata è
rimasta pure la popolazione non attiva costituita in massima parte da donne che
continuano a dedicarsi alle cure domestiche, non avendo alcuna possibilità di
occupazione.
79
Se si passa ad esaminare i dati relativi alle imprese e agli addetti, si nota
subito come manchino aziende industriali in senso proprio, capaci di assorbire
un numero rilevante di addetti con un alto rapporto capitale-lavoro. Nella
maggior parte dei casi si tratta di botteghe artigiane con 1-2 addetti la cui
attività non va oltre i confini comunali.
Anche l'attività edilizia non ha assunto dimensioni imprenditoriali
rilevanti. Il numero delle imprese nel 1961 è risultato quasi raddoppiato rispetto
al 1951, mentre gli addetti sono aumentati di circa il 3%. In realtà anche qui si
tratta di piccole imprese individuali esercitanti un notevole sfruttamento della
mano d'opera, specie di quella minorile, e che sono pullulate ìn un perìodo
particolarmente favorevole per il settore. Non appena la nota disavventura
congiunturale ha provocato la stretta credìtizia, molte di queste imprese hanno
dovuto cessare la loro attìvità in attesa di tempì migliori.
Un discorso particolare merita il settore commerciale rappresentato in
massima parte da negozi al minuto di generi alimentari e di articoli di
abbigliamento. Nel decennio tale settore è lievitato di circa il 10%, con
conseguente aumento dei già alti costi di distribuzione che poi si sono tradotti
in un notevole aumento del costo della vita.
Gli addetti ai trasporti e alle comunicazioni sono diminuiti di circa il 16%
a causa della razionalizzazione dell'attività portuale che con l'introduzione di
mezzi meccanici ha provocato l'espulsione di oltre 300 addetti.
LA PESCA
Nel prospetto manca il raffronto dei datì relativi alla pesca e alle attività
connesse all'agricoltura perché non furono rilevati nel 1951. Quelli relativi al
1961 sono riportati in calce al prospetto e mettono in evidenza come l'attività
peschereccìa non assorba un rìlevante numero di addetti, contrariamente a
quanto si sarebbe indotti a ritenere a prima vista.
In via di sviluppo è l'attività peschereccia che si avvale di una discreta
flottiglia di recente costruzione e motorizzata che risulta così costituita:
motopescherecci n. 80; motobarche 170; removelici 240. La produzione ittica,
molto varia e pregiata, è destinata in massima parte ai mercati di Napoli, di
Foggia e a quelli delle città delle province di Bari e Foggia. Essa è in continuo
aumento e nel 1964 è stata di 2987,25 tonnellate, per un valore complessivo di
L. 977.619.702. Tale attività, però, non è riuscita a superare le tradizionali
dimensioni familiari; tranne alcune eccezioni, infatti, in massima parte si tratta di
piccole e medie imbarcazioni che esercìtano la pesca nell'ambito del Golfo, in
zone relativamente vicine. La sua redditività è alquanto modesta e il settore è
riuscito a potenzìarsi solo grazie ai notevoli contributi devoluti dalla Cassa per il
Mezzogiorno i quali, però, sembrano essere stati distolti dalla loro funzione dì
incentivi, per trasformarsi in interventi di sussistenza dato che non sono riusciti a
far sorgere una flottiglia di alto mare capace di immettere sul mercato ingenti
quantità di prodotto.
80
IL PORTO
Il movimento mercantile del porto si aggira sulle 240 mila tonnellate. Il
90% di tale tonnellaggio, però, è costituito da bauxite che, proveniente dalla
vicina miniera di S. Giovanni Rotondo, viene imbarcata e destinata agli
stabilimenti venetì della Montecatini. Il tonnellagío rimanente è rappresentato da
piccole partite saltuarie di carbone, di grano, di legname. Le operazioni
portuali, effettuate a dorso d'uomo fino al 1959 con l'impiego di circa 300
unità lavorative, attualmente vengono effettuate con l'ausilio di grue installate
dalla Montecatini, sicché il numero degli addetti a tale settore è andato sempre
piú scemando, riducendosi a una cinquantina di persone attualmente riunite in
una cooperativa molto efficiente.
Pure legato al traffico portuale è un deposito di concimi chimici che
alimenta un discreto traffico automobilistico.
IL TURISMO
Infine altra risorsa cittadina di indubbio avvenire è l'attività turistica.
Manfredonia infatti, oltre che ad essere dotata di due spiagge (il Lido di
Siponto e la spiaggia 'Castello'), è anche la porta di accesso alle bellezze naturali
del Gargano che si trova agli inizi della sua valorizzazione turistica. Tale attività
potrebbe svilupparsi in modo notevole anche in relazione all'attività venatoria
che si svolge nella zona paludosa del territorio e che richiama un gran numero
di appassionati nel periodo invernale. Attualmente il grosso del flusso turistico
si riversa sulle due spiagge, che raccolgono in massima parte bagnanti
provenienti dal capoluogo che fanno ritorno alle proprie sedi la sera. Però
condizione affinché il turismo si sviluppi è il potenziamento delle infrastrutture
ricettive e dei servizi igienici, oltre che di manifestazioni che rendano piacevole il
soggiorno.
L'INDUSTRIA
Si è cercato fin qui di tracciare a grandi linee un quadro quanto piú esatto
possibile delle caratteristiche dell'economia di Manfredonia. Da quanto si è
detto risulta chiaro che la maggior parte della popolazione si dedica
all'agricoltura, che scarseggiano le attività industriali e manifatturiere e che la
emigrazione ha temporaneamente rinviato al futuro i problemi fondamentali
dell'occupazione.
Possiamo ora porci la domanda se esistono possibilità di sviluppo per
l'economia di Manfredonia. La risposta è positiva, in quanto esistono enormi
risorse economiche allo stato potenziale, suscettibili di una notevole
valorizzazione attraverso un processo di trasformazione industriale.
Per quanto riguarda l'industria in senso proprio, allo stato attuale non
sono stati rinvenuti giacimenti di materie prime nell'ambito del territorio
comunale. Esistono però importanti fattori tecnici ed economici determinanti ai
fini della realizzazione di notevoli iniziative in81
dustriali per lo sfruttamento delle materìe prime del sottosuolo dauno. La
giacitura pianeggiante del territorio, la disponibilità di acqua dolce e marina, la
facilità delle comunicazioni terrestri, la mano d'opera, il porto etc., sono tutti
fattori vincolanti ai fini della localizzazione delle industrie.
La più antica e legittima aspirazione cittadina è la creazione di uno
stabilimento per la lavorazione degli enormi giacimenti di bauxite della miniera
di San Giovanni Rotondo che fornisce circa l'80% della produzione nazionale;
ma accanto a questa possibilità ve ne sono altre quali l'installazione di industrie
alimentari e petrolchimiche per l'utilizzazione dei prodotti agricoli e dei
giacimenti di metano e gas naturale rinvenuti nel sottosuolo della Capitanata.
Di queste possibili iniziative una è in via di realizzazione (fabbrica per la
produzione di glutammato monosodico) un'altra è allo studio (progetto della
SNIA Viscosa per l'impianto di una fabbrica per la produzione di
cuprolattame - prodotto base per la fabbricazione di fibre tessili artificiali - con
annessi impianti per la produzione di ammoniaca, acido solforico, idrogeno ed
energia termoelettrica). Ma affinché queste ed altre inizìative si realizzino è
necessario superare incomprensioni e resistenze; è necessario che la popolazione
faccia prevalere il carattere sociale dell'industrializzazione, concependola non
come una benevola concessione, ma come un fatto conseguenziale di una
determìnata realtà socio-economica.
L'AGRICOLTURA
Un discorso particolare merita l'agricoltura. Infatti questa, se opportunamente sostenuta e guidata nell'attuale fase critica di trasformazione,
potrebbe assumere caratteri modernì e possibilità di sviluppo impensabili con
la trasformazione degli attuali ordinamenti colturali asciutti, basati sulla
cerealicoltura, in ordinamenti irrigui con annesso sviluppo della zootecnia.
L'agro di Manfredonia è costituito in massima parte da terreni alluvionali
recenti e da terreni argillosi calcarei; essi hanno una fertilità potenziale enorme in
vista di una diversa e più intensa attività agricola. E' vero che essi richiedono
una profonda azione bonificatrice dì canalizzazione e di colmata a causa della
loro giacitura, ma è risaputo del resto che la terra, originariamente intesa quale
fattore primordiale e naturale di attività economica, non ha mai permesso
forme dì agricoltura evoluta.
Una tale opera di bonìfica si rende necessaria, perché essa non è stata
mai effettuata in modo radicale e completo, in quanto fino ai primi decenni di
questo secolo gran parte dei terreni erano per lo piú paludosi e insalubri e gli
insediamenti umani erano resi impossibili dal prevalere dalla malaria.
E' venuto a configurarsi così un particolare assetto fondiario basato
sull'assenza della proprietà diretto-coltivatrice e sulla prevalenza della grande e
grandissima proprietà assenteista che non aveva né la necessità, né la voglia di
pervenire a quelle importanti e utili forme
82
di capitalizzazione del lavoro in capitale fondiario, che sono i presupposti
fondamentali affinché la terra originaria si trasformi in capitale fondiario, abbia
cioè tutti i requisiti necessari per ospitare forme di attività agricola intensiva.
Il particolare assetto fondiario ha favorito per contro la diffusione
dell'affitto - che perdura tuttora - e che per sua natura postula scarsi
investimenti fondiari e la conservazione dei tradizionali ordinamenti colturali
che assicurano un'alta rendita fondiaria.
La riforma fondiaria, effettuata dall'Opera Nazionale Combattenti
prima e dall'Ente di Riforma dopo, ha sensibilmente modificato questo stato di
cose e, con la creazione di numerose unità poderali, ha trasformato il volto di
intere zone nelle quali le condizioni di vita e di lavoro per i braccianti agricoli
erano tali, che nei loro confronti l'inferno parve un paradiso al povero
bracciante del Tavoliere, come racconta una storiella popolare riportata nel
pregevole volume di Tommaso Fiore: Il cafone all'inferno.
Ciò nonostante il fenomeno della dissociazione del lavoro dall'impresa
agricola continua ad essere rilevante, come viene messo in evidenza molto
chiaramente dai dati sui tipi di azienda per forma di conduzione, rilevati nel
censimento dell'agricoltura del 1961. Tali dati dicono che dei 37.744,40 ha.
costituenti la superficie agraria di Manfredonia, 12.277,40 (46,64%) sono
coltivati da 1.384 aziende a conduzione diretta; 18.999,01 ha. (50,53%) sono
coltivati da 159 aziende a conduzione con salariati e/o compartecipanti;
1.071,31 ha. (2,83%) sono coltivati da 38 aziende a colonia parziale e
appoderata; 447,20 ha. (1,18%) sono coltivati da 8 aziende condotte con altre
forme. Se si tiene presente che le corrispondenti percentuali provinciali sono
rispettivamente del 61,80, del 33,07, del 2,08 e del 3,02%, si vede come
l'agricoltura manfredoniana sia diversamente strutturata rispetto a quella
dell'intera Provincia di Foggia.
Inoltre, poiché il tipo di azienda è in netta correlazione con gli
ordinamenti colturali che si attuano, si può dire che fino a quando nell'agro di
Manfredonia prevarrà l'azienda a conduzione con salariati, difficilmente si
verificherà la tanto auspicata trasformazione degli attuali ordinamenti colturali.
Infatti gli imprenditori cerealicoli (e tali sono in massima parte gli
imprenditori agricoli che agiscono a Manfredonia) non hanno alcun interesse a
trasformare la propria azienda da asciutta a irrigua malgrado abbiano l'acqua a
disposizione. E ciò perché mentre nella prima l'introduzione delle macchine
porta all'eliminazione della mano d'opera, l'introduzione dei concimi
all'accrescimento delle rese unitarie, e il maggior reddito si trasforma in una
maggiore redditività del capitale fondiario; con l'irrigazione il maggior reddito
(che a volte risulta persino quintuplicato rispetto alla produzione cerealicola) va
a compensare meglio il lavoro e i capitali, senza trasformarsi in una maggiore
redditività del capitale terra nuda.
E poiché un'agricoltura irrigua, richiedendo maggior lavoro, riduce la
disoccupazione e l'emigrazione, fa aumentare i redditi di lavoro in valore
assoluto (per le maggiori giornate lavorative) e in valore relativo (per le
maggiori retribuzioni giornaliere), dilata la capacità di
83
consumo della popolazione, crea i presupposti per l'istituzione di industrie che
utilizzano la trasformazione dei prodotti agricoli, risulta evidente come la
conduzione diretta sia l'unica forma di impresa capace di dar luogo a un
effettivo rinnovamento della nostra agricoltura e di creare pertanto le premesse
per il nascere e l'affermarsi di iniziative industriali capaci di incidere in modo
notevole sull'economia della zona. Inoltre, se si pensa che la prima iniziativa
industriale avviata a realizzazione a Manfredonia utilizzerà prodotti agricoli per
la produzione di glutammato monosodico, non si può disconoscere quale prospettiva reale può offrire a Manfredonia un ammodernamento dell'agricoltura.
Quindi, se si vuole accelerare il processo di sviluppo dell'agricoltura,
occorre potenziare e diffondere l'azienda diretto-coltivatrice, facilitando
l'accesso alla proprietà della terra a un numero sempre maggiore di contadini e
di imprenditori agricoli e modificando sensibilmente le attuali linee di politica
agraria che si ostina a tener in vita un protezionismo granario quanto mai
anacronistico e controproducente sia per le categorie agricole, sia per i
consumatori. In questa direzione a livello cittadino, un ruolo molto importante
spetta al Comune il quale dovrebbe reperire tutti i terreni demaniali e quotizzarli
tra gli aventi diritto,incominciando da quelli concessi alla Società « Daunia Risi ».
Per concludere, non si possono disconoscere le reali possibilità di
sviluppo che stanno di fronte all'economia di Manfredonia; esse saranno
realizzabili nella misura in cui tutte le forze locali sapranno fare dell'industria di
base e dell'agricoltura i capisaldi di una nuova politica per un effettivo
rinnovamento economico e sociale della Città.
GIROLAMO CAMPO
N O T A B I B L I O G R A F I C A - Oltre le monografle sulla regione pugliese e
gli studi generali di economia e statistica (v. per ultimo: O. Baldacci, Puglia, Torino, UTET,
1962), fonte primaria di una informazione particolare sulla Capitanata è il bollettino della
Camera di Commercio I. e A. di Foggia il quale attraverso le sue varie serie - l'ultima, col
titolo « Foggia » -, espone dati e considerazioni inerenti anche a Manfredonia. Un «
Bollettino Sipontino, periodico statistico del Comune di Manfredonia » fu pubblicato nel
biennio 1950-51, e nel 1953 apparve il numero unico « Rinascita di Manfredonia Marittima
» a cura della Compagnia portuale « Felice Muscatiello ». Per gli aspetti economici delineati
nel nostro articolo sarà utile consultare le relazioni a stampa dei sindaci e commissari del
Comune, i pochi interventi parlamentari sui problemi della città e del suo interland e le
seguenti pubblicazioni: Atti del convegno provinciale per la sistemazione del basso Tavoliere
(Manfredonia, 6 gennaio 1957) a cura del Comune di Manfredonia, 1957; Convegno
Internazionale sui problemi della irrigazione nel bacino del Mediterraneo - Atti ufficiali della
sessione preliminare, Foggia 4 e 5 maggio 1960 - Foggia, Consorzio Generale per la Bonifica e la Trasformazione Fondiaria di Capitanata, s.d. (ma 1961); R. TRAMONTE:
Contributo allo studio delle acque della Capitanata. Bari, 1955.
Sulla storia, sul paesaggio e sui monumenti della città si vedano: Mario Simone (a
cura di) Manfredonia e il Gargano (Manfredonia, 1925), S. Mastrobuoni e N. De Feudis,
Manfredonia (Collana di « Quaderni Turistici » dell'E.P.T. di Foggia, n. XVI, Foggia s. d.);
S. Mastrobuoni, S. Leonardo di Siponto, con 16 tavv. f.t., appendice di documenti e indice
delle fonti archivistiche e bibliografiche (Foggia, Studio Editoriale Dauno, s.d., ma 1960).
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Testimonianze d'Arte e di Cultura
ARTE CONTEMPORANEA A TRINITAPOLI
A una mostra di bianco e nero in Trinitapoli, alla quale hanno
partecipato artisti di fama nazionale e internazionale quali Cantatore, Ceracchini,
Di Pillo, De Chirico, Greco, Guttuso, Magnolato, Migneco, Omiccioli,
Purificato, Sarra, ecc., e che perciò si pone come una delle più qualificate
mostre grafiche italiane dell'anno, ha fatto seguito una discussione sull'attuale
situazione artistica. Alla discussione, che ha avuto luogo al Palazzetto delle Arti
di Foggia, hanno preso la parola, oltre il sottoscritto, i critici d'arte Vito Apuleo
e Duilio Morosini, i quali - di fronte a un pubblico numeroso e qualificato hanno avuto modo di mettere a fuoco alcuni tra i problemi artistici più
scottanti.
Aprendo la discussione abbiamo creduto di poter stabilire, quale punto
di partenza, il crollo internazionale dell'astrattismo: venuto alla ribalta come
elemento di rottura, esso aveva finito con l'adagiarsi in un facile modulario il
quale aveva partorito una infinita schiera di epigoni. Scaduto nell'informale e nel
materico, aveva ormai esaurito la sua funzione, che era quella di ricerca d'una
pura forma in senso assoluto e della eliminazione di ogni contenuto per amor
di purezza.
Il recupero dell'oggetto - abbiamo detto fra l'altro - è sintomo di una
ripresa, anche se la « pop-art » opera una trasposizione al posto della
trasfigurazione; abbiamo a volte delle scelte, ma delle scelte che impegnano la
riflessione come attività teoretica e pratica; non abbiamo - in molti casi l'intervento determinante della fantasia, cioè l'opera estetica quale prodotto
dello spirito potenziato come fantasia.
Apuleo, intervenendo per primo nella discussione, ha voluto anzitutto
sottolineare che l'artista, in quanto uomo del suo tempo, è impegnato nella
società; ed è quindi logico che, con l'annullarsi delle distanze e il crescere dei
contatti, la cultura artistica italiana si sia inserita in un colloquio internazionale; il
che non vuol dire - aggiungiamo - che non sia da respingere ogni
identificazione tra «internazionale» e «universale» (universale come postulazione).
Il continuo e per la scienza tipico sperimentare (spesso a vuoto) porta
all'idea di combattere la tecnica con la tecnica; senza pensare che il fatto tecnico
sovente si risolve in una trovata che perde di vista non solo il fatto estetico ma
anche la perizia artigianale. Pertanto i valori umani, secondo Apuleo,
dovrebbero essere in cima a ogni operare dell'artista.
89
Non lontano da questa prospettiva si è posto Morosini sottolineando il
bisogno di tendere alla ricostruzione dei tessuti complessi ed intimi del
rapporto fra artista e società. Il problema, toccato dai due precedenti interventi,
per Morosini diventa non solo di primo piano ma unico ed assoluto. Siamo a
una poetica che scaturisce da una precisa ideologia e che pone il fatto
economico quale fine ultimo di ogni azione.
Dal cubismo al surrealismo, per Morosini, la nuova figurazione è una
sorta di montaggio di cose diverse non decifrabili o non ancora decifrate.
L'arte, al contrario di quanto pensano certi critici impegnati e che presumono di
essere i soli rappresentanti dell'« alta cultura », ha il compito di mettere ordine,
cioè di dare una forma alle cose del mondo; quindi una situazione è valida in
quanto « vitale ».
Alle tre tesi ha fatto seguito un ampio dibattito, ora proprio e ora
improprio (monotona contrapposizione delle città artisticamente vive con la
provincia in cui le idee arrivano di rimbalzo e quando sono già scontate); esso
comunque ha servito a dar rilievo alle convergenze e alle divergenze delle tesi in
parte accennate e in parte documentariamente esposte da Apuleo da Morosini
e dal sottoscritto.
Tesi che penetrano nel vivo dell'odierna situazione artistica internazionale,
che ridimensionano certi risultati per alcuni addirittura miracolisti e che della «
pop-art », danno una visione senza dubbio congruente: frutto di un
fraintendimento, che si giustifica con la particolare vita americana, per noi
diventa un esperimento da non trascurare per Apuleo; e per Morosini essa è
una questione-base della « figurazione » oggi in discussione, perciò - sotto
questo aspetto - il fenomeno pop-art « non va guardato come un fenomeno
specificatamente ed esclusivamente americano ».
Quanto è stato oggetto dell'ampio dibattito foggiano verrà presto
pubblicato in volume perché oltre al numeroso pubblico presente, un altro più
vasto pubblico di lettori possa averne conoscenza. Fra tante « tavole rotonde »,
in cui tutti sono conformisticamente dello stesso parere, questa volta è stato
possibile un colloquio tra studiosi di diverso avviso ma che ansiosamente
cercano una via d'uscita all'empasse provocato dalle pseudocostruzioni modali e
dalla diffusa mania di voler sostituire le poetiche allo spontaneo nascere della
poesia.
La domanda, che concludendo il nostro intervento, abbiamo posto ai
colleghi e agli ascoltatori è stata questa: - La nostra è un'epoca di transizione o
di nuova rinascita?
Più che dai critici, però, la risposta ci deve venire dagli artisti, cioè dalla
loro buona fede e dalla loro volontà di essere (oltre che dalla loro fantasia): non
è possibile continuare a ridurre la produzione artistica a fenomeno
intellettualistico; quanti scelgono questa via come la più solida, sappiano che
sono destinati a formare, su piano storico, il sottobosco della nostra epoca.
GIUSEPPE SCIORTINO
GIUSEPPE SCIORTINO, critico d'arte.
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LA CAPITANATA ALLA «MOSTRA DELL'ARTE IN PUGLIA
DAL TARDO ANTICO AL ROCOCO’ »
Il dieci ottore u. s., con il presidente avv. Vittorio Panunzio, i Lions di
Foggia e le loro famiglie, si sono recati a Bari per visitare la « Mostra dell'Arte
in Puglia dal tardo antico al rococò » allestita nelle sale della Pinacoteca Provinciale al Palazzo della Provincia, dove sono stati accolti in un'atmosfera di affettuosa fraternità. Avendo per guida il dr. D’Elia, conservatore della Pinacoteca, e la sua gentile consorte, dottoressa Pina Belli D’Elia, hanno visitato la
mostra, che abbraccia quattordici secoli di arte e di storia, tanto da richiedere
da parte dei coniugi D'Elia un lungo e paziente lavoro che è durato oltre tre
anni. Il materiale reperito, nei musei, nelle chiese, e in parecchi Comuni ha
portato a interessanti e piacevoli scoperte.
Non tutto è stato possibile presentare al pubblico nei pur vasti ambienti
della Pinacoteca Provinciale. Nell'interesse della Capitanata, sulla scorta della
documentazione fotografica molto ampia in possesso al dr. D’Elia, si potrebbe
aprire un interessante discorso con le nostre Autorità.
Perché non far conoscere a tutti i tesori da noi posseduti? Perché non
valorizzarli, indicarli ai giovani i quali quanto meglio potrebbero apprezzare il
presente, se messi in condizione di meglio conoscere il passato, fuori
dall'angustia dei confini della realtà materiale che oggi ci opprime?
I frutti della sistematica e puntigliosa esplorazione della regione pugliese
(Capitanata, Terra di Bari, Terra d'Otranto) potrebbero, se portati a conoscenza di tutti, essere fecondi di risultati considerevoli.
Non è solo infatti un panorama dell'arte pugliese, distribuito in
quattordici secoli, ma un quadro sintetico della civiltà (e dell'arte) in Puglia,
regione che se pur si dimostra spesso più ricettiva che creativa, « partecipa
soprattutto per certi preziosi aspetti delle arti minori alla civiltà meridionale ».
Non potendo soffermarci su tutto quanto abbiamo visto e ammirato nei
vari saloni, e quanto abbiamo ascoltato dalla voce dei dotti e solerti accompagnatori, ci piace sottolineare la presenza notevole della Capitanata nella mostra,
e la impareggiabile bellezza di tanti capolavori, - non da tutti conosciuti -, ivi
presenti.
Hanno inviato pezzi artistici di notevole pregio: Bovino, Chieuti, Lucera,
Manfredonia, S. Giovanni Rotondo, S. Marco in Lamis, S. Agata di Puglia, S.
Paolo Civitate, Serracapriola, Siponto, Isole Tremiti, Troia, Vico Garganico.
BOVINO è presente alla mostra con un « Ostensorio » in argento
dorato del XV secolo appartenente alla Cattedrale, opera dell'orefice ascolano
Pietro Vanini, già esposta alla mostra d'arte sacra di Orvieto nel 1896; con una
tela « Martirio di S. Pietro », del XIII secolo, appartenente alla chiesa di S.
Pietro, ritenuta una delle più importanti di un « Maestro di Bovino » non
meglio identificato.
CERIGNOLA espone una tela « S. Giorgio uccide il Drago »,
appartenente alla chiesa di S. Giorgio, opera di Alessio D’Elia del quale si
hanno notizie tra il 1717 e il 1755, divulgatore in Puglia di modi e di temi
settecenteschi napoletani.
FOGGIA. Tra i pittori settecenteschi è presente Francesco De Mura
(Napoli, 1696-1782), del quale esiste in Cattedrale una «Moltiplicazione dei pani
e dei pesci ».
91
MANFREDONIA espone « L'Annunciazione » situata nella chiesa di S.
Benedetto: tela opera del celebre pittore napoletano Ippolito Borghese, di cui si
posseggono notizie limitatamente al periodo 1601-1621.
S. GIOVANNI ROTONDO presenta alla mostra un bacile di rame
sbalzato, del diametro di cm. 41, recante la scritta in lettere romano-Onciali «
Rahe wis Knbi », interpretato dal Savini in « Die Ra(c) he w(e)is (zt)kn(e)be "La
vendetta sa afferrare" »: al centro del bacile un'« Annunciazione ».
SAN MARCO IN LAMIS con una « Croce Processionale » della Chiesa
Matrice, opera di oreficeria aquilana del XV secolo, totalmente inedita, avente la
« forma tipica delle croci abruzzesi del XV secolo e si rifà da vicino ai modi di
Nicola da Guardiagrele ».
SANT'AGATA DI PUGLIA è ricordata per un « Presepe » in pietra,
opera dello scultore Stefano da Putignano (notizie tra la fine del '400 e il 1530)
e per una inedita «Madonna del Carmine» opera del pittore Pacecco De Rosa
da Napoli (1580-1656).
S. PAOLO CIVITATE è presente alla mostra con un legno dipinto e
dorato raffigurante « S. Rosalia », opera di intagliatore napoletano del XVII secolo. Si tratta di «un tipico esemplare della scultura napoletana che tanto favore
incontrò in Puglia, e particolarmente in Capitanata, durante i secoli XVII-XVIII
».
SERRACAPRIOLA presenta un « trittico»: le tavole raffigurano una «
Madonna col Bambino », « S. Caterina (?) », « S. Mercurio ». L'opera era del
tutto sconosciuta, situata com'era, nella Chiesa di Mercurio, molto in alto, quasi
nascosta dietro il coro. Il trittico è stato attribuito al pittore Francesco da
Tolentino, del quale si hanno scarse notizie e limitatamente al periodo
1525-1530.
SIPONTO con il celebre « Crocefisso ». E’ una scultura lignea del XIII
secolo che mostra nella parte superiore « una impostazione formale
prettamente bizantina » e nella parte inferiore motivi oltremontani. Il «
Crocefisso » apparitene alla Chiesa di S. Leonardo.
TREMITI esibisce elementi di un polittico (dalla Chiesa di S. Maria) la
cui esecuzione, attribuita a un abile maestro veneziano, sarebbe da fissare tra il
1450 e il 1460.
TROIA è rappresentata da un prezioso Cofanetto in avorio e bronzo
dorato attribuito « ad arte mussulmana » e datato tra l'XI e il XIII secolo; da
una « Pisside » in avorio e bronzo dorato, appartenente alla « Cattedrale », dai
due celebri « Exultet », rotoli membranacei con scrittura beneventana e
miniature, che furono restaurati, per interessamento del compianto prof.
Beniamino D'Amato, e presentati alla « Mostra Storica della Miniatura Italiana »
del 1953 in Roma. Si attribuiscono all'opera di un miniatore meridionale del
XII secolo. Ancora appartenente alla Cattedrale di Troia è un « Fermaglio per
piviale » in rame con smalti. Finora trascurato negli inventari del tesoro della
Cattedrale è stato giustamente valorizzato trattandosi di « uno dei rari smalti
quattrocenteschi esistenti in Puglia ». E’ « da collocare in ambiente abruzzese
sulla metà del '400 ».
VICO DEL GARGANO partecipa con una tela (appartenente alla
Chiesa dei Cappuccini ove decora il monumentale altare marmoreo)
raffigurante « L'Annunziata e l'Angelo » reca la sigla « Vaccaro » ed è da datarsi
intorno al 1650.
LUCERA. E’ la città di Capitanata meglio rappresentata, esponendo:
uno
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sculto, opera di artista napoletano del XIV secolo, raffigurante un guerriero
giacente, nel quale per molto tempo la tradizione ha ravvisato Carlo II, monarca angioino, mentre piú recenti studi vedono nel guerriero lucerino Giovanni
Pipino, distruttore della Lucera saracena; ricami Enissimi che abbellivano la
stola e il pettorale del camice del beato Agostino Kazotic, vescovo di Lucera
(1322-1323); un dittico in lamina d'argento sbalzata e cesellata, su struttura lignea, con inserti di smalti e traccia di doratura, del XIV secolo, appartenente
anche questo alla Cattedrale e raffigurante la « Crocefissione e Cristo in trono
fra i simboli degli Evangelisti», esemplare di oreficeria sulmonese; una tavola
raffigurante una «Madonna in gloria, S. Giovanni Evangelista e S. Nicola», che
nel catalogo della Mostra è attribuita, contro il parere espresso da vari studiosi,
a Fabrizio Santafede, come del resto si deduce anche dalle sigle F. S. che sono
venute alla luce nel corso di una pulitura del quadro».
Di Lucera (Convitto Nazionale) è anche la tela di un artista seguace del
Solimena, «Visione di S. Benedetto», da datarsi intorno al 1750; una tela
l'«Addolorata» di De Mura, situata nella Chiesa del Carmine, e un legno dipinto,
della Chiesa di S. Domenico, raffigurante «S. Giuseppe e il Bambino», opera
dello scultore Giacomo Colombo, napoletano che operò tra la fine del
seicento e i primi decenni del '700.
La Mostra, che per la prima volta riunisce tanti tesori appartenenti alla
Puglia, è documentata dal Catalogo. (Angelo Celuzza)
ONORANZE ALLA MEMORIA DI NICOLA ZINGARELLI
Nel 1960, centenario della nascita di Nicola Zingarelli, il Comitato
cerignolese della «Dante Alighieri», presieduto dall'avv. Luigi Borrelli,
coadiuvato dalle autorità cittadine, riuscí a realizzare un programma celebrativo
che in un primo momento era sembrato troppo ambizioso. Detto programma
prevedeva l'innalzamento di una stele col busto bronzeo dello Zingarelli, la
pubblicazione di un'opera inedita dell'insigne dantista e la stampa di un volume
di scritti in sua memoria. Il monumento è stato inaugurato il 19 aprile 1964,
con un grande concorso di pubblico e di personalità del mondo politico e
culturale; il discorso commemorativo, in quella occasione, fu detto dal prof.
Salvatore Battaglia, il quale lumeggiò egregiamente la figura e l'opera di Nicola
ZingareIli.
Ma senza dubbio i risultati più cospicui che si sono avuti nel quadro delle
onoranze che Cerignola ha tributato a Nicola Zingarelli sono costituiti dalle
pubblicazioni sopra ricordate; la prima consiste in un commento alle Rime del
Petrarca, ponderoso e diligentissimo lavoro a cui l'illustre studioso aveva atteso
negli ultimi anni della sua vita e che aveva lasciato inedito. Il manoscritto,
custodito nella Biblioteca Provinciale di Foggia, è stato sottoposto, prima della
stampa, a un'accurata e paziente revisione, specialmente nella parte bibliografica,
dove molte abbreviazioni di nomi propri e di titoli di opere dovevano essere
controllate e trascritte in una forma chiara e intelligibile; sebbene il lavoro fosse
stato compiuto interamente dall'autore, certi dettagli non avevano ancora
ricevuto la loro sistemazione definitiva. Questo commento petrarchesco,
93
stampato in una nitida ed elegante edizione dalla Casa Zanichelli, presuppone
tutte le minuziose ricerche e gli studi condotti dallo Zingarelli sulla poesia provenzale e duecentesca e particolarmente su Dante; di qui la costante ricchezza
dei richiami e de i riferimenti che testimoniano la complessità e la molteplicità
dei rapporti tra la poesia petrarchesca e la cultura medievale. Il volume ha
avuto una lusinghiera accoglienza da parte degli studiosi, il che chiarisce l'importanza del contributo che, sia pure a tanti anni dì distanza dalla sua morte, lo
Zingarelli è venuto a dare agli studi petrarcheschi.
Non minore importanza ha il volume miscellaneo pubblicato a cura del
Comitato per le onoranze a Zingarelli. Stampato nella tipografia Cressati di
Barì, il volume comprende scritti di varia umanità in onore di Zingarelli. La
raccolta è divisa in tre sezioni: nella prima figurano scritti dedicati allo Zingarelli
filologo, critico e maestro esemplare; nella seconda saggi vari di critica e di filologia; nella terza scritti rari o inediti dello stesso Zingarelli. A un saggio biobibliografico di Mario Pensa seguono scritti su Zingarelli e l'Enciclopedia Italiana (B. Migliorini), su Zingarelli interprete del Leopardi (V. Terenzio), su
Zingarelli e i problemi della tradizione folklorica e della tradizione letteraria (A.
Viscardi); altri aspetti dell'opera e della personalità zingarelliana sono lumeggiati
da M. Vocino, G. Devoto, F. Piccolo, G. C. Rossi, G. Toffanin, M.
Vinciguerra. Nella seconda sezione figurano saggi cospicui di L. Anceschi (sul
pensiero estetico di P. Carabellese), di A. Del Monte (su Tristano e la Bibbia),
di F. Flora (sul Pascoli poeta cosmico), di R. M. Ruggeri (Armi ed amori dalla
piazza alla Corte), di R. Spongano, di M. Vitale. L'ultima sezione del volume
comprende uno scritto inedito dello Zingarelli sull'Ariosto studente di
giurisprudenza e vari saggi in parte pubblicati in opuscolo o su riviste
filologiche la cui difficile accessibilità ha reso opportuna in questa sede la
ristampa. (Vincenzo Terenzio)
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L I B R E RIA
Documenti e monografie
della Biblioteca Provinciale di Foggia
Come annunziammo con una pagina pubblicitaria, alla fine dello scorso
anno sì pubblicò il primo volume di questa collana, deliberata dalla
Commissione per l'amministrazione straordinarla della nostra Provincia (*).
Senza affanno, col ritmo consentito dalla contingenza, anche la Biblioteca
Provinciale deterge i suoi mss. dall'annosa polvere dell'oblìo, per offrirli alla
conoscenza di una più vasta cerchia di lettori.
« Documentì e Monografie » sì aggiungono, pertanto, alle altre pubblìcazioni ufficiali del nostro Ente, che dal 1952 ha potuto costituirsi un
patrimonio editoriale apprezzabile non soltanto per il valore pratico dei testi,
ma anche e soprattutto, per il significato politico di un'attività culturale, che non
può essere più considerata marginale della P.A. Molto a proposito, per ciò,
ricorre la presentazione del volume, al quale facciamo seguire la « Premessa » di
Mario Simone alle sue dotte notazioni che, anno per anno, illustrano il diario,
con dovizia di riferimenti bibliografici e di rilievi critici.
PRESENTAZIONE
La collana " Documenti e Monografie della Biblioteca Provinciale dì Foggia ?, deliberata dalla Commissione Straordinaria per l'Amministrazione Provinciale di Capitanata
-, non documenta soltanto l'adeguarsì di questo Ente all'indirizzo politico-amministrativo, che
riconosce nella Cultura un pubblico servizio di primo grado. E' - e vuol essere considerata testimonianza di fede civìca, di riconoscimento ufficiale dei valori di una Terra, come questa
dauna, che tanto illustre quanto duramente provata dal clima e dalle guerre, grida le sue
rivendicazioni dalle pagine della sua millenaria vicenda.
Un atto di giustizia riparatrice e ad un tempo di omaggio umano sentiamo, dunque,
di compiere oggidì, schiudendo aglì studiosi ed ai lettori
(*) G. A. e A. TEDESCHI, Diario 1799-1829. Presentazione di Ermete Cerza.
Notazioni di Mario Simone. Foggia, Amministrazione Provinciale, 1963. In 8, pp. 152
con 4 tavv. f. t. e cop. fig. - s.p.
95
in genere quelle latébre del nostro passato, che dalle vecchie, ingiallite carte riprende forma e
sostanza al calore dei nostri interessi culturalì, rinvigoriti dal servizio politico, che richiama
alla lezione della Storia.
Ermetica fino a ieri, la Sezione dei manoscritti nella Biblioteca Provinciale di Foggia
ha richiamato la nostra curiosità di intellettuali e di pubblici amministratori meridionali con
più di un documento, che riteniamo fondamentale per questa Provincia. Tali sono
indubbiamente Capitoli e statuti per la Città di Foggia, raccolti lo scorso secolo per le cure
dell'avvocato umanista Saverio Celentano, e Notizie per il buon governo della Regia
Dogana dell'altro giurisperito conterraneo Andrea Gaudiano. Da una parte la necessità di
condurre un esame critico su le scritture (anche comparativo tra i numerosi esemplari esistenti
del Gaudiano) e di trascriverle prima di darle alla stampa, dall'altra il proposito di
contribuire alla illustrazione del periodo risorgimentale in Capitanata, hanno consigliato, per
ora, di pubblicare questo "Diario" dei fratelli Tedeschi su gli avvenimenti che dal 1799 al
1829 si svolsero nel Sud-appennino, con riguardo particolare ad Ascoli Satriano.
Essi sono specialmente commendevoli per la risonanza che ebbero in tutto il Regno e
per l'attesa degli studiosi e dei conterranei di averne notizia dalla pubblicazione del chirografo
che, donato molti anni or sono dal benemerito dottore Pasquale Rosario alla Biblioteca
Comunale di Foggia, dopo la sua fusione con quella Provinciale, vede oggi la prima volta la
luce per le cure di Mario Simone, inaugurandosi la presente collana.
ERMETE CERZA
Dott. ERMETE CERZA, vice prefetto, presidente della Commissione per
l'Amm.ne Straordinaria della Provincia di Foggìa.
PREMESSA ALLE NOTAZIONI
La presente edizione fu condotta sull'originale del fondo « manoscritti »
della Biblioteca Provinciale di Foggia, trasferitovi dalla « Comunale » al tempo
della sua incorporazione a quella (v. l'opuscolo da noi curato: La Biblioteca
Provinciale di Foggia, Foggia, Studio Editoriale Dauno, 1957). In un secondo
tempo presso il dott. Pietro Rosario in Napoli, tra alcune dispense della Storia
di Puglia: dall'Ofanto al Carapelle del suo illustre genitore, scovammo la
ventiduesima della seconda parte (Ascoli Satriano nell'evo medio e moderno. La Diocesi
e il Collegio elettorale politico) íntitolata Diario contemporaneo senza altri elementi storici
e bibliografici idonei a ragguagliare i lettori sulla provenienza del chirografo,
pubblicato con quella insufficiente indicazione. Nello stesso fascicolo erano
compresi una relazione giudiziale sui fatti ascolani del 1799 e le prime lettere di
un carteggio del Duca Trojano Marulli con i Reali di Napoli e personalità politiche del tempo di Ferdinando IV (v. Bibliografia). L'opuscolo, come
96
gli altri della stessa serie e quelli su diversi argomenti, è relitto della soda e
dignitosa cultura del Rosario 1.
Il ms. è costituto di due quaderni di carta-pezza uniti in rilegatura, che sul
dorso di pelle reca in oro: Comune di Ascoli Satriano - Tedeschi: Diario 1799-1829 Dono del dott. Pasquale Rosario. Il primo quaderno (cm 12x18) ha pp. 172,
numerate fino a p. 171 con scrittura diversa da quella delle annotazioni, che
s'iniziano a p. 1 con la data del 5 febbraio e terminano a p. 165 con quella del
primo marzo 1806. Le restanti pp. 166-171 sono bianche. Il secondo quaderno
(cm. 13,5x19,5) ha pp, numerate da 172 a 405, con annotazioni da quell'ultima
data a « tutto febbraio » 1829; bianche le restanti pp. fino alla 414. La scrittura è
di due tipi, che si possono attribuire ai due compilatori, fratelli Tedeschi:
Giuseppe Antonio, che scrisse fino al 6 giugno 1799, ed Ermenegildo,
intervenuto per la malattia di lui, che non vedrà la catarsi degli avvenimenti
vissuti. Ma le due prime pp. (5-19 febbraio) sono di grafia del notaio e
mancano alcune pagine di marzo-aprile 1822. Non vi è dubbio che scrivesse
l'Ermenegildo col medesimo senso di responsabilità sociale richiesto da un
rogito: ne fa fede la forma di alcuni passi ed è proclamato con enfasi
nell'indirizzo ai « posteri » datato 1814.
Ma chi erano questi fratelli Tedeschi? Tace per loro l'archivio
parrocchiale antico in riordinamento. Il diario offre pochi dati anagrafici.
Giuseppe Antonio era accolito (chierico che ha ricevuto il quarto degli ordini
minori); al suo decesso (27 luglio 1799) contava ventuno anni. Ermenegildo,
notaio e procancelliere della Università, aveva un figlio, Bartolomeo, nato nel
febbraio 1799. Essi aderirono ai tempi nuovi e per tanto il primo fu
municipalista nell'Amministrazione del 6 maggio 1799 e il secondo militò nella
Guardia Civica del Decennio, guadagnandosi entrambi la destituzione dagli
uffici pubblici che occupavano e poi la riabilitazione dallo stesso Governo
borbonico.
Del notaio si conservano i protocolli, a incominciare dal 1786 fino al 1829,
anno in cui a febbraio si arresta il diario (Arch. di Stato, sez. giud. in Lucera
Prot. not. n.ri 2386-2424). Antonio Lucarelli scoprì un Angelo Tedesco di Ascoli
S., amico del famoso abate Minichini e partecipe della sedizione militare liberale
con Michele Cutinelli di Lucera e con Pasquale Baselice di Biccari; egli ci ha
tramandato anche il nome di un Carlo Tedeschi, forse fratello del primo,
compreso nella lista dei Pugliesi extraregnati, cioè colpiti dall'esilio (La Puglia nel
Risorgimento, vol. II, pp. 120, 170). Può darsi che fossero discendenti del Nostro
la cui famiglia sembra emigrasse in Principato Ultra (il suo casato è tuttora
presente ad Avellino).
A patrocinare l'edizione del diario presso la Società Dauna di Cultura,
che la proponeva alla Biblioteca Provinciale, e a corredarla di note ci indusse
anzitutto l'esigenza generale degli studi. Infatti, se il trentennío percorso dai
fratelli Tedeschi riproduce fatti, sentimenti, pensierì
1 Il 1875, in un edificio « sopra S. Potito » del suo sfortunato paese, il Rosario
allestí una sala archeologica e di pubblica lettura, donando al Comune le sue collezioni,
vascolare e libraria (altri libri furono donati dagli Eredi).
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comuni a tutta la società meridionale all'inizio del suo processo formativo in
nazione, il ruolo svolto nel Regno dal feudatario di Ascoli, duca Trojano
Marulli, e la sua responsabilità, sia pure indiretta nel doppio giuoco
dell'agente-baronale, nella conseguente carneficina dei patrioti e nella iniziale
indifferenza della Legge, fanno sì che, comparata alle cronache di altri paesi del
Sud, questa non poco aggiunge a tutto quanto è noto agli storici di quel
periodo2. Si consideri, poi, che, pur doviziosa di tantì altri beni, la Capitanata
continua ad essere povera di monografie le quali, oltre la stereotipata leggenda
diomedea e le chimere degli annalisti medievali, ci scoprano l'intimo suo
travaglio verso una organizzazione civile adeguata alla ragione dei tempi nuovi,
promossi anche dai martiri conterranei. Ogni pubblicazione, che si aggiunge alla
esigua bibliografia sulla Regione e ne segna il suo difficile avanzare, è pertanto
conquista di Cultura3. C'è, poi, la peculiarità del diario che, sebbene scevro di
alcun senso della Storia e corredo di belle lettere, esibisce un caratteristico e
inedito panorama in cui a tutte le altre solite componenti si aggiunge un fattore
insolitamente registrato, sia pure senza la consapevolezza della sua influenza, a
volte determinante, sulla condotta umana. E c'è il sapore, che la prosa del
notaio riesce a darci del clima fisico e morale di Ascoli, e fa del suo repertorio
intimo un documento singolare e stimolante a meditare sull'assurdo, tuttora
operoso nelle società provinciali al di qua e al di là del faro. « Si trattava di un
paese », ricordiamo con G. M. Galanti, che scriveva il 1792, « dove il Governo
non è l'opera della sapienza civile, ma un avanzo di calamità di molti secoli », di
un ambiente sociale in cui « le persone piú distinte serbano un tono di puerilità e
generalmente tutti un certo egoismo, che li rende poco sensibili al bene della
patria ». Si vedrà come e quanto la diagnosi di quel famoso visitatore possa
riferirsi all'antico Contado angioino, che nell'ultimo Settecento di sotto
l'investituta servile scopre il fermento di una società nuova, tributaria di libertà e
dì sangue alla legge dell'avvenire.
Nelle notazioni, che seguono, rilevando gli stati d'animo, le opinioni e i
silenzi, anch'essi molto eloquenti, del diarista, se ne colgono le ispirazioni, le
fonti, la dialettìca. Qui basti osservare che, vivendosi la breve, abbagliante
giornata di Giuseppe Antonio e quella piú lunga e cupa di Ermenegildo
Tedeschi, il più grande e implacabile protagonista ci appare la natura, da tanti
secoli ostile alla gente dell'alta Puglia. Il notaio vi ravvisa una testimonianza di
Dio, vindice degli errori terreni, che invece sono effetto di quella e, di pagina in
pagina, tentando di respingere la lotta politica approdante alla sua coscienza,
come un certosìno rileva
2 La strage di Ascoli del 1799 fu taciuta furbescamente dai cronisti sincroni di parte
regia e ignorata dagli altri, compreso il diarista De Nicola, pur sensibile all'eco delle
provincie. E' poi sfuggita finanche alla insigne Valente, che avrebbe potuto tenerne conto
nell'esaminare la condotta politica del Duca D'Ascoli (Gioacchìno Murat… v. Bibliografia). Vi
fece accenno il Caggese, ma l'editore gli rese un cattivo servigio, stampando 1789 invece di
1799 (v. in Appendice del presente quaderno).
3 Con iniziativa, poi trasmessa al C.E.S.P., nel 1940 lo Studio Editoriale Dauno
risollevò gli studi storici in Capitanata, meritandosi il patronato dell'Istituto per la Storia
del Risorgimento.
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i disordini atmosferici, con riguardo particolare all'andamento stagíonale delle
culture, che ha sempre inciso sul corso della Storia nel Tavoliere. Quel
personaggio dolce e amaro, amato e odiato a seconda dei benefizi e malefizi
portati dai suoi interventi, finisce col rimanere unico e solo in iscena ad
occupare lo spazio della ultima scritturazione, dandoci cosí la esatta dimensione
del dramma svoltosi sull'acrocoro dauno nelle rilevate circostanze politiche, per
un giudizio meno frettoloso e severo di quello, che il romanticismo patrio
suggeriva fino all'altro ieri sulla stabile contraddizione meridionale.
Non si può escludere, dunque, che queste pagine diano un contributo
alla Storiografia meridionale, pur senza il prestigio di magia che il nome di un
grande autore potrebbe avvalorare. Nel modesto inventario editoriale del
Risorgimento in Capitanata il Subappennino, finora assente, vi entra con questo
diario, avendo per fideiussori i fatti, controllati dalla critica, sí che, nonostante il
carattere tutto affatto locale della cronaca e le lacune e le altre mende, esso
aggiunge un nuovo documento ai molti altri che illustrano l'inizio della
emancipazione meridionale.
Ma se pure trascurabile fosse l'apporto dei fratelli Tedeschi alla configurazione della vita in provincia tra il Sette e l'Ottocento e alla sua significazione politica, per l'adesione alle idee nuove; se pure irrilevante fosse il
loro atteggiarsi modernistico allo schiudersi lassú della crisalide borghese, il
presente quaderno, pubblicato dalla benemerita Amministrazione di Ascoli,
rimarrebbe lo stesso un valido segno di sdebitamento e d'iniziativa della nostra
generazione.
Quale criterio e metodo abbiamo adottato, curando questa edizione che,
per le cose innanzi dette, è la prima ad affacciarsi al mondo della libreria
nazionale? Convinti che la sua importanza storica e demopsicologica prescinde
dalla forma e che purtuttavia questa gli conferisce valore non trascurabile;
sensibili alla esigenza editoriale di presentare ai non « specializzati » una lettura
piú tollerabile di quella offerta dal manoscritto, si è cercato di sollevare il testo a
livello del moderno linguaggio parlato, lasciando nella originaria frase arcaica i
temi piú singolari, come quello meteorologico. Quindi si sono riordinati i
paragrafi corrispondenti al calendario e si sono dati loro titoli idonei ad
enunciarne il contenuto. Al testo si è per ultimo apportato un sussidio
esplicativo piú generoso della solita nota, allo scopo di verificare le registrazioni
e collocarle nella cornice dei tempi.
Cosí rinfrescato, articolato e corredato, senza aver subíto l'onta di un
tendenzioso restauro, il solitario monologo dei fratelli Tedeschi potrà forse
contribuire alla rinascita di Ascoli, promossa dall'Amministrazione democratica.
MARIO SIMONE
MARIO SIMONE, pubblicista.
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Il « Libro Rosso » della Città di Foggia
Ricostituitasi a Palazzo Dogana l'Amministrazione elettiva questa non si è
sottratta all'impegno della Commissione per la gestione straordinaria di mettere
in luce gli inediti della Biblioteca Provinciale. Pertanto, su proposta della
Direzione di quest'ultima, ha destinato alla stampa un secondo manoscritto,
affidando la cura della edizione critica al dottor Pasquale di Cicco.
Ai lettori di « La Capitanata » non suona certamente nuovo questo
nome. Esso è legato alla raccolta dei Capitoli e Statuti della Città di Foggia che,
pervenuta da casa Celentano all'antica Biblioteca Comunale del Capoluogo
dauno, per l'incorporamento di quella nella Biblioteca Provinciale, fa parte del
suo cospicuo fondo di manoscritti.
Fin dallo scorso,anno il dott. Di Cicco ha trascritto i documenti e se n'è
diffusamente occupato in questa rassegna, pubblicando i due capitoli che
aprono il seguente sommario del libro:
PARTE I - Introduzione: 1) Il Libro Rosso; 2) Il Governo ed il Reggimento
dell'Università nei secoli XV-XIX.
PARTE II - Documenti tratti da « Capitoli e Statuti della Città di Foggia »:
Concessioni diverse del Re Ferrante d'Aragona alla terra di Foggia (1465); 2)
Capitoli di Re Federico d'Aragona (1499); 3) Concessioni del Viceré Consalvo
Ferrante (1504); 4) Grazie ecc. del Re Ferdinando il Cattolico (1507); 5) Varie
prerogative di Foggia confermate da Carlo V (1533); 6) Privilegi concessi da Carlo
V (1533); 7) Privilegio del Viceré Pietro di Toledo (1538); 8) Concessioni del
Viceré Pietro di Toledo (1541); 9) Capitoli provisionalì del Reggente Villanova
(1559); 10) Distretto di Foggia (1334); 11) Fiera di Foggia (1551); 12) Capitoli
del vino (1407); 13) Capitoli del forno (1467); 14) Capitoli della carne (1467);
15) Capitoli della porta (1467); 16) Capitoli della baglìva (1485); 17) Capitoli
della farina; 18) Capitoli della catapania.
PARTE III - Appendice: a) Descrittione di quanto deve fare il Mastro Giurato, e suoi
compagni nell'anno del suo governo di Foggia; b.) Governanti dell'Università dal
1600 al 1806.
Il dott. Di Cicco è direttore da un sessennio dell'Archivio di Stato di
Foggia, il più importante del Mezzogiorno, dopo quello napoletano,
soprattutto per la nostra storia economica. Succeduto al dott. Caruso,
funzionario di grande valore, oggi soprintendente a Napoli, il giovane archivista
di Stato, che è nativo di Maddaloni, è stato subito conquistato dalle vicende
storiche del Tavoliere e di Foggia, che con la Dogana delle Pecore costituiva
l'ombelico dell'ex Rearne. Documento dei nuovi interessi suscitatigli dalla sede
del suo ufficio, sono i suoi vari contributi, già apparsi per le stampe o in via di
pubblicazione, intitolati: Un documento di molto valore per la storia del Tavolìere di
Puglia e della Dogana delle Pecore; Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia
(1785-1865); Il primo istituto governativo di credito agrario del Regno di Napoli (Il Monte
frumentario di Foggia); La Ricevitoria del Tavoliere di Puglia; Produzione della lana nella
Dogana di Foggia e relativi rapporti commerciali con Terra di Lavoro nella seconda metà del
Seicento, oltre quello che oggi annunciamo e che rappresenta l'unico lavoro
scientifico sulla pubblica amministrazione di Foggia nei secoli XV-XIX.
Il volume, con le caratteristiche della collana portate da quello
precedente, costituito di circa 160 pp. con tavole f.t., sarà pubblicato nella
seconda metà del 1965. Sarà distribuito dalla Biblioteca Provinciale.
M. S.
100
CRONACHE DELLA CULTURA
Il riordinamento della Società Dauna di Cultura
Il 30 ottobre 1947, convocato dallo Studio Editoriale Dauno di Antonio
Simone, e per sua proposta, il I Convegno Provinciale degli Scrittori ed Artisti
della Daunia, ospitato dalla Camera di Commercio, diede vita alla Società
Dauna di Cultura, con lo scopo di coltivare, promuovere, favorire e documentare l'attività scientifica, letteraria, artistica nella nostra provincia. Al suo attivo si
ricordano, tra le altre più importanti manifestazioni: la I Mostra Collettiva di Arti
Figurative in Capitanata, i tre Convegni per la protezione e valorizzazione del patrimonio
storico, artistico e archeologico, il I Convegno nazionale di Studi Fridericiani, che aprì la
serie dei fortunati congressi storici pugliesi, promossi dalla Società di Storia
Patria per la Puglia, le Celebrazioni risorgimentali del 1848, il Premio nazionale di
Poesia « Umberto Fraccacreta» attribuito negli anni 1953 e 1957.
Sulla soglia del suo diciassettesimo anno di vita, l'ente avvertiva l'esigenza
di perfezionare la sua struttura e imprimere nuovo vigore alle iniziative, perché
meglio fosse sentita la sua presenza, quale istituto rappresentativo della cultura
di Capitanata. D'altra parte, s'imponeva la ricostruzione degli organi direttivi e
di sorveglianza, essendosi di essi ridotta la consistenza numerica e la
funzionalità.
Per provvedere in conformità di siffatta situazione e delle nuove
esigenze, il 5 aprile c.a., nella sede sociale di Palazzo Acquedotto, si riuniva
l'assemblea generale, diretta dal vice presidente prof. Soccio, essendo impedito
da grave lutto il presidente, Michele Vocino.
L'avv. Mario Simone, che dalla fondazione ricopre la carica di
consigliere e responsabile della Segreteria generale, esponeva l'attività dell'ultimo
periodo della vita sociale, resa difficile dai nuovi oneri causati dalla perduta
ospitalità della Camera di Commercio, in seguito alla demolizione della sua
vecchia sede. La condensiamo nei seguenti paragrafi: Biblioteca-Emeroteca Modesti gli incrementi bibliografici, per difficoltà di bilancio. Contratti alcuni
abbonamenti, per non interrompere le collezioni, e acquistata qualche opera di
antiquariato. Notevoli i doni del Ministero dalla P.I., di enti e ditte industriali.
Mostra pugliese dell'età risorgimentale (Bari, autunno 1959). Si è collaborato, quale
ente di selezione e di raccolta di materiali e con materiali propri. Convegno italoalbanese (Bari, aprile 1960) - Vi si è ricordato l'apporto culturale «pro-libera
Albania,» del prof. Marchianò, per molti anni docente nel Liceo «Lanza» di
Foggia e presentata una tesi di laurea sul dialetto di Casalvecchio di Puglia,
discussa innanzi l'Università di Bari. Manoscritti Villani e Altamura (1960, 1963) Rintracciati e assicurati al Comune di Foggia: il «Diario Patrio» di Casa Villani,
costituito da 47 fascicoli mss. dal 1800 al 1907 e alcune cartelle di
101
autografi e altri documenti di F. Saverio Altamura. Edizioni - Dopo il «
Fraccacreta » di Carlo Gentile e Simone, nella collana « Nuovi Scrittori Dauni »
è apparso il quarto volumetto: Zuppa, « Giuseppina Carillo, poetessa
dell'amore divino ». La Società, senza assumersi oneri finanziari, dava il suo
patrocinio alla collezione « Biblioteca Dauna » e alla serie « Dogana e Tavoliere
di Puglia », compresa nella « Miscellanea giuridico-economica meridionale ».
Onoranze alla memoria di Michele Bellucci (1960) - Con riferimento alle
manifestazioni promosse dalla Società e svolte in più tempi dal 1950 a
Manfredonia, si è ottenuta da quel Comune la concessione gratuita dell'area, per
la costruzione della tomba. Celebrazione centenaria dell’Unità (1960-61) - La
costituzione in Foggia di un Comitato tra gli esponenti delle associazioni di ex
militari, e la crisi amministrativa comunale e provinciale frustravano l'azione
societaria, che nel 1948, per il centenario della Rivoluzione italiana, era stata ricca
di risultati positivi. Purtuttavia si è promossa la celebrazione di tre figure madri
del Risorgimento Dauno: Saverio Altamúra, Saverio Barbarisi, Vincenzo Lanza.
Celebrazione del VII centenario di Manfredonia (1962) - Con la sezione « Michele
Bellucci », promossa la celebrazione del VII centenario di fondazione di quella
città. Terzo convegno per la protezione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e
archeologico della Daunia (1962) - Svoltosi il 30 maggio a Manfredonia, relatore il
proboviro avv. Mario Prignano, presente il prof. Molajoli, direttore gen.le alle
A. e B.A. presso il Ministero della P.I. Antichità e Opere d'Arte -Ripetuti gli
interventi presso il Ministero della P.I. e le due soprintendenze interregionali,
per la istituzione a Foggia di un loro uffìcio. Biblioteca-Museo di Ascoli Satriano Ottenuti il restauro e il riordinamento, con sollecitazioni verso quel Comune e
la Soprintendenza Bibliografica di Puglia e Lucania. Diario Tedeschi - Ottenuto
che l'Amministrazione Provinciale di Foggia desse alle stampe il manoscritto,
posseduto dalla sua Biblioteca.
Al termine di un'ampia e serena discussione, su proposta del prof.
Soccio, si è ravvisata la opportunità di rinviare la ricostituzione degli organi
statutari e di affidare a un Comitato di gestione straordinaria il compito di: 1)
assicurare una sede stabile all'ente; 2) modificare lo statuto sociale, abolendo
l'ordinamento in classi per agevolare l'iscrizione dei soci effettivi; 3) elaborare
un programma di attività da svolgere nel corrente anno; 4) istruire le pratiche
per l'ammissione di nuovi soci, da proporre alla prossima assemblea; 5)
convocare l'assemblea generale, per la elezione degli organi ordinari dell'Ente e
per le altre opportune deliberazioni.
Alla unanimità erano chiamati a farne parte il notaio avv. Alessandro Imperati, il dr. Domenico Lamura, il rag. Alfredo Massa, l'avv. Mario Simone e il
dr. Vincenzo Terenzio.
Come tutte le altre precedenti manifestazioni della Società, anche questa
assemblea suscitava larga eco nella stampa nazionale e locale. Di quest'ultima, le
dedicavano editoriali e servizi: « Il Foglietto » (dir. Mario Ciampi), « Il Corriere
di Foggia » (dir. Giuseppe Spagnuoli), « L'Eco di Foggia » (dir. Gaetano
Matrella), « Il Gazzettino Dauno » (dir. Maurizio Mazza). Tra i quotidiani, oltre
« Il Tempo » (red. Follieri e Tibollo), « Il Messaggero » (red. Ciccone), « Il
Mattino » (red. Mazza), « La Gazzetta del Mezzogiorno », con un articolo di
apertura del collega Anacleto Lupo, iniziava una inchiesta su la cultura in Capitanata e la funzione della Società Dauna. Al concludersi del 1964 avevano
collaborato con interviste ed articoli: il dott. Domenico Lamura, la prof.ssa
Giulia Di Leo-Catalano, l'avv. Romualdo Laporta ed altri. (Dauno)
102
Le « deformazioni » dello Stato contemporaneo
in una conferenza di Michele Cifarelli
Alcune tra le preoccupanti deformazioni dello Stato contemporaneo, che
costituiscono vere e proprie disgregazioni dello stesso, con insorgenti fenomeni
di tipo feudale, sono state oggetto della conferenza che la sera del 9 dicembre
ha tenuto a Lucera l'avv. Michele Cifarelli, su invito della locale Sezione dell’U.D.A.I. (Unione degli Avvocati d'Italia).
L'avv. Mario Follieri, presidente di quella Sezione dell'UDAI, dopo il saluto all'oratore, ha posto in luce l'intento di discussione democratica concreta,
che hanno le iniziative dell'UDAI. E ricollegandosi a tale funzione della nuova
organizzazione della professione forense, Cifarelli ha detto che, per tanti
problemi, un po' tutti i cittadini sono d'accordo nel rilevarli e forse anche nel
sapere quali soluzioni andrebbero adottate. Manca, però, la possibilità di varare
anche le più semplici di tali soluzioni, perché l'opinione pubblica è disorganizzata, e i partiti politici pensano ad altro, e le correnti, nelle quali essi sono divisi,
si fanno la guerra come al tempo dei baroni rissosi, che impedivano la normale
vita del popolo, nei secoli del Medio Evo.
Cifarelli ha, pertanto, sottolineato l'esigenza che la UDAI e altri
organismi democratici agiscano come «centri di pressione» col mettere a punto
progetti di legge, cioè soluzioni aggiornate e concrete (con riferimento anche a
quanto si è già fatto in altri Paesi), per chiedere cosi alla classe politica di
pronunciarsi, cioè «prendere o lasciare», ed in tal modo influire su di essa in
modo determinante e urgente.
Una esemplificazione di quanto si può e si deve fare, Cifarelli l'ha
presentata riferendosi ai partiti politici, ai sindacati, agli enti pubblici. Occorre egli ha detto - che i partiti siano compresi nell'ordinamento giuridico. Indispensabili in una società democratica, tramiti necessari per la formazione popolare
della volontà dello Stato, i partiti devono essere regolati dalla legge e ciò con un
«regolamento tipo», che ne garantisca il funzionamento pubblico, in modo che
l'inderogabile necessità di provvedere al loro funzionamento non divenga la
copertura di abusi di ogni genere e l'incentivo alla corruzione, che ammorba la
nostra vita pubblica.
Quanto ai sindacati, Cifarelli ha chiesto l'attuazione della Costituzione
circa i presupposti ed i modi del loro giuridico riconoscimento, nonché circa il
diritto di sciopero e quello di serrata. Non è ammissibile lo sciopero dei pubblici dipendenti perché lo Stato non è un qualunque datore di lavoro. Una
Corte regolatrice deve essere costituita, quindi, per decidere le questioni economiche e di categoria degli impiegati dello Stato, con il punto fermo che le
decisioni della stessa valgano senz'altro ad introdurre le variazioni corrispondenti nel Bilancio dello Stato. Per i servizi pubblici fondamentali, valga l'esempio di altri Paesi democratici, nei quali lo sciopero non ha luogo perché esiste la
soluzione dell'arbitrato obbligatorio.
Quanto agli enti pubblici, Cifarelli si è occupato della possibilità di
potenziare il controllo della Corte dei Conti e di stabilire un tipo di contabilità
che sia valido per le molteplici esigenze connesse con gli interventi pubblici, i
quali si fanno sempre più estesi e varii nel nostro tempo. Bisogna anche - egli ha
103
rilevato - configurare nuove forme di incompatibilità; nuovi tipi di strumentazione, per operare e per controllare; nuove configurazioni dell'illecito. Ché, per
esempio, assumere impiegati più del necessario in un ente pubblico, magari per
esigenze elettoralistiche, deve costituire un illecito. Esso non è peculato, bensi
una forma di «sperpero del pubblico denaro», configurabile sia come dolosa,
sia come colposa.
In sintesi - ha concluso Cifarelli - siamo di fronte ad una vasta e complessa necessità di rinnovamento, per rendere lo Stoto Italiano piú moderno ed
efficiente ed il cittadino italiano meglio difeso di fronte ai pubblici poteri e
davvero partecipe della sovranità democratica, che ad ogni cittadino spetta nei
liberi ordinamenti. Tutto questo significa, ad esempio, che di una attuazione
costituzionale, come è il referendum, il Governo deve rendersi sollecito per
l'approvazione, e non già, come pare, tenerla in secondo piano. Questo inoltre
significa che per la Corte Costituzionale, per il Consiglio di Stato, per lo stesso
Parlamento, provvedimenti di attuazione costituzionale e leggi nuove per
forgiare strumenti democratici efficaci, devono uscire dal limbo delle buone
intenzioni e dalle discussioni vaghe sulle innovazioni possibili, per entrare nella
realtà di un'Italia meglio ordinata e che sia all'altezza dei problemi veri del
popolo italiano, nel mondo difficile e complesso del nostro secolo XX. («
Giustizia Nuova »)
CONCORSO « IL CARCIOFO D'ORO »
La Mostra in bianco e nero di cui parla il critico Sciortino, è stata
organizzata dalla « Pro Trinitapoli », in occasione della terza edizione (1964) del
« Carciofo d'Oro » (le precedenti sono state tenute nel '62 e nel '63). Poi che
accanto ad una cultura agri non poteva non esserci una cultura animi, queste
manifestazioni hanno annualmente articolato un convegno nazionale sulla
coltivazione e la industrializzazione del carciolo (le cui relazioni usciranno in
volumi), e una rassegna d'Arte. La medaglia, Il Carciofo d'Oro, che viene
assegnata al vincitore del primo premio, dà il nome a tutta la manifestazione,
patrocinato dal M.ro dell'Agricoltura in collaborazione con la Camera di
Commercio I. e A. di Foggia e col Comune di Trinitapoli.
Nel '62 la Mostra, aperta ai pittori di Puglia e Lucania, ebbe per tema: Il
Carciofo, anche negli aspetti umani e talvolta drammatici della sua coltivazione. Vincitore
del 1° premio: Vincenzo Spizzico di Bari. Nel '63 il tema pittorico fu: Trinitapoli
nel suo insieme paesaggistico. La Mostra fu aperta ad un certo numero di artisti del
Sud. Vincitore del 1° premio: Roberto De Robertis di Bari. Nel '64 la Mostra è
stata riservata ad un ristretto numero di artisti italiani, per il disegno figurativo
contemporaneo, col tema: L'uomo nel suo mondo di lavoro. Con questo tema si
voleva richiamare l'attenzione degli artisti sulla figura umana in genere e anche
sottolineare la condizione o materia in cui e su cui l'uomo « si travaglia » e vive
e si svolge. E' toccato il 1° premio a Domenico Purificato di Roma.
Anche quest'anno, così come i precedenti, dopo essere stata inaugurata e
tenuta aperta a Trinitapoli, la Mostra è passata a Foggia, dove l'inaugurazione
ha coinciso con il dibattito di cui parla Sciortino (d.l.).
104
ASCOLI SATRIANO
Croci, campane e gonfaloni nel feudo di Trojano Marulli
( dal Pacichelli, « Il Regno di Napoli in prospettiva » - 1703 )
ASCOLI SATRIANO
Il Castello ducale al tempo nostro
( Fotografia di A. Battista )
LA CAPITALE DELLA DOGANA
Foggia, « ventris nostrae Neapolis »
( dall’Atlante del De Michele )
FIERA DELL’AGRICOLTURA IN FOGGIA
Aspetti della XV manifestazione nazionale
( Fotografie di Leone, g.c. dall’E.A. « Fiera di Foggia » )
PROBLEMI REGIONALI
Per un istituto universitario
di Genio Rurale in Foggia
Il giorno 8 maggio 1959 venne indetta dall'Ente Fiera di Foggia la Prima
Giornata dell'Istruzione Professionale con la finalità precipua di richiedere
l'istituzione in Foggia di una Scuola Superiore di Genio Rurale con tre sezioni:
Meccanica agraria, Idraulica agraria, Costruzioni rurali. Questa Scuola, di
carattere universitario, collegata con l'Università degli Studi di Bari, doveva
rilasciare il titolo di «esperto in genio rurale» e formare una schiera di giovani da
non «esportare», ma immettere nelle attività economiche del nostro
Mezzogiorno, al fine di realizzare quel progesso tecnico ed economico al quale
tutti aspiriamo.
La proposta derivava da due ordini di considerazioni: la deficienza di
tecnici laureati in tutti i campi della ingegneria, in contrasto con l'esuberanza di
tecnici diplomati (geometri, periti industriali e periti agrari); la scarsa possíbilità
per le medie e per le piccole aziende (industriali, commerciali ed agricole ed
anche di attività terziarie) di trovare dirigenti qualificati e tali da essere capaci di
condurre in maniera autonoma le aziende loro affidate.
Nel discorso inaugurale del nuovo Politecnico di Torino, il prof. Capetti,
nel 1959, gettava un grido di allarme sullo scarso numero di laureati in ingegneria, giudicando che, per il normale sviluppo economico del nostro Paese,
occorrevano allora circa il 27% in piú d'ingegneri. Questa deficienza, dopo un
lustro, è aumentata notevolmente, anche per il rapido sviluppo industriale dell'Italia nell'ultimo quinquennio. In contrasto con la posizione dei tecnici laureati,
si presenta quella dei nuovi tecnici diplomati, i quali sono nella sola Puglia e
Lucania circa mille all'anno, e che difficilmente trovano tutti adeguata
occupazione. Una delle ragioni di questo contrasto certamente può ricercarsi
nel fatto che negli ultimi anni il ritmo del progresso della scienza e della tecnica
si è accresciuto tanto che gli studi superiori non riescono a formare diplomati
autonomí. Insisto sull'aggettivo « autonomo », perché le aziende richiedono
tecnici i quali possano operare da soli, senza l'ausilio di tecnici laureati. Tale
richiesta è giustificata dal fatto che è difficile e costoso formare in seno alle
aziende medesime tecnici autonomi.
L'anno successivo, il 7 maggio 1960, in occasione della IIa Giornata
dell'Istruzione Tecnica, veniva presentato il progetto della Scuola Universitaria
di Genio Rurale, che comprendeva tre specializzazioni in a) Meccanica agraria;
b) Costruzioni rurali e c) Idraulica agraria, che riguardano le attività ove i nostri
giovani possono sicuramente trovare occupazione nel Mezzogiorno.
Il ruolo della meccanizzazione dell'agricoltura, presenta aspetti tecnici,
economici e sociali. I vantaggi tecnici della meccanizzazione dell'agricoltura
105
riguardano la possibilità di un'appropriata scelta delle colture e del carico di
bestiame in dotazione all'azienda, la possibilità pratica di compiere
trasformazioni fondiarie, ecc. I vantaggì economici dell'impiego della macchina
sono evidenti se si confronta il costo dell'energia meccanica rispetto a quello
dell'energia umana e animale.
Da computì da me eseguiti sì può ritenere che: un cavallo-vapore ora di
energia meccanica costa L. 120; un cavallo-vapore ora di energia animale costa
L. 500; un cavallo-vapore ora di energia umana costa L. 4320; cioè 36 volte di
più dell'energia meccanica.
Da un punto di vista sociale, infine, vi è da osservare che i vantaggi della
meccanizzazione dovrebbero porre un freno al fenomeno che si verìfica in
quasi tutto il mondo: il notevole spostamento della popolazione attiva
dall'agricoltura all'industria, al commercio e ad altre attività. I riflessi sociali
dell'introduzione in agricoltura della macchina derivano ancora dal fatto che
essa, trasformando l'operaio da fornitore di energia a conduttore o controllore
di macchine, consente all'operaio stesso di ottenere maggiore retribuzione,
congiuntamente al raggiungimento di un migliore tenore di vita.
Perché la meccanìca agraria possa svolgere questo importante ruolo,
addirittura « rivoluzionario », come è stato autorevolmente ammesso,
occorrono bravi tecnici e maestranze preparate. Allo stato attuale, si rìtiene che
nel campo agricolo vi siano 354.000 operai qualificati, mentre invece vi sono
883.718 ditte iscritte all'U.M.A. Il che significa che molte macchine agricole
sono affidate per la conduzione a mani inesperte, con conseguenze tecniche ed
economìche non buone ma anche con effetti disastrosi in ordine alla sìcurezza
sul lavoro. Da un'indagine svolta da noi per incarico dell'ENPI (Ente
Nazionale di Previdenza Infortuni), si è constatato che nel Lazio, per il solo
impiego delle trattrici, si hanno ogni anno 86 decessi per 100.000 trattrici in
esercizio; nelle Puglie se ne hanno 63, mentre invece in Inghilterra si hanno 14
decessi all'anno per ogni 100.000 trattrici in esercìzio.
In ordìne alle Costruzioni rurali, poi, è noto che esse di norma richiedono
la maggiore spesa nelle trasformazioni fondiarie delle aziende agrarie; si
raggiungono e si superano infattì le 300.000 lire per ettaro. E’ quanto mai
opportuno avere in questo campo tecnici preparati, i quali sappiano trovare
soluzioni tecnicamente rispondenti ed economicamente più convenienti di
quelle attuali.
I grandiosi piani di sviluppo della irrigazione che prevedono un'area
dominata di circa 400.000 ettari richiedono - come è stato chiaramente posto in
risalto dal Congresso Internazionale tenutosi proprio a Foggia nel 1960 - molti
tecnici specialisti in Idraulica agraria, sia per la costruzione e l'esercizio dei nuovi
impianti irrigui, sia per l'insegnamento professionale alle maestranze da
specializzare.
La scelta di Foggia appariva fin d'allora, e appare ancora oggi, come la
sede più indicata per l'istituzione della Scuola Universitaria di Genio Rurale. A
Foggia, infatti, hanno sede tre istituzioni altamente qualificate negli studi e nelle
ricerche nel campo agricolo. L'Istituto Zooprofilattico, diretto egregíamente
dal professor Battelli, libero docente universitario, ha giurisdizione in 6 province
di 3 regioni: Puglia, Molise e Lucania. L'Istituto Agrario, presieduto dal
professor Angelo Salerno, già ordinario nell'Università degli Studi di Bari, e
diretto dal prof. Alfredo Cogna, è collegato con una regolare convenzione alla
Facoltà di Agraria di Bari per fornire alla stessa i mezzi per svolgere i
106
Corsi annuali di esercitazioni pratiche, previsti dallo Statuto della Facoltà stessa.
Il primo Direttore dell'Istituto Agrario dì Capitanata è stato il prof.
Pantanelli, già preside della Facoltà di agraria di Bari e illustrazione della scienza
agraria italiana.
L'Ovile Nazionale, diretto dal dott. Pelosi, svolge ricerche nel campo
degli ovini, dei caprini e dei bovini e, con brillanti risultati, anche nel campo
degli animali da bassa corte. Il primo Direttore dell'Ovile Nazionale è stato il
professore D'Alfonso, prorettore dell'Università di Napoli, al quale successe il
prof. Tortorellì, attualmente ordinario all'Università di Palermo.
E’ noto altresi che la provincia è stata sempre all'avanguardia nel campo
degli studi per il progresso dell'agricoltura. Con i suoi 685.000 ettari di
superficie agraria e forestale (è la piú estesa provincia dell'Italia continentale),
con i suoi 430 mila ettari di superficie seminativa, e con la sua produzione
media annua di circa 3 milioni di quintali di grano, superìore di gran lunga a
quella delle altre province d'Italia, la provincia di Foggia non poteva non
seguire con visibile interesse i progressi con cui, fin dalla seconda metà del
secolo scorso, si andava affermando e sviluppando la meccanica in agricoltura.
Il prof. Milone, docente di meccanica agraria nel glorioso Istituto
Superiore di Portici, afferma nelle sue Lezioni che « l'aratura a vapore fin’oggi
(1878) trovasi tra noì posta in opera nel podere dell'Ill.mo Sig. Principe di
Sansevero, agricoltore intelligente per quanto nobilissimo signore ». E ancora: «
Attualmente (1896) l'ing. Francesco Rispoli, in provincia di Foggia, ha un
apparato Powler a due macchine col quale va lavorando qua e là come
imprenditore ».
Le prime locomotive stradali con motore a vapore sono anche
impiegate per l'aratura a trazione diretta in Capitanata. Ma ancora prima delle
locomotive stradali sono a Foggia da molto tempo impìegate le coppie
locomobili trebbiatrici, tanto che lo stesso prof. Milone scrive che « i nostri
proprietari conoscono perfettamente (le locomobili) usandole già da gran
lungo tempo per le macchine da trebbiare; giacché non occorre che io ne parli
qui di proposito. E molti pure di essi hanno accolto con favore le locomobili
bruciapaglia che l'ingegnere Head della casa Ransomes, Sìms ed Head di
Ipswich, studiò espressamente con un ingenere russo per quelle contrade ove la
mancanza di combustibile fa riescir conveniente l'uso della paglia per
somministrar la forza motrice ».
Ancora nel secolo scorso ha luogo in provincia di Foggia il primo
importante concorso per seminatricì, del quale fu componente della
Commissìone giudicatrice lo stesso prof. Milone.
La Scuola di Meccanica Agrarìa delle Capannelle, sorta a Roma nel 1924,
istituisce una sua sezione in Puglia, e precisamente a Cerignola, utilìzzando le
attrezzature del cessato « Servizio motoaratura di Stato », creato durante la
prima guerra mondiale con l'importazione dall'Amerìca di oltre 6.000 trattrici
di vario tipo.
Le prime mietitrebbie compaiono da noi intorno al 1920.
Successivamente, ma prima in Italia, le mietìtrebbie Deering, Massey-Harris,
Caterpillar ed Oliver sono provate dall'Istituto di Meccanica agrarìa di Portici
nel perìodo 1928-1930, rispettivamente nelle tenute del signor Colarossi, del
marchese Angiulli,
107
del marchese Fíliasi e del dottor Giuseppe Leone, tutte in provincia dì Foggia.
Il campo sperimentale di aridocoltura di Cerignola (1926-1935) è
certamente un centro di sperimentazione importante, forse tra i pìù importanti
del mondo, sia per la vastità delle ricerche intraprese, sia per i risultati ottenuti,
sia per le alte capacità dei ricercatori, tra i quali basta rìcordare solo i compianti
professori De Cillis, Pantanelli, De Dominicis, G. Rossi, Leggieri e Santini.
In questo Campo di Cerignola sono provate tutte le macchine operatrici
esistenti in quell'epoca: la prima, e forse unica fresatrìce
SIEMENS-SCHUCKERT di 35 HP importata in Italia, il primo coltivatore
rotativo Howard da applicare alla trattrice Fordson, aratri a disco, ripuntatori
ad un solo elemento e ripuntatori multipli, erpici a disco a tandem, ecc. Il
sistema del Pelo Pardi è posto in evidenza dall'illustre prof. De Cillis e si
afferma soltanto « dopo i risultati conseguiti nel campo di Cerignola» (G. De
Marzi, 1933). Nello stesso campo di Cerignola, e successivamente nel podere n.
124 dell'Opera Nazionale Combattenti, è adoperata la prima sarchiatrice
meccanica a 5-6 elementi (Candura). Il primo campo sperimentale di fognatura
con l'aratro talpa è stato quello di Foggia, presso l'azienda del marchese Luigi
Filiasi. Le prove si iniziano nel 1931, quando le difficoltà di trazione dell'aratro
talpa sono « superate con la costruzione dì nuove macchine a cingoli capaci di
dare al gancio oltre 3000 chilogrammi di sforzo (FIAT 700C)». (Candura,
1932).
Le prime prove complete e prolungate sulla trattrice elettrica (brevetto
Sacerdoti) sono eseguite a Cerignola nel 1933 in località Pozzo Terraneo,
nell'azienda del conte Pavoncelli. Si tratta di una trattrice elettrica a due ruote
motrici della potenza di 30-35 Hp, con motore trifase da 500 Volt, 42-50
periodi, 1400 giri, del peso di circa 36 quintali. La macchina rappresenta
effettivamente una grossa novità nel campo delle trattrici, tale da poter
conseguire i brevetti anche nelle nazioni in cui vige il preventivo esame, come
negli Stati Uniti d'America, Inghilterra e Germania (Candura).
Volendo trascurare, per non prolungare questa pur rapida rassegna, le
altre iniziative certamente prese nella provincia di Foggia nel campo della
meccanica applicata all'agricoltura (spanditrici lateralì e frontali, portate da
trattrici di oltre 100 HP; ruspe della capacità di molti metri cubi; ripuntatori di
75 quintali, ecc.), si ricordano ancora le recenti esperienze condotte presso il
Centro di colonizzazione di riforma fondiaria di Bovino, in agro di Castelluccio
dei Sauri, a cura degli Istituti di Agronomia e di Meccanica Agraria
dell'Università di Bari.
I risultati dei primi due anni di esperienze - diffusamente illustratì dal
punto di vista agronomico dal prof. R. Baldoni, dal punto di vista meccanico
dal sottoscritto e dal punto di vista economico dal dott. S. Garofalo - hanno
consentito di mettere un punto fermo sul fondamentale e dibattuto problema
della profondità di lavorazione nei riguardi dei risultati economico-produttivi.
Le conclusioni alle quali si è finora giunti consentono di affermare che la
zona ìn cui si è operato, sotto tutti i punti di vista, per le colture è la più
conveniente. I risultati rappresentano anche una sicura guida agli agricoltori della
zona per la scelta del pìù conveniente apparecchio di aratura per la loro
azienda.
Più recenti ancora sono le prove triennali svolte all'azienda Valdistella in
agro di Troia, al fine di determinare il consumo di energia nella produzione
108
delle piante agrarie, raggiungendo, primi nel mondo, risultati concreti in questo
importante campo d'indagine.
Altri importanti risultati si sono ottenuti dallo studio sull'impiego delle
raccoglitrìci-presse (Zanna, 1962, Trentadue 1962, Giametta 1962), dallo studio
sull'impiego delle macchine per la raccolta delle barbabietole (Trentadue, 1962),
dallo studio sull'impiego delle macchine per i trattamenti antiparassitari
(Trentadue, 1963), dallo studio delle nuove mietitrebbie semoventi (Bianchi,
1959-'61); dalle ricerche sui fattori che influenzano la lavorabilità del terreno
(Bianchi, 1963), dallo studio dei nuovi aratri polivomeri e delle macchine per
lavorazioni complementari (Bianchi, 1959-'61), ecc., ecc.
Le conclusioni di questa rapida rassegna mirano a mettere in evidenza
non solo come la provincia di Foggia abbia seguito passo passo gli sviluppi
della scienza agraria nel volgere di questi ultimi ottant'anni, ma come gli
agricoltori della provincia siano stati sempre all'avanguardia di tutte le iniziative
intese a conoscere e a far conoscere l'impiego dei nuovi mezzi che la tecnica
segnalava.
Oggi, dopo cinque anni dalla prima proposta, ritorno sull'argomento
per indicare un'altra soluzione dello stesso problema, cioè di attuare in Foggia
un Istituto Universitario di Genio Rurale. Si tratterebbe prima di chiedere
l'istituzione, presso la Facoltà di Agraria di Bari, di un Corso di laurea in scienze
agrarie, sezione genio rurale, con un biennio di applicazione da svolgere a
Foggia. Questa nuova proposta ha il pregio di essere di facile attuazione, in
quanto non richiede né un'apposita legge con le difficoltà di trovare i fondi per
la copertura della spesa relativa; né un'altra legge per la creazione di un apposito
titolo «esperto in genio rurale ».
L'ordinamento del nuovo corso di laurea è il seguente:
Durata: 4 anni, dei quali due anni accademici presso l'Università di Bari e
due anni solari, ripartiti in 4 semestri, presso l'Istituto Universitario di Foggia: I
semestre: 7 gennaio - 30 maggio. Esami sessione estiva: 1-15 giugno; Il
semestre: 10 luglio - 5 dicembre. Esami sessione invernale: 6-20 dicembre.
Quattro specializzazioni: I) Meccanica agraria, Il) Edilizia rurale, III) Bonifiche
ed Irrigazione, IV) Industrie agrarie, da conseguire attraverso la differenziazione
degli esami complementari ed il progetto di laurea.
BIENNIO PROPEDEUTICO (presso l'Università di Bari) - A)
Insegnamenti fondamentali:
1. Istituzioni di matematiche (biennale) - in comune con il corso di laurea
in Chimica; 2. Fisica sperimentale (biennale) - in comune con il corso di laurea
di Chimica; 3. Chimica generale ed inorganica con elementi di organica - in
comune col corso di laurea in Matematica e Fisica; 4. Botanica - in comune con
il corso di laurea in Medicina Veterinaria; 5. Zoologia generale - corso di laurea
in Scienze Agrarìe; 6. Anatomia e fisiologia degli animali - corso di laurea in
Scienze Agrarie; 7. Principi di economia politica e statistica - corso di laurea in
Scienze Agrarie; 8. Disegno (biennale) - in comune con il biennio d'ingegneria.
B) Insegnamenti complementari: Ia e IIa Specìalizzazione (Meccanica agraria ed Edilizia
rurale): l. Meccanica razionale con elementi di statica grafica - in comune con il
corso di laurea in Chimica; 2. Fisica tecnica - in comune con il corso di laurea in
Chimica; 3. Mineralogia e geologia - corso di laurea in Scienze Agrarie. IIIa
Specializzazione (Bonifica ed Irrigazione): 1) Ecologia - corso di laurea in Scienze
Agrarie; 2) Geografia Fisica - in comu109
ne con il corso di laurea in Scienze Naturali; 3. Mineralogia e geologia - corso
di laurea in Scienze Agrarie; IVa Specializzazione (Industrie Agrarie): l. Chimica
delle fermentazioni e batteriologia industriale - in comune con il corso di laurea
in Chimica; 2. Chimica analitica - in comune con il corso di laurea in Chimica;
3. Fisica tecnica - in comune con il corso di laurea in Chimica.
BIENNIO DI APPLICAZIONE (da compiere, in internato, presso
l'Istituto Universitario di Foggia) - I Semestre: 1. Agronomia generale; 2. Chimica
agraria; 3. Economia e politica agraria; 4. Zootecnica generale e speciale; 5.
Entomologia agraria; 6. Patologia vegetale; 7. Topografia. II Semestre: 1.
Coltivazione erbacee ed arboree; 2. Idraulica generale ed agraria; 3. Meccanica
agraria; 4. Costruzioni rurali; 5. Estimo rurale e contabilità; 6. Industrie agrarie.
III Semestre: 1. Igiene applicata; 2. Tecnica delle trasformazioni fondiarie; 3.
Complementi di Meccanica agraria; 4. Complementi di Idraulica agraria; 5.
Complementi di Costruzioni rurali. IV Semestre (corsi di lezioni differenziate a
seconda della specializzazione e del progetto di laurea prescelti).
Ia Specializzazione in Meccanica agraria - 1. Macchine idrauliche; 2.
Applicazioni elettro agricole; 3. Economia delle macchine agricole; 4. Trasporti
agricoli. IIa Specializzazione in Edilizia rurale – 1. Costruzioni stradali; 2.
Costruzioni in ferro, legno e cemento armato; 3. Ruralistica; 4. Tecnologia dei
materiali da costruzione. IIIa Specializzazione in Boniftche e Irrigazione – 1. Tecnica
delle colture irrigue; 2. Macchine idrauliche; 3. Costruzioni idrauliche (progetti);
4. Bonifica collinare e montana. IVa Specializzazione in Industrie agrarie - 1.
Impianti industriali agrari; 2. Scienza dell'alimentazione; 3. Tecnica frigorifera; 4.
Tecnica delle conserve alimentari.
GIOVANNI CANDURA
Prof. GIOVANNI CANDURA, direttore dell'Istituto di Meccanica Agraria
dell'Università di Bari.
110
Appunti per la redazione di un piano decennale
per lo sviluppo di Foggia
L'Amministrazione comunale dì Foggia, retta da una Giunta di
centro-sinistra, deliberò di affidare ad una triade di consulenti esterni la
redazione di un piano di sviluppo di quella collettività, estendendo il raggio
cronologico al futuro ottennio, così da far coincidere la validità del piano-base
con le ricorrenti consultazioni elettoralì amministrative che, per il Comune di
Foggia, avranno luogo, appunto. nel 1966 e nel 1971. La iniziativa, ratificata
dalla competente autorità tutoria, è tanto più degna di nota, in quanto si andava
a sovrapporre con un analogo sforzo compiuto dal Consorzio per il Nucleo
omonimo di sviluppo industriale.
Questo ente, costituito da alcuni anni, ma ancora non vitale per una serie
di dolorosi impedimenti di natura giuridico-locale, promosse, difatti, la
redazione
di
un
documento
economico-sociale
e
di
uno
urbanistìco-ingegneristico (queste le dizioni originali) che meriterebbe di essere
conosciuto.
In tale elaborato, fu dedicata una prevalente attenzione agli aspetti
demografici per la prima parte ed infrastrutturali per la seconda, ritenendo,
tacitamente, che l'elaborato medesimo non potesse essere altro che la prima
fase di un accertamento ricognitivo e poi previsionale da perfezione una volta
noti gli orientamenti di politica industriale del Consorzio.
E’ subito evidente che tra questa analisi e quella richiesta dal Comune di
Foggia si pongono alcune differenze basilari, che sarà opportuno richiamare
introduttivamente:
a) anzitutto un elemento territoriale: il piano del Consorzio si estende
praticamente a tutto il territorio provinciale utilizzando, perciò, le statistiche
esistenti a stessa base; il piano richiesto dal Comune ha una base esclusivamente
comunale, salve le implicanze connesse a ricorrenti spostamenti di studenti e
prestatori di opera;
b) in secondo luogo, il Consorzio ha utilizzato esclusivamente dati
statistici di base già disponibili per indagini Istat, Camera di Commercio, ecc.
mentre il Comune ha fornito od ha richiesto dati numerici e di giudizio a base
totalmente diversa;
c) il Consorzio inoltre ha fatto soffermare l'attenzione dei suoi esperti
solamente su dati demografici ed agricoli, limitandosi a descrivere
analiticamente, laddove non poteva sintetizzare numericamente; il Comune,
invece, impone questa sintesi per il reddito, per i consumi, per gli investimenti,
ecc. oltre che per gli aspetti già comuni con la citata relazione.
E’ fuori dubbio che, allorché i tre consulenti avranno esaurito il loro
lavoro e nella ipotesi in cui riescano a farlo soddisfacentemente, ne deriverà un
documento di altissimo interesse, probabilmente unico o quanto meno
estremamente orìginale.
Non risulta, difatti, che tentativi organici siano mai stati fatti, ad esempio,
per ricostruire i dati relativi ai redditi, ai consumi ed agli investimenti per un
piccolo ambìto territoriale resistendo alla tentazione di elaborare ulteriormente
gli studi del prof. Tagliacarne e preferendo, invece, costruire ex-novo secondo
una diversa metodologia.
111
Non è da dimenticare, peraltro, che essendo il committente una
amministrazione comunale, i fini della indagine sono notevolmente diversi da
quelli che potrebbero se fosse il Ministero del Bilancio e della Programmazione
a commetterlo.
Una amministrazione locale, difatti, tende a realizzare due scopi
fondamentali che non possono e non debbono essere dimenticati se non si
vuole falsare completamente il giudizio sul lavoro medesimo:
a) anzitutto, prevedere con una certa precisione, quale sarà l'andamento
della evoluzione demografica, per quantità totale, per classi di età, per sesso e
per genere di occupazione, al fine di prevedere correlativamente le esigenze
diverse cui l'amministrazione medesima potrà e dovrà far fronte;
conseguentemente derivare, dalle previsioni sul reddito e sui consumi, le
evoluzioni dei gettiti tradizionali del bilancio comunale così da tentare un primo
raffronto indispensabile per una sana programmazione dell'amministrazione
stessa;
b) in secondo luogo raccogliere organicamente tutta una serie di dati di
giudizio estremamente utili per poter degnamente «dialogare» con tutti gli enti
aventi facoltà e potere di iniziativa sullo stesso territorio, come Cassa per il
Mezzogiorno, Ministero dei LL. PP., Ministero della Pubblica Istruzione,
Ministero dei Trasporti, Consorzi di Bonifica e di Miglioramento Fondiario,
Amministrazione Provinciale, Comitati per la Programmaziine Regionale, ecc.
ecc.
Questi, molto sinteticamente, gli elementi del problema che
l'Amministrazione di Foggia, dopo avere ampliamente dibattuto nella sua assise
cittadina, ha sottoposto ai consulenti incaricati.
La prima attenzione è stata dedicata alla evoluzione demografica del
Comune, evoluzione che ha presentato prospetticamente alcuni problemi di
non facile soluzione, sia perché i dati relativi ad alcuni accertamenti censuari
anteguerra erano evidentemente viziati (si tratta di «vizi» dell'ordine del 15-20
per cento) da cause oggi molto difficilmente valutabili, sia perché le leggi
evolutive negli ultimi anni presentavano delle anomalie dietro le quali evidentemente - si celavano delle cause extra-demografiche da chiarire con
esattezza per la razionalità delle conclusioni.
Si è così stabilito che la popolazione segue un trend ascensionale costante,
il che non costituisce, ovviamente, un motivo di sorpresa, rallentato od
accelerato periodicamente da fattorì estranei.
La natura di tale estraneità è stata identificata da correlazioni stabilite tra
l'andamento delle variazioni e quello degli incrementi del reddito nazionale: ne è
derivata una conclusione piuttosto interessante perché si è visto che tanto più
velocemente progrediva il reddito nazionale, tanto più si accentuava la stasi nella
formazione delle eccedenze naturali della popolazione.
In altre parole, le correnti migratorie da Foggia verso altre aree si
accentuano allorché le possibilità di reperire una occupazione a miglior reddito
si moltiplicano e si facilitano altrove, mentre rallentano, fino a trasformarsi in
correnti immigratorie nei periodi recessivi.
Il fenomeno apparentemente, potrebbe essere classificato come comune
a tutti i centri abitati del Mezzogiorno d'Italia; in realtà, in questo caso, ci si
trova di fronte ad un caso piuttosto peculiare.
La collettività foggiana - come si vedrà meglio oltre - è costituita
prevalentemente da occupati ìn agricoltura ed in pubbliche amministrazioni,
mentre
112
il reddito di questi due settori funge da volano dei settori commerciali,
artigianali e della piccola industria locale.
Da ciò deriva una certa stabilità reddituale e sociale che, pur confidando
nell'apatia e nella stasi priva di progresso, non pone il problema della
occupazione in termini drammatici caratteristici di altre località. Non si hanno
quindi flussi e riflussi di occupati stagionali o similari. Si hanno - esclusivamente
- flussi di occupati a migliori condizioni che vanno altrove e flussi immigratori
(lievi e solo nei momenti di maggiore preoccupazione economica nazionale)
non già «in rientro» di foggiani già emigrati, quanto di abitanti della provincia
che convergono, per diversi motivi o speranze, sul capoluogo.
La definizione numerica di tali aspetti, controllata sugli andamenti degli
ultimi 50 anni correlati con l'andamento del reddito nazionale, ha reso possibile
la scelta intermedia di una previsione costituita da una perequazione analitica
della curva di lungo periodo estrapolata per i prossimi dieci anni.
Si è successivamente inserito un fattore di correzione consistente,
appunto, nella variabile indipendente del reddito nazionale. Questa variabile è
stata ipotizzata in modo da ritenere ascendente con una certa energia il reddito
nazionale per gli anni compresi tra il '66 ed il '69 e prevedendo, invece, un
rallentamento negli anni '70 e '71. Si è cioè ipotizzata una riproduzione ciclica
delle espansioni economiche nazionali e dei periodi di raccoglimento,
traducendola in flussi emigratori o migratori a correzione del movimento
naturale della popolazione per nascite e decessi.
Ne è risultata una sequenza di cifre, relativa agli abitanti di fine anno, che
riproduciamo di seguito:
Popolazione residente del comune di Foggia:
1861
1871
1881
1901
1921
1931
1951
31.562
38.138
40.548
53.134
66.772
55.763
97.738
1954
104.761
1957
112.020
1960
118.695
1963
124.471
…………………
1971
140.000
1973
144.700
Questo perciò che concerne il numero globale degli abitanti. Per quello
che si riferisce, invece, alle classi di età sono stati considerati determinanti
l'allontanamento del periodo 46-50 che fu quello della esplosione demografica,
e la generalizzata e piú completa assistenza medica anche nelle campagne.
Entrambi considerazioni che propendono a far ritenere estremamente
probabile un «invecchiamento» medio complessivo del nucleo di cui trattasi.
Trattasi di un « invecchiamento » molto relativo, ma che fa sentire i suoi
riflessi sulla percentuale di cittadini in età di scolarità, ad esempio, con
conseguenti variazioni non proporzionali per le esigenze che si presenteranno
alla amministrazione comunale.
Tralasciando un gruppo di altre considerazioni marginali, si preferisce
indicare quali sono stati i punti di arrivo cui si è giunti, esprimendo le varie classi
di età in percentuale sui totali di ogni anno:
113
Popokizione residente del Comune di Foggia per classe di età:
0-14 anni
14-25 anni
25-45 anni
45-65 anni
oltre 65 anni
1951
33 %
20%
27%
15%
5%
1961
31%
19%
27%
16%
7%
1971
30%
19%
26%
17%
8%
Da questo lieve « invecchiamento » medio della popolazione derivano,
inoltre, anche alcune conseguenze, rilevanti ai fini della amministrazione
comunale, quale la graduale formazione di redditi fissi « pensionati » in numero
e proporzioni crescente e, quindi, con minori sollecitazioni verso la beneficenza
pubblica, o quale la relativa minore pressione di giovani in cerca di prima
occupazione.
Entrambe queste ipotesi sono state tenute presenti allorché l'attenzione
degli analizzatori si è spostata verso la composizione della popolazione per
categorie di occupazione.
Ricostruzione che, nonostante l'ottimo funzionamento dei servizi statistici
del Comune di Foggia, ha presentato difficoltà di rilievo per i criteri non
sempre uniformi con cui vengono effettuati i censimenti e, d'altra parte, per la
necessità di realizzare un inquadramento estremamente preciso, data la necessità
di servirsene poi per l'analisi del reddito comunale.
In modo particolare si è dovuta prestare la massima attenzione
all'isolamento della parte non attiva della popolazione che è stata considerata
tale con un criterio radicalmente dissimile da quello applicato dall'Istat, nel
tentativo dì rendersi conto degli studenti in regime di scolarità obbligatoria, di
quelli ìn regime di scolarità volontaria e degli inferiori di anni 6 non vincolati
ancora a nessun obbligo di istruzione.
Questo modo di procedere ha equivalso a ritenere, perlomeno sotto
alcuni aspetti, attiva la popolazione studentesca o scolara e ad escludere, per la
medesima aliquota, la denominazione di non-attiva che è stata limitata a
casalinghe, invalidi, non-occupati, ecc.
Seguendo questo particolare tipo dì analisi si è passati, quindi, alla
valutazione delle circostanze che potevano, nel prossimo ottennio, rivestire un
valore modificativo rispetto alla struttura degli ultimi anni.
E’ stato così tenuto nel debito conto quanto era già avvenuto nel
decennio 1951-1961, integrato e corretto con un esame delle prospettive
economiche di Foggia nei prossimi anni.
Il confronto tra i reperti censuari 51 e 61 poneva cosi in luce una serie di
variazioni estremamente interessanti.
1) La popolazione occupata passava dal 23,80% al 28,23% del totale:
constatazione tanto più ricca di significato, in quanto essendo la popolazione
totale ascesa da 98, a 119mila unità, un incremento del 4,5% ha interessato ben
9 mila unità. E’ degno di nota la circostanza che tale incremento della
occupazione ha interessato più o meno tutti i settori presi in considerazione,
con particolare rìguardo per i settori commerciali che hanno fatto registrare una
espansione del tutto particolare. Questo è avvenuto per la definitiva abolizione
delle autarchie agricolo-famìliari di cui hanno beneficato, in special maniera i
commercianti in derrate alimentari con conseguenze decisamente molto vistose.
2) Gli addetti alle attività industriali ed artigiane sono saliti dal 5,48%
114
al 6,18% del totale della popolazione, con un incremento che è da ritenere
normale in quanto espressione di un saldo negativo derivante dal licenziamento
progressivo da una grande industria locale del settore cartario e dal potenziamento di una miriade di piccole iniziative specialmente nel settore artigiano.
3) Gli addetti alle attività agricole hanno avuto un incremento dal 9,24 al
10,93% come conseguenza di un più intenso e razionale sfruttamento della terra
e del graduale abbandono delle culture meramente estensive, verso altre forme
di agricoltura specializzata ed intensiva, seppur con i limiti imposti dal clima
arido della zona.
4) Per il settore commerciale già si è detto; non rimane da precisare che
la dilatazione degli occupati ha interessato un aumento dal 2,96 al 4,46%.
La fusione dei criteri indicati in precedenza in un unico criterio statistico
ha così consentito una estrapolazione sufficientemente convincente delle tendenze già delineatesi nell'ultimo decennio, giungendosi ad un quadro prospettico che presenta dei dati di indubbio interesse e vale la pena di ricordare per la
sua linearità:
Andamento della struttura economica della popolazione:
Occupati
- industria ed artigianato
- commercio
- agricoltura
- attività terziarie
- amministrazione pubblica
Non-occupati
- verosimilmente disoccupati
- in cerca di prima occupazione
- non in scolarità (meno di 6 anni)
- scolarità obbligatoria
- altri studenti medi-superiori
- popolazione effettiv. non attiva
in totale
1951
1963
1971
5.355 7.355 9.800
2.892 5.316 5.600
9.033 12.998 16.800
3.801 4.927 7.000
2.500 3.000 4.200
6.769
802
--2.780 2.881 3.000
16.161 16.343 20.000
16.380 20.947 21.000
5.500 6.500 8.750
26.567 37.820 43.850
97.738 118.889 140.000
Su di una ricostruzione del genere si possono, indubbiamente, appuntare
molte critiche per le variazioni introdotte rispetto ai canoni classici cui si è
costantemente ispirata l'attività censuaria in Italia, nonché le elaborazioni dell'Istat. Resta, comunque, il fatto che ad una amministrazione comunale è molto
più utile il dato statistico così formulato che non quello di conoscere genericamente quante persone aventi meno di 10 anni saranno presenti nel suo
territorio. Basta esaminare le cifre che precedono per rendersi, infatti, conto di
come sia conseguente per l'assessorato competente programmare l'adeguamento dei servizi scolastici elementari o, comunque, d'obbligo, nonché quelli
superiori.
In ogni caso, l'Amministrazione avrà in mano un documento utile a
dialogare con i dicasteri dello Stato che intervengono a soddisfare le relative
esigenze. Un maggiore interesse, mi sembra, può essere oggettivamente scorto
nelle previsioni che vengono formulate per gli addetti ai vari settori. Mentre, a
questo proposito, si può subito affermare che industria, attività terziarie e
pubblica amministrazione sono state inquadrate in un ambito previsionale del
tutto normale, altrettanto non può dirsi per il settore agricolo e per quello commerciale.
115
Per essere più chiari si potrà, difatti, stabilire come per industria, attività
terziarie e pubblica amministrazione si è esclusa la possibilità (sempre, in ipotesi,
ovviamente) di insediamenti produttivi di grossa mole che, per ciò stesso,
possano o potrebbero rivoluzionare radicalmente le previsioni che precedono.
Si è invece elaborato il metodo su di una ipotesi « normale », ovverossia di
tranquilla e continua evoluzione positiva nel senso già riscontrato nello scorso
decennio.
Per il commercio si è ritenuto che il numero degli esercizi in atto sia in
grado di soddisfare esigenze molto maggiori delle attuali, più attraverso una
razionalizzazione dei servizi distributivi ed un ammodernamento delle tecniche
di vendita seguite, che non attraverso un aumento degli addetti in una stasi
numerica degli imprenditori.
L'agricoltura, viceversa, è stata esaminata come un settore nel quale il
fatto «nuovo» che si è ritenuto improbabile in altri comparti produttivi
potrebbe verificarsi con un notevolissimo grado di probabilità.
Il fatto «nuovo» cui si allude è il completamento dei lavori relativi allo
imbrigliamento delle acque del torrente Fortore in un invaso per irrigazione ed
alla costruzione di una rete di canali principali e secondari che permetterà una
radicale trasformazione delle culture praticate da decenni in quel tenimento.
È da precisare che la rete di canalizzazione interesserà una vasta parte
della zona centrale e meridionale della provincia di Foggia per un totale di
molte decine di migliaia di ettari, ma - ciò che interessa è appunto questo
-comprenderà tutto intero il territorio foggiano nel suo ambito.
Da un lato questa possibilità pone come una certezza una modifica totale
dei metodi di coltivazione e delle specie stesse di coltivazione nel Comune di
cui trattasi per il 1971 (come inizio, se non come fatto già concluso), e dall'altro
apre una serie di opportunità ed occasioni di diversa natura.
Per alcuni anni, difatti, il canale principale (che transita immediatamente a
nord-ovest di Foggia toccandola in tangente) recherà al mare una parte delle
acque non utilizzate, costituendosi, in tal modo, come mezzo di approvvigionamento per eventuali insediamenti industriali largamente bisognosi di tale
« merce ». In un secondo momento - completata la rete capillare di irrigazione il canale principale non sarà più adduttore al mare di acqua altro che per pochi
mesi all'anno, ma incominceranno a farsi sentire gli effetti benefici di una
irrigazione su vastissima scala nelle falde freatiche della zona, già note,
identificate e sfruttabilissime, una volta che si possa contare su di una minore
aridità superficiale dei comprensori a «monte» dei punti di sfruttamento.
Quello che si è già verificato nel decennio scorso potrebbe così
perpetuarsi ancora nel prossimo, rendendo l'agricoltura foggiana una eccezione
sulla media nazionale. Nel 1951-61 gli addetti all'agricoltura foggiana sono
cresciuti numericamente ed hanno migliorato la loro qualità media per un avvio
alla trasformazione culturale che ha trovato e trova un limite invalicabile nella
aridità attuale.
Le esperienze fatte, i profitti realizzati, l'abilità umana acquisita sia pure
sporadicamente, costituiranno altrettanti fattori « esplosivi » in senso produttivo
allorché l'acqua sarà disponibile per tutti nelle quantità sufficienti.
È evidente che per un tenimento agricolo secolarmente estensivo che si
116
tramuta in intensivo-specializzato non può parlarsi di spopolamento delle terre,
ma dovrà esaminarsi la possibilità di maggiore occupazione, nei limiti resi
compatibili dal ricorso alla meccanizzazione.
La differenza delle due tendenze ha portato a ritenere che, nel 1971,
l'agricoltura foggiana, vedrà occupati non meno di 4.000 unità in più di quelle
attuali, con un regime economico di più elevata produttività di settore e di
addetto.
Il secondo gruppo di considerazioni è stato rivolto alla struttura
reddituale del Comune analizzato nell'intento di determinare un dato ritenuto
fondamentale, costituito dalla somma dei redditi individuali maturati
nell'ambito del territorio.
È noto a tutti come le uniche indagini sistematiche realizzate in Italia sul
relitto prodotto siano quelle curate da alcuni anni dall'Istat per grandi zone
geografiche, sulle quali lo zelo del prof. Tagliacarne consente di disporre di
successive approssimazioni provinciali.
È anche noto come queste cifre debbano essere utilizzate con notevole
cautela, poiché gli indici di derivazione usati rendono sempre possibile una
distorsione che, pur rimanendo trascurabile nel contesto generale del Paese, può
assumere un valore rilevante nel singolo.
Per ciò che concerneva l'accertamento in questione, apparve subito evidente che i dati e le elaborazioni esistenti non erano utilizzabili per tre diversi
ordini di considerazioni:
a) per la approssimazione degli stessi che non poteva essere tollerata in
una indagine che - tra l'altro - sarebbe dovuta servire di base per una programmazione fiscale (imposta di famiglia) richiedente una maggiore specificazione;
b) per il diverso criterio metodologico di accertamento; all'amministrazione comunale di Foggia non interessando tanto il reddito economicamente
prodotto dalla comunità da essa amministrazione rappresentata, quanto la somma dei redditi, monetariamente espressi, dei soggetti individuali, familiari, o
collettivi aventi residenza o sede nel suo ambito territoriale;
c) per l'ovvio bisogno di disporre di elementi numerici a base comunale
e non provinciale come tutti quelli sin qui ricordati.
Quanto precede ha immediatamente fatto accantonare l'ipotesi o l'idea
di servirsi in un modo qualsiasi delle cifre reperibili attraverso elaborazioni
preesistenti, anche se - per generiche finalità di controllo e di verificazione sono stati accuratamente analizzati due gruppi di cifre ai quali si è attribuito un
valore esclusivamente indicativo:
1) anzitutto si sono esaminati i dati in possesso dell'amministrazione comunale per ciò che si riferisce alla imposizione di famiglia; denunzie, concordati, ricorsi, iscrizione a ruolo, sono stati altrettanti elementi che hanno condotto
ad una valutazione globale finale alla luce della quale si è potuto affermare che il
Comune di Foggia valutava in x miliardi il reddito tassabile utilmente, ed
escludendo da quel valore - ovviamente - la parte non perseguibile per la sua
esiguità unitaria e per le difficoltà oggettive di accertamento;
2) in secondo luogo si è esaminata accuratamente la provincia di Foggia
nelle elaborazioni del prof. Tagliacarne ricavandone alcune sensazioni che hanno
trovato un equivalente numerico in un tentativo di specificazione a livello comunale.
Si è, cioè, calcolato che, ove esatti fossero stati i calcoli del prof. Taglia117
carne a livello provinciale e noto il suo sistema di elaborazione, si poteva controdedurre un reddito comunale che avrebbe avuto le seguenti consistenze per
gli anni indicati:
reddito netto prodotto nel comune di Foggia:
1951 - compreso tra 10 e 12 miliardi di lire;
1960 - idem fra 19 e 24;
1961 - idem fra 26 e 31;
1962 - idem fra 33 e 41;
1963 - idem fra 36 e 43.
Si noti che non sono state enunziate delle cifre assolute ma dei limiti bilaterali che costituiscono la espressione di alcune incerte attribuzioni di « peso »
ai vari fattori in corso di valutazione.
La conclusione fu, comunque, che - secondo le stime del citato studioso
- il reddito cittadino doveva avere avuto, nel corso del 1963, una dimensione
presuntiva di 40 miliardi di lire; pur rigettando ogni tentativo di confronto
diretto con le cifre ottenibili per altra via a causa delle diversità metodologiche
ed economiche di contenuto, la cifra indicata rimaneva come termine di valutazione della vicinanza o meno al reale.
A questo punto, non rimaneva che porre a fuoco i termini esatti dell'indagine da perseguire ed i limiti di approfondimento da utilizzare.
Una prima suddivisione (e se ne è parlato) veniva effettuata in base alla
diversa qualificazione giuridica degli interessati, debitamente integrata, così da
costituire uno schema del quale si sarebbero poi dovute completare le varie «
caselle ».
Si addivenne, in tal modo e secondo i criteri esposti, alla formulazione di
un elenco di categorie di redditi facenti capo ad altrettante categorie di cittadini
foggiani:
Redditi fissi:
occupati nell'industria e nell'artigianato;
occupati nel commercio;
occupati nell'agricoltura;
occupati nel servizi e nelle attività terziarie;
occupati nelle pubbliche amministrazioni;
redditi dell'investimento dei capitali in valori mobiliari, depositi bancari e
postali;
redditi da vitalizi o da regimi di pensionamento.
Redditi professionali:
professionisti residenti nel Comune.
Redditi imprenditoriali:
imprenditori del settore industria ed artigianato;
imprenditori del settore commerciale;
imprenditori del settore agricolo;
imprenditori del settore terziario.
Redditi immobiliari:
canoni di affitto e locazione di immobili.
118
In ciascun caso si è fatta estrema attenzione alla residenza anagrafica presumibile dei beneficiari del reddito, per la esclusione di tutti i redditi che, pur
prodotti nel Comune di Foggia, affluissero a beneficiari residenti in aree a
quella considerata e per la inclusione di quei redditi che - all'inverso - pur
prodotti in altre aree affluissero a cittadini di questo comune.
La determinazione dei redditi derivanti da contratti di prestazione
d'opera è stata abbastanza agevole per la qualificazione certa dei soggetti e per
la possibilità di determinare con notevole precisione il numero ed il ruolo; la
esistenza poi di contratti collettivi o di tabelle comunque aventi forza di legge
ha consentito una serie di semplici prodotti il cui risultato equivaleva a quanto
desiderato. A parte sono stati presi in considerazione gli assegni familiari dovuti
ai prestatori d'opera e costituenti dei cespiti reddituali, nel complesso piuttosto
ingenti.
Il lavoro di ricerca e di deduzione è stato notevolmente facilitato
laddove, come nel caso delle pubbliche amministrazioni, delle Ferrovie dello
Stato, degli enti previdenziali, assicurativi, bancari, ecc. esisteva la possibilità di
apprendere direttamente la consistenza delle cifre erogate nel corso del 1963
come emolumenti a dipendenti residenti nel Comune di Foggia.
Sì è dovuto ricorrere, invece, ad una approssimazione maggiore allorché
si è trattato di accertare l'ammontare dei redditi derivanti da investimenti di capitali in titoli mobiliari, in depositi bancari e postali. Come elementi di giudizio
sono stati presi gli ammontari dei titoli in deposito a custodia presso le banche
foggiane, le cedole pagate dalle medesime alle scadenze varie, nonché l'ammontare dei depositi bancari e postali della città medesima.
Il risultato raggiunto, probabilmente, non costituisce un capolavoro di
precisione, ma dovrebbe essere, in ogni caso, il massimo di approssimazione
possibile date le circostanze e considerati gli elementi reperibili e disponibili.
Ben diverso è stato il caso dei vitalizi e dei redditi da regimi di pensionamento, per i quali era possibile contare su cifre sicure fornite dalle amministrazioni cui fa carico l'erogazione e che hanno consentito un bilancio assolutamente fedele alla realtà.
A questo punto l'indagine ha rilevato la prima sorpresa del suo corso in
quanto ha condotto ad un totale largamente superiore a quello che - secondo
indicazioni largamente orientative raccolte « in loco » prima della impostazione
della indagine completa -, era stato considerato un punto probabile di arrivo.
Il totale è stato, difatti, calcolato in 25.655 miliardi di lire per il 1963, con
margine ristrettissimo, di errore e con la seguente specificazione:
- occupati nell'industria e nell'artigianato
- occupati nell'agricoltura
- occupati nel servizio e nelle attività terziarie
- occupati nel commercio
- occupati nella pubblica amministrazione
- vitalizi e pensioni
- interessi su capitali
7.000
6.500
5.800
2.180
6.360
3.060
600
milioni circa
»
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»
»
Si sottolinea con particolare vigore il già ricordato « ristrettissimo
margine di errore », in quanto il metodo seguito ha consentito degli
accertamenti così dettagliati da contenere al minimo ogni illazione ed ogni
possibilità di errore dovuta ad erronea interpretazione dei fenomeni mal
definiti.
Questa contrazione massima dell'incerto e dell'approssimato non è stata
119
evidentemente possibile in eguale grado per i redditi professionali, anche se per qualche categoria - la esistenza degli istituti previdenziali e di assistenza
facilita notevolmente l'induzione.
Per i redditi professionali - oltre tutto - l'universo era costituito da relativamente pochi soggetti, come è facile intuire, strutturati nelle seguenti categorie: 166 avvocati; 38 procuratori; 144 ingegneri; 17 notai; 238 medici; 47
ostetriche, 12 veterinari 79 farmacisti; 40 commercialisti; 20 geometri; 10
diversi.
Vari criteri impiegati ed alcune possibilità di restringere il campo, così,
condotto ad una cifra totale di oltre 2 miliardi di lire.
Totalmente diverso, necessariamente, è stato il sistema seguito per
quantificare monetariamente il reddito conseguito dagli imprenditori foggiani
ed assolutamente lontana ogni speranza di poter giungere ad un accertamento
rigido e certo.
Per quanto riferibile al settore agricolo le difficoltà non sono state molte
perché l'Ispettorato Agrario Provinciale è stato in grado di fornire con estrema
esattezza i quantitativi di merci-base prodotti dal tenimento di coltivazione. Da
ciò si è potuto ricavare un conto economico netto della economia agricola foggiana, piuttosto interessante ed il cui saldo è apparso pari ad oltre 5 miliardi di
lire.
A questa cifra sono stati aggiunti i ricavati provenienti da alcune derrate
non costituenti oggetto di rilevazione da parte dell'Ispettorato citato e, cioè,
latte, uova, carne e prodotti ortofrutticoli minori.
Da una valutazione piuttosto accurata effettuata tenendo conto delle
consistenze zootecniche censite e risultate agli accertamenti sanitari del Comune
interessato si è giunti a calcolare in circa 1500 milioni questi profitti netti marginali che hanno così condotto ad oltre 6,5 miliardi di lire il reddito netto della
agricoltura foggiana facente capo agli imprenditori locali.
Un diverso criterio ha ispirato la ricerca relativa al settore commerciale,
che, se da un lato beneficiava di una assai precisa conoscenza della distribuzione
commerciale foggiana (come numero, tipo e dimensione di esercizi), dall'altro
si imbatteva nella colossale incognita di fissare - almeno - una media unitaria di
fatturato per tipo di esercizio.
Inoltre, a complicare il già non semplice problema, veniva la
considerazione che per molti pubblici esercizi, per negozi di articoli di lusso e
similari esiste una clientela che gravita su Foggia come su ogni capoluogo e che
sposta, quindi, nell'atto dell'acquisto alcune logiche geografiche.
Per essere più chiari, a Foggia si vendono bevande e simili, preziosi,
mobili, tessuti ed elettrodomestici che vengono acquistati da cittadini della
provincia o di passaggio: non si può, quindi, tenere conto dei consumi medi
ipotetici del foggiano medio perché si andrebbe fatalmente a sottovalutare la
realtà delle cose.
Contro queste difficoltà è stato possibile, per contro, avvalersi delle imposte di consumo, come di un mezzo che ha reso possibile controllare abbastanza attentamente generi di molte nature cosí da arrivare alla conclusione che
la rete commerciale di Foggia nel corso del 1963 ha distribuito beni per 35
miliardi di lire e con utile netto per i rivenditori all'ingrosso ed al minuto non
inferiore ai 4 miliardi di lire.
La complessità del settore industriale ha reso necessaria - com'è facilmente intuibile - una specificazione per classe che ha condotto ad una serie
120
distinta di rilevazioni, caratterizzate da diverso grado di difficoltà e di incertezza.
Nel caso dell'industria della carta e della cellulosa, ad esempio, è stato
molto semplice giungere ad una conclusione data la esistenza di un unico soggetto industriale di grande dimensione.
Lo stesso settore delle costruzioni edilizie e di impianti ha dato molto
meno incertezze di quanto si possa pensare, perché la conoscenza dei prezzi di
mercato dei singoli tipi di immobili costruiti nel corso del 1963 e ha simultanea
conoscenza dei prezzi pagati dagli imprenditori per realizzare le costruzioni
(costi delle aree, dei materiali, della mano d'opera, ecc. ecc.) hanno reso
possibile un riesame critico dei dati già acquisiti presso l'Ufficio del Registro per
cìò che concerne la determinazione consensuale degli importi contrattuali da
assoggettare da imposta.
Mentre la quantità totale degli immobili costruiti nel 1963 è stata calcolata
con un notevole margine di precisione, lo stesso valore unitario ha soddisfatto
per la approssimazione elevata di determinazione.
La conclusione monetaria di questo iter ricostruttivo è stata quella di stabilire in circa 3,5 miliardi di lire l'utile imprenditoriale di settore; cifra questa che
ha, però, costituito un unicum, rispetto agli anni passati; per la sua elevatezza ed
è da considerare, comunque, difficilmente ripetibile in avvenire; ha pur sempre,
però, rappresentato una occasione di profitto che autofinanzierà iniziative
produttive anche in altri settori con un beneficio finale per quella comunità.
Tralasciando di passare in rassegna con maggiore dettaglio tutti gli altri
rami di produzione artigianale od industriale basterà rilevare che, nel suo grande
complesso, questo raggruppamento economico, ha fornito redditi imprenditoriali individuali a cittadini foggiani per circa 17 miliardi di lire.
La determinazione dei redditi provenienti ai proprietari foggiani dalla
locazione di immobili non è stata ancora completata, in quanto il sondaggio
campionario affrontato non è stato ancora esaurito, ma si può prevedere che il
gettito complessivo dovrebbe aggirarsi intorno ai 3 miliardi di lire sempre per il
1963.
Tutto quanto precede indica come il reddito globale della città di Foggia
sia cosi sintetizzabile:
- redditi fissi
- redditi professionali
- redditi imprenditoriali
- redditi immobiliari
- redditi totali
26 miliardi circa
2 »
»
17 »
»
_4_ »
»
49 idem
La cifra è apparsa soddisfacente, in quanto in 40 miliardi era stato già
precalcolato orientativamente il reddito netto prodotto nella città. Tenendo
conto delle approssimazioni triplici contenute nella definizione di tale reddito
netto e delle duplicazioni economiche insite nella valutazione di tutti i redditi
individuali si dovrebbe - cioè - pervenire ad un totale pareggiante che convalida
reciprocamente le due vie seguite in questa fase del lavoro.
Mentre questo breve studio viene redatto i compilatori del piano sono
occupati nella rassegna dei consumi della città di Foggia, ovverossia nello studio
delle destinazioni a consumi che i cittadini fanno de redditi di loro spettanza.
121
Una parte di estremo rilievo è stata dedicata alla parte alimentare nell'intento di fornire delle indicazioni molto precise all'amministrazione comunale su
ciò che sarà l'avvenire delle imposte di consumo come mezzo di finanziamento
delle occorrenze di bilancio e su ciò che potrà essere l'eventuale insediamento di
industrie alimentari (oggi esistenti solo a livello artigianale) in presenza di un
mercato autonomo di consumo di mole piuttosto ampia.
Le statistiche dei generi soggetti a dazio ed i risultati di un sondaggio
campionario per ciò che si riferisce al consumo delle derrate alimentari hanno
così consentito di stabilire dei punti certi per il 1963 ed un movimento
tendenziale dal 1963 ecco la sintesi dei risultati ottenuti:
consumi e derrate alimentari nella città di Foggia nel 1963:
(milioni di lire per prezzi al consumo)
- carni di grosso taglio
- pesce ed animali minori
- carne e pesce conservati
- derivati del latte
- pane, pasta e riso
- legumi
- condimenti
- latte ed uova
- dolciumi
- ortofrutticoli
- bevande alcooliche e non
- diversi
in totale consumi per
2.350
690
665
815
1.905
300
1.265
765
700
2.850
1.315
__1.480
L . 15.000
Su tali derrate sono stati, successivamente, applicati i motivi tendenziali
riscontrati e consistenti in:
a) una elevazione progressiva della qualità e della quantità delle carni
consumate;
b) una contrazione costante nei consumi di pesce conservato ed una dilatazione abituale di quelli di carne salata;
c) una stasi quantitativa con una elevazione quantitativa nei consumi di
amidacei;
d) un fenomeno equivalente per le derrate ortofrutticole;
e) una dilatazione quantitativa e qualitativa nei consumi dolciari;
f) una lieve tendenza alla maggiore spesa nelle bevande.
Tali modificazioni hanno ricevuto un valore monetario supponendo
costante il potere di acquisto della moneta 1963 per facilitare il calcolo e
rendere più agevole i confronti del caso; il tutto è stato necessariamente riferito
alla popolazione esistente nel 1971 e nel 1973 così da completare l’indagine.
I risultati finali sono stati quelli di stabilire in 19.570 milioni i consumi per
derrate alimentari nel corso del 1971 ed in 20.220 per il 1973, con una serie di
considerazioni accessorie per ciò che si potrà riferire alla struttura degli incassi
per imposte di consumo che potranno derivarne all'amministrazione comunale
competente.
Una analisi di protesti cambiari (in quanto fatto traumatico di un mezzo
normale di pagamento per l'acquisto da privati di beni di consumo durevole) e
l'abituale uso delle « voci » interessate del gettito imposte di consumo hanno
122
consentito di provvedere alla redazione di un bilancio globale dei consumi realizzati - sempre nel 1973 - per oggetti di abbigliamento, elettrodomestici ed altri
prodotti.
Il risultato in corso di verificazione in questo periodo è stato quello di un
consumo totale per 20 miliardi circa, suddiviso, approssimativamente, in 1/3 di
tale cifra per l'abbigliamento, gli accessori ed i tessili per la casa, 1/3 per gli
elettrodomestici, i mobili e simili beni di consumo durevole, 1/3 per i mezzi di
locomozione ed i beni diversi.
Per l'esattezza la somma effettivamente calcolabile come valore corrente
di beni acquistati dovrebbe essere stata maggiore, ma la cifra pagata effettivamente nel corso del 1963 non dovrebbe avere superati i 20 miliardi di lire. Il
resto è stato assunto a carico dei maggiori redditi avvenire in cui ogni individuo
spera per la sistemazione del proprio bilancio familiare e di cui, appunto, il
protesto cambiario è un indice sufficientemente orientativo per il genere e la
quantità.
Sempre in tema di consumi sono stati poi considerati i costi
dell'abitazione che già noti per la parte relativa alle locazioni in favore di
residenti nel comune di cui trattasi, dovevano essere opportunamente integrati
con le locazioni in favore di non-residenti (compagnie di assicurazione, istituti
previdenziali, ecc.), nonché con i canoni di ammortamento e riscatto pagati ad
istituti esercenti il credito fondiario o comunque abilitati alla vendita in qualche
modo rateale o differita.
Si è cosi giunti ad un totale di circa 10 miliardi di lire che ha elevato, in
conclusione, a 45 miliardi le spese per consumi degli abitanti di Foggia.
Le due cifre - 49 miliardi il reddito e 45 miliardi i consumi -, hanno una
loro eloquenza che ne renderebbe superfluo il commento: la differenza e, difatti, così esigua che gli investimenti liberamente effettuabili da parte di quella
comunità appaiono decisamente molto ridotti, sopratutto se si tiene conto che,
mentre la parte relativa al reddito non dovrebbe offrire il fianco a sopravalutazioni, molto probabilmente i consumi hanno avuto un andamento lievemente
superiore a quello che è stato possibile calcolare.
In linea teorica ci si trova di fronte ad una sostanziale incapacità di modificare radicalmente il ciclo economico per la scarsezza delle risorse destinabili
ad investimenti produttivi, mentre appare chiaro che una marcata propensione
a certi tipi di consumo renderebbe vitali iniziative tendenti, almeno, a soddisfare
tali esigenze direttamente « in loco ».
Questa parte riguarda però una panoramica piú vasta e più dinamica che
comprende gli investimenti effettuati da quelle amministrazioni pubbliche per le
quali non tutto il reddito effettivamente « prodotto » in Foggia è stato considerato (basterebbe il caso delle Ferrovie dello Stato) o per quelle altre figure
giuridiche che a Foggia hanno degli interessi e che, con ogni probabilità, continueranno a considerarlo positivamente come un buon mercato di
investimento.
Tutto ciò non basta ed è stato appunto per poter giungere a disporre di
un efficace strumento ricognitivo di dialogo e di contrattazione che quella amministrazione locale ha deciso di pervenire ad una sintesi numerica, altrimenti
non ricavabile.
Nei prossimi mesi la Commissione Regionale per la Programmazione
Pugliese dovrebbe iniziare i suoi lavori; in quel momento sul tavolo della discussione sarà anche il documento del quale si è parlato; esso non sarà pro123
babilmente il migliore nè l'unico, ma sarà certamente un invito a fare altrettanto
da parte delle zone che ne fossero sprovviste per sostituire finalmente alle
sensazioni le notizie, ed agli orientamenti irrazionali e spesso improvvisati, delle
opinioni meditate e documentate.
MARCELLO di FALCO
____________
Dott. MARCELLO DI FALCO, Roma.
FOGGIA (1898) - Palazzo Civico a Porta Arpana
124
MANIFESTAZIONI NAZIONALI
La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia
La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia è stata inaugurata il 30 aprile dal
Ministro Delle Fave al quale l’on. Meo, che presiede l'Ente « Fiera di Foggia »,
ha rivolto un caloroso saluto, rilevando come la nuova edizione riproponga in
termini di urgenza per tutta l'economia italiana i dibattuti temi del mondo agricolo meridionale. Nel suo discorso inaugurale l'on. Delle Fave, dopo essersi
compiaciuto dei progressi della manifestazione agricola di Foggia,
riconoscendo a questa il titolo di « capitale agricola del Mezzogiorno », ha
ribadito la necessità di un impegno reciproco dello Stato e degli operatori
agricoli, per assicurare un migliore avvenire all'economia meridionale. E’ seguita
la inaugurazione delle mostre fieristiche con un cordiale scambio di idee tra gli
espositori dei vari settori. Nel settore zootecnico, invece, la Fiera si è animata
sin dalle prime ore del mattino, con l'effettuazione del IV Mercato Nazionale
del Bestiame Bovino e i lavori delle giurie, per le rassegne e i concorsi
zootecnici.
Nella sua seconda giornata, con la visita del sottosegretario on.
Guadalupi, il Campo Fiera ha ospitato la « IV Giornata del Gargano »,
organizzata dal Consorzio di Bonifica Montana, sui problemi della zootecnia
garganica. Vi si è effettuata la premiazione inerente alle rassegne bovine.
Il 2 maggio si è svolto un ricevimento offerto dalla Delegazione francese
in Fiera alle autorità cittadine e ai rappresentanti della stampa. Nel pomeriggio
si è effettuata la « Giornata della Germania », la cui presenza nel mercato
fieristico ne conferma la validità commerciale.
A cura dell'Amministrazione Provinciale di Foggia si è svolta una «
Conferenza sui problemi dell'agricoltura nella Capitanata », in base a relazione
del prof. Scardaccione, direttore generale dell'Ente Riforma di Puglia, Lucania e
Molise, sulla realtà odierna e sulle prospettive di sviluppo dell'agricoltura dauna.
Particolare successo ha arriso al settore avicolo, nel grande padiglione che ha
ospitato contemporaneamente sia le mostre dei soggetti vivi delle varie razze
introdotte in Italia, sia la esposizione delle attrezzature e dei mangimi.
Il 3 maggio si è tenuta la « Giornata Europea », organizzata dall'Ente
Fiera in collaborazione con il servizio stampa della Comunità Europea. Il
Convegno, al quale hanno partecipato esponenti politici nazionali e comunitari,
ha dibattuto i problemi relativi al Mezzogiorno agricolo nell'ambito della
Comunità, che ha esposto in un padiglione divulgativo le attività della CEE,
della CECA e dell'EURATOM.
Con l'intervento del vice presidente della Cassa per il Mezzogiorno,
avvocato Michele Cifarelli, ha avuto luogo in Fiera un raduno di agricoltori
indetto dalla Confederazione Unitaria della Produzione Agricola, che intende
svolgere un'azione calmieratrice e intermediaria fra la produzione delle
macchine agricole e gli
125
agricoltori associati. A tale scopo, infatti, l'Associazione ha anche allestito in
Fiera un proprio stand, presentando macchine di case italiane ed estere, offerte
in vendita direttamente agli associati. L'esposizione ha avuto grande successo
anche per la larga diffusione fra i visitatori di materiale illustrativo approntato
dall'Ufficio Stampa della Comunità e per la riuscita iniziativa di far parlare su
registrazione i piú noti esponenti dell'agricoltura meridionale.
Per la « Giornata della Cooperazione » sono affluiti in Fiera migliaia di
assegnatari dell'Ente Riforma e presidenti di cooperative aderenti alla Federazione Nazionale della Cooperazione Agricola. il movimento cooperativistico
italiano aderente alla Federazione conta circa 110 mila soci fra imprenditori
agricoli e piccoli proprietari della Riforma agraria, che fanno capo a circa settecento cooperative di servizi, a centotrentacinque cooperative di trasformazione
e a oltre duecento mutue bestiame.
Rilevante la presenza di grandi ditte a carattere internazionale, fra le quali
la Ford, sempre più interessata alla manifestazione foggiana, non solo come
sicuro mercato di vendite, ma come polo dello sviluppo agricolo del
Mezzogiorno.
Nel quadro delle manifestazioni riservate all'avicoltura specializzata,
pieno successo ha arriso alla « V Mostra - Concorso degli allevatori avicoli del
Mezzogiorno ». La manifestazione ha lo scopo di favorire il miglioramento, il
potenziamento e la difesa della pollicoltura nel Sud, nonché mettere in evidenza
i lavori di miglioramento svolti da imprese agricole specializzate.
« Le Prospettive dell'Ortofrutticoltura della Puglia » è stato il tema di un
convegno del 5 maggio. Alla relazione generale tenuta dal prof. Cupo della
Facoltà di Agraria di Portici, sono seguiti interventi del dr. Musenga del Servizio
bonifiche e trasformazioni fondiarie della Cassa per il Mezzogiorno, del dr.
Porcelli, direttore della Stazione Agraria Sperimentale di Bari e del dr. Biasoli,
direttore della Centrale Ortofrutticola di Foggia. Successivamente ha avuto
luogo una visita alla Centrale Ortofrutticola presso il Quartiere fieristico, sorta
per iniziativa della Camera di Commercio, del Consorzio Generale di Bonifica,
dell'Ente Riforma e di altri Enti e associazioni locali di produttori, i cui impianti
consentiranno la possibilità di sfruttamento sia per prodotti ortofrutticoli di
breve e di media e lunga conservazione. Nella stessa giornata si è avuto la visita
dell'ing. Hanke, direttore dell'Associazione Nazionale Tedesca dei Produttori di
Macchine Agricole, il quale ha manifestato l'interesse particolare della industria
meccanico-agricola tedesca per la Fiera.
Il giorno successivo, presenti numerosi allevatori di tutta l'Italia centromeridionale, ha avuto inizio la Fiera Nazionale del Bestiame, tradizionalmente
impostata sui mercati equino, bovino e suino, cui sono riservati gli ultimi tre
giorni della manifestazione, periodo di maggior affluenza in Fiera di operatori e
di visitatori. Si è svolta anche la « IV Giornata dell'Istruzione Tecnica » con una
larga partecipazione di docenti e discenti, convenuti in Fiera per esaminare la
possibilità di istituire a Foggia una facoltà universitaria di Genio Rurale, aspirazione antica della popolazione della provincia. Relatore è stato l'ing. Candura,
che ha indicato i motivi di scelta della sede e ha illustrato il piano di attuazione
dell'iniziativa e l'adesione degli enti locali.
Il 7 maggio ha registrato la visita del presidente della Camera dei
Deputati, on. Bucciarelli-Ducci. « Avevo conoscenza - egli ha detto - attraverso
le informazioni della stampa nazionale, della importanza di questa Fiera.
Visitatala, ogni mia previsione è stata superata dalla realtà. È una manifestazione
che ono126
ra non soltanto l'Ente che l'organizza con intelligenza e fervore ammirevole e la
Città che l'ospita, ma tutto il Paese». Nella stessa giornata, continuando la Fiera
Nazionale del Bestiame, indetta dall'Associazione Italiana Allevatori, si è
celebrata la « I Giornata della Zootecnica » con un tema di grande interesse: «
Gli aspetti organizzativi della fecondazione artificiale nel Mezzogiorno d'Italia»,
su relazione del prof. Valerani. Organizzato dall'Associazione Nazionale Giovani Agricoltori, si è tenuto anche il tradizionale raduno di giovani imprenditori
ad essa aderenti. Dopo la visita ai settori della Fiera, essi hanno tenuto una
interessante discussione sulla produzione unitaria agricola in Italia paragonata a
quella di altri paesi di elevata agricoltura, come gli U.S.A. La relazione generale
è stata tenuta dal prof. Carrante. Il dibattito è stato autorevolmente diretto dal
dr. Chidichimo, segretario generale dell'A.N.C.A.
L'8 maggio la XV edizione della Fiera è stata ufficialmente chiusa dal
sottosegretario dell'Industria e Commercio, on. Danilo De Cocci, in
rappresentanza del Governo. Egli ha dichiarato che: « l'Italia, con la
manifestazione di Verona, può contare, nel Sud, su una seconda Fiera
Internazionale dell'agricoltura perché questa Fiera ha tutti i titoli
dell'internazionalità ».
A chiusura della edizione la Segreteria generale dell'Ente ha emanato il
comunicato conclusivo, per documentare la vitalità del più importante centro
agricolo del Mezzogiorno. (il «Mastro»)
EDIZIONI DELLA FIERA.
Durante le intense giornate, comprese nel nutrito calendario delle
manifestazioni fieristiche, l'Ente ha presentato una serie di pubblicazioni ufficiali,
curate dal suo segretario gen.le prof. Vitulli. Tra esse, oltre il voluminoso catalogo delle mostre e degli espositori, molto apprezzato il n.u. intitolato Foggia
1964: un "rotocalco" impresso a Foggia, ricco di illustrazioni, con il seguente
sommario, in aggiunta alla cronaca delle "giornate": L'Amministrazione Comunale e
la Fiera dell'agricoltura di Foggia; L'Istituto di Genio Rurale; (CARLO FORCELLA)
Camera di Commercio I. e A.; Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale di Foggia; La
Fiera e i nuovi studi sulla Dogana di Foggia e il Tavoliere di Puglia (MARIO
SIMONE); Consorzio Agrario Provinciale di Foggia; Istituto Autonomo per le Case
Popolari della Provincia di Foggia; Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura;
Consorzio di Bonifica Montana del Gargano; Ente Nazionale Prevenzione Infortuni;
Consarzio Dauno per la valorizzazione Turistico-Economica del Gargano; Automobil Club;
Cooperativa Daunia Latte; Azienda Autonoma di soggiorno e turismo di San Giovanni
Rotondo (ANTONIO CASCAVILLA)
127
PALAZZO DOGANA
La nuova Giunta Provinciale
La seconda Giunta di centro-sinistra, presieduta dall'avvocato Gabriele
Consiglio ed eletta nella seduta del 6 luglio 1963, dopo aver operato per circa
un semestre, si dimise il 18 febbraio 1964 in seguito alla mancata approvazione,
da parte del Consiglio Provinciale, del bilancio di previsione per l'esercizio
1963.
All'atto della crisi, lo schieramento dei gruppi politici in seno al Consiglio
Provinciale, per alcuni mutamenti verificatisi, risultò essere il seguente:
11 consiglieri del P.C.I.
10 »
della D.C.
2
»
del P.S.I.
1 consigliere del P.L.I.
1
»
del P.D.U.M.
1
1
1
2
»
del P.S.D.I.
»
del P.S.I.U.P.
»
del M.S.I.
consiglieri indipendenti di
sinistra.
Dopo una serie di votazioni infruttuose, nella seduta del 2 marzo, si
arrivò per ballottaggio alla elezione a presidente del dott. Savino Vania, che
accettò con riserva, e alla elezione, nella seduta del 16 marzo, in seguito allo
scioglimento iri senso positivo della riserva da parte del presidente neo-eletto,
di una nuova giunta minoritaria appoggiata dal PCI (11), dal PSIUP (1) e dai
due consiglieri indipendenti di sinistra, professori De Miro e Bafunno.
Questi i nomi dei suoi componenti, con le rispettive attribuzioni:
Savino Vania: Programmazione
Pasquale Panico: V. pres. e Lavori Pubblici
Filippo di Venosa: Personale
Emilio Amoroso: Assistenza
Pasquale Ricciardelli: Bilancio, Finanza e Contenzioso
Matteo Merla: Pubblica Istruzione
Nicola d'Andrea: Caccia e Pesca
Antonio Nardella: Turismo
Lorenzo Dell'Osso: Igiene e Sanità.
128
FIERA DELL’AGRICOLTURA IN FOGGIA
Aspetti della XV manifestazione nazionale
( Fotografie di Leone, g.c. dall’E.A. « Fiera di Foggia » )
LA NUOVA GIUNTA PROVINCIALE
Il Presidente dottor Savino Vania
( Fotografia « Olimpia » )
Programma
della nuova Giunta Provinciale
Signori Consiglieri,
(Omissis)
questa premessa ha voluto dimostrare due cose: l'una, quella della
particolarità di una situazione obiettiva alla Provincia, l'altra quella, che la nostra
decisione, se pure è discesa direttamente dalla valutazione interna di quella
situazione, contiene motivi di più vasto respiro e di più vasta portata che non
possono essere ristretti alla visione - assai interessata e particolaristica - di un
trasformismo strumentale, né a quella, d'altra parte, che non debba ritenersi
valida e quindi da far cadere ad ogni costo una giunta che non sia maggioritaria, perché quando si teorizzasse una simile posizione se ne comprenderebbe
subito l'assurdità se non altro per l'assurdo principio secondo il quale ogni volta
che si verificasse una giunta minoritaria bisognerebbe ricorrere ad una gestione
commissariale, vi fossero o no le condizioni per ricorrere all'elettorato.
Sono qui i motivi che ci consigliano di non restringere il dibattito a
questa aula e di promuovere iniziative per cui il dibattito, l'incontro o lo
scontro, le scelte, le maggioranze che venissero a costituirsi fossero soprattutto
il portato e il risultato di una battaglia politica non di vertici, ma delle masse.
Noi saremmo soddisfatti di avere contribuito a questa lotta e a questa
battaglia anche con i limiti di questa giunta che né voi né noi ignoriamo.
Il problema dell'agricoltura, dell'industria della città e della campagna, la
questione meridionale che pare già ridimensionata ai termini tradizionali delle
incentivazioni - anche con le aree e con i nuclei - e
129
praticamente della soggezione degli interessi meridionalistici a quelli del nord
industriale avanzato, in provincia di Foggia, la questione del rapporto
industria-agricoltura e degli indirizzi generali di una programmazione per le tre
zone del Tavoliere, del Subappennino e del Gargano da inserirsi nel contesto di
una unità regionale e nazionale - come anche la scoperta del metano e della sua
utilizzazione - premono nel senso di una azione, di un intervento immediato
che sia di conoscenza deì problemi di tendenza e di una loro giusta
collocazione nella tematica generale di un indirizzo antimonopolista e nel
contempo, anzi, soprattutto, già di incontro di forze e di organizzazioni, di
partiti, di enti e di nuove istanze di potere e di direzione. Problema economico
e politico quello della programmazione che nelle strette economiche odierne
viene a rompere tra l'altro anche gli attuali obbligatì schemi di una necessaria
maggioranza precostituita, quando non vi sia o non vi siano le condizioni reali
per ottenerla, e, specie, se si tiene conto del fatto che anche questa può risultare
vuota di contenuto se non sa mettersi alla testa del movimento, non lo sa
indirizzare e finisce poi col perdersi dietro le vie intricate e i mezzi concertati ed
assai bene articolati della politica dei monopoli.
Direi che il metano, gli altri bene della terra e della ricchezza che produce
tutto il lavoro umano rischiano di perdersi per infiniti rivoli e di essere
convogliati per le solite destinazioni se non si sanno bene indirizzare e non
servono a creare condizioni oltre che di progresso generale, di maggiore
giustizia sociale, se non creano cioè - con nuovi poteri - nuovi valori umani e
sociali, cioè una vera nuova ricchezza per la collettività capace di aprire la via
alla prospettiva di un nuovo assetto sociale di una nuova direzione economica e
politica degli interessi pubblici.
Qui è il punto su cui convergere e qualificarsi, dividersi o unirsi. Quì è
l'alternativa, il metodo e la scelta.
E' ancora la battaglìa ideale che vogliamo richiamare, l'invito che
rivolgiamo alle masse alle forze che vogliano agire su una piattaforma comune,
omogenea di lotta, che tengano a formare e a costruire nella realtà nuove
maggioranze e nuove intese unitarie.
Direi che la stessa crisi dei poteri delegati e delle rappresentanze
pubbliche - dai partiti alle assemblee rappresentative - può trovare su questo
terreno dì lotta per nuovi indirìzzi e per la creazione di nuovi valori umani e
sociali, quella continuità, quella forza, capacità di ripresa del potere e del legame
con le masse « che oggi gli sviluppi oggettivi che si stanno compiendo nel
processo produttivo e le spinte sociali e politiche che partendo da tali processi
oggettivi si sono mani130
festate, pongono come problemi attuali di un nuovo moderno aggiornato
rapporto fra stato e società civile, fra i soggetti e gli oggetti della produzione,
infine come temi di lotta per una nuova democrazia ».
In questo contesto prendono significato, rilievo e sostanza i nuovi ruoli
che possono assumere gli enti locali, la Provincia, la Regione e per essa oggi
l’Unione delle Province di fronte al tempo della programmazione, all'unico
tempo della congiuntura e della programmazione, le loro iniziative, ecco, il
rapporto che essi riescono ad istituire con le varie fasi della programmazione,
con i tempi della sua preparazione e della sua attuazione.
la costituzione dell'Unione delle Province in Comitato permanente per la
programmazione è un fatto di prima importanza per la regione pugliese e per
le popolazioni, per il Meridione e per la provincia di Foggia, intanto che
l’istituto della Regione non sia ancora attuato.
Essa è certo un risultato positivo, ma che ci porta anche a constatare un
ritardo grave e il pericolo reale che si perda l'occasione di inserirsi attivamente
nelle fasi dello studio e dell’azione e in quella più importante della lotta per la
programmazione regionale e nazionale.
Lo stesso prof. Fantasia, presidente dell'Unione delle Provincie Puglìesì,
ha riconosciuto questo nostro ritardo rispetto ad altre regioni. Siamo stati
assenti nel primo momento, quello dello studio e dell'agitazione che ha
proceduto il rapporto Saraceno. E il professore Fantasia ha esplicitamente
dichiarato in una delle riunioni dell'assemblea delle Province Pugliesi che il
ritardo è da attribursi al fatto che per lungo tempo il Consiglio Provinciale di
Foggia non aveva provveduto ad eleggere i suoi rappresentanti.
Rischiamo oggi di essere completamente assenti, di trovarci fuori orbita
e cadere nel nullismo velleitario, inoltre di veder infine decaduti anche i nostri
rappresentanti testé nominati all’assemblea dell'Unione delle Province se
dovesse succedere una gestione commissariale.
Siamo al punto che potrebbe anche verificarsi per colpa nostra la
cessazione di ogni attività del Comitato regionale per la programmazione, e
mentre stiamo per passare alla terza fase dell'attività programmatrice che è
quella dell'approntamento dei provvedimentì legislativi e a quella non molto
lontana, come scadenza, dell'inìzio dell'attività programmatica fissata nel
calendario per il 1° gennaio 1965.
Scadenze, impegni, iniziative a cui non questa Giunta soltanto ma il
Consiglio non può sottrarsi, tanto più che risulterebbero essere tutte cose da
rinviare a giorni senza data se dovesse verificarsi il malanno della gestione
commissariale: voi sapete quello che è, rappresenta o non è e non rappresenta
un commissario in questa circostanza.
131
Se poi per un momento volessimo pensare al tentativo che le Camere di
Commercio stanno portando avanti di sottrarre all'Unione delle Province la
programmazione per meglio obbedire agli interessi dei monopoli, nonché alle
minacce di rinviare a miglior data tutta la politica nazionale di programmazione,
possiamo comprendere in tutta la sua estensione la portata delle nostre
decisioni e delle nostre possibilità, la responsabilità a cui andiamo incontro e di
cui è partecipe tutto il Consiglio, il danno che si farebbe nei fatti e negli obiettivi
agli interessi democratici della programmazione per la Provincia e la Regione,
per le nostre popolazioni, se questa volontà di percorrere i brevissimi tempi di
questa fase della programmazione con impegno dovesse essere frustrata
dall'intento e dal più cattivo atteggiamento che fosse di opposizione voluta, di
ostacolo e di pratico boicottaggio dei necessari impegni e delle più necessarie
iniziative.
La critica di fondo che è stata avanzata per il passato alla carenza di
iniziative ed all'approntamento e al varo di strumenti di decisione e di potere
per la programmazione ha avuto questa preoccupazione, questa coscienza che il
tempo - in cui i monopoli marciano piegando ai loro fini poteri pubblici,
economie e processi produttivi, e le esigenze di una programmazione invece
antimonopolista, democratica delle popolazioni, nel periodo della congiuntura
e di crisi delle strutture, richiedono altri indirizzi e altre soluzioni - sia in
definitiva una questione di vita o di morte, un fattore determinante ai fini di una
evoluzione in un senso o nell’altro della direzione del potere e degli interessi di
classe : per cui a coloro che vogliono dare prova di sensibilità democratica, di
legame con le masse contadine e dei ceti medi, di sentirsi meridionalisti nel
giusto senso, si può dire che il fattore tempo è registrazione, riscontro di
volontà, di azione e di capacità di lotta e di validità delle posizioni politiche e
ideologiche.
La costituzione immediata di un Comitato provinciale per la programmazione, sotto la cui direzione operi un comitato di tecnici e di studiosi,
per il quale questa giunta è impegnata e che il Consiglio, confidiamo, renderà
esecutiva, così le iniziative per cui desideriamo che prendano corpo certe
volontà e certi propositi di agire e di intervenire concretamente, rispondono a
due esigenze contenute nei cinque punti dell'accordo raggiunto al livello
dell'Unione delle Province: la prima, quella di disporre di un proprio strumento
di precisione e di studio, l'altra, quella di concorrere alla fase attiva del
Comitato permanente regionale per la programmazione, alla creazione di
strumenti finanziari a livello regionale e alla preparazione di un piano regionale
di richieste che vengano dal basso in modo articolato e coordinato per
assolvere il
132
ruolo di guida verso i comuni della provincia, lo stesso capoluogo e verso il
gruppo di interessi che è rappresentato dalle tre zone del Tavoliere, del
Gargano, del Subappennino, per stabilire non solo un ruolo in combinazione
con quello dei comuni, dei vari istituti economici e politici della provincia, ma
anche un preciso rapporto con i problemi reali della Provincia, della Regione e
del Meridione.
Una Provincia, una Giunta, un Consiglio impegnati verso le comunità
montane, verso i comprensori, le varie iniziative come quella di Lucera e di
Candela per il metano, che vanno prendendo spazio e rilievo nella provincia,
per dire una parola, da protagonisti.
Compiti e impegni dì vera continuità attiva e propulsiva che non
concedono nulla alle posizioni di attesa, dei rinviì, della gestione commìssariale
invocata.
Ai partiti, alla Giunta che li rappresenta pare che in questo contesto di
reale esigenza delle masse, di impegni e di iniziative rivolte a soddisfarle,
debbano subito collocarsi ad essere rese operanti: la iniziativa per una
conferenza sulla programmazione che ponga al centro dei suoi interessi e del
suo dibattito e quindi delle sue scelte e delle sue decisioni lo sviluppo
economico della provincia, delle sue tendenze, della sua destinazione e del suo
indirizzo; che ponga al centro i problemi della riforma agraria e delle altre
necessarie riforme strutturali e il problema della industrializzazione, che deve
basarsi innanzitutto sulla destinazione al Mezzogiorno di tutti gli investimenti
delle industrie di Stato e sul sorgere di industrie collegate anche allo sviluppo
agricolo; l'iniziativa per una conferenza sull'agricoltura che faccia il punto sulla
situazione e trovi la forza e la capacità di mettere in primo piano i suoi nessi
con i problemi dello sviluppo economico, dell'industrializzazione, la sua
preminente incidenza sugli altri aspetti dell'economia, dei mercati, della
produzione, della trasformazione industriale ed agricola, della cooperazione e
della scuola, dell'ordine sociale e politico, della società civile organizzata, perché
uscendo dalla genericità, dai propositi, dagli obiettivi mancati, dalla denuncia
protestataria e rivendicativa, faccia risaltare e compiere un deciso passo avanti ai
problemi di struttura, al mondo contadino che dietro di essi preme.
Di concerto con queste due ìmportanti conferenze, la Giunta propone e
si impegna a portare avanti una importante iniziativa per lo studio dei problemi
dello sviluppo del turismo e un'altra per la scuola, perché anche in questi due
settori siano visti, definiti, impostati e portati avanti problemi generali di
orientamento e di sviluppo, affinché il Consiglio si avvalga della consultazione e
partecipazione di tutte le forze vive e più direttamente interessate.
133
Signori Consiglieri, in questa terra di emigrati, di contadini cacciati dalle
loro terre e dalle loro famiglie, di indirizzi colturali d'altri tempi e d'altre
conduzioni, di proprietà contadine rovinate che attendono ancora di svolgere
un ruolo che spetta loro di protagoniste, di braccianti ancora disoccupati e
semidisoccupati, di coloni e di mezzadri, di artigiani e di commercianti poveri,
il problema dell'industrializzazione non può essere e non è un problema di
isole, né un problema di economia e di ricchezza, di sviluppo economico da
vedersi o da ridursi nella cornice subordinata e complementare del sistema
monopolistico e del mercati da esso dominati, né per questo, in quella di una
mortificazione del ruolo degli enti locali ritenuti utili solo a creare condizioni di
favore ai monopoli e alle industrie che scenderebbero dal nord come del, e qui
si insediano, per una loro collocazione, secondo più un piano regolatore di
costrizione del consorzi e del nuclei, che secondo un piano economico di
sviluppo.
Tutt'altro.
Direi che quello che fa l'ambiente e deve fare, costruire la civiltà politica,
sociale e culturale di questa terra è il mondo contadino, sono i vecchi cafoni,
per cui l'industria può avere un ruolo di progresso, se si sviluppa sulla base e
secondo le linee di sviluppo agricolo della provincia.
Il metano non si tratterà solo di sfruttarlo e di convogliarlo secondo i
vecchi tradizionali schemi dello sfruttamento e delle convenienze di mercato,
del sovraprofitto monopolistico. Esso, come le altre fonti di energia deve
essere guardato come una fonte di ricchezza da convogliare verso altri canali,
processi di sviluppo con i quali formare la ricchezza delle nostre popolazioni,
anzi deve servire a questo. Altrimenti tutto è ridotto ad una mera economia di
mercato e di profitto. Ed è possibile che si verifichi quanto già si è verificato
con altri centri industriali del passato lontano e prossimo, come per la Cartiera
di Foggia e per la bauxite di S. Giovanni Rotondo, come si è verificato per il
mancato sviluppo di altre attività, ed ultimo - per un fenomeno di rapida
contrazione e riduzione settoriale - come si sta verificando per il nucleo
industriale di Foggia, nato asfittico e ora impigliato nei conati di velleitarie e per
la verità poco rappresentative e poco utili presidenze.
In proposito noi riteniamo che la Provincia debba operare con la dovuta
fermezza non solo per la difesa dell'industria mineraria del Gargano e di quella
cartaria, ma per la loro ripresa, per la lavorazione in loco della bauxite,
ottenendo la sostituzione della Montecatini con
134
l'industria di Stato, per il riordinamento dell'Istìtuto Poligrafico dello Stato e
l’ammodernamento della Cartiera di Foggia.
Prendiamo atto del fallimento della politica dei nuclei, delle incentivazioni, della Cassa del Mezzogiorno, e rovesciamo le impostazioni e gli
obiettivi oltre che gli strumenti e i mezzi.
Si tratta di creare un rapporto industria-agricoltura-ambiente sociale ed
economico della Provincia, e di puntare attraverso l'associazione degli enti locali
in comprensori sulla prospettiva di un piano regionale di sviluppo nel più largo
contesto della programmazione nazionale cui deve giungere tutto un complesso
armonico e diffuso di richieste e di proposte del nostro mondo politico e
sociale.
Con questa visione è facile comprendere il ruolo che spetta alla
Provincia, i compiti che spettano ai Comuni, l'importanza del legame con
l'Unione delle Province, l'esigenza di operare per un nostro contributo di
conoscenza, di orientamento e di azione e la responsabilità di cui siamo carichi.
Così il problema dell'agricoltura è da vedersi nella sua capacità di
contrasto all'attuale fase della espansione dei monopoli, con l'esigenza
incombente e primordiale di una riforma agraria generale, in relazione al ruolo
di protagonista del colono e del mezzadro, dell'impresa contadina resa libera e
sviluppata, per attivare un processo autonomo delle campagne, per dare la
terra a chi lavora, per intervenire direttamente nella strategia degli investimenti al
livello statale, « per scardinare il meccanismo di rapina e di accumulazione
capitalistica, per bloccare l'esodo, per spezzare la politica dei poli di sviluppo
ed avviare un nuovo processo economico, un nuovo processo di industrializzazione che trovi il suo punto essenziale di forza in un diverso rapporto
città-campagna ».
Anche qui la Provincia può e deve svolgere un suo ruolo di guida, farsi
attiva e presente, intervenendo con iniziative particolari di comune accordo con
gli altri enti verso il Subappennino e il Gargano dove la situazione è più
particolarmente grave, e verso il Tavoliere, per caratterizzare e definìre una sua
politica di bilancio e di vari altri impegni e interventi verso quelle zone e verso
la campagna in generale: con aiuti finanziari per lo sviluppo della cooperazione,
per impianti di trasformazione e di conservazione, pubblici e cooperativi,
promuovendo e sviluppando corsi di addestramento e di perfezionamento
professionale in agrìcoltura, portando avanti il lavoro già impostato per le
frane, sollecitando e incoraggiando altre iniziative che venissero promosse
intanto dal Capoluogo e da altri comuni della Provincia.
Una attenzione particolare dovremo rivolgere ai bisogni delle
135
campagne in ordine ai problemi delle opere e del servizi essenziali, all'elettrificazione, all'irrigazione, alle strade.
L'Amministrazione Provinciale deve altresì interessarsi ai problemi da più
anni trascurati della pesca e della caccia, prendendo anche la dovuta posizione
contro le speculazioni sulle riserve di caccia e contro certe gabelle feudali che
ancora gravano sulla pesa.
Anche i problemi del turismo devono essere visti secondo una
prospettiva di sviluppo e come un aspetto della programmazione.
In provincia di Foggia per le caratteristiche del Gargano e delle sue
coste, per la presenza della Foresta Umbra e di altre attrattive naturali del
Subappennino, per l'importanza dei centri balneari, non è possibile lasciare tutto
alla estemporaneità e alla speculazione; anche qui è necessario che
l'Amministrazione Provinciale svolga una azione ed una attività per uno
sviluppo armonico che vada nella direzione degli interessi delle popolazioni e
dei comuni, promuova iniziative varie e con le amministrazioni comunali
stabilisca una linea che tenda a risolvere i problemi delle costruzioni, delle
attrezzature, dei servizi pubblici, dei trasporti nel più ampio quadro delle
infrastrutture necessarie.
Dobbiamo mettere quindi allo studio una serie di proposte per la
pubblicizzazione della ferrovia garganica e dei trasporti interurbani
automobilistici. Tra l'altro la Provincia dovrà promuovere e assecondare
appropriate iniziative per la valorizzazione della marina di Chieuti, per
l'incremento dell'attività consorziale di Siponto, per la costruzione di un
villaggio turistico nella Foresta Umbra, per la creazione di nuovi consorzi tra
enti locali.
La Provincia non può estraniarsi ancora ai problemi della casa, dell'urbanistica, degli ospedali, dell'approvvigionamento idrico.
Si tratta di problemi rimasti insoluti e sotto molti aspetti aggravati dalla
errata politica dei governi che si sono succeduti nel Paese in tutti questi anni.
La popolazione ha sete. Manca l'acqua in tutte le stagioni, e per molte
ore della giornata. Finora non vi sono state che promesse. La insufficienza di
acqua costituisce un pregiudizio alla salute e un ostacolo serio non solo
all'elevamento civile delle popolazioni, ma anche allo sviluppo dell'agricoltura,
della industria e del turismo. La Provincia deve intervenire con il necessario
impegno affinché il problema sia avviato a soluzione. Essa deve altresì
interessarsi, con le iniziative e gli interventi più opportuni, preoccupata
esclusivamente degli interessi delle popolazioni, per affrontare gli altri problemi
accennati. Tutto questo pone l'esigenza di una stretta collaborazione tra la
Provincia e tutti i comunì e gli altri enti ed organismi interessati, specialmente tra
136
la Provincia e il Comune capoluogo, al quale naturalmente spettano compiti
particolari.
Con la stessa visione dovranno essere affrontati i problemi della Cultura
e dello Sport, così la Biblioteca Provinciale non deve continuare ad essere
soltanto un luogo dì lettura, ma divenire anche centro promotore di iniziative
culturali.
Grave è il problema delle attrezzature scolastiche, della necessìtà del
decentramento dell'Istítuto Tecnico Industriale di Foggia, del sovraffollamento
di altri istituti secondari e della esigenza anch'essa indilazionabile di dotare di
scuole superiori importanti zone che ne sono ancora completamente prive.
Accanto a questo problema vi è quello nuovo per la provincia di Foggia,
ma anch'esso da affrontare, dell’assistenza agli universitari ed agli studenti
bisognosi per il quale sarà necessario stanziare delle somme in bilancio da
erogare secondo criteri obiettivi fissati da un regolamento.
Ma anche la scuola, che è un problema dì struttura, deve trovare i suoi
punti di collegamento con la programmazione regionale e con le necessità, le
esigenze, i processi di sviluppo dell'economia e dell'industria della provincia e
della regione, cosicché anche il problema del Magistero che già una volta è stato
sollevato autorevolmente in questo Consiglio e da più parti viene caldeggiato, è
un probema da porsi in relazione agli indìrizzi generali di un piano organìco per
la scuola.
Le soluzioni come le iniziative e le proposte, a nostro parere, dovranno
nascere da un confronto e da un dibattito che affronti la globalità delle
questioni.
Fra i problemi da affrontare vi è quello di una revisione dello stato
giuridico e del trattamento economìco del personale, per il quale sarà sollecitata
la collaborazione del Sindacati.
Per tutte le questionì e i problemi che sono stati sollevati, per gli altri
specificatamente che si riferiscono ai compiti di istituto, alle strade, all'assistenza,
allo stesso problema della presentazione del bilancio veniamo a porre davanti al
Consiglio un metodo democratico, una responsabilità comune alla quale sarà
reso partecipe di volta in volta lo stesso Consiglio, anche con la creazione di
commissioni che affianchino il lavoro dei vari assessorati così che si arrivi ad un
pìano coordinatore delle varie attività e ad una visione d'insieme delle soluzioni
dei problemi della Provincia.
Molto gravi sono le insufficienze ancora esistenti nell'importante campo
dell'assistenza.
137
Vi è innanzitutto la necessità di aggredire il problema della Maternità, in
una giusta visione delle crescenti esigenze di tutta la provincia.
Radicalmente migliorata deve essere l'assistenza a favore dei sordomuti,
dei ciechi, dei dementi, degli illegittimi, delle madri naturali; e una giusta
attenzione deve essere rivolta al problema della medicina scolastica e all'azione
preventiva contro la t.b.c.
La rete stradale nella nostra provincia è fra le meno sviluppate e
inefficienti del Paese e anche del Mezzogiorno. Il problema stradale deve
naturalmente avere un giusto posto nella programmazione, ma intanto urgono
stanziamenti adeguati da parte degli organi centrali dello Stato per consentire
alla Provincia di far fronte alla esigenza di sistemare e ammodernare tutte le
strade esistenti, nonché della costruzione di tronchi stradali da tempo progettati,
in parte da decenni e decenni in costruzione.
La Commissione per la preparazione del progetto di bilancio per il 1964
sarà proposta al più presto possibile. Nessuno pensi che vi sia da parte nostra
intenzione di procrastinare nel tempo la preparazione e la presentazione al
Consiglio di questo importante atto. Ciò non significa che noi approviamo
l'intervento del Prefetto, il quale, come se non conoscesse la crisi e la vacanza di
poteri alla Provincia, fa cadere nelle nostre mani - e neppure nostre - in data 5
marzo, una lettera veramente intimidatoria, secondo la quale dovremmo
approvare il bilancio entro il 31 marzo.
Signori Consiglieri, abbiamo parlato a lungo di ina linea e di un metodo,
della reale situazione alla Provincia, dei gravi problemi che assillano le nostre
popolazioni, delle esigenze di una programmazione democratica e
antimonopolista, dei limiti nei quali noi ci accingiamo ad operare.
Sono cose che ci chiamano ad una comune responsabilità : per noi sarà
preminente l'attività del Consiglio, le riunioni frequenti, la rappresentanza
proporzionale nelle varie commissioni, ma soprattutto sarà nostra
preoccupazione e nostra cura di fare in modo che le preclusioni, la mancanza di
una collaborazione, le adesioni o meno alle nostre iniziative e alla nostra attività
risultino chiare in questa aula e fuori, di questa aula, perché il giudizio sulle
responsabilità di oggi e di domani sia affidato a coloro che nei fatti, nella lotta,
nella battaglia ideale e politica devono consigliarci di agire in un modo o
nell'altro, non secondo criteri di opportunità politica, di contingenze passeggere
e di trasformismo politico, ma secondo un costume e un convincimento che
138
abbiamo ereditato noi dalla Resistenza e proiettiamo in un avvenire di una
maggiore giustizia sociale, di un ordine nuovo, di una società nuova.
Vogliamo costruire anche nelle nostre condizioni, con una Provincia in
dissesto, con una congiuntura che fa sentire le sue strette, con la coscienza che
abbiamo individuato in che consiste il problema di una maggioranza al
Consiglio Provinciale, con una Giunta che per questo non fa nessuna
concessione a se stessa e pone oggi appunto il problema di formare una valida,
stabile, democratica e qualificata maggioranza.
Non sentiamo di dover giustificare i voti che ci hanno eletto: le
dichiarazioni, i fatti, le decisioni che li hanno convalidati e resi pubblici sono la
prova di una coerenza, di un costume, di un metodo e di una linea che hanno
trovato in queste mie dichiarazioni sufficienti ragioni per qualificarsi, per
ottenere un giudizio da voi e, quel che più conta, dalle popolazioni alle quali
esse anche sono rivolte.
Signori Consiglieri, ci rivedremo per operare, ma anche per sapere come
ciascuno di noi saprà atteggiarsi di fronte ai problemi, alle questioni reali che ci
portano a discutere, a unirci o a dividerci.
SAVINO VANIA
Dott. SAVINO VANIA, presidente del Consiglio Provinciale di Capitanata.
139
SPORT
Questo splendido «Foggia» ...
Nell'ultimo quadriennio che per il « Foggia » ha segnato una svolta
trionfale, sino al suo autorevole insediamento nella massima Divisione, che cosa
non è stato scritto su questi meravigliosi atleti in casacca rossonera?!
Quali angolini reconditi del loro passato non sono andati a frugare i
nostri giornalisti per stilare corrispondenze sempre più appetitose, sempre più
inedite, da sottoporre all'avida curiosità dei propri lettori che, dappertutto,
seguono, con meravigliato interesse, l'incredibile ruolino di marcia dei
«Satanelli»?!
La cronaca, diciamo così, spicciola che, « ab. ovo », ha tentato di ricalcare le orme della Squadra foggiana, è sul punto di accantonare le sue
indagini, essendo prossima ad esaurire il compito, proprio per mancanza di...
materia prima. A noi, veterani numero uno del giornalismo sportivo foggiano;
a noi, che, da oltre quaranta anni, abbiamo seguito ed affiancato la crescita di
questo « Foggia », sino all'attuale ingresso in Serie « A », si chiede ancora di
scrivere qualcosa, che possa interessare il pubblico: quello degli sportivi in
particolare.
Ma come cominciare? Forse con la solita storia: ... Siamo nel lontano 1911 e
da Milano vennero a Foggia i fratelli Tiberini, seguiti a ruota dai fratelli Comei ... ?!
O, per la centesima volta, vogliamo fermarci a ricordare le gesta di « Pila
e Croce », là dove i pionieri del Calcio foggiano effettuarono le prime
sgambature? E già a ripeterci sui nomi di quei ragazzi tanto fiduciosi
nell'avvenire del 'Dio Pallone' ed altrettanto coraggiosi nell'affrontare le ire
paterne o materne, al ritorno a casa, ogni sera, dopo i rudimentali allenamenti?!
Riproporre ai lettori gli episodi riguardanti la beffa perpetuata da alcuni
di quegli antesignani; beffa intelligente ed a lieto fine, ai danni di una nota Ditta,
per realizzare il Campo Sportivo: Lo Stadio-piteco dell'odierno « Zaccheria »,
ora teatro esaltante delle gesta del padroni di casa, contro le grosse « Inter » - «
Juve » - « Bologna » - « Fiorentina » e via dicendo?!
Ripiegare dunque, sopra gli argomenti citati, sino a portarci ai... tempi
nostri con le stucchevoli parole apoteotiche per Rosa Rosa, Oronzo Pugliese
ecc ... ?!
Ma chi non le sa queste cose? Ma quanti, ormai non fanno altro che
ribadirle ogni giorno? Da mane a sera? Ed allora, come regolarci? Che
scrivere?! E qui non vi è stato altro da fare che chiedere ispirazione a tutti i
diavoli, in nome dei « Satanelli » loro figliocci.
140
E l'idea così, ci è stata suggerita... Ci siamo detti che, sino ad oggi, pochi
hanno tentato l'avventura mnemonica di comporre, sia pure, con
approssimazione, una lista di nomi (e sono tanti) dei dirigenti, degli allenatori e
degli atleti i quali hanno contribuito, alcuni, come le formiche, con i granelli
della propria capacità; altri con la spiccata competenza specifica (ma tutti con
fede illimitata e con passione traboccante) alla costruzione attraverso i lustri,
della ormai svettante torre rossonera. Una idea questa, comunque utile a
ricordare cittadini ed atleti che ebbero in cima ai loro pensieri il « Foggia », che
per il « Foggia » lottarono, attraverso sacrifici fisici, morali e finanziari, in nome
dei colori sociali. Molti di essi non sono più di questa terra. I superstiti, i
pionieri, hanno le tempie tra il grigio e l'argento.
Entriamo, così, nel vivo dell'argomento. Ecco una nutrita lista dei nomi
sfuggiti nella memoria, all'annientamento del tempo.
In ordine alfabetico cominciamo dai PRESIDENTI rossoneri: Alberini,
dott. Vittorio - Apicella, dott. Raffaele - Carella, dott. Giulio - De Biase, dott.
Alfredo - De Mita, dott. Diego - De Tullio, dott. Paolo - De Vita, rag. Pietro Di Biase, comm. Pasquale - Frezza, comm. Antonio - Gigliotti, col. Carlo Lupo dott. Ferdinando - Nannarone, comm. Gustavo - Nardella, avv.
Ferdinando - Piccapane, comm. Armando - Quarato, ing. Giovanni - Rosa
Rosa, comm. Domenico Sarti, comm. Giovanni - Taronna, dott. Aldo Taronna, geom. Oscar Turtur, ing. Luigi.
Possiamo dare l'elenco completo degli ALLENATORI:
Andreolo Piero - Benincasa Angelo - Cargnelli Tony (austriaco) - Costagliola Nardino - Costantino Raffaele - Karoly Bela (ungherese) - Koenig
Adalbert (austriaco) - Kovacs Bela (ungherese) - Kutic Andrea (ungherese)
Marsico Vincenzo - Migliorini Cesare - Rebuffo Mario - Remondini Remo Pugliese Oronzo - Rubino Egio (egiziano) - Stritzel Joseph (ungherese) -Weiss
Karl (austriaco).
Ed ecco gli atleti, elencati secondo il ruolo sostenuto in seno alla
Squadra:
PORTIERI: Baldi I°, Ballarini, Biondani, Bisson, Bossi, Canè, Carlomagno, Cola, Ferraretti, Filippuzzi, Giuliani Rodolfo, Maniero, Moschioni, Narducci, Notariello, Pandolfo Sannoner Rodolfo, Santarello, Sarti III (Renato),
Toriello, Turchiarelli, Viscuso.
TERZINI: Allegretti, Antonini, Arnoldi, Bartoli, Buttazzoni, Calzolari,
Camero, Cappellini, Carbonelli, Casale, Cerini, Citarelli, Corradi, D'Argenio A.,
De Biase Guido, De Brita, De Francesco, Del Re, De Meo, De Pase, Di Reda,
Formillo V., Galetti, Lavè, Lazzari, Micelli (Nazionale), Parracino, Petti Ettore,
Pischianz, Ponzanibbio, Rosso (Torino), Stori, Taronna Aldo, Valadè.
MEDIANI: Alboreto, Babay (ungherese), Baldi II°, Baldini, Baldoni, Bedogni, Bettoni, Boniforti, Buin, Consiglio, Della Valle, De Vitis, Di Luzio, Di
Tonno, Faleo, Fini Roberto, Formica Luigi, Galante, Ghedini, Giancolini,
Giustacchini, (Nazionale), Gorini, Grappone, Kazianca, Labate, Leonzio,
Malice, Marsico, Mazzone, Micheli, Migotti, Miniussi, Mussi, Odling, Mupo
141
II°, Pizzi Mimì, Pulcínella, Rinaldi Romano Rossetti Gigino, Saracino, Spinello
Michele, Starace, Taronna Oscar, Telesforo Eugenio, Telesforo Guido, Torre,
Trovatore, Zonca.
ATTACCANTI: Bacci, Baldi III° (Nazionale), Bellotti, Benedetti, Berté,
Bobbio, Bortolotti, Bottaro, Bradaschia, Bratta, Calvani, Candiani, Calò,
Caracozza, Carrabba, Catalano, Chiaruttini, Cicolella Alfredo, Cifarelli Giulio,
Colombo, Comei Peppino, Compagno, Cosmano, Creziato, Crusi, Curci,
Della Pace, De Lucia, De Rosa, Di Fonte, Di Giovanni, Diotallevi, D'Onofrio,
Faccio, Fariello, Favalli I, Ferri, Fiorindi, Gambino, Geraci, Giuliani Aurelio,
Lanciaprima, Lazzotti, Lucentini, Lucera Gino, Maccione, Marchetti,
Marchionneschi, Minerdo, Mirabello, Montanari, Mupo I°, Niccoli, Nocera
(Nazionale), Occhionero, Oltramari, Orlando, Panattoni, Paravano, Patino,
Pavanello, Peruzzi, Piani, Poli Giosuè (Presidente Naz. Atletica Leggera), Pozzo,
Piani, Reddi, Riolo Ritrovato Tonino, Rossi Dante, Rosso Severino (Nazionale),
Santopadre, Sarti II° (Sandrino), Sarti IV° (Mario), Scarnecchia, Senestro,
Silgich, Silvestri, Simone, Stabellini, Stornaiuolo, Sudati, Testa, Thermes, Tiberini
Torti I°, Torti II°, Vecchi Egidio (Nazionale), Visentini, Zappaterra, Zini,
Zironi.
Ma - ripetiamolo ancora - quanti nomi rossoneri (non molti, del resto)
non compaiono in questo breve elenco, traditi dal tempo e dalla nostra (ma
anche dall'altrui ... ) memoria?!
Ai vivi ed ai morti chiediamo venia per l'involontaria omissione. A tutti,
comunque, vada la commossa riconoscenza degli sportivi foggiani, poichè
molto si deve anche ai dirigenti, ai tecnici, agli atleti di ieri se, mercè i loro
sforzi, i loro sacrifici inenarrabili, nell'anno di grazia 1964, il « Foggia » ha
potuto allinearsi, con onore, tra le squadre elette dell'ambitissima Serie « A ».
MARIO TARONNA
Dall'elenco dei dirigenti, ci si consenta di stralciare, rilevandoli con le pinze i nomi di
coloro che, dalla nascita dei "satanelli", per lustri e lustri, furon sempre presenti in seno alla
Società ed alla testa della Squadra. I nomi di quelli che, troppo presto, oggi, dimenticati, fra
ansie, stratagemmi, furberie, incontri e scontri, riuscirono a creare le salde premesse di questo
"Foggia" che, odiernamente, guidato con mani salde, dal comm. Domenico Rosa Rosa, sta
interessando al suo nome ed alle sue gesta mirabolanti, tutta l'Italia calcistica. Eccoli:
Pietro De Vita, Roberto Fini, Gigino Formica, Ferdinando Nardella, Giovanni
Quarato, Alfredo De Biase, Filippo Guglielmi, Luigi Favino, Giovanni Sarti. Infine
Michele Scarpiello, che con la sua capacità affaristica (ci riferiamo alla " Borsa " dei
Calciatori), con la sua onestà, con la non comune intelligenza ed esperienza tecnica riuscì ad
assicurare al Sodalizio allori non caduchi.
M. T.
142
VITA COMUNALE
MANFREDONIA
Liberazione e Scuole Medie :
Il Liceo Scientifico
« ... assistere alle scuole, promuovere l'istruzione, è anche ciò politica che
consiste non nel vociare e gridacchiare, ma nelle opere serie ed utili ». Senza
dubbio questa verità, sperimentata e chiusa in formula attuale da Francesco De
Sanctis, infervorò coloro che tra il 1943 e il 1944 promossero ed
organizzarono a Manfredonia l'istruzione pubblica superiore.
Gli istituti scolastici di Foggia avevano chiuso i cancelli quello stesso anno
1943, a causa dei primi bombardamenti di fine maggio. Questi e le incursioni
aeree successive avevano prima interrotto, di poi molto limitato, il servizio
ferroviario tra quel capoluogo e il Golfo; dopo la liberazione, infine, il tronco
ferroviario era stato assorbito dalle esigenze militari degli Alleati.
Ai nuovi dirigenti della vita sipontina, operanti nell'ambito dello Allied
Military Governement1 e del Comitato di Liberazione Nazionale, non era lecito
ignorare il problema scolastico, creato dalla crisi delle normali comunicazioni.
Contribuirono a farlo risolvere la sensibilità civica e lo spirito di iniziativa,
affinati dal nuovo corso, che segnò l'inizìo della piú florida stagione politica di
Manfredonia, nonostante i difetti costituzionali e funzìonali degli organi,
nostrani e forestierì, soprintendenti alla pubblica amministrazione.
Alla ripresa democratica del Comune concorsero in varia forma le
associazioni locali di partito e non partitiche: tra esse il Comitato Procultura,
impegnato alla rigenerazione della civica biblioteca « Luigi Pascale ». Dal
gruppo di promotori, che vì si riuniva, partì la scintilla su1 Manfredonia fu sede distrettuale dell'Allied Military Governement.
L'amministrazione civile, nei limiti consentiti dai comandi alleati, e per designazione del
Comitato di Liberazione Nazionale della Città, fu affidata a un commissario nella persona
dell'avvocato Michele Lanzetta al quale il 9 ottobre 1944 succedette, in veste di sindaco,
l'avvocato Giuseppe Gatta, anch'egli designato da quel C.L.N.
143
bito utilizzata dal Comune, perché si realizzasse una delle piú legittime
aspirazioni della cittadinanza : trasferimento allo Stato della Scuola Media
pareggiata « Mozzilo-Iaccarino », impianto degli Istituti statali di istruzione
media superiore, adeguamento della modesta biblioteca civica alle nuove
esigenze culturali2.
Presiedettero all'iniziativa : 1 ) la ragione politica, che impone al potere pubblico
la fornitura del servizio scolastico ovunque e per qualsiasi numero di allievi ; 2)
la comprensione e il concorso della comunità. Si realizzò la mobilitazione
generale dello spirito pubblico con l'apprestamento di un piano razionale e il
suo ordinato svolgimento nel pieno rispetto delle prerogative e dei valori
individuali. In base al censimento della popolazione scolastica e alla previsione
dei nuovi iscritti, un'assemblea di padri di famiglia, svoltasi in Municipio,
convalidò l'iniziativa, accolta col pieno favore dal Provveditorato agli Studi
diretto dal professore Franco de Joanna 3.
Con il nulla osta dell'A.M.G. si istituirono per l'anno 1943-44 sezioni staccate
del Liceo Classico, dell'Istituto Tecnico Commerciale e del Magistrale di
Foggia, e l'anno successivo quella del Liceo Scientifico. Il corpo insegnante fu
costituito su proposta del Comune, in base ad elenco fornito dal Comitato
Pro-cultura. Anche per sua iniziativa, presso la medesima biblioteca, sorsero le
associazioni « Insegnanti di Scuole Medie » e « Padri di Famiglia », che
funzionarono egregiamente, tanto da essere subito imitate a Foggia, mentre,
edotti dal precedente sipontino, altri Comuni, isolati dal Capoluogo, ottennero
sezioni di medie inferiori e superiori4.
La serietà e lo slancio di quelle prime leghe di interessi, animate
2 Al predetto Commissario il 21 novembre 1943 l'avvocato Mario Simone
indirizzò un appello, proponendo l'immediata organizzazione di uno Studio privato, per
ovviare alla paralisi dell'insegnamento pubblico governativo, causata dalla guerra. A quel
tempo Manfredonia, oltre che delle scuole elementari, allogate negli edifizi « Bozzelli » e «
Ciano », era dotata di una « media » parificata (la « Mozzillo Jaccarino »), di una scuola «
E.N.E.M. » e dell'istituto « Sacro Cuore », amministrato dall'Arcivescovo.
3 Fu tenuta il 29 novembre 1943, per invito del Commissario, e si concluse con
l'approvazione del seguente ordine del giorno:
« Padri di studenti impossibilitati a raggiungere quest'anno le sedi delle loro scuole, riuniti
per consultazione dal Commissario del Comune, intese le relazioni dello stesso e
dell'avvocato Mario Simone, per la istituzione di uno Studio privato, fa voti che questo
sia presto una realtà operante per l'istruzione e l'educazione sociale dei giovani,
sommamente necessaria nel particolare momento che attraversa il Paese. Sottopongono il
presente voto al Governo Alleato, al Prefetto e al Provveditore agli Studi, perché l'iniziativa
trovi il loro consenso e ne abbia l'appoggio necessario ».
4 Sull'impianto dei nuovi istituti in Manfredonia. oltre la documentazione, che
riteniamo esistente negli archivi degli stessi, del Provveditorato agli Studi e del Comune, si
vedano gli articoli : T. e C., Passione Scolastica ( in « Gazzettino Dauno » di Foggia, 14
ott. 1950) ; L'OSSERVATORE, Una nuova scuola al Viale Miramare di Manfredonia
: l'Istituto Magistrale governativo (in « Il Popolo Dauno » di Foggia, 18 dic. 1957).
144
LO « SPLENDIDO FOGGIA »
La famosa squadra delle « 3 M »
Da sinistra, in piedi: Arnoldi, Rossetti, Baldi I, Carbonelli, Bedogna, Mussi, all. Karoli
Accosciati: Silgich , Montanari, Marchionneschi, Marchetti, Pavanello
I « Satanelli » in seria A
A San Siro contro i campioni del mondo (1-2): Parata a terra di Moschioni,
pressato da Mazzola. A sinistra, Tagliavini
IL « GALILEI » DI MANFREDONIA
Il preside Melillo dice la prolusione al ciclo celebrativo di Galilei
Il contributo degli allievi alla celebrazione di Michelangelo
( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia )
da sinceri propositi di rinnovamento, all'unisono con l'impegno della
municipalità, ridussero al minimo gli svantaggi derivanti dalla estemporaneità
della difficile impresa, ma soprattutto dalla eccezionale situazione
politico-militare. E perciò il primo anno scolastico, ridotto a meno di due
trimestri, si concluse in modo onorevole con risultati che meritarono lodi tanto
dal Provveditore che dal Governatore militare.
La strada verso maggiori conquiste cittadine era aperta : quelle sezioni
sarebbero rimaste e poi diventate istituti autonomi con sedi proprie, anche
prestigiose, ed altre scuole si sarebbero ad essi aggiunte; un rilevante numero di
professionisti e universitari, dopo i primi incarichi provvisori, avrebbe trovato
definitiva sistemazione in ruolo; Manfredonia avrebbe attinto la prima vetta
della istruzione pubblica.
L'origine del Liceo Scientifico risale, dunque, a quella crisi. Pertanto, ai
dieci anni della sua vita autonoma ( 1954-55 - 1963-64), si possono bene
aggiungere i dieci precedenti ( 1944-45 - 1953-54), trascorsi, quale sezione
distaccata, a creare i presupposti dell'autonomia e risolvere i problemi
elementari della sua funzionaidà, compreso quello della sede. Ad essa furono
destinati per i primi anni alcuni vani dell'abolito convento di S. Chiara, ottenuti
non senza fatica dall'allora sindaco avv. Giuseppe Gatta, oggi docente nel «
Galilei ».
All'ing. Matteo Cainazzo fu conferito l'incarico della vigilanza e dell'insegnamento di Matematica e Fisica dell'anno scolastico 1944-45
ininterrottamente fino all'anno scolastico 1954-55. Durante tutto il lungo
periodo dell'incarico, tra le mille difficoltà di mezzi, di attrezzature scolastiche e
scientifiche, in sedi mai idonee, egli riuscì a far funzionare la scuola,
preoccupandosi di armonizzare la vita dell'istituto in continuo sviluppo con le
esigenze ugualmente crescenti della popolazione scolastica. Pertanto con vivo
ed appassionato interessamento concorse con le Autorità del tempo,
amministrative e scolastiche, alla realizzazione nella nostra città di una sede
idonea per il riconoscimento dì una sezione autonoma del Liceo Scientifico che
appagasse le giuste aspettative della gioventù studiosa, del corpo insegnante e
della cittadinanza tutta.
L'autonomia completa della Scuola venne concessa a datare dal 1°
ottobre del 1954, e l'istituto fu provvisoriamente sistemato in due appartamenti
di uno stabile su viale Sipontino. La presidenza venne affidata al prof. Antonio
Caterino.
145
FOGGIA
La Festa della Liberazione Nazionale
Anche Foggia ha celebrato il ventennale della liberazione, salutato da un
messaggio del Sindaco alla Cittadinanza:
« Il venticinque aprile si celebra in tutta Italia: "La Festa della Liberazione
Nazionale”, che assume quest'anno significato piú memorabile, coincidendo con la ricorrenza
del ventennale della Resistenza.
« La lotta liberatrice, che ha avuto il suo suggello di sangue nel Movimento
Resistenziale e culminò nella vittoriosa insurrezionale popolare, rappresenta l'origine della
nuova storia di Italia; la fonte rinnovatrice dei fulgori del primo risorgimento e riverdisce le
tradizioni morali del nostro popolo di opposizione alla tirannide e di fede in liberi e democratici
orientamenti.
«Siano il sacrificio ed il martirio di tanti innocenti moniti severi per tutti i cittadini,
in special modo per le nuove generazioni, alla gelosa custodia delle civili libertà, nella giustizia e
nella pace per i migliori destini della nostra Patria ».
Altri manifesti hanno affisso l'Associazione Nazionale Perseguitati
Politici Italiani Antifascisti, l'Associazione Partigiani Cristiani e 'lAssociazione
Nazionale Partigiani d'Italia.
Il giorno 25, muovendo da Palazzo di Città, le autorità provinciali e
cittadine hanno formato un corteo, preceduto dai Gonfaloni della città di
Foggia e dell'Amministrazione provinciale, che ha raggiunto Piazzale Italia dove
davanti al Monumento dei Caduti di guerra, sono state deposte corone di
alloro del Prefetto della Provincia, del Sindaco, del Presidente
dell'Amministrazione Provinciale e delle Associazioni Partigiane. Quindi il
Vicario Generale della Diocesi, mons. Alessandro Cucci, ha celebrato la S.
Messa al campo.
Il sindaco Forcella ha pronunziato il discorso ufficiale affermando fra
l'altro:
« Noi avemmo la ventura nel settembre del 1943, all'indomani dei terribili
bombardamenti, di vedere seguire all'armistizio la fuga dei tedeschi e la scomparsa del vecchio
Stato. Eppure in quei pochi giorni di confusione estrema, nei paesi del Subappennino e del
Gargano, dove in seguito alla rovina abbattutosi sulla nostra città si era rifugiato il nostro
popolo, quanti e quanti episodi, ancora cosí vivi nel ricordo e che non dobbiamo lasciar
disperdere. Ma ben altrimenti accadde nel resto d'Italia: per otto mesi a Roma e nelle zone
centrali della nostra Penisola e per ben 20 tremendi mesi al nord, al di là della Linea «
Gotica », una lotta impari, titanica, di incommensurabile valore morale e spirituale, si accese,
che sarebbe delitto dimenticare ».
L'oratore, dopo aver messo in luce il carattere europeo della lotta di
Liberazione, che rappresenta una ribellione alla barbarie e al furore bestiale abbattutosi sul vecchio continente, e dopo aver illustrato il significato di « Secondo Risorgimento nazionale » assunto dalla guerra di Liberazione, ha così
proseguito:
« Una differenza tra il primo e il secondo Risorgimento merita di essere sottolineata:
il primo fu un fatto di intellettuali e di borghesi con un sottofondo ideologico e sotto certi aspetti
unitario La Resistenza, invece, non è stato mo146
nopolio di una classe, nè di un partito: accanto agli intellettuali vi sono stati operai, contadini,
studenti, impiegati e militari. Il giorno in cui, nota Federico Chabod, i componenti il Comando
militare di Torino del C.L.N. vengono arrestati e compaiono davanti al (processo Perrotti), in
aula troviamo affincati un generale, un operaio, un professore universitario, alcuni avvocati,
professionisti, ufficiali.
La maggior parte di essi sarà fucilata. E' veramente una lotta di popolo ».
Il Sindaco, avviandosi alla conclusione, ha detto ancora:
« Mi sia consentito di sottolineare ancora un titolo di altissimo merito della
Resistenza italiana: essa servi a spezzare la sinistra equazione dittatura - Italia, servì a dare
dignità e fierezza ad un popolo, che aveva saputo in gran parte riscattarsi e rivelarsi da solo,
con straordinarie ripercussioni sul piano internazionale.. I tedeschi invasori dovettero distogliere
ben otto delle 26 divisioni che avevano sulla linea gotica per impegnarle nella lotta partigiana,
mentre 5 divisioni del nuovo esercito italiano partecipavano con gli alleati alla lotta militare.
Genova, Torino, Milano furono liberate, così come già Napoli, dai partigiani, prima ancora
che dagli alleati: furono i partigiani a scongiurare la distruzione dei grani invasi idro-elettrici e
del potenziale industriale del Nord ».
L'avv. Forcella, dopo aver dato lettura di alcuni messaggi di
condannati a morte per la Resistenza, ha concluso:
« Nessuno può dimenticare questa pagina di eroismo, di fede, di speranza con cui si
apre il libro della nostra Patria, le cui parole sono idealmente scolpite sulla prima pietra del
nostro Stato democratico. Raccogliere questa fiaccola, maturare in noi queste tradizioni,
lavorare e vigilare perché nel mondo ci sia sempre più libertà, perché la libertà sia sempre più
giusta, perché la giustizia sia sempre basata sulla pace, questo è il monito che gli italiani e i
giovani soprattutto devono raccogliere da questa celebrazione».
LUCERA
Approvato il bilancio di previsione
Con sedici voti favorevoli, sette contrari e due astenuti, il Consiglio
Comunale di Lucera, riunitosi sotto la presidenza del sindaco Giuseppe Papa,
ha approvato il bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1964. Presenti
venticinque consiglieri su trenta. Assenti quattro democristiani e il consigliere
missino. Questi i principali stanziamenti previsti per le opere pubbliche: 100 milioni per le opere pubbliche: 100 milioni per ampliamento e restauro di Palazzo
Mozzagrugno; 50 milioni per ampliamento e manutenzione del mattatoio
comunale; 30 milioni per istituzione, costruzione ed attrezzatura dei mercati
rionali; 150 milioni per costruzione collettore e rete idrica fognante nel nuovo
quartiere « Salnitro » e a « Porta Foggia »; 80 milioni per ampliamento ed integrazione dell'illuminazione pubblica; 150 milioni per la costruzione, sistemazione e pavimentazione di strade e piazze nell'interno dell'abitato; 100 milioni
per costruzione dello stadio comunale nel rione « Porta Croce »; 20 milioni per
147
costruzione strade nel quartiere « Pezza del Lago »; 90 milioni per costruzione
di asili rionali al quartiere Nord, a Porta Croce e nel quartiere « Salnitro »; 75
milioni per abbattimento e ricostruzione dell'ex convento « San Pasquale » per
istituzione di colonie permanenti; 200 milioni per costruzione di edificio per la
scuola media; 100 milioni ad integrazione mutuo per la costruzione del nuovo
istituto magistrale; 50 milioni per la costruzione della centrale ortofrutticola. Il
totale generale delle spese è di L. 2.946.176.845.
In apertura dei lavori, il sindaco Papa ha svolto una lunga relazione, nel
corso della quale ha fatto presente le necessità che andavano affrontate con
urgenza e i problemi che bisognava risolvere in futuro per restituire a Lucera
quella importanza che aveva negli anni scorsi nel consesso delle città daune.
Subito dopo ha preso la parola l'assessore alle finanze geom. Emanuele Alfieri,
il quale per sommi capì ha illustrato le partì più importanti del bilancio, che
hanno subito variazioni.
Dopo la relazione dell'assessore, è stata aperta la discussione. Per
primo è intervenuto il consigliere socialdemocratico Vecchiarino, che ha voluto
far presente al Sindaco la necessità di provvedere al più presto al collegamento
del nuovo quartiere « Pezza del Lago » con il centro abitato. Il Sindaco ha replicato, facendo sapere che è allo studio un progetto che prevede
l'allacciamento del centro con tutti i quartieri periferici, tramite servizi di
circolari. Si è registrato, poi, un lungo ed interessante intervento del presidente
della Camera di Commercio di Foggia e consigliere liberale avv. Carlo Cavalli,
che ha espresso le sue riserve sulla realizzazione e la concorrenza della centrale
ortofrutticola a Lucera, che, a parte la esiguità della somma preventivata, non
potrebbe mai, da sola e con materia prima limitata, assicurare l'intero ciclo
lavorativo e fronteggiare la concorrenza di una organizzazione piú capillare e
più razionalmente organizzata, per la presenza delle nascenti centrali « satelliti ».
E' intervenuto subito dopo il capo gruppo della D. C., avv. Vincenzo Scarano,
il quale ha sostenuto vivacemente che è una utopia sperare dì realizzare quel
bilancio, data la insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione del Comune di
Lucera. Successivamente sono intervenuti i comunisti Antonio Pitta, Mario Di
Gioia, il democristiano Antonio Rucci ed, infine, ancora il Sindaco. Alla fine
della discussione, si è passato alla votazione, con i risultati sopra riportati.
148
INDICE GENERALE DELL'ANNATA 1964 - Parte Ia
A) PER AUTORI
ALTAMURA, Antonio. Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento, p. 41.
CAMPO, Girolamo. Profilo economico di Manfredonia (quattro tabelle statistiche), p. 77.
CANDURA, Giovanni. Per un istituto universitario di Genio Rurale in Foggia, p. 105.
CELUZZA, Angelo. La Capitanata alla « Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo antico
al rococò », p. 91.
CERZA, Ermete. Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia:
Presentazione, p. 95.
D. L. Concorso « Il Carciofo D'Oro », p. 104.
DAUNO. Il riordinamento della Società Dauna di Cultura, p. 101.
DI FALCO, Marcello. Appunti per la redazione di un piano decennale per lo sviluppo di
Foggia, p. 111.
FOGGIA. La Festa della Liberazione Nazionale, p. 145.
« GIUSTIZIA NUOVA ». Le deformazioni dello Stato contemporaneo in una
conferenza di Michele Cifarelli, p. 103.
LUCERA: Approvato il bilancio di previsione, p. 147.
MANFREDONIA. Liberazione e scuole medie: il Liceo scientifico « Galilei », p. 143.
« MASTRO » (Il). La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia, p. 125.
MELILLO, Michele. Come vivono e come parlano sul Gargano, p. 45.
SCARDACCIONE, Decio. Realtà e prospettive di sviluppo dell'agricoltura in
Capitanata, p. 7.
SCIORTINO, Giuseppe. Arte contemporanea a Trinitapoli, 89.
SIMONE, Mario. Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano. Premessa alle notazioni, p. 96;
Il « Libro Rosso » della Città di Foggia, p. 100.
SOCCIO, Pasquale. L'anno di Galilei - Metodo e tempo, p. 1.
TAMBURRANO, Luigi. La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore, p. 65.
TARONNA, Mario. Questo splendido « Foggia » .... p. 140.
TERENZIO, Vincenzo. Onoranze alla memoria di Nicola Zingarelli, p. 93.
VANIA, Savino. Programma della nuova Giunta provinciale, p. 129.
B) PER MATERIA
AGRICOLTURA. Capitanata, p. 7.
AMMINISTRIZIONE PROVINCIALE DI CAPITANATA. Bilancio di
previsione 1964, relazione del Presidente, p. 129; Nuova Giunta, p. 128.
BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIA. « Documenti e Monografle », p.
95.
149
CAPITANATA. Arte, sec. XI-XVIII, p. 91; Scritti di Tommaso Fiore, p. 65.
FIERA (XVª) DI FOGGIA, p. 125.
FIORE TOMMASO E CAPITANATA. Studio critico-bibliografico, p. 65.
FOGGIA. Festa della Liberazione, p. 145; « Libro Rosso », p. 100;
Programmazione, « Piano decennale di sviluppo », p. 111.
GALILEI GALILEO, p. 1.
GARGANO. Dialetti, p. 45.
GERVASIO AGOSTINO, p. 41.
ISTITUTO UNIVERSITARIO DI GENIO RURALE. Foggia, p. 105.
« LIBRO ROSSO » DELLA CITTA Di FOGGIA, p. 100.
LUCERA. Bilancio di previsione 1964, p. 147.
MANFREDONIA. Economia, p. 67; Scuole Medie, p. 143.
« MOSTRA DELL'ARTE IN PUGLIA DAL TARDO ANTICO AL
ROCOCO’. BARI. Contributo della Capitanata, p. 91.
SOCIETA DAUNA DI CULTURA. Riordinamento, p. 101.
SPORT. CALCIO. UNIONE SPORTIVA FOGGIA. Cronache e ricordi, p.
140.
TEDESCHI GIUSEPPE ANTONIO E ERMENEGILDO. Diario
1799-1829 di Ascoli Satriano,p. 95.
TRINITAPOLI. Concorso «II Carciofo D'Oro», p. 104; Mostra d'Arte
contemporanea, p. 89.
ZINGARELLI NICOLA. Onoranze, 1964, p. 93.
ILLUSTRAZIONI
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA - Ieri: distribuzione governativa del chinino
in una masseria della zona malarica (tav. I); Oggi: speranze di un avvenire
sereno nel comprensorio della riforma fondiaria (tav. II); Macchine nuove per
un'agricoltura moderna (tav. III); Una fattoria modello, presupposto di migliori
prodotti (tav. IV); DIPLOMA ACCADEMICO Di AGOSTINO GERVASIO (tav.
V); INGRESSO AL GARGANO - Siponto, Manfredonia e lo Sperone dalle
cave dì tufo di Santa Lucia (tav. VI); MANFREDONIA - La sede municipale
nel settecentesco convento di S. Domenico (tav. VII); GARGANO - Un
secolare colloquio che dura (tav. VIII); Antico rione di Monte S. Angelo (tav.
IX); Un altro discorso, ma in musica (tav. X); ARTE IN CAPITANATA MAESTRO Di BOVINO: « Martirio di San Pietro », tela del secolo XIII in « San
Pietro » di Bovine (tav. XI); VACCARO: « L'Annunziata e l'Angelo », tela intorno
al sec. XV nella Chiesa dei Cappuccini di Vico Garganico (tav. XII); ASCOLI
SATRIANO - Croci campane e gonfaloni nel feudo di Trojano Marulli (tav.
XIII); Il Castello ducale al tempo nostro (tav. XIV), LA CAPITALE DELLA
DOGANA - Foggia, « ventris nostrae Neapolis » (tav. XV); FIERA
DELL’AGRICOLTURA IN FOGGIA - Aspetti della XV manifestazione
nazionale (tav. XVI); Aspetti della XV manifestazione nazionale (tav. XVII); LA
NUOVA GIUNTA PROVINCIALE Il presidente dottor Savino Vania (tav.
XVIII); LO « SPLENDIDO FOGGIA » La famosa squadra delle « 3 M » - I
« Satanelli » in serie « A » (1964) (tav. XIX); IL « GALILEI » DI
MANFREDONIA - Il preside Melillo dice la prolusione al ciclo celebrativo di
Galilei - Il contributo degli allievi alla celebrazione di Michelangelo (tav. XX).
150
LA CAPITANATA – Rassegna di vita e di
studi della Provincia di Foggia – Direttore
Responsabile: dottor Angelo Celuzza –
Direzione Tecnica dello STUDIO EDITORIALE
DAUNO – Tipografia Laurenziana – Napoli
– Aut. Tribun. di Foggia 6-6-1962 e 16-41963. Registr. al n. 150.
FEDERATI AUTORI EDITORI TIPOGRAFI
E LIBRAI MERIDIONALI
ATTI, DOCUMENTI E STUDI DAUNI - SERIE I:
AMMINISTRATIVA - Atti dell'Amministrazione Provinciale di Capitanata (in
4°, sopracc. fig.) Anni 1952-1961. Voll. 12 (fuori comm.).
SERIE II: ISTITUTI D'ARTE E DI CULTURA (in 8°, cop. fig.) La
Biblioteca Provinciale di Foggia. Pp. 34, 6 tavv. f.t. (f.c.).
BILANCIA, collana di critica letteraria e artistica (in 8°) I. ANTONIO
REGINA, Pietro Paolo Parzanese a cento anni dalla morte. Premessa
bio-bibliografica, note, discorso commemorativo. Pp. 112, con ritratto
f.t. L. 800. - 2. ALFREDO DE DONNO, Solitudine di Pirandello.
Premessa bio-bibliografica, indice dei nomi, nota bibliogr. Pp. 76, con
ritratto f.t. L. 600.
BIBLIOTECA MUSICALE (in 8°, Cop. fig.) . VINCENZO TERENZIO,
Storia della Musica secondo i programmi ministeriali in vigore. In appendice:
Nozioni di acustica. Pp. 224. L. 1.000.
P U G L I A 1 9 6 1 - Le celebrazioni del Centenario dell'Unità nazionale, a
traverso le mostre, i discorsi, la stampa. Bibliografia e illustrazioni. - 1.
MARIO SIMONE, La Capitanata eretta a provincia dello Stato italiano. Pres.
del prefetto E. Cerza. Largo corredo, di note. In 4°, pp. 24, ritr. f.t.,
cop. fig. L. 300.
BIBLIOTECA DEL RISORGIMENTO PUGLIESE, sotto gli auspici
dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (in 16°). - 1.
ANTONIO LUCARELLI, I moti carbonari della Daunia alla luce di nuovi
documenti. Pp. 38. - 2. FRANCESCO GIORDANI, Francesco Paolo
Bozzelli. Pp. 64 con ritr. e autogr. f.t. - 3. ERNESTO PONTIERI, I fatti
lucerini del 1848. Pp. 58 con 4 tavv. f.t. - 4. CARLO GENTILE, Giuseppe
Ricciardi. Pp. 52 con rir. f.t. Ciascun opuscolo L. 500.
BIBLIOTECA DAUNA, collana di monografie regionali sotto gli auspici
della Società Dauna di Cultura (in 8°, Sopracc. fig.) - SILVESTRO
MASTROBUONI, San Leonardo di Siponto, Storia di un antico monastero.
Note, append. di docum. ined., bibliogr. Pp. 192, 12 tavole f.t., dis. di
Vera Carotenuto. L. 2.000. - FRANCESCO DELLI MUTI, Le Isole
Tremiti. Bibliogr. Pp. 176, 16 tavv. fa. L. 1.200.
NUOVI SCRITTORI DAUNI, per la Società Dauna di Cultura (in 16°) - 1.
CRISTANZIANO SERRICCHIO, Nubilo et sereno. Poesie. Pres. di
Alfredo Petrucci. Pp. 46+2. - 2. RENZO FRATTAROLO, Seicento
minore. Pres. di Michele Vocino. Pp. 80. - 3. CARLO GENTILE, Poesia
di Umberto Fraccacreta. Pres. e bibl. di Mario Simone. Pagine 80 con ritr.
dis. da Schingo. - 4. MICHELE ZUPPA, Giuseppina Carillo, poetessa
dell'amore divino. Pp. 64. Ciascun opuscolo L. 500.
Commissioni a: LAURENZIANA in Napoli (via Tribunali, 316), c.c.p. 6/23302. - Studio
Editoriale Dauno in Foggia (CaselIa Postale) c.c.p. 13/3637.
ILLUSTRAZIONI
SUL TAVOLIERE DI PUGLIA - Ieri: distribuzione governativa del chinino
in una masseria della zona malarica (tav. I); Oggi: speranze di un avvenire
sereno nel comprensorio della riforma fondiaria (tav. II); Macchine nuove per
un'agricoltura moderna (tav. III); Una fattoria modello, presupposto di migliori
prodotti (tav. IV); DIPLOMA ACCADEMICO Di AGOSTINO
GERVASIO (tav. V); INGRESSO AL GARGANO -Siponto, Manfredonia e
lo Sperone dalle cave di tufo di Santa Lucia (tav. VI); MANFREDONIA - La
sede municipale nel settecentesco convento di S. Domenico (tav. VII);
GARGANO - Un secolare colloquio che dura (tav. VIII); Antico rione di
Monte S. Angelo (tav. IX); Un altro discorso, ma in musica (tav. X); ARTE IN
CAPITANATA - MAESTRO DI BOVINO: « Martirio di San Pietro », tela
del secolo XIII in « San Pietro » di Bovino (tav. XI); VACCARO: «
L'Annunziata e l'Angelo », tela intorno al sec. XV nella Chiesa dei Cappuccini di
Vico Garganico (tav. XII); ASCOLI SATRIANO - Croci, campane e
gonfaloni nel feudo di Trojano Marulli (tav. XIII); Il Castello ducale al tempo
nostro (tav. XIV); LA CAPITALE DELLA DOGANA - Foggia, « ventris
nostrae Neapolis » (tav. XV); FIERA DELL'AGRICOLTURA IN FOGGIA
- Aspetti della XV manifestazione nazionale (tav. XVI); Aspetti della XV
manifestazione nazionale (tav. XVII); LA NUOVA GIUNTA PROVINCIALE Il presidente dottor Savino Vania (tav. XVIII); LO «
SPLENDIDO FOGGIA » La famosa squadra delle « 3 M » - I « Satanelli » in
serie «A » (1964) (tav. XIX); IL « GALILEI » DI MANFREDONIA - Il
preside Melillo dice la prolusione al ciclo celebrativo di Galilei - Il contributo
degli allievi alla celebrazione di Michelangelo (tav. XX).
SOMMARIO
del n. 1 - 6
L'ANNO DI GALILEI - PASQUALE SOCCIO: Metodo e tempo
PAG. 1
DECIO SCARDACCIONE: Realtà e prospettive di sviluppo dell'agricoltura
in Capitanata
» 7
ANTONIO ALTAMURA: Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento
» 41
MICHELE MELILLO: Come vivono e come parlano sul Gargano
» 45
LUIGI TAMBURRANO: La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore
» 65
GIROLAMO CAMPO: Profilo economico di Manfredonia (4 tabelle statistiche) » 77
TESTIMONIANZE D'ARTE E DI CULTURA – 1. Arte contemporanea a Trinitapoli (Giuseppe Sciortino); 2. La Capitanata alla
« Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo antico al rococò » (Angelo Celuzza);
3. Onoranze alla memoria di Nicola Zingarelli (Vincenzo Terenzio)
» 89
LIBRERIA - Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale
di Foggia: 1) Presentazione (Ermete Cerza) - Diario 1799-1829 di
Ascoli Satriano. Premessa alle notazioni (Mario Simone); 2) Il «Libro
Rosso» della Città di Foggia (M. S.)
»
95
CRONACHE DELLA CULTURA - 1. Il riordinamento della Società
Dauna di Cultura (Dauno); 2. Le deformazioni dello Stato contemporaneo
in una conferenza di Michele Cifarelli (« Giustizia Nuova); 3. Concorso
«Il Carciofo d'oro» (d. 1.)
» 101
PROBLEMI REGIONALI - 1. Per un istituto
universitario di Genio
Rurale in Foggia (Giovanni Candura):
2. Appunti per la redazione
di un piano decennale per lo sviluppo di Foggia (Marcello di Falco)
» 105
MANIFESTAZIONI NAZIONALI - La XV Fiera dell' Agricoltura in
Foggia (il «mastro» )
» 125
PALAZZO DOGANA - 1. La nuova Giunta Provinciale;
della nuova Giunta Provinciale (Savino Vania)
SPORT - Questo splendido «Foggia» (Mario Taronna)
2. Programma
» 128
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VITA COMUNALE - Manfredonia: Liberazione e scuole medie.
Il Liceo
scientifico «Galilei»; Foggia: La festa della Liberazione Nazionale; Lucera:
Approvato il bilancio di previsione.
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Segno in 3ª di copertina l'elenco delle illustrazioni
la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
BOLLETTINO D’INFORMAZIONE
della
Biblioteca Provinciale di Foggia
Anno II (1964)
n. 1-6 (genn.-dic.)
Realtà, esigenze e prospettive
della «Provinciale» di Foggia
1. La biblioteca pubblica è una creazione tipica della democrazia
moderna: essa perciò vanta una feconda e gloriosa esistenza in paesi dove il
regime democratico ha una lunga tradizione. « Assicurare l'educazione degli
adulti e nello stesso tempo completare l'opera della scuola, sviluppando il gusto
della lettura nei ragazzi, nei giovani per farne degli adulti capaci di apprezzare i
libri e di trarre da essi profitto», cosí il « Manifeste des Bibliotèques publiques »
edito dall'UNESCO.
La biblioteca pubblica, infatti, oggi non può limitarsi a raccogliere e
conservare il patrimonio librario; non può neppure accontentarsi di renderlo
accessibile a coloro che ne hanno bisogno; ma deve ottenere che essi acquistino
coscienza del loro bisogno dei libri e che agiscano in conseguenza. In altri
termini la Biblioteca non ha soltanto la funzione di accogliere quelli che
spontaneamente entrano e la frequentano, ma deve attirare e incatenare gli altri,
i non lettori.
Tutto ciò postula il concetto moderno di biblioteca pubblica come
organismo educativo e sociale della comunità: quindi la necessità di conoscerla
bene e di farsi conoscere per servirla.
Tuttavia la estensione del servizio di lettura non ha solo dimensioni sociali
e culturali, ma anche topografiche. E per questo ci si domanda: « Una biblioteca
pubblica in una città come Foggia, situata
1
nel centro, con un orario di apertura di nove ore giornaliere (orario attuale
osservato dalla nostra « Provinciale ») perché è frequentata soltanto da un certo
numero di persone? Per tentare di dare una risposta al quesito posto, diamo
uno sguardo alle statistiche della lettura in sede e dei prestiti negli ultimi anni:
Distinti per categorie, tre quarti di lettori sono costituiti da studenti e
professionisti e un quarto da operai, impiegati ed altri. Una gran parte della
cittadinanza quindi non fruisce dei servizi che la biblioteca offre. Quali ne sono
le cause?
I motivi per i quali una parte piú o meno ampia dei membri della
comunità non profitta del servizio della Biblioteca pubblica potrebbero essere:
1) arretratezza e insufficienza dei servizi; 2) scarsezza dei mezzi; 3) personale
poco preparato; 4) locali vecchi e polverosi e inaccoglienti; 5) orario limitato; 6)
procedura di distribuzione e di prestito lenta e defatigante.
Non si può dubitare che ci siamo adoperati per ovviare a tutte queste
cause impedienti; che da un ammasso informe di libri, quale era ridotto l'istituto
dopo i bombardamenti aerei dell'anno 1943, abbiamo con lavoro tenace e
intelligente ridato alla Provinciale di Foggia efficienza di servizi, cataloghi
perfetti, aggiornamento librario, che la modestia dei mezzi messi a nostra
disposizione ha consentito.
Rifatti i cataloghi, impostato ex novo l'inventario generale e il registro
d'ingresso, creato il catalogo per autori e per soggetti di tutto il materiale
concernente Foggia, la Capitanata e il Regno di Napoli, dato per la prima volta
ordinamento a venti annate di circa quattrocento periodici posseduti, al fondo
dei manoscritti, agli incunabuli e alle cinquecentine, iniziata la bibliografia
teatrale (finora comprende oltre quattromila schede), creato un reparto di
bibliografie e di repertori bibliografici, completato l'inventario dei vuoti causati
dalle vicende belliche, impostato e risolto il problema dell'Archivio Stampa e
Documentazione con inizio dal 1°-1-1963.
L'ordinamento moderno e la efficienza dei servizi ci hanno dato la
possibilità di ospitare, con la collaborazione della Soprintendenza Bibliografica,
quattro corsi di preparazione per dirigenti di biblioteche popolari e scolastiche.
Il servizio di prestito e di informazioni bibliografiche è stato disciplinato
in maniera perfetta, con l'introduzione di scadenziari e di schedoni
amministrativi, di tessere e di registri di controllo. Oggi la
2
nostra Biblioteca con un patrimonio di circa 124.000 volumi e opuscoli, con
circa quattrocento periodici, manoscritti, 11 incunabuli e oltre 400
cinquecentine, per modernità di servizi e funzionalità, è uno degli istituti piú
efficienti dell'Italia meridionale.
2. Se attualmente in Italia le biblioteche attraversano un periodo di crisi,
sempre piú acutizzata dai bisogni crescenti della società moderna, ciò accade
anche perché il problema delle biblioteche non è stato affrontato mai con
chiarezza d'idee. Grave è la carenza legislativa esistente nel nostro paese per le
biblioteche non governative, anche se nel Testo Unico della vigente Legge
Comunale e Provinciale (artt. 91. lettera B, n. 2 e 144 lettera B, n. 3) esse sono
implicitamente considerate oggetto di spesa obbligatoria da parte delle
Amministrazioni locali, mentre la legge 24-4-1941, n. 397, relativa al
funzionamento delle biblioteche pubbliche in ogni capoluogo di provincia, è
praticamente inoperante.
Noi ci auguriamo che dopo la costituzione delle regioni cui compete
legiferare in materia che regoli la vita delle biblioteche, si sappia (e si voglia)
correggere gli squilibri ancora esistenti in questo campo, con l'impostazione di
seri programmi di sviluppo culturale, oltre che economico. Poiché all'Ente
proprietario rimarrà il compito di provvedere alla conservazione, al
funzionamento e alla gestione delle biblioteche, è augurabile che l'Ente
Provincia, cui il nostro Istituto appartiene, voglia far meglio e di più per la sua
Biblioteca.
Questo augurio si riferisce soprattutto agli oneri finanziari da sostenere e
alla improrogabile esigenza di una nuova sede, funzionale e moderna.
Anche a questo importante oggetto le cifre soccorrono a chiarire e
puntualizzare meglio alcune situazioni. Premesso che la produzione libraria
italiana, nell'ultimo quinquennio, è stata in media di circa 15.000 unità annuali,
che cosa è stato speso da noi?
La spesa per le legature, di fronte a un fabbisogno effettivo di oltre
ventimila volumi da rilegare (per una spesa di circa L. 18.000.000) è stata
sempre contenuta, annualmente, entro L. 500.000.
3
3. Circa la spesa e la dotazione libraria di una biblioteca pubblica che
cosa consiglia la moderna biblioteconomia?
La biblioteca pubblica, in riferimento ai compiti d'assolvere, deve
possedere negli scaffali almeno 1 volume per abitante, almeno dai 30 ai 40
volumi per ogni 100 abitanti per il fondo prestito e dai 5 ai 20 volumi per ogni
100 abitanti per materiale di consultazione.
Inoltre nella spesa totale 1/4 deve essere assicurato all'aggiornamento, il
20% per opere di consultazioni; il 7-10% per i periodici; il 25% per le rilegature.
Questi gli standard approvati anche dalla FIAB, e ci auguriamo vengano
accolti da quanti hanno responsabilità di amministrare la cosa pubblica i quali
dovrebbero essere consapevoli che assegnare fondi a una biblioteca significa
stanziare somme tali che consentano alla medesima, non solo di sopravvivere
ma di operare.
Ma se abbiamo accennato innanzi all'esigenza che il nostro istituto, in
armonia ai nuovi compiti assegnati alle biblioteche dei capoluoghi di provincia,
estenda il suo servizio di lettura a tutti i ceti, per servire la comunità, bisognerà
che se ne estenda l'area di servizio con un sistema di succursali o sezioni
staccate nel centro urbano e con una rete di piccole biblioteche nei comuni
della provincia. Solo cosí esso non resterà isolato e praticamente impossibile a
gran parte della popolazione.
A questa esigenza si informarono i colloqui avvenuti a piú riprese tra
l'Amministrazione Provinciale di Foggia e il Comune del Capoluogo, tra questo
e la Società Dauna di Cultura, la Biblioteca e la Soprintendenza Bibliografica
che portarono alla stipula di una convenzione che prevedeva oneri e compiti di
enti e istituti per la creazione e il funzionamento di cinque biblioteche di
quartiere, in città, e di una biblioteca per ragazzi nei giardini pubblici.
Il nostro impegno per realizzare una biblioteca per bambini, considerata
la mancanza di un'apposita sala in biblioteca, deve essere grande e affettuoso.
Se è vero che i primi libri del bambino sono gli occhi della madre, che poi viene
la natura e assai tardi debbono venire i libri, è necessario che quanto
ottimamente progettato per i piccoli lettori (già tanto ben accolti, oggi, sia pure
in ambienti inadatti per loro ... ) sia in uno con le biblioteche di quartiere
realizzato al piú presto.
Forse le remore e le difficoltà che la Biblioteca incontra nella sua
espansione non sono dovute tutte e solamente alla « congiuntura economica »;
forse da qualcuno si pensa che la spesa per i libri sia improduttiva. Perciò
dobbiamo ancora e più preoccuparci in Capitanata di organizzare presto e bene
accoglienti e moderne biblioteche.
Il rinnovamento della società e l'installazione di industrie nel foggiano ci
porranno di fronte a problemi gravi da risolvere, che non debbono trovarci
impreparati, perché, la tecnica, che è creazione dell'uomo per fini e valori
umani, non chiuda l'uomo nella solitudine di un io astratto o introverso e
neanche lo abbandoni in un ambiente sociale che non lasci posto se non per il
gregario. Ma quale livello medio di
4
preparazione tecnico-culturale richiedono nei loro operai le nuove attività
industriali? e quali margini di tempo libero consentono?
4. Alla nuova sede della Biblioteca, - attualmente compressa e soffocata
in locali insufficienti, privi di luce, umidi e antigienici, dove la moderna
attrezzatura e la suppellettile libraria deperiscono -, occorrerà provvedere subito
e bene.
Non si pensi, per carità, a una nuova soluzione provvisoria come quella
adottata dalla pur benemerita Amministrazione che fondò l'Istituto! Il
provvisorio troppo spesso qui da noi diventa definitivo. La nuova sede
progettata per una dotazione di mezzo milione di volumi, deve tenere conto
degli incrementi per un minimo di venti anni e delle altre esigenze di un istituto
culturale moderno e funzionale. Quindi non basterà provvedere alle sale di
lettura, ai magazzini, agli uffici, alle sale dei cataloghi e delle informazioni
bibliografiche, ma occorrerà predisporre tutto per un'ampia e moderna sala di
consultazione, ricca almeno di ventimila volumi; di sale per ragazzi, di sale per i
fondi particolari, per i periodici, per i manoscritti, per le riproduzioni
microtofotografiche e xerografiche, per le audizioni e le conferenze.
L'esigenza della nuova sede è imposta anche dalla non lontana
realizzazione (come speriamo) del Consorzio per gli studi superiori. Una
moderna biblioteca, ben fornita e funzionante, sarà una delle componenti
essenziali per il funzionamento dei corsi di istruzione superiore da noi tutti
auspicati.
5. Consapevoli delle nostre responsabilità e nell'ansia del meglio,
abbiamo parlato soltanto di quanto desidereremmo poter fare per la cultura e la
comunità. Ma possiamo affermare che già oggi, nonostante i tagli anonimi e
perentori degli organi tutori, che frustano troppo spesso la buona volontà degli
amministratori nei confronti delle biblioteche, la Biblioteca Provinciale ha
lavorato molto e ha ben operato nella e per la sua comunità. E' stata presente in
tutte le manifestazioni culturali organizzate e svoltesi nella nostra città: dal «
Convegno per animatori del libro » alla « Mostra Storica Laterza », dalle
manifestazioni per celebrare il VII° centenario dantesco alla celebrazione del
CL anniversario dell'illustre concittadino Giuseppe Rosati, dalla organizzazione
perfetta da essa approntata per la realizzazione del « Piano L. » in Provincia, alla
pubblicazione del periodico « La Capitanata », ormai al secondo anno di vita, e
della collana « Documenti e Monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia »,
in cui è comparso, per i tipi dello Studio Editoriale Dauno, il volume « Diario di
Ascoli Satriano » dei Fratelli Tedeschi, da un manoscritto inedito posseduto
dalla « Provinciale », e presto vedrà la luce il secondo volume, anch'esso da un
manoscritto inedito in possesso della Biblioteca: « Capitoli e Statuti della Città
di Foggia ».
La stima e la simpatia dalle quali la Biblioteca è circondata si possono
desumere anche dalle donazioni che particolarmente abbondanti sono
pervenute negli ultimi anni.
5
Cito le piú importanti, per il periodo 1-1-1960 – 31-12-1964:
fondo « Angelo Fraccacreta »; 4.235 voll. e opuscoli e un centinaio di
importanti periodici;
lascito « Fajella »: 992 voll. due manoscritti e 11 periodici;
Ministero P. I. e Ente Nazionale Biblioteche Pop. e Scol., 791.
fondo « R. Pagliara »: 2.249 voll.
donazioni diverse: 5.716.
Per concludere, dopo quanto brevemente accennato in merito ai
problemi e alle necessità che una moderna organizzazione della cultura impone
alla nostra responsabile attenzione, è superfluo sottolineare l'urgenza di
intervenire da parte dell'Amministrazione Provinciale, i cui saggi amministratori
siamo sicuri vorranno sin dal prossimo bilancio impostare finanziariamente il
problema della nuova sede della Biblioteca e quello del decentramento della
pubblica lettura.
Cosí operando avremo rimosso in Capitanata uno dei motivi che
ostacolano la migliore circolazione delle idee e lo stesso progresso civile delle
popolazioni e avremo attuato quanto la costituzione detta all'art. 3, ove si
comanda di « rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana ».
Ci scusiamo per il tono a volte aspro e perentorio di alcune affermazioni,
ma sentiamo onestamente di poter affermare (e giova qui sottolineare che il
bibliotecario non può essere per « l'ordinaria amministrazione ») tutto è stato
dettato - e si giustifica quindi - dal nostro amore per il libro che, tanto piú nella
nostra epoca - in cui stiamo assistendo al capovolgimento di tanti valori -, non
cambia mai, mantiene anzi sempre ciò che promette, ci consola, sempre ansioso
di infonderci virtú e coraggio, fonte di sapere, non solo, ma anche di dignità.
ANGELO CELUZZA
Prof. ANGELO CELUZZA, direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia.
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LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA
Ufficio della Direzione
Sala dei cataloghi
LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA
Sala di lettura « Nicola Zingarelli »
Sala di consultazione « Angelo Fraccacreta »
LA « PROVINCIALE » Di FOGGIA
Lettori in sede
LA « PROVINCIALE » Di FOGGIA
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Sul foggiano Giuseppe Rosati
Ricerche storico-bibliografiche nel CL della sua morte
LE ONORANZE DI FOGGIA
L'idea di ricordare Giuseppe Rosati, soprattutto alla gioventù studiosa, nel 150°
anniversario della morte, fiorì l'anno scorso nella mente dell'allora preside della Scuola Media
«Rosati» di Foggia, prof. Gaetano Piccone. Egli riscosse subito un largo consenso cittadino,
che ebbe interpreti volenterosi nel sindaco avv. Carlo Forcella, nell'assessore alla P.I. dr.
Leonardo Procino ed in tutti gli altri membri della Giunta municipale. Fu, inoltre, preziosa
la collaborazione del prof. Carlo Gentile, dello sculture prof. Salvatore Postiglione, ma
soprattutto della Biblioteca Provinciale e dell'Archivio di Stato di Foggia.
Il primo atto dal quale presero l’avvio le onoranze è del 16 dicembre 1963. In questa
data il preside Piccone indirizzava la seguente lettera al sindaco di Foggia:
«Il suo vivo attaccamento alla nostra terra e la sua profonda
ammirazione per quanto i suoi figli fecero, mi hanno spinto a scriverle queste
parole. Sono il preside della nuova scuola Media « Rosati ». Ho detto « nuova »
perché risultante dalla fusione delle due precedenti scuole di avviamento « G.
Rosati » e « M. Montessori ». Questa rinnovata scuola non poteva riprendere il
proprio cammino con auspici migliori.
Ricorre, infatti, nel 1964 il 150° anno dalla morte del grande concittadino
Giuseppe Rosati. E, proprio perché gli alunni di questa Scuola e la popolazione
tutta della nostra città non dimentichino un figlio che ha dato lustro a Foggia e
alle scienze, e perché venga conservato quanto i foggiani delle generazioni
passate fecero per onorare e tramandare il nome e la fama di tanto illustre
concittadino, le chiedo d'intervenire affinché sia restaurato il tempietto
dedicatogli nel 1927 e vi sia riposto il busto attualmente in giacenza presso il
Museo civico. Opportuno, inoltre, sarebbe porre all'ingresso della Scuola una
lapide che ricordi la ricorrenza e più ancora il nostro impegno ad imitare una
vita nobile e retta ».
Il sindaco, accogliendo l'invito del preside Piccone, con la seguente partecipazione alla
cittadinanza, rese noto il proprio pensiero e quello della Civica amministrazione:
« Ricorre quest'anno il centocinquantesimo anniversario della morte
dell'insigne Concittadino Giuseppe Rosati, uomo di cultura poliedrica, dai suoi
contemporanei definito “il Newton pugliese". Filosofo, matematico, medico e
stu15
dioso profondo dei problemi dell'agricoltura. Giuseppe Rosati portò il suo
contributo in tutti i campi dello scibile. Fu professore di economia rurale in
Foggia (1800) e primo presidente della «Reale Società Economica di
Capitanata» (1810). Gli uomini della haute culture usavano chiamare il Rosati
l'enciclopedico di Foggia. Fra i suoi numerosi scritti sono da ricordare, per il
contenuto tecnico-scientifico: Elementi di agrimensura (1787); Le industrie di Puglia
(1808); La concia dei semi; La prolusione alla Cattedra di Agricoltura; La trebbiatura;
La conservazione dei boschi; ecc.
Nelle sue opere il Rosati, con grande intuito e senso di premonizione,
previde il futuro sviluppo della vita dei campi.
La predilezione degli studi e delle opere riguardanti la tecnica e l'economia agricola rispecchia l'amore dell'uomo di scienza per la sua terra e per le sue
fonti di ricchezza, che il Rosati filantropo cercava di rendere accessibili al
popolo.
I concittadini, subito dopo la morte, gli eressero un sarcofago
monumentale in Cattedrale e gli dedicarono il classico tempietto
(appositamente costruito) che sovrasta la fontana a cascata della Villa
Comunale, sulla parte più elevata del boschetto (1827), comprendente anche un
busto marmoreo (1839).
A Giuseppe Rosati furono intitolate una strada e la prima Scuola Tecnica
foggiana (1862).
L'Amministrazione comunale intende celebrare il 150° anniversario della
morte dell'Uomo dì ingegno e dell'illustre Concittadino con degne onoranze,
che culmineranno con lo scoprimento di un marmo, a ricordo delle celebrazioni, nel restaurando tempietto della Villa comunale ».
Nel frattempo si costituiva un apposito comitato per la cura nei dettagli delle onoranze
programmate ed il preside della « Rosati » indirizzava agli ex alunni della scuola la seguente
lettera:
« Ex-Alunni della “Rosati”, il prossimo primo settembre ricorre il 150°
anniversario della morte di G. Rosati, al quale è intitolato la nostra Scuola! Per
ravvivare nella memoria di molti il nome e l'opera del nostro illustre concittadino abbiamo pensato di attuare delle particolari iniziative. Sarebbe stata
grave colpa per noi, Preside, Insegnanti, Personale e Alunni di questa Scuola,
lasciar passare inosservata una ricorrenza tanto importante. Proprio per questo
abbiamo voluto rivolgervi due parole attraverso la stampa.
Scriveteci comunicandoci il vostro nominativo, l'anno di frequenza,
particolari ricordi della Scuola, di Professori, di amici, di voi. Ma soprattutto
veniteci a trovare perché vogliamo ricordare insieme la vita e l'opera d'una
Scuola tanto cara; perché vogliamo conoscervi come fratelli maggiori che ci
spronino al bene, e perché no? perché vogliamo affermarci come voi per
fervore dì opere, per rettitudine, per sapere.
Forse avrete letto o vi sarà giunta voce di quanto vogliamo fare per onorare degnamente lo scienziato Giuseppe Rosati... Abbiamo ciclostilato un foglio
con qualche dato biografico e cenni degli onori che gli tributarono i Foggiani
delle passate generazioni.
Amici, vi aspettiamo: venite e concorderemo quanto potrà rendere più
suggestive le celebrazioni per onorare l'« Uomo » che ammiriamo per la vastità
del sapere, per l'amore verso il popolo, per la passione con cui attese all'educazione dei giovani, per l'attaccamento alla Nostra Terra!
Nell'attesa di conoscervi di persona v'inviamo un fraterno saluto ».
16
Così prendevano avvio pazienti lavori di ricerche e di documentazione sull'opera del
Rosati. Ai direttori delle biblioteche provinciali e comunali il Sovrintendente bibliografico di
Bari indirizzava la seguente lettera:
«La Città di Foggia intende celebrare solennemente il 150° anniversario
della morte del suo illustre figlio Giuseppe Rosati (1752-1814), matematico,
scienziato, medico, astrono e geografo.
A completamento delle cerimonie che si svolgeranno entro l'anno
corrente, verrà allestita presso la Biblioteca di Foggia una Mostra delle sue
opere.
Pertanto, si prega di voler cortesemente segnalare a questa
Soprintendenza le opere a stampa o manoscritte e le carte geografiche del
Rosati possedute dalle Biblioteche in indirizzo».
* * *
Larga eco, infine, dette la Stampa alla puntualizzazione delle manifestazioni
commemorative. Eccone un saggio:
«II sindaco Forcella ha ricevuto a Palazzo di Città il Comitato per le
onoranze a Giuseppe Rosati. All'avv. Forcella, che è il presidente onorario del
Comitato stesso, sono state sottoposte le manifestazioni programmatiche per
ricordare degnamente la figura del Rosati.
E' stato innanzitutto stabilito che tali onoranze avranno la loro realizzazione contemporaneamente alle manifestazioni in programma per la tanto attesa riapertura al pubblico del Museo e della Pinacoteca comunali, fissata per il
prossimo mese di ottobre. Grazie alla positiva spinta impressa alla complessa
attuazione dei programmi di lavoro, il Museo e la Pinacoteca, ricostruiti con
concezioni di alta funzionalità, potranno dunque essere riaperti al pubblico a
circa 23 anni di distanza dalle distruzioni inflitte ai due istituti dalla guerra.
Sarà, dunque, in questa degnissima sede che grazie alle decisioni del Sindaco potranno svolgersi le celebrazioni commemorative di Giuseppe Rosati,
che consisteranno in una rassegna di tutte le opere reperite dell'illustre filosofo,
nella pubblicazione di un numero speciale della rivista «La Capitanata», edita
dall'Amministrazione provinciale, dedicata a Rosati comprendente scritti dei
professori Carlo Gentile e Gaetano Piccone, del direttore della Biblioteca provinciale e direttore della rivista stessa, prof. Angelo Celuzza e del pubblicista
Attilio Tibollo. Sempre al civico Museo verrà allestita una mostra di lavori
eseguiti da alunni della Scuola «Giuseppe Rosati» di Foggia e verranno tenute
conversazioni e conferenze per illustrare e divulgare, specialmente tra i giovani,
l'opera di didatta e di studioso geniale del Rosati.
A cura del Comune, peraltro, verrà quanto prima ripristinato il tempietto
che, nella Villa comunale, prima della guerra, ospitava un busto marmoreo del
Rosati, busto che sarà riprodotto dallo scultore prof. Salvatore Postiglione,
mentre borse di studio particolari verranno assegnate, per l'occasione, ad alcuni
meritevoli della Scuola Media "Rosati" di Foggia».
ATTILIO TIBOLLO
17
La figura, la vita e l'insegnamento di Rosati
Queste brevi notizie su Giuseppe Rosati non hanno alcuna pretesa di
grande o profonda erudizione. Esse vogliono solo, nel quadro delle
manifestazioni organizzate per celebrare il 150° anniversario della morte di
questo nostro illustre concittadino, ravvivarne le nobile e cara figura.
Le persone colte, e quelle che hanno svariati anni sulle spalle, hanno
sentito di lui, ma spesso vagamente, molte cose. Ora, perché la nebbia
dell'incerto non finisca per avvolgere completamente la figura di un uomo che
per la nobiltà del suo sentire e la rettitudine del suo operare, ha ancora molte
cose da insegnare anche in un'epoca piena, come la nostra, di nuove
conturbanti scoperte, ho pensato di riportare in queste poche pagine i tratti
salienti della sua vita e del suo pensiero.
L'iniziativa di promuovere manifestazioni atte ad onorare degnamente il
150° anniversario della morte di G. Rosati è nata (mi piace rilevarlo!) nelle aule
di una scuola e precisamente della Scuola « G. Rosati » che, sorta nel 1862, si è
affermata attraverso i tempi e, pur colpita dalle vicende più varie, ha formato,
istruito, preparato alla vita schiere di giovani valenti e operosi. Dalla Scuola,
dicevo, è partita l'iniziativa, e non poteva essere altrimenti poiché Giuseppe
Rosati, ed è questo il tratto più saliente della sua personalità, nella scuola e per la
formazione e l'istruzione dei giovani profuse le sue migliori energie.
Egli venne alla luce in Foggia, il 21 settembre 1752 da Marianna
Giannone e Raffaele Rosati. Il giorno successivo fu battezzato in Cattedrale e
gli furono posti, oltre al nome di Giuseppe, quelli di Marcello, Ignazio, Matteo.
Immensa dovette essere la gioia della pronipote di Pietro Giannone e del
giureconsulto Raffaele Rosati per la nascita del loro primo ed ultimo figlio.
Essi, purtroppo, non vissero a lungo. Del loro affetto e delle loro cure il
piccolo Giuseppe venne privato quando era ancora in tenera età. Cosí, il
mondo e la vita che si erano presentati al bambino con le promesse più rosee,
come per un malefico incanto, gli si mostrarono ben presto crudeli e nemici.
Non dovremmo perciò meravigliarci in seguito per il suo rifuggire dal
chiasso mondano e per il suo semplicissimo, quasi selvatico tenore di vita
allorché si pensi per un momento che egli non conobbe l'affetto dei genitori e
non poté gustare le gioie della famiglia. Forse, solo una compagna intelligente e
affettuosa, che gli avesse regalato una nidiata di bimbi, gli avrebbero potuto
allietare la vita e colmargli il vuoto immenso che portava nel cuore fin dagli
anni più teneri.
Del piccolo orfano si prese cura uno zio paterno, Bonaventura Rosati,
ecclesiastico probo e illuminato. Questi provvide ad avviare agli studi il
giovanetto presso il Seminario di Troja.
18
Reggeva allora la diocesi troiana il Vescovo Marco De Simone di Atella, il quale
conservò al Seminario la rinomanza a cui l'avevano portato i suoi due
predecessori, i Vescovi Cavalieri e Faccolli.
La permanenza del Rosati al Seminario di Troja fu un periodo di
raccoglimento e un adusarsi agli eventi e ai casi della vita. Gli anni passati a
Troja furono, per il nostro giovanetto, anni di studio intenso e proficuo,
durante i quali cominciò a rivelare le sue vaste attitudini e la sua non comune
intelligenza. Gli studi delle 'belle lettere' aprirono al giovane Rosati gli spazi
immensi della fantasia, ne rafforzarono la mente, ne affinarono il gusto.
Una breve sosta a Foggia, dopo il ritorno da Troja, e poi eccolo nella
capitale del Regno. Napoli l'avrà certamente incantato con le sue meravigliose
bellezze naturali, ma più ancora dovettero attrarlo i tesori d'arte, le numerose
biblioteche, i gabinetti letterari, l'opportunità di seguire e approfondire sotto la
guida dei più valenti maestri dell'epoca gli studi delle scienze fisiche, mediche e
matematiche a cui per natura si sentiva particolarmente portato.
A Napoli poté dedicarsi anche al disegno e alla pittura, acquistando
inoltre una particolare capacità di disegnare a penna sulla carta e di incidere i
rami. La sua mente ebbe modo così di arricchirsi, il suo spirito e le sue
attitudini si affinarono, la sua cultura divenne più vasta e profonda. Fu allora
che il giovane e già apprezzato Rosati partecipò ad un pubblico concorso
bandito per l'assegnazione della cattedra di scienze fisiche nelle scuole militari di
Napoli.
Vi partecipò con la piena consapevolezza delle sue vaste capacità già
rivelate nei più svariati campi del sapere, e riuscì primo, ma il posto venne
assegnato a un altro concorrente, meno meritevole, che era stato fortemente
raccomandato dall'imperatrice M. Teresa alla figlia figlia M. Carolina.
A Rosati rimase il conforto morale del plauso unanime riscosso da parte
di tutte le persone dotte e imparziali.
Ma l'ingiustizia per l'affronto subito rimase, e segnò una profonda
traccia nell'anima sensibile di G. Rosati costituendo la causa, se non proprio
determinante, certamente occasionale del suo ritorno a Foggia.
Non vi è dubbio, infatti, che accanto allo sdegno per l'ingiustizia sofferta,
un altro motivo, non meno importante ed essenziale, contribuì a determinare il
ritorno del Rosati alla città natìa.
Giuseppe Rosati visse, non bisogna dimenticarlo, in un periodo passato
alla storia col nome di Illuminismo.
E l'illuminismo tendeva a illuminare gli uomini, a liberarli mediante
l'istruzione e lo sviluppo della ragione dal giogo della misera e da quello
dell’ignoranza. Ora, se al raggiungimento di questo fine gl'Illuministi si
dedicarono con en19
tusiasmo e con passione, Giuseppe Rosati non poté non risentire del vasto
movimento culturale e filosofico, dell'epoca, il cui fine era il rinnovamento
dell'uomo, e della società.
All'intelligenza e alla sensibilità di G. Rosati non poteva sfuggire la
necessità di rinnovamento della società, e in particolare della nostra società, del
nostro popolo meridionale, abbrutito da secoli di servaggio, di ignoranza, di
profonda miseria. Egli quindi tornò nella sua città anche e soprattutto per
rendersi utile al suo popolo.
Aspirazioni analoghe le ritroviamo, a citare solo qualche esempio, in
Ferdinando Galiani, in Casimiro Perifano, in Francesco della Martora. « Io per
me, diceva Ferdinando Galiani nel proemio al suo trattato Della moneta,
qualunque siasi l'opera, confesserò con l'ingenuità propria agli animi ben
formati, ch'io credo meritar lode, mentre le forze e i talenti da Dio ricevuti,
tutti alla Patria e all'umana società rendo e consacro. Volesse il Cielo potessi ad
esse divenire utile tanto, che le infinite obbligazioni mie verso di loro si
venissero cosi almeno in parte a soddisfare ».
All'educazione dei giovani dedicava frattanto gran parte della sua attività
Casimiro Perifano il quale scrisse appositamente per essi testi di geografia e di
scienze morali. Sempre per i giovani Francesco della Martora progettava e
realizzava in Foggia nel 1872 una scuola officina, la prima del genere sorta in
Italia.
Più che naturale quindi che anche G. Rosati bruciasse per questo sacro
ideale che animò tanti spiriti colti, che lo precedettero e lo seguirono nella
difficile, delicata, importantissima opera di elevazione del popolo. E in
quest'opera il Rosati trovò certo l'appagamento delle sue più nobili e congeniali
aspirazioni. Colla sua parola facile e dotta nello stesso tempo, riuscí ad
appassionare e a trarre alle sue lezioni schiere di giovani. Egli non si limitò ad
impartire il suo insegnamento solo a coloro che avevano la possibilità di
ascoltarlo, ma volle estenderlo a chiunque avesse brama di istruirsi ed elevarsi.
Cominciò a scrivere, e numerose furono le sue opere, dalle più semplici
e divulgative, a quelle poderose e di vasta risonanza, quali: La geografia moderna,
teorica istorica e pratica (1785); Elementi di agrimensura (1787); Elementi per l'edificazione
(1805); Le industrie di Puglia (1808).
Il contatto con i discepoli che sempre più numerosi accorrevano alle sue
lezioni, la multiforme attività che andava dalle visite mediche al disegno di carte
geografiche, dalla composizione delle opere agli impegni dovuti alle cariche di
cui venne investito, dovettero certamente appagarne lo spirito nobile e generoso. Malgrado, infatti, le sollecitazioni e gli inviti al ritorno nella Capitale, che
sempre più insistenti gli pervennero quando la fama della sua dottrina e delle
sue opere si era diffusa oltre i confini della città natale, il Rosati non cedette a
lusinghe.
20
Egli aveva trovato il più completo appagamento alle sue più intime
aspirazioni nell'opera di redenzione del suo popolo e perciò nulla poteva
lusingarlo più del convincimento e della soddisfazione di operare per un così
nobile fine.
Ma tutta questa attività, tutto questo immane sforzo dovevano prostrare
le forze e il fisico di colui che aveva curato tanti mali e lenito tante sofferenze. Il
medico dei poveri, quando cominciò a sentire che le forze lo abbandonavano,
dette l'esempio di come si devono sopportare i dolori quando i rimedi umani
non hanno più efficacia. E a quella forma di stoicismo, propria dell'epoca,
seppe aggiungere la rassegnazione cristiana.
Cosi, tra il cordoglio degli amici e dei discepoli, chiuse la sua giornata
operosa il 1° settembre 1814.
Foggia, che vivo lo aveva stimato un genio, considerò la sua morte
come una pubblica calamità. Questo ci dicono i numerosi scritti pubblicati in
occasione dì tanta dipartita, ma più d'ogni altro quello che si legge sul
monumento sepolcrale della Cattedrale e l'elegia di Gian Tommaso Giordani.
Dei due scritti si dà qui di seguito la versione italiana. perché essi ci presentano
in una sintesi viva e sentita l'uomo e lo scienzato e descrivono l'incolmabile
vuoto che la sua scomparsa lasciò nei contemporanei.
Ecco, dunque, il testo italiano dei due scritti latini:
«A Giuseppe Rosati, medico esimio, il quale, essendosi fin dalla tenera età accostato col
vigore prodigioso della sua mente ai reconditi tesori della filosofia, matematica, geografia,
ingegneria, erudizione letteraria, ed avendoli poi profondamente esplorati, con le sue
pubblicazioni, non solo si procacciò la piú sincera stima e l'affettuosa amicizia di tutti gli
scienziati italiani e stranieri, ma indusse anche a coltivare quelle discipline tutti i giovani
studiosi di Capitanata, di cui egli sempre fu guida e sprone, sicché tutto il merito di quegli
studi accurati che fiorirono in mezzo a loro si deve attribuire esclusivamente a lui.
E per dare l'impressione che non volesse in qualche cosa abbandonare i suoi discepoli,
quelle ricerche, invero non di pregio materiale dorate, egli divulgò per indicare un metodo più
semplice di coltivazione e di agrimensura, affinché in tanti latifondi crescesse più rigogliosa la
messe e senza inganno fossero composte più rapidamente le contese per la regolazione dei confini.
Ebbe pietà profonda, spirituale equilibrio, dolcezza di tratto, rispetto per gli amici, generosità
verso i bisognosi, sollecitudine per i malati, e per tutti una bontà straordinaria e davvero
ammirabile. Gli amici ed i concittadini, vivamente addolorati per la perdita di un sì illustre
uomo, meritevole della riconoscenza loro, della patria e dei cultori di quasi tutte le discipline,
questo monumento eressero. Visse anni 61, si spense serenamente il 1° settembre 1814»*
* Traduzione dalla lingua latina del prof. Marino, ordinario di Lettere nel Liceo
Ginnasio statale «Vincenzo Lanza» di Foggia.
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GIANTOMMASO GIORDANI: ELEGIA IN MORTE DI GIUSEPPE ROSATI,
ASTRONOMO, GEOGRAFO, MEDICO E AGRONOMO SOMMO.
Se Virtù, se Fama, e Ingegno che in arti sovrane
Mostri sua tempra, in uomo suscitano palpiti ancora,
Rompa quegli con me in gemiti pii, e amaro
Duol sollevi, e lacrime sparga compagne alle mie.
Tu, che dianzi con capo sublime l'Olimpo attingevi
Del virgulto superba di generoso suol,
Daunia, sciogli le chiome, e i serti che t'ornan le tempie
Di flaventi spighe dissipa sotto i tuoi piedi:
L'Uomo che era tuo lustro e vanto sommo, il cui nome
Risonava lungo tutto il cammino del sole,
Quei che Urania seco nel limpido etere trasse
A svelargli le vie e della terra e del ciel,
Quei cui Apollo dell'erbe l'occulte virtù, cui l'arte
D'allietare i solchi Cerere volle mostrare,
Quegli, ahimé (compiute parole il dolor mi nega),
Piú non è: or grande spoglia esanime sta.
Sta la spoglia esanime e negra terra la copre
In un abbraccio lieve, tenero come di madre.
Questo ardisci tu, Morte? son dunque sì crudeli i tuoi colpi?
Tal potere hai tu? tanto infallibile mano?
Quando ne incoglie un tal fato e a tali lutti ripenso,
Sovrastati da te pur gl'Immortali sospetto.
Ecco, molti e molti anni può viver l'odiosa cornacchia
Ed il corvo che invoca con crocidar la pioggia;
Anche la quercia, dall'ira di Borea e Coro squassata,
Molte stirpi d'uomini nascere vede, e perire.
Noi, che fisi il volto alle sfere superne Dio volle
E capaci d'esprimere con la parola il pensier,
Noi, di spirito celeste dotati e di mente assetata
D'infinito, e sagaci in discoprire e inventar,
Noi nasciamo, ed ecco ci coglie repente la sera:
Resta un pugno di cenere, pallide ossa, non più.
Invida sei, o Morte, ma su di lui non hai vanto:
Dal tentato tuo mal bene maggiore gli viene.
Se di quest'aer spirabile l'aure vitali non spira
Né calore di sangue può ridestargli più il cuor,
Se con accenti soavi l'orecchio a noi non diletta
Né del caro sembiante più ci consola la vista,
Egli intanto beato si pasce del nettar dei numi
E con agile pie' calca le stelle dorate;
E rimarranno di LUI la gloria e le carte sapienti
Fin che biade vivranno ed erbe e la terra ed il ciel.*
Ma prima di concludere queste succinte notizie sulla vita di Giuseppe
Rosati, un'ultima osservazione vorrei fare per mettere in rilievo un lato
interessante e moderno della sua personalità: la straordinaria corrispondenza del
suo ideale di insegnamento ai principi didattici ispiratori della nuova Scuola Media.
Cresciuto, com'è stato detto, sotto gl'influssi dell'Illumini* Traduzione dal testo latino del prof. Erminio Paoletta, ordinario di Lettere nel
Liceo Ginnasio statale « Vincenzo Lanza » di Foggia.
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smo e dell'Enciclopedismo, Giuseppe Rosati senti in maniera impellente la
chiamata a migliorare il suo popolo, a promuoverne l'elevazione. Elevazione
che è il presupposto perché esso poi proceda a successive conquiste e
affermazioni. Ora, se per un momento consideriamo i profondi motivi sociali
e didattici che hanno determinato l'approvazione della legge 1959 sulla nuova
scuola media, non possiamo non rilevare che essi si basano essenzialmente su
questo presupposto: l'istruzione di base, impartita fino al 14° anno di età, in
forma gratuita e uguale per tutti, deve consentire a tutti gli adolescenti, senza
pregiudizi e discriminazioni, di conseguire quella preparazione su cui si
baseranno le scelte future. E tali scelte, si badi, saranno fatte tenendo conto
delle attitudini rivelate dagli alunni nel triennio di istruzione obbligatoria. Questo
ci dice la moderna pedagogia, questi sono i principi didattici che oggi
gl'insegnanti della nuova Scuola Media cercano di realizzare.
Ed ora torniamo per un momento al Rosati. Non desiderava anch'egli
ardentemente di elevare, di migliorare con l'istruzione il popolo? Non era sua somma
cura attendere all'istruzione dei suoi discepoli indirizzandoli, proprio come
vuole la moderna pedagogia, verso quelle forme del sapere a cui per natura si
sentivano maggiormente portati? « Era molto avveduto, dice Serafino Gatti
pronunziando l'orazione funebre in onore di Giuseppe Rosati, nel lungo corso
di trenta e più anni di magistero si fe' vedere sempre pronto, sempre sereno,
sempre paziente, onde a ragione poteva chiamarsi l'uomo di tutti i giorni e di
tutte le ore. S'impiccoliva ad istituir de' fanciulli, e a dar lezioni più elementari
ad una schiera di nuovi alunni che dovevano prepararsi alle scienze sublimi. E a
render sempre più attivo nei docili ingegni l'amor del sapere, e per facilitare ad
essi i mezzi di profittare, estendeva la sua beneficenza sino a donar loro libri,
sussidiari, ed esemplari preziosi di opere del suo felicissimo ingegno. Tutti i
giovani iniziati alle lettere, o già provetti nella loro cultura, trovavano in lui
eccitamento e sostegno. Non avaro di lode, commendava i loro progressi,
applaudiva a tempo ai loro sforzi e spesso anche giudicava migliori e più
perfetti dei suoi i lavori meccanici di quei che, secondando il di lui genio,
amavano d'occuparsi della formazione delle carte geografiche d'ogni specie, di
coltivare il disegno, l'architettura, ed altri oggetti che servono ad abbellire il
rigore degli studi ».
Un educatore, quindi, fu il Rosati al quale gl'insegnanti, ancor oggi,
devono guardare con rispetto e ammirazione.
La cultura era in lui non uno sterile patrimonio da trasmettere
freddamente. Essa era vivificata dall'amore, dalla passione con cui egli sapeva
avvicinarsi ai suoi discepoli, comprenderne l'animo, studiarne le attitudini.
Questo compresero i nostri antenati che nel 1862 gl'intitolarono « La regia
scuola tecnica ». E non poteva la scelta essere più opportuna. Chi, infatti più del
Rosati, avrebbe potuto dire alle generazioni che nelle
23
aule di quella Scuola si sarebbero formate e preparate alla vita, una parola sicura
e sincera in fatto di civismo, di scienza, di rettitudine?
La regia scuola tecnica fondata nel 1862, nell'evoluzione degli
ordinamenti scolastici, divenne successivamente complementare, di avviamento
commerciale e finalmente media. Sempre però conservò il nome di Giuseppe
Rosati, cioè di colui che, al di sopra di ogni mutamento di idee, di costumi, di
ordinamenti, resta il prototipo della stirpe e del genio di Capitanata ed esprime
compiutamente le grandi e multiformi possibilità del popolo pugliese. E’
sommamente auspicabile quindi che anche la nuova scuola media, derivata dalla
ex scuola d'avviamento « Rosati », conservi la più che secolare intitolazione della
quale i giovani che in questa scuola continueranno ad essere educati non
potranno che sentirsi fieri. Giuseppe Rosati continuerà a costituire per essi,
come per le generazioni passate, un modello da seguire, un esempio da imitare.
Egli continuerà a rivolgere a tutti il suo più alto insegnamento, quello di integrare il pensiero con l'azione, quello di operare per rendersi utili a sé, ai propri
simili, alla patria. « La vita, egli diceva, è forza ed azione. La nostra stessa natura
bisognosa, pensante, ed attiva, mostra che noi siam nati per fatigare. La ragione è sempre
bella, ma dove non sia operatrice somiglia alle gemme che lucono, ma non nutriscono. E poi
l'uomo debbe impiegare al vantaggio dei suoi simili le forze e le qualità acquistate. Chi non
rende o mediatamente o immeditamente alcun bene alla patria, è un essere vile e nocevole ».
Il monito di Giuseppe Rosati, il suo incitamento all'azione, al bene
operare per la società e la Patria, sono, oggi piú che mai, vivi e attuali.
Inchiniamoci dunque con rispetto di fronte alla sua figura di uomo
probo, attivo e colto, e tramandiamone il ricordo conservando, oltre ai
monumenti dedicatigli dalla stima dei suoi concittadini, l'intitolazione della
Scuola.
Alla Scuola il Rosati dedicò le sue energie migliori; è giusto che dalla
Scuola si guardi ancora a lui come a un maestro capace, dotto, sollecito del
bene degli alunni, dei loro progressi, delle loro necessità.
GAETANO PICCONE
Prof. GAETANO PICCONE, preside della Scuola Media «Gaslini» di Genova.
24
L'Enciclopedico senza enciclopedia
(Agli Amici del Comitato e della Scuola Rosati)
Malgrado le sollecitazioni della curiosità (direi pure storica, senza volermi
dare delle arie), nessuno è riuscito a scoprire cosa sia stata - nel Teatro
Comunale di Foggia, alcuni anni dopo la morte del «Newton pugliese» (entrato
poi tra gli altri, nelle pagine del De Tipaldo e del Gervasi) e cioè nel 1828, il 28
gennaio - la rappresentazione del dramma di cui parla il Villani. Il cartellone
recava la scritta: L'Enciclopedico di Foggia ovvero Giuseppe Rosati. Si era
giusto, per il Regno di Napoli, nel pieno della reazione, nel trionfo ufficiale
quindi della ignoranza, e, per giunta correva l'anno delle repressioni atroci della
Carboneria nel Cilento. Non so se la parola «enciclopedico» - che pure nella sua
significazione filosofica non esclude essenziale contatto con la personalità del
Rosati - suonasse troppo frettolosa concessione a titolo in altri tempi adatto, e
venisse quindi ripagata col silenzio. Certo, il teatrale enigma, dopo un secolo e
mezzo non è stato diradato. Né i Villani, pure possedendo interesse erudito
notevole, dicono chi sia stato l'autore o riportano echi di stampati e pubblici
riconoscimenti; si aggiunge solo che «il teatro fu in quella sera affollatissimo,
come rilevo da manoscritti in memoria di un tanto uomo ».
La ragione del silenzio non è forse quella prospettata dalle mie punte
maligne sui tempi, consiste piuttosto nel fatto che l'oggetto dalla generosità del
Villani, prospettato come «dramma», non fu tale né ebbe autore. Essendo allora i registi sconosciuti, l'ideazione della serata era probabilmente un omaggio
di ex alunni alla memoria del loro Maestro. Forse, trattandosi di serata di onore
ed affollatissima, fu uno di quei saggi, scolastici o quasi, in concomitanza con
l'epoca, e nei quali i giovani erano soliti dare prova di avere appreso pietà
edificante, bellissimo modo di gesticolare, e notevole massa di esercizi
mnemonici.
Il dramma dunque sfuma ai nostri occhi irrimediabilmente, in tonalità
fatali di nebbia. Il guaio è che anche il protagonista ideale è rimasto, più o
meno a lungo, soffocato dal silenzio, se si eccettua una risonanza immediata fra
i concittadini; i quali, a loro onore, lo apprezzarono malgrado la scostante
freddezza. La fama sarà andata ancora piú in là, fino a Napoli per un verso, ed
a Nord per l'altro; pure nel senso pieno del termine, anche oggi, quella fama
include un problema: cosa sarebbe riuscito il Rosati una volta attinta l'area
superiore della comunicazione scientifica? Sarebbe stato davvero Newton in
Puglia? Forse sì!
Il dubbio perseguita, si direbbe, dopo la morte, una esistenza già
impastata di punti oscuri. Mano a mano che Giuseppe Rosati si scioglie
dall'involucro del travestimento secolare, egli si rivela sequenza costante di
antinomie sulla ricorrente tonalità umana (ed inconfondibile) della malinconia.
Non so come lo raffigurarono sul palcoscenico quella sera. Era morto
senza lasciare diretta famiglia, ma saranno stati in vita nel 1828, gli amici che
intimamente lo avevano conosciuto; come Don Michele Cinquepalmi o D.
Giuseppe
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De Chiara, i quali si erano interessati di farne stampare gl'inediti e dovevano
spesso raccontare di lui, come riportava Francesco Rio nelle pagine del dizionario di Carlo Villani.
Lo avranno essi raffigurato proprio qual era, quale cioè noi non credo
sappiamo tanto chiaro. Non aveva certo il volto spianato di giovane insaccato
in gilé bianco impeccabile - lui ch’era solito andare in giro trasandato! - del
quadro e del busto rimasti a memoria nel Museo della sua terra; o con la
fisionomia serena che campeggia in un medaglione di marmo, sormontato dal
simbolo dell'Infinito (il serpente che si morde la coda) ove la parola Daunia
s'inserisce al compasso pitagorico, sul mausoleo classicheggiante erettogli nel
Duomo. Non senza ombre doveva essere certo la fronte di lui, quando morì,
tormentata da più mali e dopo ripetuti tagli del chirurgo, ed ancora con la
qualità tragica di paziente e medico in contemporaneo soffrire. L'arte dei
posteri si è temperata con l'idealizzazione.
A teatro la cosa era però diversa. Lo avranno fatto riprodurre
scenicamente dal filodrammatico, il più dinoccolato che si era riusciti di
scovare; quello specializzato per le apparizioni dei fantasmi, e per di più
ammantellato fino a terra, con una delle «robe» degli uomini di scienza e di
legge del Medioevo. Qualcosa di strano in conclusione: una figura intinta, ma
appena, nel corrosivo della misantropia, perché è chiaro, in vita sapeva farsi
intorno il vuoto, senza riuscire antipatico. Era soltanto un poco strano, ma
sapeva moltissime cose ed insieme il metodo d'invogliare gente e scolari, ad
apprenderle. Non andava mai ad un ricevimento probabilmente perché non si
arrischiava a dire frasi di spirito e d'altra parte era convinto che, tenendo là ì
propri discorsi abituali, avrebbe annoiato le belle signore. A proposito: sembra
che non le potesse vedere, considerato che mai guardò in faccia le donne, né
intese sposarsi. Non si capisce che qualche biografo abbia di lui registrato
perfino un saggio sul divorzio. Come possa accettare o respingere la soluzione
di un dramma, chi del dramma non è stato mai attore, è ancora oggi il mistero
delle pretensioni di alcuni autorevoli teorici. Resterebbe però, l'attribuzione di
quell'opera, un omaggio al principio che il Rosati doveva per forza sapere
tutto.
Così a prima vista, in realtà, come avverte l'autore stesso, « io, che sono
limitato nelle cose mie, mi restringerò a tessere piuttosto la storia del divorzio,
che a formarne un trattato ». Storia peraltro ha saputo scrivere, documentata e
convincente, la quale raccoglie le istituzioni e i costumi degli Ebrei, dei Greci,
dei Romani e dell'Occidente dopo la caduta dell'Impero, intuendo anche le
ragioni economiche della maggiore o minore stabilizzazione dei vincoli.
Affrontati inoltre i problemi tutt'ora aperti della esegesi evangelica sull'argomento, il Rosati esamina i pareri dottrinali ed ecclesiastici, tanto diversi al
di qua e al di là del X secolo, e sottilmente si ferma con l'esporre la laboriosa
discussione effettuata in seno al Concilio Tridentino. Il tono, sereno e
chiarissimo, intende certo sciogliere i dubbi e le riserve, e vuole infine conciliare
le vedute tipicamente tradizionali con la storia della umanità, sul fondo di una
mediazione, libera e critica, espressa dai fatti e dal buonsenso. Ma egli - di
persona - non meditò probabilmente mai né vincoli né soluzioni; aveva sposato
la scienza e gli bastava, ed aveva per di più tante creature fra le quali sognare,
come le sue carte geografiche, e tante amicizie quante erano le branche dello
scibile a lui note, cioè molte ed importanti. Lui, che, come Kant a Kënisberg,
da Foggia non si era mai mosso, simile a quell'altro saggio
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della solitudine, sapeva meravigliosamente viaggiare, e condurre gli altri sulla
propria scia, in tutti i paesi del mondo.
Praticava l'amicizia e per una comprensibile evoluzione, il concetto doveva finire per allargarsi e riempire di pratico umanesimo il suo scetticismo su
tutte le teorie. La sola realtà, scriveva il Rosati medico, è il dolore fisico, la sola
opera valida da vivere, lo sforzo per alleviarlo. Come il suo lontanissimo
maestro Epicuro, cui non erano valse le passeggiate in giardino, era egli una
vittima della vita sedentaria; forse anche nel sistema nervoso, e qui si
spiegherebbe la freddezza verso chiunque, attutita solo da una inconfessata e
quasi pudica filantropia, la quale, insieme al gusto di conoscenza, senza prigionia
di specializzazioni, lo ricongiunge e quasi lo riconcilia, con il suo secolo; insieme
alla limpida serenità «utilitarista» che, contro gli slanci sentimentali e retorici,
dichiara la cultura avere un valore in quanto fa del bene agli uomini.
Il personaggio dal «lungo mantello» vampirico si è trasfigurato facilmente ormai nel volto accademico della razionalissima sepoltura ove fu messo a
giacere un povero corpo provato in tutti i modi dal Fato - più se si pensi che
quel cervello aveva studiato per aiutare gli altri - dopo che l'astrale ebbe accolto
un sistema nervoso sostenuto ormai solo dalla rassegnazione. La stanchezza gli
faceva accettare la conclusione amara della parte già recitata a fondo sulle scene
della vita, ed egli questa volta era in carne ed ossa il protagonista. La riflessione,
lo studio, la comunicazione mentale con la gente, lo aveva ripagato - nel silenzio
di una casa che alcuni biografi vogliono vedere povera come la soffitta di
Colline, e invece sembra essere stata in seguito -postuma « personale » - una
sequela di stanzoni semiopachi e quasi da tregenda, nella vigna Rosati, sulla
strada di Porta Napoli - di quanto la vita non gli aveva concesso e cioè farsi
avanti, rompere l'aria della provincia e tentare altrove la fortuna. Naturalmente
anche qui la carità dei biografi ha bisogno di mantenere inalterati i clichés
catonici, e parlano di un (esagerato) attaccamento alla patria (che per la verità
resta fuori posto, ove alla terra natia piú utili si possa essere, giostrando in alto
ed in arengo di maggiore soddisfazione).
La fantasia non dovrebbe mettere il punto e dichiarare esaurita quella
lontana serata d'inverno. Ma la rappresentazione sarebbe troppo presto
conclusa, mentre la originalità di Giuseppe Rosati sta proprio in una tonalità
degna di drammaturgo e di regista moderno: sapere trarre cioè l'aneddotica dalla
malinconia.
L'aneddotica per la verità è un poco la riserva degl'ignorati. Si direbbe
un passaggio interno del subcosciente collettivo: là dove violenza di cose o indifferenza di uomini, o tristizia di tempi, hanno tappato i varchi della conoscenza quotidiana, tesaurizzare almeno le note curiose. La storia di G. R. è infatti
molto più semplice del pesante epitaffio del canonico Ciampitti degli accademici Ercolanesi. Molto più semplice comunque di quella vita intessuta a
tesi, secondo il più antipatico dei generi della patria letteratura, dal forbito
elogista Serafino Gatti.
Domandiamoci per esempio: ebbe il Rosati, una idea politica? Il suo
vero significato (scientifico ed insieme operante) risiede forse nella presidenza
della Società Economica ossia nella partecipazione al risveglio napoleonico. Ma
pure se ha lasciato l'impressione di non credere in niente e in nessuno, non si
può
27
dire abbia mai perduto la fiducia nel « ben fare », la religione di Tom Payne.
Come avrebbe potuto dimenticare la discendenza materna da Pietro Giannone,
apostolo dei Lumi? Per il resto, il Rosati «elogiato» era il migliore degli scolari
possibili, nella più sterminata possibile erudizione, nelle migliori delle scuole
possibili, non solo per «dottrina» e «zelo» di chi guidava lo «stabilimento» ma
addirittura per «emulazione» che «ardeva» nel petto di alunni «elettrizzati». Il
Gatti, seguendo il prefabbricato schema letterario, non si accorge naturalmente
come in quel mondo edenico non abbia più posto qualsiasi definizione
comparativa, e parla del giovane Rosati « amico della solitudine » contro «
fanciulleschi trastulli ». Ma dove si trovava tempo ai giochi se erano tutti
sgobboni? In realtà quei giovani tanto valorosi « ripetevano a stento il suono
materiale » dell'Italiano, del Latino, del Greco imparato « in ispida farragine di
minuzie grammaticali », mentre Rosati solo « ne gustava le bellezze »; anche
perché oltre tutto era superiore ai maestri medesimi (« non so quanto valessero
» dice il Gatti), finché non divenne, passando dal Seminario di Troia alla
Università di Napoli, e fu finalmente, il « maestro di quei che sapevano ».
Unica nota discorde, la riserva - solo letteraria, altra non sarebbe stata
possibile - sulla non completa « purezza » della lingua usata dal Rosati. Si trattò
di « negligenza », perché scriveva di getto, lasciandosi « trasportare dalla
corrente delle sue idee ». E’ questa tonalità romantica, e certo un poco nuova,
che spezza la cristallina tradizione di freddo addensata intorno a lui. Spunto
interessante di psicologica contraddizione forse anche se si pensa alla
espressione calda, operante, arguta, alla comunicativa felice che gl'ispirava
lezioni piacevoli e briose, essendo il Rosati sulla cattedra, il contrario di quanto
si potesse pensare (né burbero né pedante). Siamo rientrati nella penetrazione
delle aneddotiche fisionomie.
Medico, visitava volentieri i poveri, dai signori non andava: variante del
victorhughiano Cimurdain il quale, dopo avere salvato la vita a un disgraziato, a
chi gli diceva - poiché allora era ancora prete - che se l'avesse fatto al Re,
sarebbe divenuto almeno cardinale, rispose di no, con tutta la fierezza della
futura Rivoluzione. Eppure, se si leggono le pagine sull'agricoltura, si resta
colpiti non tanto dalla difesa del latifondo in termini di teoria economica
(accettabile o meno a secondo dei punti di vista), quanto dall'affermazione del
valore decisivo della potenza della classe tradizionale: « La protezione dei
grandi - riporta con interessante ricostruzione il Papa - il volere che si determina
e si risveglia coi premi e colle onorificenze, che sembra l'unica molla, onde la
nostra volontà dispone a superare le più difficili imprese». Il Rosati esercitava
tale difesa in un'epoca ove la fine della manomorta ecclesiastica aveva salvato la
economia francese ed europea con il sorgere delle piccole e medie proprietà, e
per esse sì può aggiungere, la borghesia si fon dava alla ribalta politica, ed era
l'anima della Società Economica ch'egli presiedeva. Inoltre, in contemporaneo
sviluppo, aveva scritto di tenere presente « la storia dei progressi fatti dalle altre
nazioni ». L'autore, uomo dell'inizio dell'Ottocento, di quell'età sembrava non
molto prevedere. Aveva comunque un concetto poco ottimista della natura
umana, pure essendo uscito dalla cultura dell'Illuminismo. In ogni caso, scrive il
Villani, le sue abitudini erano diversamente « definite, giungendo taluno a
ritenere derivanti da massimo orgoglio e da disprezzo verso i grandi e i
potenti». Quando si trattò di osse28
quiare Maria Carolina e Acton (l'episodio è evidentemente uno solo con varianti occasionali) - il Rosati dichiarò che non si recava a trovare persone per le
quali sarebbe stato costretto a togliersi il cappello. Aveva del resto qualche
buona ragione per dire cosí, se, concorrendo alla Cattedra di una Scuola
militare, si era visto posporre, non ad un militare certo (si trattava dei Borboni),
ma ad un frate con meriti integrati dalla raccomandazione di Maria Teresa.
Tutta la vita di G. R. sembra essere stata decisa da quel disgraziato avvenimento. Non si capisce come il posto di una scuola napoletana tanto peso rivestisse
per un uomo che navigava nell'area della cultura europea.
Con Maria Carolina, con Acton o Mack che sia stato, siamo passati dalla
psicologia all'aneddoto, e questo è forse di per sé una conclusione. Ma si tratta
di un'aneddotica triste la quale, per tale propria tristezza, può assurgere a
fisionomia di documento. I potenti non sdegnavano di onorare gl'ingegni, ma
con il peso morale del mecenatismo. Onde il «cinico vero e mordacissimo» non
si rassegnava. Certo è, come narra Antonio da Rignano, che il Mack - ospite,
eletto interprete anzi, della reazione europea nel Regno -era andato a trovare il
solitario studioso, e Don Matteo Del Sordo di Sansevero, accennando col
bastone alle carte geografiche, premette e sfondò chi sa quale città o punto
cardinale. Il cartografo non seppe perdonare e quando, in una serata a teatro,
l'archibugio di un soldato - ma andavano allo spettacolo con le armi cariche? cadde dalla spalla del proprietario e sparò da solo, colpendo un orpello
inaspettatamente proiettato sull'occhio del sullodato Don Matteo, il Rosati ebbe
a dire che giustizia finalmente gli era stata resa. Proprio vero che «in Foggia
aveva sì gran fama di letterato e di filosofo, ma di strano un cotal poco» .
A proposito: fu il Rosati filosofo? Non nel senso tecnico del termine.
Direi anzi che la ostentata antiteoretica indifferenza finisce per impedirgli di
penetrare la validità della ricerca sulla problematica dell'uomo e del mondo. Ma
«il metodo sperimentale egli applicava a tutti i suoi studi» dice giustamente il
Papa ed il sapere, affermava egli stesso, è «lo studio delle scienze naturali», onde
necessario resta compiere «i nostri propri esperimenti».
Eppure aveva scritto di Pitagora che tutta la sua partecipazione alla scienza della salute era stata colluvie di «stravaganze», fondandosi sulle tradizionali
memorie dei giorni fasti e nefasti, pari e dispari, ossia sulle popolari credenze
od informazioni di seconda mano, senza passare oltre la vernice folcloristica del
problema del rapporto tra le influenze psichiche e naturali e la tonalità
dell'organismo. Quelle distinzioni di temporalità positive e negative
equivalevano al tracciato dialettico dell'universo ed all'analoga possibilità di
reazioni nel soggetto umano, ma il Rosati preferisce risolvere l'intera dottrina
degl'Italiani nella «ignoranza di quella stessa scienza, che pretendeva professare».
Quel mancato scorgere, per il pregiudizio antiteoretico, la correlazione
vitale tra l'individuo e la natura (praticamente la validità dell'Umanesimo), ispira
in mezzo alla generale stroncatura di ogni medica teoria - più che mai originale
perché scritta da un medico dì valore - e la definizione per esempio di
Paracelso (un invasato) e del suo sistema (« mostruoso »). Di lui anzi meglio
sarebbe non parlarne. Ma sempre è qualcosa, se si vuole, proprio dello spirito
beffardo del Bombast, quando attraversava un campo di feriti recando il
diavolo Azot nel pomo della spada, ossia più semplicemente serbando qual29
che fiala di anestetico per i sofferenti. Oltre la polemica, viveva l'umanità ed il
Rosati, reggendosi appena, usciva lo stesso a visitare i propri malati.
Una intuizione resta interessante, ed emerge dal modo in cui interpreta
Empedocle di cui ha appreso la visione misterica (catartica) della vita, propria
della scuola crotoniate (« discepolo di Pitagora », cosa che in termini puramente
storici non era). La stessa validità filosofica si riscontrerebbe nell'idea del
contatto tra la medicina e la filosofia o almeno tra la scienza e la cultura.
Nel 1797 si era celebrato il matrimonio di Francesco duca di Calabria
con Maria Clementina d'Austria. Il Rosati non si presentò a salutare Maria
Carolina; le mandò però in dono - omaggio alla femminilità e regalità a prima
vista - un ventaglio adorno di figure ed ornati a punta di penna. La Regina gli
offri gratitudine, n'ebbe un rifiuto e prese la cosa male. Ma forse aveva già letto
tra le stecche del ventaglio una piccola vendetta per il posto soffiato dal regale
imprevedibile capriccio. Il professore mancato, quando ebbe notizia di tanto
sdegno gentile, disse: « la gratitudine avrebbe dovuto dimostrarsi nella giustizia
», forse ripensando alla politica « illuminata » cui i Borboni non erano del tutto
sordi in qualche fase della loro storia. Linearità matematica perfino
nell'aneddoto, il quale finisce per assumere la qualità di maschera del vero!
Quella serata dunque contenne veramente l'antico seme di un dramma.
Ed ora che possiamo calare in pace il sipario, la figura dell'interprete rosatiano
si allontanerà, nella notte fonda del tempo, senza lumi a gas lungo le strade,
forse sotto la pioggia, in mezzo ad un'atmosfera d'invernale malinconia simile a
quella che aveva circondato nella vita, il suo stanco, intelligente, sottile
protagonista: conoscitore degli uomini, dei morbi, delle terre nostre e delle
esotiche, delle forze della natura, dei rapporti matematici, della battaglia contro
la sofferenza, non sempre di se stesso forse ed « autontimorumenos » infine che
non coordinò l'opera sua né si curò di salvarla dalla polvere. Era l'Enciclopedico senza enciclopedia.
CARLO GENTILE
Prof. CARLO GENTILE, docente di Storia e Filosofia nel Liceo Ginnasio statale
«Vincenzo Lanza» di Foggia.
30
Documenti su Giuseppe Rosati
nell'Archivio di Stato di Foggia
L'Archivio della Dogana delle Pecore è notoriamente una fonte preziosa
per la storia economica della Puglia dei secoli XVI-XVIII. Non molti sanno,
però, che esso, scandagliato a dovere, può rivelarsi una vera miniera anche per
lo studioso di storia foggiana, intesa nella sua accezione più vasta.
E' nell'archivio doganale, infatti, che si possono leggere, fra l'altro, alcuni
documenti cui conviene attribuire il pregio assoluto di far conoscere un aspetto
inedito della vita professionale di Giuseppe Rosati, gloria di Foggia.
Nessun biografo ha mai fatto cenno del rapporto che intercorreva fra
Rosati e l'istituzione doganale: eppure questo ignorato rapporto ha un valore
preciso giacché significa il primo riconoscimento ufficiale delle preclare doti del
Nostro, già altra volta misconosciute o mortificate1. Esso, invece, emerge
pienamente dai documenti ora rivenuti che, pertanto, assumano molta
importanza nell'ambito delle testimonianze superstiti relative all'enciclopedico
foggiano.
I documenti in questione, racchiusi in pochi fascicoli, presentano un
Rosati collaboratore fisso del Presidente Governatore della Dogana nella scelta
e nomina dei nuovi regi agrimensori, esperto d'ufficio in tema di perizie cui sia
interessato il fisco o attinenti a controversie fra privati, e, infine, consulente
tecnico, ai cui lumi la Dogana si rivolge in caso di esame di progetti o di nuove
invenzioni.
Nel 1787 il Rosati indirizzava una supplica al Re con la quale, esponendo
con orgoglio consapevole le benemerenze acquistate con i suoi studi in materia
di agrimensura - aveva anche dato alle stampe un'opera apposita, molto utile
alla formazione di capaci tecnici -, chiedeva di essere nominato direttore del
corpo degli agrimensori di Puglia e di Abruzzo:
« S.R.M. - Signore. D. Giuseppe Rosati della Città di Foggia umiliato al Trono di
VM. la supplica, come in occasione, che la M.V. fece l'anno passato osservare la Puglia in
tuttociò che avesse potuto migliorarsi per l'Agricoltura, e Pastura2, fu spinto il supplicante ad
esaminare il metodo, di cui si servono gli Agrimensori della Regia Dogana per la misura. e
divisione de' terreni, sia per servigio di VM sia per questioni tra le parti, e ritrovò il
supplicante, che
1 Mi riferisco all'episodio citato da BENEDETTO BIAGI in Profili.di scienziati,
Foggia 1930, pp., 23-24. Si vedano anche: SERAFINO GATTI, Elogio storico di Giuseppe
Rosati, Napoli 1815, p. 14 e FERDINANDO VILLANI, La nuova Arpi, Salerno 1876, p.
280.
2 Il Rosati allude alle operazioni di accertamento condotte dal regio incaricato Luigi
Targioni, che furono di base per la prima parziale censuazione dei terreni fiscali di Puglia.
Cfr. il mio lavoro Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia (1789-1865), Roma 1964,
pp. 14-15.
31
detto metodo sia singolare in Europa, ed il più sicuro; a meno che di poche pratiche erronee,
che sogliono essere la conseguenza di un'arte esercitata senza principi. Concepì dunque il
supplicante il disegno di non solo correggere il disordine, ma di formare una compita ed esatta
Istituzione agrimensoria, e questa poi pubblicata colle stampe gli è servita felicemente a formare
degli abili Agrimensori3. La pubblicazione di quest'opera, e l'uso della medesima pone nella
sicurezza, e rettitudine gl'interessi della M.V. e de' particolari, ed in questa maniera il
supplicante si trova di aver fatta una cosa utile ed interessante per tuttociò che riguarda i
territori della M.V. Ora siccome gli Agrimensori di Puglia, e di Abruzzo formano un
corpo4, i di cui individui, mercé previa approvazione della Regia Dogana di Foggia, esercitano
il di loro impiego, così questo corpo non ha alcun capo direttore, che nelle dispute possa
esaminare o diriggere le questioni, i dubbi, e molte volte gli errori, che si commettono, per cui il
Fisco, o le parti si trovano inviluppati in litigi. Il capo de' Tavolari del Sacro Consiglio ne
somministra l'esempio nel Primario, che si trova stabilito5. Questa direzione sull'Agrimensura
di Puglia, e di Abruzzo è ben degna della M.V. per cui il supplicante fidandosi alle sue
fatiche per la pubblicazione della sua opera, che per la invenzione de' precetti e delle regole può
dirsi l'unica in Europa, e per le istruzioni finoggi date a' giovani, che s'impiegano pel vostro
Real servigio, perciò ricorre alla M.V. e la supplica compiacersi ordinare, che sia esso
supplicante eletto Direttore degli Agrimensori Pugliesì ed Abruzzesi, acciò nelle dispute possa
egli rivedere, diriggere, ed esaminare le cose, con tutte quelle facoltà, che debbano competere a tal
carica a norma di quelle, che tiene il Primario del Sacro Consiglio. Tanto spera dalla
clemenza della M.V. e l'avrà a grazia ut Deus.
3 Si tratta degli Elementi di Agrimensura che il Rosati aveva fatto pubblicare a Napoli,
per i tipi del Raimondi nel 1787, e che in seguito, nel 1802 e nel 1813, saranno ristampati
rispettivamente presso Angelo Coda e Gennaro Reale, e tradotti anche in francese. Si
vedano al riguardo: GATTI, op. cit., pp. 54-57; BIAGI, op. cit., pp. 28-29 e 32; VILLANI,
op. cit., pp. 290-291.
4 Secondo la prescrizione dei capitoli del 1574 del Cardinale Granvela, Viceré del
Regno, solo i regi agrimensori potevano eseguire i compassi dei territori doganali. Gli
agrimensori divenivano regi o doganali sostenendo un esame davanti a due regi
compassatori della Dogana, scelti dal Presidente Governatore. L'esito favorevole della
prova portava alla concessione della patente di regio agrimensore, cui erano connessi
notevoli privilegi, come quelli del foro speciale della Dogana e dell'esenzione da gabelle.
Cfr.: ARCHIVIO DI STATO Di FOGGIA, Dogana, serie I, vol. 1 (per i capitoli del
Granvela); fasci 337-339, incarti 11973-12150.
5 Il Sacro Regio Consiglio, istituto nel 1442 da Alfonso I d'Aragona, era un
organo giudiziario presieduto dal Sovrano, con caratteri di tribunale d'appello, al principio,
e poi anche, di prima istanza. Ne facevano parte, oltre ai Presidenti, al segretario, al
suggellatore, ai mastrodatti, agli scrivani e dagli esaminatori, anche un Primario e nove
Tavolari. Questi ultimi avevano il compito di determinare il prezzo delle cose immobili; di
descrivere e misurare fondi, di farne piante in caso di bisogno e di stendere relazioni
tecniche. La revisione dei loro operato era incombenza del Primario.
Vedasi: LUIGI MANNELLA, L'Archivista o Cronologia, classificazione e nomenclatura
degli atti delle Pubbliche Amministrazioni, Bari 1887, pp. 187-193.
32
FOGGIA A GIUSEPPE ROSATI
Monumento sepolcrale nel Duomo normanno
Giuseppe Rosati supplica come sopra ».
Con reale dispaccio del 1 ottobre dello stesso anno Ferdinando
Corradini, Direttore del Supremo Consiglio delle Finanze, trasmetteva la
supplica al Presidente Governatore della Dogana Nilo Malena, marchese di
Carfizzi, perché desse il suo parere. Il Malena, in data 20 ottobre, inviava il
richiesto parere con un rapporto favorevole e molto lusinghiero per il Rosati.
In esso si diceva, infatti, che « l'opera data alla luce da esso Rosati ha dato lume
all'agricoltura, e di quella si possono approfittare coloro, che vogliono applicarsici, essendosi
sviluppati con essa que' nodi, che prima erano molto intrigati; onde è di giovamento nommeno
agl'interessi reali, che delle parti, e chi si prenda la cura di leggerla, si avvisa di esser egli un
giovane fornito di tutta la buona cognizione matematica, alle quali si unisce la sua onoratezza,
e buon costume... » e, aggiungendosi « che in questa Città non vi sono ingegnieri e molto
meno ne' luoghi circonvicini, motivo per cui accadendo misure, e ricognizioni di stabili, ed
edilizi, deve questo Tribunale darne l'incarico ad inesperti muratori, o agrimensori, li qual
formano le loro perizie, dalle quali si accorda la revisione a due altri ugualmente inesperti, che
li primi », si concludeva, manifestandosi l'avviso che « se V.M. per Sua Real
Clemenza, e per ricompensare il merito del suddetto Rosati, volesse erigere una nuova carica
con quel carattere, che si benignerà darli, ed addossare ad essolui la cura, stimarei di ordinare,
che da oggi avanti non si spedissero dal Presidente Governatore, inteso l'Avvocato Fiscale,
come sinora si è praticato, precedente approvazione di altri agrimensori, patenti a persone, che
non portasse l'approvazione sua, e che le perizie tutte per cose fiscali, come per le controversie
tra le parti si dovessero rivedere in grado di gravame da esso lui sempre che non fusse alle parti
sospetto, tassandoseli per il suo incomodo un equo dritto per non essere le parti maggiomente
gravate ».
Pochi giorni dopo l'invio del suddetto rapporto, il 10 novembre, con
una tempestività significativa, giungeva da Napoli l'ordine reale che, attesi il
parere favorevole del Presidente Governatore della Dogana ed i suoi
suggerimenti, abilitava il Rosati a dare la sua approvazione vincolante in caso di
rilascio di patenti di agrimensori doganali ed a rivedere tutte le perizie,
riguardanti cose fiscali o riferentesi a private questioni 6.
Questo è quanto si ricava dal fascicolo 6591 della serie V della Dogana,
intitolato « Atti di ricorso a S.M. in nome di D. Giuseppantonio (!) Rosati ». Da molti
altri fascicoli7 risulta chiaramente che, modificato il sistema antico per la
concessione della patente di regio agrimensore, il Rosati, sovente qualificato
come Regio Esaminatore, si sostituì ad ogni altro nella valutazione della
preparazione tecnica
6 L'originale del dispaccio del 10 novembre 1787 è in: ARCHIVIO DI STATO DI
FOGGIA, Dogana, serie I, vol. 11, p. 173.
7 ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, Dogana, serie I, fasci 340-341, incarti
12158-12280.
33
dei candidati, e che conservò il relativo incarico fino all'ultimo anno dì vita
della Dogana, il 1806.
Da un altro fascicolo della serie V, avente il n. 5489 ed il titolo « Atti di
Real Dispaccio a ricorso dell'Architetto e Regio Agrimensore Antonio Ribatti, che ha fatto
alcuni progetti sullo sparo dello schioppo, ed altro », si profila la figura del Rosati
consulente della Dogana.
Il Ribatti di Corato nell'ottobre del 1797 faceva tenere al Sovrano una
supplica in cui affermava di aver trovato il modo di far recuperare all'Erario la
somma di ducati 10.000 e parlava di varie sue invenzioni. Egli scriveva
testualmente: « S.R.M. - Signore. L'Architetto e Regio Agrimensore Antonio Ribatti della
Città di Corato, Provincia di Bari, prostrato a piedi del Vostro Real Trono, con umili
suppliche espone, come non potendo il supplicante portarsi di persona in Napoli per penuria
della spesa a solo fine di avere la somma gloria di riferire colla viva voce alla M.V. di far
entrare all'Erario Regio circa docati diecimila al sicuro. perduti di spettanza Reale; essendo
ora tempo proprio di recuperarli; come ancora il medesimo supplicante conoscendo la molta
inclinazione del Principe Ereditario vostro -amato figlio alle nuove scoperte, le propone le sue
invenzioni, le quali porteranno onore al vostro floridissimo Regno, vantaggio alla M.V., ed
all'intiera società.
La prima riguarda un nuovo metodo aritmetico di calcolo abbreviato, e fin'ora
sconosciuto a professori di matematiche; questo farà il supplicante conoscere con prattiche
dimostrazioni avant'i più eccellenti professori di questa capitale. La seconda riguarda una
esatta puntatura delli cannoni, come ancora delli schioppi per colpire più facilmente al segno.
Prattica per quel che sappia il supplicante non ancora nota nell'arte della guerra. La terza
sarà l'invenzione d'una machina per tritorare grano, orzo, avena, ed altro con un solo animale
per lo sollecito disbrigo delle masserie della vostra Puglia, e per togliersi il grandissimo
dispendio, che oggi si porta. La quarta riguarda una machina per macinare le olive senza
macina di pietra, per disbrigo delli trappeti, anzi con farsi l'oglio nelle proprie case, ma di
altra buona qualità. Finalmente un'altro nuovo metodo da esattamente far misurare i campi,
siccome si può scorgere da un'orevole decreto che ottenne il supplicante dall'intiero Tribunale
della vostra Regia Dogana di Foggia; quale metodo servirà per istirpare dal vostro Regno
tutte le difettose, e false misure che si fanno da tutti i professori in grave danno delle parti.
Il supplicante per la scoperta, ed esperienza delle sopradette sue nuove invenzioni ha
impiegato molti anni, per la dimostrazione delle quali egli si rimette in tutto alla prattica,
volendo pratticamente quanto di sopra si è dato l'onore di esporre alla M.V. senza ricorrere
alle dimostrazioni teoretiche, le quali sono difficili a capirsi e mai introiscono sul fatto.
Impertanto supplica egli la M.V. ordinare al medesimo tutto quello, che le sembrerà proprio,
per far richiamare il supplicante in Napoli, e affinché non sia pregiudicato il Regio Tesoro a
ricuperare la suddetta somma di docati diecimila di sopra si è obligato; l'avrà a grazia ut
Deus.
34
Io Antonio Ribatti supplico come sopra ».
La Segreteria di Stato delle Finanze, con Reale dispaccio del 12 gennaio
1798, rimetteva l'istanza al Presidente Governatore della Dogana, Giuseppe
Gargani, incaricandolo di sentire il Ribatti e di accertare « cioché vi ha di positivo su
quanto espone aver escogitato ». Il Presidente Governatore si rivolse all'Ufficiale
Doganale in Corato, Felice Patroni De Griffi. perché informasse l'agrimensore
corantino. Questi fece sapere che si sarebbe portato a Foggia durante la prossima quaresima, ma nell'aprile seguente, non essendogli stato ciò possibile per
una sua infermità, scriveva al Presidente Governatore Gargani promettendogli
di conferirsi presso la Dogana quanto prima e gli faceva un rapporto delle sue
scoperte, includendone altre non menzionate nella supplica al Re inoltrata l'anno
precedente.
Il Gargani, avendogli poi il Ribatti « fatte le premure per la relazione », con
nota dell'8 maggio rimetteva a Rosati tutte le carte dell'Agrimensore, con il
carico di esaminarle, e, dopo aver sentito l'interessato, di riferire con parere.
Rosati adempiva il compito con sollecitudine ed il 16 maggio inviava in
Dogana la relazione.
La stessa si riporta qui di seguito interamente, a riprova della multiforme
competenza del suo autore:
« Ill.mo Sig. e Padrone sempre colendissimo.
Con venerato ordine degli 8 di maggio 1798 mi comanda V.S. Ill.ma, che in
adempimento di Real Dispaccio de' 12 di gennaro di questo istesso anno, ordinante, che si
esaminassero tutti i progetti umiliati a S.M. (che Dio sempre feliciti) dall'Architetto, e Regio
Agrimensore Antonio Ribatti della Città di Corato, avessi io esaminato il tutto, e riferito col
parere quello che si fosse ritrovato di vero, e di utile, secondo che promette il medesimo
ricorrente.
Per la sollecita esecuzione de' rispettabili ordini di V.S. Ill.ma, ho letto attentamente
tutte le progettate invenzioni del Ribatti, come altresì ho inteso il medesimo rìcorrente, il quale
con una facondia d'ingegno poco ordinaria promette niente di meno che dieci invenzioni nuove,
ovvero migliorazioni, da potersi adattare non solo alle scienze matematiche, ma bensi alle cose
meccaniche, ed anche diverse per la pratica militare, non che qualche altra per la Regia
Economia. La prima delle sue scoverte riguarda la esatta puntatura de' cannoni, e degli
schioppi. La seconda, una macchina per trebbiare il grano. La terza, una macchina per
macinare le ulive. La quarta, una macchina per pulire i porti. La quinta, un molino di nuova
specie. La sesta, l'esatto metodo di misurare i territori. La settima, è la pratica di fare in più
breve tempo le quattro operazioni dell'aritmetica. L'ottava scoverta consiste, che ne' territori di
compra, e vendita si debba fare il profilo de' terreni. La nona, è la conoscenza, che ha di far
entrare nel Regio Erario da' terreni di Puglia, e da' sali di Barletta un mezzo milione di
ducati all'anno, col patto però, che egli solo debba amministrare una si rispettabile azienda.
La decima scoverta finalmente consiste in alcune macchine da guerra, mercé le quali con pochi
soldati indubitatamente abbatterà l'inimico sia da lontano sia da vicino.
35
La varietà di tutte le innovazioni di questo novello Archimede, e la certezza dell'esito,
di cui è persuaso per le sue scoperte, gli hanno soffiato tanto coraggio, che il medesimo non che
paventare, che anzi richiede una pubblica adunanza accademica, composta di matematici,
architetti, geografi, tavolari, agrimensori e finanche di razionali, e nella quale si possano
mettere in veduta tutti gli esposti progetti. Si protesta però il matematico Ribatti, che in sì
fatta adunanza non si debba entrare in dimostrazioni teoretiche, ed astratte giacché con queste
speculazioni spinose egli non ci ha avuta mai amicizia. Intanto riflettendo costui, che molte di
queste invenzioni, per conoscerne il pregio, han bisogno di modelli, e di spesa, e perché questo
articolo non si uniforma alle sue presenti circostanze, perciò egli vuole che per ora si tralasciasse
l'esame della seconda, della terza, della quarta, della quinta, e della decima scoverta. Vuole
dippiù, che neppure si esaminasse la nona scoverta, giacché si riserba di comunicarne l'intrigo
secretamente a chi conviene. Quindi si ristringe solo per ora di manifestare le scoverte della
prima, della sesta, della settima, e della ottava invenzione, e le quali sono le seguenti.
La prima scoverta del ricorrente Ribatti si poggia sulla esatta puntatura degli
schioppi, e de' cannoni. A suo giudizio niuno ha saputo conoscere la vera linea di tiro. I più
famosi artiglieri sono un nulla in paragone della sua esattezza. In fatti si prenda in esempio
una canna da schioppo. Egli è sicuro, che il vano di questo strumento è di figura cilindrica, il
di cui asse prolungato in diretto rappresenta il cammin della palla. Ora egli è anche manifesto,
che la massa del ferro, che compone, e forma la canna è molto più crassa nella culatta, e meno
crassa nel suo orificio, che ne forma la bocca. Quindi egli ne deduce, che la linea esterna della
canna essendo sino all'orificio convergente coll'asse del cilindro del vano, necessariamente prolungandosi ambedue debbano toccare due punti diversi nell'ostacolo, ritrovandosi sempre il
punto del tiro più alto, ed il punto di mira più basso; per cui dirigendosi la mira ad occhio per
la linea convergente esterna, la palla non potrà mai finire al punto traguardato, ed in questo
modo non si è mai unita la linea di tiro colla linea di mira. Quindi conchiude lo scopritore di
questo difetto che per rettificare il tiro, ed esser sicuro del punto del colpo, egli è mestieri, che il
segno di mira, che si appone sull'orificio della canna, sia di tale altezza, che faccia essere
parallele tra di loro le due linee di tiro, e di mira.
Sebbene tutto questo così avvenisse, pur tuttavia il Ribatti con questa sua scoverta
pretende solo di rimediare a' giusti tiri, giacché poi negli sforzati, e lunghi tiri egli è persuaso,
che.la palla dovrà descrivere la parabola, la quale si burla di tutte le sue scoverte, e delle sue
invenzioni.
La seconda scoverta che egli espone all'attuale scrutinio consiste nel dare un metodo, col
quale si misurano i terreni esattamente. Nelle ordinarie misure di territori di affitto annale,
che eseguiscono i nostri compassatori, comeché si tratta di un prezzo di poca importanza, così i
medesimi trascurano nel di loro calcolo le frazioni di passo, che dia l'apertura del compasso, le
quali per verità non meritano
36
tanta attenzione per la di loro picciolezza. Il Ribatti all'incontro addossandosi il peso di una
scrupolosa esattezza, egli ha pensato, che le più minuti frazioni di misura debbano includersi
nel calcolo, per la ragione, che gl'interessi del nostro prossimo non debbano essere defraudati in
minima parte.
Tuttociò che in questo articolo asserisce il Ribatti egli è troppo vero, ma la sua
conclusione poi è falsa. Imperciocché costui è persuaso, che nelle misure de' terreni di compra, e
di vendita, e che sieno di gran valore, si eseguisca la stessa misura colla medesima
trascuraggine. La vera esattezza delle misure delle superficie de' terreni di compra, e di
vendita, non è ignota a' nostri compassatori, ma questi la praticano nella stessa proporzione
del valore de' territori.
La terza scoverta del Ribatti si versa sulla pratica esecuzione di alcune operazioni
aritmetiche. Uno dei problemi di questa scienza egli è di ridurre allo stesso denominatore molte
frazioni, le quali lo abbiano diverso. Egli è persuaso, che il sito metodo sia di lunga mano più
breve di quello, che si pratica ordinariamente da' computisti. Fa consistere il pregio di questa
sua invenzione nel risparmio del tempo, e nella novità della esecuzione; ma poi inavvedutamente
non ha distinto il vero merito di questa nuova sua pratica. Allora potrà dirsi breve. e pregevole
un metodo, ogni qual volta in tutte le operazioni del suo genere faccia sempre uso di una sola
regola universale, come è per appunto il metodo usato da tutti gli aritmetici. Il Ribatti
all'incontro usa regole diverse, a misura, che le frazioni crescono nelle cifre. Intanto la sua
scoverta aritmetica ella è anche pregevole tanto perché fa un risparmio di tempo, come altresì
somministra un nuovo mezzo, onde conoscere la esattezza di sì fatte operazioni.
Finalmente la quarta scoverta consiste nell'aver dimostrato, che nella compra, e vendita
de' territori di gran valore si debba solo calcolare la estensione della base, e non già quella della
superficie esterna. L'esterior faccia della Terra, come ognun sa, è irregolarmente gibba, per cui
la esterna superficie è sempre di maggior estensione della sua base piana, quantunque sieno
comprese ambedue tra' medesimi confini. Quindi egli conchiude, che nelle compre, e vendite,
poiché si determina l'intervallo tra un confine, ed un altro, perciò deve entrare nella misura la
sola estensione della base, e non già della superficie esteriore, comeché questa è sempre maggiore
della prima. Per far tutto questo, si deve usare, a suo giudizio, il metodo de' profili de' terreni.
Questa volta il matematico Ribatti è caduto involontariamente in un intrigo. Prima
ha litigato, che nella misura delle superficie de' terreni di compra, e di vendita si debba aver
conto delle più picciole frazioni, ed ora abbandona questa esterna superficie, e fissa la sua
attenzione alla sola base piana immaginaria. Non vi è dubbio alcuno, che la irregolare esterna
superficie sia maggiore della estensione della base piana, comprese amendue fra' medesimi
confini, specialmente trattandosi di territori montuosi, e di altura. Egli è anche chiaro altresì,
che tante linee rette parallele fra di loro, e perpendicolari
37
alla Terra occuperanno tanto spazio nel coprire la superficie esterna, quanto ne occupano nella
base; ma non per questo si dovrà conchiudere, che la estenzione della superficie esterna dovrà
calcolarsi secondo la estenzione della base; imperciocché essendo infatti la prima sempre
maggiore della seconda, presenterà sempre maggiore ampiezza à nostri usi di quella, che ne
potrebbe prestare la seconda. Dimostrano i Geometri, che se si abbia un Cono il di cui lato sia
uguale al Diametro dalla base, allora la superficie conica sarà doppia della superficie della
base. Quindi in un caso simile noi possiamo ottenere un uso, ed utile doppio della sola area
della base, per cui anche nelle vendite, e compre de' terreni montuosi, ed elevati si deve calcolare
la estenzione della esterna superficie, e non già quella della sola base immaginaria.
Queste sono per ora le scoverte dell'Architetto, e Regio Agrimensore Antonio Ribatti,
che egli ha voluto manifestare in sollievo delle Scienze, delle arti, e della pubblica Economia,
promettendo, che a suo tempo mostrerà le altre produzioni del suo felicissimo ingegno. E questo
è quanto da me si dovea riferire umilmente ad V. Ill.ma in discarico del mio dovere, ed in
adempimento de' suoi rispettabilissimi comandi, mentreché con piena stima ed ossequio mi do
l'onore di farle profondissima riverenza.
Foggia li 16 maggio 1798.
Di Vostra Signoria Illustrissima divotissimo obbligatissimo servo obbedientissimo
Giuseppe Rosati.
Illustrissimo Signor D. Giuseppe Gargani Presidente della Regia Camera, e
Governatore Generale della Dogana di Foggia ».
PASQUALE di CICCO
Dott. PASQUALE di CICCO, direttore dell'Archivio di Stato di Foggia.
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Frontespizio di « cartaceo » posseduto
dalla Biblioteca Provinciale di Foggia
Tavole disegnate dal Rosati per « Elementi della navigazione »
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BIBLIOTECHE DAUNE
La civica « Luigi Pascale » di Manfredonia
Inaugurazione della nuova sede
La manifestazione inaugurale della nuova sede, preceduta da un
manifesto del Sindaco alla Cittadinanza, si è svolta l'otto dicembre di questo
anno nel salone consiliare di Palazzo S. Domenico, innanzi a un folto pubblico
di invitati, tra i quali S. E. l'Arcivescovo sipontino, Mons. Andrea Cesarano, il
consigliere provinciale e presidente dell'Istituto Nazionale per le Case Popolari,
avv. Berardino Tizzani, il gen.le Raffaele Castriotta, presidente della Società di
Cultura « Michele Bellucci », il prof. Michele Melillo, dell'Università degli Studi
di Roma.
Per l'occasione aveva accettato di buon grado l'invito ad intervenire il
nuovo titolare della Direzione gen.le delle Accademie e Biblioteche e per la
Diffusione della cultura, gr. uff. dott. Nicola Mazzaracchio, giunto a
Manfredonia da Foggia, dove il giorno innanzi aveva avuto un proficuo
incontro con gli esponenti locali della cultura e della P.A. Erano in sua compagnia i dottori Carlo e Renzo Frattarolo e il dott. Maioli, tutti alti funzionari
del Ministero della P.I., il soprintendente bibliografico per la Puglia e la Lucania,
prof. Antonio Caterino, il provveditore agli studi di Foggia, dott. Raffaele
Ferrante, il direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia, prof. Angelo
Celuzza, l'assessore prof. Pasquale Ricciardelli, in rappresentanza
dell'Amministrazione Provinciale di Capitanata.
Il Sindaco, dottor Nicola Ferrara, che insieme con gli Assessori e
numerosi Consiglieri, aveva ricevuto i graditi ospiti, ha loro rivolto il cordiale e
grato saluto della Città. Egli ha ricordato che:
«L’attuale cerimonia può essere compresa tra le solennità civili del popolo di
Manfredonia, che dal manifesto fatto affiggere per l'occasione dalla Civica
Amministrazione, ha avuto notizia dell'avvenimento. Essa conclude una lunga
serie di tentativi fatti nel passato dal Comune, per soddisfare l'aspirazione
dell'intera Cittadinanza.
«Disporre di un luogo di incontri e di studio, per cultura generale e per
preparazione specifica era una esigenza cui non si poteva più derogare e per ciò
essa ha costituito un punto
99
programmatico importantissimo e la preoccupazione costante del nostro
Centro-Sinistra.
« La Biblioteca "Luigi Pascale" finalmente ha una degna sede e un personale
sufficiente: l'Amministrazione, nonostante le note difficoltà di bilancio, comuni a
tutto il Mezzogiorno, ha adempiuto la sua parte, creando in questo modo le
premesse per l'intervento governativo.
« Questo non si è fatto attendere, come dimostra la presenza dell'illustre
Direttore generale delle Accademie e Biblioteche, al quale, - nel ricordo di quanti
promossero e incrementarono l'istituzione tra mille difficoltà - col ringraziamento
affido il voto che, avvalendosi sempre dell'intervento centrale, questa civica
Amministrazione possa adempiere in pieno il mandato popolare, che comprende
anche e soprattutto la elevazione culturale cui ha diritto ed aspira la città sveva,
che ultimamente ha celebrato con dignità il settimo centenario della sua vita storica
».
Dopo il Sindaco, ha parlato il prof. Cristanziano Serricchio, assessore alla
P.I. presso il Comune di Manfredonia.
« E’ questa una data davvero memorabile per la storia della cultura a
Manfredonia, che vede finalmente riaprirsi al pubblico, dopo molti anni, la nostra
Biblioteca Comunale, intestata al nome di quel filantropo e illustratore di memorie
patrie che fu Luigi Pascale, che, insieme col giovane Mario Simone, salvò e raccolse
il primo fondo librario della biblioteca costituito con il residuo di 620 volumi e 6
incunabuli, provenienti dal soppresso Convento dei Frati Minori della Curia
Provincializia “S. Michele Arcangelo".
« Nel 1926 la Biblioteca e il Museo venivano alloggiati in due sale del
Palazzo Comunale, dove ebbero stentato sviluppo per mancanza di personale e di
locali idonei.
« Dall'aprile di quest'anno la Biblioteca è stata trasferita nella sede in via
Ten. Rosa. Non a caso, pertanto, è qui tra noi, in rappresentanza del Ministro
della Pubblica Istruzione, il direttore generale delle Accademie e Biblioteche, gr.
uff. dott. Nicola Mazzaracchio, i cui meriti verso la Scuola e la Cultura sono
assai ben noti, perché io li possa o li debba qui ricordare. Egli viene ad inaugurare
oggi la nostra Biblioteca, così come nel maggio del 1962 il prof. Bruno Molajoli,
direttore generale delle Antichità e Belle arti, venne a dare il via, col III Congresso
Archeologico, alle manifestazioni celebrative del VII Centenario della fondazione
di Manfredonia, con le quali si ponevano le premesse per la creazione nel nostro
Castello del Museo del Gargano Meridionale e della Zona Sipontina.
«Due istituzioni, Biblioteca e Museo, tenute a battesimo all'inizio e alla fine
delle celebrazioni storiche da due illustri rappresentanti del Governo e del mondo
della cultura.
100
« Non si poteva celebrare meglio, io credo, il centenario della fondazione sveva,
senza veder poste in termini di concretezza due grandi realizzazioni.
«In una così propizia circostanza mi sia consentito porgere a tutti il grato
saluto mio e di Manfredonia, e un grazie particolare al chiarissimo dott.
Mazzaracchio, che, accettando il nostro invito, ha dato il crisma della ufficialità
alla cerimonia odierna e l'alto consenso della Amministrazione centrale all'opera
da noi iniziata.
« La sua venuta resterà viva nella nostra memoria, perché essa è per noi il
segno della giusta strada intrapresa, la promessa di quell'aiuto, soprattutto
morale, che sarà di conforto alla nostra azione, e infine d'incitamento affettuoso di
un conterraneo, legato dal comune amore a questa terra di Puglia, così ricca di
ricordi svevi e di civiltà, che noi vogliamo vedere più prospera e civilmente
progredita.
« Un saluto e un ringraziamento cordiale desidero porgere a nome di questa
città, anche ai due fratelli Carlo e Renzo Frattarolo, nostri amati concittadini, al
dott. Maioli e al caro soprintendente, pro/. Antonio Caterino, al quale va il
merito di aver reso possibile, col suo consiglio e aiuto, il presente incontro, e infine
un cordiale benvenuto alle gentili signore, ospiti di Manfredonia.
« Un anno fa, in questa stessa sala, rappresentando l'Amministrazione
Centrale in una delle nostre ricorrenti manifestazioni culturali, il dott. Carlo
Frattarolo, pur lodando le nostre iniziative, constatava con animo accorato:
"Manca la Biblioteca, manca nelle sue strutture fondamentali e nelle sue linee
essenziali ritenute valide e idonee perché essa possa costituire un centro pulsante di
vita cittadina, perché possa essere istituto di formazione e di informazione, istituto
intorno al quale possa valorizzarsi la vita spirituale di Manfredonia".
«Noi abbiamo mantenuto l'impegno che prendemmo allora verso la
popolazione e verso di lui, impenitente innamorato di questa città. bella di luce e di
mare, ricca di monumenti insigni e di storia, dolce città cara al re Manfredi, che,
nelle notti di luna, "sceva cantanno sunette e canzune".
« Ora Manfredonia è tutta protesa verso la realizzazione di opere
indispensabili allo sviluppo economico e industriale che l'attende e per il quale la
cultura è il lievito e la base insopprimibile. Questa città, che annovera tre circoli
didattici, tre scuole medie e otto istituti medi superiori e varie centinaia di studenti
universitari, non poteva non dare l'atteso impulso a questa essenziale istituzione
culturale. A tal fine ci siamo adoperati per togliere la biblioteca alla polvere e
all'angustia dello spazio in cui pigramente e svogliatamente ha vissuto per vari
lunghi anni a vantaggio solo di alcuni isolati frequentatori, ignorata dalla comunità
e considerata come inutile ingombro da molti deviati verso altri interessi, per darle
ora il giusto posto che
101
le spetta in una società civile, per farla uscire alla luce, renderla accessibile a tutti,
adulti e ragazzi, studenti e contadini, artigiani e operai, per farle cioè vivere una
vita non tisica, ma continuamente potenziata, che le consenta di diventare al più
presto uno strumento efficace di informazione e di studio, di buon uso del tempo
libero e di formazione professionale, rivolta a vantaggio di tutta la Comunità.
«Per questo l'Amministrazione ha teso tutti i suoi sforzi per dotare la
Biblioteca di nuovi locali piú dignitosi e idonei, per provvedere, mediante l'opera di
un direttore incaricato, al riordinamento e alla catalogazione del materiale librario
di circa 7 mila volumi, ciò che ha permesso fra l'altro di individuare altri
incunabuli e cinquecentine, saliti complessivamente a 96. Il notevole incremento sul
bilancio comunale dei fondi per la Biblioteca, e i contributi disposti dalla Direzione
Generale, su segnalazioni della Soprintendenza Bibliografica, che si è rilevata
oltremodo sensibile e sollecita alle nostre istanze, hanno consentito l'acquisto di libri
moderni, con i quali si è inteso iniziare l'opera di aggiornamento della Biblioteca,
indispensabile per venire incontro alle varie e vaste esigenze della popolazione.
« Tutto questo è stato fatto, malgrado le enormi difficoltà economiche in cui si
dibatte il Comune, vincendo molti ostacoli, per assolvere ad un preciso impegno
verso la cittadinanza e la cultura, consapevoli della utilità di una simile istituzione.
Abbiamo così voluto porre le premesse per assicurare il potenziamento e lo sviluppo
costante della nostra Biblioteca, antica aspirazione di tanti concittadini, che questa
istituzione hanno vagheggiato e difeso, da Luigi Pascale a Michele Bellucci, da don
Silvestro Mastrobuoni a Mario Simone e a quanti altri, come noi, sono convinti
che le sorti della civiltà e della democrazia sono legate intimamente al maggiore
arricchimento spirituale e ad una maggiore conoscenza strumentale, che solo il libro
e, per esso, la cultura, possono promuovere negli individui come nelle masse.
« Certo molto resta ancora da fare perché la Biblioteca, arricchendosi di libri
adatti a tutti gli interessi e a tutti i livelli di cultura, possa servire i bisogni della
popolazione. Ma noi crediamo in questa Istituzione, come crediamo nei valori della
cultura e dello spirito, e siamo sicuri che non mancherà il valido aiuto della
Direzione Generale e della Soprintendenza, per eliminare le presenti
manchevolezze e attrezzare adeguatamente la Biblioteca in modo che essa sia non
solo eco del venerabile passato, ma testimonianza della molteplice pulsante vita che
oggi viviamo, segno della nobiltà dell'uomo, che nel sapere ritrova la base di ogni
vero e civile progresso».
Ha preso quindi la parola il prof. Caterino:
«Raffaello Franchini in un suo recentissimo saggio Teoria della previsione,
formula una considerazione che condividiamo
102
in pieno: " L'uomo è un essere che pensa al futuro; l'assillo di tutte le ore, di tutti i
giorni è costituito per lui dalla commisurazione più o meno esatta della distanza
che lo separa da eventi ipotizzati o reali, da scadenze cui deve far fronte ». Essa
risente della suggestione del mito di Prometeo che ha trovato sigillo nelle opere di
Esiodo e nella trilogia eschilea. Prometeo conosceva le cose future come le presenti e
sapeva che vano è tentare di resistere al corso della Necessità e del Fato; eppure
egli volle tentare la temeraria avventura mettendosi contro la Necessità e il Fato.
« La rivolta di Prometeo è il segno di una cultura che si sgancia dalle basi
tradizionali di ogni cultura arcaica e diviene il modello della civiltà
tecnico-scientifica dell'Occidente; sta a rappresentare l'esigenza di una previsione
progettante, che bussa ansiosamente alle porte del futuro per provvedere ai bisogni
del presente, in modo da sottrarre l'esistenza umana alla incertezza e alla
rischiosità di cui essa è fondamentalmente fatta. E non a caso Schubart ha parlato
di cultura europeo-prometeica e di uomo prometeico, ansioso ed anticipante, agli occhi del quale il mondo appare come caos da trasformare in un tutto organico,
ordinato, normato perché ne sia più agevole lo sfruttamento.
«E’, codesto, il discorso serio e carico di interessi che sta pronunziando la
società contemporanea, cui partecipano - come animatori e realizzatori - uomini di
dottrina educati al rigore della scienza e bibliotecari, che, non più legati agli schemi
e alle valutazioni del tempo che fu, ma inseriti nel clima fervido del nostro tempo,
conducono un'azione ben precisa e talvolta ardita per far aderire in maniera
concreta i loro istituti alla vasta gamma dei problemi della società moderna. Biblioteche e bibliotecari si sforzano di rendersi operanti sul piano sociale, politico,
economico, dottrinario e scientifico. In una parola, lavorano per dare risposte chiare
e concrete agli interrogativi della tematica nuova suggerita dal concetto della democrazia moderna.
«Noi viviamo in un tempo in cui tutti gli uomini vantano uguali diritti,
partecipano al governo della cosa pubblica o costituiscono l'opinione di base che,
influenzando i responsabili di governo, decide della pace e della guerra, della
giustizia e dell'ingiustizia. Viviamo, cioè, in un tempo in cui la forza di decisione e
di scelta risiede nel popolo. Orbene, tutto ciò richiede che le masse, messaggere di
pace e di guerra e depositarie di potere, si rendano conto dei grandi problemi che le
agitano. Non solo, ma è necessario che tutte le componenti della tematica nuova
testé accennata vengano a svilupparsi in maniera parallela. Se le scienze
progrediscono fino a disciogliere in mille elementi l'atomo che la nostra generazione
aveva appreso sui banchi di scuola essere indivisibile, non può non fare lo stesso
balzo in avanti il carattere, diciamo, morale-intellettuale dell'uomo. Al103
trimenti verrebbe a determinarsi uno squilibrio tra le componenti, che senza dubbio
trascinerebbe a conseguenze tragiche per l'umanità intera.
«La scienza, dunque, ci conduce verso orizzonti nuovi ed ha inaugurata l’èra
che abbiamo chiamata atomica e spaziale. Gli uomini già bussano alle porte della
luna non per chiederle come un dì Leopardi: "Che fai tu, luna in ciel? Dimmi che
fai silenziosa luna?” ma per strapparle segreti e sfruttarne le forze che per millenni
sono rimaste sconosciute. In tutto il mondo va crescendo il numero dei paesi
indipendenti e liberi. Ebbene, cosa succederebbe se l'uomo non fosse in grado di
ricevere con coscienza adulta, cioè in tensione di amore, in clima di comprensione e
in unione con Dio, di tutte le cose Creatore, i doni della natura e della libertà? E’
presto detto: da una parte, l'atomica potenziata nella sua forza esplosiva dal
sadismo degli uomini potrebbe ridurre il mondo intero ad un ammasso di ceneri;
dall'altra, l'esempio di popoli dilaniati da lotte fratricide è largamente dimostrativo
ed eloquente.
«Dunque, è indispensabile un incremento della pedagogia sociale, di massa, che,
integrando quella scolastica, rinnovi gli interessi intellettuali e sentimentali di vasta
risonanza nel mondo dello spirito e dell'azione volti alla disciplina del vivere nella
piena consapevolezza dei valori permanenti della vita.
« Ci rendiamo conto che il ruolo del maestro e quindi della Scuola è quello di
fornire quadri ben costruiti che il lavoro personale dovrà poi completare. E tale
lavoro non è solo ginnastica dell'intelligenza, ma acquista la fisionomia di ricerca
della verità; è perfezionamento della personalità umana. Sicché il cittadino di una
democrazia che voglia adempiere i suoi doveri verso la società di cui è membro ed
acquisire coscienza dei suoi diritti; che voglia, per dirla con John Stuart Mill, essere considerato non come una ricchezza ma destinatario stesso della ricchezza; che
intenda correre alla conquista della nuova frontiera deve sforzarsi di tenersi
informato di tutto per tutta la vita. E gli strumenti più adatti per farlo sono il
libro e la biblioteca, giacché il primo è un crocicchio di luoghi chiariti, la seconda
istituto di comprensione tra gli uomini di ogni colore e sotto tutte le latitudini.
«Come chiaramente si vede, le biblioteche occupano un posto importantissimo
nella vita della società moderna e sono chiamate a svolgere un ruolo di
insopprimibile, primaria necessità.
« Grandissimo è il numero degli uomini che sanno e sapranno in avvenire
leggere, poiché l'insegnamento non è più un privilegio di una classe o di un ceto, ma
è divenuto obbligatorio per tutti. Pochi ancora, però, sono quelli che possono
comprare i libri per completare la propria educazione morale ed intellettuale. Per
le masse, dunque, la sola possibilità è la Biblioteca pubblica, la quale rispondendo
al bisogno di istruzione
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PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE » DI MANFREDONIA
PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE »
Michele Bellucci (Manfredonia, 1849 - Roma, 1944).
Giurisperito, storiografo, musicista : ultima espressione locale dell'umanesimo
meridionale. Autore di innumerevoli contributi monografici, biografici e
bibliografici intorno a Siponto e Manfredonia e di musiche pregiate. queste e
quelli tuttora in gran parte inediti. Possedette una raccolta quasi completa di
pubblicazioni regionali, che intitolò « Biblioteca Dauna » (dispersa nel
bombardamento di Ariccia, ove era stata trasferita). Fu molto generoso di
consigli per la civica « Pascale », durante la sua formazione.
Luigi Pascale (Manfredonia, 1850-1940).
Già maestro elementare e per un trentennio segretario comunale di Manfredonia, ne riesumò il passato con quello della progenitrice Siponto,
pubblicando numerosi opuscoli di storia, di agiografia, di numismatica e un
vocabolarietto dialettale, tutti incentivi di ulteriori ricerche ed approfondimenti.
Ispettore onorario dei monumenti e scavi, concorse decisivamente alla
fondazione della civica biblioteca (poi intestata alla sua memoria), alla quale
donò raccolte di vasi e altro materiale archeologico, e una collezione di monete.
Don Silvestro Mastrobuoni (Cerreto Sannita, 1889 - Napoli, 1966).
Canonico teologo mitrato dei rev.mo Capitolo metropolitano sipontino,
dottore in utroque iure e lettere. Ispettore onorario bibliografico e alle antichità
e belle arti. Direttore onorario della « Pascale » e dell'annessa raccolta
archeologica. Continuatore degli studi sipontini, autore di numerose
pubblicazioni storiche e agiografiche su l'antica e la nuova Siponto. Promotore
con pochi sodali del Comitato pro-cultura e dell'Associazione dei professori,
che nel 1944 dettero impulso decisivo alla rigenerazione di Manfredonia,
investita dalla guerra.
Antonio Simone (Manfredonia, 1874 - Foggia, 1954).
Donatore alla « Pascale » di numerose pubblicazioni, compresa una raccolta
rara del periodico napoletano « Lucifero », nel 1944 riordinò generosamente la
suppellettile bibliografica e ne compilò l'inventario. Corrispondente di
quotidiani e settimanali, in lunghi anni sostenne le ragioni di difesa, di sviluppo e
di rinnovamento della Biblioteca.
LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE
Nel salone municipale il dott. Mazzaracchio conclude la manifestazione di
Palazzo S. Domenico
S.E. l’arcivescovo, mons. Cesarano, e il dott. Mazzaracchio all’ingresso della
Biblioteca
LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE
Lettori che non mancheranno mai
Aspetti della sala di consultazione
sollecitato dai progressi economici e scientifici, consentirà agli uomini di dilatare le
dimensioni del loro pensero, di coltivarsi, di avere cura della loro dignità in
armonia con il livello di vita innegabilmente migliorata sotto tutti i rapporti e gli
aspetti. D'altra parte, le macchine e la tecnica richiedono la qualificazione
dell'operaio, il quale deve pur saper rispondere alle esigenze del suo mestiere; e
l'agricoltura stessa che segue l'irreversibile processo della industrializzazione esige
dall'agricoltore e finanche dal contadino preparazione e competenza. E l'operaio,
l'agricoltore, il contadino, l'artigiano solo nella biblioteca trovano lo strumento della
loro indispensabile, adeguata istruzione.
« Una volta filosofi o poeti potevano dire: "Io sono un uomo e niente di ciò che
è umano mi è estraneo". Oggi tutti gli uomini devono poter pronunziare questa
frase, perché è la divisa dei tempi nuovi.
«A Taranto, città dei due mari, venti giorni or sono si dava un lieto
buongiorno alla prima meravigliosa colata d'acciaio, simbolo della tecnica moderna,
che, moltiplicandosi, è destinata a contribuire all'incremento della ricchezza
materiale della Nazione. Oggi qui, a Manfredonia, sbocco marittimo del Tavoliere
della Puglia, alla presenza del Direttore Generale delle Accademie e Biblioteche e
per la diffusione della Cultura comm. Mazzaracchio e di suoi autorevolissimi e
validi collaboratori, tra cui due figli di questa terra, di autorità religiose e politiche
e soprattutto di gran folla di popolo s'inaugura la nuova sede della biblioteca
comunale. La quale dopo alterne vicende nell'arco di oltre un cinquantennio ha
decisamente imboccato la via della resurrezione.
« Essa è conferma di un incontro felice, antico di secoli, tra il popolo di
Manfredonia e la cultura; testimonianza di fede nella vita operosa; proposito di
realizzazione nel campo del pensiero e dello spirito ».
Infine, il dott. Nicola Mazzaracchio, che con la sua presenza ha voluto
confermare l'attaccamento filiale alla sua Terra di Puglia e il suo interessamento
per i problemi del libro e della cultura in Italia, tra vivissimi applausi, ha così
espresso il sentimento e i propositi che lo avevano guidato e accompagnato in
questo suo primo incontro con la regione madre:
« Come direttore generale delle Accademie e delle Biblioteche sono lieto di
esprimere il mio piú vivo compiacimento per l'opera che la Civica Amministrazione
di Manfredonia, fervidamente assecondata nei suoi sforzi dalla Soprintendenza
Bibliografica per la Puglia e per la Lucania, ha ora condotto a termine, istituendo
questa pubblica Biblioteca, che inizia oggi la sua attività.
« Il mio sentimento di soddisfazione è tanto più intenso e vibrante in quanto il
nuovo Istituto, che inauguriamo, si apre
105
in questa città che è la patria di due valorosi e cari miei collaboratori, i fratelli
Carlo e Renzo Frattarolo, ed in questa nobile terra pugliese, cui io pure
appartengo ed alla quale, con cuore di figlio non immemore, auguro di poter a
grandi passi proseguire l'ascesa verso i nuovi e più alti traguardi del civile progresso
alla pari delle altre Regioni d'Italia.
«Di tale progresso la Biblioteca è certamente, insieme con la Scuola, uno dei
principali strumenti, perché essa è mezzo insostituibile per l'educazione e la
formazione democratica del cittadino, per la sua elevazione culturale e morale, per
il suo aggiornamento professionale e per il migliore impiego del suo tempo libero.
«Come la Scuola, la Biblioteca è necessaria per adeguare la società all'odierno
grandioso processo di sviluppo tecnico ed economico. Ma, sopra ogni altro
obbiettivo, essa deve mirare a tradurre il perfezionamento tecnico in forme ed in
termini di perfezionamento umano, che si concreta nel rispetto dei supremi valori
dello spirito, nella dignità e libertà della persona umana ed, infine, nell'autonoma
scelta dell'attività professionale, perché ognuno abbia eguali possibilità di mettere a
frutto i suoi particolari talenti, coltivare la propria particolare vocazione e divenire
un cittadino socialmente utile e attivo, cioè capace di dare un proprio personale
contributo al progresso dell'intera nazione.
« Così intesa, la Biblioteca si pone come uno degli istituti più importanti della
Comunità, la quale, in un periodo come l'attuale, dominato dal tecnicismo, dalla
meccanizzazione e dalla automazione, può essere salvata dal pericolo di un
deprecabile inaridimento spirituale e di un generale livellamento soltanto dai beni
della cultura e quindi dalla lettura e dall'amore del libro.
« Merita, dunque, amplissima lode l'iniziativa assunta dalla Amministrazione
civica di Manfredonia con l'inaugurazione della nuova Biblioteca, alla quale la mia
Direzione Generale non farà mancare la propria assistenza tecnica ed il proprio
contributo ftnanziario.
«Ma, di fronte ai limiti consentiti per questi interventi ministeriali dalle non
cospicue disponibilità del bilancio statale, va pur ricordato che il concorso del
Ministero ha una funzione meramente integrativa e non già sostitutiva degli oneri,
che ciascuna Amministrazione locale è tenuta ad assumersi per la vita della
propria biblioteca, in adempimento di un obbligo stabilito dal vigente ordinamento.
«D'altra parte, si può essere certi che quando i cittadini, frequentando la loro
biblioteca e trovandola accogliente ed aperta a soddisfare le loro esigenze
d'informazione e di cultura, avranno imparato ad apprezzare tutti i benefici che
possono trarne per l'arricchimento della propria personalità, non sarà più tanto
difficile richiedere alla collettività quei sacrifici, che
106
sono necessari per assicurare il fiorente sviluppo dell'Istituto in armonia col
progredire incessante del sapere scientifico e della conoscenza umana.
«Con la visione di queste alte finalità, mi è caro di salutare la rinascita della
Biblioteca Comunale di Manfredonia con l'auspicio latino: vivat, crescat,
floreat! ».
Dopo la cerimonia, svoltasi nel palazzo di Città, le autorità e tutti i
presenti si sono recati, per il taglio del nastro augurale, presso i nuovi locali della
Biblioteca, al primo piano di via Tenente Rosa n. 19.
E' stato da tutti verificato lo sforzo sostenuto per una decorosa
sistemazione della suppellettile bibliografica, cui ultimamente sono andati nuovi
incrementi, subito introitati e sistemati nei moderni e funzionali scaffali metallici.
Esso ha meritato l'apprezzamento dal Ministero della P. I., che ha completato
con altri scaffali e mobili diversi, indispensabili ai servizi (schedari metallici,
tavoli di lettura, poltroncine, scaffalatura metallica) ed ha fornito importanti
strumenti di studio e di consultazione (enciclopedia, intere collezioni librarie, periodici culturali, ecc ... ).
Nella rinata biblioteca « Luigi Pascale » di Manfredonia tutto, dunque,
sembra essere stato predisposto per il suo buon funzionamento, ma occorre
sottolineare che, essendo la biblioteca pubblica un istituto della democrazia, le
sue sorti sono affidate non soltanto alla sollecitudine e alla sensibilità delle
autorità preposte al governo della civica amministrazione, ma a tutti i cittadini, i
quali debbono amarla e frequentarla, considerandola uno strumento
indispensabile del civico progresso.
107
Chiosa per la pubblica libreria di Manfredonia
L'indugio di oltre un anno con il quale si pubblica questo fascicolo,
consente di aggiungere qualche linea alla cronaca che precede.
Sono trascorsi otto lustri da quando (1925) nell'archivio municipale di
Manfredonia, ove giaceva, affidato alle tarme e alla polvere burocratiche,
rinvenni il fondo monastico dell'O.F.M. e promossi, realizzandola con il vecchio
Luigi Pascale, la prima raccolta bibliografica cittadina « a porte aperte ». Otto
lustri di carenza dei poteri pubblici nell'associare la mente locale al progresso universale: un lento corrosivo scorrere del tempo sul problema di quella primordiale
civica libreria, sempre agitato, mai prima di oggi risolto.
Pietà di patria e prudenza politica hanno trattenuto gli odierni
amministratori della cosa pubblica sipontina e la stampa fiancheggiatrice dal
mortificare la Cittadinanza con la cronistoria di quell'Istituto, dalla quale
sarebbero emerse molte e non lievi responsabilità individuali e collettive.
Purtuttavia l'odierno insediamento sollecita un più disteso discorso, risalente alle
lontane premesse, e che può svolgersi senza ipocriti autolimiti. Siamo infatti
psicologicamente molto lontani dalla temperie in cui sono trascorsi i
quarant'anni della infelice creatura, che sembra sbocciata da un ardore giovanile
di mezza estate ma, come ogni altra istituzione civile, è prodotto di un lavorio
storico, non facilmente percettibile, meritevole di essere meglio conosciuto, per
un giudizio definitivo.
La nuova Manfredonia - alle cui sorti molti collaborano, sebbene non
tutti investiti di uffici e privilegi -, ha mostrato di voler criticamente ripensare ì
suoi sette secoli di fondazione, celebrandola nella fastica ricorrenza del 1963:
riprenda il filo delle rievocazioni, interrotte alla catarsi sveva, e, arrivando al
Settecento, raccolga i segni premonitori e poi, progredendo, anche le testimonianze più autorevoli della vita morale e dell'attività culturale cittadina; infine,
dalle pagine delle rivoluzioni meridionali ricavi gli auspici che, non del tutto
compressi dalla politica piemontese, sono stati raccolti dalle presenti
generazioni.
Delineare la fisionomia di questa biblioteca, e con lo stato anagrafico e
l'inventario inserirla nella cornice, la più ampia possibile, della locale storia della
cultura: ecco un'aspirazione e un invito che interpretano, ne siam certi, il sentimento del tempo tra il popolo sipontino.
Il trasferimento della modesta libreria dall'angusto deposito di Palazzo
San Domenico all'arioso primo piano di Palazzo Rosa, non fa passare agli atti
la pratica dell'Istituto. Ne derivano, invece, una serie di ulteriori soluzioni, che
non si esauriscono nell'incremento dell'attrezzatura metallica, né in quello della
suppellettile libraria. Resta in amara eredità all'assessore della P.I., preside
Cristanziano Serricchio, la liquidazione di un vistoso passivo costituito: a) dalla
mancanza di un piano razionale di lavoro, di una commissione consultiva e di
un biblio108
tecario di ruolo, deficit non alleviato nemmeno da « possibilità » del regolamento, che risale a molti anni or sono; b) dalla spesa inserita nel bilancio comunale,
tuttora esigua, ed appena sufficiente a stipendiare gli impiegati; c) dallo stato del
patrimonio bibliografico, in larghissima parte bisognevole di restauro e di
rilegature. Né molto a lungo, come ci autorizza a ritenere il suo zelo, egli vorrà
procrastinare lo svolgimento di quelle iniziative, che la ragione dei tempi nuovi
sollecita dalle biblioteche, rivolta a farle conoscere nella loro storia, consistenza,
organizzazione, funzionalità e a farle arricchire e potenziare, sì da renderle, più
che succursali di obitori, forze determinanti del buon governo locale.
MARIO SIMONE
NOTA BIBLIOGRAFICA - Per una storia a farsi del «travaglio biblioteconomico»
di Manfredonia, pubblico alcune tra le schede più recenti del repertorio bibliografico presso
il Centro di Cultura Popolare e Biblioteca «Antonio Simone» di quella Città: Trasferimento
della B. C. dì M., ne «Il Giornale d'Italia » (Roma) 8 dic. 1942; MARIO SIMONE, Per la B.
C. di M., in « Azione Meridionale » (Bari) 16 febbr. 1947; Si vorrebbe sfrattare la B. C. per
installarvi, niente di meno,, che i sindacati liberi, ne « L'Unità » (Roma) 17 apr. 1947; La B. C. di
M. relegata in una stanza di Palazzo S. Domenico, ne « Il Messaggero » (Roma) 7 mag. 1949;
A proposito di B. è severamente vietato criticare la Giunta Comunale, in « Avanti! » (Roma) 10
nov. 1950; Occorre sistemare la B. di M., ne « Il Quotidiano » (Roma) 20 nov. 1955;
ANTONIO CATERINO (a cura di), Servizio bibliografico in Puglia e Lucania, Bari, Tip.
Favia, s.d. [ma 1950], pp. 110-1; MATTEO DI SABATO, La B. C. di M. in una edizione
della Soprintendenza Bibliografica, ne «Il Mattino» (Napoli) 14 apr. 1961; [MARIO SIMONE], Eterni problemi di M. - La B. C. ha bisogno di tutto: attrezzatura, libri, schedari e
impiegati, ne « Il Mattino » (Napoli), 24 sett. 1961.
Dovere di cronista e di amico impone di ricordare l'apporto dato all'incremento e
alla conoscenza della Civica « Pascale » dai professori Beniamino d'Ama. to e Michele
Fuiano. Con il primo, soprintendente bibliografico di Puglia e Lucania subito dopo la «
Liberazione », don Mastrobuoni ed io demmo la prima spinta alla rinascita dell'Istituto,
confortati dalla presenza del concittadino e sodale dott. Carlo Frattarolo al M.ro della P. L;
all'altro, libero docente nell'Università di Napoli, dobbiamo la discussione di alcune tesi di
laurea sulle pubbliche biblioteche daune: una sulla « Pascale » di uno studente montanaro,
che non siamo riusciti a rintracciare («La storia della B. C. di Manfredonia e i suoi antichi e
interessanti volumi »); due sulla « Provinciale », altre sulle « Civiche » di Lucera, San Severo
e Torremaggiore.
109
INDICE GENERALE DELL'ANNATA 1964
A) PER AUTORI
ALTAMURA, Antonio. Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento. - 1-6, I,
p. 41-44.
BIBLIOTECHE DAUNE. La civica « Luigi Pascale » di Manfredonia.
Inaugurazione della nuova sede. - 1-6, II, p. 99; Serricchio, Cristianziano. 1-6, II, p. 100-102; Caterino, Antonio. - 1-6, II, p. 102-105;
Mazzaracchio, Nicola. - 1-6, II, p. 105-107.
CAMPO, Girolamo. Profilo economico di Manfredonia. - 1-6, I, p. 77-89.
CANDURA, Giovanni. Per un istituto di Genio Rurale in Foggia. - 1-6, I, p.
105-110.
CELUZZA, Angelo. La Capitanata alla «Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo Antico
al Rococò ». - 1-6, I, p. 91-93; Realtà, esigenze e prospettive della « Provinciale » di
Foggia. - 1-6, II, p. 1-14.
CERZA, Ermete. Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia: Presentazione. - 1-6, I, p. 95-96.
D. L. Concorso « Il Carciofo d'Oro ». - 1-6, I, p. 104.
Di CICCO, Pasquale. Documenti su Giuseppe Rosati nell'Archivio di Stato di Foggia. 1-6, II, p. 31-38.
Di FALCO, Marcello. Appunti per la redazione di un piano decennale per lo sviluppo di
Foggia. - 1-6, I, p. 111-124.
ELENCO dei manoscritti di Giuseppe Rosati posseduti dalla Biblioteca Provinciale di
Foggia. - 1-6, II, p. 39.
GENTILE, Carlo, L'Enciclopedico senza enciclopedia. - 1-6, II, p. 25-30.
« GIUSTIZIA NUOVA ». Le deformazioni dello Stato contemporaneo in una conferenza
di Michele Cifarelli. - 1-6, I, p. 103-104.
LUCERA. Approvato il bilancio di previsione. - 1-6, I, p. 147-148.
MANFREDONIA. Liberazione e scuole media: il Liceo scientifico « Galilei ». - 1-6, I,
p. 143.
« MASTRO » (IL). La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia. - 1-6, I, p. 125-127.
MELILLO, Michele. Come vivono e come parlano sul Gargano. 1-6, I, p. 45-63.
PICCONE, Gaetano. La figura, la vita e l'insegnamento di Rosati. - 1-6, II, p. 18-24.
SCARDACCIONE, Decio. Realtà e prospettive di sviluppo dell'agricoltura in
Capitanata. - 1-6, p. 39.
SCHEDARIO. Fondo « Regno di Napoli-Puglia-Capitanata » posseduto dalla Biblioteca
Provinciale di Foggia. - 1-6, II, p. 41-46; Nuove accessioni. - 1-6, p. 47-94;
Indice alfabetico per autori. - 1-6, II, p. 95-98.
110
SCIORTINO, Giuseppe. Arte contemporanea a Trinitapoli. - 1-6, pp. 89-90.
SIMONE, Mario. Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano. Premesse alle notazioni. - 1-6,
I, pp. 96-99; Il « Libro Rosso » della Città di Foggia. - 1-6, I, p. 100.
SOCCIO, Pasquale. L'anno di Galilei. Metodo e tempo. - 1-6, I, p. 1-6.
TAMBURRANO, Luigi. La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore. - 1-6, I, p.
65-76.
TARONNA, Mario. Questo splendido «Foggia » 1-6, p. 140,142.
TERENZIO, Vincenzo. Onoranze alla memoria di Nicola Zingarelli. - 1-6, I, p.
93-94.
TEDESCHI Giuseppe Antonio e Ermenegildo. Diario 1799-1829 di Ascoli
Satriano. -1-6, I, p. 95.99.
TIBOLLO, Attilio. Sul foggiano Giuseppe Rosati. Le onoranze di Foggia. - 1-6, II,
p. 15-17.
VANIA, Savino, Programma della nuova Giunta Provinciale. - 1-6, I, p. 129-139.
B) PER MATERIA
AGRICOLTURA. Capitanata. - 1-6, p. 7-39.
BIBLIOTECA PROVINCIALE FOGGIA. «Documenti e Monografie». 1-6, I, 95; Esigenze e prospettive. - 1-6, II, p. 1-14; Fondo «Regno di
Napoli-Puglia-Capitanata». Schede. - 1-6, II, p. 41-46; Lettura e prestiti,
1963-1964; Dati statistici. - 1-6, II, 9-14; Nuove accessioni. Schede. 1-6-II, p. 47.94.
CAPITANATA. Arte, sec. XI-XVIII. - 1-6, I, p. 91-93; Scritti di Tommaso
Fiore. -1-6, I, p. 65-75.
FIERA (XV) Di FOGGIA. - 1-6, p. 125-127.
FIORE TOMMASO e CAPITANATA. Studio critico-bibliografico. - 1-6, I, p.
65-75.
FOGGIA. Festa della Liberazione. - 1-6, I, p. 146-147; «Libro Rosso». - 1-6, I,
p. 100. Programmazione, «Piano Decennale di sviluppo». - 1-6, I, p.
111-124.
FONDO «Regno di Napoli: Puglia-Capitanata». Schede.
GALILEI, GALILEO. 1-6, I, p. 1-6.
GARGANO. Dialetti. 1-6, p. 45-63.
GERVASIO AGOSTINO. - 1-6, I, p. 41-44.
ISTITUTO UNIVERSITARIO Di GENIO RURALE. Foggia. - 1-6, I, p.
105-110.
« LIBRO ROSSO » DELLA CITTA, Di FOGGIA. - 1-6, I, p. 100.
LUCERA. Bilancio di previsione 1964. - 1-6, I, p. 147-148.
MANFREDONIA. Biblioteca Comunale «L. Pascale» inaugurazione nuova
sede. - 1-6, II, p. 99-107; Economia. - 1-6, p. 67; Scuole Medie. - 1-6, I,
p. 143.
« MOSTRA DELL'ARTE IN PUGLIA DAL TARDO ANTICO AL
ROCOCO’ ». BARI. Contributo della Capitanata. - 1-6, I, p. 91-93.
ROSATI GIUSEPPE. Centocinquantesimo anniversario della morte, onoranze.
- 1-6, II, p. 15-38; Bibliografia. - 1-6, II, p. 39-40.
SOCIETA’ DAUNA DI CULTURA. Riordinamento. - 1-6, I, p. 101-102.
SPORT. CALCIO. UNIONE SPORTIVA FOGGIA. Cronache e ricordi. 1-6, I, p. 140-142.
TRINITAPOLI. Concorso « Il Carciofo d'Oro ». - 1-6, I, p. 104; Mostra
d'Arte contemporanea. - 1-6, I, p. 89-90.
ZINGARELLI NICOLA. Onoranze, 1964. - 1-6, I, p. 93194.
la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
Direttore responsabile: dott. Angelo Celuzza, direttore ff. della Biblioteca Provinciale.
Direzione tecnica dello Studio Editoriale Dauno - Tipografia Laurenziana - Napoli.
Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963. Registrazione
presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150.
I
INDICE
ANGELO CELUZZA: Realtà, esigenze e prospettive della "Pro
vinciale" di Foggia (9 tabelle statistiche e 2 grafici) . .
PAG.1
SUL FOGGIANO GIUSEPPE ROSATI - Ricerche storico
bibliografiche nel CL della sua morte
ATTILIO TIBOLLO: Le onoranze di Foggia . . . . .
» 15
GAETANO PICCONE: La figura, la vita e l'insegnamento del
Rosati
» 18
CARLO GENTILE: L'enciclopedico senza enciclopedia .
» 25
PASQUALE DI CICCO: Documenti su Giuseppe Rosati nell'Ar
chivio di Stato di Foggia . . . . . . . .
» 31
Elenco dei manoscritti di Giuseppe Rosati posseduti dalla
Biblioteca Provinciale di Foggia . . . . . .
» 39
Scritti di e su Rosati . . . . . . . . . .
» 40
SCHEDARIO - 1) Fondo "Regno di Napoli-Puglia-Capitana
ta, posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia (con
tinuazione); 2) nuove accessioni (continuazione) .
» 41
BIBLIOTECHE DAUNE - La civica "Luigi Pascale" di
Manfredonia - Inaugurazione della nuova sede . . .
» 99
MARIO SIMONE: Chiosa per la pubblica Libreria di Manfredonia
» 108
ILLUSTRAZIONI
LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA: 1) Ufficio della Direzione; 2) Sala dei
cataloghi (tav. I) - IDEM: 1) Sala di consultazione « Angelo Fraccacreta »; 2)
Sala di lettura «Nicola Zingarelli » (tav. II) - IDEM: Lettori in sede (tav. III) Prestito a domicilio e con altre biblioteche (tav. IV) - FOGGIA A GIUSEPPE
ROSATI: Monumento sepolcrale nel Duomo normanno (tav. V) - Autografo
del Rosati posseduto dall'Archivio di Stato di Foggia (tav. VI) - Frontespizio di
« cartaceo » posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia (tav. VII) - Tavole
disegnate dal Rosati per « Elementi della navigazione » (tav. VIII) - PATRONI
DELLA CIVICA « PASCALE » DI MANFREDONIA: Michele Bellucci,
Luigi Pascale, Silvestro Mastrobuoni, Antonio Simone (tav. IX) - IDEM: Cenni
biografici dei predetti (tav. X) - LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA
SEDE: 1) Nel salone municipale il dott. Mazzaracchio conclude la
manifestazione di Palazzo S. Domenico; 2) S.E. l’Arcivescovo, mons. Cesarano,
e il dott. Mazzaracchio all’ingresso della Biblioteca (tav. XI) – 2) Aspetti della
sala di consultazione (tav. XII).

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