L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVI n. 111 (47.246) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 . Pubblicato nella domenica di Pentecoste il messaggio del Papa per la giornata mondiale che si celebra in ottobre Strage di agenti nella città di Mukalla Missione al femminile Non c’è pace per lo Yemen E i cristiani sono invitati a riscoprire lo Spirito santo per non vivere più nella solitudine La «considerevole e crescente presenza femminile» nell’opera di annuncio del Vangelo è stata sottolineata dal Papa nel messaggio diffuso nella domenica di Pentecoste in preparazione alla giornata missionaria mondiale 2016, che si celebrerà il 23 ottobre. Collegandone il tema («Chiesa missionaria, testimone di misericordia») a quello più generale del giubileo, il Pontefice ha evidenziato come l’impegno delle donne nell’evangelizzazione sia un «segno eloquente dell’amore materno di Dio». Esse, ha spiegato, «laiche o consacrate, e oggi anche non poche famiglie, realizzano la loro vocazione dall’annuncio diretto al servizio caritativo». In particolare, «comprendono spesso più adeguatamente i problemi della gente e sanno affrontarli in modo talvolta inedito: nel prendersi cura della vita, con una spiccata attenzione alle persone più che alle strutture». Non solo: «in molti luoghi l’evangelizzazione prende avvio dall’attività educativa». Da Per la festa liturgica dei santi Cirillo e Metodio Incontro con le delegazioni di Bulgaria e della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia qui l’auspicio «che il popolo santo di Dio eserciti il servizio materno della misericordia, che tanto aiuta ad incontrare e amare il Signore i popoli che ancora non lo conoscono». Nella stessa giornata di domenica 15 maggio il Papa ha celebrato la messa di Pentecoste nella basilica vaticana e ha poi guidato la recita del Regina caeli con i fedeli presenti in piazza San Pietro. Sia all’omelia sia nella meditazione mariana Francesco ha parlato dell’importanza dello Spirito santo. L’uomo di oggi vive spesso in una condizione di «orfano» — ha detto durante la celebrazione eucaristica — immerso in una «solitudine interiore» che a volte si trasforma in «tristezza esistenziale». Perciò i cristiani sono chiamati a riscoprire la «vocazione originaria, il nostro più profondo “dna”», che consiste nel vivere «la condizione di figli» alla quale conduce proprio la terza persona della Trinità. Del resto, ha aggiunto al Regina caeli, oltre a essere «consolatore, avvocato, intercessore», lo Spirito svolge per i cristiani «una funzione di insegnamento e di memoria». PAGINE 7 E 8 Luigi Pagano, «Il dono dello Spirito a Pentecoste» SANA’A, 16. Non c’è pace nello Yemen. Un attentato suicida rivendicato dal cosiddetto Stato islamico (Is) ha colpito ieri un commissariato di polizia a Mukalla, capitale della provincia sud-orientale yemenita di Hadramut, controllata fino allo scorso mese da Al Qaeda nella penisola arabica. Il bilancio parla di almeno 47 morti, tra cui 41 reclute che aspettavano in fila davanti alla caserma Al Najda, per entrare nell’esercito governativo yemenita. I feriti sono più di sessanta. Stando alle ricostruzioni fornite dalla stampa locale, l’attentatore suicida è riuscito a infiltrarsi nella fila delle aspiranti reclute e si è fatto esplodere. Giovedì scorso i miliziani dell’Is avevano rivendicato un’altra sanguinosa strage contro l’esercito yemenita a Khalf, a est di Mukalla, dove tre attentatori suicidi avevano provocato la morte di almeno quindici soldati delle truppe governative. Secondo gli analisti, i jihadisti dell'Is stanno occupando nell'area di Mukalla le stesse posizioni che una volta erano occupate da Al Qaeda, dopo che le forze governative, appoggiate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita, sono riuscite il 24 aprile a riconquistare questa grande città portuale sottraendola ai ribelli. In effetti, l'Is e Al Qaeda stanno approfittando del sanguinoso conflitto in atto tra le forze governative del legittimo presidente yemenita, Abd Ravvo Man- sour Hadi, e i ribelli huthi, per intensificare le loro azioni nel sud-est del Paese. E, nelle stesse ore in cui l’Is continua a mettere a segno i suoi attacchi micidiali (oltre allo Yemen anche in Iraq), i conflitti in Siria, Libia e Yemen sono stati al centro di un colloquio avuto ieri in Arabia Saudita dal segretario di Stato americano, John Kerry, con il re Salman, alla vigilia di una settimana importante per i processi negoziali. Obiettivo del capo della diplomazia di Washington è cercare di rendere nuovamente operativa la tregua in Siria e rafforzare il sostegno internazionale al Governo di unità nazionale in Libia. Per quanto riguarda lo Yemen, le parti in conflitto hanno iniziato lo scorso 21 aprile, in Kuwait, colloqui di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite. Spesso dimenticata dai media, la guerra nello Yemen ha già causato oltre 6.400 morti, 30.000 feriti e oltre 2,8 milioni di sfollati. La situazione, con l’intensificarsi degli scontri, è degenerata rapidamente in emergenza umanitaria. E come in tutti i conflitti sono le persone più deboli — in particolare i bambini, le donne e gli anziani — a pagare il prezzo maggiore. Secondo i dati forniti dall’Onu, oltre l’80 per cento della popolazione ha bisogno di assistenza e di aiuti di prima necessità. Riunione internazionale a Vienna In occasione delle celebrazioni per la festa liturgica dei santi Cirillo e Metodio, lunedì 16 maggio Papa Francesco ha ricevuto in udienza il presidente della Repubblica di Bulgaria, Rosen Plevneliev, con una delegazione. Successivamente il Pontefice ha ricevuto anche il presidente del Parlamento della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Trajko Veljanoski, con la consorte e una delegazione. Le delegazioni hanno incontrato inoltre il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, insieme all’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. y(7HA3J1*QSSKKM( +]!"!,!#!_! NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Rosen Plevneliev, Presidente della Repubblica di Bulgaria, e Seguito. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Reverendo Padre Jesús Fernández Hernández, Presidente dell’Istituto di Cristo Redentore «Identes». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza Monsignor Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia (Italia). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Trajko Veljanoski, Presidente del Parlamento della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, con la Consorte, e Seguito. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia di Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Karl Lehmann all’ufficio di Vescovo di Mainz (Germania), in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Sfida per la stabilità della Libia VIENNA, 16. Appuntamento oggi a Vienna per la riunione ministeriale sulla Libia convocata e co-presieduta dal segretario di Stato americano, John Kerry, e dal ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, che punta ad avviare la seconda fase della stabilizzazione del Paese nordafricano. L’appuntamento riunisce i Paesi del cosiddetto “formato di Roma” (membri permanenti del Consiglio di sicurezza, alcuni Paesi europei e della regione, Organizzazioni internazionali), allargato a Malta, Ciad, Niger e Sudan. L’incontro, si legge in una nota della Farnesina, si pone in continuità con il summit di Roma del 13 dicembre 2015, che si era rivelato determinante per la firma dell’accordo politico libico, l’approvazione della risoluzione 2259 del Consiglio di sicurezza dell’Onu e, successivamente, l’ingresso del primo ministro Fayez Al Sarraj e del Consiglio presidenziale a Tripoli il 30 marzo scorso. La novità dell’appuntamento di oggi è rappresentata dalla partecipazione del premier libico Al Sarraj e di membri del Consiglio presidenziale e del Governo di accordo nazionale, a «concreta testimonianza», sottolinea la Farnesina, dei progressi, «anche se ancora fragili», compiuti dal dialogo politico libico in questi mesi. Al Sarraj potrà così raccogliere un importante messaggio di sostegno internazionale alla sua azione e presentare alcune prime decisioni governative, come il decreto per la formazione della Guardia presidenziale e il provvedimento per la creazione di un comando operativo congiunto per la lotta al cosiddetto Stato islamico (Is). Alla vigilia del summit internazionale di Vienna, in cui la diplomazia cercherà una soluzione al caos Libia, il premier Al Sarraj ha ribadito che per Il premier libico con il segretario di Stato americano (Ap) sconfiggere l’Is, il Governo di Tripoli ce la può fare da solo e senza intervento straniero, ma ha bisogno di aiuto: «Non chiediamo soldati sul terreno, ma assistenza per l’addestramento e inoltre la revoca dell’embargo sulle armi». In una lettera pubblicata dal quotidiano britannico «The Telegraph», il premier del Governo di unità nazionale libico ricorda gli sforzi compiuti in tema di sicurezza, riconciliazione nazionale, ripresa economica, giustizia sociale, riforme istituzionali e assicura: «Siamo di nuovo sulla giusta strada. Chiediamo la fine immediata delle sanzioni Onu che tengono congelati beni libici: abbiamo bisogno di queste risorse per sconfiggere i terroristi». Ma, prosegue Al Sarraj, bisogna essere «realistici: ci vorrà del tempo per riprendersi da caos e divisioni». Poi il monito: «La comunità internazionale ha delle responsabilità verso la Libia». E aggiunge: «So che per molti in Europa la questione dei migranti e del traffico di esseri umani dalla Libia è tema di enorme preoccupazione e lavorerò senza sosta per mettervi un freno. Ma la maniera migliore per mettere fuori gioco i trafficanti di esseri umani è fare in modo che la Libia sia stabile e sicura» e che superi la crisi economica. «È l’unica soluzione di lungo termine: i soldati e le navi straniere non sono la risposta». Dal canto suo, il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, ha convocato per oggi i suoi vice e alcuni deputati per discutere della possibilità di convocare la seduta parlamentare per il voto di fiducia al Governo di riconciliazione nazionale. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa libica Al Tadhamoun, la riunione servirà per studiare la possibilità di modificare il cosiddetto “annuncio costituzionale” (che funge da Costituzione provvisoria), considerato da Saleh un passo ne- Gli ebrei chiamati ad aprirsi al dialogo Con coraggio in mare aperto Shraga Weil, «Affrontando il futuro» RENZO GATTEGNA A PAGINA 5 cessario per arrivare al voto di fiducia sul nuovo Governo. Il portavoce di Saleh, Abdel Karim Al Marimi, ha poi aggiunto che verrà chiesto ai ministri «di presentare i loro curricula che verranno discussi in aula». Per sette volte il Parlamento libico si è riunito a Tobruk, in Cirenaica, senza mai riuscire a votare la fiducia alla lista dei ministri presentata dal premier incaricato Fayez Al Sarraj, capo del Consiglio di presidenza libico, organismo creato con l’accordo politico raggiunto a Shkirat, in Marocco, sotto gli auspici delle Nazioni Unite. A opporsi al nuovo Governo sono i politici fedeli al generale Khalifa Haftar, capo di stato maggiore dell’esercito libico attivo nella Cirenaica. Quest’ultimo, infatti, non intende cedere la guida delle forze armate al premier Al Sarraj, come previsto invece dall’accordo politico sottoscritto in Marocco. La situazione di stallo continua a dividere il Paese in due entità governative opposte, anche se le Nazioni Unite riconoscono il Consiglio di presidenza come l’unico legittimo rappresentante del popolo libico, in attesa del voto di fiducia del Parlamento di Tobruk guidato da Saleh. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 I rappresentanti di Farc e Governo colombiano all’Avana (Epa) Per l’Alto commissariato dell’Onu va data una risposta globale a un dramma globale Troppo pochi i Paesi che si fanno carico dei profughi BRUXELLES, 16. La crisi dei rifugiati è diventata un «fenomeno globale» che richiede «risposte globali». È quanto afferma l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Unhcr, Filippo Grandi, sottolineando che in questo momento «un numero maggiore di nazioni dovrebbero aiutare i pochi Paesi che attualmente si fanno carico di ospitare i profughi». Lo scorso anno, meno dell’1 per cento dei 20 milioni di rifugiati stimati nel mondo sono stati ricollocati. E il responsabile dell’Unhcr ribadisce che il peso dei rifugiati è caduto su «pochi Paesi che ospitano centinaia di migliaia di rifugiati». Sono pochi anche i donatori, «sette o otto Paesi, che forniscono l’80-90 per cento dei fondi». Se si parla di fondi, viene in mente l’accoglienza di emergenza ma anche l’aiuto ai Paesi da cui provengono i migranti. I 28 Paesi dell’Unione europea sono tutti d’accordo sulla necessità di sostenere questi Paesi, ma si discute ancora sulle modalità di stanziamento dei fondi. L’Italia ha proposto l’idea degli eurobond, bocciati però dalla Germania. Berlino, intanto, ha pubblicato cifre su quanto costerà al Governo tedesco l’accoglienza finora assicurata. Si parla di 93,6 miliardi di euro nei prossimi 5 anni. Un documento del ministero delle Finanze prevede che il costo annuo delle spese per far fronte all’emergenza migranti salirà dai 16,1 miliardi di euro di quest’anno ai 20,5 del 2020. Gran parte di questi fondi finanzierà servizi di base, tra i quali la casa e le lezioni di lingua. Ma anche se non è chiaro in quale misura, nel documento rientrano anche gli sforzi per evitare che la gente lasci i Paesi di origine e cerchi rifugio in Germania. Aumenterà anche il numero delle persone che richiederanno un sussidio, per un totale di 14 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente. Intanto, si continua a discutere dell’accordo che l’Unione europea Con le dichiarazioni di Johnson S’infiamma la campagna sulla Brexit LONDRA, 16. L’Ue come Hitler. Fa discutere in Gran Bretagna, e non solo, la frase pronunciata dall’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, che accosta negli obiettivi la costruzione europea e i tentativi di Napoleone e poi di Hitler di unificare il continente. È piena campagna elettorale in vista del referendum del 23 giugno che chiama i cittadini del Regno Unito a pronunciarsi sull’eventuale uscita dall’Europa. Secondo Johnson, anche se «con metodi diversi», Bruxelles cerca di «compattare l’Europa sotto un’unica autorità» che, a suo dire, «non importa se con la forza o con la burocrazia, crea sempre un vuoto di democrazia». Tante le reazioni indignate al paragone con il nazismo, uno dei totalitarismi che hanno insanguinato l’Europa e in reazione al quale il continente ha cercato la pace con l’avvio di un’integrazione, prima economica, poi politica. La laburista Yvette Cooper, accusa Johnson di «giocare sporco», con una campagna elettorale «cinica e divisiva, con una vergognosa mancanza di giudizio». Da parte sua, il premier David Cameron è tornato ieri a ribadire che l’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Europa sarebbe «disastrosa per l’economia del regno». L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va ha firmato con la Turchia per un piano di gestione dei migranti. Nell’ambito dell’intesa, c’è la richiesta da parte di Ankara della liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi in zona Schengen, condizionati però da Bruxelles al rispetto di parametri precisi, in particolare in tema di legge antiterrorismo. Il negoziato resta tutto aperto, ma certamente la liberalizzazione dei visti slitterà rispetto alla data del 1 giugno ipotizzata dalla Turchia. Nel dibattito all’interno dell’Ue, qualcuno accusa la Germania di avere una posizione troppo accomodante con la Turchia, per evitare rotture sul patto sui migranti. Il ministro tedesco degli Esteri, Frank Walter Steinmeier, smentisce sostenendo che Berlino resta «libera di discutere delle deviazioni della Turchia, delle limitazioni alla libertà di stampa e di espressione». Ribadisce però che «lo si voglia o no, la Turchia rimane un Paese chiave per le migrazioni verso l’Europa e serve un certo grado di cooperazione se si vuole evitare le emergenze dell’anno scorso». Migranti sulla nave Peluso in arrivo al porto italiano di Augusta (Reuters) In Europa si conferma la crescita tedesca Rischi per l’economia mondiale BRUXELLES, 16. Rallentamento cinese, Brexit, debolezza Usa, i ribassi del greggio. Sono questi i maggiori rischi per l’economia globale, insieme con la deflazione dell’eurozona. È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’agenzia di rating Fitch. Secondo l’agenzia statunitense, c’è il rischio di un rallentamento «graduale e strutturale» dell’economia cinese, con una possibile discesa del Pil al 2 per cento entro la fine del 2017. Sommandosi alla recessione in Brasile e Russia, ciò comporterebbe un severo e prolungato rallentamento della crescita nei mercati emergenti. C’è poi l’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue, che, secondo Fitch, provocherebbe un calo della sterlina nell’ordine del 30 per cento nell’arco di sei mesi. Ci sono i rischi di una moderata recessione nell’economia degli Stati Uniti, sotto la spinta di un calo della spesa per i consumi, nonostante la crescita dei salari e la riduzione del debito privato. D ell’oro nero Fitch scrive che se se il petrolio restasse intorno ai 35 dollari al barile nel 2016-2017, i ribassi impatterebbero sui rating sovrani oltre che sui profitti dei gruppi energetici. Intanto, guardando all’interno dell’Europa, ci sono i dati della Germania che conferma la crescita. Nel primo trimestre del 2016, il Pil, è aumentato dello 0,7 per cento. Il Paese aveva chiuso lo scorso anno allo 0,3 per cento. Nel dibattito interno, c’è il ministro dell’Economia, Sigmar Gabriel, che vorrebbe utilizzare il van- taggio per investire di più, mentre il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, sostiene la linea del risparmio. E Schäuble torna a ribadire l’avversione tedesca ai tassi bassi decisi dalla Bce, guidata da Mario Draghi, che, ricorda, allarmano in particolare i pensionati. La sede del Parlamento Ue di Strasburgo Incubo terrorismo sugli Europei di calcio BERLINO, 16. «Grande preoccupazione» per il prossimo campionato europeo di calcio che si terrà a giugno in Francia: l’ha espressa il direttore di Europol, Rob Wainwright, secondo cui l’evento rappresenterà «un obbiettivo attraente per i terroristi». In un’intervista al quotidiano tedesco «Die Welt», Wainwright ricorda gli ultimi attentati avvenuti nel vecchio continente e giudica «facile in modo allarmante» l’attacco a obbiettivi come caffè, ristoranti o sale da concerto. È dunque «assolutamen- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Un altro passo verso la pace in Colombia L’AVANA, 16. Un altro passo in avanti verso la distensione e la pace in Colombia. Il Governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) hanno annunciato ieri all’Avana un accordo per permettere ai bambini soldato coinvolti nella guerriglia di poter tornare a una vita normale. Si tratta, in altre parole, di un’amnistia generale che consentirà ai giovani di uscire dalla guerriglia e di reinserirsi nella vita civile. In un tweet, il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha parlato di «accordo storico per sottrarre i bambini alla guerra», precisando che i minori rilasciati saranno al più presto riportati alle loro famiglie. Il capo negoziatore delle Farc, Iván Márquez, ha assicurato che «i diritti dei minori saranno rispettati», aggiungendo che «saranno organizzati programmi sociali ed educativi affinché l’esclusione sociale che ha spinto questi bambini alla violenza non si ripeta più». Il primo passo — in base all’intesa — sarà l’uscita dagli accampamenti dei ribelli dei minori di quindici anni; successivamente una tabella di marcia definirà i tempi per restituire la libertà a tutti i giovani che non hanno ancora compiuto 18 anni. L’accordo, siglato dalle due parti insieme ai mediatori delle Nazioni Unite nell’ambito dei negoziati di pace in corso a Cuba, prevede anche un’attenzione speciale per questi ragazzi in modo da garantire il loro reinserimento alla vita civile. L’iniziativa rientra nelle misure per allentare l’intensità del conflitto armato colombiano. A febbraio le Farc avevano annunciato che non avrebbero più reclutato i minori di 18 anni per la guerriglia. In base all’intesa raggiunta ieri, tutti i minori che escono dalla guerriglia saranno considerati vittime e, nel caso dei minori fino a 14 anni, in nessun caso saranno considerati penalmente responsabili; mentre a quelli che hanno tra i 14 e i 18 anni saranno applicati i benefici dell’indulto, se non hanno commesso delitti atroci o non sono stati coinvolti in azioni molto gravi. Dal canto loro, le Farc non hanno ancora comunicato il numero totale dei bambini soldato che saranno liberati. Il gruppo ha comunque annunciato la consegna a breve di un primo gruppo «di 21 minori di 15 anni» — si legge in un comunicato — che vivono attualmente negli accampamenti della guerriglia. Neanche il Governo colombiano ha fornito la cifra esatta dei minori combattenti delle Farc, ma, secondo i dati ufficiali, circa seimila bambini hanno lasciato i gruppi armati della guerriglia negli ultimi 17 anni e il sessanta per cento di questi provenivano dalle Farc. I negoziati tra le Farc e il Governo colombiano sono iniziati ufficialmente nel novembre 2013. Da quel momento sono stati raggiunti importanti accordi, in particolare sul traffico di droga, sull’inserimento dei ribelli nella vita civile e sugli indennizzi alle vittime del conflitto. Restano ancora aperti importanti nodi: le modalità del disarmo e la firma di un cessate il fuoco permanente. Sono oltre 200.000 i morti causati dal conflitto. Medina in testa alle elezioni nella Repubblica Dominicana te necessario», secondo il direttore di Europol, rinforzare le unità antiterrorismo. In questo clima di timore, ieri c’è stato un clamoroso scivolone della polizia di Manchester. La «bomba non funzionante ma incredibilmente simile a una vera» trovata nel pomeriggio allo stadio Old Trafford, che ha fatto evacuare oltre 20.000 persone, era in realtà un falso ordigno della stessa polizia dimenticato dopo una esercitazione. Ad ammetterlo gli stessi dirigenti della polizia dieci ore dopo il ritrovamento. Servizio vaticano: [email protected] Accordo tra Farc e Governo sui bambini soldato SANTO D OMINGO, 16. L’attuale presidente della Repubblica Dominicana, Danilo Medina, secondo risultati ancora parziali, è dato come favorito alle elezioni che si sono svolte ieri nel Paese. Difatti, nello spoglio delle schede appare saldamente in testa. Con il 14 per cento dei seggi scrutinati, Medina, 64 anni, ha più del sessanta per cento dei voti, e potrebbe essere rieletto evitando anche il ballottaggio. Il voto ha riguardato anche 222 seggi al Senato e alla Camera dei deputati e diverse amministrazioni locali. Più di 6,7 milioni di Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale dominicani sono stati chiamati a votare. Otto i candidati, ma il principale avversario di Medina resta Luis Abinader, del Partito rivoluzionario moderno (Prm). Il Partito laburista dominicano (Pld) di Medina ha vinto quattro delle precedenti presidenziali e ha controllato il Congresso per un decennio. I risultati finali saranno resi noti oggi. Nonostante il Paese sia una delle economie più dinamiche dell’America latina, il 41 per cento della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà secondo i dati della Banca mondiale. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Venezuela sempre più nel caos CARACAS, 16. La situazione in Venezuela si fa sempre di giorno in giorno più esplosiva. Il vice presidente, Aristóbulo Istúriz, ha annunciato oggi che — nonostante le quasi due milioni di firme raccolte — non si terrà alcun referendum per la revoca del capo dello Stato, Nicolás Maduro. Il presidente, che due giorni fa ha dichiarato lo stato d’emergenza per proteggere il Paese da un presunto golpe ordito dagli Stati Uniti, ha disposto il sequestro di tutte le fabbriche che hanno interrotto la produzione e l’arresto dei loro proprietari. Con questa dichiarazione Maduro si è riferito in particolare a quattro stabilimenti della Cervecería Polar — tra le principali fabbriche di birra del Paese sudamericano — che, una ventina di giorni fa, hanno fermato la propria produzione nell’impossibilità di potere accedere alle valute estere, senza le quali non possono importare le materie prime necessarie. In un discorso trasmesso da radio e televisione, il leader chavista ha attaccato gli uomini d’affari, accusandoli «di promuovere una guerra economica». Nello stesso intervento, Maduro ha anche ordinato una serie di manovre militari senza precedenti per preparare le truppe a un’eventuale invasione o rivolta interna. Il Venezuela, uno dei Paesi con le maggiori riserve petrolifere al mondo, è sull’orlo del fallimento per il basso costo del petrolio e la gestione — definita «dissennata» dagli analisti — dell’economia. Da ultimo, la settimana lavorativa per i dipendenti pubblici è stata ridotta a due giorni per problemi di approvvigionamento elettrico. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 pagina 3 Una delle donne rapite da Boko Haram e poi tratte in salvo dalle forze nigeriane Nonostante le rassicurazioni del Pentagono L’Is resta una minaccia in Siria e in Iraq DAMASCO, 16. Nonostante le rassicurazioni del Pentagono e l’accordo per la cessazione delle ostilità, il cosiddetto Stato islamico (Is) continua a rappresentare una minaccia. Mentre infatti fonti della sicurezza statunitense assicurano che l’avanzata jihadista in Siria e in Iraq sta rallentando, sul terreno i combattimenti si fanno di giorno in giorno sempre più cruenti nei principali fronti di guerra: da Aleppo, città siriana la cui popolazione da almeno un anno vive in condizioni critiche, all’area della capitale irachena Baghdad. E del nodo siriano hanno discusso ieri il segretario di Stato americano, John Kerry, e il re saudita Salman, nel corso di un vertice a Riad. Sono almeno 27 i miliziani rimasti uccisi nei raid aerei condotti ieri dalla Turchia e dalla coalizione internazionale a guida statunitense contro obiettivi dell’Is ad Aleppo, nel nord della Siria. A darne conferma è la Cnn. L’agenzia di stampa turca Anadolu spiega che i raid hanno colpito anche postazioni jihadiste molto vicine al confine turco. Interessate dalle operazioni sono state in particolare le regioni di Havar Kilis, Harcele e Delha, del distretto di Azaz di Aleppo, ha riportato l’Anadolu. Inoltre, fonti locali hanno spiegato che i ribelli siriani hanno sottratto al controllo dell’Is diversi villaggi nella zona Azaz. E sempre ieri, intanto, l’esercito siriano ha respinto un attacco dei jihadisti dell’Is contro la zona dell’aeroporto di Deir Ezzor, nell’est del Paese. Lo riferisce l’agenzia governativa Sana, dopo che, nella notte, le forze lealiste avevano anche ripreso il controllo di un ospedale dove ieri erano penetrati i jihadisti dell’Is uccidendo decine di soldati. Deir Ezzor è controllata dalle forze lealiste, ma da mesi queste devono fronteggiare l’assedio delle forze dell’Is. Ma non solo: fonti militari hanno reso noto che l’esercito siriano sta concentrando forze intorno al giacimento di gas naturale di Al Shaer, tra Homs e Palmira, che nei giorni scorsi era caduto nelle mani dei jiihadisti. È la terza volta che l’Is conquista il campo di Shaer. Il conflitto con l’Is, come detto, non riguarda soltanto la Siria. Sono 14 le persone uccise e 27 quelle ferite nell’attacco sferrato ieri dall’Is all’impianto di gas a Taiji, una ventina di chilometri a nord della capitale irachena. Dapprima un attentatore suicida si è fatto saltare in aria all’entrata dell’impianto, poi diversi altri miliziani armati sono entrati nell’area e hanno ingaggiato combattimenti con le forze di sicurezza. Il sottosegretario al ministero del Petrolio per il settore del gas, Hamid Younis, ha dichiarato che a causa dei combattimenti è scoppiato un incendio nell’impianto, ma le fiamme sono state spente e non vi è stata interruzione della produzione e della distribuzione. Altre quindici persone sono state uccise sempre ieri e una cinquantina ferite in diversi altri attentati avvenuti in aree commerciali nella stessa Baghdad e in una località a sud della città. Si tratta degli ultimi di una serie di attacchi che sembrano non avere fine e che da mercoledì hanno già provocato 140 morti. Hollande rilancia la lotta al gruppo terroristico Obiettivo Boko Haram ABUJA, 16. Il presidente francese François Hollande ha messo in guardia contro «la minaccia» persistente di Boko Haram, nonostante «i risultati impressionanti» ottenuti contro questo gruppo terroristico in Nigeria, dove è stato ridotto e costretto a ritirarsi. Hollande — che partecipa a un vertice regionale convocato dal presidente nigeriano Muhammadu Buharin a Abuja, per discutere su come intensificare la lotta contro Boko Haram — ha invitato, in una conferenza stampa, la comunità internazionale a impegnarsi maggiormente per aiutare la regione. Il presidente nigeriano, dal canto suo, ha ricor- dato che la crisi umanitaria si fa sempre più grave nell’area del lago Ciad. Hanno partecipato al vertice i capi di Stato dei Paesi confinanti della Nigeria, ossia, Benin, Camerun, Ciad e Niger, una delegazione dell’Unione europea, il ministro Esteri britannico, Philip Hammond, oltre al vice segretario di Stato americano Tony Blinken. Le discussioni si sono concentrate soprattutto sulle modalità per porre fine alle violazioni di Boko Haram, che dal 2009 ha ucciso più di 20.000 persone e costretto oltre 2,6 milioni di abitanti ad abbandonare le proprie case. Parigi propone una nuova conferenza internazionale Contro le minacce nucleari nordcoreane Prove per il rilancio del dialogo israelo-palestinese Esercitazioni antimissile alle Hawaii PARIGI, 16. La Francia resta determinata a portare avanti la sua iniziativa per la convocazione di una conferenza di pace sul Medio oriente. A confermarlo è stato ieri il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, in una conferenza stampa all’aeroporto di Tel Aviv, al termine di una breve missione in cui ha incontrato sia il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, sia il presidente palestinese Mahmoud Abbas. «Noi non ci perdiamo d’animo — ha detto Ayrault — e così pure i nostri partner nel mondo». Netanyahu «dice di volere negoziati diretti, ma quella opzione resta bloccata. Noi amiamo Israele, ne abbiamo difesi gli interessi sulla questione iraniana. Ma il rilancio del processo di pace — ha sottolineato il titolare del Quai d’Orsay — servirà anche alla sicurezza di Israele. Se non faremo qualcosa questa regione rischia di cadere nelle mani dei jihadisti» del cosiddetto Stato islamico (Is). «Sono venuto con un messaggio chiaro» ha quindi aggiunto Ayrault «l’amicizia verso Israele è sempre nel mio cuore». Ma lo status quo, ha ammonito, «racchiude gravi pericoli sia per gli israeliani sia per i palestinesi e dunque è ormai necessario passare all’azione». Al termine dell’incontro con Ayrault, il premier Netanyahu ha però sostanzialmente bocciato l’ipotesi di una nuova conferenza di pace, e questo, a suo dire, proprio nell’interesse di un dialogo proficuo Il ministro degli Esteri francese Ayrault e il premier israeliano Netanyahu (Afp) con i palestinesi. «La strada per una vera pace tra noi e i palestinesi passa attraverso negoziati diretti. Ogni soluzione diversa allontana la pace e concede ai palestinesi una scappatoia per evitare la radice del conflitto che è il riconoscimento di Israele come Stato nazionale del popolo ebraico» ha spiegato Netanyahu. Il leader del Likud ha inoltre criticato il recente voto di Parigi a favore di Duterte chiede la liberazione degli ostaggi nelle Filippine MANILA, 16. Nella sua prima conferenza stampa dall’elezione, ieri, il nuovo presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha chiesto ai miliziani islamisti di Abu Sayyaf di liberare gli ostaggi che si trovano nelle loro mani e che hanno minacciato di decapitare. «Vi chiedo di fermarvi — ha detto il neo capo dello Stato — perché state distruggendo l’immagine e l’economia delle Filippine». Abu Sayyaf è un gruppo terroristico che combatte da anni una sanguinosa lotta armata per rivendicare uno Stato islamico nel sud dell’arcipelago asiatico. Nato nel 1991 dall’iniziativa di un manipolo di ex combattenti della guerra in Afghanistan contro l’allora Urss, il gruppo si è sempre rifiutato di partecipare all’accordo di pace con il Governo di Manila, siglato nel marzo del 2014. Da circa vent’anni sequestra stranieri per finanziare operazioni terroristiche, omicidi e attentati. Nei giorni scorsi i miliziani hanno minacciato di uccidere tre ostaggi (un canadese, un norvegese e una filippina). I miliziani hanno già decapitato un quarto ostaggio, il canadese John Ridsdel, rapito insieme agli altri il 21 settembre scorso sull’isola di Samal. Duterte, inoltre, ha detto che intende chiedere al Congresso di ripristinare la pena di morte, abolita nel 2006. Ex sindaco di Davao e vincitore delle elezioni del 9 maggio scorso (ma non ancora ufficialmente proclamato presidente), Duterte ha promesso in campagna elettorale di sradicare la criminalità dal Paese nel giro di sei mesi. Secondo gli ultimi conteggi, ha ottenuto il 39 per cento dei consensi. La proclamazione ufficiale avverrà nei prossimi giorni da parte del Congresso di Manila. una risoluzione dell’Unesco che — a suo avviso — non riconosce la sovranità israeliana sull’area del Muro del pianto a Gerusalemme. La replica palestinese non si è fatta attendere. Sempre ieri, nel giorno della Nakba (“catastrofe” in arabo, in cui si ricorda la fuga dei palestinesi alla fine del Mandato britannico nel 1948) il segretario generale dell’Olp (organizzazione per la libe- Manifestazioni di protesta a Kathmandu KATHMANDU, 16. Migliaia di sostenitori dei partiti di etnia madhesi, nella regione meridionale nepalese di Terai, al confine con l’India, sono tornati ieri a manifestare nella capitale per proporre un emendamento alla divisione amministrativa prevista nella nuova Costituzione, approvata lo scorso settembre. La comunità etnica dei madhesi ritiene che la Carta costituzionale non garantisca i diritti alla minoranza che vive nella fascia meridionale del Terai. Per questo motivo, dopo quattro mesi di relativa calma, è tornata ieri a manifestare contro il Governo. Le proteste dei madhesi — sottolineano gli analisti — in passato hanno causato violenti scontri con la polizia con un bilancio di cinque morti e oltre 150 feriti. razione della Palestina), Saeb Erekat, ha dichiarato: «Dopo settant’anni siamo ancora qui e oggi, nella Palestina storica, tra il mare e il fiume Giordano, gli ebrei sono il 49,1 per cento, una minoranza che domina su una maggioranza». Non è possibile — ha aggiunto Erekat — «continuare a parlare di due Stati senza il riconoscimento dello Stato di Palestina». SEOUL, 16. Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone terranno a giugno le loro prime esercitazioni militari congiunte antimissile alle Hawaii. Questo allo scopo di perfezionare la risposta alle imprevedibili mosse della Corea del Nord, sempre più dotata di potenziale nucleare e balistico. Le manovre si terranno nell’ambito della Rim of the Pacific Exercise (Rimpac), le esercitazioni marittime internazionali più grandi sotto la guida di Washington e in programma da giugno ad agosto intorno alle isole statunitensi. I tre Paesi, ha riferito il ministero della Difesa di Seoul, stanno lavorando alla definizione dei dettagli del piano che vuole «mettere a punto un sistema d’allerta di missili disegnato per meglio difendere la Corea del Sud dal regime comunista di Pyongyang di fronte alle sue intimidazioni nucleari e balistiche». Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato lo scorso marzo, all’unanimità, la risoluzione 2270 — proposta dagli Stati Uniti e dalla Cina — che impone nuove e più pesanti sanzioni alla Corea del Nord. Inoltre, i quindici membri permanenti del Consiglio hanno minacciato ulteriori misure se il regime comunista di Pyongyang proseguirà con i test nucleari. Il documento è stato il frutto dei tre settimane di intensi negoziati al Palazzo di vetro dopo i nuovi test nucleari e balistici della Corea del Nord. Il documento — approvato anche da Pechino, unico alleato di Pyongyang — prevede misure serrate contro la Corea del Nord a causa delle attività nucleari relative a missili balistici in corso nel Paese e che «minacciano la pace e la sicurezza internazionale». L’azione unanime «da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu ha inviato un messaggio chiaro, secondo cui la Corea del Nord deve rispettare nuovamente i suoi obblighi internazionali», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Nel frattempo, la guardia costiera nordcoreana ha rilasciato ieri uno yacht russo sequestrato venerdì mentre si trovava in navigazione nelle acque del Mar del Giappone. «Il veliero ha lasciato il porto nordcoreano di Kimchaek in direzione di Vladivostok», ha affermato l’ambasciatore russo a Pyongyang. Secondo le ricostruzioni, l’imbarcazione era stata intercettata dopo aver preso parte a una regata in Corea del Sud. La Russia, uno dei pochi Paesi ad avere rapporti amichevoli con la Corea del Nord, ha chiesto immediatamente spiegazioni. Mosca ha poi precisato che l’intercettazione del battello è stato un «malinteso». Elezioni negli Stati indiani del Tamil Nadu e del Kerala NEW DELHI, 16. Sono cominciate oggi le operazioni di voto per il rinnovo dei Parlamenti locali degli Stati meridionali indiani del Tamil Nadu e del Kerala, nonché nella ex colonia francese di Pondicherry. La consultazione costituisce un importante test a livello nazionale, dal quale il primo ministro, Narendra Modi, attende segnali incoraggianti per il suo Governo. Per ottenere il massimo dei consensi nei due Stati, controllati da un forte partito regionale (nel Tamil Nadu) e da una coalizione guidata dal partito del Congresso i (nel Kerala), Modi si è impegnato in prima persona con una serie di comizi. Stando alle ultime notizie, nonostante l’infuocata campagna elettorale, le operazioni di voto si stanno svolgendo senza incidenti di rilievo. Visti i tempi lunghi delle procedure di voto, lo spoglio delle schede si svolgerà a partire dal 19 maggio prossimo. Procedure di registrazione per il voto nello Stato del Tamil Nadu (Afp) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 «L’esprit du Judaïsme» di Bernard-Henry Lévy Un ebreo gioioso Don Bosco e l’educazione dei giovani Buoni cristiani onesti cittadini di GRAZIA LOPARCO storico viene svegliato dalla riflessione sul presente, che pone domande al passato al fine di una più profonda conoscenza della propria missione nel contesto attuale. Coerentemente, la riflessione conclusiva di don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore in carica, verte sul futuro del carisma di don Bosco a partire dal concilio Vaticano II. Tra passato e presente emergono somiglianze, ma anche differenze e distanze, proprio perché ciò che è storico è destinato al cambiamento e, se la pratica restasse uguale, diventerebbe culto desueto di una fedeltà formale (la cenere) rispetto alla necessità di tradurre la proposta (il fuoco) in categorie adeguate ai giovani di oggi, così diversi da quelli di ieri. Ma qual è il nocciolo che perdura nel tempo, e quali aspetti invece lo rivestono storicamente e dunque vanno continuamente sottoposti a discernimento per conservare il dinamismo di un dono attuale in ogni “oggi”? Un carisma in astratto non è identificabile, né lo si potrebbe isolare, come in laboratorio, dalle uniche categorie che consentono alla persona di accoglierlo e rispondervi in concreto, vale a dire spazio e tempo. La presentazione del vissuto attiva un ono usciti due volumi sullo sviluppo del carisma salesiano nel mondo, a cura dell’Istituto Storico Salesiano e del Centro Studi Figlie di Maria Ausiliatrice (Fma): Sviluppo del carisma di don Bosco fino alla metà del secolo XX, (Roma, Editrice Las, 2016, pagine 412 e 638), Aldo Giraudo, Grazia Loparco, José Manuel Prellezo, Giorgio Rossi. La ricerca sulla “fortuna” del metodo educativo del santo piemontese è nata dal congresso internazionale organizzato a Roma nel novembre 2014 in occasione del bicentenario della nascita di san Giovanni Bosco (1815-2015). Invece di scandagliare la sua biografia, abbastanza nota, si è indagato su quello che ha avuto origine da lui ed è continuato dopo di lui — morto nel 1888 — spingendo lo sguardo nella storia e nella geografia, come egli stesso amava fare. Avendo fondato una congregazione maschile, una femminile e l’associazione dei cooperatori salesiani, in quarantacinque ricerche, tra quindici di carattere generale e trenta locali, emerge la vigorosa diffusione dell’opera salesiana. All’inizio si presenta una statistica dello sviluppo delle presenze — persone, opere e case in molti Paesi — di salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice fino agli anni Cinquanta del ventesimo secolo. La seconda parte è in formato digitale e riguarda il necessario completamento della prima su tematiche strutturate in tre parti. Nel 2011 don Pascual Chávez Villanueva, allora rettor maggiore dei salesiani, esplicitando il tema, “sviluppo del carisma di don Bosco”, notava che il termine carisma andrebbe assunto nel suo significato più ampio, non solo teologico, bensì anche sociologico e culturale; e che esso andrebbe approfondito insieme all’espressione “sviluppo”. Si tratta dunque di uno studio di carattere storico, tanto più che si Michele Schemboche, «Don Bosco in preghiera» affronta il periodo com(Torino, 1880) preso tra la fase conclusiva della vita di don Bosco e l’inizio degli anni Cinquanta del Novecento, nei qua- circolo ermeneutico che coinvolge li emergono cambiamenti sostan- ogni lettore con la sua esperienza, ziali pienamente rivelati nei decen- la sua precomprensione, le sue atni successivi. tese e interrogativi, come parte viL’attualità del carisma costitui- va di questa storia o per appartesce tuttavia la prospettiva di riferi- nenza istituzionale o per sintonia mento. In altri termini l’interesse di interessi. S La scomparsa di Alvise Zorzi Lo storico Alvise Zorzi, tra i massimi conoscitori e studiosi della Serenissima Repubblica di Venezia e della vita della città lagunare, è morto il 14 maggio. Era nato il 10 luglio del 1922. Scrittore, saggista, ha fatto parte del Comitato Consultivo per Venezia dell’Unesco ed è stato, tra gli altri incarichi ricoperti, direttore dei programmi culturali della Rai e vicepresidente dell’unione europea di Radiodiffusione. La notizia è stata resa nota dal figlio, Pieralvise, che su un social network ha annunciato: «è morto il Doge». di CRISTIANA D OBNER hl è una sigla che si decritta all’istante: Bernard-Henry Lévy, filosofo, combattente sulle barricate dalla Bosnia all’Ucraina, da Darfour alla Libia, manager d’industria, scrittore. La sua ultima ricerca, molto attesa, L’ésprit du Judaïsme (Grasset, Parigi, 2016, pagine 438, euro 22), si riallaccia e riprende le tesi di Testamento di Dio, pubblicato ben trentasette anni fa. Chi legge viene accompagnato nell’itinerario intellettuale, familiare e personale dell’autore che entra da filosofo ebreo negli interrogativi che oggi scuotono le società e gli animi. L’opus — intenso come un libro “di combattimento”, di vita vissuta — raccoglie lo scavo di decenni e propone un lessico personale di cui bisogna prendere atto per poter compren- B Per questi motivi, le tre parti dei salesiani e la loro declinazione in volumi sono dedicate alla dimen- senso preventivo. Vari studi illusione storica, pedagogica, di spiri- strano l’identità e le eventuali contualità. Le informazioni sono attin- notazioni di genere dello stesso te da circa un sessantennio di vis- spirito salesiano, mentre il mondo suto, tuttavia mentre la prima parte cambiava e ridisegnava ruoli, aspetè dedicata all’evoluzione dell’opera tative e relazioni maschili e femminella concretezza dei contesti stori- nili nella società (più che, o in moci e culturali, espressa in scelte isti- do diverso, nella Chiesa). L’estentuzionali in dialogo con i processi sione dell’opera richiederebbe ben politici, sociali, economici, la se- più numerosi studi monografici per conda parte è di carattere più spic- dar conto della presenza educativa catamente pedagogico. Si esamina di salesiani e Fma nella diversità infatti lo sviluppo delle idee, degli delle aree geografiche e culturali, orientamenti e della prassi educati- dei contesti ecclesiali e sociali, tutva della prima esperienza salesiana tavia già i temi presentati suggerinei contesti di diffusione delle co- scono altre piste, costituiscono un munità. La terza parte, poi, è dedi- sondaggio esteso alle regioni più cata alla spiritualità maturata a diverse e non solo a quelle — europartire dal fondatore, dalla sua pea e americana — sinora un po’ ispirazione. più esplorate dalla storiografia e Dato che don Bosco si propone- dalla pedagogia salesiana. va di formare buoni cristiani e oneLa terza parte è dedicata alla sti cittadini per la società, una rela- spiritualità, motivazione e orizzonzione introduttiva di storia civile te di don Bosco e dei suoi figli e ha delineato le principali trasfor- figlie. L’articolazione delle ricerche mazioni in atto a livello internazio- manifesta un’attenzione alla diffunale nel periodo esaminato, con at- sione dello spirito “salesiano” nel tenzione a quelle sfide che più di- senso originario del termine; l’indarettamente riguardavano il mondo gine del modello di santità a esso giovanile delle fasce popolari e me- correlato, emergente dai processi di die o che si ripercuotevano su di beatificazione e canonizzazione di esso. Questo consente di esplorare salesiani e Figlie di Maria Ausiliain quale misura salesiani e Fma sia- trice, l’attenzione alla sua dimenno stati in grado di recepire i cam- sione missionaria e universale. Il biamenti e di operare di conse- modo di intendere la fedeltà allo guenza. Per rispondere alla doman- spirito di don Bosco sia tra i saleda di fondo: come si è sviluppato il siani che tra le Fma, tra fine Ottocarisma salesiano, fino agli anni del cento e metà Novecento, è una massimo incremento numerico dei chiave di lettura fondamentale per salesiani e delle Fma?, si è scelto di comprendere anche le attuazioni e interrogare molte fonti e, rispetto i modelli educativi, il coraggio ed alla storia già un po’ più nota fino al tempo di don Filippo Rinaldi — Un carisma non è identificabile in astratto morto nel 1932 — di spingersi sino a dopo la see non può essere isolato conda guerra mondiale, come fossimo in un laboratorio nel periodo immediatamente anteriore ai cambi Le categorie che consentono di comprenderlo connessi con il concilio sono lo spazio e il tempo Vaticano II e all’accelerazione dei processi storici degli ultimi decenni. La ricerca prende le mosse dalle eventualmente le reticenze rispetto statistiche sull’intenso sviluppo del- ai cambiamenti. In tal senso le tre le due congregazioni religiose che parti del testo sono strettamente in quegli anni raggiungono i cin- correlate e si illuminano a vicenda. que continenti. I dati fanno da La valutazione conclusiva emersfondo a una riflessione su alcune ge dalla riflessione sul vissuto, terisposte istituzionali offerte alle esi- nendo costantemente presente il genze educative e assistenziali clima contemporaneo che vigeva emergenti, esaminando le direttive nella Chiesa universale, per meglio dei due governi centrali, in cui il comprendere la ragione e il backrettor maggiore di turno aveva un ground di un certo modo di concepeso determinante. Diversi studi il- pire la fedeltà alla tradizione; di lustrano l’attuazione locale di conseguenza il complesso rapporto quanto pareva rispondente alla con la modernità e i suoi risvolti; propria missione, seguendo o tal- la mentalità per lo più difensiva volta forse anticipando le indica- emersa negli anni verso i mezzi zioni, tra continuità e cambi richie- della comunicazione sociale e alcusti dai tempi. L’evoluzione del ni comportamenti inediti sempre mondo lavorativo, la questione so- più comuni nelle famiglie. ciale, l’avvicendamento di regimi Don Bosco, con le sue scelte readittatoriali, nazionalismi e guerre, li e nella rappresentazione progresla diffusione crescente dell’istruzio- siva del personaggio, rimane la ne popolare e insieme di ideologie chiave di lettura imprescindibile anticlericali, i flussi migratori, il per comprendere lo sviluppo del deciso impegno missionario, la na- suo spirito, come seme che preanscita della società di massa, l’asso- nuncia lo sviluppo dell’albero. Nei ciazionismo giovanile cattolico, i volumi si va però oltre la sua avcambi di mentalità nelle famiglie vincente personalità, si esplora la sono alcuni temi con cui si misura- sua eredità, per interrogarsi non sova l’impegno salesiano su scala lo su come è stata intesa la fedeltà mondiale, forte di persone e di im- a lui da parte di chi ne ha prolunmagine, anche se insufficiente nei gato e istituzionalizzato le intuiziomezzi per rispondere a tutte le ri- ni riconosciute all’altezza dei temchieste ed esigenze. pi, ma in ultima istanza sulla fedelL’anima educativa dell’azione tra tà odierna, dinamica e prospettica, i giovani è al centro della seconda affinata, almeno nelle intenzioni, parte della ricerca, in cui si richia- dall’esame critico, intellettualmente mano gli orientamenti pedagogici onesto, del passato. Il filosofo francese dere gli svariati e colti stimoli, gli aspetti politici, metafisici e teologici, partendo da Roma giungendo alla Repubblica d’Oltralpe, perché «il popolo francese è, più di altri, un popolo portatore di valori universali e astratti». Il dittico La gloria degli ebrei e La tentazione di Ninive ci porta sempre al vissuto odierno, grazie a interrogativi filosofici che si stendono su tutto il libro in una meditazione inesausta. La dimensione teologica, dogmatica e dottrinale ebraica non ha la meglio sulla riflessione filosofica critica, perché Lévy non intende muoversi sulla linea tracciata dalla dimensione teologica ma su quella storica, sia politica che della storia del pensiero. Quindi è un’indagine che percorre secoli di pensatori e di cultura. In una duplice dimensione: rivolta all’interno, dove la conoscenza delle fonti rabbiniche attesta lo studio quotidiano; rivolta all’esterno con gli impegni, non solo politici ma ampia- Di fronte all’alternativa persona di fede che non studia e persona di studio l’autore non esita Sceglie la seconda mente umani, e con la creazione di una lingua specifica. I lemmi, interdipendenti, del lessico si possono individuare rapidamente: la gloria, l’elezione, l’identità e lo studio. Quale la loro accezione? La gloria: l’ebraismo inteso come principio d’emancipazione per l’alterità, per la responsabilità verso il mondo, nel rapporto all’altro; l’intera avventura del pensiero ebraico alla scuola dei maestri Emmanuel Lévinas, Franz Rosenzweig, Benny Lévy e Albert Cohen, dai greci a Marcel Proust, da Rashi ad Auschwitz. La gloria si declina strettamente con il lemma successivo, l’elezione: la tentazione di Ninive oppone all’idea di popolo eletto quella di piccolo popolo, che diventa tesoro di Dio. Un popolo sabbia «che vuol dire la moltitudine ma anche, il silenzio, la mobilità tacita e leggera, la duttilità, la leggerezza», l’ebraismo considerato un universale-segreto. Lévy passa dal Giona biblico al Giona odierno: dove vive? dove si trova? E proprio Giona si rivela il modello profetico dell’autore, la figura che lo sollecitò ad andare a combattere in Libia. Modello biblico per incarnare un modello di aiuto umanitario: l’impegno di Lévy si comprende e si illumina proprio dalla sua lettura di Giona. L’identità: Lévy afferma la sua identità di ebreo. Il suo nome, infatti, è nella Torah, il suo posto è qui, appartiene al giudaismo. Che non è un particolarismo ma un universalismo, in cui non viene esaltata un’identità ma uno sforzo per superare le identità, per arricchirle. Si può condividere perché l’etica è più importante della fede, perché il rapporto con l’altro prevale sul rapporto con se stesso. Quanto si fa, conta di più di quanto si è. Véronique, l’amata sorella minore, ha raccontato la sua conversione in un libro che Lévy ritiene bello ma che — per la sua volontà di saltare i passi, di correre alla conclusione che è la comunione, di bruciare le tappe per arrivare — si colloca in un immaginario che improvvisamente non è più il suo. Lo studio: Lévy sostiene che si può essere ebreo e ci si può dichiarare ebreo, profondamente ebreo, senza credere nell’esistenza di Dio. Non accetta la distinzione fra ebrei laici e ebrei religiosi: «Preferisco opporre gli ebrei che pensano agli ebrei che non pensano (…). Gli ebrei ci sono non per credere ma per studiare». L’idea di Dio pervade le pagine della sua lunga meditazione, anche se egli ritiene che non sia centrale, anzi esclude sia il credere sia l’esistenza di Dio. Il perno è un altro: lo studio inteso come sapere e intelligenza, sulla scorta degli instancabili commentatori ebrei che hanno fatto scaturire dalla lettera lo spirito che, in qualche modo, vi era ripiegato. Se Bernard-Henry Lévy ha un’identità, questa è gioiosa in rapporto all’ebraismo. Egli è un ebreo gioioso perché l’ebraismo non esalta un’identità ma arricchisce le identità, è un universalismo. Posto dinanzi all’alternativa tra persona di fede che non studia e persona di studio, Lévy non esita: sceglie la seconda. Anche se resta aperto un interrogativo: se si trovasse dinanzi a una persona di fede che simultaneamente studia? Il pensiero corre al cardinale Carlo Maria Martini e ne richiama la distinzione, molte volte ribadita, fra pensanti e non pensanti, piuttosto che fra credenti e non credenti. Si tratta in fondo di una ricerca gravida di speranza, portatrice della ragione dei Lumi agganciata alla ragione della Torah e della fede. Elementi che consentono l’iscrizione di tutti nella storia, riconoscendoci come profeti. Convenire o dissentire con Bernard-Henry Lévy? Piuttosto pensare e studiare da credenti: «La partita è appena iniziata». L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 pagina 5 Marc Chagall «L’écho» Nella società di oggi gli ebrei sono chiamati ad aprirsi al dialogo Con coraggio in mare aperto di RENZO GATTEGNA utte le Costituzioni degli Stati democratici sono ispirate e contengono il principio della laicità, inteso come netta separazione tra lo Stato e le istituzioni e le organizzazioni confessionali. In ogni caso una netta distinzione tra leggi civili e regole religiose, storicamente, si è sempre rivelata la più forte garanzia per il rispetto dei principi di libertà ed eguaglianza, soprattutto per le minoranze, in quanto nessuna ideologia o religione può essere privilegiata o sfavorita. Viene spontaneo domandarci se queste concezioni della democrazia e della laicità siano ancora attuali di fronte alle grandi sfide che l’umanità si trova a fronteggiare e che derivano dalla coesistenza all’interno delle stesse entità nazionali e sovranazionali, di identità, etnie e religioni che si riconoscono in principi e valori tra loro contrastanti. Se ogni comunità esistente all’interno dello stesso contesto sociale pretendesse di rimanere chiusa in se stessa e tesa a realizzare al proprio interno una totale omogeneità di idee e di comportamenti, sarebbe inevitabile un progressivo irrigidimento delle posizioni e un’accentuazione dei contrasti e dei rischi di conflitto. È necessario che nelle società contemporanee si proceda a un aggiornamento di questi principi; non sembra più sufficiente che gli Stati garantiscano la libertà e l’eguaglianza fra i cittadini, si sente la necessità che si fissino anche le regole e si garantisca la possibilità che tra le varie componenti si svolga un pacifico e produttivo scambio culturale. Nel secolo scorso milioni di ebrei sono emigrati o fuggiti verso l’Europa occidentale, le Americhe e Israele divenendo parte integrante e costitutiva di società nelle quali è certo indispensabile conservare la propria identità, ma anche uscire fisicamente e psicologicamente dai ghetti, imparare a convivere, comunicare, integrarsi in società libere e aperte nelle quali, in senso non retorico e non teorico, la varietà è vera ricchezza e le diverse ideologie, teologie e tradizioni convivono in pace, con pari dignità e reciproco rispetto. L’ebraismo deve conservare le sue caratteristiche originarie di rifiuto di qualsiasi forma di idolatria e di conciliare rigore e flessibilità, lasciando, come T il Talmud insegna, ampi spazi alla dissertazione filosofica, alla ricerca scientifica e alla libertà di interpretare e sviluppare il dibattito come valore positivo e irrinunciabile, rispettando le diverse correnti di pensiero, ma conservando sempre la capacità di riportare tutto all’unità. Le forme di chiusura e ripiegamento in se stessi, adottate nei secoli scorsi dai nostri antenati per autodifesa, appaiono superate, inutili e dannose in un mondo globale nel quale confini e barriere si sono fortemente affievoliti e non esistono più microcosmi impenetrabili e incontaminabili. Un futuro dell’ebraismo che sia degno dei suoi valori universali e delle sue gloriose e plurimillenarie tradizioni non potrà esistere senza l’uscita da qualsiasi forma di isolamento, uscita alla quale siamo insistentemente chiamati dalle società contemporanee e democratiche nelle quali viviamo e delle quali siamo parte integrante. Sarebbe un’illusione antistorica, un errore fatale, la perdi- ta di un’occasione unica, e forse irripetibile, se ci sottraessimo all’apertura e al confronto che, si badi bene, sono cose ben diverse, anzi opposte, all’assimilazione; sono infatti prove di fiducia in noi stessi e stimoli al rafforzamento della nostra cultura e della nostra identità per poter essere all’altezza di qualsiasi sfida o confronto e in tal modo sconfiggere, una volta per tutte, quell’insegnamento del disprezzo che non è ancora completamente debellato. Per noi è opportuno e necessario uscire dai porti, solo apparentemente sicuri, staccarci dagli ormeggi fissi e statici e affrontare coraggiosamente il mare aperto guidati con Pubblichiamo ampi stralci della relazione prudenza e con sagconclusiva del presidente dell’Unione delle gezza dai nostri Maecomunità ebraiche italiane (Ucei) stri; navigare nel mare pronunciata il 15 maggio in occasione della aperto può sempre riunione del Consiglio dello stesso comportare rischi e riorganismo. In essa il presidente dell’Ucei, servare sorprese, ma in carica dal giugno del 2006, ha non esistono alternatiannunciato di non aver ripresentato la sua ve se si vuole conticandidatura alle elezioni del 19 giugno, nuare a partecipare e «certo che sia giunto il momento migliore contribuire, come proper facilitare e assecondare un tranquillo e democratico ricambio al vertice». tagonisti, all’evoluzio- Dieci anni da presidente A colloquio con il rappresentante dell’ebraismo italiano Convivenza e solidarietà sono possibili incontro è cordialissimo, come d’istinto già la prima volta, diversi anni fa brevissimamente. Ma stavolta è diverso, per una conversazione senza fretta, mentre le ombre e il silenzio della sera progressivamente avvolgono lo studio in un vecchio palazzo di Prati. Romano, settantaseienne, sposato da oltre quarant’anni, due figli già grandi, due nipotine, Renzo Gattegna è dal 2006 presidente dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane; in altre parole, il rappresentante dell’ebraismo di fronte allo Stato. Avvocato civilista, rievoca innanzitutto con passione il suo itinerario all’interno della comunità romana, quando nella prima metà degli anni Cin- L’ quanta diversi suoi amici fondarono un circolo giovanile ebraico. Vive nella memoria di Gattegna restano la figura di Augusto Segre, capo del dipartimento culturale dell’Ucei, e la sua visione molto aperta dell’ebraismo: era un uomo «portato a dialogare», che insisteva sempre sui diritti civili e sulla libertà di tutti. Nel 1967 dalla Libia arrivò un’ondata di “tripolini” e si pose il problema di accogliere una intera comunità «per farla sentire integrata»: non fu facile, certo, ma ci siamo riusciti, dice. Il ricordo dell’episodio è sintomatico dell’atteggiamento di Gattegna, pacato e fiducioso. Nei rapporti non semplici all’interno del variegato ebraismo italiano, con le istituzioni civili, con la maggioranza cattolica. E qui, insieme alla me- moria di Elio Toaff, si staglia quella di Papa Giovanni e dei suoi successori, ma soprattutto del concilio e della Nostra aetate, la dichiarazione sui rapporti con le religioni non cristiane. Tanto breve quanto fondamentale, il documento ha segnato una svolta e, per quanto riguarda l’ebraismo, le celebrazioni cinquantenarie sono state una conferma dell’alleanza divina originaria, mai revocata e irrevocabile, con Israele: e ora questa conferma è «un segno inequivocabile, un vero segno dei tempi» commenta il presidente dell’Ucei. Il colloquio si allarga: nei paesi occidentali, secondo Gattegna, siamo stati molto fortunati per questi «settant’anni di pace, libertà, benessere». Oggi però siamo di fronte a nuovi pericoli: dalla crisi economica Conclusa la settimana di evangelizzazione dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi Per una diversità riconciliata di D ONATELLA COALOVA La sfida della nuova evangelizzazione interpella allo stesso modo protestanti, cattolici e ortodossi. Ed è significativo che da più parti si avverta il bisogno di uno stile missionario che s’incarni nella storia, spalanchi le porte, si mescoli fra la gente. Conoscere e comunicarsi reciproca- Enguerrand Quarton, «La Vergine della Misericordia» (1453) ne della civiltà contemporanea e al tempo stesso riscoprire continuamente la nostra forza interiore. La nostra forza dovrà esprimersi, d’ora in avanti, indirizzando il nostro popolo fuori e lontano dai ruoli contraddittori che chi non ci ama tende da secoli ad attribuirci, di vittime, di sfruttatori, di arroganti e spietati usurpatori. Noi ebrei, anche sulla base della nostra esperienza storica, dovremmo rifuggire da qualsiasi tentazione all’estremismo, alla faziosità, alla chiusura in noi stessi, all’isolamento culturale, al verbo unico, ai dogmi; dovremmo combattere il fascino insidioso della demagogia ideologica e verbale, sia teorica che pratica. Estremismo e demagogia sono figli della paura e si nutrono di banali, arbitrarie e volgari semplificazioni, alterano le relazioni umane, inducono al pregiudizio e all’odio nei confronti del diverso, stimolano alla continua e perenne ricerca di nemici veri o immaginari, alla diffidenza verso gli amici, all’alterata visione di una realtà sempre e solo bianca o nera, senza sfumature. L’estremismo del linguaggio, l’uso sconsiderato di provocazioni verbali, non toccano solo aspetti di pura forma perché producono effetti traumatici e danni reali e concreti, sviluppano la tendenza a demonizzare non solo gli avversari, ma spesso anche gli amici se chiedono uno spazio per il dialogo o una maggiore apertura. Se un simile degrado si presentasse fra noi dovrebbe essere duramente contrastato ricordandoci che, secondo la Legge ebraica, nessuno ha il diritto di affermare di essere un’autorità suprema depositaria della verità e che nessuno è titolare del potere assoluto e indiscutibile di accogliere o di escludere chiunque. Fondamentalismo e integralismo non sono termini equivalenti, anche se frequentemente vengono abbinati e confusi. La differenza emerge chiaramente se si risale alla loro origine storica ed etimologica. Nonostante le differenze, sia il fondamentalismo che l’integralismo aspirano alla costruzione di società e di stati teocratici nei quali tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giurisdizionale siano ispirati e sottomessi a un solo potere religioso. Appare ogni giorno più evidente quali siano le drammatiche conseguenze che derivano dal rifiuto dei principi di democrazia e di laicità dello Stato, i soli che possono assicurare parità di diritti e dignità fra maggioranze e minoranze, fra credenti e non credenti, fra cittadini e stranieri. mente le esperienze potrebbe essere un modo per vivere lo scambio dei doni a cui invita il movimento ecumenico. L’Unione delle Chiese metodiste e valdesi ha celebrato quest’anno (dall’8 al 15 maggio) la “Settimana di evangelizzazione”, giunta alla sua terza edizione e accompagnata dal versetto: “Scorra il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne” (Amos, 5, 24), un passo biblico «scelto — hanno spiegato gli organizzatori — anche pensando ai profughi delle guerre in atto in questi tempi, comprese stragi e terrorismo che insanguinano diverse nazioni». La storia di questa iniziativa inizia con un atto del sinodo 2013 che diede «mandato alla Tavola d’istituire per l’anno 2014, in forma sperimentale, possibilmente in primavera» questa Settimana. Un atto dell’anno successivo recita: «Il sinodo, informato degli incoraggianti risultati ottenuti nella Settimana dell’evangelizzazione 2014, invita la Tavola valdese a inserire la Settimana dell’evangelizzazione nel calendario delle iniziative proposte alle Chiese a livello nazionale, preferibilmente nel periodo immediatamente precedente Pentecoste». La commissione per l’evangelizzazione, coordinata dal pastore Giuseppe Ficara, ha lavorato per facilitare l’organizzazione dell’iniziativa nelle comunità, preparando e immettendo nell’apposito sito vari sussidi, sermoni, volantini, locandine, filmati. Il protestantesimo è illustrato con chiarezza e semplicità nei suoi aspetti essenziali. Da segnalare “Una fede, una missione”, un opuscolo di autopresentazione che, su otto pagine, ne dedica una a trattare “La nostra scelta: il dialogo. Guardare nella prospettiva ecumenica e interreligiosa”. Sono state numerose le iniziative in tutta Italia durante questa Settimana dell’evangelizzazione. Ci sono stati concerti, mostre, predicazioni, dibattiti, tavole rotonde, pasti in comune, momenti di festa e anche di riflessione. «Nell’anno 2015/2016 — ha spiegato il pastore Pawel Gajewski — il Vangelo secondo Marco è il filo conduttore delle nostre attività e così abbiamo deciso di rileggerlo interamente insieme a tutte le nostre amiche e amici con cui condividiamo il cammino ecumenico». Renzo Gattegna (foto di Giovanni Montenero) mondiale al terrorismo, che infierisce soprattutto sui moderati e perseguita le minoranze, in particolare i cristiani. Fino al deterioramento dell’ambiente, che è tra le cause delle migrazioni forzate. Ma si può e si deve collaborare, ripete con convinzione il presidente dell’Ucei: bisogna «arrivare a una pacifica convivenza» perché, se è vero che il passato ha lasciato segni profondi, «è importante far prevalere la fraternità e consolidare questo momento, forse irripetibile». In questo processo di collaborazione tra fedi diverse un ruolo importante ha la laicità, dice con convinzione Gattegna, e precisa: «la laicità, non il laicismo, che è un’ideologia antireligiosa; in questo sono d’accordo con il Papa». Ha coraggio il Pontefice, chiosa il presidente dell’Ucei, e «sa esprimersi in modo che tutti lo capiscano». Con secolarizzazione e politica in crisi, c’è una riscoperta religiosa. Ma è forte il pericolo degli integralismi e dei fondamentalismi, ai quali Gattegna si è sempre opposto, non solo come rappresentante dell’ebraismo italiano. Il presidente dell’Ucei ne è convinto: il pregiudizio è «basato sulla non conoscenza». Certo, in Italia l’interesse per l’ebraismo e la sua cultura è cresciuto molto, ma non altrettanto «la reciproca conoscenza tra ebrei e cattolici» perché «i cambiamenti sono rimasti finora nelle élite». Oggi, continua Gattegna, «gli ebrei possono essere per tutti un esempio di una minoranza capace d’integrarsi», e ripete che più in generale l’attuale rapporto tra cattolici ed ebrei «è un segno che la convivenza e la solidarietà sono possibili». Si è fatto tardi ed è sceso il buio, ma la conclusione del colloquio guarda con ottimismo al futuro, accompagnata dall’aria primaverile che si avverte appena scesi in strada, tra gli alberi. (g.m.v.) Cofondatrice di Nomadelfia È morta Irene Bertoni Irene Bertoni, cofondatrice assieme a don Zeno Saltini di Nomadelfia (Grosseto), è morta il 15 maggio. Lo rende noto la stessa comunità di accoglienza. Bertoni, nata a Mirandola (Modena) il 6 febbraio 1923, era entrata in Nomadelfia, allora Opera Piccoli Apostoli, il 21 luglio 1941. «Nel corso della sua esistenza — ricorda la comunità — ha donato la maternità a 58 figli»: con Irene nasce infatti nella Chiesa e nel mondo la figura delle vergini non consacrate, che rinunciano al matrimonio per accogliere figli abbandonati. Sono le cosiddette «mamme di vocazione», che in questi anni hanno accolto moltissimi bambini abbandonati. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 Nell’esortazione di Papa Francesco sulla famiglia L’amore e le sue trasformazioni di FRANCO GIULIO BRAMBILLA* Caritas Italiana e Migrantes sull’accoglienza ai rifugiati Più diritti e percorsi per l’integrazione ROMA, 16. No alla «scelta scellerata» degli hotspot voluti dall’Europa perché «non rispettano i diritti dei migranti e le procedure» per la richiesta d’asilo o altre forme di protezione umanitaria. È netta la posizione di Caritas Italiana, che dal 12 al 15 maggio ha partecipato con i rappresentanti delle Caritas diocesane al festival «Sabir» sulle culture mediterranee organizzato a Pozzallo (Ragusa) da numerose organizzazioni impegnate sul fronte dell’accoglienza. Nelle stesse ore in cui in Sicilia e Calabria sono sbarcati circa mille migranti provenienti dall’Egitto, i delegati di Caritas Italiana hanno visitato il centro di Pozzallo, uno dei cinque hotspot già attivi in Italia, insieme a quelli di Augusta, Taranto, Lampedusa e Porto Empedocle. Attualmente vi sono accolte 180 persone di cui ben 140 sono minori, con un aumento del 170 per cento rispetto allo scorso anno. «Il problema grave — ha spiegato all’agenzia Sir Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana — è che questi minori, spesso non accompagnati, non si riescono a ricollocare. Non ci sono strutture in Italia che possono ospitarli, anche a causa della diminuzione dei fondi delle rette di accoglienza». Tuttavia, i rilievi mossi da Caritas Italiana sono molto più ampi. «Noi critichiamo il sistema dell’hotspot — ha detto Forti — così come lo ha immaginato l’Europa: in Italia o in Grecia, l’idea di creare una procedura accelerata che non rispetta i diritti dei migranti per individuare, al momento dello sbarco, chi ha diritto a rimanere e chi deve essere invece respinto, per noi è una compressione inaccettabile dei diritti. Chiediamo di ritornare completamente alla situazione prima degli hotspot: accelerare sì le pratiche, ma sempre nel rispetto dei diritti e delle procedure». La Caritas e le altre organizzazioni umanitarie hanno infatti riscontrato rimpatri di migranti «senza che abbiano avuto prima le necessarie informazioni». A Pozzallo, ha rilevato il responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana, «questo avveniva fino a gennaio, oggi non succede più anche grazie alla nostra azione di pressione ma in altri hotspot accade ancora. Abbiamo notizie di persone rimpatriate in Grecia senza nessun tipo di garanzia, senza informazioni su dove andavano, con il sequestro dei telefonini. Sono una serie di segnali che confermano la nostra preoccupazione». Nell’hotspot di Lampedusa, invece, «non ci sono questioni particolarmente drammatiche — ha precisato ancora Forti — se non la permanenza troppo prolungata di so- mali che rifiutano di farsi identificare. Non li trasferiscono sulla terraferma fino a che non danno le impronte. Questo denota la debolezza del sistema». Forti riserve sulle misure approntate dall’Unione europea per far fronte alle ondate di arrivi sono state mosse anche da monsignor Giancarlo Perego, direttore della fondazione Migrantes. «La prima reazione dell’Europa — ha detto il sacerdote a Radio Vaticana — che è stata quella di costruire un accordo con la Turchia, è stata certamente nella direzione della non tutela di alcuni diritti fondamentali per quanto riguarda i richiedenti asilo e i rifugiati. Quindi una debolezza di una tutela di un istituto fondamentale su cui è poggiata la nostra democrazia. Al tempo stesso rimane ancora debole la capacità dell’Europa di questa accoglienza diffusa in tutti i 28 Paesi europei che potrebbe essere efficace visto anche l’attuale numero che si aggira intorno a un milione e 200 mila persone». In questo senso, ha aggiunto, «l’Europa non solo investe troppo poco, ma investe male; è troppo preoccupata del controllo delle frontiere attraverso gli hotspot e meno preoccupata invece di tutti questi percorsi di accoglienza, di inclusione, di integrazione, che sono importantissimi in questo momento». Appello per una delle emergenze più gravi del pianeta Sud Sudan terra dimenticata JUBA, 16. La situazione umanitaria in Sud Sudan è una delle peggiori del pianeta. Oltre quarantamila persone stanno morendo di fame mentre un quarto della popolazione ha urgente bisogno di aiuti alimentari. La nazione più giovane del mondo da tre anni è martoriata da una guerra civile che ha già causato decine di migliaia di vittime e milioni di profughi, eppure il Paese africano è ricco di acqua e terreni coltivabili nonché di petrolio. «Si tratta — ha ricordato il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy — di una guerra dimenticata. Ab- biamo avuto difficoltà a reperire fondi necessari per sostenere le popolazioni. Credo che la comunità internazionale sia cosciente di questa situazione. Oggi, ci sono persone in Sud Sudan che muoiono di fame e ciò non è accettabile. Dobbiamo lavorare su questo». Secondo Roy, quella del Sud Sudan è una guerra dimenticata sulla quale nessuno è in grado con esattezza di fornire cifre attendibili. Si stima che circa 2.300.000 persone abbiano abbandonato le loro case; più di sei milioni, la metà della popolazione, ha bisogno di aiuti alimentari d’emergenza, e sono stati reclutati circa 15.000 bambini soldato. L’insicurezza alimentare e lo sfollamento di intere comunità completano il quadro di una crisi umanitaria in cui si intrecciano conflitto armato, shock climatici e collasso economico. «Così — ha sottolineato Roy — un intero Paese è in guerra e distrutto. Non c’era molto prima, ma ora è ancora peggio. È davvero una situazione terribile, una delle peggiori del mondo di oggi». Dal 2013, il Sud Sudan è stato coinvolto in una brutale e sanguinosa guerra civile tra i sostenitori del presidente Salva Kiir, e il suo avversario ed ex vicepresidente, Rijek Machar. Per ragioni politiche ed etniche, il Paese africano continua a sanguinare. Nel frattempo, il suo vicino, il Sudan, non ha mai visto di buon occhio l’indipendenza del Sud Sudan. Per Roy, la responsabilità è di tutti, sia della popolazione del Sud che di quella del Nord. Secondo le Nazioni Unite, 6 persone su 10 hanno perso un membro della famiglia in una guerra nel corso della quale sono stati commessi crimini atroci. Alcune fonti parlano di 300.000 morti. Per gli analisti internazionali, l’assenza di dati affidabili dà una sorta di immunità a chi compie questi crimini e la garanzia che potranno continuare a essere perpetrati. Nonostante le mille difficoltà, Caritas Sud Sudan, con fondi limitati, continua ad assistere una popolazione allo stremo che interpella il mondo in cerca di pace. «Dacci oggi il nostro amore quotidiano!». Il cammino della coppia si trasforma in invocazione orante. La prima parte del capitolo IV (nn. 90-119) di Amoris laetitia ha delineato una mirabile sintesi tra passione erotica e tenerezza dell’amore. La carità coniugale è un amore santificato dalla grazia del sacramento. Così la grazia di agape (di Cristo per la sua Chiesa) diventa il segno storico-salvifico dell’agape trinitaria, sorgente del “mistero grande” dell’amore. Con realismo Papa Francesco nel seguito del capitolo svolge il cammino storico dell’amore (nn. 120-162) e le sue trasformazioni (163-164). Egli afferma, infatti, che «non si deve gettare sopra due persone il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa» (n. 122). Tra l’amore di Cristo per la sua Chiesa e il rapporto uomo donna esisterà sempre un’asimmetria invalicabile e un insopprimibile rimando. Per questo il Papa nel bel n. 123 sulla scorta di Tommaso definisce l’amore coniugale come «la più grande amicizia» (maxima amicitia). Nel rapporto uomo donna la differenza assume i tratti della sponsalità esclusiva e dell’apertura al definitivo. Secondo le parole del Bellarmino ciò non può accadere «senza un grande mistero» (n. 124). Segue un ventaglio di numeri che disegnano alcuni tratti del «totius domesticae conversationis consortium» (San Tommaso). L’incontro uomo donna diventa così l’archetipo dell’amore di amicizia. Lo sguardo di Papa Francesco sulla “drammatica” dell’amore arricchisce la famiglia dell’eloquenza di gesti affascinanti. La vicenda di una coppia e la generazione dei figli deve viaggiare tra le false idealizzazioni e le cadute deprimenti. È un’armonia di note che risuonano nella vita della famiglia: la cura della gioia (n. 126), l’estetica della bellezza del valore dell’altro (n. 127-9), la condivisione del dolore (n. 130), la preparazione al passo definitivo (nn. 131-132), la pratica e la crescita dell’amore (permesso, grazie, scusa: nn. 133-135), il dialogo, l’ascolto e il tempo donato (n. 136-141), la custodia e l’educazione dei sentimenti (nn. 143149), lo stupore della dimensione erotica, le sue deviazioni e le sue riprese (nn. 150-157), il rapporto con la verginità (nn. 158-162). Infine, corona questo capitolo-gioiello un cenno (nn. 163164), risuonato anche nell’aula del sinodo, sulle “trasformazioni dell’amore”. Se l’amore è un labor, un cammino e una lotta, esso è soggetto alla trasformazione delle sue figure. Solo l’assolutizzazione della forma romantica Claude Monet, «Passeggiata nei pressi di Argenteuil» (1873) dell’innamoramento, spesso con fantasmi fortemente adolescenziali, produce un’esaltazione e un’idealizzazione dei modi dell’amore. Papa Francesco in due numeri racconta le cose essenziali sui cambiamenti dell’amore. Anzitutto, il prolungamento della vita prospetta un mutamento della relazione intima e del senso di appartenenza per più decenni successivi, spostandosi dal desiderio sessuale al sentimento di Ad Amman una struttura che dà lavoro ai profughi Il giardino della misericordia AMMAN, 16. Un’azienda dedita all’agricoltura “sostenibile”, con seicento olivi piantati su un terreno di circa diecimila metri quadri, che impiega quindici lavoratori, scelti tra i profughi iracheni, ma anche tra i giordani disoccupati: è questo il “giardino della misericordia”, progetto solidale inaugurato nei giorni scorsi ad Amman, in Giordania, presso il Centro “Nostra Signora della Pace”. All’evento — riferisce Fides — erano presenti il patriarca di Gerusalemme dei Latini, monsignor Fouad Twal, e il nunzio apostolico in Giordania e in Iraq, arcivescovo Alberto Ortega Martín. L’iniziativa, finanziata per volere di Papa Francesco con le offerte dei fedeli raccolte presso il padiglione della Santa Sede in occasione di Expo Milano 2015, rappresenta un segno concreto della sollecitudine pastorale della Santa Sede e delle Chiese locali verso le popolazioni del Medio oriente, travolte dai conflitti, dalle violenze e dalle emigrazioni forzate. «Il giardino della misericordia — ha sottolineato durante la cerimonia di inaugurazione l’arcivescovo Ortega Martín — non è solo il luogo in cui i rifugiati e le persone bisognose possono trovare un lavoro e un complicità. Occorre sviluppare altri tipi di appagamento che rendono capaci di godere le diverse età della vita, la generazione dei figli e la ripartenza con la venuta dei nipoti. Infine, la fedeltà al proprio progetto di vita genera forme simboliche di condivisione che talvolta si scoprono soprattutto con la perdita del partner. Un testo sintetico dice bene la capacità di realizzare la totalità, talvolta debordante dell’amore erotico, nella dedizione profonda dell’amore di benevolenza. Ascoltiamo questo brano: «Ci si innamora di una persona intera con una identità propria, non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio salario, ma può anche diventare un luogo di dialogo e di incontro tra persone di religioni diverse, secondo quanto è stato scritto da Papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia». Durante l’inaugurazione, il presidente di Caritas Giordania, Wael Suleiman, ha annunciato la prossima realizzazione di analoghi micro-progetti a Madaba, Zaqrqa e Fuheis, finalizzati a creare posti di lavoro a favore di rifugiati e famiglie giordane prive di reddito. Il mese scorso, l’ente caritativo giordano ha aperto nella città di Salt un ambulatorio medico e uno odontoiatrico, uno spazio per l’infanzia, sale attrezzate per corsi di istruzione e formazione professionale al fine di dare un contributo concreto ad affrontare i problemi e le emergenze — sanitarie, umanitarie e scolastiche — che in quell’area riguardano le fasce più povere della popolazione e i rifugiati provenienti da Iraq e Siria. Caritas Giordania gestisce quindici centri distribuiti in tutto il Paese, dove operano quattrocento dipendenti e circa duemila volontari. Il centro di Salt è stato aperto anche grazie al contributo di “Development and Peace Canada”, organismo umanitario legato al Governo canadese. del tempo, non finisca mai di esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore. Quando gli altri non possono più riconoscere la bellezza di tale identità, il coniuge innamorato continua ad essere capace di percepirla con l’istinto dell’amore, e l’affetto non scompare. Riafferma la sua decisione di appartenere ad essa, la sceglie nuovamente ed esprime tale scelta attraverso una vicinanza fedele e colma di tenerezza. La nobiltà della sua decisione per essa, essendo intensa e profonda, risveglia una nuova forma di emozione nel compimento della missione coniugale» (n. 164). Proprio nelle trasformazioni dell’amore la grazia di agape è capace di attivare il lavoro di eros, attraverso la feconda gestazione dell’“amicizia più grande”. Eros, philía e agape celebrano la loro danza circolare nella fecondità di un cammino che s’irradia sui sentieri della vita. Questa sintesi dell’amore è il riverbero della pericoresi trinitaria nella storia, non un suo facile rispecchiamento, né solo un trionfale inveramento, ma la sua “incarnazione” nella relazione tra l’uomo e la donna. In sintesi, potremmo dire che charitas salutis cardo. Se all’inizio Dio “uomo e donna li creò” nella tenerezza preveniente del dono, la misericordia di Cristo “uomo e donna li unirà” nel cammino con cui la grazia di agape porta a pienezza il lavoro di eros. Solo affidandosi alla relazione promettente nell’attraversamento del deserto della vita, l’uomo e la donna entreranno nella terra promessa in cui scorre in abbondanza la gioia. *Vescovo di Novara L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 pagina 7 Nella messa di Pentecoste il Papa ricorda qual è la vocazione originaria del cristiano Da orfano a figlio L’uomo di oggi vive spesso in una condizione di «orfano», immerso in una «solitudine interiore» che a volte si trasforma in «tristezza esistenziale». Nel constatarlo Papa Francesco — all’omelia della messa di Pentecoste celebrata domenica mattina, 15 maggio, nella basilica vaticana — ha invitato i cristiani a riscoprire la «vocazione originaria, il nostro più profondo “DNA”», che consiste nel vivere «la condizione di figli» alla quale conduce lo Spirito Santo. «Non vi lascerò orfani» (Gv 14, 18). La missione di Gesù, culminata nel dono dello Spirito Santo, aveva questo scopo essenziale: riallacciare la nostra relazione con il Padre, rovinata dal peccato; toglierci dalla condizione di orfani e restituirci a quella di figli. L’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma, dice: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8, 14-15). Ecco la relazione riallacciata: la paternità di Dio si riattiva in noi grazie all’opera redentrice di Cristo e al dono dello Spirito Santo. Lo Spirito è dato dal Padre e ci conduce al Padre. Tutta l’opera della salvezza è un’opera di ri-generazione, nella quale la paternità di Dio, mediante il dono del Figlio e dello Spirito, ci libera dall’orfanezza in cui siamo caduti. Anche nel nostro tempo si riscontrano diversi segni di questa nostra condizione di orfani: quella solitudine interiore che sentiamo anche in mezzo alla folla e che a volte può diventare tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da Dio, che si accompagna ad una certa nostalgia della sua vicinanza; quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre; e altri segni simili. A tutto questo si oppone la condizione di figli, che è la nostra vocazione originaria, è ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo “DNA”, che però è stato rovinato e per essere ripristinato ha richiesto il sacrificio del Figlio Unigenito. Dall’immenso dono d’amore che è la morte di Gesù sulla croce, è scaturita per tutta l’umanità, come un’immensa cascata di grazia, l’effusione dello Spirito Santo. Chi si immerge con fede in questo mistero di rigenerazione rinasce alla pienezza della vita filiale. «Non vi lascerò orfani». Oggi, festa di Pentecoste, queste parole di Gesù ci fanno pensare anche alla presenza materna di Maria nel Ce- nacolo. La Madre di Gesù è in mezzo alla comunità dei discepoli radunata in preghiera: è memoria vivente del Figlio e invocazione vivente dello Spirito Santo. È la Madre della Chiesa. Alla sua intercessione affidiamo in modo particolare tutti i cristiani, le famiglie e le comunità che in questo momento hanno più bisogno della forza dello Spirito Paraclito, Difensore e Consolatore, Spirito di verità, di libertà e di pace. Lo Spirito, come afferma ancora san Paolo, fa sì che noi apparteniamo a Cristo: «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene» (Rm 8, 9). E consolidando la nostra relazione di appartenenza al Signore Gesù, lo Spirito ci fa entrare in una nuova dinamica di fraternità. Mediante il Fratello universale, che è Gesù, possiamo relazionarci agli altri in modo nuovo, non più come orfani, ma come figli dello stesso Padre buono e misericordioso. E questo cambia tutto! Possiamo guardarci come fratelli, e le nostre differenze non fanno che moltiplicare la gioia e la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità. Mino Cerezo Barredo, «Pentecoste» Preghiere in armeno e in georgiano Guardarsi dall’analfabetismo spirituale, a causa del quale l’uomo si ritrova incapace di pregare e anche di sentire la vita eterna come una realtà concreta. È la raccomandazione fatta da Papa Francesco durante le messa di Pentecoste — solennità che conclude il tempo pasquale — celebrata domenica mattina, 15 maggio, nella basilica di San Pietro. In un mondo in cui si alzano continue barriere non solo fisiche, ma anche morali ed esistenziali, il Conclusa la visita di monsignor Ayuso Guixot in Giappone In dialogo con i buddisti per costruire ponti «Aderire a qualsiasi iniziativa che potrebbe in qualche modo favorire il dialogo per il bene dell’umanità», tenendo sempre ben presente ciascuno la propria identità, ma al contempo aperti agli altri con «rispetto e stima»: è questo lo spirito che anima la collaborazione tra la Chiesa e l’organizzazione buddista Rissho Kosei-kai (Rkk). Lo ha ricordato il vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, a conclusione della visita compiuta nei giorni scorsi in Giappone. Dopo aver partecipato a una conferenza con i leader religiosi sul Medio oriente, domenica 15 maggio il presule ha incontrato i vertici dell’Rkk con cui il dicastero ha rapporti decennali di collaborazione. Nel ricostruire la storia di queste relazioni, il vescovo comboniano ha rievocato la partecipazione del fondatore Nikkyo Niwano come osservatore all’apertura della quarta sessione del Vaticano II. «Egli — ha spiegato — amava dire che l’unica strada per salvare il mondo e tutta l’umanità è quella della cooperazione tra le religioni». Invitato nel settembre 1965 dal cardinale Marella, Niwano fu ricevuto da Paolo VI, al quale confidò che avrebbe dedicato i propri sforzi alla causa della pace nel mondo. E Montini rispose che certamente Dio avrebbe concesso la sua benedizione al nobile lavoro intrapreso dal leader buddista. Mosso da queste parole del Pontefice, il fondatore dell’Rkk si convinse sempre più che «la missione delle persone religiose non può essere realizzata se pensiamo solo alla nostra tradizione o reli- gione. D’ora in poi — si propose — voglio essere un ponte che collega tutte le religioni». Di lì a poco fondò la Conferenza mondiale delle religioni per la pace, che si riunì per la prima volta nel 1970, appena cinque anni dopo la dichiarazione conciliare Nostra aetate, proprio in Giappone, a Kyoto. «Oggi, la nostra collaborazione continua con lo stesso spirito», ha proseguito Ayuso Guixot, salutando Nichiko Niwano, il primogenito succeduto a Nikkyo, e sua figlia Kosho Niwa- no, co-presidente internazionale di Religioni per la pace e membro del consiglio di amministrazione dell’International dialogue centre - Kaiciid. In proposito il segretario del Pontificio consiglio ha espresso compiacimento per l’assegnazione del trentatreesimo Premio Niwano al Centro per la costruzione della pace e della riconciliazione in Sri Lanka. Si tratta, ha detto, di «un modello ed esempio per tutti noi nel lavoro di costruzione» di un clima di fiducia e di relazioni, «come proposto anche da Papa Francesco» attraverso i suoi continui inviti a «un dialogo basato sul rispetto e sull’amicizia». E ha concluso citando parole pronunciate dal Pontefice al Bandaranaike Memorial International di Colombo il 13 gennaio 2015: «Spero che la collaborazione interreligiosa ed ecumenica dimostrerà che, per vivere in armonia con i loro fratelli e sorelle, gli uomini e le donne non devono dimenticare la propria identità, sia essa etnica o religiosa». Pontefice ha richiamato la comune condizione di fratelli di tutti gli uomini, in quanto figli dello stesso Padre. Prova ne è la discesa dello Spirito Santo che, come recita l’antica sequenza cantata in latino durante la celebrazione eucaristica, dona riposo, riparo e conforto. Ma ha anche il potere di aprire il cuore degli uomini ai bisogni dei fratelli, come ha sottolineato il Papa nel tweet diffuso in mattinata: «Vieni, Santo Spirito! Liberaci da ogni chiusura e infondi in noi la gioia di annunciare il Vangelo». Anche per questo, durante la messa si è pregato per i poveri e i sofferenti, per i cristiani in difficoltà, per le vocazioni al sacerdozio, per i legislatori e i governanti, per la Chiesa. Significativo che l’intenzione di preghiera per i cristiani in difficoltà sia stata letta in armeno, la lingua della nazione dove il Papa si recherà dal 24 al 26 giugno. Il pensiero è andato immediatamente alle sofferenze patite dai cristiani armeni in varie epoche della loro storia e, di conseguenza, ai credenti che oggi in tante parti del mondo soffrono e sono discriminati. Non è mancata anche un’intenzione di preghiera in georgiano, lingua del Paese che il Pontefice visiterà dal 30 settembre al 2 ottobre. Hanno concelebrato trenta cardinali, tra i quali, Pietro Parolin, segretario di Stato, e Appello del cardinale Turkson al convegno sulle cure pediatriche dell’Aids Farmaci e terapie per tutti i bambini «In diverse parti del mondo, e in particolare in molte regioni dell’Africa, l’assistenza sanitaria per i bambini malati di Aids è ancora un privilegio per pochi ». Non ha usato giri di parole il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson nell’auspicare «risposte concrete al dramma dello scarso accesso alla diagnostica e alla cura» della malattia provocata dal virus Hiv. Rivolgendosi ai direttori di industrie di prodotti farmaceutici e diagnostici riuniti il 16 e il 17 maggio alla Casina Pio IV in Vaticano, per un incontro sulle cure pediatriche, il presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace ha sottolineato come le testimonianze dei missionari siano chiare riguardo alla lotta contro la diffusione dell’Aids, ma anche contro la malaria e la tubercolosi e le cosiddette malattie orfane, quelle, cioè, sostanzialmente ignorate perché di interesse limitato per ricercatori e medici. Ecco perché — ha raccomandato il porporato — nell’anno giubilare della misericordia bisogna «prendere in considera- zione la dura situazione di questi bambini non solo con l’intelligenza del mercato, ma anche con l’intelligenza del cuore». Migliorare le cure in età pediatrica richiede non solo il coinvolgimento necessario «dei governi nazionali, degli uffici delle Nazioni Unite, dei gruppi religiosi e delle aziende private», ma anche la consapevolezza di un obbligo morale, di valori basilari che guidino scelte azioni. L’incontro in Vaticano è la seconda tappa — dopo quello organizzato ad aprile da Caritas internationalis insieme al programma delle Nazioni Unite per la lotta all’Aids (Uniaids) ) e all’analogo programma governativo degli Stati Uniti (Pepfar) — in preparazione al convegno internazionale che si terrà a New York dall’8 al 20 giugno. Proseguendo sulla linea di un linguaggio molto diretto, il cardinale Turkson ha ricordato che nel Vangelo si legge: «Lasciate che i bambini vengano a me», e non certo: «Lasciate che i bambini soffrano». E per ridurre le sofferenze che ancora oggi troppi fanciulli patiscono a causa dell’Aids, il porporato ha invitato i presenti a rispondere a tre domande: perché? cosa? chi? Chiedersi il perché, ha spiegato, significa chiarire gli «imperativi etici» che sono alla base dell’impegno per fornire strumenti di diagnosi, cure per i bambini e sostegno alle loro famiglie. L’oggetto — il «cosa?» — della discussione di questi due giorni, poi, deve portare a una «tabella di marcia ambiziosa» su come accelerare i piani riguardo ai test della malattia, l’individuazione e la registrazione di nuovi farmaci e il rafforzamento dei sistemi sanitari. Un piano concreto, ha aggiunto, che preveda la più ampia collaborazione tra Paesi. In questo senso ecco la terza risposta richiesta: bisogna, ha concluso, definire una chiara «coalizione di partner». Fondamentale, infatti, «è la collaborazione responsabile da parte di tutti, autorità politiche, comunità scientifica, mondo degli affari e società civile». Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, oltre a quindici tra arcivescovi e vescovi e numerosi sacerdoti. Tra i presenti, due cardinali, l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, e monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura. Le offerte sono state portate all’altare da tre famiglie, una delle quali con quattro figli e un’altra con tre gemelli. I seminaristi di Crema e gli studenti del Pontificio Collegio germanicoungarico hanno servito come ministranti. I canti sono stati eseguiti dalla Cappella Sistina. † Appresa la triste notizia, l’Em.mo Card. George Pell, Prefetto, e Mons. Alfred Xuereb, Segretario Generale, insieme a tutti gli Officiali e Collaboratori della Segreteria per l’Economia, partecipano al dolore del Rev.do Mons. Luigi Mistò, Segretario della Sezione Amministrativa, per la scomparsa del papà CARLO e, nel porgere sentite condoglianze, elevano fervide preghiere di suffragio chiedendo al Cristo Risorto di accogliere in Cielo l’anima del caro defunto fra i giusti che vivono in Lui. † Il Bibliotecario di S.R.C., il Prefetto e il Vice Prefetto e tutto il personale della Biblioteca Apostolica Vaticana partecipano al lutto di Mons. Luigi per la morte del papà CARLO MISTÒ e lo affidano in preghiera al Dio della vita, mentre invocano da lui protezione e sostegno per i suoi familiari. † MAMMA IRENE NOMADELFIA DI Domenica 15 maggio 2016, nella solennità di Pentecoste, Irene Bertoni prima Mamma di vocazione e, insieme a don Zeno Saltini, cofondatrice di Nomadelfia, è partita per la vita eterna. Il popolo di Nomadelfia vi attende per i funerali che saranno celebrati in Nomadelfia mercoledì 18 maggio ore 10.30. Grosseto, 16 maggio 2016 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 16-17 maggio 2016 Il crescente contributo delle donne all’opera di evangelizzazione Missione al femminile La «considerevole e crescente presenza femminile» nell’opera di annuncio del Vangelo è stata sottolineata dal Papa nel messaggio — dal titolo «Chiesa missionaria, testimone di misericordia» — diffuso in vista della giornata missionaria mondiale 2016, che si celebra il prossimo 23 ottobre. Cari fratelli e sorelle, il Giubileo Straordinario della Misericordia, che la Chiesa sta vivendo, offre una luce particolare anche alla Giornata Missionaria Mondiale del 2016: ci invita a guardare alla missione ad gentes come una grande, immensa opera di misericordia sia spirituale che materiale. In effetti, in questa Giornata Missionaria Mondiale, siamo tutti invitati ad “uscire”, come discepoli missionari, ciascuno mettendo a servizio i propri talenti, la propria creatività, la propria saggezza ed esperienza nel portare il messaggio della tenerezza e della compassione di Dio all’intera famiglia umana. In forza del mandato missionario, la Chiesa si prende cura di quanti non conoscono il Vangelo, perché desidera che tutti siano salvi e giungano a fare esperienza dell’amore del Signore. Essa «ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo» (Bolla Misericordiae Vultus, 12) e di proclamarla in ogni angolo della terra, fino a raggiungere ogni donna, uomo, anziano, giovane e bambino. La misericordia procura intima gioia al cuore del Padre quando incontra ogni creatura umana; fin dal principio, Egli si rivolge amorevolmente anche a quelle più fragili, perché la sua grandezza e la sua potenza si rivelano proprio nella capacità di immedesimarsi con i piccoli, gli scartati, gli oppressi (cfr. Dt 4, 31; Sal 86, 15; Al Regina caeli il Papa auspica che lo Spirito santo sostenga i giovani nell’annuncio Insegnamento e memoria Oltre a essere «consolatore, avvocato, intercessore», lo Spirito Santo svolge per i cristiani «una funzione di insegnamento e di memoria»: lo ha ricordato Francesco al Regina caeli di domenica 15 maggio, solennità di Pentecoste, in piazza San Pietro. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi celebriamo la grande festa della Pentecoste, che porta a compimento il Tempo Pasquale, cinquanta giorni dopo la Risurrezione di Cristo. La liturgia ci invita ad aprire la nostra mente e il nostro cuore al dono dello Spirito Santo, che Gesù promise a più riprese ai suoi discepoli, il primo e principale dono che Egli ci ha ottenuto con la sua Risurrezione. Questo dono, Gesù stesso lo ha implorato dal Padre, come attesta il Vangelo di oggi, che è ambientato nell’Ultima Cena. Gesù dice ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14, 15-16). Queste parole ci ricordano anzitutto che l’amore per una persona, e anche per il Signore, si dimostra non con le parole, ma con i fatti; e anche “osservare i comandamenti” va inteso in senso esistenziale, in modo che tutta la vita ne sia coinvolta. Infatti, essere cristiani non significa principalmente appartenere a una certa cultura o aderire a una certa dottrina, ma piuttosto legare la propria vita, in ogni suo aspetto, alla persona di Gesù e, attraverso di Lui, al Padre. Per questo scopo Gesù promette l’effusione dello Spirito Santo ai suoi discepoli. Proprio grazie allo Spirito Santo, Amore che unisce il Padre e il Figlio e da loro procede, tutti possiamo vivere la stessa vita di Gesù. Lo Spirito, infatti, ci insegna ogni cosa, ossia l’unica cosa indispensabile: amare come ama Dio. Nel promettere lo Spirito Santo, Gesù lo definisce «un altro Paraclito» (v. 16), che significa Consolatore, Avvocato, Intercessore, cioè Colui che ci assiste, ci difende, sta al nostro fianco nel cammino della vita e nella lotta per il bene e contro il male. Gesù dice «un altro Paraclito» perché il primo è Lui, Lui stesso, che si è fatto carne proprio per assumere su di sé la nostra condizione umana e liberarla dalla schiavitù del peccato. Inoltre, lo Spirito Santo esercita una funzione di insegnamento e di memoria. Insegnamento e memoria. Ce lo ha detto Gesù: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (v. 26). Lo Spirito Santo non porta un insegnamento diverso, ma rende vivo, e rende operante l’insegnamento di Gesù, perché il tempo che passa non lo cancelli o non lo affievolisca. Lo Spirito Santo innesta questo insegnamento dentro al nostro cuore, ci aiuta a interiorizzarlo, facendolo diventare parte di noi, carne della nostra carne. Al tempo stesso, prepara il nostro cuore perché sia capace davvero di ricevere le parole e gli esempi del Signore. Tutte le volte che la parola di Gesù viene accolta con gioia nel nostro cuore, questo è opera dello Spirito Santo. Preghiamo ora insieme il Regina Caeli — per l’ultima volta quest’anno —, invocando la materna intercessione della Vergine Maria. Ella ci ottenga la grazia di essere fortemente ani- mati dallo Spirito Santo, per testimoniare Cristo con franchezza evangelica e aprirci sempre più alla pienezza del suo amore. Al termine della preghiera mariana il Pontefice, dopo aver annunciato la pubblicazione del messaggio per la giornata missionaria mondiale 2016, ha salutato come di consueto i gruppi di fedeli presenti in piazza. Cari fratelli e sorelle, oggi, nel contesto molto appropriato della Pentecoste, viene pubblicato il mio Messaggio per la prossima Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra ogni anno nel mese di ottobre. Lo Spirito Santo dia forza a tutti i missionari ad gentes e sostenga la missione della Chiesa nel mondo intero. E lo Spirito Santo ci dia giovani — ragazzi e ragazze — forti, che hanno voglia di andare ad annunciare il Vangelo. Chiediamo questo, oggi, allo Spirito Santo. Saluto tutti voi, famiglie, gruppi parrocchiali, associazioni, pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare da Madrid, da Praga e dalla Tailandia; come pure i membri della Comunità cattolica coreana di Londra. Saluto i fedeli di Casalbuttano, Cortona, Terni, Ragusa; i ragazzi di Romagnano di Massa; e la “Sacra Corale Jonica” della Provincia di Taranto. Saluto in modo particolare tutti coloro che partecipano nella giornata odierna alla “Festa dei Popoli”, nel 25° anniversario, in Piazza San Giovanni in Laterano. Che questa festa, segno di unità e della diversità delle culture, ci aiuti a capire che il cammino verso la pace è questo: fare l’unità, rispettando le diversità. Un pensiero speciale rivolgo agli Alpini, riuniti ad Asti per l’Adunata Nazionale. Li esorto ad essere testimoni di misericordia e di speranza, imitando l’esempio del beato Don Carlo Gnocchi, del beato Fratel Luigi Bordino e del venerabile Teresio Olivelli, che onorarono il Corpo degli Alpini con la santità della loro vita. E a tutti auguro una buona festa di Pentecoste. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! 103, 8; 111, 4). Egli è il Dio benigno, attento, fedele; si fa prossimo a chi è nel bisogno per essere vicino a tutti, soprattutto ai poveri; si coinvolge con tenerezza nella realtà umana proprio come farebbero un padre e una madre nella vita dei loro figli (cfr. Ger 31, 20). Al grembo materno rimanda il termine usato nella Bibbia per dire la misericordia: quindi all’amore di una madre verso i figli, quei figli che lei amerà sempre, in qualsiasi circostanza e qualunque cosa accada, perché sono frutto del suo grembo. È questo un aspetto essenziale anche dell’amore che Dio nutre verso tutti i suoi figli, in modo particolare verso i membri del popolo che ha generato e che vuole allevare ed educare: di fronte alle loro fragilità e infedeltà, il suo intimo si commuove e freme di compassione (cfr. Os 11, 8). E tuttavia Egli è misericordioso verso tutti, il suo amore è per tutti i popoli e la sua tenerezza si espande su tutte le creature (cfr. Sal 145, 8-9). La misericordia trova la sua manifestazione più alta e compiuta nel Verbo incarnato. Egli rivela il volto del Padre ricco di misericordia, «parla di essa e la spiega con l’uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifica» (Giovanni Paolo II, Enc. Dives in misericordia, 2). Accogliendo e seguendo Gesù mediante il Vangelo e i Sacramenti, con l’azione dello Spirito Santo noi possiamo diventare misericordiosi come il nostro Padre celeste, imparando ad amare come Lui ci ama e facendo della nostra vita un dono gratuito, una segno della sua bontà (cfr. Bolla Misericordiae Vultus, 3). La Chiesa per prima, in mezzo all’umanità, è la comunità che vive della misericordia di Cristo: sempre si sente guardata e scelta da Lui con amore misericordioso, e da questo amore essa trae lo stile del suo mandato, vive di esso e lo fa conoscere alle genti in un dialogo rispettoso con ogni cultura e convinzione religiosa. A testimoniare questo amore di misericordia, come nei primi tempi dell’esperienza ecclesiale, sono tanti uomini e donne di ogni età e condizione. Segno eloquente dell’amore materno di Dio è una considerevole e crescente presenza femminile nel mondo missionario, accanto a quella maschile. Le donne, laiche o consacrate, e oggi anche non poche famiglie, realizzano la loro vocazione missionaria in svariate forme: dall’annuncio diretto del Vangelo al servizio caritativo. Accanto all’opera evangelizzatrice e sacramentale dei missionari, le donne e le famiglie comprendono spesso più adeguatamente i problemi della gente e sanno affrontarli in modo opportuno e talvolta inedito: nel prendersi cura della vita, con una spiccata attenzione alle persone più che alle strutture e mettendo in gioco ogni risorsa umana e spirituale nel costruire armonia, relazioni, pace, solidarietà, dialogo, collaborazione e fraternità, sia nell’ambito dei rapporti interpersonali sia in quello più ampio della vita sociale e culturale, e in particolare della cura dei poveri. In molti luoghi l’evangelizzazione prende avvio dall’attività educativa, alla quale l’opera missionaria dedica impegno e tempo, come il vignaiolo misericordioso del Vangelo (cfr. Lc 13, 7-9; Gv 15, 1), con la pazienza di attendere i frutti dopo anni di lenta formazione; si generano così persone capaci di evangelizzare e di far giungere il Vangelo dove non ci si attenderebbe di vederlo realizzato. La Chiesa può essere definita “madre” anche per quanti potranno giungere un domani alla fede in Cristo. Auspico pertanto che il popolo santo di Dio eserciti il servizio materno della misericordia, che tanto aiuta ad incontrare e amare il Signore i popoli che ancora non lo conoscono. La fede infatti è dono di Dio e non frutto di proselitismo; cresce però grazie alla fede e alla carità degli evangelizzatori che sono testimoni di Cristo. Nell’andare per le vie del mondo è richiesto ai discepoli di Gesù quell’amore che non misura, ma che piuttosto tende ad avere verso tutti la stessa misura del Signore; annunciamo il dono più bello e più grande che Lui ci ha fatto: la sua vita e il suo amore. Ogni popolo e cultura ha diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti. Ciò è tanto più necessario se consideriamo quante ingiustizie, Simone Martini e Lippo Memmi, «Madonna della misericordia» (1310) guerre, crisi umanitarie oggi attendono una soluzione. I missionari sanno per esperienza che il Vangelo del perdono e della misericordia può portare gioia e riconciliazione, giustizia e pace. Il mandato del Vangelo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20) non si è esaurito, anzi ci impegna tutti, nei presenti scenari e nelle attuali sfide, a sentirci chiamati a una rinnovata “uscita” missionaria, come indicavo anche nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (20). Proprio in questo Anno Giubilare ricorre il 90° anniversario della Giornata Missionaria Mondiale, promossa dalla Pontificia Opera della Propagazione della Fede e approvata da Papa Pio XI nel 1926. Ritengo pertanto opportuno richiamare le sa- pienti indicazioni dei miei Predecessori, i quali disposero che a questa Opera andassero destinate tutte le offerte che ogni diocesi, parrocchia, comunità religiosa, associazione e movimento ecclesiale, di ogni parte del mondo, potessero raccogliere per soccorrere le comunità cristiane bisognose di aiuti e per dare forza all’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra. Ancora oggi non ci sottraiamo a questo gesto di comunione ecclesiale missionaria. Non chiudiamo il cuore nelle nostre preoccupazioni particolari, ma allarghiamolo agli orizzonti di tutta l’umanità. Maria Santissima, icona sublime dell’umanità redenta, modello missionario per la Chiesa, insegni a tutti, uomini, donne e famiglie, a generare e custodire ovunque la presenza viva e misteriosa del Signore Risorto, il quale rinnova e riempie di gioiosa misericordia le relazioni tra le persone, le culture e i popoli. Dal Vaticano, 15 maggio 2016, Solennità di Pentecoste Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice Santa messa e processione eucaristica nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo Cappella papale NOTIFICAZIONE Giovedì 26 maggio 2016, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, alle ore 19, il Santo Padre Francesco celebrerà la Santa Messa sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano. Di seguito si svolgerà la Processione Eucaristica che, percorrendo via Merulana, raggiungerà la Basilica di Santa Maria Maggiore. *** I Cardinali, i Patriarchi, gli Arcivescovi, i Vescovi e tutti coloro che, in conformità al Motu Proprio «Pontificalis Domus», compongono la Cappella Pontificia e desiderano partecipare alla celebrazione liturgica, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi alle ore 18.30 sul Sagrato della Basilica, per occupare il posto che verrà loro indicato dai cerimonieri pontifici. *** Per i componenti la Cappella Pontificia sarà a disposizione un servizio pullman, con partenza dalla piazza antistante l’ingresso dell’Aula Paolo VI alle ore 18. Quanti desiderano usufruirne sono pregati di darne comunicazione all’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, entro le ore 13 di martedì 24 maggio. Città del Vaticano, 16 maggio 2016. Per mandato del Santo Padre Mons. GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie