L`OSSERVATORE ROMANO

Transcript

L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004
Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVI n. 111 (47.246)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
.
Pubblicato nella domenica di Pentecoste il messaggio del Papa per la giornata mondiale che si celebra in ottobre
Strage di agenti nella città di Mukalla
Missione al femminile
Non c’è pace
per lo Yemen
E i cristiani sono invitati a riscoprire lo Spirito santo per non vivere più nella solitudine
La «considerevole e crescente
presenza femminile» nell’opera
di annuncio del Vangelo è stata sottolineata dal Papa nel
messaggio diffuso nella domenica di Pentecoste in preparazione alla giornata missionaria
mondiale 2016, che si celebrerà
il 23 ottobre. Collegandone il
tema («Chiesa missionaria, testimone di misericordia») a
quello più generale del giubileo, il Pontefice ha evidenziato
come l’impegno delle donne
nell’evangelizzazione sia un
«segno eloquente dell’amore
materno di Dio». Esse, ha
spiegato, «laiche o consacrate,
e oggi anche non poche famiglie, realizzano la loro vocazione dall’annuncio diretto al servizio caritativo». In particolare, «comprendono spesso più
adeguatamente i problemi della gente e sanno affrontarli in
modo talvolta inedito: nel
prendersi cura della vita, con
una spiccata attenzione alle
persone più che alle strutture».
Non solo: «in molti luoghi
l’evangelizzazione prende avvio dall’attività educativa». Da
Per la festa liturgica dei santi Cirillo e Metodio
Incontro con le delegazioni
di Bulgaria e della ex Repubblica
Jugoslava di Macedonia
qui l’auspicio «che il popolo
santo di Dio eserciti il servizio
materno della misericordia, che
tanto aiuta ad incontrare e
amare il Signore i popoli che
ancora non lo conoscono».
Nella stessa giornata di domenica 15 maggio il Papa ha
celebrato la messa di Pentecoste nella basilica vaticana e ha
poi guidato la recita del Regina caeli con i fedeli presenti in
piazza San Pietro. Sia all’omelia sia nella meditazione mariana Francesco ha parlato
dell’importanza dello Spirito
santo. L’uomo di oggi vive
spesso in una condizione di
«orfano» — ha detto durante la
celebrazione eucaristica — immerso in una «solitudine interiore» che a volte si trasforma
in «tristezza esistenziale». Perciò i cristiani sono chiamati a
riscoprire la «vocazione originaria, il nostro più profondo
“dna”», che consiste nel vivere
«la condizione di figli» alla
quale conduce proprio la terza
persona della Trinità. Del resto, ha aggiunto al Regina caeli, oltre a essere «consolatore,
avvocato, intercessore», lo Spirito svolge per i cristiani «una
funzione di insegnamento e di
memoria».
PAGINE 7
E
8
Luigi Pagano, «Il dono dello Spirito a Pentecoste»
SANA’A, 16. Non c’è pace nello Yemen. Un attentato suicida rivendicato dal cosiddetto Stato islamico
(Is) ha colpito ieri un commissariato di polizia a Mukalla, capitale
della provincia sud-orientale yemenita di Hadramut, controllata fino
allo scorso mese da Al Qaeda nella
penisola arabica. Il bilancio parla
di almeno 47 morti, tra cui 41 reclute che aspettavano in fila davanti alla caserma Al Najda, per entrare nell’esercito governativo yemenita. I feriti sono più di sessanta.
Stando alle ricostruzioni fornite
dalla stampa locale, l’attentatore
suicida è riuscito a infiltrarsi nella
fila delle aspiranti reclute e si è fatto esplodere. Giovedì scorso i miliziani dell’Is avevano rivendicato
un’altra sanguinosa strage contro
l’esercito yemenita a Khalf, a est di
Mukalla, dove tre attentatori suicidi avevano provocato la morte di
almeno quindici soldati delle truppe governative.
Secondo gli analisti, i jihadisti
dell'Is stanno occupando nell'area
di Mukalla le stesse posizioni che
una volta erano occupate da Al
Qaeda, dopo che le forze governative, appoggiate dalla coalizione
guidata dall’Arabia Saudita, sono
riuscite il 24 aprile a riconquistare
questa grande città portuale sottraendola ai ribelli. In effetti, l'Is e
Al Qaeda stanno approfittando del
sanguinoso conflitto in atto tra le
forze governative del legittimo presidente yemenita, Abd Ravvo Man-
sour Hadi, e i ribelli huthi, per intensificare le loro azioni nel sud-est
del Paese.
E, nelle stesse ore in cui l’Is continua a mettere a segno i suoi attacchi micidiali (oltre allo Yemen
anche in Iraq), i conflitti in Siria,
Libia e Yemen sono stati al centro
di un colloquio avuto ieri in Arabia
Saudita dal segretario di Stato
americano, John Kerry, con il re
Salman, alla vigilia di una settimana importante per i processi negoziali. Obiettivo del capo della diplomazia di Washington è cercare
di rendere nuovamente operativa la
tregua in Siria e rafforzare il sostegno internazionale al Governo di
unità nazionale in Libia.
Per quanto riguarda lo Yemen, le
parti in conflitto hanno iniziato lo
scorso 21 aprile, in Kuwait, colloqui di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Spesso dimenticata dai media, la
guerra nello Yemen ha già causato
oltre 6.400 morti, 30.000 feriti e oltre 2,8 milioni di sfollati. La situazione, con l’intensificarsi degli
scontri, è degenerata rapidamente
in emergenza umanitaria. E come
in tutti i conflitti sono le persone
più deboli — in particolare i bambini, le donne e gli anziani — a pagare il prezzo maggiore. Secondo i
dati forniti dall’Onu, oltre l’80 per
cento della popolazione ha bisogno di assistenza e di aiuti di prima necessità.
Riunione internazionale a Vienna
In occasione delle celebrazioni per la festa liturgica dei santi
Cirillo e Metodio, lunedì 16 maggio Papa Francesco ha ricevuto in udienza il presidente della Repubblica di Bulgaria,
Rosen Plevneliev, con una delegazione. Successivamente il
Pontefice ha ricevuto anche il presidente del Parlamento della
ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Trajko Veljanoski,
con la consorte e una delegazione. Le delegazioni hanno incontrato inoltre il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato,
insieme all’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per
i Rapporti con gli Stati.
y(7HA3J1*QSSKKM( +]!"!,!#!_!
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza
Sua Eccellenza il Signor
Rosen Plevneliev, Presidente della Repubblica di
Bulgaria, e Seguito.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza il Reverendo Padre Jesús Fernández Hernández, Presidente dell’Istituto di Cristo Redentore «Identes».
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza Sua Eccellenza
Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza Sua Eccellenza
Monsignor Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia
(Italia).
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza Sua Eccellenza il
Signor Trajko Veljanoski,
Presidente del Parlamento
della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, con la
Consorte, e Seguito.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia di Sua
Eminenza Reverendissima
il Cardinale Karl Lehmann
all’ufficio di Vescovo di
Mainz (Germania), in
conformità al canone 401
§ 1 del Codice di Diritto
Canonico.
Sfida per la stabilità della Libia
VIENNA, 16. Appuntamento oggi a Vienna per la riunione ministeriale sulla Libia convocata
e co-presieduta dal segretario
di Stato americano, John Kerry, e dal ministro degli Esteri
italiano, Paolo Gentiloni, che
punta ad avviare la seconda fase della stabilizzazione del
Paese nordafricano. L’appuntamento riunisce i Paesi del cosiddetto “formato di Roma”
(membri permanenti del Consiglio di sicurezza, alcuni Paesi
europei e della regione, Organizzazioni internazionali), allargato a Malta, Ciad, Niger e
Sudan.
L’incontro, si legge in una
nota della Farnesina, si pone
in continuità con il summit di
Roma del 13 dicembre 2015,
che si era rivelato determinante
per la firma dell’accordo politico libico, l’approvazione della
risoluzione 2259 del Consiglio
di sicurezza dell’Onu e, successivamente, l’ingresso del
primo ministro Fayez Al Sarraj
e del Consiglio presidenziale a
Tripoli il 30 marzo scorso. La
novità dell’appuntamento di
oggi è rappresentata dalla partecipazione del premier libico
Al Sarraj e di membri del
Consiglio presidenziale e del
Governo di accordo nazionale,
a «concreta testimonianza»,
sottolinea la Farnesina, dei
progressi, «anche se ancora
fragili», compiuti dal dialogo
politico libico in questi mesi.
Al Sarraj potrà così raccogliere
un importante messaggio di
sostegno internazionale alla
sua azione e presentare alcune
prime decisioni governative,
come il decreto per la formazione della Guardia presidenziale e il provvedimento per la
creazione di un comando operativo congiunto per la lotta al
cosiddetto Stato islamico (Is).
Alla vigilia del summit internazionale di Vienna, in cui la
diplomazia cercherà una soluzione al caos Libia, il premier
Al Sarraj ha ribadito che per
Il premier libico con il segretario di Stato americano (Ap)
sconfiggere l’Is, il Governo di
Tripoli ce la può fare da solo e
senza intervento straniero, ma
ha bisogno di aiuto: «Non
chiediamo soldati sul terreno,
ma assistenza per l’addestramento e inoltre la revoca
dell’embargo sulle armi».
In una lettera pubblicata dal
quotidiano britannico «The Telegraph», il premier del Governo di unità nazionale libico ricorda gli sforzi compiuti in tema di sicurezza, riconciliazione
nazionale, ripresa economica,
giustizia sociale, riforme istituzionali e assicura: «Siamo di
nuovo sulla giusta strada.
Chiediamo la fine immediata
delle sanzioni Onu che tengono congelati beni libici: abbiamo bisogno di queste risorse
per sconfiggere i terroristi».
Ma, prosegue Al Sarraj, bisogna essere «realistici: ci vorrà
del tempo per riprendersi da
caos e divisioni». Poi il monito: «La comunità internazionale ha delle responsabilità verso
la Libia». E aggiunge: «So che
per molti in Europa la questione dei migranti e del traffico
di esseri umani dalla Libia è
tema di enorme preoccupazione e lavorerò senza sosta per
mettervi un freno. Ma la maniera migliore per mettere fuori gioco i trafficanti di esseri
umani è fare in modo che la
Libia sia stabile e sicura» e che
superi la crisi economica. «È
l’unica soluzione di lungo termine: i soldati e le navi straniere non sono la risposta».
Dal canto suo, il presidente
della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, ha
convocato per oggi i suoi vice
e alcuni deputati per discutere
della possibilità di convocare
la seduta parlamentare per il
voto di fiducia al Governo di
riconciliazione nazionale. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa libica Al Tadhamoun, la riunione servirà per
studiare la possibilità di modificare il cosiddetto “annuncio
costituzionale” (che funge da
Costituzione provvisoria), considerato da Saleh un passo ne-
Gli ebrei chiamati ad aprirsi al dialogo
Con coraggio in mare aperto
Shraga Weil, «Affrontando il futuro»
RENZO GATTEGNA
A PAGINA
5
cessario per arrivare al voto di
fiducia sul nuovo Governo. Il
portavoce di Saleh, Abdel Karim Al Marimi, ha poi aggiunto che verrà chiesto ai ministri
«di presentare i loro curricula
che verranno discussi in aula».
Per sette volte il Parlamento
libico si è riunito a Tobruk, in
Cirenaica, senza mai riuscire a
votare la fiducia alla lista dei
ministri presentata dal premier
incaricato Fayez Al Sarraj, capo del Consiglio di presidenza
libico, organismo creato con
l’accordo politico raggiunto a
Shkirat, in Marocco, sotto gli
auspici delle Nazioni Unite.
A opporsi al nuovo Governo
sono i politici fedeli al generale Khalifa Haftar, capo di stato
maggiore dell’esercito libico attivo nella Cirenaica. Quest’ultimo, infatti, non intende cedere
la guida delle forze armate al
premier Al Sarraj, come previsto invece dall’accordo politico
sottoscritto in Marocco.
La situazione di stallo continua a dividere il Paese in due
entità governative opposte, anche se le Nazioni Unite riconoscono il Consiglio di presidenza come l’unico legittimo
rappresentante del popolo libico, in attesa del voto di fiducia
del Parlamento di Tobruk guidato da Saleh.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
I rappresentanti di Farc
e Governo colombiano all’Avana (Epa)
Per l’Alto commissariato dell’Onu va data una risposta globale a un dramma globale
Troppo pochi i Paesi
che si fanno carico dei profughi
BRUXELLES, 16. La crisi dei rifugiati
è diventata un «fenomeno globale»
che richiede «risposte globali». È
quanto afferma l’Alto commissario
Onu per i rifugiati, Unhcr, Filippo
Grandi, sottolineando che in questo
momento «un numero maggiore di
nazioni dovrebbero aiutare i pochi
Paesi che attualmente si fanno carico
di ospitare i profughi».
Lo scorso anno, meno dell’1 per
cento dei 20 milioni di rifugiati stimati nel mondo sono stati ricollocati. E il responsabile dell’Unhcr ribadisce che il peso dei rifugiati è caduto su «pochi Paesi che ospitano centinaia di migliaia di rifugiati». Sono
pochi anche i donatori, «sette o otto
Paesi, che forniscono l’80-90 per
cento dei fondi».
Se si parla di fondi, viene in mente l’accoglienza di emergenza ma anche l’aiuto ai Paesi da cui provengono i migranti. I 28 Paesi dell’Unione
europea sono tutti d’accordo sulla
necessità di sostenere questi Paesi,
ma si discute ancora sulle modalità
di stanziamento dei fondi. L’Italia
ha proposto l’idea degli eurobond,
bocciati però dalla Germania.
Berlino, intanto, ha pubblicato cifre su quanto costerà al Governo tedesco l’accoglienza finora assicurata.
Si parla di 93,6 miliardi di euro nei
prossimi 5 anni. Un documento del
ministero delle Finanze prevede che
il costo annuo delle spese per far
fronte all’emergenza migranti salirà
dai 16,1 miliardi di euro di quest’anno ai 20,5 del 2020. Gran parte di
questi fondi finanzierà servizi di base, tra i quali la casa e le lezioni di
lingua. Ma anche se non è chiaro in
quale misura, nel documento rientrano anche gli sforzi per evitare che la
gente lasci i Paesi di origine e cerchi
rifugio in Germania.
Aumenterà anche il numero delle
persone che richiederanno un sussidio, per un totale di 14 miliardi di
euro in più rispetto all’anno precedente.
Intanto, si continua a discutere
dell’accordo che l’Unione europea
Con le dichiarazioni di Johnson
S’infiamma
la campagna
sulla Brexit
LONDRA, 16. L’Ue come Hitler. Fa
discutere in Gran Bretagna, e non
solo, la frase pronunciata dall’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, che
accosta negli obiettivi la costruzione
europea e i tentativi di Napoleone e
poi di Hitler di unificare il continente. È piena campagna elettorale in
vista del referendum del 23 giugno
che chiama i cittadini del Regno
Unito a pronunciarsi sull’eventuale
uscita dall’Europa.
Secondo Johnson, anche se «con
metodi diversi», Bruxelles cerca di
«compattare l’Europa sotto un’unica
autorità» che, a suo dire, «non importa se con la forza o con la burocrazia, crea sempre un vuoto di democrazia».
Tante le reazioni indignate al paragone con il nazismo, uno dei totalitarismi che hanno insanguinato
l’Europa e in reazione al quale il
continente ha cercato la pace con
l’avvio di un’integrazione, prima
economica, poi politica. La laburista
Yvette Cooper, accusa Johnson di
«giocare sporco», con una campagna elettorale «cinica e divisiva, con
una vergognosa mancanza di giudizio». Da parte sua, il premier David
Cameron è tornato ieri a ribadire
che l’eventuale uscita della Gran
Bretagna dall’Europa sarebbe «disastrosa per l’economia del regno».
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
[email protected]
www.osservatoreromano.va
ha firmato con la Turchia per un
piano di gestione dei migranti.
Nell’ambito dell’intesa, c’è la richiesta da parte di Ankara della liberalizzazione dei visti per i cittadini
turchi in zona Schengen, condizionati però da Bruxelles al rispetto di
parametri precisi, in particolare in
tema di legge antiterrorismo.
Il negoziato resta tutto aperto, ma
certamente la liberalizzazione dei visti slitterà rispetto alla data del 1
giugno ipotizzata dalla Turchia.
Nel dibattito all’interno dell’Ue,
qualcuno accusa la Germania di avere una posizione troppo accomodante con la Turchia, per evitare rotture
sul patto sui migranti. Il ministro tedesco degli Esteri, Frank Walter
Steinmeier, smentisce sostenendo
che Berlino resta «libera di discutere
delle deviazioni della Turchia, delle
limitazioni alla libertà di stampa e di
espressione». Ribadisce però che «lo
si voglia o no, la Turchia rimane un
Paese chiave per le migrazioni verso
l’Europa e serve un certo grado di
cooperazione se si vuole evitare le
emergenze dell’anno scorso».
Migranti sulla nave Peluso in arrivo al porto italiano di Augusta (Reuters)
In Europa si conferma la crescita tedesca
Rischi
per l’economia mondiale
BRUXELLES, 16. Rallentamento cinese, Brexit, debolezza Usa, i ribassi
del greggio. Sono questi i maggiori
rischi per l’economia globale, insieme con la deflazione dell’eurozona. È quanto emerge dall’ultimo
rapporto dell’agenzia di rating
Fitch.
Secondo l’agenzia statunitense,
c’è il rischio di un rallentamento
«graduale e strutturale» dell’economia cinese, con una possibile discesa del Pil al 2 per cento entro la fine del 2017. Sommandosi alla recessione in Brasile e Russia, ciò comporterebbe un severo e prolungato
rallentamento della crescita nei
mercati emergenti.
C’è poi l’eventuale uscita della
Gran Bretagna dall’Ue, che, secondo Fitch, provocherebbe un calo
della sterlina nell’ordine del 30 per
cento nell’arco di sei mesi.
Ci sono i rischi di una moderata
recessione nell’economia degli Stati
Uniti, sotto la spinta di un calo
della spesa per i consumi, nonostante la crescita dei salari e la riduzione del debito privato.
D ell’oro nero Fitch scrive che se
se il petrolio restasse intorno ai 35
dollari al barile nel 2016-2017, i ribassi impatterebbero sui rating sovrani oltre che sui profitti dei gruppi energetici.
Intanto, guardando all’interno
dell’Europa, ci sono i dati della
Germania che conferma la crescita.
Nel primo trimestre del 2016, il Pil,
è aumentato dello 0,7 per cento. Il
Paese aveva chiuso lo scorso anno
allo 0,3 per cento.
Nel dibattito interno, c’è il ministro dell’Economia, Sigmar Gabriel, che vorrebbe utilizzare il van-
taggio per investire di più, mentre
il ministro delle Finanze, Wolfgang
Schäuble, sostiene la linea del risparmio. E Schäuble torna a ribadire l’avversione tedesca ai tassi bassi
decisi dalla Bce, guidata da Mario
Draghi, che, ricorda, allarmano in
particolare i pensionati.
La sede del Parlamento Ue di Strasburgo
Incubo terrorismo
sugli Europei di calcio
BERLINO, 16. «Grande preoccupazione» per il prossimo campionato
europeo di calcio che si terrà a
giugno in Francia: l’ha espressa il
direttore di Europol, Rob Wainwright, secondo cui l’evento rappresenterà «un obbiettivo attraente per i terroristi». In un’intervista
al quotidiano tedesco «Die Welt»,
Wainwright ricorda gli ultimi attentati avvenuti nel vecchio continente e giudica «facile in modo
allarmante» l’attacco a obbiettivi
come caffè, ristoranti o sale da
concerto. È dunque «assolutamen-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
[email protected] www.photo.va
Un altro passo
verso la pace in Colombia
L’AVANA, 16. Un altro passo in
avanti verso la distensione e la pace in Colombia. Il Governo e le
Farc (Forze armate rivoluzionarie
della Colombia) hanno annunciato
ieri all’Avana un accordo per permettere ai bambini soldato coinvolti nella guerriglia di poter tornare a
una vita normale. Si tratta, in altre
parole, di un’amnistia generale che
consentirà ai giovani di uscire dalla
guerriglia e di reinserirsi nella vita
civile.
In un tweet, il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha parlato di «accordo storico per sottrarre i bambini alla guerra», precisando che i minori rilasciati saranno al
più presto riportati alle loro famiglie. Il capo negoziatore delle Farc,
Iván Márquez, ha assicurato che «i
diritti dei minori saranno rispettati», aggiungendo che «saranno organizzati programmi sociali ed
educativi affinché l’esclusione sociale che ha spinto questi bambini
alla violenza non si ripeta più».
Il primo passo — in base all’intesa — sarà l’uscita dagli accampamenti dei ribelli dei minori di
quindici anni; successivamente una
tabella di marcia definirà i tempi
per restituire la libertà a tutti i giovani che non hanno ancora compiuto 18 anni. L’accordo, siglato
dalle due parti insieme ai mediatori
delle Nazioni Unite nell’ambito dei
negoziati di pace in corso a Cuba,
prevede anche un’attenzione speciale per questi ragazzi in modo da
garantire il loro reinserimento alla
vita civile.
L’iniziativa rientra nelle misure
per allentare l’intensità del conflitto armato colombiano. A febbraio
le Farc avevano annunciato che
non avrebbero più reclutato i minori di 18 anni per la guerriglia. In
base all’intesa raggiunta ieri, tutti i
minori che escono dalla guerriglia
saranno considerati vittime e, nel
caso dei minori fino a 14 anni, in
nessun caso saranno considerati penalmente responsabili; mentre a
quelli che hanno tra i 14 e i 18 anni
saranno applicati i benefici dell’indulto, se non hanno commesso delitti atroci o non sono stati coinvolti in azioni molto gravi.
Dal canto loro, le Farc non hanno ancora comunicato il numero
totale dei bambini soldato che saranno liberati. Il gruppo ha comunque annunciato la consegna a
breve di un primo gruppo «di 21
minori di 15 anni» — si legge in un
comunicato — che vivono attualmente negli accampamenti della
guerriglia. Neanche il Governo colombiano ha fornito la cifra esatta
dei minori combattenti delle Farc,
ma, secondo i dati ufficiali, circa
seimila bambini hanno lasciato i
gruppi armati della guerriglia negli
ultimi 17 anni e il sessanta per cento di questi provenivano dalle Farc.
I negoziati tra le Farc e il Governo colombiano sono iniziati ufficialmente nel novembre 2013. Da
quel momento sono stati raggiunti
importanti accordi, in particolare
sul traffico di droga, sull’inserimento dei ribelli nella vita civile e sugli
indennizzi alle vittime del conflitto. Restano ancora aperti importanti nodi: le modalità del disarmo
e la firma di un cessate il fuoco
permanente. Sono oltre 200.000 i
morti causati dal conflitto.
Medina in testa alle elezioni
nella Repubblica Dominicana
te necessario», secondo il direttore
di Europol, rinforzare le unità antiterrorismo. In questo clima di timore, ieri c’è stato un clamoroso
scivolone della polizia di Manchester. La «bomba non funzionante
ma incredibilmente simile a una
vera» trovata nel pomeriggio allo
stadio Old Trafford, che ha fatto
evacuare oltre 20.000 persone, era
in realtà un falso ordigno della
stessa polizia dimenticato dopo
una esercitazione. Ad ammetterlo
gli stessi dirigenti della polizia
dieci ore dopo il ritrovamento.
Servizio vaticano: [email protected]
Accordo tra Farc e Governo sui bambini soldato
SANTO D OMINGO, 16. L’attuale presidente della Repubblica Dominicana, Danilo Medina, secondo risultati
ancora parziali, è dato come favorito
alle elezioni che si sono svolte ieri
nel Paese. Difatti, nello spoglio delle
schede appare saldamente in testa.
Con il 14 per cento dei seggi scrutinati, Medina, 64 anni, ha più del
sessanta per cento dei voti, e potrebbe essere rieletto evitando anche il
ballottaggio. Il voto ha riguardato
anche 222 seggi al Senato e alla Camera dei deputati e diverse amministrazioni locali. Più di 6,7 milioni di
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
dominicani sono stati chiamati a votare. Otto i candidati, ma il principale avversario di Medina resta Luis
Abinader, del Partito rivoluzionario
moderno (Prm). Il Partito laburista
dominicano (Pld) di Medina ha vinto quattro delle precedenti presidenziali e ha controllato il Congresso
per un decennio. I risultati finali saranno resi noti oggi. Nonostante il
Paese sia una delle economie più dinamiche dell’America latina, il 41
per cento della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà secondo i dati della Banca mondiale.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Venezuela
sempre più
nel caos
CARACAS, 16. La situazione in
Venezuela si fa sempre di giorno
in giorno più esplosiva. Il vice
presidente, Aristóbulo Istúriz,
ha annunciato oggi che — nonostante le quasi due milioni di
firme raccolte — non si terrà alcun referendum per la revoca
del capo dello Stato, Nicolás
Maduro.
Il presidente, che due giorni
fa ha dichiarato lo stato d’emergenza per proteggere il Paese da
un presunto golpe ordito dagli
Stati Uniti, ha disposto il sequestro di tutte le fabbriche che
hanno interrotto la produzione e
l’arresto dei loro proprietari.
Con questa dichiarazione Maduro si è riferito in particolare a
quattro stabilimenti della Cervecería Polar — tra le principali
fabbriche di birra del Paese sudamericano — che, una ventina
di giorni fa, hanno fermato la
propria produzione nell’impossibilità di potere accedere alle valute estere, senza le quali non
possono importare le materie
prime necessarie.
In un discorso trasmesso da
radio e televisione, il leader chavista ha attaccato gli uomini
d’affari, accusandoli «di promuovere una guerra economica». Nello stesso intervento,
Maduro ha anche ordinato una
serie di manovre militari senza
precedenti per preparare le truppe a un’eventuale invasione o rivolta interna.
Il Venezuela, uno dei Paesi
con le maggiori riserve petrolifere al mondo, è sull’orlo del fallimento per il basso costo del petrolio e la gestione — definita
«dissennata» dagli analisti —
dell’economia. Da ultimo, la settimana lavorativa per i dipendenti pubblici è stata ridotta a
due giorni per problemi di approvvigionamento elettrico.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
[email protected]
Intesa San Paolo
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
pagina 3
Una delle donne rapite da Boko Haram
e poi tratte in salvo dalle forze nigeriane
Nonostante le rassicurazioni del Pentagono
L’Is resta una minaccia
in Siria e in Iraq
DAMASCO, 16. Nonostante le rassicurazioni del Pentagono e l’accordo
per la cessazione delle ostilità, il cosiddetto Stato islamico (Is) continua
a rappresentare una minaccia. Mentre infatti fonti della sicurezza statunitense assicurano che l’avanzata
jihadista in Siria e in Iraq sta rallentando, sul terreno i combattimenti si
fanno di giorno in giorno sempre
più cruenti nei principali fronti di
guerra: da Aleppo, città siriana la
cui popolazione da almeno un anno
vive in condizioni critiche, all’area
della capitale irachena Baghdad. E
del nodo siriano hanno discusso ieri
il segretario di Stato americano,
John Kerry, e il re saudita Salman,
nel corso di un vertice a Riad.
Sono almeno 27 i miliziani rimasti
uccisi nei raid aerei condotti ieri
dalla Turchia e dalla coalizione internazionale a guida statunitense
contro obiettivi dell’Is ad Aleppo,
nel nord della Siria. A darne conferma è la Cnn. L’agenzia di stampa
turca Anadolu spiega che i raid
hanno colpito anche postazioni jihadiste molto vicine al confine turco.
Interessate dalle operazioni sono
state in particolare le regioni di Havar Kilis, Harcele e Delha, del distretto di Azaz di Aleppo, ha riportato l’Anadolu. Inoltre, fonti locali
hanno spiegato che i ribelli siriani
hanno sottratto al controllo dell’Is
diversi villaggi nella zona Azaz.
E sempre ieri, intanto, l’esercito
siriano ha respinto un attacco dei
jihadisti dell’Is contro la zona
dell’aeroporto di Deir Ezzor, nell’est
del Paese. Lo riferisce l’agenzia governativa Sana, dopo che, nella notte, le forze lealiste avevano anche ripreso il controllo di un ospedale
dove ieri erano penetrati i jihadisti
dell’Is uccidendo decine di soldati.
Deir Ezzor è controllata dalle forze
lealiste, ma da mesi queste devono
fronteggiare l’assedio delle forze
dell’Is. Ma non solo: fonti militari
hanno reso noto che l’esercito siriano sta concentrando forze intorno al
giacimento di gas naturale di Al
Shaer, tra Homs e Palmira, che nei
giorni scorsi era caduto nelle mani
dei jiihadisti. È la terza volta che
l’Is conquista il campo di Shaer.
Il conflitto con l’Is, come detto,
non riguarda soltanto la Siria. Sono
14 le persone uccise e 27 quelle ferite nell’attacco sferrato ieri dall’Is
all’impianto di gas a Taiji, una ventina di chilometri a nord della capitale irachena. Dapprima un attentatore suicida si è fatto saltare in aria
all’entrata dell’impianto, poi diversi
altri miliziani armati sono entrati
nell’area e hanno ingaggiato combattimenti con le forze di sicurezza.
Il sottosegretario al ministero del
Petrolio per il settore del gas, Hamid Younis, ha dichiarato che a
causa dei combattimenti è scoppiato
un incendio nell’impianto, ma le
fiamme sono state spente e non vi è
stata interruzione della produzione
e della distribuzione.
Altre quindici persone sono state
uccise sempre ieri e una cinquantina
ferite in diversi altri attentati avvenuti in aree commerciali nella stessa
Baghdad e in una località a sud della città. Si tratta degli ultimi di una
serie di attacchi che sembrano non
avere fine e che da mercoledì hanno
già provocato 140 morti.
Hollande rilancia la lotta al gruppo terroristico
Obiettivo Boko Haram
ABUJA, 16. Il presidente francese François Hollande ha
messo in guardia contro «la minaccia» persistente di
Boko Haram, nonostante «i risultati impressionanti» ottenuti contro questo gruppo terroristico in Nigeria, dove è stato ridotto e costretto a ritirarsi. Hollande — che
partecipa a un vertice regionale convocato dal presidente nigeriano Muhammadu Buharin a Abuja, per discutere su come intensificare la lotta contro Boko Haram —
ha invitato, in una conferenza stampa, la comunità internazionale a impegnarsi maggiormente per aiutare la
regione. Il presidente nigeriano, dal canto suo, ha ricor-
dato che la crisi umanitaria si fa sempre più grave
nell’area del lago Ciad. Hanno partecipato al vertice i
capi di Stato dei Paesi confinanti della Nigeria, ossia,
Benin, Camerun, Ciad e Niger, una delegazione
dell’Unione europea, il ministro Esteri britannico, Philip Hammond, oltre al vice segretario di Stato americano Tony Blinken. Le discussioni si sono concentrate soprattutto sulle modalità per porre fine alle violazioni di
Boko Haram, che dal 2009 ha ucciso più di 20.000 persone e costretto oltre 2,6 milioni di abitanti ad abbandonare le proprie case.
Parigi propone una nuova conferenza internazionale
Contro le minacce nucleari nordcoreane
Prove per il rilancio del dialogo israelo-palestinese
Esercitazioni antimissile
alle Hawaii
PARIGI, 16. La Francia resta determinata a portare avanti la sua iniziativa per la convocazione di una conferenza di pace sul Medio oriente. A
confermarlo è stato ieri il ministro
degli Esteri francese, Jean-Marc
Ayrault, in una conferenza stampa
all’aeroporto di Tel Aviv, al termine
di una breve missione in cui ha incontrato sia il premier israeliano,
Benjamin Netanyahu, sia il presidente palestinese Mahmoud Abbas.
«Noi non ci perdiamo d’animo — ha
detto Ayrault — e così pure i nostri
partner nel mondo». Netanyahu
«dice di volere negoziati diretti, ma
quella opzione resta bloccata. Noi
amiamo Israele, ne abbiamo difesi
gli interessi sulla questione iraniana.
Ma il rilancio del processo di pace
— ha sottolineato il titolare del Quai
d’Orsay — servirà anche alla sicurezza di Israele. Se non faremo qualcosa questa regione rischia di cadere
nelle mani dei jihadisti» del cosiddetto Stato islamico (Is). «Sono venuto con un messaggio chiaro» ha
quindi aggiunto Ayrault «l’amicizia
verso Israele è sempre nel mio cuore». Ma lo status quo, ha ammonito,
«racchiude gravi pericoli sia per gli
israeliani sia per i palestinesi e dunque è ormai necessario passare
all’azione».
Al termine dell’incontro con
Ayrault, il premier Netanyahu ha
però sostanzialmente bocciato l’ipotesi di una nuova conferenza di pace, e questo, a suo dire, proprio
nell’interesse di un dialogo proficuo
Il ministro degli Esteri francese Ayrault e il premier israeliano Netanyahu (Afp)
con i palestinesi. «La strada per una
vera pace tra noi e i palestinesi passa attraverso negoziati diretti. Ogni
soluzione diversa allontana la pace e
concede ai palestinesi una scappatoia per evitare la radice del conflitto che è il riconoscimento di Israele
come Stato nazionale del popolo
ebraico» ha spiegato Netanyahu. Il
leader del Likud ha inoltre criticato
il recente voto di Parigi a favore di
Duterte chiede la liberazione
degli ostaggi nelle Filippine
MANILA, 16. Nella sua prima conferenza stampa dall’elezione, ieri, il
nuovo presidente delle Filippine,
Rodrigo Duterte, ha chiesto ai miliziani islamisti di Abu Sayyaf di liberare gli ostaggi che si trovano
nelle loro mani e che hanno minacciato di decapitare. «Vi chiedo di
fermarvi — ha detto il neo capo dello Stato — perché state distruggendo l’immagine e l’economia delle
Filippine». Abu Sayyaf è un gruppo terroristico che combatte da anni una sanguinosa lotta armata per
rivendicare uno Stato islamico nel
sud dell’arcipelago asiatico. Nato
nel 1991 dall’iniziativa di un manipolo di ex combattenti della guerra
in Afghanistan contro l’allora Urss,
il gruppo si è sempre rifiutato di
partecipare all’accordo di pace con
il Governo di Manila, siglato nel
marzo del 2014. Da circa vent’anni
sequestra stranieri per finanziare
operazioni terroristiche, omicidi e
attentati. Nei giorni scorsi i miliziani hanno minacciato di uccidere tre
ostaggi (un canadese, un norvegese
e una filippina). I miliziani hanno
già decapitato un quarto ostaggio,
il canadese John Ridsdel, rapito insieme agli altri il 21 settembre scorso sull’isola di Samal. Duterte, inoltre, ha detto che intende chiedere al
Congresso di ripristinare la pena di
morte, abolita nel 2006. Ex sindaco
di Davao e vincitore delle elezioni
del 9 maggio scorso (ma non ancora ufficialmente proclamato presidente), Duterte ha promesso in
campagna elettorale di sradicare la
criminalità dal Paese nel giro di sei
mesi. Secondo gli ultimi conteggi,
ha ottenuto il 39 per cento dei consensi. La proclamazione ufficiale
avverrà nei prossimi giorni da parte
del Congresso di Manila.
una risoluzione dell’Unesco che — a
suo avviso — non riconosce la sovranità israeliana sull’area del Muro del
pianto a Gerusalemme.
La replica palestinese non si è fatta attendere. Sempre ieri, nel giorno
della Nakba (“catastrofe” in arabo,
in cui si ricorda la fuga dei palestinesi alla fine del Mandato britannico nel 1948) il segretario generale
dell’Olp (organizzazione per la libe-
Manifestazioni
di protesta
a Kathmandu
KATHMANDU, 16. Migliaia di sostenitori dei partiti di etnia madhesi, nella regione meridionale
nepalese di Terai, al confine con
l’India, sono tornati ieri a manifestare nella capitale per proporre
un emendamento alla divisione
amministrativa prevista nella nuova Costituzione, approvata lo
scorso settembre. La comunità etnica dei madhesi ritiene che la
Carta costituzionale non garantisca i diritti alla minoranza che vive nella fascia meridionale del Terai. Per questo motivo, dopo quattro mesi di relativa calma, è tornata ieri a manifestare contro il Governo. Le proteste dei madhesi —
sottolineano gli analisti — in passato hanno causato violenti scontri
con la polizia con un bilancio di
cinque morti e oltre 150 feriti.
razione della Palestina), Saeb Erekat, ha dichiarato: «Dopo settant’anni siamo ancora qui e oggi,
nella Palestina storica, tra il mare e
il fiume Giordano, gli ebrei sono il
49,1 per cento, una minoranza che
domina su una maggioranza». Non
è possibile — ha aggiunto Erekat —
«continuare a parlare di due Stati
senza il riconoscimento dello Stato
di Palestina».
SEOUL, 16. Stati Uniti, Corea del
Sud e Giappone terranno a giugno
le loro prime esercitazioni militari
congiunte antimissile alle Hawaii.
Questo allo scopo di perfezionare
la risposta alle imprevedibili mosse
della Corea del Nord, sempre più
dotata di potenziale nucleare e balistico. Le manovre si terranno
nell’ambito della Rim of the Pacific
Exercise (Rimpac), le esercitazioni
marittime internazionali più grandi
sotto la guida di Washington e in
programma da giugno ad agosto
intorno alle isole statunitensi. I tre
Paesi, ha riferito il ministero della
Difesa di Seoul, stanno lavorando
alla definizione dei dettagli del piano che vuole «mettere a punto un
sistema d’allerta di missili disegnato
per meglio difendere la Corea del
Sud dal regime comunista di Pyongyang di fronte alle sue intimidazioni nucleari e balistiche».
Il
Consiglio
di
sicurezza
dell’Onu ha approvato lo scorso
marzo, all’unanimità, la risoluzione
2270 — proposta dagli Stati Uniti e
dalla Cina — che impone nuove e
più pesanti sanzioni alla Corea del
Nord. Inoltre, i quindici membri
permanenti del Consiglio hanno
minacciato ulteriori misure se il regime comunista di Pyongyang proseguirà con i test nucleari. Il documento è stato il frutto dei tre settimane di intensi negoziati al Palazzo
di vetro dopo i nuovi test nucleari e
balistici della Corea del Nord.
Il documento — approvato anche
da Pechino, unico alleato di Pyongyang — prevede misure serrate
contro la Corea del Nord a causa
delle attività nucleari relative a missili balistici in corso nel Paese e che
«minacciano la pace e la sicurezza
internazionale». L’azione unanime
«da parte del Consiglio di sicurezza
dell’Onu ha inviato un messaggio
chiaro, secondo cui la Corea del
Nord deve rispettare nuovamente i
suoi obblighi internazionali», ha
detto il segretario generale delle
Nazioni Unite, Ban Ki-moon.
Nel frattempo, la guardia costiera
nordcoreana ha rilasciato ieri uno
yacht russo sequestrato venerdì
mentre si trovava in navigazione
nelle acque del Mar del Giappone.
«Il veliero ha lasciato il porto nordcoreano di Kimchaek in direzione
di Vladivostok», ha affermato l’ambasciatore russo a Pyongyang. Secondo le ricostruzioni, l’imbarcazione era stata intercettata dopo aver
preso parte a una regata in Corea
del Sud. La Russia, uno dei pochi
Paesi ad avere rapporti amichevoli
con la Corea del Nord, ha chiesto
immediatamente spiegazioni. Mosca ha poi precisato che l’intercettazione del battello è stato un «malinteso».
Elezioni negli Stati indiani
del Tamil Nadu e del Kerala
NEW DELHI, 16. Sono cominciate oggi le operazioni di voto per il rinnovo dei Parlamenti locali degli Stati
meridionali indiani del Tamil Nadu e
del Kerala, nonché nella ex colonia
francese di Pondicherry. La consultazione costituisce un importante test a
livello nazionale, dal quale il primo
ministro, Narendra Modi, attende segnali incoraggianti per il suo Governo. Per ottenere il massimo dei consensi nei due Stati, controllati da un
forte partito regionale (nel Tamil Nadu) e da una coalizione guidata dal
partito del Congresso i (nel Kerala),
Modi si è impegnato in prima persona con una serie di comizi. Stando
alle ultime notizie, nonostante l’infuocata campagna elettorale, le operazioni di voto si stanno svolgendo
senza incidenti di rilievo. Visti i tempi lunghi delle procedure di voto, lo
spoglio delle schede si svolgerà a
partire dal 19 maggio prossimo.
Procedure di registrazione per il voto nello Stato del Tamil Nadu (Afp)
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
«L’esprit du Judaïsme» di Bernard-Henry Lévy
Un ebreo gioioso
Don Bosco e l’educazione dei giovani
Buoni cristiani
onesti cittadini
di GRAZIA LOPARCO
storico viene svegliato dalla riflessione sul presente, che pone domande al passato al fine di una
più profonda conoscenza della
propria missione nel contesto attuale. Coerentemente, la riflessione conclusiva di don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore in
carica, verte sul futuro del carisma
di don Bosco a partire dal concilio
Vaticano II. Tra passato e presente
emergono somiglianze, ma anche
differenze e distanze, proprio perché ciò che è storico è destinato al
cambiamento e, se la pratica restasse uguale, diventerebbe culto
desueto di una fedeltà formale (la
cenere) rispetto alla necessità di
tradurre la proposta (il fuoco) in
categorie adeguate ai giovani di
oggi, così diversi da quelli di ieri.
Ma qual è il nocciolo che perdura
nel tempo, e quali aspetti invece
lo rivestono storicamente e dunque vanno continuamente sottoposti a discernimento per conservare
il dinamismo di un dono attuale
in ogni “oggi”? Un carisma in
astratto non è identificabile, né lo
si potrebbe isolare, come in laboratorio, dalle uniche categorie che
consentono alla persona di accoglierlo e rispondervi in concreto,
vale a dire spazio e tempo. La presentazione del vissuto attiva un
ono usciti due volumi
sullo sviluppo del carisma salesiano nel mondo,
a cura dell’Istituto Storico Salesiano e del Centro
Studi Figlie di Maria Ausiliatrice
(Fma): Sviluppo del carisma di don
Bosco fino alla metà del secolo XX,
(Roma, Editrice Las, 2016, pagine
412 e 638), Aldo Giraudo, Grazia
Loparco, José Manuel Prellezo,
Giorgio Rossi. La ricerca sulla “fortuna” del metodo educativo del
santo piemontese è nata dal congresso internazionale organizzato a
Roma nel novembre 2014 in occasione del bicentenario della nascita
di san Giovanni Bosco (1815-2015).
Invece di scandagliare la sua
biografia, abbastanza nota, si è indagato su quello che ha avuto origine da lui ed è continuato dopo
di lui — morto nel 1888 — spingendo lo sguardo nella storia e nella
geografia, come egli stesso amava
fare. Avendo fondato una congregazione maschile, una femminile e
l’associazione dei cooperatori salesiani, in quarantacinque ricerche,
tra quindici di carattere generale e
trenta locali, emerge la vigorosa
diffusione dell’opera salesiana.
All’inizio si presenta una statistica dello sviluppo delle
presenze — persone, opere e case in molti Paesi —
di salesiani e Figlie di
Maria Ausiliatrice fino
agli anni Cinquanta del
ventesimo secolo. La seconda parte è in formato
digitale e riguarda il necessario completamento
della prima su tematiche
strutturate in tre parti.
Nel 2011 don Pascual
Chávez Villanueva, allora
rettor maggiore dei salesiani, esplicitando il tema, “sviluppo del carisma di don Bosco”, notava che il termine carisma
andrebbe assunto nel suo
significato più ampio,
non solo teologico, bensì
anche sociologico e culturale; e che esso andrebbe approfondito insieme
all’espressione
“sviluppo”. Si tratta dunque di
uno studio di carattere
storico, tanto più che si
Michele Schemboche, «Don Bosco in preghiera»
affronta il periodo com(Torino, 1880)
preso tra la fase conclusiva della vita di don Bosco e l’inizio degli anni
Cinquanta del Novecento, nei qua- circolo ermeneutico che coinvolge
li emergono cambiamenti sostan- ogni lettore con la sua esperienza,
ziali pienamente rivelati nei decen- la sua precomprensione, le sue atni successivi.
tese e interrogativi, come parte viL’attualità del carisma costitui- va di questa storia o per appartesce tuttavia la prospettiva di riferi- nenza istituzionale o per sintonia
mento. In altri termini l’interesse di interessi.
S
La scomparsa di Alvise Zorzi
Lo storico Alvise Zorzi, tra i
massimi conoscitori e studiosi
della Serenissima Repubblica
di Venezia e della vita della
città lagunare, è morto il 14
maggio. Era nato il 10 luglio
del 1922. Scrittore, saggista, ha
fatto parte del Comitato Consultivo per Venezia dell’Unesco ed è stato, tra gli altri incarichi ricoperti, direttore dei
programmi culturali della Rai
e vicepresidente dell’unione
europea di Radiodiffusione.
La notizia è stata resa nota dal
figlio, Pieralvise, che su un social network ha annunciato: «è
morto il Doge».
di CRISTIANA D OBNER
hl è una sigla che si
decritta
all’istante:
Bernard-Henry Lévy,
filosofo, combattente
sulle barricate dalla
Bosnia all’Ucraina, da Darfour
alla Libia, manager d’industria,
scrittore. La sua ultima ricerca,
molto attesa, L’ésprit du Judaïsme (Grasset, Parigi, 2016, pagine 438, euro 22), si riallaccia e
riprende le tesi di Testamento di
Dio, pubblicato ben trentasette
anni fa. Chi legge viene accompagnato nell’itinerario intellettuale, familiare e personale
dell’autore che entra da filosofo
ebreo negli interrogativi che oggi scuotono le società e gli animi. L’opus — intenso come un libro “di combattimento”, di vita
vissuta — raccoglie lo
scavo di decenni
e propone un
lessico personale di
cui bisogna prendere atto
per poter
compren-
B
Per questi motivi, le tre parti dei salesiani e la loro declinazione in
volumi sono dedicate alla dimen- senso preventivo. Vari studi illusione storica, pedagogica, di spiri- strano l’identità e le eventuali contualità. Le informazioni sono attin- notazioni di genere dello stesso
te da circa un sessantennio di vis- spirito salesiano, mentre il mondo
suto, tuttavia mentre la prima parte cambiava e ridisegnava ruoli, aspetè dedicata all’evoluzione dell’opera tative e relazioni maschili e femminella concretezza dei contesti stori- nili nella società (più che, o in moci e culturali, espressa in scelte isti- do diverso, nella Chiesa). L’estentuzionali in dialogo con i processi sione dell’opera richiederebbe ben
politici, sociali, economici, la se- più numerosi studi monografici per
conda parte è di carattere più spic- dar conto della presenza educativa
catamente pedagogico. Si esamina di salesiani e Fma nella diversità
infatti lo sviluppo delle idee, degli delle aree geografiche e culturali,
orientamenti e della prassi educati- dei contesti ecclesiali e sociali, tutva della prima esperienza salesiana tavia già i temi presentati suggerinei contesti di diffusione delle co- scono altre piste, costituiscono un
munità. La terza parte, poi, è dedi- sondaggio esteso alle regioni più
cata alla spiritualità maturata a diverse e non solo a quelle — europartire dal fondatore, dalla sua pea e americana — sinora un po’
ispirazione.
più esplorate dalla storiografia e
Dato che don Bosco si propone- dalla pedagogia salesiana.
va di formare buoni cristiani e oneLa terza parte è dedicata alla
sti cittadini per la società, una rela- spiritualità, motivazione e orizzonzione introduttiva di storia civile te di don Bosco e dei suoi figli e
ha delineato le principali trasfor- figlie. L’articolazione delle ricerche
mazioni in atto a livello internazio- manifesta un’attenzione alla diffunale nel periodo esaminato, con at- sione dello spirito “salesiano” nel
tenzione a quelle sfide che più di- senso originario del termine; l’indarettamente riguardavano il mondo gine del modello di santità a esso
giovanile delle fasce popolari e me- correlato, emergente dai processi di
die o che si ripercuotevano su di beatificazione e canonizzazione di
esso. Questo consente di esplorare salesiani e Figlie di Maria Ausiliain quale misura salesiani e Fma sia- trice, l’attenzione alla sua dimenno stati in grado di recepire i cam- sione missionaria e universale. Il
biamenti e di operare di conse- modo di intendere la fedeltà allo
guenza. Per rispondere alla doman- spirito di don Bosco sia tra i saleda di fondo: come si è sviluppato il siani che tra le Fma, tra fine Ottocarisma salesiano, fino agli anni del cento e metà Novecento, è una
massimo incremento numerico dei chiave di lettura fondamentale per
salesiani e delle Fma?, si è scelto di comprendere anche le attuazioni e
interrogare molte fonti e, rispetto i modelli educativi, il coraggio ed
alla storia già un po’ più
nota fino al tempo di
don Filippo Rinaldi —
Un carisma non è identificabile in astratto
morto nel 1932 — di spingersi sino a dopo la see non può essere isolato
conda guerra mondiale,
come fossimo in un laboratorio
nel periodo immediatamente anteriore ai cambi
Le categorie che consentono di comprenderlo
connessi con il concilio
sono lo spazio e il tempo
Vaticano II e all’accelerazione dei processi storici
degli ultimi decenni.
La ricerca prende le mosse dalle eventualmente le reticenze rispetto
statistiche sull’intenso sviluppo del- ai cambiamenti. In tal senso le tre
le due congregazioni religiose che parti del testo sono strettamente
in quegli anni raggiungono i cin- correlate e si illuminano a vicenda.
que continenti. I dati fanno da
La valutazione conclusiva emersfondo a una riflessione su alcune ge dalla riflessione sul vissuto, terisposte istituzionali offerte alle esi- nendo costantemente presente il
genze educative e assistenziali clima contemporaneo che vigeva
emergenti, esaminando le direttive nella Chiesa universale, per meglio
dei due governi centrali, in cui il comprendere la ragione e il backrettor maggiore di turno aveva un ground di un certo modo di concepeso determinante. Diversi studi il- pire la fedeltà alla tradizione; di
lustrano l’attuazione locale di conseguenza il complesso rapporto
quanto pareva rispondente alla con la modernità e i suoi risvolti;
propria missione, seguendo o tal- la mentalità per lo più difensiva
volta forse anticipando le indica- emersa negli anni verso i mezzi
zioni, tra continuità e cambi richie- della comunicazione sociale e alcusti dai tempi. L’evoluzione del ni comportamenti inediti sempre
mondo lavorativo, la questione so- più comuni nelle famiglie.
ciale, l’avvicendamento di regimi
Don Bosco, con le sue scelte readittatoriali, nazionalismi e guerre, li e nella rappresentazione progresla diffusione crescente dell’istruzio- siva del personaggio, rimane la
ne popolare e insieme di ideologie chiave di lettura imprescindibile
anticlericali, i flussi migratori, il per comprendere lo sviluppo del
deciso impegno missionario, la na- suo spirito, come seme che preanscita della società di massa, l’asso- nuncia lo sviluppo dell’albero. Nei
ciazionismo giovanile cattolico, i volumi si va però oltre la sua avcambi di mentalità nelle famiglie vincente personalità, si esplora la
sono alcuni temi con cui si misura- sua eredità, per interrogarsi non sova l’impegno salesiano su scala lo su come è stata intesa la fedeltà
mondiale, forte di persone e di im- a lui da parte di chi ne ha prolunmagine, anche se insufficiente nei gato e istituzionalizzato le intuiziomezzi per rispondere a tutte le ri- ni riconosciute all’altezza dei temchieste ed esigenze.
pi, ma in ultima istanza sulla fedelL’anima educativa dell’azione tra tà odierna, dinamica e prospettica,
i giovani è al centro della seconda affinata, almeno nelle intenzioni,
parte della ricerca, in cui si richia- dall’esame critico, intellettualmente
mano gli orientamenti pedagogici onesto, del passato.
Il filosofo francese
dere gli svariati e colti stimoli,
gli aspetti politici, metafisici e
teologici, partendo da Roma
giungendo
alla
Repubblica
d’Oltralpe, perché «il popolo
francese è, più di altri, un popolo portatore di valori universali
e astratti». Il dittico La gloria
degli ebrei e La tentazione di Ninive ci porta sempre al vissuto
odierno, grazie a interrogativi filosofici che si stendono su tutto
il libro in una meditazione inesausta. La dimensione teologica,
dogmatica e dottrinale ebraica
non ha la meglio sulla riflessione filosofica critica, perché Lévy
non intende muoversi sulla linea
tracciata dalla dimensione teologica ma su quella storica, sia politica che della storia del pensiero. Quindi è un’indagine che
percorre secoli di pensatori e di
cultura. In una duplice dimensione: rivolta all’interno, dove la
conoscenza delle fonti rabbiniche attesta lo studio quotidiano;
rivolta all’esterno con gli impegni, non solo politici ma ampia-
Di fronte all’alternativa
persona di fede che non studia
e persona di studio
l’autore non esita
Sceglie la seconda
mente umani, e con la creazione
di una lingua specifica. I lemmi,
interdipendenti, del lessico si
possono individuare rapidamente: la gloria, l’elezione, l’identità
e lo studio. Quale la loro accezione? La gloria: l’ebraismo inteso come principio d’emancipazione per l’alterità, per la responsabilità verso il mondo, nel
rapporto all’altro; l’intera avventura del pensiero ebraico alla
scuola dei maestri Emmanuel
Lévinas, Franz Rosenzweig,
Benny Lévy e Albert Cohen, dai
greci a Marcel Proust, da Rashi
ad Auschwitz. La gloria si declina strettamente con il lemma
successivo, l’elezione: la tentazione di Ninive oppone all’idea
di popolo eletto quella di piccolo popolo, che diventa tesoro di
Dio. Un popolo sabbia «che
vuol dire la moltitudine ma anche, il silenzio, la mobilità tacita
e leggera, la duttilità, la leggerezza», l’ebraismo considerato
un universale-segreto. Lévy passa dal Giona biblico al Giona
odierno: dove vive? dove si trova? E proprio Giona si rivela il
modello profetico dell’autore, la
figura che lo sollecitò ad andare
a combattere in Libia. Modello
biblico per incarnare un modello di aiuto umanitario: l’impegno di Lévy si comprende e si
illumina proprio dalla sua lettura di Giona.
L’identità: Lévy afferma la
sua identità di ebreo. Il suo nome, infatti, è nella Torah, il suo
posto è qui, appartiene al giudaismo. Che non è un particolarismo ma un universalismo, in
cui non viene esaltata un’identità ma uno sforzo per superare le
identità, per arricchirle. Si può
condividere perché l’etica è più
importante della fede, perché
il rapporto con l’altro prevale
sul rapporto con se stesso.
Quanto si fa, conta di più
di quanto si è. Véronique,
l’amata sorella minore,
ha raccontato la sua
conversione in un libro che Lévy ritiene
bello ma che — per
la sua volontà di
saltare i passi, di
correre alla conclusione che è la
comunione, di
bruciare le tappe per arrivare
— si colloca in
un immaginario
che improvvisamente non è più
il suo. Lo studio: Lévy sostiene
che si può essere ebreo e ci si
può dichiarare ebreo, profondamente ebreo, senza credere
nell’esistenza di Dio. Non accetta la distinzione fra ebrei laici e
ebrei religiosi: «Preferisco opporre gli ebrei che pensano agli
ebrei che non pensano (…). Gli
ebrei ci sono non per credere
ma per studiare».
L’idea di Dio pervade le pagine della sua lunga meditazione,
anche se egli ritiene che non sia
centrale, anzi esclude sia il credere sia l’esistenza di Dio. Il
perno è un altro: lo studio inteso come sapere e intelligenza,
sulla scorta degli instancabili
commentatori ebrei che hanno
fatto scaturire dalla lettera lo
spirito che, in qualche modo, vi
era ripiegato.
Se Bernard-Henry Lévy ha
un’identità, questa è gioiosa in
rapporto all’ebraismo. Egli è un
ebreo gioioso perché l’ebraismo
non esalta un’identità ma arricchisce le identità, è un universalismo. Posto dinanzi all’alternativa tra persona di fede che non
studia e persona di studio, Lévy
non esita: sceglie la seconda.
Anche se resta aperto un interrogativo: se si trovasse dinanzi a
una persona di fede che simultaneamente studia? Il pensiero
corre al cardinale Carlo Maria
Martini e ne richiama la distinzione, molte volte ribadita, fra
pensanti e non pensanti, piuttosto che fra credenti e non credenti. Si tratta in fondo di una
ricerca gravida di speranza, portatrice della ragione dei Lumi
agganciata alla ragione della Torah e della fede. Elementi che
consentono l’iscrizione di tutti
nella storia, riconoscendoci come profeti. Convenire o dissentire con Bernard-Henry Lévy?
Piuttosto pensare e studiare da
credenti: «La partita è appena
iniziata».
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
pagina 5
Marc Chagall
«L’écho»
Nella società di oggi gli ebrei sono chiamati ad aprirsi al dialogo
Con coraggio
in mare aperto
di RENZO GATTEGNA
utte le Costituzioni degli
Stati democratici sono
ispirate e contengono il
principio della laicità, inteso come netta separazione tra lo Stato e le istituzioni e le
organizzazioni confessionali. In ogni
caso una netta distinzione tra leggi
civili e regole religiose, storicamente,
si è sempre rivelata la più forte garanzia per il rispetto dei principi di
libertà ed eguaglianza, soprattutto
per le minoranze, in quanto nessuna
ideologia o religione può essere privilegiata o sfavorita. Viene spontaneo domandarci se queste concezioni della democrazia e della laicità
siano ancora attuali di fronte alle
grandi sfide che l’umanità si trova a
fronteggiare e che derivano dalla
coesistenza all’interno delle stesse
entità nazionali e sovranazionali, di
identità, etnie e religioni che si riconoscono in principi e valori tra loro
contrastanti. Se ogni comunità esistente all’interno dello stesso contesto sociale pretendesse di rimanere
chiusa in se stessa e tesa a realizzare
al proprio interno una totale omogeneità di idee e di comportamenti, sarebbe inevitabile un progressivo irrigidimento delle posizioni e un’accentuazione dei contrasti e dei rischi
di conflitto.
È necessario che nelle società contemporanee si proceda a un aggiornamento di questi principi; non sembra più sufficiente che gli Stati garantiscano la libertà e l’eguaglianza
fra i cittadini, si sente la necessità
che si fissino anche le regole e si garantisca la possibilità che tra le varie
componenti si svolga un pacifico e
produttivo scambio culturale. Nel
secolo scorso milioni di ebrei sono
emigrati o fuggiti verso l’Europa occidentale, le Americhe e Israele divenendo parte integrante e costitutiva
di società nelle quali è certo indispensabile conservare la propria
identità, ma anche uscire fisicamente
e psicologicamente dai ghetti, imparare a convivere, comunicare, integrarsi in società libere e aperte nelle
quali, in senso non retorico e non
teorico, la varietà è vera ricchezza e
le diverse ideologie, teologie e tradizioni convivono in pace, con pari dignità e reciproco rispetto. L’ebraismo deve conservare le sue caratteristiche originarie di rifiuto di qualsiasi forma di idolatria e di conciliare
rigore e flessibilità, lasciando, come
T
il Talmud insegna, ampi spazi alla
dissertazione filosofica, alla ricerca
scientifica e alla libertà di interpretare e sviluppare il dibattito come valore positivo e irrinunciabile, rispettando le diverse correnti di pensiero,
ma conservando sempre la capacità
di riportare tutto all’unità.
Le forme di chiusura e ripiegamento in se stessi, adottate nei secoli
scorsi dai nostri antenati per autodifesa, appaiono superate, inutili e
dannose in un mondo globale nel
quale confini e barriere si sono fortemente affievoliti e non esistono più
microcosmi impenetrabili e incontaminabili. Un futuro dell’ebraismo
che sia degno dei suoi valori universali e delle sue gloriose e plurimillenarie tradizioni non potrà esistere
senza l’uscita da qualsiasi forma di
isolamento, uscita alla quale siamo
insistentemente chiamati dalle società
contemporanee e democratiche nelle
quali viviamo e delle quali siamo
parte integrante. Sarebbe un’illusione
antistorica, un errore fatale, la perdi-
ta di un’occasione unica, e forse irripetibile, se ci sottraessimo all’apertura e al confronto che, si badi bene,
sono cose ben diverse, anzi opposte,
all’assimilazione; sono infatti prove
di fiducia in noi stessi e stimoli al
rafforzamento della nostra cultura e
della nostra identità per poter essere
all’altezza di qualsiasi sfida o confronto e in tal modo sconfiggere, una
volta per tutte, quell’insegnamento
del disprezzo che non è ancora completamente debellato.
Per noi è opportuno
e necessario uscire dai
porti, solo apparentemente sicuri, staccarci
dagli ormeggi fissi e
statici e affrontare coraggiosamente il mare
aperto guidati con
Pubblichiamo ampi stralci della relazione
prudenza e con sagconclusiva del presidente dell’Unione delle
gezza dai nostri Maecomunità ebraiche italiane (Ucei)
stri; navigare nel mare
pronunciata il 15 maggio in occasione della
aperto può sempre
riunione del Consiglio dello stesso
comportare rischi e riorganismo. In essa il presidente dell’Ucei,
servare sorprese, ma
in carica dal giugno del 2006, ha
non esistono alternatiannunciato di non aver ripresentato la sua
ve se si vuole conticandidatura alle elezioni del 19 giugno,
nuare a partecipare e
«certo che sia giunto il momento migliore
contribuire, come proper facilitare e assecondare un tranquillo e
democratico ricambio al vertice».
tagonisti, all’evoluzio-
Dieci anni da presidente
A colloquio con il rappresentante dell’ebraismo italiano
Convivenza e solidarietà sono possibili
incontro è cordialissimo, come
d’istinto già la
prima volta, diversi anni fa brevissimamente. Ma stavolta è diverso, per una conversazione
senza fretta, mentre le ombre e
il silenzio della sera progressivamente avvolgono lo studio in
un vecchio palazzo di Prati.
Romano, settantaseienne, sposato da oltre quarant’anni, due
figli già grandi, due nipotine,
Renzo Gattegna è dal 2006
presidente dell’Ucei, l’Unione
delle comunità ebraiche italiane; in altre parole, il rappresentante dell’ebraismo di fronte allo Stato.
Avvocato civilista, rievoca innanzitutto con passione il suo
itinerario all’interno della comunità romana, quando nella
prima metà degli anni Cin-
L’
quanta diversi suoi amici fondarono un circolo giovanile
ebraico. Vive nella memoria di
Gattegna restano la figura di
Augusto Segre, capo del dipartimento culturale dell’Ucei, e la
sua visione molto aperta
dell’ebraismo: era un uomo
«portato a dialogare», che insisteva sempre sui diritti civili e
sulla libertà di tutti.
Nel 1967 dalla Libia arrivò
un’ondata di “tripolini” e si pose il problema di accogliere una
intera comunità «per farla sentire integrata»: non fu facile,
certo, ma ci siamo riusciti, dice.
Il ricordo dell’episodio è sintomatico dell’atteggiamento di
Gattegna, pacato e fiducioso.
Nei rapporti non semplici
all’interno del variegato ebraismo italiano, con le istituzioni
civili, con la maggioranza cattolica. E qui, insieme alla me-
moria di Elio Toaff, si staglia
quella di Papa Giovanni e dei
suoi successori, ma soprattutto
del concilio e della Nostra aetate, la dichiarazione sui rapporti
con le religioni non cristiane.
Tanto breve quanto fondamentale, il documento ha segnato
una svolta e, per quanto riguarda l’ebraismo, le celebrazioni
cinquantenarie sono state una
conferma dell’alleanza divina
originaria, mai revocata e irrevocabile, con Israele: e ora questa conferma è «un segno inequivocabile, un vero segno dei
tempi» commenta il presidente
dell’Ucei.
Il colloquio si allarga: nei
paesi occidentali, secondo Gattegna, siamo stati molto fortunati per questi «settant’anni di
pace, libertà, benessere». Oggi
però siamo di fronte a nuovi
pericoli: dalla crisi economica
Conclusa la settimana di evangelizzazione dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi
Per una diversità riconciliata
di D ONATELLA COALOVA
La sfida della nuova evangelizzazione interpella allo stesso modo protestanti, cattolici e ortodossi. Ed è significativo che
da più parti si avverta il bisogno di uno
stile missionario che s’incarni nella storia,
spalanchi le porte, si mescoli fra la gente. Conoscere e comunicarsi reciproca-
Enguerrand Quarton, «La Vergine della Misericordia» (1453)
ne della civiltà contemporanea e al
tempo stesso riscoprire continuamente la nostra forza interiore. La
nostra forza dovrà esprimersi, d’ora
in avanti, indirizzando il nostro popolo fuori e lontano dai ruoli contraddittori che chi non ci ama tende
da secoli ad attribuirci, di vittime, di
sfruttatori, di arroganti e spietati
usurpatori. Noi ebrei, anche sulla
base della nostra esperienza storica,
dovremmo rifuggire da qualsiasi tentazione all’estremismo, alla faziosità,
alla chiusura in noi stessi, all’isolamento culturale, al verbo unico, ai
dogmi; dovremmo combattere il fascino insidioso della demagogia
ideologica e verbale, sia teorica che
pratica.
Estremismo e demagogia sono figli della paura e si nutrono di banali, arbitrarie e volgari semplificazioni, alterano le relazioni umane, inducono al pregiudizio e all’odio nei
confronti del diverso, stimolano alla
continua e perenne ricerca di nemici
veri o immaginari, alla diffidenza
verso gli amici, all’alterata visione di
una realtà sempre e solo bianca o
nera, senza sfumature. L’estremismo
del linguaggio, l’uso sconsiderato di
provocazioni verbali, non toccano
solo aspetti di pura forma perché
producono effetti traumatici e danni
reali e concreti, sviluppano la tendenza a demonizzare non solo gli
avversari, ma spesso anche gli amici
se chiedono uno spazio per il dialogo o una maggiore apertura. Se un
simile degrado si presentasse fra noi
dovrebbe essere duramente contrastato ricordandoci che, secondo la
Legge ebraica, nessuno ha il diritto
di affermare di essere un’autorità suprema depositaria della verità e che
nessuno è titolare del potere assoluto e indiscutibile di accogliere o di
escludere chiunque. Fondamentalismo e integralismo non sono termini
equivalenti, anche se frequentemente
vengono abbinati e confusi. La differenza emerge chiaramente se si risale
alla loro origine storica ed etimologica. Nonostante le differenze, sia il
fondamentalismo che l’integralismo
aspirano alla costruzione di società e
di stati teocratici nei quali tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giurisdizionale siano ispirati e sottomessi a
un solo potere religioso. Appare
ogni giorno più evidente quali siano
le drammatiche conseguenze che derivano dal rifiuto dei principi di democrazia e di laicità dello Stato, i
soli che possono assicurare parità di
diritti e dignità fra maggioranze e
minoranze, fra credenti e non credenti, fra cittadini e stranieri.
mente le esperienze potrebbe essere un
modo per vivere lo scambio dei doni a
cui invita il movimento ecumenico.
L’Unione delle Chiese metodiste e valdesi ha celebrato quest’anno (dall’8 al 15
maggio) la “Settimana di evangelizzazione”, giunta alla sua terza edizione e accompagnata dal versetto: “Scorra il diritto come acqua e la giustizia come un
torrente perenne” (Amos, 5, 24), un passo
biblico «scelto — hanno spiegato gli organizzatori — anche pensando ai profughi delle guerre in atto in questi tempi,
comprese stragi e terrorismo che insanguinano diverse nazioni».
La storia di questa iniziativa inizia con
un atto del sinodo 2013 che diede «mandato alla Tavola d’istituire per l’anno
2014, in forma sperimentale, possibilmente in primavera» questa Settimana.
Un atto dell’anno successivo recita: «Il
sinodo, informato degli incoraggianti risultati ottenuti nella Settimana dell’evangelizzazione 2014, invita la Tavola valdese a inserire la Settimana dell’evangelizzazione nel calendario delle iniziative
proposte alle Chiese a livello nazionale,
preferibilmente nel periodo immediatamente precedente Pentecoste».
La commissione per l’evangelizzazione, coordinata dal pastore Giuseppe Ficara, ha lavorato per facilitare l’organizzazione dell’iniziativa nelle comunità,
preparando e immettendo nell’apposito
sito vari sussidi, sermoni, volantini, locandine, filmati. Il protestantesimo è illustrato con chiarezza e semplicità nei
suoi aspetti essenziali. Da segnalare
“Una fede, una missione”, un opuscolo
di autopresentazione che, su otto pagine,
ne dedica una a trattare “La nostra scelta: il dialogo. Guardare nella prospettiva
ecumenica e interreligiosa”. Sono state
numerose le iniziative in tutta Italia durante questa Settimana dell’evangelizzazione. Ci sono stati concerti, mostre, predicazioni, dibattiti, tavole rotonde, pasti
in comune, momenti di festa e anche di
riflessione. «Nell’anno 2015/2016 — ha
spiegato il pastore Pawel Gajewski — il
Vangelo secondo Marco è il filo conduttore delle nostre attività e così abbiamo
deciso di rileggerlo interamente insieme
a tutte le nostre amiche e amici con cui
condividiamo il cammino ecumenico».
Renzo Gattegna (foto di Giovanni Montenero)
mondiale al terrorismo, che infierisce soprattutto sui moderati
e perseguita le minoranze, in
particolare i cristiani. Fino al
deterioramento dell’ambiente,
che è tra le cause delle migrazioni forzate. Ma si può e si
deve collaborare, ripete con
convinzione il presidente dell’Ucei: bisogna «arrivare a una
pacifica convivenza» perché, se
è vero che il passato ha lasciato
segni profondi, «è importante
far prevalere la fraternità e consolidare questo momento, forse
irripetibile».
In questo processo di collaborazione tra fedi diverse un
ruolo importante ha la laicità,
dice con convinzione Gattegna,
e precisa: «la laicità, non il laicismo, che è un’ideologia antireligiosa; in questo sono d’accordo con il Papa». Ha coraggio il Pontefice, chiosa il presidente dell’Ucei, e «sa esprimersi in modo che tutti lo capiscano». Con secolarizzazione e
politica in crisi, c’è una riscoperta religiosa. Ma è forte il
pericolo degli integralismi e dei
fondamentalismi, ai quali Gattegna si è sempre opposto, non
solo
come
rappresentante
dell’ebraismo italiano.
Il presidente dell’Ucei ne è
convinto: il pregiudizio è «basato sulla non conoscenza».
Certo, in Italia l’interesse per
l’ebraismo e la sua cultura è
cresciuto molto, ma non altrettanto «la reciproca conoscenza
tra ebrei e cattolici» perché «i
cambiamenti sono rimasti finora nelle élite». Oggi, continua
Gattegna, «gli ebrei possono
essere per tutti un esempio di
una minoranza capace d’integrarsi», e ripete che più in generale l’attuale rapporto tra cattolici ed ebrei «è un segno che
la convivenza e la solidarietà
sono possibili». Si è fatto tardi
ed è sceso il buio, ma la conclusione del colloquio guarda
con ottimismo al futuro, accompagnata dall’aria primaverile che si avverte appena scesi in
strada, tra gli alberi. (g.m.v.)
Cofondatrice di Nomadelfia
È morta
Irene Bertoni
Irene Bertoni, cofondatrice assieme a
don Zeno Saltini di Nomadelfia
(Grosseto), è morta il 15 maggio. Lo
rende noto la stessa comunità di accoglienza. Bertoni, nata a Mirandola
(Modena) il 6 febbraio 1923, era entrata in Nomadelfia, allora Opera
Piccoli Apostoli, il 21 luglio 1941.
«Nel corso della sua esistenza — ricorda la comunità — ha donato la
maternità a 58 figli»: con Irene nasce
infatti nella Chiesa e nel mondo la
figura delle vergini non consacrate,
che rinunciano al matrimonio per accogliere figli abbandonati. Sono le
cosiddette «mamme di vocazione»,
che in questi anni hanno accolto
moltissimi bambini abbandonati.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
Nell’esortazione di Papa Francesco sulla famiglia
L’amore
e le sue trasformazioni
di FRANCO GIULIO BRAMBILLA*
Caritas Italiana e Migrantes sull’accoglienza ai rifugiati
Più diritti
e percorsi per l’integrazione
ROMA, 16. No alla «scelta scellerata» degli hotspot voluti dall’Europa
perché «non rispettano i diritti dei
migranti e le procedure» per la richiesta d’asilo o altre forme di protezione umanitaria. È netta la posizione di Caritas Italiana, che dal 12
al 15 maggio ha partecipato con i
rappresentanti delle Caritas diocesane al festival «Sabir» sulle culture
mediterranee organizzato a Pozzallo
(Ragusa) da numerose organizzazioni impegnate sul fronte dell’accoglienza.
Nelle stesse ore in cui in Sicilia e
Calabria sono sbarcati circa mille
migranti provenienti dall’Egitto, i
delegati di Caritas Italiana hanno
visitato il centro di Pozzallo, uno
dei cinque hotspot già attivi in Italia, insieme a quelli di Augusta, Taranto, Lampedusa e Porto Empedocle. Attualmente vi sono accolte 180
persone di cui ben 140 sono minori,
con un aumento del 170 per cento
rispetto allo scorso anno. «Il problema grave — ha spiegato all’agenzia Sir Oliviero Forti, responsabile
dell’ufficio immigrazione di Caritas
Italiana — è che questi minori, spesso non accompagnati, non si riescono a ricollocare. Non ci sono strutture in Italia che possono ospitarli,
anche a causa della diminuzione dei
fondi delle rette di accoglienza».
Tuttavia, i rilievi mossi da Caritas
Italiana sono molto più ampi. «Noi
critichiamo il sistema dell’hotspot —
ha detto Forti — così come lo ha immaginato l’Europa: in Italia o in
Grecia, l’idea di creare una procedura accelerata che non rispetta i diritti dei migranti per individuare, al
momento dello sbarco, chi ha diritto
a rimanere e chi deve essere invece
respinto, per noi è una compressione inaccettabile dei diritti. Chiediamo di ritornare completamente alla
situazione prima degli hotspot: accelerare sì le pratiche, ma sempre
nel rispetto dei diritti e delle procedure».
La Caritas e le altre organizzazioni umanitarie hanno infatti riscontrato rimpatri di migranti «senza
che abbiano avuto prima le necessarie informazioni». A Pozzallo, ha rilevato il responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana,
«questo avveniva fino a gennaio,
oggi non succede più anche grazie
alla nostra azione di pressione ma in
altri hotspot accade ancora. Abbiamo notizie di persone rimpatriate in
Grecia senza nessun tipo di garanzia, senza informazioni su dove andavano, con il sequestro dei telefonini. Sono una serie di segnali che
confermano la nostra preoccupazione». Nell’hotspot di Lampedusa, invece, «non ci sono questioni particolarmente drammatiche — ha precisato ancora Forti — se non la permanenza troppo prolungata di so-
mali che rifiutano di farsi identificare. Non li trasferiscono sulla terraferma fino a che non danno le impronte. Questo denota la debolezza
del sistema».
Forti riserve sulle misure approntate dall’Unione europea per far
fronte alle ondate di arrivi sono state mosse anche da monsignor Giancarlo Perego, direttore della fondazione Migrantes. «La prima reazione dell’Europa — ha detto il sacerdote a Radio Vaticana — che è stata
quella di costruire un accordo con
la Turchia, è stata certamente nella
direzione della non tutela di alcuni
diritti fondamentali per quanto riguarda i richiedenti asilo e i rifugiati. Quindi una debolezza di una tutela di un istituto fondamentale su
cui è poggiata la nostra democrazia.
Al tempo stesso rimane ancora debole la capacità dell’Europa di questa accoglienza diffusa in tutti i 28
Paesi europei che potrebbe essere
efficace visto anche l’attuale numero
che si aggira intorno a un milione e
200 mila persone». In questo senso,
ha aggiunto, «l’Europa non solo
investe troppo poco, ma investe male; è troppo preoccupata del controllo delle frontiere attraverso gli
hotspot e meno preoccupata invece
di tutti questi percorsi di accoglienza, di inclusione, di integrazione,
che sono importantissimi in questo
momento».
Appello per una delle emergenze più gravi del pianeta
Sud Sudan terra dimenticata
JUBA, 16. La situazione umanitaria in Sud Sudan è una delle
peggiori del pianeta. Oltre quarantamila persone stanno morendo di fame mentre un quarto della popolazione ha urgente
bisogno di aiuti alimentari. La
nazione più giovane del mondo
da tre anni è martoriata da una
guerra civile che ha già causato
decine di migliaia di vittime e
milioni di profughi, eppure il
Paese africano è ricco di acqua
e terreni coltivabili nonché di
petrolio.
«Si tratta — ha ricordato il
segretario generale di Caritas
Internationalis, Michel Roy —
di una guerra dimenticata. Ab-
biamo avuto difficoltà a reperire fondi necessari per sostenere
le popolazioni. Credo che la
comunità internazionale sia cosciente di questa situazione.
Oggi, ci sono persone in Sud
Sudan che muoiono di fame e
ciò non è accettabile. Dobbiamo lavorare su questo».
Secondo Roy, quella del Sud
Sudan è una guerra dimenticata sulla quale nessuno è in grado con esattezza di fornire cifre
attendibili. Si stima che circa
2.300.000 persone abbiano abbandonato le loro case; più di
sei milioni, la metà della popolazione, ha bisogno di aiuti alimentari d’emergenza, e sono
stati reclutati circa 15.000 bambini soldato. L’insicurezza alimentare e lo sfollamento di intere comunità completano il
quadro di una crisi umanitaria
in cui si intrecciano conflitto
armato, shock climatici e collasso economico. «Così — ha sottolineato Roy — un intero Paese
è in guerra e distrutto. Non
c’era molto prima, ma ora è ancora peggio. È davvero una situazione terribile, una delle
peggiori del mondo di oggi».
Dal 2013, il Sud Sudan è stato coinvolto in una brutale e
sanguinosa guerra civile tra i
sostenitori del presidente Salva
Kiir, e il suo avversario ed ex
vicepresidente, Rijek Machar.
Per ragioni politiche ed etniche, il Paese africano continua
a sanguinare. Nel frattempo, il
suo vicino, il Sudan, non ha
mai visto di buon occhio l’indipendenza del Sud Sudan. Per
Roy, la responsabilità è di tutti,
sia della popolazione del Sud
che di quella del Nord.
Secondo le Nazioni Unite, 6
persone su 10 hanno perso un
membro della famiglia in una
guerra nel corso della quale sono stati commessi crimini atroci. Alcune fonti parlano di
300.000 morti. Per gli analisti
internazionali, l’assenza di dati
affidabili dà una sorta di immunità a chi compie questi crimini e la garanzia che potranno
continuare a essere perpetrati.
Nonostante le mille difficoltà,
Caritas Sud Sudan, con fondi
limitati, continua ad assistere
una popolazione allo stremo
che interpella il mondo in cerca
di pace.
«Dacci oggi il nostro amore
quotidiano!». Il cammino della
coppia si trasforma in invocazione orante. La prima parte del
capitolo IV (nn. 90-119) di Amoris laetitia ha delineato una mirabile sintesi tra passione erotica
e tenerezza dell’amore. La carità
coniugale è un amore santificato
dalla grazia del sacramento. Così la grazia di agape (di Cristo
per la sua Chiesa) diventa il segno storico-salvifico dell’agape
trinitaria, sorgente del “mistero
grande” dell’amore.
Con realismo Papa Francesco
nel seguito del capitolo svolge il
cammino storico dell’amore (nn.
120-162) e le sue trasformazioni
(163-164). Egli afferma, infatti,
che «non si deve gettare sopra
due persone il tremendo peso di
dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa» (n. 122).
Tra l’amore di Cristo per la sua
Chiesa e il rapporto uomo donna esisterà sempre un’asimmetria
invalicabile e un insopprimibile
rimando.
Per questo il Papa nel bel n.
123 sulla scorta di Tommaso definisce l’amore coniugale come
«la più grande amicizia» (maxima amicitia). Nel rapporto uomo donna la differenza assume i
tratti della sponsalità esclusiva e
dell’apertura al definitivo. Secondo le parole del Bellarmino
ciò non può accadere «senza un
grande mistero» (n. 124). Segue
un ventaglio di numeri che
disegnano alcuni tratti del
«totius domesticae conversationis
consortium» (San Tommaso).
L’incontro uomo donna diventa
così l’archetipo dell’amore di
amicizia.
Lo sguardo di Papa Francesco
sulla “drammatica” dell’amore
arricchisce la famiglia dell’eloquenza di gesti affascinanti. La
vicenda di una coppia e la generazione dei figli deve viaggiare
tra le false idealizzazioni e le cadute deprimenti. È un’armonia
di note che risuonano nella vita
della famiglia: la cura della gioia
(n. 126), l’estetica della bellezza
del valore dell’altro (n. 127-9), la
condivisione del dolore (n. 130),
la preparazione al passo definitivo (nn. 131-132), la pratica e la
crescita dell’amore (permesso,
grazie, scusa: nn. 133-135), il dialogo, l’ascolto e il tempo donato
(n. 136-141), la custodia e l’educazione dei sentimenti (nn. 143149), lo stupore della dimensione erotica, le sue deviazioni e le
sue riprese (nn. 150-157), il
rapporto con la verginità (nn.
158-162).
Infine, corona questo capitolo-gioiello un cenno (nn. 163164), risuonato anche nell’aula
del sinodo, sulle “trasformazioni
dell’amore”. Se l’amore è un labor, un cammino e una lotta, esso è soggetto alla trasformazione
delle sue figure. Solo l’assolutizzazione della forma romantica
Claude Monet, «Passeggiata nei pressi di Argenteuil» (1873)
dell’innamoramento, spesso con
fantasmi fortemente adolescenziali, produce un’esaltazione e
un’idealizzazione
dei
modi
dell’amore.
Papa Francesco in due numeri
racconta le cose essenziali sui
cambiamenti dell’amore. Anzitutto, il prolungamento della vita prospetta un mutamento della
relazione intima e del senso di
appartenenza per più decenni
successivi, spostandosi dal desiderio sessuale al sentimento di
Ad Amman una struttura che dà lavoro ai profughi
Il giardino
della misericordia
AMMAN, 16. Un’azienda dedita
all’agricoltura
“sostenibile”,
con seicento olivi piantati su
un terreno di circa diecimila
metri quadri, che impiega
quindici lavoratori, scelti tra i
profughi iracheni, ma anche
tra i giordani disoccupati: è
questo il “giardino della misericordia”, progetto solidale
inaugurato nei giorni scorsi ad
Amman, in Giordania, presso
il Centro “Nostra Signora della
Pace”. All’evento — riferisce Fides — erano presenti il patriarca di Gerusalemme dei Latini,
monsignor Fouad Twal, e il
nunzio apostolico in Giordania
e in Iraq, arcivescovo Alberto
Ortega Martín.
L’iniziativa, finanziata per
volere di Papa Francesco con
le offerte dei fedeli raccolte
presso il padiglione della Santa
Sede in occasione di Expo Milano 2015, rappresenta un segno concreto della sollecitudine pastorale della Santa Sede e
delle Chiese locali verso le popolazioni del Medio oriente,
travolte dai conflitti, dalle violenze e dalle emigrazioni forzate.
«Il giardino della misericordia — ha sottolineato durante
la cerimonia di inaugurazione
l’arcivescovo Ortega Martín —
non è solo il luogo in cui i rifugiati e le persone bisognose
possono trovare un lavoro e un
complicità. Occorre sviluppare
altri tipi di appagamento che
rendono capaci di godere le diverse età della vita, la generazione dei figli e la ripartenza con la
venuta dei nipoti. Infine, la fedeltà al proprio progetto di vita
genera forme simboliche di condivisione che talvolta si scoprono soprattutto con la perdita del
partner.
Un testo sintetico dice bene
la capacità di realizzare la totalità, talvolta debordante dell’amore erotico, nella dedizione profonda dell’amore di benevolenza. Ascoltiamo questo brano:
«Ci si innamora di una persona
intera con una identità propria,
non solo di un corpo, sebbene
tale corpo, al di là del logorio
salario, ma può anche diventare un luogo di dialogo e di incontro tra persone di religioni
diverse, secondo quanto è stato
scritto da Papa Francesco nella
bolla di indizione del giubileo
straordinario della misericordia». Durante l’inaugurazione,
il presidente di Caritas Giordania, Wael Suleiman, ha annunciato la prossima realizzazione
di analoghi micro-progetti a
Madaba, Zaqrqa e Fuheis, finalizzati a creare posti di lavoro a favore di rifugiati e famiglie giordane prive di reddito.
Il mese scorso, l’ente caritativo giordano ha aperto nella
città di Salt un ambulatorio
medico e uno odontoiatrico,
uno spazio per l’infanzia, sale
attrezzate per corsi di istruzione e formazione professionale
al fine di dare un contributo
concreto ad affrontare i problemi e le emergenze — sanitarie,
umanitarie e scolastiche — che
in quell’area riguardano le fasce più povere della popolazione e i rifugiati provenienti da
Iraq e Siria. Caritas Giordania
gestisce quindici centri distribuiti in tutto il Paese, dove
operano quattrocento dipendenti e circa duemila volontari.
Il centro di Salt è stato aperto
anche grazie al contributo di
“Development and Peace Canada”, organismo umanitario
legato al Governo canadese.
del tempo, non finisca mai di
esprimere in qualche modo
quell’identità personale che ha
conquistato il cuore. Quando gli
altri non possono più riconoscere la bellezza di tale identità, il
coniuge innamorato continua ad
essere capace di percepirla con
l’istinto dell’amore, e l’affetto
non scompare. Riafferma la sua
decisione di appartenere ad essa,
la sceglie nuovamente ed esprime tale scelta attraverso una vicinanza fedele e colma di tenerezza. La nobiltà della sua decisione per essa, essendo intensa e
profonda, risveglia una nuova
forma di emozione nel compimento della missione coniugale»
(n. 164).
Proprio nelle trasformazioni
dell’amore la grazia di agape è
capace di attivare il lavoro di
eros, attraverso la feconda gestazione dell’“amicizia più grande”.
Eros, philía e agape celebrano la
loro danza circolare nella fecondità di un cammino che s’irradia
sui sentieri della vita. Questa
sintesi dell’amore è il riverbero
della pericoresi trinitaria nella
storia, non un suo facile rispecchiamento, né solo un trionfale
inveramento, ma la sua “incarnazione” nella relazione tra l’uomo e la donna.
In sintesi, potremmo dire che
charitas salutis cardo. Se all’inizio Dio “uomo e donna li creò”
nella tenerezza preveniente del
dono, la misericordia di Cristo
“uomo e donna li unirà” nel
cammino con cui la grazia di
agape porta a pienezza il lavoro
di eros. Solo affidandosi alla relazione promettente nell’attraversamento del deserto della vita, l’uomo e la donna entreranno nella terra promessa in cui
scorre in abbondanza la gioia.
*Vescovo di Novara
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
pagina 7
Nella messa di Pentecoste il Papa ricorda qual è la vocazione originaria del cristiano
Da orfano a figlio
L’uomo di oggi vive spesso in una condizione di «orfano», immerso in una
«solitudine interiore» che a volte si trasforma in «tristezza esistenziale». Nel
constatarlo Papa Francesco — all’omelia della messa di Pentecoste celebrata
domenica mattina, 15 maggio, nella basilica vaticana — ha invitato i cristiani a
riscoprire la «vocazione originaria, il nostro più profondo “DNA”», che consiste
nel vivere «la condizione di figli» alla quale conduce lo Spirito Santo.
«Non vi lascerò orfani» (Gv 14, 18).
La missione di Gesù, culminata nel
dono dello Spirito Santo, aveva questo scopo essenziale: riallacciare la
nostra relazione con il Padre, rovinata
dal peccato; toglierci dalla condizione
di orfani e restituirci a quella di figli.
L’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma, dice: «Tutti quelli
che sono guidati dallo Spirito di
Dio, questi sono figli di Dio. E voi
non avete ricevuto uno spirito da
schiavi per ricadere nella paura, ma
avete ricevuto lo Spirito che rende
figli adottivi, per mezzo del quale
gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,
14-15). Ecco la relazione riallacciata:
la paternità di Dio si riattiva in noi
grazie all’opera redentrice di Cristo
e al dono dello Spirito Santo.
Lo Spirito è dato dal Padre e ci
conduce al Padre. Tutta l’opera della
salvezza è un’opera di ri-generazione, nella quale la paternità di Dio,
mediante il dono del Figlio e dello
Spirito, ci libera dall’orfanezza in
cui siamo caduti. Anche nel nostro
tempo si riscontrano diversi segni di
questa nostra condizione di orfani:
quella solitudine interiore che sentiamo anche in mezzo alla folla e che a
volte può diventare tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da
Dio, che si accompagna ad una certa
nostalgia della sua vicinanza; quel
diffuso analfabetismo spirituale per
cui ci ritroviamo incapaci di pregare;
quella difficoltà a sentire vera e reale
la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in
quanto figlio dello stesso Padre; e altri segni simili.
A tutto questo si oppone la condizione di figli, che è la nostra vocazione originaria, è ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo “DNA”, che
però è stato rovinato e per essere ripristinato ha richiesto il sacrificio del
Figlio Unigenito. Dall’immenso dono d’amore che è la morte di Gesù
sulla croce, è scaturita per tutta
l’umanità, come un’immensa cascata
di grazia, l’effusione dello Spirito
Santo. Chi si immerge con fede in
questo mistero di rigenerazione rinasce alla pienezza della vita filiale.
«Non vi lascerò orfani». Oggi, festa di Pentecoste, queste parole di
Gesù ci fanno pensare anche alla
presenza materna di Maria nel Ce-
nacolo. La Madre di Gesù è in mezzo alla comunità dei discepoli radunata in preghiera: è memoria vivente
del Figlio e invocazione vivente dello Spirito Santo. È la Madre della
Chiesa. Alla sua intercessione affidiamo in modo particolare tutti i cristiani, le famiglie e le comunità che
in questo momento hanno più bisogno della forza dello Spirito Paraclito, Difensore e Consolatore, Spirito
di verità, di libertà e di pace.
Lo Spirito, come afferma ancora
san Paolo, fa sì che noi apparteniamo a Cristo: «Se qualcuno non ha
lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» (Rm 8, 9). E consolidando la
nostra relazione di appartenenza al
Signore Gesù, lo Spirito ci fa entrare
in una nuova dinamica di fraternità.
Mediante il Fratello universale, che
è Gesù, possiamo relazionarci agli
altri in modo nuovo, non più come
orfani, ma come figli dello stesso Padre buono e misericordioso. E questo cambia tutto! Possiamo guardarci come fratelli, e le nostre differenze
non fanno che moltiplicare la gioia e
la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità.
Mino Cerezo Barredo, «Pentecoste»
Preghiere in armeno e in georgiano
Guardarsi dall’analfabetismo
spirituale, a causa del quale l’uomo
si ritrova incapace di pregare e
anche di sentire la vita eterna come
una realtà concreta. È la
raccomandazione fatta da Papa
Francesco durante le messa di
Pentecoste — solennità che
conclude il tempo pasquale —
celebrata domenica mattina, 15
maggio, nella basilica di San
Pietro.
In un mondo in cui si alzano
continue barriere non solo fisiche,
ma anche morali ed esistenziali, il
Conclusa la visita di monsignor Ayuso Guixot in Giappone
In dialogo con i buddisti per costruire ponti
«Aderire a qualsiasi iniziativa che
potrebbe in qualche modo favorire il dialogo per il bene dell’umanità», tenendo sempre ben presente ciascuno la propria identità,
ma al contempo aperti agli altri
con «rispetto e stima»: è questo
lo spirito che anima la collaborazione tra la Chiesa e l’organizzazione buddista Rissho Kosei-kai
(Rkk). Lo ha ricordato il vescovo
Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio
per il dialogo interreligioso, a
conclusione della visita compiuta
nei giorni scorsi in Giappone.
Dopo aver partecipato a una
conferenza con i leader religiosi
sul Medio oriente, domenica 15
maggio il presule ha incontrato i
vertici dell’Rkk con cui il dicastero ha rapporti decennali di collaborazione. Nel ricostruire la storia di queste relazioni, il vescovo
comboniano ha rievocato la partecipazione del fondatore Nikkyo
Niwano
come
osservatore
all’apertura della quarta sessione
del Vaticano II. «Egli — ha spiegato — amava dire che l’unica
strada per salvare il mondo e tutta l’umanità è quella della cooperazione tra le religioni». Invitato
nel settembre 1965 dal cardinale
Marella, Niwano fu ricevuto da
Paolo VI, al quale confidò che
avrebbe dedicato i propri sforzi
alla causa della pace nel mondo.
E Montini rispose che certamente
Dio avrebbe concesso la sua benedizione al nobile lavoro intrapreso dal leader buddista.
Mosso da queste parole del
Pontefice, il fondatore dell’Rkk si
convinse sempre più che «la missione delle persone religiose non
può essere realizzata se pensiamo
solo alla nostra tradizione o reli-
gione. D’ora in poi — si propose
— voglio essere un ponte che collega tutte le religioni». Di lì a
poco fondò la Conferenza mondiale delle religioni per la pace,
che si riunì per la prima volta nel
1970, appena cinque anni dopo la
dichiarazione conciliare Nostra
aetate, proprio in Giappone, a
Kyoto. «Oggi, la nostra collaborazione continua con lo stesso
spirito», ha proseguito Ayuso
Guixot, salutando Nichiko Niwano, il primogenito succeduto a
Nikkyo, e sua figlia Kosho Niwa-
no, co-presidente internazionale
di Religioni per la pace e membro del consiglio di amministrazione dell’International dialogue
centre - Kaiciid.
In proposito il segretario del
Pontificio consiglio ha espresso
compiacimento per l’assegnazione
del trentatreesimo Premio Niwano al Centro per la costruzione
della pace e della riconciliazione
in Sri Lanka. Si tratta, ha detto,
di «un modello ed esempio per
tutti noi nel lavoro di costruzione» di un clima di fiducia e di
relazioni, «come proposto anche
da Papa Francesco» attraverso i
suoi continui inviti a «un dialogo
basato sul rispetto e sull’amicizia». E ha concluso citando parole pronunciate dal Pontefice al
Bandaranaike Memorial International di Colombo il 13 gennaio
2015: «Spero che la collaborazione interreligiosa ed ecumenica dimostrerà che, per vivere in armonia con i loro fratelli e sorelle, gli
uomini e le donne non devono
dimenticare la propria identità,
sia essa etnica o religiosa».
Pontefice ha richiamato la comune
condizione di fratelli di tutti gli
uomini, in quanto figli dello stesso
Padre. Prova ne è la discesa dello
Spirito Santo che, come recita
l’antica sequenza cantata in latino
durante la celebrazione eucaristica,
dona riposo, riparo e conforto. Ma
ha anche il potere di aprire il cuore
degli uomini ai bisogni dei fratelli,
come ha sottolineato
il Papa nel tweet diffuso in
mattinata: «Vieni, Santo Spirito!
Liberaci da ogni chiusura e infondi
in noi
la gioia di annunciare il Vangelo».
Anche per questo, durante la messa
si è pregato per i poveri
e i sofferenti, per i cristiani in
difficoltà, per le vocazioni al
sacerdozio, per i legislatori e i
governanti, per la Chiesa.
Significativo che l’intenzione di
preghiera per i cristiani in difficoltà
sia stata letta in armeno, la lingua
della nazione dove il Papa si
recherà dal 24 al 26 giugno. Il
pensiero è andato immediatamente
alle sofferenze patite dai cristiani
armeni in varie epoche della loro
storia e, di conseguenza, ai credenti
che oggi in tante parti del mondo
soffrono e sono discriminati. Non è
mancata anche un’intenzione di
preghiera in georgiano, lingua del
Paese che il Pontefice visiterà dal
30 settembre
al 2 ottobre.
Hanno concelebrato trenta
cardinali, tra i quali,
Pietro Parolin, segretario di Stato, e
Appello del cardinale Turkson al convegno sulle cure pediatriche dell’Aids
Farmaci e terapie per tutti i bambini
«In diverse parti del mondo, e in particolare
in molte regioni dell’Africa, l’assistenza sanitaria per i bambini malati di Aids è ancora un
privilegio per pochi ». Non ha usato giri di
parole il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson nell’auspicare «risposte concrete al dramma dello scarso accesso alla diagnostica e alla
cura» della malattia provocata dal virus Hiv.
Rivolgendosi ai direttori di industrie di prodotti farmaceutici e diagnostici riuniti il 16 e il
17 maggio alla Casina Pio IV in Vaticano, per
un incontro sulle cure pediatriche, il presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace ha sottolineato come le testimonianze
dei missionari siano chiare riguardo alla lotta
contro la diffusione dell’Aids, ma anche contro
la malaria e la tubercolosi e le cosiddette malattie orfane, quelle, cioè, sostanzialmente
ignorate perché di interesse limitato per ricercatori e medici. Ecco perché — ha raccomandato il porporato — nell’anno giubilare della
misericordia bisogna «prendere in considera-
zione la dura situazione di questi bambini non
solo con l’intelligenza del mercato, ma anche
con l’intelligenza del cuore». Migliorare le cure in età pediatrica richiede non solo il coinvolgimento necessario «dei governi nazionali,
degli uffici delle Nazioni Unite, dei gruppi religiosi e delle aziende private», ma anche la
consapevolezza di un obbligo morale, di valori
basilari che guidino scelte azioni.
L’incontro in Vaticano è la seconda tappa —
dopo quello organizzato ad aprile da Caritas
internationalis insieme al programma delle Nazioni Unite per la lotta all’Aids (Uniaids) ) e
all’analogo programma governativo degli Stati
Uniti (Pepfar) — in preparazione al convegno
internazionale che si terrà a New York dall’8
al 20 giugno.
Proseguendo sulla linea di un linguaggio
molto diretto, il cardinale Turkson ha ricordato che nel Vangelo si legge: «Lasciate che i
bambini vengano a me», e non certo: «Lasciate che i bambini soffrano». E per ridurre le
sofferenze che ancora oggi troppi fanciulli patiscono a causa dell’Aids, il porporato ha invitato i presenti a rispondere a tre domande:
perché? cosa? chi?
Chiedersi il perché, ha spiegato, significa
chiarire gli «imperativi etici» che sono alla base dell’impegno per fornire strumenti di diagnosi, cure per i bambini e sostegno alle loro
famiglie. L’oggetto — il «cosa?» — della discussione di questi due giorni, poi, deve portare a una «tabella di marcia ambiziosa» su come accelerare i piani riguardo ai test della malattia, l’individuazione e la registrazione di
nuovi farmaci e il rafforzamento dei sistemi sanitari. Un piano concreto, ha aggiunto, che
preveda la più ampia collaborazione tra Paesi.
In questo senso ecco la terza risposta richiesta:
bisogna, ha concluso, definire una chiara
«coalizione di partner». Fondamentale, infatti,
«è la collaborazione responsabile da parte di
tutti, autorità politiche, comunità scientifica,
mondo degli affari e società civile».
Angelo Sodano, decano del
Collegio cardinalizio, oltre a
quindici
tra arcivescovi e vescovi e numerosi
sacerdoti. Tra i presenti, due
cardinali, l’arcivescovo Georg
Gänswein, prefetto della Casa
Pontificia, e monsignor Leonardo
Sapienza, reggente della Prefettura.
Le offerte sono state portate
all’altare da tre famiglie,
una delle quali con quattro figli e
un’altra con tre gemelli. I
seminaristi di Crema e gli studenti
del Pontificio Collegio germanicoungarico hanno servito come
ministranti. I canti sono stati
eseguiti
dalla Cappella Sistina.
†
Appresa la triste notizia, l’Em.mo
Card. George Pell, Prefetto, e Mons.
Alfred Xuereb, Segretario Generale,
insieme a tutti gli Officiali e Collaboratori della Segreteria per l’Economia,
partecipano al dolore del Rev.do
Mons. Luigi Mistò, Segretario della
Sezione Amministrativa, per la scomparsa del papà
CARLO
e, nel porgere sentite condoglianze,
elevano fervide preghiere di suffragio
chiedendo al Cristo Risorto di accogliere in Cielo l’anima del caro defunto fra i giusti che vivono in Lui.
†
Il Bibliotecario di S.R.C., il Prefetto e
il Vice Prefetto e tutto il personale
della Biblioteca Apostolica Vaticana
partecipano al lutto di Mons. Luigi
per la morte del papà
CARLO MISTÒ
e lo affidano in preghiera al Dio della
vita, mentre invocano da lui protezione e sostegno per i suoi familiari.
†
MAMMA IRENE
NOMADELFIA
DI
Domenica 15 maggio 2016, nella solennità di Pentecoste, Irene Bertoni prima Mamma di vocazione e, insieme a
don Zeno Saltini, cofondatrice di Nomadelfia, è partita per la vita eterna.
Il popolo di Nomadelfia vi attende
per i funerali che saranno celebrati in
Nomadelfia mercoledì 18 maggio ore
10.30.
Grosseto, 16 maggio 2016
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 16-17 maggio 2016
Il crescente contributo delle donne all’opera di evangelizzazione
Missione
al femminile
La «considerevole e crescente presenza
femminile» nell’opera di annuncio del
Vangelo è stata sottolineata dal Papa nel
messaggio — dal titolo «Chiesa missionaria,
testimone di misericordia» — diffuso in vista
della giornata missionaria mondiale 2016,
che si celebra il prossimo 23 ottobre.
Cari fratelli e sorelle,
il Giubileo Straordinario della Misericordia, che la Chiesa sta vivendo, offre una
luce particolare anche alla Giornata Missionaria Mondiale del 2016: ci invita a
guardare alla missione ad gentes come una
grande, immensa opera di misericordia sia
spirituale che materiale. In effetti, in questa Giornata Missionaria Mondiale, siamo
tutti invitati ad “uscire”, come discepoli
missionari, ciascuno mettendo a servizio i
propri talenti, la propria creatività, la propria saggezza ed esperienza nel portare il
messaggio della tenerezza e della compassione di Dio all’intera famiglia umana. In
forza del mandato missionario, la Chiesa
si prende cura di quanti non conoscono il
Vangelo, perché desidera che tutti siano
salvi e giungano a fare esperienza
dell’amore del Signore. Essa «ha la missione di annunciare la misericordia di Dio,
cuore pulsante del Vangelo» (Bolla Misericordiae Vultus, 12) e di proclamarla in
ogni angolo della terra, fino a raggiungere
ogni donna, uomo, anziano, giovane e
bambino.
La misericordia procura intima gioia al
cuore del Padre quando incontra ogni
creatura umana; fin dal principio, Egli si
rivolge amorevolmente anche a quelle più
fragili, perché la sua grandezza e la sua
potenza si rivelano proprio nella capacità
di immedesimarsi con i piccoli, gli scartati, gli oppressi (cfr. Dt 4, 31; Sal 86, 15;
Al Regina caeli il Papa auspica che lo Spirito santo sostenga i giovani nell’annuncio
Insegnamento e memoria
Oltre a essere «consolatore, avvocato,
intercessore», lo Spirito Santo svolge per i
cristiani «una funzione di insegnamento e di
memoria»: lo ha ricordato Francesco al Regina
caeli di domenica 15 maggio, solennità di
Pentecoste, in piazza San Pietro.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi celebriamo la grande festa della Pentecoste, che porta a compimento il Tempo Pasquale, cinquanta giorni dopo la Risurrezione di
Cristo. La liturgia ci invita ad aprire la nostra
mente e il nostro cuore al dono dello Spirito
Santo, che Gesù promise a più riprese ai suoi
discepoli, il primo e principale dono che Egli
ci ha ottenuto con la sua Risurrezione. Questo
dono, Gesù stesso lo ha implorato dal Padre,
come attesta il Vangelo di oggi, che è ambientato nell’Ultima Cena. Gesù dice ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà
un altro Paraclito perché rimanga con voi per
sempre» (Gv 14, 15-16).
Queste parole ci ricordano anzitutto che
l’amore per una persona, e anche per il Signore, si dimostra non con le parole, ma con i fatti; e anche “osservare i comandamenti” va inteso in senso esistenziale, in modo che tutta la
vita ne sia coinvolta. Infatti, essere cristiani
non significa principalmente appartenere a
una certa cultura o aderire a una certa dottrina, ma piuttosto legare la propria vita, in ogni
suo aspetto, alla persona di Gesù e, attraverso
di Lui, al Padre. Per questo scopo Gesù promette l’effusione dello Spirito Santo ai suoi discepoli. Proprio grazie allo Spirito Santo,
Amore che unisce il Padre e il Figlio e da loro
procede, tutti possiamo vivere la stessa vita di
Gesù. Lo Spirito, infatti, ci insegna ogni cosa,
ossia l’unica cosa indispensabile: amare come
ama Dio.
Nel promettere lo Spirito Santo, Gesù lo
definisce «un altro Paraclito» (v. 16), che significa Consolatore, Avvocato, Intercessore, cioè
Colui che ci assiste, ci difende, sta al nostro
fianco nel cammino della vita e nella lotta per
il bene e contro il male. Gesù dice «un altro
Paraclito» perché il primo è Lui, Lui stesso,
che si è fatto carne proprio per assumere su di
sé la nostra condizione umana e liberarla dalla
schiavitù del peccato.
Inoltre, lo Spirito Santo esercita una funzione di insegnamento e di memoria. Insegnamento e memoria. Ce lo ha detto Gesù: «Il
Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e
vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (v. 26).
Lo Spirito Santo non porta un insegnamento
diverso, ma rende vivo, e rende operante l’insegnamento di Gesù, perché il tempo che passa non lo cancelli o non lo affievolisca. Lo
Spirito Santo innesta questo insegnamento
dentro al nostro cuore, ci aiuta a interiorizzarlo, facendolo diventare parte di noi, carne della nostra carne. Al tempo stesso, prepara il nostro cuore perché sia capace davvero di ricevere le parole e gli esempi del Signore. Tutte le
volte che la parola di Gesù viene accolta con
gioia nel nostro cuore, questo è opera dello
Spirito Santo.
Preghiamo ora insieme il Regina Caeli —
per l’ultima volta quest’anno —, invocando la
materna intercessione della Vergine Maria. Ella ci ottenga la grazia di essere fortemente ani-
mati dallo Spirito Santo, per testimoniare Cristo con franchezza evangelica e aprirci sempre
più alla pienezza del suo amore.
Al termine della preghiera mariana il Pontefice,
dopo aver annunciato la pubblicazione del
messaggio per la giornata missionaria mondiale
2016, ha salutato come di consueto i gruppi di
fedeli presenti in piazza.
Cari fratelli e sorelle,
oggi, nel contesto molto appropriato della
Pentecoste, viene pubblicato il mio Messaggio
per la prossima Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra ogni anno nel mese di ottobre. Lo Spirito Santo dia forza a tutti i missionari ad gentes e sostenga la missione della
Chiesa nel mondo intero. E lo Spirito Santo ci
dia giovani — ragazzi e ragazze — forti, che
hanno voglia di andare ad annunciare il Vangelo. Chiediamo questo, oggi, allo Spirito
Santo.
Saluto tutti voi, famiglie, gruppi parrocchiali, associazioni, pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare
da Madrid, da Praga e dalla Tailandia; come
pure i membri della Comunità cattolica coreana di Londra.
Saluto i fedeli di Casalbuttano, Cortona,
Terni, Ragusa; i ragazzi di Romagnano di
Massa; e la “Sacra Corale Jonica” della Provincia di Taranto.
Saluto in modo particolare tutti coloro che
partecipano nella giornata odierna alla “Festa
dei Popoli”, nel 25° anniversario, in Piazza
San Giovanni in Laterano. Che questa festa,
segno di unità e della diversità delle culture, ci
aiuti a capire che il cammino verso la pace è
questo: fare l’unità, rispettando le diversità.
Un pensiero speciale rivolgo agli Alpini,
riuniti ad Asti per l’Adunata Nazionale. Li
esorto ad essere testimoni di misericordia e di
speranza, imitando l’esempio del beato Don
Carlo Gnocchi, del beato Fratel Luigi Bordino
e del venerabile Teresio Olivelli, che onorarono il Corpo degli Alpini con la santità della
loro vita.
E a tutti auguro una buona festa di Pentecoste. Per favore, non dimenticatevi di pregare
per me. Buon pranzo e arrivederci!
103, 8; 111, 4). Egli è il Dio benigno, attento, fedele; si fa prossimo a chi è nel bisogno per essere vicino a tutti, soprattutto ai
poveri; si coinvolge con tenerezza nella
realtà umana proprio come farebbero un
padre e una madre nella vita dei loro figli
(cfr. Ger 31, 20). Al grembo materno rimanda il termine usato nella Bibbia per
dire la misericordia: quindi all’amore di
una madre verso i figli, quei figli che lei
amerà sempre, in qualsiasi circostanza e
qualunque cosa accada, perché sono frutto
del suo grembo. È questo un aspetto essenziale anche dell’amore che Dio nutre
verso tutti i suoi figli, in modo particolare
verso i membri del popolo che ha generato e che vuole allevare ed educare: di
fronte alle loro fragilità e infedeltà, il suo
intimo si commuove e freme di compassione (cfr. Os 11, 8). E tuttavia Egli è misericordioso verso tutti, il suo amore è per
tutti i popoli e la sua tenerezza si espande
su tutte le creature (cfr. Sal 145, 8-9).
La misericordia trova la sua manifestazione più alta e compiuta nel Verbo incarnato. Egli rivela il volto del Padre ricco di
misericordia, «parla di essa e la spiega con
l’uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifica» (Giovanni Paolo II, Enc. Dives in
misericordia, 2). Accogliendo e seguendo
Gesù mediante il Vangelo e i Sacramenti,
con l’azione dello Spirito Santo noi possiamo diventare misericordiosi come il nostro Padre celeste, imparando ad amare
come Lui ci ama e facendo della nostra vita un dono gratuito, una segno della sua
bontà (cfr. Bolla Misericordiae Vultus, 3).
La Chiesa per prima, in mezzo all’umanità, è la comunità che vive della misericordia di Cristo: sempre si sente guardata e
scelta da Lui con amore misericordioso, e
da questo amore essa trae lo stile del suo
mandato, vive di esso e lo fa conoscere alle genti in un dialogo rispettoso con ogni
cultura e convinzione religiosa.
A testimoniare questo amore di misericordia, come nei primi tempi dell’esperienza ecclesiale, sono tanti uomini e donne di ogni età e condizione. Segno eloquente dell’amore materno di Dio è una
considerevole e crescente presenza femminile nel mondo missionario, accanto a
quella maschile. Le donne, laiche o consacrate, e oggi anche non poche famiglie,
realizzano la loro vocazione missionaria in
svariate forme: dall’annuncio diretto del
Vangelo al servizio caritativo. Accanto
all’opera evangelizzatrice e sacramentale
dei missionari, le donne e le famiglie comprendono spesso più adeguatamente i problemi della gente e sanno affrontarli in
modo opportuno e talvolta inedito: nel
prendersi cura della vita, con una spiccata
attenzione alle persone più che alle strutture e mettendo in gioco ogni risorsa umana e
spirituale nel costruire
armonia, relazioni, pace, solidarietà, dialogo,
collaborazione e fraternità, sia nell’ambito dei
rapporti interpersonali
sia in quello più ampio
della vita sociale e culturale, e in particolare
della cura dei poveri.
In
molti
luoghi
l’evangelizzazione prende avvio dall’attività
educativa, alla quale
l’opera missionaria dedica impegno e tempo,
come il vignaiolo misericordioso del Vangelo
(cfr. Lc 13, 7-9; Gv 15,
1), con la pazienza di
attendere i frutti dopo anni di lenta formazione; si generano così persone capaci
di evangelizzare e di far giungere il Vangelo dove non ci si attenderebbe di vederlo realizzato. La Chiesa può essere definita “madre” anche per quanti potranno
giungere un domani alla fede in Cristo.
Auspico pertanto che il popolo santo di
Dio eserciti il servizio materno della misericordia, che tanto aiuta ad incontrare e
amare il Signore i popoli che ancora non
lo conoscono. La fede infatti è dono di
Dio e non frutto di proselitismo; cresce
però grazie alla fede e alla carità degli
evangelizzatori che sono testimoni di Cristo. Nell’andare per le vie del mondo è richiesto ai discepoli di Gesù quell’amore
che non misura, ma che piuttosto tende
ad avere verso tutti la stessa misura del Signore; annunciamo il dono più bello e più
grande che Lui ci ha fatto: la sua vita e il
suo amore.
Ogni popolo e cultura ha diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono
di Dio per tutti. Ciò è tanto più necessario se consideriamo quante ingiustizie,
Simone Martini e Lippo Memmi, «Madonna della misericordia» (1310)
guerre, crisi umanitarie oggi attendono
una soluzione. I missionari sanno per
esperienza che il Vangelo del perdono e
della misericordia può portare gioia e riconciliazione, giustizia e pace. Il mandato
del Vangelo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò
che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20) non
si è esaurito, anzi ci impegna tutti, nei
presenti scenari e nelle attuali sfide, a sentirci chiamati a una rinnovata “uscita”
missionaria,
come
indicavo
anche
nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad
accettare questa chiamata: uscire dalla
propria comodità e avere il coraggio di
raggiungere tutte le periferie che hanno
bisogno della luce del Vangelo» (20).
Proprio in questo Anno Giubilare ricorre il 90° anniversario della Giornata Missionaria Mondiale, promossa dalla Pontificia Opera della Propagazione della Fede e
approvata da Papa Pio XI nel 1926. Ritengo pertanto opportuno richiamare le sa-
pienti indicazioni dei miei Predecessori, i
quali disposero che a questa Opera andassero destinate tutte le offerte che ogni diocesi, parrocchia, comunità religiosa, associazione e movimento ecclesiale, di ogni
parte del mondo, potessero raccogliere per
soccorrere le comunità cristiane bisognose
di aiuti e per dare forza all’annuncio del
Vangelo fino agli estremi confini della terra. Ancora oggi non ci sottraiamo a questo gesto di comunione ecclesiale missionaria. Non chiudiamo il cuore nelle nostre
preoccupazioni particolari, ma allarghiamolo agli orizzonti di tutta l’umanità.
Maria
Santissima,
icona
sublime
dell’umanità redenta, modello missionario
per la Chiesa, insegni a tutti, uomini,
donne e famiglie, a generare e custodire
ovunque la presenza viva e misteriosa del
Signore Risorto, il quale rinnova e riempie
di gioiosa misericordia le relazioni tra le
persone, le culture e i popoli.
Dal Vaticano, 15 maggio 2016, Solennità
di Pentecoste
Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice
Santa messa e processione eucaristica
nella solennità
del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Cappella papale
NOTIFICAZIONE
Giovedì 26 maggio 2016, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo,
alle ore 19, il Santo Padre Francesco celebrerà la Santa Messa sul sagrato della
Basilica di San Giovanni in Laterano. Di seguito si svolgerà la Processione Eucaristica che, percorrendo via Merulana, raggiungerà la Basilica di Santa Maria
Maggiore.
***
I Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi, i Vescovi e tutti coloro che, in conformità al Motu Proprio «Pontificalis Domus», compongono la Cappella Pontificia e desiderano partecipare alla celebrazione liturgica, indossando l’abito
corale loro proprio, sono pregati di trovarsi alle ore 18.30 sul Sagrato della Basilica, per occupare il posto che verrà loro indicato dai cerimonieri pontifici.
***
Per i componenti la Cappella Pontificia sarà a disposizione un servizio
pullman, con partenza dalla piazza antistante l’ingresso dell’Aula Paolo VI alle
ore 18. Quanti desiderano usufruirne sono pregati di darne comunicazione
all’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, entro le ore 13
di martedì 24 maggio.
Città del Vaticano, 16 maggio 2016.
Per mandato del Santo Padre
Mons. GUID O MARINI
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie