organismi partecipati definitivo 22-03-2014

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organismi partecipati definitivo 22-03-2014
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili di Bologna
GLI ORGANISMI PARTECIPATI DAGLI ENTI LOCALI
A cura della Commissione Enti Pubblici
Presidente:
Antonino Borghi
Componenti: Andrea Cappelloni
Paolo Cerverizzo
Roberto Picone
Marco Vinicio Susanna
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Sommario
PREMESSA
CAPITOLO I
ASPETTI GENERALI
1.1 Introduzione alle società partecipate pubbliche
1.2 La disciplina delle società pubbliche
1.2.1 Natura pubblica o privata
1.2.2. Classificazione dei servizi
1.2.2.1 Servizi pubblici locali
1.2.2.2 Servizi strumentali
1.2.3 Il controllo analogo
1. 2.3.1 Incedibilità del capitale sociale
1.2.3.2 Poteri del consiglio di amministrazione
1.2.3.3 Vocazione commerciale
1.2.3.4 Approvazione dell’ente pubblico
1.2.3.5 Offerta della produzione
1.2.4. Normativa di settore
1. 2.5. Le principali novità della legge 147/2013
CAPITOLO II
LA GOVERNANCE
2.1 L’organo amministrativo
2.1.1 La composizione
2.1.2 I compensi
2.1.3 Gli obblighi comunicativi
2.1.4 Inconferibilità ed incompatibilità del D.L. 39/2013
2.1.5 Gli incarichi a dipendenti pubblici (art. 53 DLgs n. 165/2001)
2.2 I controlli del revisore sulla costituzione ed affidamento di servizi
2.2.1 In generale
2.2.2 Società in house
2.2.3 Società strumentali
CAPITOLO III
IL PERSONALE
3.1 I vincoli sulle assunzioni e sulla spesa di personale
3.1.1 Area di consolidamento e metodo di calcolo
a) L’ area di consolidamento
b) Il metodo di calcolo
3.2 Gli ultimi interventi legislativi sui vincoli assunzionali e sul consolidamento della spesa
3.3 I vincoli delle società in house
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CAPITOLO IV
I RAPPORTI FINANZIARI
4.1 I controlli interni sulle partecipate
4.2 Pareri obbligatori sulla gestione dei servizi
4.3 Le principali operazioni finanziarie
4.3.1 Aumenti di capitale
4.3.2 Conferimento di beni alla società
4.3.3 Conferimento di beni con incedibilità del capitale sociale
4.3.4 Conferimento di reti
4.3.5 Conferimento beni a società patrimoniali strumentali
4.3.6 Trasferimenti straordinari
4.3.7 Aperture di credito
4.3.8 Garanzie fideiussorie
4.3.9 Lettere di patronage
4.3.10 Ripiano perdite
4.3.11 Utilizzo riserve di rivalutazione a copertura di perdite
4.3.12 Ripiano perdite della fondazione
4.3.13 Fondo vincolato a copertura di perdite
4.3.14 Perdita continuata e conseguenze
4.3.15 Concessione crediti
4.3.16 Postergazione
4.3.17 Finanziamenti ed aiuti di Stato
4.3.18 Rinuncia dei soci alla restituzione di crediti
4.3.19 Compensazione di crediti reciproci certi, liquidi ed esigibili con la propria società
4.3.20 Assegnazione di beni ai soci con riduzione di capitale
4.3.21 Rapporti finanziari con società in perdita continuata (Art. 6 comma 19 d.l. 78/2010)
4.4 Elusione del patto di stabilità
4.4.1 Obiettivo conseguito artificiosamente (art.31 commi 30 e 31 legge 183/2011)
4.4.2 Versamenti a fondo perduto ed elusione al patto di stabilità
4.4.3 Mutuo assunto dalla società in house con oneri a carico dell’ente locale
4.4.4 Trasferimento della sofferenza di cassa dell’ente locale sulla società partecipata che sconta
4.4.5 Cessione di beni per accertare entrate ai fini del patto di stabilità
4.4.6 Mancata esazione di crediti scaduti che l’ente locale vanta verso la partecipata
4.4.7 Anticipazione del canone concessorio
CAPITOLO V
LA LIQUIDAZIONE DELLE SOCIETA’ PARTECIPATE
5.1 Perdite continuate
5.2 La messa un liquidazione
5.3 I debiti sociali al termine della liquidazione
5.4 Le novità della legge 147/2013 sulle società in perdita continuata
5.5 Il reintegro del personale
CAPITOLO VI
FALLIBILITA’ DELLE PARTECIPATE
CONSIDERAZIONI FINALI
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PREMESSA
Il notevole incremento del numero e dell’utilizzo delle società partecipate degli enti locali è un
fenomeno assai noto da molti anni. Esso riguarda non solo la gestione dei servizi pubblici, ma anche
servizi di carattere strumentali.
Lo scopo iniziale, era quello di fornire all’ente locale un nuovo mezzo per erogare vecchi o nuovi
servizi ai cittadini, magari in modo più efficiente ed efficace di altri moduli organizzativi, o
dell’ente locale direttamente. Con il passare degli anni, però, si è assistito ad una
strumentalizzazione di tale figura giuridica, ed accanto a quella finalità di riorganizzazione dei
servizi se ne sono affiancate altre alcune delle quali dirette ad aggirare norme di blocco e di
controllo.
Il presente elaborato ha lo scopo di sistemizzare la complessa ed articolata normativa che disciplina
la gestione di queste società, prendendo in considerazione, come punto di partenza, gli interventi del
legislatore integrandoli, successivamente, con le interpretazioni date dagli organi giurisdizionali.
Precisazioni
Quanto esposto è il risultato del lavoro e dell’interpretazione della Commissione, pertanto non solo
non impegna in alcun modo il pensiero e l’orientamento dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e
degli Esperti Contabili di Bologna, ma anche non vuol costituire parere professionale. Inoltre,
saremo grati a tutti coloro che avranno cura di leggere quanto qui indicato e a quanti vorranno
fornire suggerimenti al fine di migliorare il presente lavoro.
Testo aggiornato con la Legge di Stabilità n. 147 del 27 dicembre 2013
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CAPITOLO I
ASPETTI GENERALI
1.1 Introduzione alle società partecipate pubbliche
Il fenomeno delle società pubbliche - seppur con un approccio poco organico - è da tempo
conosciuto nel nostro sistema economico-giuridico.
La prima disposizione che cercò di regolamentare tali società, risale alla Legge n. 1589/56 che, ha
dato poi vita al Ministero delle partecipazioni statali. Ne derivava “un sistema che si presta ad
essere descritto in termini geometrici: una sorta di piramide, la base della quale è formata dalla
moltitudine delle società per azioni a partecipazione statale ed al vertice della quale si colloca il
Parlamento della Repubblica”1. Fra la base ed il vertice si collocano gli Enti di gestione con
funzione di holding che a loro volta partecipano alle società operative (es. Parlamento-Eni-Agip
holding-Agip operative)
Le società pubbliche, attraverso la propria attività di gestione, dovevano, per statuto, versare allo
Stato una percentuale dei propri utili come rimborso del fondo di dotazione iniziale che le stesse
avevano ricevuto in sede di costituzione.
Un secondo passaggio, lo si riscontra successivamente con le privatizzazioni; infatti, con la Legge
n. 35/92, gli enti pubblici economici e le aziende autonome, vengono trasformate in S.p.a..
Nel 1993, però in seguito al referendum abrogativo del 18 aprile, il Ministero delle partecipazioni
statali venne abrogato, e si rese così necessario procedere alla alienazione delle azioni possedute
con allocazione sul mercato.
Le dismissioni furono regolate dalla Legge n. 474/94; in tale processo venne riposta particolare
attenzione con il fine di tutelare gli interessi pubblici ed a rendere il mercato più trasparente
possibile.
Queste disposizioni contenevano in sé un criterio fondamentale e cioè: la gestione doveva essere
sorretta dal criterio di economicità.
Suddetto concetto si presentava con rilevanti differenze, a seconda che, il soggetto giuridico fosse
l’ente pubblico economico (Ministero partecipazioni statali, IRI, ENI, ENEL, ecc.) o società
partecipata dall’ente. Nel primo caso, la gestione doveva tendere al pareggio di bilancio; nel
secondo invece, la gestione doveva tendere al profitto, in quanto gli azionisti investitori
richiedevano che il proprio investimento fosse idoneamente rimunerato - “se non c’è utile di
bilancio, non c’è la giuridica possibilità di rimunerare il capitale azionario”2 -.
Pertanto, nelle società a partecipazione pubblica si avevano due “anime” quella privata, tendente
alla rimunerazione e quindi all’ottenimento di un reddito, e quella pubblica, che disinteressandosi
del reddito tendeva alla realizzazione di interessi pubblici.
Le privatizzazioni furono effettuate per diversi motivi principali: il primo fu quello di ottenere un
maggiore afflusso di denaro nelle Casse dello Stato, consentendo in questo modo l’avvio dell’opera
di risanamento delle finanze pubbliche, oltre che la risoluzione di problemi legati alla conciliazione
dell’attività dell’impresa con le finalità pubbliche”3; l’altro fu quello di dare una maggiore
produttività dell’impresa privata rispetto a quella pubblica; nonché servirono per assicurare una
libera concorrenza sul mercato. Infatti, quegli enti privatizzati alteravano il mercato grazie alla loro
illimitata capacità di indebitamento dovuta alla possibilità di far ricorso ad agevolazioni fiscali e al
1
F. Galgano, La società per azioni in mano pubblica, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia CEDAM 2006 - Il nuovo diritto societario Tomo I Le nuova società di capitali e cooperativa Cap.
Quindicesimo pag. 735 e ss.).
2
F. Galgano op.cit.
3
L. Ghia - Fallimento di società di capitali a controllo o partecipazione pubblica, in Trattato delle procedure
concorsuali Utet 2010, vol. I pag. 107 e ss.
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tempo stesso al debito pubblico4.
Da ultimo la Legge n. 481/95 istitutiva delle Authorities per i servizi pubblici e la Legge n.
273/2002 diretta a favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza.
Il processo di privatizzazione si presenta alquanto lungo tanto che oggi ad esempio la
privatizzazione di ENI, iniziata nel 1992, non può dirsi ancora conclusa5.
1.2 La disciplina delle società pubbliche
In generale per società a partecipazione pubblica deve intendersi tutte quelle società costituite sotto
forma di società di capitali, in cui lo Stato o un Ente pubblico detiene una partecipazione sia diretta
che indiretta. Mentre nulla questio sulla determinazione della partecipazione che potrà essere
indifferentemente di maggioranza o minoranza.
Come detto in precedenza la legislazione negli ultimi anni è intervenuta più volte per regolare la
disciplina delle partecipazioni societarie negli enti locali con due obiettivi specifici:
1) tutelare la concorrenza sul mercato
2) contenere la spesa pubblica.
La Corte dei Conti Sezione Autonomia nella relazione al Parlamento sulla gestione finanziaria degli
enti locali (delibera 21/SEAUT/2013/FRG) ha affermato che “l’evoluzione normativa degli
organismi partecipati dagli Enti locali si caratterizza per l’imposizione di vincoli sempre più
stringenti al fenomeno della esternalizzazione dei servizi pubblici locali e delle funzioni strumentali
alle attività istituzionali delle Amministrazioni locali. Il legislatore nazionale, dopo aver previsto
norme a tutela della concorrenza e limitato il ricorso agli affidamenti senza procedure di evidenza
pubblica, ha disposto una serie di misure che conducono a una sorta di – pubblicizzazione - delle
società partecipate dagli Enti locali, che sono state assoggettate agli stessi obblighi previsti per gli
Enti proprietari, ad esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati”.
La normativa che regola i rapporti fra ente locale ed organismi partecipati non riesce a trovare una
definizione. Da anni le norme si accavallano, alcune sono di difficile interpretazione, manca un
provvedimento di coordinamento dopo la sentenza n.199/2012 della Corte Costituzionale ed una
sintesi dei limiti e dei vincoli agli affidamenti ed alle partecipazioni societarie degli enti locali.
1.2.1. Natura pubblica o privata
La sentenza del Consiglio di Stato n. 122/2013, svela i criteri in base ai quali si può definire la
natura pubblica o privata di una società. Con la sentenza i Giudici sono partiti dal principio, già
posto dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 326/2008, che sancisce una differenza per
gli enti pubblici tra attività amministrativa in forma privatistica ed attività d'impresa.
Entrambe possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono
diverse:
- nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da
società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione;
- nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in
regime di concorrenza.
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5
F. Galgano op.cit.
L. Ghia op. cit.
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Un ente pubblico, che svolge attività amministrativa, non può allo stesso tempo esercitare attività
d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione.
Non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro
di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative per non distorcere la concorrenza.
In definitiva l’ente pubblico:
a) che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse deroghe normative;
b) può costituire società detenute da enti pubblici se previste espressamente dalla legge, oppure,
ordinariamente, se la società svolge servizi di interesse generale (servizi pubblici economici e non).
1.2.2. Classificazione dei servizi
Per procedere in maniera organica è necessario operare una corretta classificazione dei servizi che
vengono erogati direttamente o indirettamente ai cittadini da parte degli enti locali.
1.2.2.1 Servizi pubblici locali
I servizi pubblici locali (SPL), ex art. 112 TUEL erogati direttamente al pubblico, possono essere a:
- rilevanza economica (es.: trasporto pubblico locale);
- privi di rilevanza economica (es.: gestione biblioteca comunale).
La suddetta distinzione non appare di facile attuazione, considerando che la commissione europea
ne ha dato un imprinting dinamico ed evolutivo ed anche la giurisprudenza ritiene impossibile
fissare un elenco dei servizi rientranti nelle due categorie. La distinzione deve essere valutata caso
per caso.
Per una corretta distinzione, tra rilevanza economica e non, può essere di aiuto valutare la
“redditività”, anche solo potenziale, di un certo servizio, avvalendosi in tale valutazione di alcuni
indici tra cui:
• la tipologia del servizio e sue finalità (es.: l'assistenza ai poveri non ha redditività);
• il contesto territoriale e sociale in cui viene svolto il servizio;
• l'entità del fatturato;
• la comprimibilità dei costi sul piano imprenditoriale per scelta dell'ente rivolto ad
accollarsi quote di costi (es.: asili nido e servizio mensa).
Si può considerare privo di rilevanza economica il servizio che per sua natura o per le modalità in
cui viene svolta la gestione non da luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini
della concorrenza (Tar Puglia 1318/2006, Tar Sardegna 1729/2005, Tar Liguria 527/2005).
Quindi abbiamo SPL a rilevanza economica se erogati al pubblico con significativi indici di
redditività e SPL senza rilevanza economica se erogati al pubblico ma con modesti indici di
redditività.
Un fondamentale spartiacque sul panorama normativo in materia di SPL a rilevanza economica è
dovuto alla sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, che ha abrogato l' art. 4 D.L. 138/2011
ripristinando l'applicazione immediata nell'ordinamento nazionale della normativa comunitaria.
In questo modo il legislatore dispone l'obbligo di conformare gli affidamenti dei servizi da parte
degli enti pubblici alle società partecipate rispettando le regole europee.
L'affidamento del servizio deve essere effettuato sulla base di apposita relazione pubblicata sul sito
internet dell'ente che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio
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universale, della sussistenza dei requisiti richiesti dall'ordinamento europeo e le compensazioni
economiche previste se previste (art. 34 comma 20 D.L. 179/2012 ).
La direttiva 97/33 CE del Parlamento europeo e del consiglio del 30/6/1997, definisce servizio
universale un insieme minimo definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a
prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni specifiche nazionali,
ad un prezzo abbordabile.
Nel caso di società in house la relazione deve evidenziare analiticamente la sussistenza dei requisiti
per la permanenza dell’affidamento - e quindi sia del controllo analogo che della prevalenza
dell’attività verso l’ente e gli enti affidatari - nonché l’insussistenza dei vincoli e/o limiti previsti
per le società strumentali, per le attività non strettamente necessarie per il perseguimento delle
finalità istituzionali dell’ente, ovvero in relazione alla dimensione demografica.
Per le società a partecipazione mista pubblico-privata deve, invece, essere verificata la sussistenza
delle condizioni per l’attivazione ed il mantenimento del partenariato.
In caso di riconosciuta mancanza delle condizioni per il mantenimento dell’affidamento l’ente
dovrà procedere alla sua cessazione o, se possibile, ad una conformazione del rapporto con la
società partecipata ai vincoli e condizioni obbligatorie.
In merito alla scadenza dell’affidamento diretto occorre considerare che per effetto dell’art. 4, c. 8,
del D.L. n. 95/2012, come modificato dall’art. 34, c. 27, del D.L. n. 179/2012, conv. in legge n.
221/2012, “sono fatti salvi gli affidamenti in essere (alla data del 20 ottobre 2012) fino alla
scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014”.
Pertanto:
• gli affidamenti non conformi cessano al 31/12/2013 se non viene pubblicata la relazione;
• gli affidamenti conformi cessano alla scadenza prevista sul contratto;
• in assenza di scadenza devono essere integrati con la data di scadenza dell’affidamento o
cessano al 31/12/2013.
Gli affidamenti diretti a società a partecipazione pubblica quotata in borsa ed a società controllate
da quest’ultime (ex. Art. 2359 C.C.) cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio e in
assenza al 31/12/2020.
L’art. 13, comma 1 del D.L. 30/12/2013 n. 150 ha disposto al fine di garantire la continuità del
servizio, laddove l’ente di governo dell’ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo abbia già
avviato le procedure di affidamento il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operativi fino
al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014.
Alla luce delle norme attualmente in essere, la gestione dei SPL a rilevanza economica può avvenire
in una delle seguenti modalità:
− gara ad evidenza pubblica per la scelta dell'imprenditore o della società privata;
− tramite società mista pubblica e privata maggioritaria o minoritaria senza vincoli relativi
alla percentuale di capitale detenuta dal privato stesso e si ritiene che la quota pubblica non
debba essere marginale. L'individuazione del socio privato operativo non generalista, deve
essere fatta con gara a doppio oggetto;
− gestione in-house providing, con i requisiti previsti dall'ordinamento europeo, ovvero società
interamente pubblica dove l' ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino un
controllo analogo.
− in economia o appalto tali soluzioni non sono confacenti con la redditività del servizio ma
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pare non siano escluse dai principi comunitari per i servizi di minore rilevanza.
1.2.2.2 Servizi strumentali
I servizi strumentali ex art. 13 L. 248/2006, sono servizi erogati all'ente locale di cui i cittadini
beneficiano indirettamente (es.: i servizi informatici).
L’art. 13 del D.L. 223/2006 (decreto Bersani) si applica a tutte le società la cui attività consiste
nella produzione di beni e servizi strumentali all'attività degli enti partecipanti, a capitale
interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e
locali, senza alcuna soglia di fatturato con le pubbliche amministrazioni.
Il requisito della strumentalità sussiste quando le attività sono rivolte agli enti promotori o
comunque partecipanti alla società per svolgere funzioni di supporto, secondo l’ordinamento
amministrativo in relazione al perseguimento di fini istituzionali.
I servizi strumentali sono attività finalizzate a sostenere la migliore realizzazione, sul piano
operativo, degli scopi istituzionali dell’ente.
Le società strumentali erogano beni e servizi essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al
pubblico (Cons. di Stato sez.V sent. 1282/2010 e 3766/2009).
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato con delibera del 4/2/2013 ha dato le seguente
definizione dei servizi strumentali:
“Si definiscono strumentali all'attività della P.A. in funzione della loro attività, tutti quei beni e
servizi erogati da società a diretto e immediato supporto di funzioni amministrative di natura
pubblicistica di cui resta titolare l'ente pubblico di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede
al perseguimento dei propri fini istituzionali”.
L’ambito delle attività delle società strumentali è limitato e circoscritto allo svolgimento di attività
in favore dell’ente locale che le ha costituite (Corte Costituzionale 1/8/2008 n. 326).
La stessa Corte ha precisato che le attività strumentali si caratterizzano, da un lato, per essere svolte
e regolate da norme di diritto privato, dall’altro, per il fatto di tradursi in attività economiche
potenzialmente contendibili sul mercato, per la cui offerta l’ente quindi può entrare in concorrenza
con operatori privati: pertanto la loro creazione e il loro svolgimento può portare distorsioni del
funzionamento dei mercati interessati, a causa dei vantaggi competitivi (economici e/o giuridici) di
cui tali società partecipate godono. Quindi, da un lato, il Legislatore ha operato con varie norme per
isolare queste attività rispetto ad altre svolte dagli organismi partecipati, per altro verso, ha
subordinato lo svolgimento di tali attività alla sussistenza di presupposti costitutivi e qualitativi.
In tali previsioni restrittive si è ravvisata la finalità di assicurare che le società pubbliche, che
svolgono servizi strumentali per le pubbliche amministrazioni, non approfittino del vantaggio che
ad esse deriva dal particolare rapporto con le predette pubbliche amministrazioni operando sul
mercato, al fine di evitare distorsioni della concorrenza, ma concentrino il proprio operato
esclusivamente nell’“attività amministrativa svolta in forma privatistica” per le medesime
amministrazioni pubbliche. E ciò in linea con la normativa dell’Unione europea, il cui primario
obiettivo è quello di evitare che l’impresa pubblica goda di regimi privilegiati e di assicurare – ai
fini dell’ammissibilità degli affidamenti diretti di servizi a società pubbliche – che l’ente affidante
eserciti sull’affidatario un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e che
l’affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente controllante (per tutte,
sentenza Corte di giustizia, sez. V, 18 novembre 1999, n. C-107/98, Teckal c. Comune di Viano)».
Spetta al singolo ente locale dare l'esatta qualifica dei servizi affidati alle società partecipate,
rispettando i criteri suindicati; l'esatta qualifica e classificazione del servizio costituisce il punto di
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partenza per una corretta revisione delle partecipazioni dell'ente locale.
Sono servizi strumentali ad esempio:
a)gestione patrimonio immobiliare dell’ente;
b)servizi manutentivi sul territorio (strade, parchi pubblici, ecc.);
c) gestione cimiteri (escluse lampade votive);
d)servizi informatici;
e) servizio mensa ai dipendenti dell'ente;
f) riscossione entrate.
I servizi strumentali possono essere gestiti con diverse modalità :
− in economia
− in appalto
− tramite società' strumentale (art.13 d.l. 223/2006)
− unione di comuni
La società strumentale deve avere oggetto esclusivo, non può quindi operare per più enti o gestire
servizi pubblici locali e gli e’ vietata espressamente la gestione di SPL a rilevanza economica.
In ogni caso, sempre in base all' art. 4 comma 8 del D.L. 95/2012, a decorrere dal 1/1/2014
l'affidamento dei servizi strumentali può avvenire solo a favore di società interamente pubbliche,
nel rispetto dei requisiti normativi comunitari per la gestione in-house .
1.2.3. Il controllo analogo
Il principio cardine, fissato dalla giurisprudenza comunitaria, è quello che sancisce che il controllo
societario totalitario esercitato dal soggetto pubblico sull’affidatario non costituisce condizione
sufficiente per giustificare l’affidamento diretto del servizio se ad esso non si associa un’influenza
dominante dell’ente pubblico sia sulle decisioni strategiche che sulle scelte più importanti assunte
dal gestore del servizio.
La giurisprudenza sul controllo analogo ed in particolare il Consiglio di Stato (vedi adunanza
plenaria n.1 del 3/3/2008) ha fornito le seguenti precisazioni.
1.2.3.1 Incedibilità del capitale sociale
I giudici di Palazzo Spada hanno considerato inderogabile il principio dell’incedibilità del capitale
sociale - anche limitata a quote minime - a beneficio di altri soggetti privati. In sostanza, l’apertura
del pacchetto azionario a terzi svelerebbe la vocazione commerciale del modulo societario che mal
si concilierebbe con la possibilità di esercitare un reale controllo sul soggetto affidatario del
servizio.
1.2.3.2 Poteri del consiglio di amministrazione
Il CDA della società cui viene affidato il servizio non può essere svuotato di significativi poteri
gestionali al punto da apparire come una specie di "ostaggio" in mano agli organi di governance
dell’ente affidante per cui devono essere riconosciuti poteri più incisivi di quelli normalmente
riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza sociale.
Per un legittimo affidamento in house è necessario che il consiglio di amministrazione della società
affidataria non abbia rilevanti poteri gestionali e che l'ente pubblico affidante eserciti, pur se con
moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli
tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance
rispetto alla maggioranza azionaria, sicché è indispensabile che le decisioni più importanti siano
sempre sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante o, in caso di in house frazionato, della
totalità degli enti pubblici soci.
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1.2.3.3 Vocazione commerciale
L’Adunanza Plenaria ha ritenuto essenziale che il soggetto affidatario sia immune da qualsiasi
vocazione commerciale individuando, a titolo esemplificativo, alcuni elementi idonei a conferirla
quali: a) l’ampliamento dell’oggetto sociale; b) l’apertura obbligatoria, a breve termine, della
società ad altri capitali; c) la possibilità che l’affidataria svolga la propria attività su tutto il territorio
nazionale ed all’estero.
1.2.3.4 Approvazione dell’ente pubblico
Il Consiglio di Stato ha ritenuto insuperabile la circostanza che le decisioni più importanti che il
soggetto affidatario è chiamato ad assumere siano preventivamente sottoposte all’esame e
all’approvazione dell’ente pubblico.
Secondo i giudici dell’Adunanza Plenaria, il soggetto affidante sarebbe in grado di esercitare un
reale controllo sull’affidatario del servizio, assimilabile a quello esercitato sui propri servizi,
soltanto qualora l’attività pubblica, per così dire di "monitoraggio", investa:
1) il bilancio;
2) la qualità dell’amministrazione;
3) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti
4) la totale dipendenza del soggetto affidatario diretto del servizio dall’ente pubblico per quanto
concerne le strategie e le politiche aziendali .
L’autorità per la vigilanza dei contratti pubblici con Deliberazione n. 51, Adunanza del 18 maggio
2011, ha affermato che deve escludersi la praticabilità dello schema dell'in house providing nel
settore dei lavori pubblici.
L'istituto suddetto, operando in deroga ai principi generali, che prevedono il ricorso al mercato
attraverso procedure di evidenza pubblica, è, infatti, insuscettibile di applicazione estensiva e può
essere impiegato unicamente ai fini dell'autoproduzione di beni e servizi da parte delle pubbliche
amministrazioni.
Con riferimento alla fattispecie portata all'attenzione dell'Autorità è stata, inoltre, approfondita la
questione del "controllo analogo", che si configura come presupposto essenziale per l'affidamento
in house.
In particolare, il "controllo analogo" deve concretizzarsi come una "relazione di subordinazione
gerarchica" tra l'ente pubblico affidante e gli organi societari. Affinchè ciò si verifichi, l'ente
pubblico affidante deve esercitare poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici
del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance della
società rispetto alla maggioranza azionaria.
Deve, pertanto, escludersi che tale rapporto possa riscontrarsi nell'istituzione in seno al Consiglio
comunale di un comitato preposto al "controllo analogo" al quale non siano riconosciuti poteri di
gestione diretta, ma di sola verifica.
Il controllo analogo non è escluso dalla circostanza che il pacchetto azionario della società sia
posseduto da una pluralità di enti pubblici, anche in misura esigua per ciascuno di essi. In tal caso,
la verifica sul "controllo analogo" si sposta necessariamente nel rinvenimento di clausole o
prerogative che conferiscono agli enti locali partecipanti con quote societarie esigue, effettive
possibilità di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività decisionale dell'organismo societario
attraverso i propri organi (assembleari o di amministrazione). Tale controllo deve intendersi
esercitabile non soltanto in chiave propulsiva o propositiva di argomenti da portare all'ordine del
giorno del consesso assembleare bensì, e principalmente, di poteri inibitivi di iniziative o decisioni
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che si pongano in contrasto con gli interessi dell'ente locale nel cui ambito territoriale si esplica il
servizio (TAR Lazio, sentenza 16 ottobre 2007, n. 9988).
1.2.3.5 Offerta della produzione
La giurisprudenza prevalente ritiene che tale condizione sia soddisfatta quando l'affidatario diretto
non fornisca i suoi servizi a soggetti diversi dall'ente controllante, anche se pubblici, ovvero li
fornisca in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali,
ed in ogni caso non fuori dalla competenza territoriale dell'ente controllante.
Più che l'individuazione di una soglia percentuale, necessita un giudizio pragmatico nel caso
concreto che si basi, però, non solo sull'aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo. In altri
termini, la natura dei servizi, opere o beni resi al mercato privato, oltre alla sua esiguità, deve anche
dimostrare la quasi inesistente valenza nella strategia aziendale e nella collocazione dell'affidatario
diretto nel mercato pubblico e privato. Sotto questo profilo la giurisprudenza della Corte di
Giustizia e del Consiglio di Stato mostrano di ritenere a priori che l'espansione territoriale, anche a
vantaggio di altri enti pubblici analoghi, violi la prevalenza.
La legge non indica la misura dell’attività prevalente spetta all’interprete individuarla, facendo
riferimento, ove possibile, a disposizioni che regolano casi analoghi. A tale proposito possono
essere utilmente richiamate le disposizioni comunitarie (art. 13, direttiva 93/38/CEE e art. 23,
direttiva 2004/17/CE) e di diritto interno derivato (art. 8, D.L.vo 17 marzo 1995, n. 158), le quali
consentono, nei settori c.d. esclusi o speciali, che le amministrazioni aggiudicatrici affidino
direttamente appalti (di servizi e, dopo l’entrata in vigore della direttiva 17, anche di lavori e
forniture) ad un’impresa collegata, purché almeno l’80% del fatturato medio realizzato da tale
impresa negli ultimi tre anni provenga dallo svolgimento di servizi o di lavori o dalla fornitura di
prodotti all’amministrazione a cui è collegata.
1.2.4 Normativa di settore
Ai sensi dell’art. 113, commi 1, 1bis e 2 del Tuel restano esclusi dalla normativa generale alcuni
importanti servizi pubblici ed in particolare i servizi di:
I - Distribuzione gas naturale su reti locali (D. Lgs 23/5/2000 n.164)
II - Distribuzione di energia elettrica ( D. Lgs 16/3/1999 n.79 e legge 23/8/2004 n.239)
III - Gestione farmacie comunali (legge 2/4/1968 n. 475)
IV - Trasporto pubblico locale
V - Trasporti a fune per la mobilità turistico sportiva esercitati in zone montane.
Restano esclusi dagli obblighi di affidamento(vedi art. 34 del d.l. 179/2012) i servizi di cui alle
lettere a),b) e c) precedenti.
Le discipline speciali dei servizi elencati nelle lettere da a) a b) prevarranno sempre sulle norme
generali.
Per il servizio di illuminazione votiva il comma 26 del d.l. 179/2012, dispone che per l’affidamento
devono essere applicate le disposizioni di cui al d.lgs. 163/2006 ed in particolare l’art. 30 che
prevede una gara informale per la concessione dei servizi con almeno 5 invitati e qualora ne
ricorrano le condizioni l’art. 125 con le relative soglie economiche per l’affidamento. Il servizio di
illuminazione votiva non rientra più tra i servizi pubblici a domanda individuale di cui al D.M.
31/12/1983.
1.2.5 Le principali novità della legge 147/2013
La legge di stabilità 2014 vuole rendere gli Enti Locali responsabili dei risultati delle partecipate.
Il principio mira ad evitare che gli Enti lascino le società in perdita e per evitare ciò si vuole
costringere gli stessi ad accantonare a bilancio una somma proporzionale alle perdite delle
partecipate.
Sulle modalità operative di applicazione della norma mancano ancora interpretazioni univoche.
12
Inoltre l’articolo 1 commi 550 - 569 della Legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) detta nuove
regole per le partecipazioni pubbliche:
a) sono stati rimossi i limiti al possesso di partecipazioni societarie per i Comuni con
popolazione fino a 50.000 abitanti (abrogando l’art. 14 del D.L. n. 78/2010);
b) sono stati soppressi gli obblighi di scioglimento o di alienazione delle società strumentali
delle amministrazioni pubbliche (abrogando i commi 1 - 2 - 3 - 3 sexies - 9 - 10 e 11
dell’art. 4 del D.L. n. 95/2012);
c) è stato eliminato l’obbligo per i Comuni e le Province di sopprimere o accorpare e non
costituire “enti, agenzie o organismi comunque denominati”, esercitanti anche in via
strumentale funzioni ex art. 117 lett. p) della Costituzione (abrogando i commi 1 e 7 dell’art.
9 del D.L. n. 95/2012 .
E’ stato differito al 31 dicembre 2014 il termine ex art. 3 comma 29 della Legge 244/2007 Finanziaria 2008 - scaduto il 31/12/2010, termine entro il quale le amministrazioni pubbliche
devono cedere a terzi le partecipazioni in società non strettamente necessarie per il perseguimento
delle loro finalità istituzionali e non di interesse generale poiché vietate ex art. 3 comma 27 dalla
244/2007, se il nuovo termine non viene rispettato la partecipazione del socio pubblico cessa ad
ogni effetto e va liquidata entro 12 mesi con i criteri dettati dall’art. 2437-ter del Codice Civile.
13
CAPITOLO II
LA GOVERNANCE
2.1 L’organo amministrativo
Il Legislatore, in ragione di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica volte alla
diminuzione del debito pubblico, nelle ultime legislature, è intervenuto con norme sempre più
restrittive sulla governance delle società partecipate.
Di seguito si riassumono i vari interventi legislativi.
2.1.1 La composizione
Ai sensi del Decreto Legge n° 95/2012 così come modificato dalla Legge 147/2013, il numero
complessivo di componenti del Consiglio di Amministrazione, delle società controllate direttamente
o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni che nel corso dell’anno 2011 hanno prodotto un
fatturato derivante da prestazioni di servizio a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90%
dell’intero fatturato, non può essere superiore a tre, salvo per le società aventi un capitale superiore
a due milioni di euro, per il quale i numero dei consiglieri può arrivare fino a cinque.
In ogni caso il numero massimo di componenti del Consiglio di Amministrazione designati dai soci
pubblici locali non può essere superiore a cinque anche nelle società miste.
Con decorrenza dal primo rinnovo dei Consigli di Amministrazione successivo alla data di entrata
in vigore della L. 135/2012 (6 luglio 2012), per le società controllate, direttamente o indirettamente
dalle pubbliche amministrazioni, i Consigli devono essere composti:
nel caso massimo di tre componenti:
- per le società controllate direttamente, da almeno due membri scelti tra i dipendenti dell’Ente
controllante;
- per le società controllate indirettamente, da almeno due membri scelti tra i dipendenti della
società controllante e/o i dipendenti dell’Ente controllante in via indiretta;
mentre il terzo membro scelto al di fuori dei dipendenti dell’Ente (o della controllante) svolge
funzioni di amministratore delegato, ferma comunque restando la facoltà di nomina di un
amministratore unico.
nel caso di massimo di cinque componenti
- per le società direttamente controllate, da almeno tre membri scelti tra i dipendenti dell’Ente
controllante;
- per le società controllate indirettamente, da almeno tre membri scelti tra i dipendenti della
società controllante e /o i dipendenti dell’Ente controllante in via indiretta;
mentre gli altri due membri possono essere scelti al di fuori dei dipendenti dell’Ente (o della
controllante), ed in tal caso le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al
Presidente potranno essere affidate dal Consiglio di Amministrazione deleghe esclusivamente nelle
aree esterne e istituzionale e supervisione delle attività di controllo interno.
amministratore dipendente pubblico
Nel caso di incarichi svolti da dipendenti pubblici per la partecipazione all’amministrazione o ai
collegi sindacali di società o enti ai quali partecipi o contribuisca una pubblica amministrazione si
intendono svolti nell’interesse dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti e pertanto i
relativi compensi devono essere corrisposti dalle società o dagli enti direttamente alla stessa
amministrazione che destinerà tali somme alle risorse destinate al trattamento economico accessorio
della dirigenza o del personale non dirigente. (art. 6, comma 4 D.L. 78/2010 convertito in L.
122/2010).
14
In merito alla possibilità di considerare o meno tali somme “riassegnate al fondo” vincolate e quindi
erogabili ai dipendenti coinvolti, quale trattamento accessorio in virtù di una valutazione positiva
della ulteriore attività svolta è intervenuta la Corte dei Conti, sez. contr. della Lombardia, con la
deliberazione n. 96 del 22 marzo 2013, ritenendo che l’attività prestata dal dipendente pubblico
nominato, proprio per la sua pregressa investitura di pubblico funzionario, quale membro del cda
della società pubblica, rappresenta una mera modalità di incarico al medesimo conferito in ragione
dell’ufficio ricoperto o comunque conferito dall’amministrazione in cui si presta il servizio.
La prestazione lavorativa del dipendente infatti soggiace al principio di onnicomprensività della
retribuzione e il trattamento economico erogato remunera tutte le funzioni e compiti ad esso
attribuiti.
Secondo la Sezione della Corte dei Conti, il dipendente pubblico nominato membro di un consiglio
di amministrazione di una società partecipata non può beneficiare di alcun trattamento economico
ulteriore, derivante dal relativo ufficio poiché esso va ad esclusivo vantaggio del bilancio di
esercizio dell’ente locale che dispone la nomina.
Questo principio vale per il personale con qualifica dirigenziale, per il quale i magistrati contabili
hanno richiamato l’articolo 20, comma 1 e 2 del ccnl. 22 febbraio 2010, che stabilisce che “in
aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato possono essere erogati, a titolo di retribuzione
di risultato, solo i compensi espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, come
espressamente recepite nelle vigenti disposizioni della contrattazione collettiva nazionale e secondo
le modalità da queste stabilite”.
Ma tale principio vale anche per il personale senza qualifica dirigenziale, in quanto in carenza di
specifiche disposizioni legislative e contrattuali circa la destinazione del compenso al dipendente, il
corrispettivo previsto dalla società è posto ad esclusivo vantaggio del bilancio dell’ente locale,
alleggerendo gli oneri finanziari dell’amministrazione.
Secondo i magistrati contabili, pertanto, per i dirigenti tali somme non potranno essere aggiunte in
aumento al fondo, ma dovranno essere utilizzate per la sua quantificazione ordinaria, né potranno
essere erogate al personale privo di qualifica dirigenziale, non essendo legittima
un’eterointegrazione dei compensi incentivanti in assenza di meccanismi previsti in tal senso dalla
contrattazione collettiva, tesi ad incrementare la retribuzione di risultato.
2.1.2 I compensi
In maniera specifica per le società pubbliche il legislatore ha introdotto una serie di disposizioni di
legge che restringono i compensi agli amministratori di società partecipate da enti locali inserite nel
conto economico della pubblica amministrazione e nelle società possedute al 100% dall’ente
pubblico alla data del 31.05.2010.
I compensi dei componenti del consiglio di amministrazione di tutte le società partecipate dall’ente
sono ridotti del 10% una tantum, mentre ulteriori restrizioni sono state imposte alle società
totalmente partecipate dall’amministrazione pubblica:
- il compenso lordo annuale, omnicomprensivo, non può essere superiore, per il presidente al 70%,
e per i componenti del CdA al 60% dell’indennità spettante al Sindaco; nel caso di società
partecipate da più enti pubblici si fa riferimento al compenso del Sindaco del Comune con la
maggior quota di partecipazione;
15
- è possibile prevedere indennità di risultato solo nel caso di produzione di utili e in misura
comunque non superiore al doppio del compenso omnicomprensivo di cui al primo periodo.
In base ad alcune interpretazioni della Corte dei Conti – Sez. Piemonte parere 29/2009, Sez. Lazio
18/2011, Sez. Emilia 11/2012 – il compenso determinato in percentuale al compenso del Sindaco
del Comune considerato è da intendersi stabilito cumulativamente per l’intero Consiglio di
Amministrazione.
A decorrere dal 2015, le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione di maggioranza,
diretta ed indiretta, degli enti pubblici locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti
pubblici per una quota superiore all’80% del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti
abbiamo conseguito un risultato economico negativo, procedono alla riduzione del 30% del
compenso dei componenti dell’organo di amministrazione. Il conseguimento di un risultato
economico negativo per due anni consecutivi rappresenta giusta causa ai fini della revoca degli
amministratori. Tale disposizione non si applica in caso di sussistenza di piano di risanamento della
società approvato dall’ente controllante.
2.1.3 Obblighi comunicativi
Gli incarichi di amministratore delle società partecipate conferiti da soci pubblici e i relativi
compensi sono pubblicati nell'albo e nel sito informatico dei soci pubblici a cura del responsabile
individuato da ciascun ente.
La pubblicità è soggetta ad aggiornamento semestrale.
Ai sensi dell'articolo 32 della legge 69/2009 dal 1° gennaio 2011 gli obblighi di pubblicazione di
atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la
pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici
obbligati. Pertanto i dati vengono pubblicati solo sul sito informatico.
La violazione dell'obbligo di pubblicazione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria fino
a 10.000 euro, irrogata dal Prefetto nella cui circoscrizione ha sede la società.
Oltre all’esplicito riferimento normativo, la pubblicazione dei dati delle partecipate risponde ad una
esigenza di pubblicità e trasparenza dell’attività dell’Ente, principio ribadito dall’articolo 11 del D.
Lgs. 150/2009 come chiarito dalla delibera Civit 105/2010. Tutti gli enti e gli organismi pubblici
inseriscono sul proprio sito istituzionale curandone altresì il periodico aggiornamento, l'elenco delle
società di cui detengono, direttamente o indirettamente, quote di partecipazione anche minoritaria
indicandone l'entità, nonché una rappresentazione grafica che evidenzia i collegamenti tra l'ente o
l'organismo e le società ovvero tra le società controllate e indicano se, nell'ultimo triennio dalla
pubblicazione, le singole società hanno raggiunto il pareggio di bilancio.
Si ritiene che i dati debbano essere aggiornati annualmente, quanto meno per l’indicazione se il
bilancio di esercizio si è chiuso in perdita, utile o pareggio.
2.1.4 Inconferabilità ed incompatibilità del D.L. 39/2013
Entrato in vigore il 4 maggio 2013 il D.lgs. 39/2013, detto anticorruzione, reca disposizioni in
materia di inconferibilità ed incompatibilità relativamente all’assunzione o al mantenimento di
incarichi amministrativi di vertice o dirigenziali ricoperti nella pubblica amministrazione ed in enti
pubblici che possono screditare l’imparzialità degli organi amministrativi degli stessi enti
eliminando in tale modo ogni possibile conflitto di interessi.
Viene, inoltre, individuata una autorità nazionale anticorruzione – CIVIT – che aveva il compito di
vigilare su quanto previsto dal decreto.
La norma citata che ha lo scopo di eliminare i doppi incarichi e di monitorare le nomine di
consiglieri degli organi amministrativi negli enti pubblici e nelle società partecipate, nel corso dei
mesi successivi all’entrata in vigore, con una serie di emendamenti parlamentari, inseriti nel
16
cosiddetto “decreto del fare”, promulgato in agosto, è stata di fatto variata in alcuni punti salienti. In
particolare, con i cambiamenti si è imposto un periodo transitorio - prevedendo la non applicazione
della normativa in materia di incompatibilità per gli incarichi già in essere alla data di entrata in
vigore, fino alla data di scadenza degli stessi incarichi – e si è di fatto sottratto il potere di controllo
su possibili conflitti di interesse, al CIVIT, trasformandolo in un semplice ufficio studio.
Riassumendo, il decreto in oggetto prevede le seguenti fattispecie:
La prima parte del decreto, dopo aver circoscritto l’ambito di applicazione, determina le cause di
inconferibilità:
1) di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione. L’inconferibilità si
applica anche nel caso di condanne non definitive o di patteggiamento;
2) di incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o finanziati nelle
amministrazioni statali, regionali e locali. La norma è rivolta a coloro che negli ultimi due anni
abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato finanziati
dall’amministrazione pubblica;
3) di incarichi a componenti di organi di indirizzo politico di livello regionale o locale.
L’inconferibilità in questo caso colpisce tutti i soggetti che nei due anni precedenti hanno
ricoperto cariche di carattere politico in consigli e/o giunte regionali, provinciali o comunali.
Successivamente, il Legislatore prende in considerazione le cause di incompatibilità:
1) tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche
in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni nonché lo
svolgimento di attività professionale. Gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi
dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza e di controllo
sulle attività svolte dagli enti che conferiscono l’incarico sono incompatibili con l’assunzione o il
mantenimento di altri incarichi o cariche, anche se trattasi di attività professionale, nell’ente che
conferisce l’incarico.
2) tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche
di componenti di organi di indirizzo politico. La norma disciplina le incompatibilità distinguendo
i vari livelli – statali, regionali e locali -. In pratica gli incarichi amministrativi di vertice nei tre
livelli di amministrazione sono incompatibili con le cariche di componente di giunta e/o di
consigliere degli enti pubblici e con la carica di presidente e di amministratore delegato di un
ente di diritto privato con controllo pubblico. L’incompatibilità in ambito provinciale e
comunale, sussiste solo se tali enti superano i 15.000 abitanti. Per i comuni il limite di 15.000 è
valido anche in forma associativa di più comuni;
La prevenzione della violazione delle disposizioni del decreto è affidata alla vigilanza da parte dei
responsabili dei piani anticorruzione e all’autocertificazione da parte del destinatario dell’incarico:
la vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità nelle
pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico è effettuata, ai sensi
dell'art. 15, dal responsabile del piano anticorruzione di ciascun soggetto, con obbligo di
segnalazione delle eventuali violazioni all'Autorità nazionale anticorruzione, all'Autorità garante
della concorrenza e del mercato, nonché alla Corte dei conti, per l'accertamento di eventuali
responsabilità amministrative, mentre, inoltre, ai sensi dell'art. 20 del Decreto de quo, sussiste
l’obbligo dell'interessato, all'atto del conferimento dell'incarico, di presentare una dichiarazione
sulla insussistenza di una delle suddette cause di inconferibilità, e l’adempimento dell’obbligo è
condizione per l'acquisizione dell'efficacia dell'incarico.
17
2.1.5 Incarichi a dipendenti pubblici (art. 53 DLgs n. 165/2001)
I dipendenti pubblici, con esclusione di quelli a part-time non superiore al 50% del tempo pieno,
non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati
dall’amministrazione di appartenenza.
In caso di inosservanza, ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso per le prestazioni
svolte deve essere versato a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, all’amministrazione di
appartenenza per essere destinato a incremento del fondo di produttività Il conferimento, senza
previa autorizzazione, di incarichi retribuiti da parte di enti pubblici economici e di soggetti privati
a dipendenti pubblici e` soggetto a una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti
corrisposti sotto qualsiasi forma al pubblico dipendente.
Entro 15 giorni i soggetti che erogano compensi per incarichi a dipendenti pubblici devono
comunicare all’amministrazione di appartenenza i compensi erogati nell’anno precedente (comma
11).
Entro il 30 giugno di ogni anno le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano
incarichi retribuiti ai propri dipendenti devono comunicare al Dipartimento della funzione pubblica
l’elenco degli incarichi, i compensi erogati anche da altri soggetti.
L’omissione delle comunicazioni del 30 aprile e del 30 giugno, comporta l’impossibilità di conferire
incarichi fino all’adempimento e l’applicazione, per gli enti pubblici economici e per i soggetti
privati di una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma
al pubblico dipendente.
2.2 I controlli del revisore sulla costituzione ed affidamento di servizi
L’art. 3 co. 1 lett. D D.L. 10/10/2012 n. 174 convertito in L. 7/12/2012 n. 213 ha sostituito l’art.
147 D. Lgs. n. 267/2000 prevedendo l’art. 147 quater che riguarda proprio la disciplina dei
“controlli sulle società partecipate non quotate.”
L’ente locale deve definire secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle
società non quotate partecipate dallo stesso ente locale teso a verificare se gli obiettivi gestionali a
cui deve tendere la partecipata secondo parametri quali-quantitativi siano stati realizzati.
Devono essere rilevati i rapporti finanziari tra l’Ente e le partecipate, la situazione contabile,
gestionale e organizzativa della società, i contratti di servizio, qualità dei servizi e il rispetto delle
norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.
I risultati complessivi della gestione dell’ente e delle partecipate non quotate sono rilevati mediante
bilancio consolidato secondo la competenza economica.
Tali disposizioni si applicano agli enti con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, a 50.000
abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015.
La costituzione delle società,istituzioni e aziende speciali deve essere autorizzata dal Consiglio
comunale ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera e) del Tuel indicando gli interessi pubblici
perseguiti nel rispetto dell’art.3, comma 27 della legge 244/2007.
L’organo di revisione deve esprimere sulla proposta di deliberazione da sottoporre al consiglio un
parere obbligatorio ai sensi dell’art. 239, comma 1 del Tuel.
L’organo di revisione deve provvedere alla verifica del rispetto del contratto di servizio e di ogni
suo eventuale aggiornamento e modifica.
Nel caso di costituzione di organismi partecipati l’organo di revisione deve asseverare ai sensi
dell’art.3 comma 32, della legge 244/2007 il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e
trasmettere una relazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Funzione
Pubblica e al Ministero dell’Economia e delle Finanze –Dipartimento della Ragioneria Generale
dello Stato, segnalando eventuali inadempimenti anche alle sezioni competenti della Corte dei
Conti.
18
2.2.1 In generale
I controlli dell’organo di revisione sulla costituzione, acquisto di partecipazioni ed affidamento dei
servizi a società partecipate si possono così sintetizzare:
a) se la forma societaria, l'entità della partecipazione ed i servizi affidati sono compatibili con le
norme statutarie dell'ente;
b) se la stessa attività è esercitata direttamente o indirettamente da altri organismi dell'ente) ;
c) se per la costituzione o l'acquisizione della partecipazione sono state rispettate le disposizioni
regolamentari dell'ente;
d) se sono state rispettate le modalità di affidamento del servizio;
e) se sono previsti nel bilancio annuale e pluriennale gli oneri ed i proventi derivanti dal contratto di
servizio;
f) se sono stati rispettati i limiti, i compensi attribuiti e le cause di incompatibilità, ineleggibilità ed
interdizione dell'organo amministrativo..
2.2.2 Società in house
a) se il capitale è interamente pubblico se sono indicate le modalità per esercitare il controllo
analogo
b) se l’attività prevalente in termini di fatturato a favore dell’ente o della sua popolazione
c) se il contratto di servizio indica chiaramente i rapporti finanziari, economici, patrimoniali e
fiscali fra le parti e che gli oneri previsti nel contratto di servizio siano coerenti con le previsioni
di bilancio
d) se sono rispettate le regole fiscali
2.2.3 Società strumentali
a) se il servizio è strumentale a favore dell'ente o a favore di una società per servizi pubblici;
b) se il servizio strumentale è gestito con società mista il partner privato è stato scelto con gara a
doppio oggetto.
L’art. 239 del D.Lgs. 267/2000 assegna, in particolare, all’organo di revisione la funzione di
collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento, la
formulazione di pareri obbligatori su sette tipologie di atti e la vigilanza/controllo sulla regolarità,
finanziaria ed economia della gestione.
19
CAPITOLO III
IL PERSONALE
3.1 I vincoli sulle assunzioni e sulla spesa di personale
Notevole è l'incertezza degli Enti Locali e degli operatori dei servizi pubblici, circa gli esatti confini
di incidenza delle disposizioni che il legislatore ha prodotto in questi anni, in materia di personale
delle società pubbliche, o, meglio, di tutti i soggetti giuridici pubblici svolgenti attività
esternalizzate per conto della P.A.
Uno dei tanti vincoli in materia di personale prevede, all’art. 76 del DL 112/2008 (aggiornato con la
legge 147/2013) che:
“E' fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per
cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con
qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a
tempo indeterminato nel limite del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno
precedente. Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l'onere per le assunzioni del personale
destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del
settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano
a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del
presente comma. Ai fini del computo della percentuale di cui al primo periodo si calcolano le spese
sostenute anche dalle aziende speciali, dalle istituzioni e dalle società a partecipazione pubblica
locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza
gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere
non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica
amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica……. Entro il 30
giugno 2014, con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la
pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri dell’economia e delle
finanze e dell’interno, di’intesa con la Conferenza unificata, è modificata la percentuale di cui al
primo periodo, al fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in termini
aggregati. La disposizione di cui al terzo periodo non si applica alle società quotate su mercati
regolamentari. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per
cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 40 per cento e comunque nel
rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle
spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio delle funzioni
fondamentali previste dall'articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42; in tal
caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle
assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica
e del settore sociale”.
Nel calcolo delle percentuali sopra indicate devono essere considerate anche le spese sostenute dalle
società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che svolgono funzioni volte a
soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ma che
svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni
amministrative di natura pubblicistica. A tale dettame, restano escluse le società quotate su mercati
regolamentati.
Fermo restando quanto previsto dall’art. 76 sopra citato, gli enti locali possono escludere
dall’applicazione dei vincoli limitativi di assunzione di personale tutte le aziende speciali ed
istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali
ed alla persona (ex IPAB) e le farmacie. L’esonero avviene dal 1/1/2014 ,con delibera motivata da
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parte dell’Ente fermo restando l’obbligo di garantire il raggiungimento degli obbiettivi di risparmio
e di contenimento della spesa del personale.
La norma, così come stilata ha creato notevole confusione, dando il via a diverse interpretazioni da
parte degli organismi della Corte dei Conti – a volte difforme tra di loro – destinate a riscrivere
ogniqualvolta le modalità di attuazione.
E' evidente che, il perdurare dell'incertezza in questa delicata materia, comporta molteplici
conseguenze:
- per le aziende, che sono comunque soggetti economici, che non avendo certezze non riescono a
definire una giusta politica fra costi e ricavi;
- per i dipendenti, che pur a fronte di incrementi di produttività, rischiano di non vedere
riconosciuto il proprio contributo.
Nel presente documento, saranno esaminate le seguenti problematiche:
a) l’area di consolidamento, cioè l’identificazione di quali società devono essere considerate per il
computo della spesa di personale da inglobare nella spesa complessiva dell’Ente ed un metodo
per il computo, cioè quale parte delle spese di personale deve essere consolidata con quelle
dell’ente locale;
b) i vincoli assunzionali e consolidamento della spesa;
c) i vincoli delle società in house.
3.1.2 Area di consolidamento e metodo di calcolo
Per poter costruire un modello interpretativo, si sono prese in considerazione le delibere più
autorevoli, che si ritengono essere le seguenti:
1- Corte dei Conti, Sezione Autonomie, n° 14/2011;
2- Corte dei Conti, Sezione controlli Toscana, n° 3/2012;
3- Corte dei Conti, Sezione controlli Lombardia, n° 75/2012.
Si evidenzia che la Sezione Autonomie - con deliberazione n° 14/2011 -, ha precisato che quanto
esposto nel D.L. deve essere inteso come “linea interpretativa di indirizzo, non vincolante….” al
fine di valutarne gli effetti nei diversi casi concreti che si presenteranno, mentre in caso di evidente
contrasto tra le pronunce delle sezioni regionali, potrà pervenirsi ad una decisione delle sezioni
riunite, cui le sezioni regionali dovranno conformarsi.
a) L’area di consolidamento
Gli spazi di comportamenti elusivi da parte degli Enti, nel definire le società partecipate soggette ad
essere incorporate nell’area di consolidamento, sono ampi ed evidenti.
La Corte dei Conti – Sezione unite – è intervenuta cercando di fissare dei criteri di individuazione.
Stante le difficoltà interpretative vediamo in modo schematico quali sono le società che sono
interessate al provvedimento e quelle che non lo sono.
Società soggette a consolidamento:
innanzitutto, la Corte così come previsto dall’art. 2359 del CC, ritiene che sono da considerarsi
controllate le società partecipate al 100% da uno o più enti pubblici, in quanto vi è un controllo
totalitario da parte del pubblico.
Tale controllo avviene quando gli Enti dispongono:
1) la maggioranza dei voti esercitabili nelle assemblee dei soci;
21
2) di voti sufficienti per esercitare una influenza dominante in assemblea.
Non risulta applicabile il suddetto dettame nelle società sulle quali il controllo è esercitato
attraverso altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali. Infatti, la Corte dei Conti sembra
fare valere il senso letterale “società a partecipazione pubblica totale o di controllo”, che fa leva sul
controllo basato sul possesso di partecipazioni societarie rispetto al controllo in senso sostanziale
previsto dall’art. 2359 del CC.
Una volta individuate le società che hanno tali caratteristiche, tra queste devono essere considerate
soltanto quelle:
- titolari di affidamento diretto, cioè senza gara, di servizi pubblici locali a rilevanza economica;
- che svolgono funzioni a favore dell’ente volte a soddisfare bisogni di interesse generale, senza
carattere industriale, commerciale indipendentemente dalle modalità di affidamento del servizio,
che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni
amministrative di natura pubblicistica.
Società non soggette a consolidamento:
Restano, pertanto, escluse:
Ø società quotate e quelle affidatarie di servizi tramite gara
per espressa previsione normativa, queste società non rientrano nel consolidamento, in quanto,
trovandosi a competere sul mercato, sono costrette ad assumere politiche orientate all’efficienza,
all’efficacia e all’economicità gestionale atte a garantirne il buon andamento economicofinanziario;
Ø società indirette
nel consolidamento devono essere considerate le società holding, in quanto destinatarie di
affidamento diretto, mentre restano fuori le controllate da quest’ultima in quanto affidatarie di
servizi da parte della holding e non direttamente dalla pubblica amministrazione;
Ø organismi non costituiti sotto forma di società di capitali
gli organismi partecipati non aventi natura di società di capitali, quali i consorzi, le fondazioni, le
aziende speciali e tutte le altre forme partecipative.
Il metodo per il computo
Per la verifica di quali costi, delle partecipate, debbano essere considerate e quali siano le corrette
modalità di calcolo, la Corte ha preliminarmente ricordato agli enti, la necessità di redigere il
bilancio consolidato, in modo da rappresentare una situazione veritiera e corretta sull’andamento
finanziario, economico e patrimoniale del “gruppo”.
La Corte – in particolare la sezione Lombardia è intervenuta spesso sull’argomento – ha più volte
sottolineato l’esigenza di tenere conto dei risultati – in termini di ammontare di spese e di debito conseguiti dalle società a partecipazione pubblica totale o maggioritaria, al fine di evitare il formarsi
di situazioni occulte di debito destinate a gravare sulla collettività pubblica.
Si ricorda che in questo senso con DL 95/2012, art. 6, co. 4, a partire dal rendiconto 2012, i Comuni
devono allegare un prospetto - nota informativa contenente la verifica dei crediti e debiti reciproci
tra l’Ente e le società partecipate - indicando i debiti e i crediti che l’ente ha nei confronti delle sue
partecipate, documento che deve essere certificato dai revisori dei conti.
Per le modalità di calcolo che devono seguire gli enti, la Corte ha chiarito che i dati rilevanti
possono essere tratti dai questionari allegati alle relazioni del revisore al rendiconto dell’ente,
essendo dati certificati e verificati dall’organo di controllo.
La Sezione autonomie, in attesa che si completi l’attuazione per la redazione del bilancio
consolidato, ha proposto due metodi di calcolo da applicare secondo la natura della partecipata:
- società strumentale, ovvero, che percepiscono corrispettivi per le prestazioni rese a favore
dell’ente, i dati da considerare sono:
- i corrispettivi pagati dall’ente;
22
-
l’intero valore della produzione (quadro A del conto economico);
i costi del personale (voce B9 del conto economico).
b) Le modalità di calcolo
Ottenuti i seguenti dati si procede nel prendere i corrispettivi pagati alla società per le prestazioni
rese a favore dell’ente dividerlo all’intero valore della produzione (quadro A CE), ottenuta la
percentuale applicarla all’intero costo del personale, ottenendo così il costo di personale da
consolidare nel bilancio dell’ente.
Esempio
Il comune è unico socio di una società strumentale, dove una parte del servizio ricevuto è versato
direttamente dall’ente e la differenza dagli utenti usufruitori
Corrispettivi versati dal Comune
Corrispettivi versati dagli utenti
A) Totale
euro
euro
euro
100
30
130
Corrispettivi
Variazione rimanenze
Altri ricavi
B) Totale valore della produzione (quadro A CE)
euro
euro
euro
130
8
5
143
C) Valore A x 100 : B
euro
91%
D) Costo totale di personale (voce B9)
euro
54
E) Importo di personale da consolidare C x D
euro
49
Il metodo esposto si ritiene accettabile per le società strumentali ed il risultato non si discosta
rispetto all’incidenza nel caso di gestione diretta da parte dell’ente.
- società di gestione di servizi pubblici locali che ricevono i ricavi sotto forma di tariffe in modo
diretto dall’utente (servizi a domanda) o che vivono di ricavi propri (es. farmacie), anche in questo
caso i dati da utilizzare sono:
- ricavi da tariffe o vendita;
- l’intero valore della produzione (quadro A del conto economico);
- i costi del personale (voce B9 del conto economico).
Il procedimento di calcolo è simile a quello esposto per le società strumentali, solo che in questo
caso se i servizi sono gestiti internamente dall’ente locale, questi hanno rilevanza sia nella spesa che
nell’entrata dell’ente.
Pertanto la somma ottenuta dal calcolo, deve essere aggiunta nel denominatore della spesa corrente
del Comune.
Esempio di bilancio con gestione diretta farmacia (enti locali e società partecipate di Antonino Borghi)
Spesa servizio farmacia
Spesa personale farmacia
Spesa totale di personale altri servizi
Altre spese
Totale titolo I
% spese di personale (250/1.000)
euro
euro
euro
euro
euro
%
100
30
220
650
1.000
25
23
Bilancio ente locale senza farmacia
Spese personale altri servizi
Altre spese
Totale titolo I
% spese di personale (220/870)
euro
euro
euro
%
220
650
870
25
euro
euro
euro
euro
130
130
30
30
Bilancio società di gestione farmacia
Valore della produzione
Ricavi da utenti
Costo per il personale
Costi per il personale da imputare all’ente
Incidenza spese di personale con il metodo proposto dalla Corte
Spesa totale di personale altri servizi
Spesa di personale farmacia
Totale spese di personale
Totale titolo I dell’ente
Aggiunta ricavi da utenti
Totale spese correnti
Spese di personale (250/1000)
euro
euro
euro
euro
euro
euro
%
220
30
250
870
130
1.000
25
Con tale metodologia non si crea diseguaglianza del risultato a seconda che vi sia stato o meno
ricorso alla gestione esternalizzata del servizio.
3.2 Gli ultimi interventi legislativi sui vincoli assunzionali e sul consolidamento della spesa
Negli ultimi anni, con lo scopo di ridurne il costo, tutte le manovre finanziarie sono intervenute
sulla spese del personale degli enti pubblici e in particolare di quelli locali. Nonostante questi
interventi però la spese di personale degli enti è continuata a crescere.
La mancata efficacia delle norme è dovuta principalmente a due ragioni: la prima è che alcune
norme non sono state mai applicate per mancanza di decreti attuativi, l’altra è che molti enti hanno
utilizzato le società partecipate per raggirarne la disciplina.
Il patto di stabilità 2013, restringe ulteriormente la capacità assunzionale da parte degli Enti, infatti,
la normativa “consente a tutti gli enti locali assunzioni a tempo indeterminato nel limite del 40%
della spesa corrispondente alle cessazioni intervenute nell’esercizio precedente, a condizione che
nel bilancio dell’ente l’incidenza delle spese di personale non superi il 50% delle spese correnti”.
Gli enti locali, pertanto, possono effettuare assunzioni a tempo indeterminato solo se sono in
possesso, contemporaneamente dei seguenti tre requisiti:
1) rispetto del patto di stabilità
2) rispetto del tetto alla spesa del personale
3) rispetto del rapporto massimo del 50% nel rapporto tra spesa del personale e spesa corrente.
L’applicazioni della disciplina su tali vincoli assunzionali è oggetto di innumerevoli deliberazioni
da parte delle varie sezioni della Corte dei Conti, anche in questo caso spesso in contrasto tra di
loro.
Molti interventi, tra l’altro, sono improntati a chiarire se le società partecipate dalle pubbliche
amministrazioni sono soggette ai vincoli di spesa per le nuove assunzioni di personale e se tali spese
vanno consolidate con quelle dell’ente partecipante o no.
24
A tale proposito si segnala la sezione controllo della Lombardia che ha sviluppato nel corso del
tempo un rilevante e costante orientamento nella direzione della gestione consolidata dei vincoli
assunzionali inerenti il personale delle società partecipate.
A tale riguardo, è sufficiente citare il parere n. 479/2011, che afferma come la «giurisprudenza della
Sezione ha, da tempo, chiarito che vanno considerate come sostenute direttamente dall'ente locale
anche le spese di personale iscritte nel bilancio della società pubblica in house, tanto nel caso di
partecipazione totalitaria unica, quanto nel caso di compartecipazione plurisoggettiva intercorsa
fra vari enti locali da computare in misura proporzionale alla partecipazione detenuta».
Tale pronuncia, tra l'altro, evidenzia che «il principio del consolidamento è, infatti, espressamente
avallato dalle Sezioni riunite, le quali (cfr. Delibera 25 gennaio 2011 n. 3) rinvengono un
tendenziale criterio nell'ordinamento "inteso a rilevare unitariamente le voci contabili riferite alla
spesa per il personale tra ente locale e soggetto a vario titolo partecipato ai fini di rendere più
trasparente la gestione delle risorse e di evitare possibili elusioni delle disposizioni di contenimento
della spesa, principio da declinare in coerenza ai parametri normativi specificamente definiti e nel
rispetto delle disposizioni vincolistiche previste".
Tali principi di consolidamento, ad esempio, sono esplicitamente riferiti dal parere n. 49/2012 sempre della Sezione regionale di controllo della Lombardia della Corte dei conti - ai vincoli di cui
all'articolo 1, commi 557 e 557-bis, della legge 296/2006, imponendo di imputare al Comune, come
propria, la quota parte della spese di personale sostenute dalle società in house.
Analoghe considerazioni si rinvengono altresì nel parere n. 260/2012 ancora della Sezione regionale
di controllo della Lombardia. Quest'ultimo, da un lato, esclude che il Comune, ai fini della
determinazione delle proprie possibilità assunzionali, possa sommare alle proprie cessazioni quelle
delle società partecipate mentre, dall'altra parte, sottolinea come “la società in house può acquisire
personale se ed in quanto il Comune partecipante non sia incorso in violazioni sanzionate con il
divieto di assunzioni”.
L'approccio consolidato, merita infine ricordare, non è adottato soltanto dalla Sezione Lombarda
della Corte dei conti. E' sufficiente citare, a titolo esemplificativo, la pronuncia della Sezione della
Liguria n. 47/2012 che, in relazione al vincolo riguardante le assunzioni flessibili, ha affermato che
“deve rinviarsi, nella specie, anche con riferimento ai vincoli derivanti dall'articolo 9, comma 28,
del Dl n. 78 del 2010, al principio di consolidamento della spesa di personale tra ente locale e
società partecipata, sussistendo, dunque, un solo tetto complessivo delle spese sostenute per il
personale a tempo determinato, da calcolare in capo all'ente locale in base alle attività del gruppo
municipale, senza che gravi un concorrente ed autonomo limite percentuale in capo alla società in
house singolarmente intesa”.
Come sopra accennato non tutte le delibere delle Sezioni regionali sono univoche, infatti, su
posizioni diametralmente opposte si è attestata la sezione Toscana che con parere n° 10/2013 ha
affermato che l’applicazione dell’art. 9 comma 28 L. cit “deve avvenire in maniera distinta, senza
consolidamento tra ente locale e società partecipata”, non essendo ammissibile che l’ente locale
ceda la propria capacità assunzionale alla partecipata. Ogni soggetto quindi deve applicare il tetto di
spesa in maniera autonoma e separata. A sostegno di tale tesi viene inoltre osservato che il dettato
dell’art. 9 si coordinerebbe con quanto disposto dall’art. 4 comma 10 della L. 135/2012.
Quest’ultima norma prevede che le controllate che nel 2011 abbiano avuto un fatturato da
prestazione di servizi a favore di PA superiore al 90% del totale, a partire dal 2013 possono
avvalersi di personale a tempo determinato o con contratti di collaborazione coordinata e
continuativa entro il limite di spesa del 50% della spesa del 2009, similmente a quanto afferma l’art.
9, comma 28 L. 122/2010.
Con nota n° 1335 del 13 marzo 2013 gli esperti del Dipartimento della funzione pubblica escludono
qualsiasi rinvio dinamico tra l’art. 9, co. 28, L. 122/2010 e l’art. 4, co. 10, L. 135/2012, che in realtà
25
costituisce norma di stretta interpretazione. La limitazione al 50% della spesa del 2009, ha ambiti di
applicazione differenti nelle due norme: l’art. 9 che vincola le amministrazioni statali, impone
l’indicato tetto di spesa per ogni forma di assunzione flessibile, mentre l’art. 4, che si applica alle
società partecipate, fissa un tetto di spesa solo per i contratti di lavoro a tempo determinato e le
collaborazioni coordinate e continuative. Ne discende che le somministrazioni di lavoro delle
società partecipate non incontrerebbero alcun limite di spesa. Si noti in ogni caso, che le limitazioni
previste dall’art. 4, co. 10, L. 135/2012, non si applicano neanche a quelle società in house che
fuoriescono dal suo ambito applicativo, cioè a quelle società partecipate che hanno avuto un
fatturato per prestazione di servizi alle pa inferiori al 90% dell’intero, nonché alle società indicate al
comma 3 dell’art. 4.
Alla luce di tali contrasti interpretativi sembra, quindi, quanto mai utile un chiarimento definitivo da
parte della Corte dei conti - attraverso le Sezioni riunite ovvero la Sezione delle Autonomie oppure da parte del legislatore, allo scopo di dare certezza a una disciplina estremamente complessa
e talvolta disorganica e di assicurarne un'applicazione appropriata e uniforme da parte dei diversi
Enti locali.
3.3 I vincoli delle società in house
Con la nuova legge di stabilità (legge 147/2013) è stato abrogato il vincolo in materia di personale
riguardante le società in house previsto dal D.L. n° 138/2011 art. 3bis, il quale stabiliva
l’assoggettamento al patto di stabilità interno.
Per le società in oggetto viene richiamato il novellato art. 2bis della L. 133/2008 con la quale si
predispone che le società in house sono soggette:
1. all’obbligo di adeguare le proprie politiche assunzionali a quelle vigenti per l’ente azionista con
il contenimento delle retribuzioni individuali e della retribuzione accessoria; a rispettare i criteri
e le modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi così come
previsto D.Lgs 165/2001 che prevede:
- una adeguata pubblicità del bando;
- economicità e celerità della procedura;
- selezione oggettiva e trasparenza dei requisiti attitudinali e professionali;
- rispetto delle pari opportunità;
- decentramento delle procedure
- composizioni adeguate con componenti con i giusti requisiti professionali e privi di cariche
politiche nell’ente o sindacali;
2. a contenere gli oneri contrattuali, le altre voci di natura contributiva ed indennitaria e gli
onorari per consulenze esterne e per cariche di amministratori.
Ad ogni modo, come fatto osservare dal Corte di Conti, Sez. Regionale di Controllo per la
Lombardia, n. 260/2012, l’art. 3bis e pertanto, il patto di stabilità, si applica a tutte le società in
house anche quelle escluse dai d.l. 112/2008, art. 18 e d.l. 78/2010, art. 9 – decreti rivolti
esclusivamente a società a partecipazione pubblica, totale o di controllo, inserite nell’elenco ISTAT.
26
CAPITOLO IV
I RAPPORTI FINANZIARI
4.1 I controlli interni sulle società partecipate
L’art.239 del d.lgs. 267/2000 assegna, in particolare, all’organo di revisione la funzione di
collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento, la
formulazione di pareri obbligatori su sette tipologie di atti e la vigilanza/controllo sulla regolarità,
finanziaria ed economia della gestione.
La vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria deve essere svolta sull’intera gestione diretta ed
indiretta dell’ente locale (vedi Corte dei Conti, Sezione autonomie, delibera n.2/1992).
Nei questionari sul rendiconto da inviare annualmente alla Sezione regionale di controllo della
Corte dei Conti ( vedi: Sezione Autonomie della Corte dei Conti, delibera n.
18/SEZAUT/2013/INPR depositata in segreteria il 1 agosto 2013), sono richieste all’organo di
revisione gli esiti dei controlli effettuati oltre ad elementi per la verifica degli equilibri finanziari
dell’ente e del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica.
Il controllo dell’organo di revisione sugli organismi partecipati deve essere svolto:
• sul rispetto dei vincoli normativi sulla costituzione, organizzazione e gestione e sul
mantenimento delle partecipazioni;
• sul rispetto del contratto di servizio e degli obiettivi fissati a motivazione
dell’esternalizzazione;
• sul rispetto delle regole contabili nei rapporti fra ente locale ed organismi partecipati;
• sul riflesso sugli equilibri anche prospettici delle gestioni indirette;
• sul rispetto delle regole fiscali;
• sulla verifica di elusioni ai vincoli del patto di stabilità:
• sul rispetto dei limiti di assunzione e spese di personale;
• sul rispetto delle procedure di evidenza pubblica per le fornitura di beni e servizi
Le finalità del sistema di controllo sono orientate a prevenire il fenomeno delle società in perdita.
Ora per le società in perdita i commi 551 e 552 dell’art.1 della legge 147/2013 (legge di stabilità
2014, costringono gli enti locali soci ad accantonare gradualmente fondi a copertura delle perdite
risultanti dal bilancio delle partecipate ed il comma 555 nel caso di risultato negativo per quattro dei
cinque esercizi precedenti a porre in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione
dell’ultimo bilancio d’esercizio le società diverse da quelle che svolgono servizi pubblici locali.
Gli obblighi di controllo in capo all’ente locale socio ed all’organo di revisione assumono
particolare importanza in presenza di gestioni connotate da risultati negativi, che, impongono
all’ente locale, soprattutto se continuati a valutare la convenienza economica e di sostenibilità
politico-sociale che giustificarono a suo tempo, la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso
moduli privatistici.
L’art.147 quater del Tuel in vigore dall’8 dicembre 2012, richiede all’ente locale di definire,
secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società non quotate,
partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente
locale, che ne sono responsabili.
La norma si applica agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase di prima
applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015.
Le disposizioni non si applicano alle società quotate e a quelle da esse controllate ai sensi
dell'articolo 2359 del codice civile. A tal fine, per società quotate partecipate dagli enti di cui al
presente articolo si intendono le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati
regolamentati.
27
L’ente locale deve definire preventivamente nella relazione previsionale e programmatica gli
obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo parametri qualitativi e
quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare:
- i rapporti finanziari tra l'ente proprietario e la società;
- la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società;
- i contratti di servizio;
- la qualità dei servizi;
- il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.
Sulla base delle informazioni raccolte l'ente locale deve effettuare il monitoraggio periodico
sull'andamento delle società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi
assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri
economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell'ente.
I risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate partecipate devono
essere rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica.
La Corte dei Conti Sez. controllo per il Veneto con deliberazione n. 903/2012/INPR del 9 novembre
2012 ha dedicato un ampio spazio ai rapporti con le società partecipate, al fine di garantire in sede
locale una sana gestione finanziaria, mediante il rispetto degli equilibri di bilancio e dei vincoli
previsti in materia di indebitamento.
Sostiene la Corte con tale delibera che gli obblighi di controllo devono essere sin d’ora osservati da
tutti gli Enti locali, non già in base a un espresso dettato normativo, bensì in ragione delle
incombenze che gravano sull’Ente, per il solo fatto di essere socio pubblico del relativo organismo
partecipato.
A parere della Corte ogni ente locale socio deve fattivamente adoperarsi, secondo la propria
autonomia organizzativa, per effettuare:
a)
un costante ed effettivo monitoraggio sull’andamento della società, con una verifica costante
della permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta partecipativa iniziale;
b)
tempestivi interventi correttivi in relazione a eventuali mutamenti che intercorrano, nel corso
della vita della società, negli elementi originariamente valutati.
Lo scopo di tale monitoraggio, secondo la magistratura contabile veneta, è quello di prevenire
fenomeni patologici e ricadute negative sul bilancio dell’Ente, e presuppone in re ipsa un’azione
preventiva di verifica e controllo, da parte del Comune, in merito alle attività svolte dalla società.
La carenza dei prescritti sistemi informativi all’interno della struttura organizzativa deporrebbe, nel
caso di ricadute negative, quale circostanza aggravante, a sostegno di una conclamata responsabilità
per colpa grave a carico dei soggetti che non hanno provveduto all’ottemperanza della legge con la
diligenza prescritta.
4.2 Pareri obbligatori sulla gestione dei servizi
Il D.L.n.174 del 10/10/2012, convertito con modificazioni dalla legge 7/12/2012 n.213, aggiunge
nuove funzioni per l’organo di revisione degli enti locali, modificando la lettera b) del comma 1 del
d.lgs.267/2000 (Tuel).
Le nuove funzioni concernono pareri obbligatori su proposte di deliberazione da sottoporre al
Consiglio su atti fondamentali della gestione.
I pareri rientrano nella funzione di collaborazione con il massimo organo dell’ente.
L’organo consiliare è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la
mancata adozione delle misure proposte dall’organo di revisione.
Il regolamento di contabilità deve stabilire entro quale termine l’organo di revisione dovrà
esprimersi tenendo conto dell’esigenza dell’ente di non ritardare il procedimento e di quella
dell’organo di revisione di poter approfondire e valutare i contenuti e gli effetti della proposta e
formulare il parere.
28
Per il parere sul bilancio di previsione il comma 2 dell’art.174 del Tuel demanda, infatti, al
regolamento di contabilità di stabilire un “congruo” termine per l’adempimento.
Sul piano operativo all’organo di revisione dovrà essere trasmessa una proposta di atto deliberativo
completa di tutti gli allegati. Su tale proposta l’organo di revisione dovrà esprimere un parere entro
il termine stabilito dal regolamento di contabilità.
Le sette nuove tipologie di materie sulle quali sono richiesti i pareri obbligatori sono una parte di
quelle attribuite al Consiglio dall’art.42 del Tuel e per la gestione dei servizi sono richiesti pareri
sulla modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi
esterni.
Sono richiesti pareri sugli atti attribuiti al Consiglio dalla lettera e) del comma 2 dell’art.42 del Tuel.
“organizzazione dei servizi pubblici, costituzione di istituzioni ed aziende speciali, concessione dei
pubblici servizi, partecipazioni dell’ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi
mediante convenzione”
Sono pareri d’importanza fondamentale per cercare di evitare i negativi riflessi sul bilancio
dell’ente delle gestioni dei servizi affidati ad organismi partecipati.
Inoltre, in aggiunta a quanto detto, il comma 553 dell’art. 1 della legge 147/2013 prescrive ai soli
soggetti partecipati in via maggioritaria, direttamente e indirettamente, dalle pubbliche
amministrazioni locali, il perseguimento della “ sana gestione dei servizi secondo criteri di
economicità ed efficienza”, al fine di concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza
pubblica.
A tale scopo il legislatore ha previsto:
•
•
per i servizi strumentali: parametri standard di riferimento costituiti da prezzi di mercato;
per i servizi pubblici locali parametri standard dei costi e dei rendimenti da costruirsi
nell’ambito della banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art.13 della legge
196/2009, utilizzando le informazioni disponibili presso le amministrazioni pubbliche.
4.3 Le principali operazioni finanziarie
Nel dettaglio le principali operazioni finanziare tra enti locali ed organismi partecipati sono le
seguenti:
4.3.1 Aumenti di capitale
Può essere effettuato con denaro, beni in natura e crediti (art.2342 C.C.)
Per i conferimenti di beni in natura e crediti occorre la relazione giurata di cui all’art. 2343 del C.C.
fatte salve le eccezioni di cui all’art.2343 ter del C.C.
Per l’ente locale nessuna rilevazione finanziaria consegue al conferimento di beni in natura.
Il conferimento di beni in natura richiede una variazione nel conto del patrimonio in diminuzione
del valore iscritto nelle immobilizzazioni materiali e in aumento nelle immobilizzazioni finanziarie
con rilevazione dell’eventuale plusvalenza nel conto economico area E.
Il conferimento in denaro deve essere rilevato nella contabilità finanziaria al titolo II all’intervento
08 “ partecipazioni azionarie”.
4.3.2 Conferimento di beni alla società
L’ente locale non può conferire alla società i beni demaniali di cui agli artt. 822 e 824 c.c. (strade,
cimiteri ecc.) per i quali, ai sensi dell’art. 823 c.c., al di fuori dei casi specificatamente previsti dalla
legge, la proprietà non può essere ceduta a soggetti terzi (anche se questi sono interamente
partecipati dallo stesso ente locale). In quanto inalienabili, i beni demaniali non sono usucapibili, né
pignorabili, né possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei limiti previsti dalla
legge.
29
Il T.U. espr. (D.P.R. n. 327/01), all’art. 4, aggiunge che “i beni appartenenti al demanio pubblico
non possono essere espropriati fino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione”.
In ordine alle modalità di acquisto e di perdita del carattere della demanialità, vengono in rilievo le
categorie dei beni appartenenti al demanio necessario e quelli appartenenti al demanio accidentale.
Per gli immobili del patrimonio indisponibile -ovvero, ai sensi dell’art. 826 terzo comma c.c., gli
edifici destinati a sede di ufficio pubblico e gli altri beni destinati a un pubblico servizio (ad
esempio, scuole, uffici, impianti sportivi, ecc.)- è possibile, invece, il loro conferimento in proprietà
a soggetti terzi, purché questi rispettino il vincolo di destinazione all’uso pubblico (art. 828 c.c.). I
beni facenti parte del patrimonio indisponibile, tra l’altro, sono inespropriabili.
I beni immobili, che non rientrano nella nozione di demanio pubblico o non fanno parte del
patrimonio indisponibile, appartengono al c.d. patrimonio disponibile dell’ente locale. Ai sensi
dell’art. 58 d.l. n. 112/2008 (conv. in l. n. 133/2008) ciascun ente locale con delibera di giunta,
individua redigendo apposito elenco, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza,
non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero
di dismissione.
Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di
previsione. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione
come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica.
La magistratura contabile, in proposito, ha affermato che “dal tenore letterale della norma si evince
che la perdita dell’originaria connotazione di bene indisponibile non può avvenire “sic et
simpliciter” mediante l’iscrizione del bene nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari:
condizione imprescindibile per l’iscrizione del bene nei predetti elenchi è, infatti, la “non
strumentalità all’esercizio delle funzioni istituzionali” che deriva dall’inidoneità o dalla “effettiva”
sottrazione del bene stesso alla sua originaria destinazione pubblica. “A contrario”, si può desumere
che, qualora un bene sia ancora destinato ad essere utilizzato per un pubblico scopo, lo stesso non
possa essere fatto rientrare nel novero dei beni disponibili, non essendo sufficiente la temporanea
inidoneità del bene a quella funzione pubblica ovvero una temporanea utilizzazione ad altri fini
perché il bene perda la qualificazione di “indisponibile” (cfr. Cass. Sezioni Unite, 21 aprile 1989, n.
1889)>>. Dunque, una diversa interpretazione sarebbe incompatibile con la ratio della stessa norma
che, riguardando principalmente le attività di dismissione e di valorizzazione dei beni disponibili,
non potrebbe autorizzare l’assoggettamento di beni ancora indisponibili al regime tipico dei beni
disponibili.
Il regime dei beni disponibili comporta la commerciabilità, l’usucapibilità, la pignorabilità e
l’assoggettabilità ad esecuzione forzata e sequestro del bene e dei diritti reali attribuibili a soggetti
terzi in regime di diritto privato.
4.3.3 Conferimento di beni con incedibilità del capitale sociale
la Corte Costituzionale (sent. n. 320/11) ha affermato che l’incedibilità del capitale della società a
totale partecipazione pubblica non garantisce il mantenimento del regime giuridico proprio dei beni
conferiti in proprietà alla società patrimoniale. Infatti, “è noto che il patrimonio sociale costituisce
una nozione diversa da quella di capitale sociale: il primo è rappresentato dal complesso dei
rapporti giuridici, attivi e passivi, che fanno capo alla società; il secondo è l’espressione numerica
del valore in denaro di quella frazione ideale del patrimonio sociale netto (dedotte, cioè, le
passività) che è fissata dall’atto costitutivo e non è distribuibile tra i soci.
Ne deriva che l’incedibilità delle quote od azioni del capitale sociale, “non comporta anche
l’incedibilità dei beni che costituiscono il patrimonio della società; beni, perciò, che possono
liberamente circolare e che integrano la garanzia generica dei creditori (art. 2740 cod. civ.),
limitabile solo nei casi stabiliti dalla legge dello Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva
in materia di ordinamento civile. La sola partecipazione pubblica, ancorché totalitaria, in società di
capitali non vale, dunque, a mutare la disciplina della circolazione giuridica dei beni che formano il
30
patrimonio sociale e la loro qualificazione.
4.3.4 Conferimento di reti
L’ente locale, avvalendosi sia dei poteri autoritativi sia dei poteri tipici del socio unico, deve
assicurare che le reti funzionali all’erogazione dei servizi pubblici mantengano il carattere della
demanialità e, quindi, anche il regime dell’inalienabilità e dell’inespropriabilità.
Un limite di carattere speciale per cui, per alcune tipologie di beni facenti parte del demanio
pubblico, è preclusa all’ente locale la possibilità di procedere ad una sdemanializzazione (e, quindi,
è preclusa la possibilità di trasferirli ad una società patrimoniale).
Per le reti del servizio gas metano invece vale solo il vincolo di destinazione a pubblico servizio. Le
reti e gli impianti del servizio gas metano sono da considerarsi beni patrimoniali disponibili.
Per tali beni il codice civile pone soltanto una limitazione alla facoltà di mutare le loro destinazione
e restando soggetti al diritto privato possono formare oggetto di tutti i negozi giuridici privati
compreso quelli traslativi della proprietà (vedi Cassazione civile sezioni unite sentenza del
18/2/2011 n.3936).
La Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, con delibera del 3/7/2013
n. 295, si è espressa sull'ammissibilità della proprietà di beni e impianti strumentali all'esercizio del
servizio pubblico di erogazione del gas in capo a soggetti diversi dall'ente pubblico concedente.
Secondo la Sezione La proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni destinate al servizio
di distribuzione del gas - confluita nel patrimonio indisponibile - è attribuibile, oltre che all'ente
pubblico, a società patrimoniali di reti dello stesso ente e, nei limiti dell’unitaria circolazione della
proprietà con la gestione, verso soggetti privati; sono peraltro incompatibili con la natura del bene e
la relativa disciplina specifica di legge, negozi di circolazione che scindano la proprietà e l'uso, a
scopo di garanzia. Infatti, l'attribuzione in proprietà o nella disponibilità del privato delle reti e degli
impianti si giustifica ed è legittima esclusivamente se strettamente correlata con la durata e i limiti
del regime concessorio, su base contrattuale a seguito di gara condotta secondo i principi di tutela
della concorrenza previsti dal diritto interno e comunitario.
In precedenza la Corte dei Conti sezione di controllo del Friuli Venezia Giulia con deliberazione
FVG/76/2011/PA del 15 settembre 2011, aveva affermato che il conferimento delle reti gas a società
pubblica non è idoneo a preservare in modo adeguato l’utilizzazione di un bene per un pubblico
scopo e sarebbe incompatibile con le esigenze di tutela dell’interesse pubblico, garantite invece dal
particolare regime cui sono soggetti i beni del patrimonio indisponibile. Al contrario, con il
conferimento, verrebbero sottoposti all’alea di rischio tipica dell’attività privatistica beni pubblici
per i quali si impone, con particolare evidenza, il rispetto del principio di sana gestione finanziaria
che implica la valutazione da parte dell’Ente locale non solo dei vantaggi derivanti nell’immediato,
ma anche dei rischi che potrebbero sorgere in futuro in conseguenza della propria attività gestionale
e finanziaria.
4.3.5 Conferimento beni a società patrimoniali strumentali
Nel caso delle società patrimoniali esclusivamente strumentali, tuttavia, anche se non viene
direttamente in rilievo la questione dell’incedibilità delle reti, si deve tenere sempre conto che il
socio che dota del patrimonio immobiliare la propria società è un soggetto di diritto pubblico e, in
quanto tale, deve agire nel rispetto del principio di legalità e con il fine di tutelare l’interesse
pubblico. In quest’ottica, quindi, il conferimento di beni in una società di diritto privato interamente
detenuta dall’ente locale conferente è legittimo se ricorre un duplice presupposto:
• il conferimento deve rispettare i vincoli che conformano la proprietà pubblica, a seconda che
i beni siano soggetti al regime giuridico della demanialità, dell’indisponibilità o della
disponibilità;
• il conferimento deve avere sempre uno stretto rapporto funzionale con l’oggetto sociale.
31
•
Il conferimento di cespiti nella società patrimoniale (anche se non funzionali all’erogazione
di SPL) deve rispondere al regime giuridico che a seconda della natura del bene, conforma
la proprietà pubblica, nonché deve rispondere ai più generali vincoli che informano l’agire
pubblico dell’ente locale (in particolare, efficienza ed economicità).
4.3.6 Trasferimenti straordinari
Sono quelli diversi da contingenti esigenze gestionali (contributi in conto esercizio). I contributi
straordinari sono rilevati dall’ente locale nel titolo II della spesa, intervento 07 “trasferimenti di
capitale” se finalizzati alla realizzazione d’investimenti e nell’intervento 09 “conferimenti di
capitale”, se finalizzati al patrimonio.
Sono conferimenti in denaro o natura che non confluiscono a capitale sociale ma a riserva di
patrimonio (contributi in conto capitale).
Rientrano:
I versamenti a fondo perduto
I versamenti in conto futuro aumento capitale sociale
I versamenti in conto aumento di capitale
I contributi in conto capitale
Non rientrano nel divieto i contributi in conto impianti poiché destinati in modo specifico a
investimenti (occorre il rendiconto dell’effettivo utilizzo).
4.3.7 Aperture di credito Rientrano le concessioni di credito rilevate dall’ente locale al titolo II
della spesa e contestualmente come accertamento al titolo IV delle entrate. Le concessioni di credito
sono escluse dal saldo ai fini del patto di stabilità.
4.3.8 Garanzie fideiussorie
Le garanzie fideiussorie sono regolate dall’art. 207 del Tuel.
Gli interessi annuali delle operazioni di indebitamento garantite con fideiussione concorrono alla
formazione del limite di cui al comma 1 dell’art.204 del Tuel e non possono impegnare più di un
quinto di tale limite.
Il limite richiamato dispone che la spesa per interessi non può superare il limite dell’8% per l’anno
2014 e del 6% a decorrere dall’anno 2015 dei primi tre titoli delle entrate del rendiconto del
penultimo anno precedente quello in cui è prevista l’assunzione del mutuo o rilasciata la garanzia.
Le disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art.207 possono essere derogate con l’autonoma
regolamentazione stabilita dal regolamento di contabilità.
Il primo comma del citato articolo 207 prevede la possibilità per l’ente locale di rilasciare garanzia
fideiussoria per l’assunzione di mutui destinati ad investimento di aziende dipendenti e di consorzi
partecipati.
Il comma 2 prevede la possibilità di rilasciare garanzia fideiussoria a favore di società di capitale
partecipate per l’assunzione di mutui destinati ad investimenti limitatamente alle rate da
corrispondersi da parte della società sino al secondo esercizio finanziario successivo a quello di
entrata in funzione dell’opera ed in misura non superiore alla propria quota di partecipazione nella
società.
Sembra consentito, se la destinazione è ad investimento, finanziare la società in perdita anche
attraverso aumenti di capitale.
4.3.9 Lettere di patronage
La lettera di patronage o gradimento viene rilasciata dall’ente locale per agevolare l’accesso al
credito della società partecipata.
La lettera di patronage è una forma di garanzia impropria in forza della quale il patronnant fornisce
alla banca finanziatrice informazioni relative al soggetto patrocinato idonee a rafforzare nella banca
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creditrice il convincimento che il patrocinato farà fronte ai propri impegni.
Con la lettera di patronage “forte” si genera un’obbligazione negoziale, assunta in proprio dal
patronnant ed avente per oggetto un facere avente natura contrattuale e con finalità di garanzia. Tale
lettera espone l’ente locale al rischio di escussione in caso di insolvenza della società debitrice.
Alla lettera di patronage “forte”, si applica l’art. 207 del Tuel ( vedi Corte dei Conti, sezione
regionale di controllo per la Lombardia n. 408/2012).
Solo le lettere di patronage “forti” sono assimilabili all’obbligazione del fideiussore esponendo
l’ente garante al rischio di escussione in caso di insolvenza della società debitrice.
L’assimilazione alla fideiussione comporta, ai sensi dell’art.207 del Tuel, la competenza del
Consiglio alla deliberazione ed al concorso degli interessi annuali relativi alle operazioni di
indebitamento garantite alla formazione del limite di cui al comma 1 dell’art. 204 del TUEL. Gli
interessi annuali dei debiti garantiti con fideiussioni non possono inoltre superare un quinto di tale
limite.
4.3.10 Ripiano perdite
L’art.194, TUEL, rubricato “Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio”, affida al
consiglio il potere di riconoscere la legittimità e provvedere al finanziamento di debiti fuori bilancio
derivanti da:
-copertura di disavanzi di consorzi, aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi
derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo del pareggio
di bilancio di cui all’art. 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
-ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società
di capitale costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali.
La Corte dei Conti Sezione Regionale Liguria con parere espresso con delibera n. 2/2005, ha
ritenuto che l’elencazione dell’art.194 sia tassativa per arginare il ricorso ad impegni non derivanti
dalla normale procedura di bilancio, per rendere legittimi i debiti non previsti in sede di
programmazione annuale e per disciplinare le modalità della relativa copertura. Secondo la sezione
la tipologia dei debiti fuori bilancio prevista dall’art.194, co.1, lett. c), del Tuel può essere
riconosciuta soltanto là dove l’integrazione del capitale sociale della società di cui l’ente possiede
una quota avvenga nelle forme e nei limiti della disciplina codicistica o di altre norme speciali.
Pertanto la delibera assunta nell’assemblea della società di porre a carico dei soci il ripiano di debiti
è frutto di una scelta gestionale che trova fondamento in una riconosciuta esigenza di liquidità
aziendale, piuttosto che in un obbligo imposto dal codice civile, per cui esso dà luogo a una
modalità di ripiano delle perdite il cui debito a carico del comune non è suscettibile di essere
riconosciuto legittimo ex art.194, co. 1, lett. c), TUEL.
La stessa Corte con delibera n. 56 del 21/6/2011, ha ritenuto non ammissibile il riconoscimento di
un debito fuori bilancio per una società strumentale, poiché non rientrante nella casistica dell’art.
194 del Tuel.
La perdita di una società strumentale deve trovare allocazione nel bilancio dell’ente, tra le spese
correnti del titolo I, nell’intervento 08 relativo agli oneri straordinari della gestione corrente del
bilancio in cui si provvede al ripiano. Nel conto economico deve essere rilevata nell’area
straordinaria (area E), come sopravvenienza passiva.
Gli artt. 2446 e 2447 c.c. per le società per azioni e gli artt. 2482-bis e 2482-ter per le società a
responsabilità limitata, regolano la riduzione del capitale per perdite.
Per le s.p.a. l’art. 2446 dispone che quando il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza
di perdite gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni
provvedimenti. Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo
l’assemblea che approva il bilancio deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate.
L’art. 2447 c.c. per le s.p.a. dispone che nel caso in cui per effetto della perdita di oltre un terzo il
33
capitale si riduce al di sotto del minimo legale gli amministratori devono senza indugio convocare
l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento ad una cifra non
inferiore al minimo, o deliberare la trasformazione della società.
Nel caso invece di perdite superiore ad 1/3, occorre prima di aumentare il capitale sociale a
pagamento, procedere al ripiano delle perdite. (secondo la massima n.122/2011 del 18/10/2011 del
Consiglio notarile tale situazione non impedisce l’assunzione di una deliberazione di aumento del
capitale che sia in grado di ridurre le perdite ad un ammontare inferiore al terzo del capitale e di
ricondurre il capitale stesso, se del caso, a un ammontare superiore al minimo legale).
L’orientamento delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti è consolidato nel ritenere
che la spesa per la copertura della perdita sia di parte corrente.
La posizione debitoria non è riconoscibile nel caso di società di capitali non costituite per
l’esercizio di servizi pubblici.
La formulazione della lett. c), art. 194, TUEL, comporta che può essere riconosciuta la tipologia di
debito fuori bilancio ivi prevista soltanto laddove la reintegrazione del capitale sociale della società
di cui l’ente possiede una quota avvenga nelle forme e nei limiti della disciplina di cui al codice
civile o di altre norme speciali cui il legislatore fa espresso rinvio.
Il riconoscimento del debito deve prevedere anche una valutazione sul sistema dei controlli attivati
dall’ente in ordine alle società partecipate.
L’ente in ordine alle società partecipate e agli organismi gestionali collegati con la finanza del
medesimo, deve affrontare in sede programmatica e previsionale l’argomento dell’equilibrio
economico finanziario degli stessi per evitare la formazione di perdite d’esercizio non riconoscibili
ai sensi dell’art. 194, TUEL.
L’art.3, comma 19 del d.l. 350/2003 ha vietato il ricorso all’indebitamento per il finanziamento di
conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende o società finalizzate al ripiano di perdite.
Il ricorso all’alienazione di beni per finanziare il ripiano delle perdite e a ricapitalizzazioni, anche a
prescindere dall’aver fatto in precedenza ricorso al debito per l’acquisto del bene alienato, solo
formalmente rispetta l’art. 119, Cost., poiché si utilizza un’entrata in conto capitale per finanziare
spese correnti (vedi Corte dei Conti - sez. reg. controllo Abruzzo 587/2007).
4.3.11 Utilizzo riserve di rivalutazione a copertura di perdite
La rivalutazione monetaria non è consentita da un punto di vista civilistico se non in forza di leggi
speciali.
La riserva di rivalutazione ex L. 342/2000, può essere utilizzata a copertura di perdite, ad aumento
gratuito del capitale sociale, oppure destinata ai soci. Se la riserva non è imputata a capitale sociale
può essere ridotta solo osservando le disposizioni dei commi 2 e 3, art. 2445 c.c. Nel caso la riserva
sia utilizzata a copertura di perdite, non si potrà distribuire utili fino a quando la riserva non è
reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria. In
questo caso non si applicano le disposizioni dei citati commi 2 e 3, art. 2445 c.c..
Il d.l. n.185 del 29/11/2008, convertito con modificazioni nella legge 2/2009, concedeva la
possibilità di rivalutare i beni immobili, escluse le aree fabbricabili e gli immobili merce, iscritti nel
bilancio in corso al 31/12/2007.
Il valore rivalutato non poteva superare il valore economico del bene.
Il saldo attivo di rivalutazione può essere imputato a capitale sociale o ad apposita riserva.
L’utilizzo della riserva a copertura di perdite comporta l’obbligo di successiva ricostituzione della
riserva, salvo delibera di riduzione dell’assemblea straordinaria.
L’utilizzo della riserva di rivalutazione per copertura di perdite pone problemi di rilevazione nel
bilancio dell’ente locale.
Da una parte si sostiene che non essendoci movimentazioni finanziarie nulla deve essere rilevato nel
conto del bilancio.
Dall’altra si sostiene che sostanzialmente l’operazione, seppure ammessa dalla normativa, è per
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l’ente locale elusiva dell’obbligo di ricostituire la riserva o di ripianare le perdite concretizzandosi
con una diminuzione del valore della partecipazione.
4.3.12 Ripiano perdite della fondazione
La Corte dei Conti -sezione regionale di controllo per il Piemonte con delibera n. 24/2012 del
7/3/2012, ha ritenuto che l’ente locale non può accollarsi l’onere per il ripiano di anno in anno,
mediante la previsione di un contributo annuale o anche occasionalmente le perdite gestionali di una
fondazione.
Per sua natura la fondazione deve essere in grado di avere un equilibrio economico con il suo
patrimonio.
L’impegno dell’ente locale di far fronte alle perdite gestionali farebbe venir meno la natura di
fondazione che, di fatto, “si trasformerebbe in ente strumentale assumendo natura pubblica alla
stessa stregua di un’azienda speciale o di un organismo societario.”
L’ente locale può comunque erogare contributi specifici per l’attività svolta dalla fondazione a
favore della popolazione o del territorio amministrato.
4.3.13 Fondo vincolato a copertura di perdite
I commi 551 e 552 dell’art.1 della legge 147/2013 (legge di stabilità 20149, nel caso in cui
l’azienda speciale, l’istituzione o la società partecipata presenti un risultato di esercizio o saldo
finanziario negativo, l’ente partecipante deve accantonare in apposito fondo vincolato un importo
pari al risultato negativo, non immediatamente ripianato, in proporzione alla quota di
partecipazione.
Per le società che redigono il bilancio consolidato il risultato è quello relativo a tale bilancio.
Per le società che gestiscono servizi pubblici a rete di rilevanza economica compresa la gestione dei
rifiuti per risultato si intende la differenza fra costi e valore della produzione.
Decorrenza
gli accantonamenti decorrono dall’esercizio 2015 con una fase transitoria per gli anni 2015,2016 e
2017.
Gradualità fondo
Nel caso di risultato medio negativo nel triennio 2011-2013 occorre accantonare una somma pari
alla differenza fra risultato negativo conseguito nell’esercizio precedente (se migliore della media)
ed il risultato medio 2011-2013 migliorato:
del 25% per l’anno 2014
del 50% per l’anno 2015
del 75% per l’anno 2016
Qualora il risultato negativo sia peggiore della media del triennio 2011-2013 occorre accantonare
una somma proporzionale alla quota di partecipazione del risultato negativo conseguito
nell’esercizio precedente con la seguente gradualità:
25% nel 2015
50% nel 2016
75% nel 2017
Nel caso di risultato medio positivo nel triennio 2011-2013 occorre accantonare in misura
proporzionale alla quota di partecipazione del risultato netto negativo conseguito nell’esercizio
precedente con la seguente gradualità:
25% nel 2015
50% nel 2016
75% nel 2017
Movimentazione fondo
Il fondo viene reso disponibile nel caso di ripiano della perdita (se il ripiano è parziale è reso
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disponibile pro quota), di dismissione della partecipazione o di messa in liquidazione.
4.3.14 Perdita continuata e conseguenze
(commi 554 e 555 art. 1 legge 147/2013)
Dal 2015 gli organismi a maggioranza pubblica diretta o indiretta con affidamento diretto per una
quota superiore all’80% del valore della produzione che nei tre anni precedenti hanno conseguito un
risultato economico negativo devono ridurre del 30% il compenso dei componenti degli organi di
amministrazione.
Il risultato economico negativo per due esercizi consecutivi è giusta causa ai fini della revoca degli
amministratori.
Quanto sopra non si applica se il risultato economico negativo è coerente con il piano di
risanamento precedentemente approvato.
Dal 2017 in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti gli organismi
diversi dalle società che svolgono servizi pubblici locali sono posti in liquidazione entro sei mesi
dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto dell’esercizio. Se non attivata la fase di
liquidazione gli atti gestionali sono nulli e comportano responsabilità erariale.
4.3.15 Concessione crediti
(delibera Sezione Controllo n.202/2012 Corte conti Toscana, n. 207/2011, Corte conti Lombardia,
n. 40/2009 Corte conti Veneto)
La concessione di un prestito ad una società totalmente partecipata dall’ente finanziatore va fatta
rientrare nel novero delle operazioni di reimpiego temporaneo delle somme giacenti presso il conto
corrente di tesoreria (c.d. gestione attiva della liquidità), consentita nella misura in cui non comporti
una sostanziale utilizzazione delle risorse diversa rispetto a quanto previsto dalla legge o dai
documenti di bilancio dell’ente.
E’ possibile la concessione di crediti a società partecipate rispettando le seguenti condizioni:
a)verificare se alla fattispecie in esame possa applicarsi il regime degli aiuti di Stato di fonte
comunitaria, con tutto ciò che ne consegue;
b) verificare che non sia elusiva della norma di cui all’art. 6 comma 19 del d.l. n. 78/2010 conv. con
l. n. 122/2010, per cui le amministrazioni pubbliche non possono, salvo quanto previsto dall’art.
2447 del codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito
né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre
esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il
ripianamento di perdite anche infrannuali (si veda in tal senso Lombardia deliberazione n.
207/2011):
c) operare un controllo dal punto di vista amministrativo-contabile, in quanto è opportuno che
l’operazione di finanziamento trovi piena evidenza nei bilanci, mediante la costituzione di apposito
capitolo nella spesa e nelle entrate, tanto dell’ente quanto della società, in ossequio ai principi
contabili che regolano le accensioni di prestiti e la gestione dei finanziamenti.
d) evitare che l’utilizzo delle liquidità di cassa disponibili comporti il rischio di diversa utilizzazione
di risorse rispetto alla destinazione voluta dalla legge o dai documenti di bilancio dell’Ente, è
“necessario che la c.d. gestione attiva della liquidità venga posta in essere in un contesto
ampiamente garantito di reintegro delle somme nelle casse dell’Ente. La concessione di un credito,
mediante utilizzo delle disponibilità giacenti in cassa, in tale situazione, comporta quindi
l’assunzione di notevoli rischi finanziari, contrari ai principi di prudenza cui deve essere
uniformata l’attività dell’Ente locale” (Liguria deliberazione n. 6/2010).
La sezione della Corte dei conti (Veneto deliberazione n. 40/2009) ha ricavato, dai principi delle
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norme vigenti, alcune condizioni di ammissibilità della gestione attiva della liquidità, riconducibili
al più generale principio di sana gestione finanziaria, ovvero:
elevato rating sul merito di credito della controparte;
garanzia di un vantaggio economico superiore a quello ricavabile dal deposito presso il
proprio tesoriere;
rispetto della normativa sulla tesoreria unica mista (impossibilità di utilizzare le somme
affluite sulle contabilità speciali infruttifere costituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello
Stato);
estinzione dell’operazione in breve termine (in genere nell’arco massimo di 18 mesi) o
possibilità garantita di pronto disinvestimento anticipato del capitale impiegato per far fronte ai
pagamenti ai quali le giacenze di cassa sono destinate (per tale motivo è da escludersi la possibilità
di ricorrere ad anticipazioni di tesoreria nella misura in cui al deficit di cassa possa sopperirsi con il
disinvestimento delle operazioni di cash management), anche in relazione all’obbligo di prioritario
utilizzo di cui all’art. 7, comma 5, del DLgs 279/2007, che investe, oltre le giacenze libere di cassa,
le liquidità “temporaneamente reimpiegate in operazioni finanziarie”;
deposito dei titoli presso il tesoriere ai sensi dell’art. 209, comma 3, e 211, comma 2, del
TUEL.
4.3.16 Postergazione
La disciplina prevista dagli artt. 2467 e 2497 quinquies del codice civile stabilisce che il rimborso
dei finanziamenti dei soci a favore della società sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri
creditori e, se effettuato nell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento deve essere restituito.
La norma si applica anche nei confronti delle società che ricevono finanziamenti da parte dei soci in
situazione di direzione e coordinamento.
Deroga
L’art.182 quater della legge fallimentare parifica la prededucibilità disposta a favore dell’apporto di
liquidità degli istituti di credito ai finanziamenti erogati dai soci in esecuzione di un concordato
preventivo ex art.161 e di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge
fallimentare.
L’art.33 del d.l. 83 del 22/6/2012 ha introdotto l’art.182 quinquies che prevede la possibilità per il
debitore che presenta ai sensi dell’art.161, comma 6 della legge fallimentare domanda di
ammissione al concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione del debito ex art.182 bis
primo e sesto comma, di chiedere al tribunale autorizzazione a contrarre finanziamenti, da qualsiasi
fonte da soddisfare in prededuzione ai sensi dell’art.111 previo accertamento del reale fabbisogno
finanziario attestato da un professionista e purché siano funzionali alla migliore soddisfazione dei
creditori.
In sintesi:
- i finanziamenti contratti prima della presentazione della domanda di concordato preventivo
ex art.161 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge
fallimentare, sono soggetti alla disciplina degli artt.2467 e 2497 quinquies del codice civile e
quindi interamente postergati;
-
i finanziamenti contratti prima della presentazione della domanda di concordato preventivo
ex art.161 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge
fallimentare, ma funzionali in via prospettica all’esecuzione degli stessi e sottoposti al limite
del diritto di voto di cui all’art.182 quater comma 5, sono prededucibili per l’80% e
postergati per il residuo 20%;
-
i finanziamenti contratti dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo ex
art.161 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge fallimentare,
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previa autorizzazione del tribunale ed attestazione di un professionista, sono interamente
prededucibili.
4.3.17 Finanziamenti ed aiuti di Stato
Non vi è aiuto pubblico quando l’apporto da parte dell’ente locale socio si verifica in circostanze
che sarebbero accettabili per un investitore privato operante nelle normali condizioni di
un’economia di mercato.
Tale circostanza può ritenersi accertata se al finanziamento concorre, accanto al socio pubblico e
alle medesime condizioni, anche il privato.
Se il finanziamento viene accordato solo dal socio pubblico occorre che il tasso di interesse
corrisponda a quello praticabile sul mercato all’impresa in base al rating attribuito.
Dall’1/1/2014 entra in vigore il regolamento UE 1407/2013.
E’ prevista un’esenzione generale dall’obbligo di preventiva notifica per gli aiuti di stato al di sotto
del massimale di 200.000 euro nell’arco di tre esercizi finanziari.
Il massimale viene inteso per “impresa unica”.
Fanno parte dell’impresa unica tutte le entità controllate giuridicamente e, di fatto, dalla stessa
entità.
Più imprese sono considerate impresa unica quando:
a) Un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto di un’altra impresa
b) Un’impresa ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di
amministrazione, direzione o sorveglianza di un’altra impresa;
c) Un’impresa ha il diritto di esercitare una influenza dominante su un’altra impresa in virtù di
un contratto concluso con quest’ultima oppure in virtù di una clausola statutaria;
d) Un’impresa socia di un’altra controlla da sola, in virtù di un accordo stipulato con i soci
dell’altra impresa la maggioranza dei diritti di voto dei soci di quest’ultima;
e) le imprese fra le quali intercorre una delle relazioni di cui sopra, per il tramite di altre
imprese.
Ogni stato dovrà istituire un registro centrale degli aiuti di stato.
Se il registro non è attivo gli Stati dovranno inviare una notifica alle imprese richiedendo una
dichiarazione in forma scritta o elettronica relativa agli aiuti ricevuti anche con riferimento ai due
esercizi precedenti.
4.3.18 Rinuncia dei soci alla restituzione di crediti
L’Ente locale può:
1. rinunciare alla restituzione di crediti derivanti da precedenti concessioni rilevate al titolo II
della spesa;
2. rinunciare ad un credito di qualsiasi tipo iscritto tra i residui attivi.
In termini finanziari l’operazione dà luogo a minori residui attivi che potrebbero essere compensati
da variazioni positive tali da non portare l’Ente in disavanzo.
Per la Società la rinuncia alla restituzione o al credito ha natura di riserva di capitale da collocare in
bilancio all’interno del patrimonio netto alle voci “versamenti in conto capitale” o “versamenti a
copertura di perdite”.
La rinuncia dei soci a crediti o alla restituzione di crediti secondo OIC 28, non è sopravvenienza
attiva ma influisce unicamente sul patrimonio netto. Trasforma la natura del versamento da mutuo o
debito a patrimonio.
Non risponde a corretti principi contabili la seguente procedura:
- concessione di finanziamenti alla Società con rilevazione di un debito nel bilancio della
stessa;
- rinuncia dei soci alla restituzione del credito;
38
-
azzeramento del debito della Società con contropartita tra le sopravvenienze attive voce E20
del conto economico,
ai fini di ridurre o azzerare la perdita di esercizio.
Sotto il profilo fiscale (IRES ed IRAP) l’operazione è neutra (art.88 Tuir)
La Corte di Cassazione con sentenza 15585 del 30/6/2010 ha deciso che la delibera di assemblea
straordinaria di azzeramento e ricostituzione del capitale attraverso la rinuncia dei soci alla
restituzione è soggetta ad imposta di registro con l’aliquota del 3%.
L’operazione è da considerarsi elusiva ai fini del patto di stabilità?
La concessione crediti è un pagamento escluso da quelli rilevanti ai fini del patto. E quindi il
presupposto è di ottenere nel tempo una riscossione di pari importo ugualmente non rilevante ai fini
del patto.
Occorre comunque considerare che le attuali regole di contabilità finanziaria richiedono di rilevare
unicamente le operazioni che comportano incassi o pagamenti da o verso terzi.
Le operazioni in esame, nell’attuale ordinamento, hanno effetti unicamente patrimoniali e non
finanziari.
4.3.19 Compensazione di crediti reciproci certi, liquidi ed esigibili con la propria società
La Cassazione si è più volte espressa (vedi Cass. Civile Sez. 1-19/03/2009 n. 6711) affermando che
“non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma che vieti la compensazione legale tra crediti
reciproci certi, liquidi ed esigibili di una società di capitali ed i suoi soci”.
Si ritiene che in termini finanziari, con l’attuale ordinamento, anche la compensazione di debiti e
crediti non dia luogo ad effettive operazioni di incasso e pagamento.
4.3.20 Assegnazione di beni ai soci con riduzione di capitale
L’assegnazione di beni al socio ente locale da parte di una società di capitale comporta:
imposte dirette
- ai fini delle imposte dirette l’assegnazione è regolata dall’art.86, comma 1, lettera c) del Tuir
e di conseguenza l’eventuale plusvalenza assume rilevanza reddituale. In assenza di
corrispettivo del socio la plusvalenza è pari alla differenza fra valore normale del bene e
costo fiscalmente riconosciuto ( vedi comma 3 art.86 del Tuir).
Il bene assegnato al socio viene valutato al valore di mercato ovverosia al valore corrente di
realizzo/transazione del bene fra parti indipendenti. Nel bilancio della società emergerà una
plusvalenza o minusvalenza formata dalla differenza fra valore contabile e valore corrente di
realizzo.
Tale valore di assegnazione originerà la riduzione del patrimonio rilevante per la società.
Non ci sono movimentazioni finanziarie ( incassi o pagamenti), nessuna rilevazione deve essere
fatta nel conto del bilancio dell’ente locale e pertanto, l’operazione è neutra ai fini del patto di
stabilità.
Se il bene assegnato al socio consiste in partecipazioni per la plusvalenza da tassare in capo alla
società è in regime di partecipazione exemption ex art. 87 del TUIR (imponibile solo il 5% della
stessa).
Iva
- ai fini Iva l’assegnazione dei beni ai soci costituisce cessione di beni ( vedi art.2 n.6 del
d.p.r. 633/72 ed è quindi rilevante ai fini Iva.
Tale disposizione non trova applicazione come chiarito con circolare n.40/2002 e con risoluzione
n.194/2002 nell’ipotesi in cui l’assegnazione del bene al socio abbia ad oggetto beni che non
abbiano consentito a monte la deduzione dell’imposta.
Rientrano nella mancata deduzione dell’Iva i trasferimenti di beni immobili e mobili effettuati da
39
comuni e province a favore di società di capitale o aziende speciali ai sensi dell’art.118 del Tuel.
La risoluzione n.194/2002, chiarisce inoltre che l’iva non deve essere applicata anche nel caso che
sul bene siano stati eseguiti lavori di trasformazione ed ampliamento per i quali sia stata operata la
detrazione dell’Iva a monte. L’unica condizione è che i lavori di ampliamento non abbiano
costituito un autonomo bene con proprie caratteristiche distintive ed economiche.
Imposta di registro
- ai fini dell’imposta di registro il trasferimento è da assoggettare ad imposta fissa se
assoggettato ad Iva e ad imposta proporzionale negli altri casi.
Tuttavia i conferimenti di proprietà o diritti reali di godimento su beni immobili a favore di enti
pubblici territoriali sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa (vedi art.1, comma 1 della
tariffa).
Nessuna rilevazione è richiesta, nell’attuale ordinamento, in termini finanziari nel bilancio dell’ente
locale trattandosi unicamente di variazione patrimoniale.
4.3.21 Rapporti finanziari con società in perdita continuata (Art. 6 comma 19 d.l. 78/2010)
Gli enti compresi nel conto economico consolidato Istat non possono
−
−
−
−
Effettuare aumenti di capitale (esclusi ex art.2447 e 2482 ter del codice civile)
Trasferimenti straordinari
Aperture di credito
Rilasciare garanzie
a favore di società partecipate che abbiano registrato per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio
o che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripiano di perdite anche infrannuali.
Sono consentiti I trasferimenti per lo svolgimento di servizi di pubblico interesse a fronte di
convenzioni, contratti di servizio o di programma o per la realizzazione di investimenti.
I contributi in conto esercizio sono consentiti se previsti nei contratti di servizio originari o integrati
successivamente.
La norma non è applicabile alle Fondazioni, Associazioni, Aziende speciali, Consorzi di enti
pubblici.
La Corte dei Conti, Sezione regionale del Piemonte con deliberazione n.61/2010 del 21/10/2010, ha
chiarito che è fatta salva la ricapitalizzazione delle società che hanno registrato la perdita per oltre
un terzo del capitale con riduzione dello stesso al di sotto del limite legale, ciò in quanto l’integrità
e la conservazione del capitale sociale svolgono un ruolo non derogabile di tutela dei creditori.
4.4 Elusione del patto di stabilità
4.4.1 Obiettivo conseguito artificiosamente (art.31 commi 30 e 31 legge 183/2011)
Si configura una fattispecie elusiva del patto di stabilità il comportamento che, se pur legittimo,
risulti intenzionalmente e strutturalmente finalizzato ad aggirare i vincoli di finanza pubblica.
I contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dagli enti locali che si configurano elusivi del
patto di stabilità sono nulli.
La circolare dl MEF, n.5 del 14/2/2012, indica come esempio di forme elusive:
a) Spese valide ai fini del patto iscritte nel bilancio delle società partecipate o nelle società
create con l’evidente fine di aggirare i vincoli del patto;
40
b) Sottostima dei costi dei contratti di servizio tra ente e sue diramazioni societarie o
parasocietarie;
c) Illegittima traslazione dei pagamenti dall’ente alle società partecipate realizzate con utilizzo
improprio delle concessioni e riscossione crediti;
d) Sovrastima di entrate correnti o accertamenti in assenza dei presupposti di cui all’art. 179
del Tuel;
e) Valorizzazione dei beni immobiliari con operazioni con le società partecipate con l’esclusiva
finalità di reperire risorse finanziarie ai fini del patto di stabilità senza un’effettiva vendita
del patrimonio.
Nel caso di accertamento da parte delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti di
manovre artificiose (non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di
bilancio ) o forme elusive per conseguire il rispetto del patto di stabilità irrogano una sanzione
pecuniaria pari a:
-
un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione
dell’elusione;
fino a tre mensilità del trattamento retributivo al netto degli oneri fiscali e previdenziali al
responsabile del servizio economico-finanziario.
Il comma 111 bis dell’art.1 della legge 13/12/2010 n.220 dispone la nullità dei contratti di servizio e
degli altri atti posti in essere dalle regioni e dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole
del patto di stabilità interno.
4.4.2 Versamenti a fondo perduto ed elusione al patto di stabilità
Si ricorre al versamento a fondo perduto quando la società registra una perdita che imporrebbe di
procedere ad una riduzione obbligatoria del capitale sociale oppure quando i soci intendono
conferire somme alla società senza sottoporle alla disciplina propria del capitale sociale. In questo
caso, il versamento che il socio effettua “a fondo perduto” non fa sorgere in capo alla società
l’obbligo di rimborsare la somma erogata né l’impegno a deliberare l’aumento di capitale. Dunque,
con detto versamento il socio non manifesta la volontà di vincolarlo secondo la disciplina del
capitale sociale né di erogare la somma a titolo di finanziamento; in altri termini, “i contributi a
fondo perduto” costituiscono una forma di finanziamento che non genera alcun obbligo di
remunerazione o di restituzione.
Mentre nel rapporto che intercorre tra il socio di diritto privato e la società in cui partecipa, il
contributo “a fondo perduto” può trovare la sua giustificazione giuridica nella necessità di non far
emergere le perdite (ed, eventualmente, quando le perdite erodono il capitale di non dover
procedere alla ricapitalizzazione della società con i relativi costi fiscali e professionali), in presenza
di un socio pubblico questa forma di elargizione non è ammissibile quando è volta a celare perdite
rilevanti ai sensi degli artt. 2446, 2447, 2482 bis e 2482 ter del codice civile in quanto detta
operazione potrebbe essere volta ed eludere il vincolo di finanza pubblica introdotto dall’art. 6,
comma 19, D.L. n. 78/10.
Quando il versamento è finalizzato ad evitare la ricostituzione del capitale sorge il problema
dell’imputazione nella spesa dell’ente locale. L’imputazione al titolo II sembra, infatti, irregolare.
Secondo la Corte dei Conti Sezione regionale di controllo della Lombardia ( vedi delibera
n.61/2013) quando l’ente locale sceglie di partecipare ad una società di tipo lucrativo, non è
conforme alle regole di sana gestione finanziaria -in ragione della natura pubblicistica del socio- il
versamento di contributi a fondo perduto per impedire l’emersione di perdite, a prescindere dal fatto
che queste siano idonee ad erodere il capitale sociale.
41
4.4.3 Mutuo assunto dalla società in house con oneri a carico dell’ente locale
Una società in house contrae il mutuo per realizzare opere di interesse comunale e paga le rate di
ammortamento del mutuo per conto del’ente locale che, in base a specifico impegno, è tenuto a
rimborsargli ( o a pagare direttamente).
Con tale operazione si elude ai vincoli di finanza pubblica in materia di indebitamento degli enti
locali ( destinazione ad investimento e limiti all’indebitamento).
4.4.4 Trasferimento della sofferenza di cassa dell’ente locale sulla società partecipata che
sconta le fatture verso l’ente medesimo presso istituti di credito
Costituisce una forma di elusione ai vincoli di finanza pubblica anche il ritardato pagamento di un
ente locale, causa sofferenze di cassa o per rispettare i limiti del patto di stabilità delle fatture
emesse nei suoi confronti dalla società, per cui la società anticipa le fatture presso istituti di credito.
L’anticipazione delle fatture rappresenta un “costo” per la società partecipata (contabilizzato alla
voce “interessi ed altri oneri finanziari”) la quale deve corrispondere gli interessi agli istituti di
credito per i ritardati pagamenti da parte del Comune.
4.4.5 Cessione di beni per accertare entrate ai fini del patto di stabilità
L’ente locale cede beni alla società interamente partecipata che si finanzia con il pagamento con
assunzione di prestiti con iscrizione ipotecaria ed a volte con rilascio di lettera di patronage.
L’entrata finanziaria derivante da cessione di beni alla propria società, solo apparentemente ha
natura di corrispettivo per alienazione di beni immobili (e, quindi, potrebbe essere computata come
entrata in conto capitale ai fini del patto di stabilità interno).
Poiché l’entrata in parola in realtà nasce da un’operazione di indebitamento, questa non può entrare
a far parte del saldo finanziario per il calcolo del rispetto dell’obiettivo posto dal patto di stabilità.
4.4.6 Mancata esazione di crediti scaduti che l’ente locale vanta verso la propria partecipata
La mancata esazione di crediti scaduti che l’ente locale vanta verso la sua società partecipata a
titolo, ad esempio, di restituzione del finanziamento ricevuto o di pagamento del canone
concessorio pattuito con precedente convenzione, costituisce un flusso finanziario indiretto.
Infatti, anche in assenza di un’esplicita regolamentazione della dilazione del credito, può essere
accertato un tacito pactum de non petendo, ovvero quel patto che si risolve in un “impegno di non
chiedere” del creditore che rinuncia all’azione nascente dalla sua pretesa creditoria ma, nel
contempo, non estingue il debito dedotto in obbligazione.
La mancata escussione del credito -anche in assenza di una rinuncia del sottostante dirittorappresenta una forma di finanziamento in favore del debitore.
4.4.7 Anticipazione del canone concessorio
L’ente locale ha dato in concessione beni alla propria società pattuendo un canone concessorio da
corrispondere in via anticipata per un importo corrispondente a più annualità.
Con tale operazione l’ente locale accerta in entrata l’importo complessivo dell’operazione al titolo
III e la considera valida ai fini del patto di stabilità. La società risconta la parte del canone non di
competenza dell’esercizio.
La società paga un importo corrispondente ad un’annualità del canone e l’ente locale mantiene a
residuo attivo la parte non riscossa.
42
CAPITOLO V
LA LIQUIDAZIONE DELLE SOCIETA’ PARTECIPATE
Il Legislatore, sempre con il fine di regolamentare la disciplina delle società partecipate, negli ultimi
anni è intervenuto più di una volta con disposizioni che prevedevano, in caso di non rispetto di
determinati parametri, l’obbligo di messa in liquidazione di dette società.
Di seguito, si illustrano i suddetti parametri e il procedimento di messa in liquidazione.
5.1 Perdite continuate
Ai sensi e per gli effetti del comma 19 dell’art. 6 del D.L. n. 78/10 “Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” (Manovra economica correttiva 2011 2012), convertito con modificazioni dalla Legge n. 122/10, agli Enti Locali è vietato effettuare
aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito o rilasciare garanzie a favore di
Società partecipate che per 3 (tre) esercizi consecutivi abbiano chiuso in perdita o utilizzato riserve
disponibili a copertura di perdite anche infrannuali; ai sensi dell’art. 2447 del Codice Civile, è
sempre ammessa la possibilità di reintegrare il capitale sociale che per effetto di perdite sia sceso al
di sotto del limite legale.
La disposizione non trova applicazione in caso di partecipazione in società quotate e sono
comunque fatti salvi i trasferimenti effettuati in base a convenzioni, contratti di servizio o di
programma per lo svolgimento dei servizi di pubblico interesse affidati, ovvero per la realizzazione
di investimenti.
Solo in caso di circostanze urgenti ed al fine di garantire la continuità del servizio,
l’Amministrazione interessata può provvedere ad effettuare gli interventi di cui sopra, previa
autorizzazione, rilasciata con D.P.C.M. soggetto a registrazione presso la Corte dei Conti.
La giustizia contabile, in sede consultiva e di consulenza giuridica ex art. 7 comma 8 della Legge n.
131/03, ha chiarito che l’espressione per tre esercizi consecutivi utilizzata dal Legislatore non è
riferita a tre esercizi consecutivi nell’arco della vita di una società, ma “agli ultimi tre in ordine di
tempo” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti - deliberazione 01/12
n. 636).
La Sezione lombarda con tale intervento ha attribuito rilevanza ai risultati d’esercizio delle imprese
collettive pubbliche realizzatesi nelle recenti gestioni, nella consapevolezza che analisi gestionali
ancorate ad un arco temporale troppo ampio non avrebbero testimoniato l’attuale stato di efficienza,
efficacia ed economicità dell’attività sociale; quindi le criticità che in passato possono essere state
riscontrate nella gestione dell’impresa pubblica, nella società eventualmente rimessa “in bonis”
sono da considerarsi superate.
I magistrati lombardi hanno attribuito alle perdite realizzatesi senza soluzione di continuità nel
predetto arco temporale (ora meglio riferito solo all’ultimo triennio di vita dell’impresa collettiva),
il sintomo di una criticità tesa alla cronicizzazione che impone nei rapporti istituzionali tra l’Ente
Locale e la Società dallo stesso pro-quota partecipata, ne consegue il divieto di porre in essere le
operazioni previste dal comma 19 dell’art. 6 del D.L. n. 78/10.
Vale la pena evidenziare che la giurisprudenza contabile aveva già avuto modo di specificare che
tali norme trovano una rigorosa applicazione, nel senso che non possono essere interpretate in
maniera estensiva, alla stregua di altre norme che pur forniscono rilievo alla reiterazione di perdite.
Ad eccezione quindi dei casi di deroga espressamente previsti (che consentono aiuti finanziari alle
Società partecipate anche a fronte di risultati d’esercizio negativi se elargiti in virtù di programmi di
investimento o nel caso di circostanze urgenti ed al fine di garantire la continuità del servizio), è
sufficiente che negli ultimi 3 (tre) esercizi in ordine di tempo si siano verificate delle perdite, anche
di lieve entità a prescindere dalla loro motivazione per azionare i divieti sopra specificati (Sezione
regionale di controllo per il Piemonte della Corte dei conti - deliberazione n. 61 del 22/10/2010).
Altro aspetto che si reputa opportuno precisare sull’attuazione del comma 19 sopra richiamato è che
43
la procedura di cui agli artt. 2447 (per le Società per azioni) e 2482-ter (per le Società a
responsabilità limitata in analogia) del Codice Civile, non va vista come una deroga alle norme di
cui trattasi, ma come un’applicazione resa indispensabile da un obbligo di legge proprio del diritto
societario, giacché essa è fatta salva dalla legislazione speciale sulle imprese collettive pubbliche al
fine di preservare la funzione di garanzia del capitale sociale nei confronti dei creditori sociali.
Pur tuttavia, qualora per effetto di risultati d’esercizio negativi il capitale scenda al di sotto dei
limiti di legge, anche se il C.C. consente al socio pubblico la reintegrazione del capitale sociale ad
una cifra non inferiore al minimo, le norme codicistiche poste a tutela dei creditori subiscono un
bilanciamento con quelle speciali che prevedono per le Amministrazioni pubbliche i divieti di
trasferimenti finanziari alle loro Società partecipate, sempreché tali società siano risultate in perdita
negli ultimi tre esercizi.
Secondo la giustizia contabile (deliberazione n. 61 - Sezione Piemonte), agli Enti partecipanti non è
consentito di procedere ad un aumento del capitale superiore al minimo.
Si è detto che il comma 19 del citato art. 6, preserva la possibilità di aiutare finanziariamente le
imprese che attuano dei programmi di investimento, benché in perdita; la ratio della norma
evidentemente è quella di considerare non sempre cronicizzata la situazione di un’impresa che
subisce delle perdite senza soluzione di continuità in un triennio (l’ultimo in ordine di tempo).
Si pensi alle imprese che sono in fase di start-up ed i cui primi esercizi chiudono in perdita anche
perché la gestione finanziaria, per via degli interessi passivi che gravano sui mutui contratti per
supportare gli investimenti, incide pesantemente sul risultato della gestione complessiva
dell’azienda.
La stessa situazione si riscontra per quelle Società che - aprendosi a nuovi mercati - ampliano la
propria attività facendo ricorso al capitale di debito.
Rispetto alle Società che si trovano in tali condizioni, sarebbero leciti ai sensi dell’art. 2447 del C.C.
gli aumenti di capitale ad una cifra superiore al limite legale; occorre peraltro considerare che sul
precetto normativo in commento la Sezione Lombarda della giustizia contabile operante in sede di
controllo - con la recente deliberazione n. 98/13 - ha avuto modo di precisare che “… trasferimenti
agli organismi partecipati sono consentiti solo se vi sarà un ritorno in termini di corrispettività della
prestazione a favore dell’erogazione pubblica, ovvero la realizzazione di un programma di
investimento …..”.
5.2 La messa in liquidazione
Invece, per le imprese collettive pubbliche con perdite prodotte senza soluzione di continuità in un
arco temporale triennale (l’ultimo in ordine cronologico) e con uno stato di insolvenza considerato
cronico (che non sono in fase di start-up, né hanno fatto ricorso al capitale di debito per ampliare la
propria attività nei quali casi gli aiuti finanziari sarebbero ammessi), salvo una intervenuta
dichiarazione di fallimento (se e in quanto possibile nei modi che di seguito verranno esaminati), si
aprirebbe inevitabilmente la strada alla procedura ordinaria di liquidazione; non potendo le imprese
medesime, come già spiegato, poter far affidamento ad alcuna ancora di salvezza.
All’uopo occorre considerare l’esigenza messa in luce dalla Sezione Veneto di controllo della
Giustizia contabile, nell’ambito delle indicazioni date agli Enti Locali del proprio territorio per la
verifica del bilancio di previsione 2012 (deliberazione n. 903/2012/Inpr).
In relazione alle Società partecipate, i Giudici veneti hanno chiesto alle amministrazioni locali - in
particolare per le gestioni connotate da risultati negativi reiterati - di valutare costantemente “la
permanenza di quelle condizioni di natura tecnica e/o di convenienza economica nonché di
sostenibilità politico-sociale che giustificarono a monte (o che comunque avrebbero dovuto
giustificare), la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici”.
L’assenza di tali condizioni nelle imprese in “cronica crisi” non può che determinare l’avvio della
procedura di dismissione per scioglimento delle medesime, la quale si manifesterà per impulso
dell’Ente Locale socio che adotterà un’apposita delibera consiliare.
44
In tale circostanza, stante l’assenza “di una disciplina speciale che regoli le modalità di dismissione
delle società partecipate pubbliche”, così come confermato dalla Sezione Regionale di controllo per
l’Emilia Romagna della Corte dei Conti con la Deliberazione n. 9 del 13/02/2012, viene ad
applicarsi la disciplina comune in materia di scioglimento e liquidazione delle Società di capitali
(artt. 2484 e seguenti del Codice Civile).
Il fatto che la procedura da applicare non possa che essere quella prevista dal Codice Civile (artt.
2484 e seguenti), trova supporto giuridico nell’art. 4 comma 13 del D.L. n. 95/12, convertito con
modificazioni dalla Legge n. 135/12, la quale recita “… le disposizioni, anche di carattere speciale,
in materia di Società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per
quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del
Codice Civile in materia di Società di Capitali”.
Alle procedure di liquidazione di Società di capitali in mano pubblica, vista l’inesistenza di una
disciplina speciale in proposito, si applicano le fattispecie previste dalle norme codicistiche.
Sullo scioglimento di società partecipate (anche) dagli Enti Locali una norma speciale avente natura
fiscale la si ritrovava nell’art. 4 del D.L. n. 95/12, convertito con modificazioni dalla Legge n.
135/12, in base al quale le Società controllate direttamente e/o indirettamente da Pubbliche
Amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del D.LGS n. 165/01, che nel 2011 avevano emesso
fatture per prestazioni di servizi rese a favore di Pubbliche Amministrazioni per importi superiori al
90% dell’intero fatturato relativo alle loro attività, dovevano essere sciolte entro il 31 dicembre
2013; in tal caso gli atti posti in essere a seguito dello scioglimento erano esenti da imposizione
fiscale, scontando solo l’I.V.A. e le Imposte, di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa.
Tale norma è stata abrogata dal comma 562 dell’art.1 della legge 147/2013.
5.3 I debiti sociali al termine della liquidazione
Dalla lettura della deliberazione della Sezione dell’Emilia Romagna n. 9/2012, si evince altresì che,
nel caso in cui una Società partecipata da un Ente Locale venga posta in liquidazione, il principio
della responsabilità di cui agli artt. 2325 comma 1 e 2462 comma 1 del Codice Civile, non subisce
alcuna deroga; tale principio prevede che per le obbligazioni sociali risponde soltanto la Società con
il suo patrimonio.
Da tale considerazione consegue che il Comune socio non ha l’obbligo di accollarsi i debiti sociali
che eventualmente residuino al termine della fase di liquidazione; qualora invece in sede di bilancio
finale di liquidazione dovesse risultare un attivo, l’Amministrazione acquisirà nel proprio bilancio
(ovviamente in misura proporzionale nell’ipotesi di Società partecipata da più Enti) le relative
risorse finanziarie, assimilandole alle entrate derivanti da “alienazioni patrimoniali”.
Quanto eventualmente conseguito dal Comune nella distribuzione dell’attivo di liquidazione, viene
a costituire però, giuste le previsioni contenute nell’art. 2495 del C.C., una garanzia per eventuali
creditori rimasti insoddisfatti anche dopo l’estinzione della Società.
Al creditore sociale che non ha avuto soddisfazione dalla liquidazione è infatti concessa la facoltà di
agire nei confronti del Comune, ma questi è chiamato a rispondere solo nel caso un cui abbia
percepito quota parte dell’attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione e nel limite della stessa
quota.
La Sezione Piemonte con la delibera n. 3 del 19/01/2012 è di diverso avviso; dopo aver disquisito
sugli aspetti che legittimano gli affidamenti “in house” ed aver evidenziato che la normativa
nazionale estende alle società affidatarie dirette di servizi pubblici locali alcune norme limitatrici
proprie degli enti locali, ha sancito che le stesse imprese collettive, “pur essendo dotate di autonoma
personalità giuridica e svolgendo le loro funzioni con la forma privatistica societaria, sono soggetti
sostanzialmente pubblici, per la natura pubblicistica del capitale di cui sono costituite e per
l’influenza dominante che l’ente locale vi esercita”.
Con quanto sopra sostenuto, e con l’ulteriore annotazione che la titolarità dei servizi che vengono
affidati direttamente alle società di cui sopra permangono in capo ai Comuni Soci, i Giudici
45
piemontesi sono giunti alla conclusione che “non vi è alcun motivo per escludere che l'ente locale
debba far fronte ai debiti della propria società in house che non sono stati soddisfatti in seguito alla
liquidazione a causa dell'incapienza del capitale sociale”.
I Magistrati della Sezione Piemonte aggiungono che i creditori delle società “in house” sono
meritevoli di maggior tutela, avendo intrattenuto rapporti con tali imprese collettive nella
consapevolezza della loro natura pubblica; con una simile consapevolezza i creditori hanno messo
in conto la “quasi certezza di ottenere il soddisfacimento integrale del loro credito”.
I Giudici hanno lasciato altresì intendere che i sostenitori della tesi secondo cui il “principio della
responsabilità” di cui agli artt. 2325 comma 1 ed art 2462 comma 1 del Codice Civile è da ritenersi
applicabile a tutti gli Enti che hanno assunto la forma societaria (ivi comprese le Società in house),
non possono non tener conto che il “controllo analogo” operato dai Comuni sulle proprie Società
partecipate determina comunque l’applicazione della “responsabilità dell’Ente pubblico nei
confronti dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2497 Codice civile”.
Tale considerazione trae origine dal fatto che “il controllo analogo determina l'esercizio dell’attività
di direzione e coordinamento nell’interesse istituzionale dell'Ente pubblico e non nell'interesse
esclusivo della Società controllata”.
Per quest’ultima affermazione, va precisato che, se è pur vero che la responsabilità di cui all’art.
2497 C.C. opera quando l’Ente Locale agisce nell’interesse imprenditoriale proprio, è altrettanto
vero che la norma codicistica considera rilevante tale comportamento se è stato attuato in violazione
dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle Società partecipate e se ha
cagionato una lesione alla integrità del patrimonio sociale.
Inoltre, va ulteriormente specificato, che ai sensi e per gli effetti dell’art. 2497 sexies, del C.C. si
presume, salvo prova contraria, che un Ente esercita attività di direzione e coordinamento nei
confronti di Società al cui capitale partecipa, quando controlla tali imprese collettive secondo le
previsioni dell'art. 2359 C.C..
Ciò determina che la responsabilità sussistendone i presupposti, grava sui Comuni, non solo nei
confronti delle loro società in house, ma anche rispetto a quelle Società miste pubblico-privato che
le stesse Amministrazioni Pubbliche controllano in virtù della disciplina codicistica.
Pertanto, la responsabilità dell’Ente pubblico nei confronti dei creditori sociali ai sensi dell’art.
2497 del Codice Civile può colpire i Comuni a prescindere dal fatto che essi esercitino o meno il
“controllo analogo” nei confronti delle società partecipate.
Vale la pena evidenziare che, quanto sostenuto dalla Sezione Piemonte, contrasta non solo con la
posizione della Sezione Emilia Romagna, ma anche con quella della Sezione Basilicata.
I Giudici lucani sono dell’avviso che non sussiste alcun obbligo per i Comuni di accollarsi i debiti
sociali rimasti insoddisfatti all’esito di procedure di liquidazione di Società a cui gli stessi Enti
hanno affidato in house i servizi pubblici locali a rilevanza economica (deliberazione n. 13 del
16/05/2011).
All’atto pratico, i Magistrati lucani hanno ritenuto che il principio generale in materia di
responsabilità di cui agli artt. 2325 comma 1 e 2462 comma 1 del C. C. , che consente ai creditori
sociali di potersi rivalere soltanto sul patrimonio della Società, trovi attuazione anche nei confronti
delle suddette Società in house.
Alquanto dettagliata e opportuna è l’argomentazione che ha portato la Sezione Basilicata a
pronunciarsi nel senso sopra specificato, il ragionamento dei Giudici parte dal presupposto che - a
livello generale - come anche testimoniato dalla giurisprudenza le Società a partecipazione pubblica
non perdono la natura di soggetti privati.
Il rapporto che si instaura tra socio pubblico ed Ente è di assoluta autonomia, visto che lo stesso
socio non può esercitare poteri diversi da quelli espressamente previsti dalla disciplina civilistica o
da leggi speciali in materia.
L’assioma che deriva da quanto sopra detto è che, in ordine alla obbligazioni sociali assunte
dall’Organismo partecipato, l’autonomia che caratterizza il rapporto tra Ente locale socio e Società
46
da esso partecipate porta ad escludere ulteriori responsabilità del socio medesimo rispetto a quelle
previste dal Codice Civile.
Sulla base delle considerazioni che precedono, in prima analisi, sembrerebbe che le garanzie dei
creditori sociali verrebbero ad ampliarsi nei confronti dei Comuni che, in deroga alle norme
comunitarie sulla concorrenza, hanno costituito società in house alle quali hanno affidato in via
diretta la gestione di servizi pubblici a rilevanza economica.
Infatti, il ragionamento che potrebbe svilupparsi è il seguente: poiché per l’affidamento in house è
anche richiesto che l’Ente aggiudicante eserciti sull’affidatario un controllo analogo a quello
impiegato sui propri servizi, nelle Società all’uopo costituite verrebbe meno la prerogativa
dell’autonomia tra socio e Organismo partecipato che in via generale permette di escludere la
responsabilità del socio pubblico per le obbligazioni assunte dall’Organismo a cui partecipa.
Però, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, la Giustizia contabile lucana non sostiene la tesi
di un allargamento di responsabilità, perché la natura del rapporto che intercorre tra l’Ente pubblico
e la Società da esso stesso partecipata, che si definisce in termini di controllo analogo, vale non già
a giustificare una disciplina diversa da quella comune, quanto ai rapporti sociali tra la Società e i
terzi, ma giustifica unicamente deroga alle disposizioni comunitarie in materia di tutela, della
concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
La Sezione Basilicata trova il fondamento della sua affermazione da un intervento della
giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato Sezione V Sentenza n. 1365/09 che richiama la
Causa C-324-07 “Coditel Brabant Sa”), secondo il quale “il requisito del controllo analogo non
sottende una logica dominicale - propria del padrone rispetto ai suoi possedimenti - ma rivela
piuttosto una dimensione funzionale’”.
La richiamata fonte giurisprudenziale ha avuto modo di precisare, quanto al primo aspetto, che il
controllo analogo sussiste anche nel caso di una pluralità di soggetti pubblici (partecipi) al capitale
della Società, pertanto non è indispensabile che ad esso corrisponda simmetricamente un controllo
della governance societaria; rispetto al secondo, che l’attività di Società affidatarie in house di
servizi pubblici rimane un’attività funzionale rispetto alla quale la forma degli strumenti giuridici
utilizzati non rileva in sé, risultando invece finalizzata al miglior conseguimento degli scopi legali
dell’Amministrazione.
Dopo tale dissertazione, la Giustizia contabile lucana operante in sede di controllo ha voluto
oltremodo precisare che, se non sussiste un obbligo per il Comune di accollarsi i debiti sociali che
eventualmente residuino al termine della fase di liquidazione di una Società al cui capitale
partecipa, non si può altrettanto escludere che idealmente l’Amministrazione possa comunque
deliberare un accollo dei predetti debiti.
Nel caso in cui l’Ente Locale optasse per una simile scelta, occorre che individui lo schema causale
di contratto al quale ricondurre l’operazione di assunzione del debito che dia conto delle ragioni di
vantaggio e di utilità (che in maniera evidente giustificano l’operazione) e che verifichi se le
condizioni finanziare dell’Ente la permettono.
5.4 Le novità della legge 147/2013 sulle società in perdita continuata
Quanto previsto dalla legge 147/2013 ai commi 554 e 555 dell’art.1 che dal 2017, le aziende
speciali , istituzioni e società a maggioranza pubblica locale - titolari di affidamento diretto per una
quota superiore all’80% del valore della produzione - siano liquidate in caso di risultato economico
negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti; successivi atti di gestione saranno nulli e fonte
di responsabilità erariale per i soci, obbligo che non vale per le società che svolgano servizi pubblici
locali.
Dal 2015 inoltre, in caso di risultato economico negativo per due dei tre esercizi precedenti,
risultato negativo non coerente con un piano di risanamento previamente approvato dall’ente
controllante, scatta l’obbligo di ridurre del 30% il compenso degli amministratori che possono
essere revocati per giusta causa se il risultato è negativo per due esercizi consecutivi.
47
5.5 Il reintegro del personale
Per quanto concerne il problema del personale in caso di reinternalizzazione di servizi
precedentemente affidati a soggetti esterni posti in liquidazione, si riportano i tratti fondamentali
dell’orientamento giurisprudenziale emerso in materia.
Se, per un verso, la giustizia contabile consente teoricamente la possibilità di reintegrare nei ruoli
e/o nelle mansioni il personale pubblico già in servizio presso l’ente, trasferito alla società per
effetto dell’esternalizzazione del servizio o della funzione (personale che transitando dai ruoli
dell’ente locale, si presume sia stato assunto nel rispetto delle procedure selettive pubbliche previste
dalla legge per l’instaurazione del rapporto di pubblico impiego), e dall’altro solo il personale
assunto direttamente dalla società partecipata sulla base di procedure aperte di selezione pubblica, le
sole idonee a valutare le competenze dei candidati; in altra prospettiva, il processo di acquisizione
di unità lavorative dalla gestione parallela viene di fatto bloccato perché la Corte dei conti
medesima si è espressa nel senso che l’Ente che reinternalizza non può derogare dall’applicazione
delle norme in materia di contenimento della spesa per il personale (Sezioni riunite in sede di
controllo - deliberazioni n. 3/CONTR/12 - 4/CONTR/12 - 26/CONTR/12).
In proposito, è opportuno precisare che la disciplina speciale in tema di spese per il personale degli
Enti Locali prevede che le amministrazioni soggette alle regole del Patto di stabilità interno, per il
combinato disposto del comma 557 dell’art. 1 della Finanziaria 2007 e del comma 7 dell’art. 76 del
D.L. n. 112/08, convertito con modificazioni dalla Legge n. 133/08 (ultima parte del suo primo
periodo), sono tenute ad operare una riduzione della spesa di personale rispetto a quella
dell’esercizio precedente e possono applicare per le assunzioni a tempo indeterminato il turnover
nei limiti del 40%.
Gli Enti non soggetti al Patto di stabilità interno, in ragione del comma 562 dell’unico articolo della
stessa Finanziaria 2007 non devono superare la spesa di personale rispetto all’ammontare dell’anno
2008 (primo periodo) e possono procedere alle assunzioni di personale nel limite delle cessazioni di
rapporti di lavoro a tempo indeterminato avvenute nell’anno precedente (secondo periodo).
Tuttavia, a prescindere dall’applicazione o meno dei vincoli di finanza pubblica, nell’ambito
dell’applicazione del comma 7 dell’art. 76 del citato D.L. n. 112/08 agli Enti Locali è inibita la
possibilità di assumere unità lavorative se l’indicatore “spese personale/spese correnti” (calcolato
con il consolidamento delle voci di spesa delle società partecipate) oltrepassa il valore/soglia del
50%.
Il comma 557-bis dell’unico articolo della “Finanziaria 2007” testualmente recita: “Costituiscono
spese di personale, anche quelle sostenute per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza
estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati
partecipati o comunque facenti capo all'Ente”.
In questo comma si evince chiaramente che condizione “sine qua non” per la imputazione delle
spese di personale all’Ente controllante è che non venga spezzata la titolarità del rapporto di lavoro
in capo al Comune.
Da ciò deriva che, qualora nella gestione parallela posta in liquidazione era presente solo ed
esclusivamente personale la cui titolarità del rapporto di lavoro faceva ancora capo
all’Amministrazione socia, il problema del contenimento della spesa di personale sarebbe risolto,
giacché il costo del lavoro della società partecipata di fatto era già computato in capo all’Ente
Locale e il passaggio del lavoratore non si configurerebbe come nuova assunzione.
È il caso di precisare che nonostante la norma di cui al citato comma 557-bis è riferita agli Enti
soggetti al patto di stabilità, la sua applicazione si considera estesa anche agli Enti non soggetti al
patto; si desume dalle voci di spesa di personale cristallizzate dalla Sezione delle Autonomie nei
Questionari per i Comuni non soggetti alle regole del Patto di stabilità interno ai fini del calcolo del
tetto complessivo di cui al comma 562 dell’art. 1 della Finanziaria 2007, che comprendono anche le
“spese per personale utilizzato, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e
48
Organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all'Ente (compresi i
Consorzi, le Comunità montane e le Unioni di Comuni).
49
CAPITOLO VI
FALLIBILITA’ DELLE PARTECIPATE
Gli interventi giurisprudenziali in materia di assoggettabilità, o meno, a fallimento delle società in
mano pubblica si moltiplicano, oggi più di ieri, laddove si discute della loro equiparazione o meno
alle società di diritto pubblico, e, per questa via, ci si confronta con lo spinoso dilemma di come
trattare le stesse (società partecipate pubbliche) da un punto di vista fallimentare ai sensi dell’art. 1
del R.D. del 16 marzo 1942 n. 267. Purtroppo gli altalenanti pronunciamenti giurisprudenzali fra
concorsualizzazione e non delle società pubbliche gettano ancora una volta gli Operatori e le
Amministrazioni nella incertezza totale. Allo stesso modo da un punto di vista legislativo i
provvedimenti si susseguono in modo incessante, pressati dalla situazione che oggi vive il Paese, a
cui non sfugge il Settore pubblico. Anche in questo caso, si procede ora con interventi tendenti a
limitare, o meglio a ridimensionare, il fenomeno dell’utilizzazione delle società pubbliche ora con
interventi tendenti a disciplinarne il futuro utilizzo6. L’abuso di questo strumento è ormai da tempo
all’attenzione del nostro legislatore e della Magistratura, anche contabile, che negli ultimi anni ha
ristretto l’ambito di utilizzo di questo strumento societario al fine, in primis, di ridurre la spesa
pubblica, ma nello stesso tempo evitare possibili strumentalizzazioni dirette, ad esempio, ad eludere
i vincoli imposti dal “patto di stabilità”, nonché da ultimo tutelare la libera concorrenza. In tal senso
si veda quanto previsto dall’ultima legge di stabilità ai commi da 550 a 569 dell’art. 1 in tema di
partecipate pubbliche, rinviando ad altra parte di questo lavoro per il relativo commento. Qui basta
solo evidenziare che viene introdotta una nuova disciplina tendente ad un miglior raccordo fra i
risultati delle partecipate e quello dell’amministrazione partecipante con ripercussioni sui bilanci
degli Enti, sui compensi e sulla governance delle stesse. Di particolare interesse è la previsione che
vede le società pubbliche partecipare ai vincoli assunzionali e di spesa. In generale viene previsto,
infatti, che in caso di risultato di esercizio negativo (perdite) o saldo finanziario negativo,
conseguite dalle società partecipate, l’Ente partecipante dovrà accantonare ad un fondo vincolato la
quota parte di perdita non coperta, secondo modalità indicate nel comma 552. Quanto detto vale
anche in caso di consolidato e a tal fine vale il risultato consolidato. A partire dal 2014 le società
partecipate in via maggioritaria, direttamente ed indirettamente dalle pubbliche amministrazioni
locali, dovranno concorrere a realizzare gli obiettivi di finanza pubblica con le modalità disposte
dall’art. 1, comma 553 della legge 147/2013.
Le modalità operative con cui il fenomeno oggi si manifesta risultano abbastanza articolate ed una
possibile classificazione, non esaustiva, delle società pubbliche potrebbe essere condotta in
relazione:
a) alla partecipazione: di: (i) maggioranza/minoranza; (ii) di controllo/collegamento secondo le
disposizioni del vigente codice civile; (iii) né di controllo né di collegamento;
b) all’oggetto: rivolta al mercato (con scopo di lucro), alla collettività (con scopo pubblico cioè
nata per svolgere funzioni di pubblica utilità);
c) alla natura della società partecipata: statale oppure locale oppure territoriale;
d) all’affidamento: società pubblica con affidamento diretto (che incontra il divieto di operare
con terzi ovvero di operare al di fuori del territorio competente), società non in affidamento
diretto;
e) alla rilevanza dei servizi offerti: servizi pubblici a rilevanza economica e servizi pubblici
non a rilevanza economica;
f) ai servizi erogati: servizi “in house”, “pubblici” e “strumentali” che daranno vita a:
f.1) società “in house”: cioè quelle società dove viene stipulato un contratto fra un (o più)
ente locale ed una persona giuridica distinta sulla quale: a) l’ente locale esercita un
6
Cfr. Legge di stabilità n. 147/2013 ai commi da 550 a 569 dell’art. 1.
50
controllo analogo (dove controllo analogo può essere inteso, in generale ed in via sintetica,
come rapporto equivalente ad una relazione di subordinazione a quello esercitato sui propri
servizi; b) la persona giuridica realizzi la parte più importante della propria attività con
l’ente (gli enti) locale che la controllano (cfr. Circ. n. 12727 del 19.10.2001 della Presidenza
Consiglio Ministri-Dipartimento delle politiche comunitarie); c) il capitale sociale è
interamente pubblico7;
f.2) società di servizi pubblici: dove vengono fornite prestazioni dirette a soddisfare
immediatamente e direttamente le esigenze della collettività;
7
Al riguardo appare opportuno ricordare le direttive esistenti ad oggi relativamente alla “creazione” di nuove figure
giuridiche regolarmente recepite nel nostro ordinamento. La Direttiva 80/723/CEE della Commissione, del 25 giugno
1980, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati Membri e le loro imprese pubbliche, all’art. 2
stabilisce che per impresa pubblica debba intendersi “ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici (si
intendono poteri pubblici: lo Stato nonché altri enti territoriali) possano esercitare, direttamente o indirettamente,
un'influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina.
L'influenza dominante è presunta qualora i poteri pubblici, direttamente o indirettamente, nei riguardi dell'impresa: a)
detengano la maggioranza del capitale sottoscritto dall'impresa, oppure b) dispongano della maggioranza dei voti
attribuiti alle quote emesse dall'impresa, oppure c) possano designare più della metà dei membri dell'organo di
amministrazione, di direzione o di vigilanza dell'impresa. In generale, la norma non evidenziando alcuna finalità porta
alla facile conclusione che lo strumento giuridico dell’impresa pubblica può essere utilizzato sia per il raggiungimento
di finalità pubbliche, cioè dirette ad una collettività, che private, cioè lucrativo. L'art. 1, paragrafo 9 della Direttiva n.
18/04 del 31 marzo 2004 (recepita dal D.Lgs. n. 163/2006 - codice dei contratti pubblici) definisce la figura
dell’organismo di diritto pubblico, intendendo per tale qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificatamente
esigenze di interesse generale (nel senso che l’attività deve essere destinata a soddisfare esigenze, bisogni riferibili ad
una collettività più o meno ampia), avente carattere:
a) non industriale o commerciale (inteso come assenza di rischio economico, attività esercitata in un contesto non
concorrenziale, perseguimento di un fine di lucro),
b) dotato di personalità giuridica (intesa come capacità di essere centro d'imputazione d'attività amministrativa), e
c) la cui attività sia (alternativamente):
- finanziata, anche indirettamente (cfr. Corte di Giustizia CE, Sez IV, 13 dicembre 2007, n. 337), in modo maggioritario
dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure
- la cui gestione sia soggetta al controllo (cioè si tratta di un controllo economico di gestione inteso come verifica
dell’attività di gestione e corrispondente influenza sull'attività del soggetto giuridico nonché di un controllo giuridico
ex art. 2359 c.c. in termini di legislazione nazionale), oppure
- il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è
designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
A livello comunitario, quindi, si riscontrano due figure di rilevanza generale, impresa pubblica ed organismo di diritto
pubblico, che presentano rilevanti differenze. Le differenze possono individuarsi nel fine che le stesse si prefigurano di
raggiungere che può essere sostanzialmente diverso. Infatti, mentre l’attività dell'organismo di diritto pubblico è
finalizzata al raggiungimento di un interesse generale, che esclude qualsiasi carattere industriale e/o commerciale con
la conseguenza di non assumere alcun rischio legato alla propria attività, l'impresa pubblica può avere anche finalità di
lucro ed agisce in normali condizioni di mercato, assumendone il rischio. A tal riguardo si evidenzia che la giurisdizione
appare diversa, ed in particolare per l'organismo di diritto pubblico sarà attribuita al giudice amministrativo, mentre
per l'impresa pubblica la giurisdizione spetta invece al giudice ordinario, salvo il caso dei settori speciali in cui a tale
impresa, in qualità di amministrazione aggiudicatrice, vada ad operare. Ulteriore elemento differenziante è
rappresentato dall’influenza dominante che per l’organismo di diritto pubblico si tratta di un elemento determinante
di identificazione dell’ente, per l’impresa pubblica, viceversa, dipende dalla composizione, maggioritaria o minoritaria,
della compagine societaria. I due istituti giuridici, comunque, presentano punti di contatto che possono essere
rinvenuti nel mezzo societario utilizzato in sede costitutiva e nell’interesse pubblico che intendono perseguire (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 20 marzo 2012, n. 1574 sulla società Porto Antico di Genova S.p.A., nella quale,
analizzata l’attività svolta dalla società pubblica Porto Antico di Genova S.p.A., ha concluso che la stessa è posta in
essere con metodo economico ed è finalizzata al perseguimento di uno scopo di lucro, compatibile con l’interesse
pubblico, con la conseguenza che sono presenti i connotati tipici ed esclusivi dell’attività di impresa e non dell’attività
amministrativa. La società Porto Antico di Genova S.p.A. può essere dunque qualificata come impresa pubblica).
51
f.3) società strumentali: dove la prestazione viene erogata direttamente a favore dell’ente
pubblico.
L’inquadramento normativo non può non partire da una analisi delle disposizioni civilistiche e
fallimentari vigenti, anche se una soluzione univoca giuridica al problema della fallibilità non
sembra possibile mancando quel “quadro coerente di principi giuridici che sono a fondamento del
sistema ordinamentale”8. L’art. 1, comma 1, della legge fallimentare stabilisce che “Sono soggetti
alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una
attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.”. L’art. 2221 c.c. ribadisce “Gli imprenditori che
esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti in
caso di insolvenza alle procedure del fallimento e del concordato preventivo salve le disposizioni
delle leggi speciali.”. La ratio dell’esenzione degli enti pubblici è da ricondurre alla natura propria
della procedura fallimentare e ai fini dell’attività pubblica9. Infatti, la procedura fallimentare, si
presenta come procedura:
a) di esecuzione generale in quanto diretta a tutto il patrimonio del fallito, che nel caso di ente
significherebbe patrimonio dell’ente e quindi della collettività;
b) con finalità di tutela delle ragioni dei creditori, o meglio delle ragioni dei soli creditori sociali,
dimenticando e subordinando a queste le ragioni di tutela di tutta la collettività;
c) diretta allo spossessamento e alla cessazione dell’attività, che, nel caso di enti pubblici,
porterebbe alla paralisi dell’attività dell’ente con chiara lesione dell’interesse pubblico che l’ente
deve perseguire;
d) i cui organi (della procedura) nello svolgimento dell’attività di liquidazione troverebbero
notevoli problemi in quanto bisognerebbe distinguere beni pignorabili e non, assoggettabili e non
a liquidazione;
e) dove si verificherebbe una lesione del divieto di sostituzione degli organi “politici” nella
gestione dell’attività dell’ente, non essendo ammissibile una interferenza a carattere giudiziario
nella sovranità dell’ente e dei suoi organi eletti.
Alle suddette argomentazioni si aggiunga, da ultimo, che agli artt. 244 e ss. del TUEL (Legge n.
267/2000) viene prevista, per alcuni enti pubblici come i Comuni e le Province, una procedura
specifica per il relativo dissesto.
Le società partecipate da un ente pubblico sono tutte quelle società in cui l’Ente pubblico detiene
una partecipazione, che può essere sia diretta che indiretta, sia di maggioranza sia minoranza, e si
presentano da un punto di vista giuridico su di un piano differente rispetto all’Ente partecipante.
Tale affermazione, negli ultimi anni, ha visto più di un ripensamento, soprattutto da parte di quella
giurisprudenza di merito, ripresa con la nota sentenza del 2009 del Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere a cui ne sono seguite molte altre, che in presenza di determinate condizioni o indici vede
8
Così Cass. SS. UU. sent. n. 26283 del 25 novembre 2013 al punto 3. Si legge ancora “Normativa alla quale il carattere
spesso frammentario e l’esser frutto di esigenze contingenti impediscono di assumere una valenza sistematica che
vada oltre il dettato della singola disposizione, onde parrebbe quanto mai azzardato il voler trarre da essa argomenti
di ordine generale, tali da incidere sui principi giuridici su cui è basata la citata giurisprudenza di questa corte in
materia, o anche solo indici dell’esistenza di principi in tutto o in parte diversi da quelli. La disciplina speciale dettata
per le cosiddette società pubbliche – come anche la più attenta dottrina non ha mancato di rilevare – non ha tuttora
assunto le caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sé stante, ma continua ad apparire come un insieme di
deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito di applicazione”.
9
Cfr. ex plurimis F. Canazza Commento all’art. 1 legge fall. in (a cura di) G. Lo Cascio, Codice commentato del
fallimento, II ed. 2013.
52
derogare quel carattere autonomo privatistico (in capo alla società partecipata) a vantaggio di quello
pubblicistico con consequenziale applicazione della condizione di esonero di cui all’art. 1 l.f..
Le posizioni giurisprudenziali e dottrinali che si sono espresse sull’argomento possono essere
riassunte in posizioni che privilegiano a volte aspetti formali ovvero sostanziali, ed in altri aspetti
funzionali. Dottrina e giurisprudenza maggioritaria affermano che le società in mano pubblica sono
società di diritto privato, dove pubblico è solo il soggetto partecipante, pertanto trovano
applicazione tutte le disposizioni previste in tema di fallimento e concordato preventivo10. La tesi
sostenuta (che potremmo definire formalista) muove, innanzitutto, dalla semplice considerazione
che il legislatore dettando le poche norme sulle società con partecipazione dello Stato o degli altri
enti pubblici (artt. 2449 e se vogliamo 2451 c.c.) avrebbe manifestato la volontà di assoggettare la
società in mano pubblica, salvo quanto disposto dalle norme citate, alla medesima disciplina
applicabile alle società in mano privata. Al tal riguardo si veda la Relazione al codice civile n. 998
dove viene detto espressamente la “disciplina comune della società per azioni deve applicarsi anche
alle società con partecipazione dello Stato o degli altri enti pubblici senza eccezioni, in quanto
norme speciali non ne dispongano diversamente”. L’assoggettabilità a procedura è oggi fortemente
sostenuta da quella dottrina e giurisprudenza che valorizzano il dato formale e non ammettono alcun
principio di riqualificazione del soggetto giuridico11. I principi su cui poggia tale conclusione
possono sintetizzarsi:
a) contrasto con quanto previsto dall’art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 165/200112, che identifica le
amministrazioni pubbliche dandone una elencazione, che non permette di ricondurre all’interno di
tale elencazione le società pubbliche (non senza evidenziare che quanto affermato rientra fra i
principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, così il comma 3 dello stesso
articolo citato);
10
Cfr. ex plurimis F. Galgano – Il nuovo diritto societario in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico
dell’economia, Cedam 2006; G.Pellegrino, Il fallimento delle società commerciali, CEDAM, 2007; più recentemente fra
gli altri F. Fimmanò L’ordinamento delle società pubbliche tra natura del soggetto e natura dell’attività, in Le società
pubbliche Giuffrè 2011 pag. 13 e ss.; S. Scarafoni Il fallimento delle società in mano pubblica nel settore dei servizi
pubblici locali a rilevanza economica, ivi.. M. Ventoruzzo, Commento all’art. 1 legge fall., in Commentario alla legge
fallimentare, diretto da Cavallini, I, Milano, 2010, Contra, nel senso della non fallibilità delle società in mano pubblica,
vedi G. Napolitano, Soggetti privati “enti pubblici”, in Dir. amm., 2003.; G. D’Attorre I soggetti esclusi ex lege dalle
procedure concorsuali, IPSOA 2007, (a cura di) M Sandulli in La riforma fallimentare n. 6 di L. Panzani ; ID, Società in
mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile, in Il Fallimento n. 6 del 2010. In senso possibilista (sulla non
fallibiltà) Sandulli-Potito, Art. 1 - La legge fallimentare dopo la riforma Torino 2010, i quali scrivono “nel caso in cui si
accerti la sostanziale natura pubblica dell’ente, il soggetto non potrà essere sottoposto a fallimento o concordato
preventivo”. In giurisprudenza, da ultimo Cass. Sez. I del 15 maggio 2013 n. 22209 (dep. il 27 settembre 2013 ); Cass.
SS.UU. del 8 ottobre 2013 n. 26283 (dep. il 25 novembre 2013) dove si colgono indirettamente le ragioni per
l’inammissibilità di una riqualificazione delle società pubbliche in enti pubblici e di conseguenza a procedure
fallimentari delle stesse società partecipate pubbliche (cfr. punto 3). Per la giurisprudenza di merito si vedano per le
diverse posizioni quanto riferito infra.
11
Ex pluris cfr. L. Salvato, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali in F. Fimmanò (a
cura di) Le società pubbliche Milano 2011 ove altri ed ampi riferimenti.
12
Al comma 2. “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli
istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad
ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le
istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura
e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli
enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN)
e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le
disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI.”.
Al comma 3. “Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della
Costituzione. omissis . “.
53
b) contrasto con l’art. 4 della L. n. 70/7513 che non permette di istituire o riconoscere nessun nuovo
ente pubblico se non per espressa previsione legislativa. In altri termini se non vi è una espressa
previsione normativa che attribuisca natura pubblica alla società partecipata non risulta possibile
alcuna riqualificazione in tal senso di una società privata;
c) mancanza di un principio generale che declini per tale riqualificazione (cioè la possibilità di
qualificare le società partecipate in enti di natura pubblica laddove perseguano un fine pubblico);
d) l’indagine sulla ratio legis che ha portato alla creazione di società per azioni pubbliche (cfr.
supra) non permette di interpretare le norme in essere se non nel senso della impossibile
riqualificazione14 delle stesse.
Viene evidenziato che una interpretazione diversa delle disposizioni oggi vigenti rappresenta un
confine non valicabile neppure attraverso la cd. “interpretazione orientata alle conseguenze”15.
Inoltre, “quando il legislatore ha ritenuto che vi siano interessi degni di particolare rilievo
pubblicistico, ha optato per la diversa definizione dell’insolvenza nelle forme della liquidazione
coatta amministrativa, tuttavia, in ogni caso, esiste sempre una procedura di gestione
dell’insolvenza nelle forme del concorso.”16.
Ragionando a contrariis, cioè a favore dell’esonero, si arriverebbe al riconoscimento di una società
che trovandosi nelle condizioni dell’insolvenza non sarebbe soggetta ad alcuna forma di concorso,
in quanto, per le società pubbliche, non si riscontrano esplicitamente disposizioni di diritto pubblico
in senso concorsuale. Questo porterebbe ad una grave distorsione del mercato nel quale si
troverebbe ad operare una società con una situazione di perdite, di insolvenza conclamata che
resterebbe ancora sul mercato fin tanto che i soci o gli amministratori non decidano di porla in
liquidazione ovvero non intervenga una revoca dell’affidamento, con chiara lesione della parità di
trattamento fra imprese pubbliche e private, nonché in contrasto con la libera concorrenza.17
Anche in giurisprudenza il fenomeno delle società pubbliche è conosciuto da anni, e per lungo
tempo, dopo l’intervento della Suprema Corte nella nota sentenza del 10 gennaio 1979 n. 5818 non
si sono registrate nuove pronunce. In quella occasione (sent. 58/79) il Supremo Collegio affermò
che “una società per azioni, concessionaria dello Stato per la costruzione e l’esercizio di
un’autostrada, non perde la propria qualità di soggetto privato – e, quindi, ove ne sussistano i
presupposti, di imprenditore commerciale, sottoposto al regime privatistico ordinario e così
suscettibile di essere sottoposto ad amministrazione controllata – per il fatto: a) che ad essa
partecipino enti pubblici come soci azionisti, b) che il rapporto giuridico instaurato con gli utenti
dell’autostrada sia configurato, dal legislatore, in termini pubblicistici, come ammissione al
godimento di un pubblico servizio previo il pagamento di una tassa (pedaggio), c) che lo Stato
garantisca i creditori dei mutui contratti dalla società concessionaria per la realizzazione del
servizio” . Successivamente non si segnalano interventi sul tema per molti anni, si segnala solo un
ulteriore intervento della stessa Corte a conferma della propria linea privatistica sull’argomento. Si
tratta della sentenza delle SS. UU. del 6 maggio 1995, n. 4991, che decidendo in merito ad una
questione relativa a società per azioni costituite dai Comuni e dalle Province a norma dell’art. 22,
comma 3, legge n. 142/1990 per la gestione di pubblici servizi, previa costruzione od acquisizione
13
Art. 4. (Istituzione di nuovi enti) - Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può
essere istituito o riconosciuto se non per legge.
14
Col rischio di contrasto col principio costituzionale di cui all’art. 101 Cost. “I giudici sono soggetti solo alle leggi”. Si
veda anche Corte Appello Bari del 20 febbraio 2012 n. 140.
15
L. Salvato op. cit.
16
S. Scarafoni op.cit.
17
Vedi in tal senso S. Scarafoni op. cit. il quale richiama un possibile contrasto con la Direttiva n. 723/1980.
18
Cass. del 10 gennaio 1979 n. 58, in Il Fallimento anno 1979, pag. 58.
54
delle opere ed infrastrutture necessarie, ha affermato che esse (le società per azioni partecipate)
“operano come persone giuridiche private, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza
alcun collegamento con l’ente pubblico, nei confronti del quale hanno assunto l’obbligo di gestire il
servizio; atteso che, da un lato, il rapporto tra l’ente territoriale e la società non è riconducibile né
alla figura della concessione di pubblico servizio, né all’ipotesi di concessione per la costruzione di
opere pubbliche e che, dall’altro, non è consentito all’ente pubblico locale di incidere
unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società mediante
l’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali”.
L’analisi giurisprudenziale, nel corso degli ultimissimi anni, però, ha subito un importante ritorno in
considerazione del fatto che la particolare crisi economica, che oggi interessa il Paese, ha messo a
dura prova l’intero sistema economico, e con esso il sistema delle partecipate pubbliche. Queste,
lavorando con margini necessariamente ristretti (si tratta di erogazione di servizi legati alla
collettività con un andamento crescente dei costi sostenuti dalle stesse) (s)travolti dalla crisi
finanziaria, sono entrate a pieno titolo nelle “cronache” di questi anni con decisioni
giurisprudenziali, non uniformi, che ne hanno decretato talvolta lo stato di insolvenza talaltra
l’esclusione dal fallimento. Il filone di indagine “revisionista” è stato ripreso nel 2009 dal Tribunale
di Santa Maria Capua Vetere19 che ha dichiarato il Consorzio di Bacino ACSA CE/3 spa (società
pubblica) società non soggetta a fallimento ai sensi dell’art. 1 l.f. ritenendola esclusa al pari degli
Enti pubblici. Viene data, così, una svolta al tema, invertendo l’opinione giurisprudenziale
sicuramente maggioritaria fino a quel momento, aprendo, così, la strada verso la riqualificazione
delle società pubbliche in senso pubblicistico. Sotto tale spinta, e nella stessa direzione, altri
Tribunali hanno confermato la non assoggettabilità a procedura fallimentare seppur con diverse
argomentazioni. Si segnala che non mancano al contempo decisioni a conferma del carattere
privatistico delle società pubbliche20.
Alla dottrina che ritiene le società in mano pubblica sempre fallibili in quanto, le stesse, non
perderebbero mai la loro natura privatistica, comunque sempre prevalente, si affianca quella tesi (di
origine soprattutto giurisprudenziale che potremmo definire sostanzialista) che, viceversa, considera
indispensabile al di là della forma entrare nel merito degli aspetti organizzativi e gestionali per
comprendere se permangono o meno quei caratteri privatistici, e nel caso in cui gli stessi
risultassero “svuotati” bisognerà riqualificare quella società per azioni come società pubblica
19
Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 9 gennaio 2009. Lo stesso Tribunale in data successiva dichiara il fallimento di
una partecipata pubblica ma le argomentazioni addotte fanno leva sugli stessi principi. Tribunale Santa Maria Capua
Vetere del 24 maggio 2011.
20
Per una analisi della giurisprudenza di merito in tema di fallimento di società pubbliche si veda:
- per la NON ASSOGGETTABILITÀ
Tribunale di Catania del 26 marzo 2010; Tribunale di Palermo decreto del 8 gennaio 2013 n. 99. Confermata, a seguito
di nuovo ricorso prodotto dal nuovo liquidatore di Gesip spa, con successivo decreto del 11 giugno 2013 n. 268.
Tribunale Patti 6 marzo 2009. Si vedano ancora Tribunale di Messina del 29 aprile 2010 e Tribunale di Termini Imerese
del 3 agosto 2009 dove si afferma che bisogna guardare alla sostanza e non alla forma, e cioè analizzare caso per caso
la compagine societaria, analizzare il servizio reso in modo che la società rappresenti una nozione allargata di
Amministrazione pubblica. Tribunale di Alessandria del 9 luglio 2013; Tribunale di La Spezia 21 marzo 2013; Tribunale
di Venezia 19 dicembre 2013; Tribunale di Napoli 9 gennaio 2014; Tribunale di Nola 30 gennaio 2014.
- per l’ASSOGGETTABILITÀ a fallimento delle società in mano pubblica:
Tribunale di Nola del 17 giugno 2010; Corte di Appello di Napoli 15 luglio 2009; Tribunale di Velletri 8 marzo 2010;
Tribunale di Foggia 17 novembre 2010 si pronuncia per il fallimento di Daunia Ambiente spa e successivamente in data
18 gennaio 2012 ne dichiara il fallimento della società di proprietà comunale AMICA SpA (a seguito di rinvio della
Corte d’appello), entrambe operanti nel settore dei servizi di raccolta rifiuti, ambiente, ecc. Sentenze confermate in
appello dalla Corte barese in data 20 febbraio 2012 e 28 ottobre 2011; Tribunale Avezzano 26 luglio 2013; Tribunale di
Benevento 29 agosto 2013; Tribunale di Rimini 26 novembre 2013. Corte d’Appello di Napoli, Sez. I, del 24 aprile 2013
n. 57 e del 27 maggio 2013 n. 346; Tribunale di Modena 10 gennaio 2014; Tribunale di Pescara 14 gennaio 2014.
55
equiparabile all’ente pubblico con la conseguenza di definirne la non assoggettabilità al fallimento.
Gli elementi che bisognerà considerare a tal fine possono essere individuati ad esempio in clausole
dirette al divieto di alienazione delle azioni; fortissime limitazioni all’autonomia funzionale degli
organi societari e limitazioni all’esercizio dei diritti dei soci; lo scioglimento anticipato solo in caso
di modifica della legge; nomina degli amministratori, o maggioranza, da parte di organi pubblici;
destinatario di risorse finanziarie pubbliche; oggetto sociale diretto allo svolgimento di soli interessi
collettivi in via esclusiva; l'erogazione di risorse finanziarie, ulteriori e diverse rispetto al
conferimento. Gli indicatori sono riconducibili in sintesi a due aspetti: quello gestorio e quello
dell'attività svolta. Pertanto, questa tesi intende dare prevalenza alla sostanza rispetto alla forma
giuridica e, di conseguenza, in presenza degli indici sintomatici, di cui sopra, è possibile riconoscere
natura pubblica anche a società per azioni formalmente private. In altri termini, deve ritenersi non
assoggettabile al fallimento la società a partecipazione pubblica avente natura formalmente privata,
ma sostanzialmente pubblica. Inoltre, si evidenzia che considerata l’attività svolta da tali soggetti,
che si estrinseca normalmente in un servizio per la collettività, quindi un servizio pubblico, la tesi
della sottoposizione a fallimento delle società pubbliche deve fare i conti, in caso di svolgimento di
servizi essenziali per la collettività, con le conseguenze che ne deriverebbero a carico della stessa.
La tesi qui prospettata trova conferma nella sentenza n. 466/93 con la quale la Corte Costituzionale,
a seguito della privatizzazione di: I.R.I., E.N.I., I.N.A. ed E.N.E.L. in società per azioni, ha stabilito
che il mutamento giuridico in società privata non abbia fatto venir meno il controllo della Corte dei
Conti, pertanto gli stessi continuano a restare assoggettati al controllo e alle decisioni del giudice
contabile. In tale occasione venne affermato che la veste giuridica non assume rilievo ai fini della
definizione della fattispecie, ma bisogna necessariamente considerare la fattispecie nella sua
sostanza, quindi si ammette una valutazione sostanziale e non formale. In altri termini, si afferma il
concetto della prevalenza della sostanza sulla forma. Infatti, lo Stato conservando ancora nella
propria disponibilità la gestione economica delle nuove società trasformate in società per azioni,
esercitata mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al capitale azionario delle stesse,
lascia inalterata la sostanza pubblicistica del “nuovo” soggetto giuridico21.
La stessa Corte costituzionale in un intervento successivo (sent. n. 363/2003 nella fattispecie Italia
lavoro spa) conferma ancora una volta la possibile riqualificazione in senso sostanziale della società
privata rinvenendo una serie di elementi utili in tal senso. In altri termini, una società di questo tipo,
costituita in base alla legge, affidataria di compiti legislativamente previste e per essa obbligatorie,
operante direttamente nell’ambito delle politiche di un Ministero come strumento organizzativo per
il perseguimento di specifiche finalità, presenta tutti i caratteri propri dell’ente strumentale, salvo
quello di rivestire – per espressa disposizione legislativa – la forma della società per azioni; e ciò,
come detto, non può di per sé assumere rilievo per negare la sussistenza della potestà legislativa
attribuita in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione.”.
La prospettata tesi trova ampio conforto nella giurisprudenza amministrativa e contabile. In ambito
amministrativo, infatti, si segnala un forte indirizzo pubblicistico sul tema delle società pubbliche.
Da tempo la giurisprudenza amministrativa si esprime nel senso della riqualificazione delle società
miste in società di diritto pubblico, e, per questa via, riconosce la propria giurisdizione in quanto
individua quei caratteri pubblicistici propri degli enti pubblici. In generale le motivazioni addotte
dalla giurisprudenza amministrativa possono ricondursi soprattutto alla presenza di diversi
indicatori di pubblicità del soggetto giuridico, cui si affiancano tutti quei casi in cui la società
21
Per una critica a tale impostazione si veda L. Salvato op.cit. Per l’Autore la Corte in quell’occasione ha evidenziato
solo l’esigenza di affermare il controllo della Corte contabile tutte le volte in cui la società pubblica è destinataria di
“somme” pubbliche.
56
esercita la propria attività in concessione amministrativa o di origine amministrativa22. In generale,
si afferma che alla presenza di determinati indici rilevatori le società private sono da considerarsi
società esercenti attività amministrativa e, pertanto, vengono sottratte alla disciplina propria delle
società private. Alcuni esempi possono essere individuati nelle modalità costitutive;
nell’organizzazione; nella stessa attività svolta ed ancora nel fine perseguito di interesse generale.
Allo stesso modo, successivamente, la stessa Corte con sent. n. 308 del 30 gennaio 2006 ha
affermato che la natura pubblicistica della società privata viene acquisita attraverso la verifica della
esistenza di una serie di indici relativi a gestione e attività (incidenza sul consiglio di
amministrazione; poteri di controllo sull’attività, ecc.) nonché modalità di finanziamento della
società.
Infine, anche i caratteri spiccatamente pubblicistici della società possono determinarne la sua natura
pubblica23, così come l’esercizio in concessione amministrativa o di origine amministrativa ne
determinerebbe la sua natura pubblica24.
Si ricorda che la giurisdizione dell’organo contabile discende dal disposto dell’art. 103, comma
secondo, della Costituzione, che stabilisce “la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di
contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”. Al di fuori delle materie di contabilità
pubblica, ed in tema di responsabilità per danno erariale, occorre che la giurisdizione della Corte dei
conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione di legge. Le argomentazioni poste dalla
giurisprudenza contabile dirette alla ridefinizione delle società private in società pubbliche possono
essere ricondotte a due filoni principali, quello relativo alla destinazione di risorse pubbliche e
quello relativo alla natura del servizio25.
In generale, un tentativo di sintesi porterebbe alla possibile conclusione che oggi risultano due
opposte soluzioni al problema, da un lato si afferma in ogni caso la natura privatistica, e quindi la
natura di imprenditore commerciale delle società in mano pubblica con il conseguente
assoggettamento alla disciplina delle procedure concorsuali; dall’altro quella giurisprudenza che
afferma la prevalenza della sostanza sulla forma e quindi la verifica di volta in volta della natura
privata o pubblica della società, sulla base di indici, con la conseguente esenzione dal fallimento ai
sensi dello stesso art.1 della legge fallimentare.
Più in particolare si possono individuare diversi filoni di indagine operati dai diversi Tribunali di
merito.
A – Impossibile riqualificazione delle società pubbliche, esse restano società di diritto comune26.
B - Prevalenza della sostanza sulla forma
22
C. di Stato del 20 marzo 2012 n. 1574 e del 11 gennaio 2013 n. 122; C. di Stato n. 3914/2005 e 269/2009 sull’Ente
autonomo Acquedotto Pugliese, nonchè sent. 1206/2001 per Poste italiane trasformata in spa, nonché sent. n. 308 del
30 gennaio 2006.
23
Cfr. C. di S. del 16 marzo 2009 n. 752/09 relativa ad Equitalia spa.
24
Cfr. C. di Stato n. 1094/2008.
25
A tale ultimo riguardo si veda per tutte la sentenza del 17 maggio 2013 n. 375 della Corte dei Conti, Sez. I
Giurisdizionale Centrale di Appello.
26
Si veda anche Cass. 15 aprile 2005 n. 7799; Cass. SS. UU. 23 febbraio 2010 n. 4309; Cass sez. I del 15 maggio 2013
dep. 27 settembre 2013 n. 22209 e Cass. SS.UU. del 8 ottobre 2013 dep. 25 novembre 2013 n. 26283 entrambe nel
testo commentato; Corte Appello Bari sent. del 20 febbraio 2012 n. 140; seppur indirettamente Tribunale Santa Maria
Capua Vetere del 24 maggio 2011.
57
Tale indirizzo unanimamente accettato in giurisprudenza viene di volta in volta affiancato dai
diversi Organi giudicanti ad altri settori di indagine, dirette a verificare se la società partecipata
fosse svuotata di fatto nella gestione e nell’amministrazione dalla presenza dell’ente pubblico nella
considerazione che non determinante, ai fini della qualificazione di ente pubblico, risulta la
partecipazione di un ente pubblico ad una società privata. Da tale considerazione discende la
necessità di affiancare una analisi del soggetto giuridico volta ad indagare sostanzialmente due
aspetti: quello gestionale e quello organizzativo. Se dall’indagine di questi ambiti risultasse che le
norme di diritto comune fossero svuotate, comportando nello stesso tempo che la società rappresenti
un mero organo, una articolazione del soggetto pubblico partecipante, allora necessariamente si
deve riqualificare quella società come società soggetta al diritto pubblico27. Da qui a dichiararle enti
pubblici il passo diventa breve e di conseguenza varrebbero, in tal caso, le norme esonerative di cui
all’art. 1 l.f. 28.
I fattori determinanti utilizzati dalla giurisprudenza evidenziata sopra sono stati:
- l’esistenza di una disposizione di legge che ne impone la costituzione;
- capitale sociale pubblico;
- le decisioni assembleari (almeno quelle di maggior rilievo per es. scioglimento, recesso) vengono
subordinate al vaglio preventivo dell'ente;
- clausole statutarie a vantaggio dell’ente (divieto alienazioni azioni, nomina CDA, poteri limitati
del CDA a vantaggio dell’Ente);
- finanziamento direttamente dall’ente pubblico per il raggiungimento degli obiettivi aziendale;
- l’attività viene svolta in gran parte a favore dell'ente pubblico e/o per la gestione di un servizio
pubblico;
- attività svolta in concorrenza.
C - Analisi dell’attività commerciale o meno svolta
Altri Collegi giudicanti29 hanno inaugurato un nuovo modo di indagare il fenomeno, evidenziando
la necessità di individuare se quell’attività svolta è commerciale o meno.
Oggi si devono registrare due recentissimi interventi della Suprema Corte (Cass. Sez. I del 15
maggio 2013 n. 22209, dep. Il 27 settembre 2013 est. Cristiano; SS.UU. del 8 ottobre 2013 n. 26283
est. Rordorf) con i quali viene ribadito l’ambito privatistico delle società pubbliche.
27
Si ricorda che laddove non sussiste una specifica indicazione legislativa ovvero non si tratti di ente territoriale,
autorevole dottrina (cfr. G. Rossi – Ente pubblico in Enc. Giuridica XII) ha individuato una serie di criteri rilevatori della
pubblicità. In generale possono individuarsi i seguenti indici: i) perseguimento di finalità pubbliche; ii) potestà e poteri
di imperio esercitati in nome proprio; iii) esercizio e modalità di svolgimento di attività analoghe a quelle di soggetti
sicuramente pubblici quali lo Stato e gli Enti territoriali; iv) potere di controllo e di intervento da parte dell’enti
pubblico. Questi indici rilevatori della pubblicità dell’ente determinerebbero la consequenziale esclusione dal
fallimento.
28
Cfr. Trib. S.M. Capua V., Catania, Patti, Messina, Termini Imerese, Alessandria, Nola, Corte App. Napoli, Velletri.
29
Cfr. Trib. di Palermo, Avezzano e Benevento.
58
Col primo intervento (sent. n. 22209/2013) la Corte, dopo aver richiamato sinteticamente le ragioni
storiche delle società pubbliche e del loro mutato utilizzo, afferma sotto diversi aspetti
l’impossibilità di una riqualificazione giuridica delle società pubbliche in senso pubblicistico. I
punti cardini su cui la recente sentenza ha poggiato, da ultimo, questo principio sono:
a) il quadro normativo generale non risulta mutato.
Le società pubbliche restano saldamente ancorate nell’ambito privatistico, laddove il legislatore
nelle recenti riforme del diritto societario e del diritto fallimentare non ha minimamente modificato
la disciplina previgente relativamente al tema delle partecipate pubbliche. Allo stesso modo i pochi
articoli esistenti nel codice civile artt. 2458-2459-2460 sostituiti dall’art. 244930 (mod. da ultimo a
seguito dell’entrata in vigore del comma 1, art. 13, L. 25 febbraio 2008 n. 34; art. 2450 abrogato, a
seguito di procedura di infrazione europea, dall’art. 3, D. L. 15 febbraio 2007, n. 10 come conv. in
L. 6 aprile 2007, n. 46). La conclusione appare suffragata anche dalla continua emanazione di
numerosi leggi speciali dirette a disciplinare di volta in volta l’attrazione nella sfera del diritto
pubblico anche soggetti di diritto privato31. Depone in tal senso anche la norma di cui all’art. 2451
c.c. laddove è lo stesso legislatore che ha previsto per le società di interesse nazionale
l’applicazione delle norme del codice civile, seppur nel rispetto delle leggi speciali.
b) la partecipazione di un ente pubblico ad una società privata non permette a quest’ultima di
mutare la sua natura privatistica.
La sentenza in esame partendo dal principio, più volte affermato, secondo cui la partecipazione di
un ente pubblico ad una società privata non permette, a quest’ultima, di mutare la sua natura
privatistica (la Corte richiama anche precedenti pronunce n. 58/79; n. 7799/05; n. 21991/12)32
sancisce che il rapporto fra ente partecipante e società partecipata “è di assoluta autonomia, posto
che l'ente può incidere sul funzionamento e sull'attività della società ….. solo avvalendosi degli
strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli organi sociali di
sua nomina.”. A tal fine l’analisi viene condotta: i) sia da un punto di vista gestionale, cioè sotto il
profilo dell’organizzazione, del funzionamento, del rapporto fra i diversi organi interni alla società,
delle modalità in cui si manifesta la volontà negoziale di queste società; ii) sia dal punto di vista
dell’attività svolta intesa come rapporti fra società e terzi. In tutti gli ambiti indagati si rileva che
l’espressione societaria “si forma e si manifesta secondo le regole del diritto privato”, e a nulla
valgono i riferimenti alla partecipazione al capitale e alla designazione degli organi sociali.
c) L’art. 4 della Legge n. 70/75 33
La norma nel richiedere che un ente pubblico può essere istituito o riconosciuto solo per legge
“evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa
disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento
chiaro ed inequivoco”.
d) Le conseguenze della dichiarazione di fallimento
Ultimo aspetto che si rinviene è quello relativo alle cause che si verrebbero a determinare in
30
Art. 2449 - Società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici.
Cfr. S. Scarafoni op. cit. Corte Appello di Napoli sent. n. 346/2013.
32
Cfr. anche Cass. SS. UU. n. 20941 del 12 ottobre 2011 secondo considerato.
33
Art.4. - Istituzione di nuovi enti. - Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere
istituito o riconosciuto se non per legge.
31
59
conseguenza alla dichiarazione di fallimento di una società svolgente servizi pubblici. In tal caso la
Corte evidenzia che le paventate ipotesi di incompatibilità non sembrano determinanti in quanto: i)
già presenti a livello legislativo in tema di ristrutturazione delle grandi imprese in crisi previste
anche per le imprese dei servizi pubblici essenziali con una dubbia liceità laddove si ammettesse
che le società che non raggiungono i limiti dimensionali ivi previsti non sarebbero soggette a
fallimento, mentre le altre vi sarebbero soggette; ii) ma in modo ancora più convincente, la Corte
evidenzia che la titolarità degli impianti, delle reti, delle immobilizzazioni necessarie allo
svolgimento del servizio restano sempre e comunque separate dall’attività di erogazione del
servizio; iii) il fallimento non comporta alcuna conseguenza negativa all’Ente che può comunque
affidare la gestione ad un nuovo soggetto, utilizzando, in itinere, l’art. 104 l.f. sull’esercizio
provvisorio. Tale esercizio, che trova come proprio presupposto il grave danno derivante
dall’interruzione dell’attività per il ceto creditorio, permetterebbe di salvaguardare anche gli
interessi dei terzi cittadini che continuerebbero ad usufruire dello stesso servizio erogato
dall’impresa fallita; iv) non si riscontra alcuna sostituzione dell’autorità giudiziaria all’autorità
amministrativa, in quanto questa continuerà a intrattenere i medesimi rapporti che aveva prima del
fallimento in attesa del nuovo soggetto che verrà nominato per lo svolgimento del servizio; v)
rispetto dei principi di uguaglianza e di affidamento, per coloro che vengono in rapporti con la
società che dovranno godere di tutti gli strumenti previsti dal nostro ordinamento, fallimento
incluso, nonché il rispetto del principio della concorrenza fra tutti i soggetti, operanti sullo “stesso
mercato con le stesse forme e stesse modalità.”.
Prima di concludere appare opportuno evidenziare quanto riferito dalla Corte circa il requisito dello
scopo di lucro e dell’attività sociale (soprattutto nel caso di servizio pubblico essenziale) delle
società pubbliche. In generale si afferma che indagare l’esistenza dello scopo di lucro oggi appare
non determinante per l’individuazione della disciplina applicabile alle società di capitali in quanto
l’area di delimitazione delle società di capitali con scopo lucrativo e non ha assunto connotati
sempre più elastici (ne sono un es. le società sportive). Mentre, l’analisi dell’attività sociale
potrebbe essere foriera di conclusioni assurde, in quanto si potrebbe arrivare ad affermare che anche
una società privata esercente attività di gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale sarebbe
esclusa dal fallimento, senza dimenticare che l’applicazione dello statuto dell’imprenditore
commerciale dipende dalla natura del soggetto e non dalla sua attività (in altri termini falliscono gli
imprenditori e non le imprese).
Nella sentenza n. 26283/2013 resa a Sezioni Unite, i Giudici di legittimità analizzano e giudicano il
caso di responsabilità per danno erariale commesso dagli Organi sociali di una partecipata pubblica
in house avente ad oggetto l’esercizio di trasporto pubblico locale.
La Corte, dopo aver ricordato alcune sentenze in tema di giurisdizione della Corte dei Conti
relativamente alla responsabilità per danni arrecati all’erario direttamente collegata all’azione degli
Organi societari (come ad esempio danno all’immagine della P.A.), fornisce ulteriori elementi in
tema di applicabilità alle società pubbliche delle norme di diritto comune. In tale ambito evidenzia
che sussiste responsabilità anche nel caso in cui il legale rappresentante dell’Ente partecipante non
eserciti puntualmente i propri diritti di socio pregiudicando di conseguenza il valore della
partecipazione. A tal riguardo la Corte, quindi, allarga le ipotesi di responsabilità non solo agli
Organi sociali (amministratori e sindaci) della società partecipata ma anche agli “Organi” (Sindaco,
Consigliere, Assessore, in generale chi esercita i poteri del partecipante Ente) dell’Ente
partecipante. Risulta evidente che, comunque, l’azione di responsabilità contabile appare esperibile
solo ed esclusivamente in presenza di un danno per l’Ente, che nel caso di Organi sociali della
società partecipata, derivi direttamente dall’azione di questi, mentre nel caso di legale
rappresentante dell’Ente pubblico, deputato alla gestione della partecipazione, il danno derivi
60
indirettamente all’Ente come riduzione del valore della partecipazione delle Ente stesso. In tale
ultimo caso il danno può derivare dal mancato esercizio di azioni dirette a denunciare atti di cattiva
gestione (mala gestio) perpetrati dagli Organi della partecipata tali da determinare un perdita del
valore della partecipazione.
Ai fini della conferma del proprio orientamento privatistico in tema di società pubbliche, la Corte
conferma l’impossibilità di una riqualificazione della società partecipata privata, retta da norme di
diritto comune, in società pubblica, retta da norme di diritto pubblico. I principi che reggono tale
affermazione son da ricondursi:
a) alla preclusione dettata dall’art. 4 della L. n. 70/75 laddove prevede che solo il legislatore può
istituire un ente pubblico.
Conferma di tale principio è possibile derivare già dalla relazione accompagnatoria all’art. 2449 c.c.
che espressamente indica “è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni
per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici”34,
così come il comma 13, dell’art. 4 del D.L. n. 95 del 6 luglio 2012, come conv. nella L. n. 135 del 7
agosto 201235, espressamente prevede che la disciplina del codice civile in materia di società per
azioni si applica alle società partecipate pubbliche se non diversamente stabilito. In effetti si tratta di
norme che impediscono all’interprete la suddetta riqualificazione e quand’anche la si voglia
ammettere, almeno in via di principio, occorrerebbe una disposizione assolutamente inequivocabile
in tal senso36.
b) Distinzione fra il patrimonio della società partecipata rispetto a quello della società
34
Vedi art. 16 bis, L. 28 febbraio 2008 n. 31 di conv. del D.L. n. 248 del 31 dicembre 2007 che ha introdotto per le
società quotate un’eccezione alla giurisdizione contabile. Infatti (Articolo 16 bis- Responsabilità degli amministratori di
società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche - 1. Per le società con azioni quotate in mercati
regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al
50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle
norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario.
Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto.). L’articolo 16-bis, sottrae il controllo delle società pubbliche quotate, con
partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, alla
giurisdizione della Corte dei Conti. Pertanto la responsabilità dei relativi amministratori e dipendenti è da rintracciarsi
secondo le norme del diritto civile e, quindi, nella giurisdizione ordinaria.
35
Al secondo cpv. del comma 13 dell’art. 4, Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di
carattere speciale, in materia di societa' a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per
quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in
materia di societa' di capitali.
36
La Corte nella sentenza n. 26283/2013 richiama la decisione di cui alle SS. UU. Sent. n. 27092 del 22 dicembre 2009
con la quale afferma che “per quest'ultima (RAI), in effetti, la decisione deve essere diversa, data la natura sostanziale
di ente assimilabile a una amministrazione pubblica che le va riconosciuta, nonostante l'abito formale che riveste di
società per azioni, …omissis..…lo si desume dai peculiari caratteri del regime della RAI, la quale: - è designata
direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, svolto nell'interesse
generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità e l'imparzialità dell'informazione; - è
sottoposta, per la verifica della correttezza dell'esercizio di tale funzione, a penetranti poteri di vigilanza da parte di
un'apposita commissione parlamentare, espressione dello Stato-comunità; - è destinataria, per coprire i costi del
servizio, di un canone di abbonamento, avente natura di imposta e gravante su tutti i detentori di apparecchi di
ricezione di trasmissioni radiofoniche e televisive, che è riscosso e le viene versato dall'Agenzia delle Entrate; - è
compresa tra gli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, sottoposti pertanto al controllo della Corte dei Conti; - è
tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento di appalti, in quanto "organismo di diritto
pubblico" ai sensi della normativa comunitaria in materia.”.
61
partecipante37.
Se questi sono i filoni chiari ed inattaccabili su cui le Sezioni Unite poggiano le proprie
considerazioni in tema di società pubbliche intese come società private, gli stessi sembrano essere
meno marcati quando vengono riferiti alle società in house providing. Le considerazioni sopra
svolte permangono anche nel caso delle c.d. società in house di chiara origine giurisprudenziale
ormai definitivamente recepite nel nostro ordinamento38, nonostante le stesse svolgano attività
imprenditoriale senza finalità di lucro. Al riguardo la Corte, dopo aver ampiamente evidenziato le
caratteristiche tipologiche della società in house, conclude affermando che la società in house per le
sue caratteristiche intrinseche (partecipazione, controllo analogo e attività diretta all’ente) nonché
per lo svolgimento di attività imprenditoriali non lucrative, nonché la totale assenza di un potere
decisionale suo proprio a causa del c.d. controllo analogo che elimina ogni potere discrezionale in
capo agli Organi amministrativi della società partecipata, fanno di queste società un fenomeno
anomalo nel panorama del diritto societario dove risulta impossibile individuare un centro
d’imputazione di interessi proprio della società partecipata distinto da quello dell’ente partecipante.
37
Vedi in precedenza Cass. SS. UU. Del 12 ottobre 2011 ove altri riferimenti.
Si veda l’art. 113 TUEL. Comunque, appare opportuno ricordare la sentenza Teckal del 18 novembre 1999 della
Corte GE con la quale è stato esclusa la necessità di una gara ad evidenza pubblica, in quanto non lesiva della
concorrenza, sulla base delle caratteristiche proprie della società: partecipata interamente dall’ente pubblico, con
attività quasi esclusivamente effettuata nei confronti dell’ente, soggetta al controllo analogo inteso come controllo
analogo a quello che l’ente effettua gerarchicamente sui propri uffici. Alle stesse conclusioni perviene, ma in modo più
pregnante, la giurisprudenza amministrativa con la nota sentenza Cons di Stato AP del 3 marzo 2008 (già oggetto di
pronuncia n. 5587/2007). In questa il Consiglio afferma che essendo l’in house providing un’eccezione alle regole
generali l’interpretazione deve essere restrittiva, la sussistenza del controllo analogo permane solo qualora la
compagine societaria sia composta da enti pubblici, escludendo qualsiasi diversa ipotesi, essendo necessaria la
partecipazione pubblica totalitaria. A tal fine evidenzia che tale controllo non risulta sufficiente in quanto occorrono
altri fattori determinanti incidenti sulla gestione e sull’attività della società, quali: a) inalienabilità a terzi privati delle
azioni; b) non rilevanti poteri gestionali al consiglio di amministrazione; c) riconoscimento all’ente pubblico
controllante di poteri particolarmente incisivi sulla attività decisionale; c) l’attività sociale non deve essere
commerciale; d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante. Solo alla
presenza delle condizioni indicate la società potrà essere affidataria di servizi pubblici senza gara. Nella sentenza
richiamata, quindi, vengono indicati i necessari requisiti affinché una società di diritto privato possa assumere
l’espletamento di un servizio pubblico, che qualificherebbero lo stesso soggetto privato come ente di derivazione
pubblica, e pertanto attribuirebbero la natura di diritto pubblico. Si veda in precedenza l’ordinanza del 3 maggio 2013
(Cass. SS UU - Ordinanza 3 maggio 2013, n.10299 - Pres. Preden – est. Amatucci), dove con ampi riferimenti a
precedenti pronunce, la Corte afferma, sollecitata dalla Procura contabile, che non ha riscontrato le caratteristiche
della c.d. società in house providing “per l'assorbente ragione che lo statuto della AMT-Azienda Municipalizzata
Trasporti s.p.a., allegato agli atti di causa, non evidenzia caratteristiche di tal genere. È vero infatti che, secondo un
orientamento da tempo affermatosi (benché a fini diversi da quelli della disciplina del riparto tra giurisdizioni) nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, e talora richiamato anche dalla Corte costituzionale (si veda, in
particolare, da ultimo, la sentenza n. 46 del 2013), le società in house costituirebbero null'altro che una longa manus
dell'amministrazione; ma ciò in quanto vi si ravvisi la contemporanea presenza di tre condizioni: a) l'essere la società a
totale partecipazione pubblica, b) la sua destinazione statutaria ad operare in via esclusiva o prevalente in favore
dell'amministrazione pubblica partecipante, c) l'esistenza di quello che si è ormai soliti definire come 'controllo
analogo', ossia una forma di direzione e controllo sulla gestione societaria, da parte della pubblica amministrazione
partecipante, analoga a quella che la medesima amministrazione eserciterebbe su una propria articolazione interna.
Nel caso in esame lo statuto della società prevedeva che la partecipazione del Comune di Verona al capitale sociale
non possa essere inferiore al 51%, ma non che debba essere totalitaria. L'oggetto sociale, pur facendo riferimento a
'servizi pubblici', non implica che l'impresa possa operare solo nei confronti della pubblica amministrazione
partecipante (comprendendo invece, ad esempio, anche l'attività di trasporto turistico privato). I poteri di gestione
dell'impresa, al pari di quelli di vigilanza sulla medesima gestione e sulla contabilità, sono attribuiti ai competenti
organi sociali secondo criteri del tutto corrispondenti a quelli di regola previsti nelle normali società azionarie di diritto
privato, con la sola previsione, quanto ai budgets, ai prezzi ed alle tariffe, di un generico riferimento ad un documento
di indirizzo approvato dal Consiglio comunale di Verona; riferimento che evidentemente non vale ad integrare gli
estremi del 'controllo analogo' cui sopra si è fatto cenno.”.
38
62
Di conseguenza nel caso di specie l’ente dispone della società come di una propria articolazione
interna39. Ne discende che “la distinzione fra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza
più in termini di alterità soggettiva”. Le società in house rappresentano “in realtà delle articolazioni
della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da
essa autonomi”. Da quanto sopra esposto per arrivare ad affermare il carattere pubblico di quelle
società definite “anomale”, cioè le società in house, il passo sarebbe breve. Ma l’attento estensore si
preoccupa di evidenziare che “se non è possibile configurare un rapporto di alterità tra l’ente
pubblico e la società in house che ad essa fa capo, è giocoforza concludere che anche la distinzione
tra patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale,
ma non di distinta titolarità. Dal che discende che …….. il danno eventualmente inferto al
patrimonio della società ……. è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile
all’ente pubblico”. In definitiva si continua ad affermare che le società private partecipate sono col
loro patrimonio una entità distinta da quella dell’ente pubblico, anche se i confini, per quelle società
dove il diritto comune viene compresso al massimo, cioè quelle in house, ora appaiono alquanto
sfumati. In senso contrario, a nulla valgono le considerazioni relative all’istituzione ex lege40 di un
Commissario
straordinario
alla
supervisione,
monitoraggio
e
coordinamento
nell’approvvigionamento di beni e servizi cui devono sottostare le partecipate pubbliche, ovvero al
fatto che le società partecipate vengano richiamate dall’art. 147 quater del D. Lgs. n. 267/2000
(TUEL)41, ovvero ancora la previsione ai sensi dell’art. 4, comma 12, del D.L. n. 95/2012 in tema di
39
Vedi da ultimo Sent. 46/2013 Corte Costituzionale, in precedenza vedi Corte Cost. n. 325/2010, con la quale si
afferma che la società in house è la longa manus dell’ente. Per una analisi sulla natura della possibile interpretazione
del controllo analogo nel diritto societario e delle difficoltà di attuazione si veda F. Fimmanò op. cit.
40
L’art. 2 (Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi) della Legge n.
94/2012 di conv. del D.L. n. 52/2012, al comma 1 afferma Nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica ed
ai fini di coordinamento della finanza pubblica, di perequazione delle risorse finanziarie e di riduzione della spesa
corrente della pubblica amministrazione, garantendo altresì la tutela della concorrenza attraverso la trasparenza ed
economicità delle relative procedure, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e
delle finanze e del Ministro per i rapporti con il Parlamento delegato per il programma di Governo, può nominare un
Commissario straordinario, al quale spetta il compito di definire il livello di spesa per acquisti di beni e servizi, per voci
di costo, delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario svolge anche compiti di supervisione, monitoraggio e
coordinamento dell'attività di approvvigionamento di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in
considerazione dei processi di razionalizzazione in atto, nonché, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,
attività di ottimizzazione, in collaborazione con l'Agenzia del demanio, dell'utilizzazione degli immobili di proprietà
pubblica, anche al fine di ridurre i canoni e i costi di gestione delle amministrazioni pubbliche)). Il Commissario
collabora altresì con il Ministro delegato per il programma di governo per l'attività di revisione della spesa delle
pubbliche amministrazioni.
41
Art. 147-quater.
Controlli sulle società partecipate non quotate
1. L'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società non
quotate, partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente locale, che
ne sono responsabili.
2. Per l'attuazione di quanto previsto al comma 1 del presente articolo, l'amministrazione definisce preventivamente,
in riferimento all'articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo
parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari
tra l'ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società, i contratti di
servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.
3. Sulla base delle informazioni di cui al comma 2, l'ente locale effettua il monitoraggio periodico sull'andamento delle
società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune
azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell'ente.
4. I risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate partecipate sono rilevati mediante
bilancio consolidato, secondo la competenza economica.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase
di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015. Le disposizioni del
63
responsabilità da danno erariale per amministratori e dirigenti delle partecipate42. Queste
disposizioni non permettono, ancora una volta, di riqualificare la società partecipata da soggetto
privato in soggetto pubblico, determinandone così l’esclusione dal fallimento, anzi l’art. 4, co. 13,
del D.L. n° 95/2012, ribadisce che “per quanto non diversamente stabilito e salvo proroghe
espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile
in materia di società di capitali”. Fermo restando che in tali fattispecie (società in house), il venir
meno della distinta titolarietà dei rispettivi patrimoni (cioè dei patrimoni riferibili alla società
partecipata in house e all’Ente) determina che il danno eventualmente inferto al patrimonio della
società partecipata, da atti illegittimi commessi dagli amministratori di quest’ultima, è arrecato ad
un patrimonio riconducibile all’ente e, pertanto, un danno erariale la cui azione di responsabilità
ricade sotto la giurisdizione della Corte dei Conti43 44 45.
Alle tesi sopra esposte, l’interprete e la giurisprudenza, negli ultimi anni, hanno dato vita a quella
che, oggi, potrebbe essere riferita coma tesi funzionale. Si è già detto della ratio dell’esenzione
degli enti pubblici dal fallimento che è da ricondurre essenzialmente nella natura propria della
procedura fallimentare incompatibile con la natura pubblica dell’ente (la procedura fallimentare si
presenta come procedura di esecuzione generale, con finalità di tutela delle ragioni dei creditori
presente articolo non si applicano alle società quotate e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del
codice civile. A tal fine, per società quotate partecipate dagli enti di cui al presente articolo si intendono le società
emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.
42
Art. 4 comma 12. Le amministrazioni vigilanti verificano sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di
violazione dei suddetti vincoli gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a titolo di
danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtu' dei contratti stipulati.
43
Nello stesso senso la Sentenza n. 26806/2009, sempre in tema di individuazione della giurisdizione in relazione alla
responsabilità degli organi sociali, la Corte sottolinea che le società di diritto privato partecipate da un ente pubblico
“non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti
provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.”. Visto che il codice civile dedica alla società per azioni a
partecipazione pubblica solo poche norme contenute nell’art. 2449, queste non sono tali da configurare uno statuto
speciale per dette società (spesso, viceversa, interessate da norme speciali, non sempre tra loro ben coordinate), salvo
per i profili inerenti alla nomina e revoca degli organi sociali, specificamente ivi contemplati.
44
Si richiama anche un ulteriore filone, che potremmo definire del tertium genus di origine amministrativo (cfr. Cons.
di Stato, sez. V, del 25 giugno 2002, n. 3448) laddove il Consiglio di Stato non ha qualificato le società pubbliche né
come soggetti dotati di capacità imprenditoriale autonoma, e non riscontrando l’esclusiva funzionalizzazione al
perseguimento degli interessi pubblici dell’ente locale, né come ente pubblico, il cui il vincolo dovrà essere valutato di
volta in volta. Il dibattito non sembra aver apportato indicazioni solutorie al problema, anche se i sostenitori di tale via
ritengono che sia l’unica a tener conto sia delle istanze privatistiche e imprenditoriali da un lato e pubblicistiche e di
tutela dell’interesse della collettività dall’altro. Per un richiamo a tale possibile qualificazione, ma in senso negativo, la
Corte Suprema si è espressa in via di richiamo nella recentissima sentenza n. 22209/2013 negandone la possibile
esistenza.
45
A conferma vedi R. Rodorf Le società partecipate fra pubblico e privato in Le società 12/2013 IPSOA pag. 1326 e ss.
dove in relazione alle società in house scrive “Se si dovesse concludere che - come incidentalmente e` stato affermato
anche in una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (n. 46/2013) - tali societa` sono null’altro che una longa
manus della pubblica amministrazione, al punto che l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure
consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo, allora davvero la distinzione tra societa`
partecipata e socio partecipante rischierebbe di evaporare. Quella che si definisce una societa` sarebbe, in sostanza,
solo un’articolazione interna dell’ente pubblico e quindi (senza il bisogno d’ipotizzare l’esistenza di un fenomeno
simulatorio, assai problematico da riferire alla costituzione di una societa` di capitali) si dovrebbe poter dire che quelle
in house di societa` conservano solo il nome, laddove la realta` fatta palese sin dal loro statuto evidenzierebbe che si
tratta di enti pubblici, o meglio ancora di strutture equiparabili ad organi interni della pubblica amministrazione. Con
ovvie conseguenze anche sul piano del riparto di giurisdizione. Si tratta - lo ripeto - di una prospettiva da esplorare,
senza nascondersene i profili problematici, soprattutto derivanti dall’assenza di una precisa definizione legislativa del
fenomeno dello in house providing e di sicuri indici normativi circa la natura pubblica degli enti in veste societaria cui
ho fatto cenno (potendo eventualmente siffatti indici esser ricercati, ma non senza difficolta`, nel ginepraio delle
frammentarie disposizioni speciali che talvolta menzionano a vari fini dette societa` in house, al di fuori pero` di un
quadro coerente di sistema)”.
64
particolari, nello spossessamento dell’ente, nella cessazione dell’attività nell’attività di liquidazione
problematica nell’impossibilità di pagare i debiti attraverso l’imposizione fiscale, nel divieto di
sostituzione degli organi “politici” nella gestione dell’attività dell’ente)46. Tale modus operandi
muove dalla considerazione che nelle società pubbliche trovano indubbiamente alloggio sia norme
pubblicistiche che norme privatistiche. Per tale ragione non risulta possibile definire a priori la
natura del soggetto giuridico. Di conseguenza, ai fini della determinazione dell’ambito
dell’esenzione o meno dal fallimento di cui si discute, appare opportuno volgere lo sguardo e
chiedersi: La procedura fallimentare sarebbe compatibile con il fallimento di quel soggetto giuridico
s.p.a. o s.r.l. quando svolge un’attività essenziale per la collettività? In altri termini sarebbe
opportuno volgere l’attenzione, ai fini della decisione, alla compatibilità della procedura
concorsuale con la finalità perseguita dall’attività di gestione di quel soggetto giuridico ovvero,
trattandosi di interessi della collettività, con la tutela degli interessi pubblici perseguiti. Quindi
l’analisi non risulta più essere diretta alla individuazione di indici rilevatori della pubblicità ovvero
individuazione della natura del soggetto, ma l’attenzione, secondo tale tesi, deve essere rivolta alla
possibile applicazione delle norme concorsuali a quella società nella considerazione che tale
operazione dovrà necessariamente tener conto degli interessi pubblici perseguiti da quel soggetto47.
Per tale via si potrebbe giungere a considerare non fallibili tutte quelle società pubbliche c.d.
“necessarie”, cioè quelle società dove il servizio reso alla collettività è “essenziale” come ad es.
smaltimento rifiuti, trasporto pubblico, ecc. 48. In altri termini, la necessarietà del servizio pubblico
comporterebbe, per tale teoria, che quel soggetto giuridico rappresenti un organo indiretto della
PA49 nel perseguimento dei propri fini istituzionali, pertanto non fallibile. In linea con tale
conclusione sembrerebbe anche la giurisprudenza comunitaria50. Da quanto sopra discendono due
considerazioni determinanti:
a) l’esenzione dal fallimento di società pubbliche è possibile, almeno per quelle società “necessarie”
all’ente per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali51.
46
Tale tesi appare oggi molto debole se solo si pensi che in tema di amministrazione delle grandi imprese in stato di
insolvenza la crisi viene prevista con una procedura concorsuale ad hoc per le società operanti nei servizi pubblici
essenziali (Legge Marzano).
47
Si veda D’Attorre G., “Le società in mano pubblica possono fallire?”, in Il Fallimento, n. 6/2009; ID Società in mano
pubblica e fallimento: una terza via è possibile, Il Fallimento n. 6/2010; M. Libanora, Le società miste pubblicheprivate, IPSOA-WKI 2011. Per una critica, condivisibile, si veda ROMAGNOLI, Le società degli enti pubblici; problemi e
giurisdizioni nel tempo delle riforme, in G. comm., 2006 per il quale l’esonero dalle procedure concorsuali è a volte
introdotta in ragione del tipo di attività come ad esempio per l’attività agricola, altre volte per la natura dell’ente
come rintracciabile all’art. 2221 c.c., mai in relazione agli interessi coinvolti; nello stesso senso G. Pellegrino op. cit..
48
Vedi per tutti G. Rossi op. cit. In senso opposto si è mossa la recente Cass. Sez. I n.22209/2013 laddove afferma che
per tale via si dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale interamente privato sarebbero
esonerate dal fallimento.
49
Cfr. Cass., SS. UU. Sent. 5 febbraio 1999, n. 24
50
CGCE sentenza 16 giugno 1987, nella causa 118/1985, Commissione c/ Italia in relazione all’ipotesi dell’aiuto di
Stato, in dottrina vedi Appiano E. M., “Aiuti di Stato alle imprese pubbliche e privatizzazioni nel diritto comunitario
della concorrenza”, in Diritto Comunitario e degli scambi internazionali, 1994
51
Cfr. raccomandazioni dell'UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law), che riconosce la
possibilità per le legislazioni nazionali di prevedere tale esclusione (disponibile sul sito
www.uncitral.org/text/insolvency/2004Guide dove alle raccomandazioni da 8-13 alla numero 9 si legge “Exclusions
from the application of the insolvency law should be limited and clearly identified in the insolvency law - Esclusioni
dalla applicazione della legge sull’insolvenza dovrà essere limitata e chiaramente identificata dal diritto fallimentare;
nella nota 6 si legge: Highly regulated organizations such as banks and insurance companies may require specialized
treatment that can appropriately be provided in a separate insolvency regime or through special provisions in the
general insolvency law. Some state-owned enterprises, such as those involved in sensitive sectors of the economy,
might also be excluded. - Organizzazioni fortemente regolamentati come le banche e le compagnie di assicurazione
possono richiedere un trattamento specifico che può opportunamente essere fornita in un regime di insolvenza
65
b) la necessità di circoscrivere entro ambiti ristretti il fenomeno dell’esenzione, non fosse altro
perché essa non rappresenta una soluzione indolore sul piano della tutela degli interessi coinvolti
nella insolvenza dell'ente formalmente privato, ma sostanzialmente pubblico. Ciò significa che
l'esclusione dal fallimento va limitata ai soli casi in cui essa sia strettamente funzionale alla tutela
degli interessi pubblici sopra evidenziati, evitando indebite estensioni dell'area di esenzione52.
In conclusione, non sembra possibile per l’interprete superare i limiti imposti dalle norme
attualmente in essere che impediscono di creare un ente pubblico se non attraverso una legge
istitutiva (art. 4 della legge n. 70/75). In altri termini non sembra possa revocarsi in dubbio che nel
diritto vigente non è rintracciabile una norma diretta a disciplinare in senso pubblicistico la società
privata partecipata da un ente pubblico neanche se la stessa persegua interessi pubblici (vedi art. 1 l.
f. e art. 2221 c.c., art. 4 della L. n. 70/75). Inoltre, appare indiscutibile che la società partecipata ha
un proprio patrimonio, separato dal patrimonio dell’Ente partecipante e che agisce secondo una
propria disciplina societaria quand’anche integralmente “assorbita” dalle decisioni dell’Ente
partecipante secondo il noto modello della società in house. In altri termini, nel panorama del diritto
comune troviamo società a partecipazione pubblica che presentano un grado variabile di specialità
rispetto allo stesso diritto. Si va da società dove il diritto comune viene integralmente applicato
senza alcuna limitazione a quelle in cui viene fortemente compresso per lasciar ampio spazio a
disposizioni di carattere pubblicistico come ad esempio nelle società in house, ma pur sempre
“utilizzando tutti gli spazi di autonomia statutaria consentiti” dal diritto comune (patti parasociali,
convenzioni, ecc.)53. Le norme societarie troveranno integrale applicazione, così ad esempio in tema
di postergazione ex artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., in tema di coperture perdite54, liquidazione,
ecc.55. Allo stesso modo agiranno le disposizioni di cui agli artt. 2497 e ss. relativi alla
responsabilità da direzione e coordinamento. A tal riguardo viene previsto che le società o gli enti
che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse
imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di
queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché
nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società.
separato o attraverso speciali disposizioni della legge generale di insolvenza. Alcune imprese di proprietà statale,
come quelli coinvolti in settori sensibili dell'economia , potrebbero essere esclusi);
52
Cfr. Tribunale di La Spezia cit.; Corte di Appello di Torino decreto del 15 febbraio 2010. In senso critico Trib. S. M.
Capua Vetere del 24 maggio 2011 cit..
53
Così G. Terracciano La natura giuridica delle società a partecipazione pubblica e dei consorzi per la gestione dei
servizi pubblici locali in Le società pubbliche (a cura di) F. Fimmanò 2011 Milano.
54
Si rinvia a tal riguardo alla relativa analisi in questo lavoro ed ai risvolti dovuti all’ultima legge di stabilità n.
147/2013. Per una analisi della possibile applicazione societaria del modello in house nel diritto societario si veda F.
Fimmanò op. cit. .Al riguado l’Autore ritiene che difficilmente quel modello così come richiesto dalla disciplina
comunitaria potrà trovare ingresso nel diritto societario vigente. Infatti ritiene che la società in house, così come
richiesta dalla normativa comunitaria, “esige un rapporto di delegazione interorganica” intesa come il trasferimento
dell’ente alla società di ogni funzione, potere e competenza. Di conseguenza “il delegante si spoglia di proprie
attribuzioni a favore del delegato, il quale a sua volta agisce solo nell’interesse e per conto di quest’ultimo, acquisendo
legittimazione attiva e passiva e diventando direttamente responsabile nei confronti dei terzi degli atti di esecuzione
della delegazione.”. Tali effetti non sono possibili alla luce delle vigenti norme sulle società per azioni, quindi l’unica
possibilità, per l’Autore, di determinare quel controllo così invasivo è la stipula di un contratto di affidamento di
servizio. Da un punto di vista privatistico discenderà una evidente responsabilità da eterodirezione.
55
Si veda Corte dei Conti sez controllo Lombardia, parere 29 giugno 2009 n. 385 dove si afferma che la disciplina
applicabile all’organizzazione societaria rimane quella stabilita dal codice civile. Si veda anche sez. Regionale di
controllo per il Lazio delibera 7 ottobre 2008 n. 46 e parere n. 28 del 17 maggio 2011 per la Basilicata dove si afferma
che il Comune non ha alcun obbligo di assumere in carico i debiti insoddisfatti della propria partecipata, non
escludendo che il comune possa deliberare il relativo accollo idoneamente motivato nei vantaggi e nelle utilità
evidenti per l’ente, operativamente, verificando se le condizioni finanziarie dell’ente lo permettano.
66
Sicuramente questa non è la sede opportuna per analizzare la responsabilità da eterodirezione, ma
l’art. 2497 c.c. fornisce una ulteriore motivazione a supporto della tesi c.d. formalista in quanto i
creditori insoddisfatti, in sede di procedura concorsuale, attraverso i curatore, ovvero
precedentemente alla dichiarazione di insolvenza saranno legittimati ad agire nei confronti dell’ente
dominus. Quindi, in sede di violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale
delle società eterodirette, che hanno comportato il danno a carico del patrimonio della partecipata e
di conseguenza dei suoi creditori, si potrà agire nei confronti del dominus per il risarcimento del
danno. Si evidenzia solo che questa responsabilità è sussidiaria rispetto all’escussione del
patrimonio della società partecipata. Tale requisito, però, risulta automaticamente soddisfatto in
caso di insolvenza della partecipata, in quanto con la dichiarazione di fallimento si verifica
l’impossibilità di ottenere la prestazione dalla società eterodiretta che rappresenterebbe il
presupposto dell’azione di responsabilità56. Infine, si evidenzia che ai sensi dell’art. 2497 sexies
viene introdotta una presunzione di direzione e coordinamento. La norma citata prevede, salvo
prova contraria (alquanto difficile), che l'attività di direzione e coordinamento di società si presume
in capo alla società o ente tenuta al consolidamento dei loro bilanci (cioè in tutti i casi in cui venga
previsto un obbligo di consolidamento) ovvero nel caso di controllo ai sensi dell'articolo 2359 (cioè
in tutti i casi di controllo di diritto, di fatto interno o esterno). Al fine di evitare la propria
responsabilità, l’ente avrà l’onere di dimostrare che la propria attività è stata svolta nell’interesse
della partecipata insolvente secondo corretti princìpi di gestione. Operativamente, la società
soggetta a direzione dovrà opportunamente motivare tutte quelle decisioni che hanno influenzato il
proprio operato indicandone le ragioni e gli interessi.
La tesi dell’essenzialità del servizio per la collettività (la tesi funzionale) oggi appare non preferibile
laddove è stata espressamente disciplinata la possibilità di accesso a procedura concorsuale per le
stesse società pubbliche eroganti servizi essenziali. Al riguardo si richiama la modifica al Decreto
Marzano (D.L. n. 134/2008, conv. con mod. in L. n. 166/2008 - Decreto Alitalia) che prevede, per le
società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, la possibilità di prosecuzione del servizio
pubblico da parte della società sottoposta a procedura di ristrutturazione industriale. Come è stato
scritto “Questo decreto non crea una procedura autonoma, ma inserisce novità ed aggiunte nella
previgente disciplina della procedura di ristrutturazione industriale (oltre che, come si è visto, in
quella dell’amministrazione straordinaria tout court), alcune destinate ad operare in ogni caso, altre
destinate ad operare soltanto per società che gestiscano servizi pubblici essenziali”57. Se ne deve
concludere che la riqualificazione delle società pubbliche in enti pubblici non risulta, allo stato,
possibile. Inoltre, la presente impostazione presta ulteriormente il fianco alla considerazione che il
fallimento in tali casi non si presenterebbe in contrasto né con le disposizioni del fallimento né con
l’autorizzazione temporanea alla continuazione dell’esercizio58.
Il problema allora sembra limitarsi all’analisi delle società in house, dove il diritto societario
subisce la massima compressione per lasciar spazio a quella figura di origine comunitaria e stabilire
se le stesse siano compatibili con le disposizioni sul fallimento e verificare se le stesse possano
essere qualificate società commerciali.
Rinviando per approfondimento ad altra parte del presente lavoro, qui basta ricordare che:
56
F. Fimmanò op. cit.
GUALANDI, Le misure urgenti per la ristrutturazione di grandi imprese in stato d’insolvenza, in AA.VV., Manuale di
diritto fallimentare, II ed. Giuffrè.
58
Vedi da ultimo Cass. N. 22209/13, in dottrina L.. E. Fiorani Società “pubbliche” e fallimento, Giur. Comm. I 2011.
57
67
-
per in house providing (gestione in proprio) si intende quel modello di organizzazione e
gestione dei pubblici servizi (erogazione di servizi, forniture, lavori) che le pubbliche
amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato.
Per controllo analogo (cfr. nota sent. Corte di Giustizia “Teckal” 18.11.1999 in causa C107/98), necessario per procedere all’affidamento di un servizio senza ricorso al previo
espletamento di procedure ad evidenza pubblica, in via breve, può essere inteso come il
controllo analogo a quello che l’ente locale (amministrazione aggiudicatrice) esercita sui
propri servizi ancorché la controparte contrattuale sia un’entità giuridicamente distinta
dall’amministrazione aggiudicatrice.
L’art. 1 l.f. individua ai fini della fallibilità soggettiva l’imprenditore commerciale. Ai sensi dell’art.
2082 è imprenditore commerciale chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata
per la produzione e scambio di beni e servizi. Se l’impresa è esercitata in forma collettiva allora
l’attività economica deve essere esercitata, ai sensi dell’art. 2247 c.c., in comune fra due o più
persone59. Infine, l’attività economica deve avere il carattere della commercialità ai sensi dell’art.
2195 c.c.. Appaiono opportune alcune considerazioni che si vanno ad esplicitare. Per attività deve
intendersi una serie coordinata di atti, per attività economica un’attività produttiva condotta secondo
criteri di economicità, cioè diretta all’autosufficienza economica intesa come copertura dei costi con
i ricavi. Pertanto “non è imprenditore chi produce beni o servizi gratuitamente (o prezzo simbolico)
in quanto non si avrebbe un’attività diretta alla copertura dei costi con i ricavi; allo stesso modo chi
gestisce gratuitamente o con prezzo simbolico un servizio pubblico (ad esempio una mensa, un
istituto di istruzione, un ospizio)”60. Viceversa se quei servizi sono erogati con l’intento di coprire i
costi con i ricavi (metodo economico), anche se il fine è pubblico o ideale ed anche se le condizioni
di mercato non consentono di rimunerare i fattori produttivi, chi li offre dovrà essere considerato
imprenditore. Se l’attività è esercitata in comune allora la norma richiede che vi sia anche lo scopo
di lucro61. Alla luce di queste brevi considerazioni riepilogative, bisogna interrogarsi circa la natura
delle società pubbliche, ed in particolar modo di quelle in house o strumentali. Parte della dottrina
anche commercialistica62 e giurisprudenza di merito ha evidenziato che qualora la società svolga la
propria attività “in difetto delle manifestazioni tipiche del potere d’imperio (quali la facoltà di
imporre tasse o tariffe) e soprattutto se opera al di fuori di un mercato concorrenziale, in una
situazione di monopolio o esclusiva, svolgendo la propria attività economica diretta non in favore di
terzi, bensì verso i soci o il pubblico degli utenti o dei consumatori”, non potrà essere considerata
fallibile in quanto quell’attività “non ha natura propriamente industriale e commerciale e, dunque, la
società in mano pubblica non è soggetta alle procedure concorsuali”. Tale conclusione, non sembra
condivisibile alla luce delle considerazioni prima svolte, o meglio, occorre che quell’attività
economica, in quanto si tratti di attività economica, sia svolta secondo criteri di economicità (costi
minori uguali ai ricavi). Tale verifica va effettuata in concreto. Solo in assenza di tale principio
allora può dirsi che quell’attività non si presenta rispondente al principio di cui all’art. 2247 c.c..
Pertanto, non sembra possibile dubitare in capo alle società pubbliche, anche nel caso di società in
house o strumentali, dello svolgimento di un’attività commerciale o industriale, in quanto quelle
attività svolte sono tutte attività che possano ben essere ricomprese all’interno delle disposizioni di
cui all’art. 2195 c.c., bensì si potrebbe dubitare della loro economicità. Allora stando così le cose, il
dubbio da sciogliere è se quelle società svolgano o meno un’attività con criteri di economicità, nel
59
Vedi G.F. Campobasso, Diritto commerciale vol. I Diritto dell’impresa, 3^ ed. 2000 UTET, F. Galgano, Diritto
commerciale, Le società IV ed. Zanichelli.
60
G.F. Campobasso op. cit.
61
G.F. Campobasso op. cit. ; F. Galgano op. cit. Sulla non necessarietà dello scopo di lucro si veda Cass. Sez. I del 15
maggio 2013 n. 22209
62
L. Salvato op. cit.; D. Di Russo in Atti del convegno Associazione albese di studi di diritto commerciale novembre
2013.
68
senso appena prospettato. L’idea è che quelle società siano sorrette comunque nello svolgimento
della propria attività da tale criterio, ancorché in difetto del potere di imporre tasse o tariffe, o al di
fuori di un mercato concorrenziale e quindi in situazioni di monopolio o di esclusiva, o con una
attività economica diretta a favore dei soci o di un pubblico di utenti o consumatori finali. Si ritiene
che le società pubbliche svolgano comunque un’attività rientrante nel novero del combinato
disposto di cui agli artt. 2247 e 2195 c.c. e pertanto indagare il carattere commerciale dell’attività
risulterebbe un esercizio di stile63.
Inoltre, l’indagine può essere condotta anche attraverso la considerazione che quelle società
pubbliche sono innanzitutto società per le quali la natura di imprenditore commerciale viene
acquisita dal momento della loro costituzione. In altri termini le società costituite secondo una delle
forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili a
fallimento, indipendentemente dall’effettivo esercizio dell’attività, in quanto la qualità di
imprenditore commerciale viene assunta dal momento stesso della loro costituzione, non dall’inizio
del concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore
commerciale individuale64.
Infine, si evidenzia che la nozione di imprenditore commerciale può essere recuperata in negativo
dall’analisi dell’art. 2135 c.c., nel senso che è commerciale l’imprenditore che non eserciti attività
agricola o, meglio ancora, che le attività commerciali coprirebbero tutto l’ambito delle attività
d’impresa (sia pure a carattere industriale) riconducibili all’art. 2082 c.c. con la sola esclusione
delle attività qualificate come agricole dall’art. 2135 c.c.65. In altri termini non esiste una ulteriore
attività oltre quelle previste e disciplinate agli artt. 2135 e 2195 c.c.
Stabilito che la società partecipata pubblica costituita per finalità pubbliche nella forma privata deve
restare soggetta alla disciplina privatistica in tema di fallibilità, non può certo sottacersi che quella
norma ha un riferimento socio – politico - economico risalente. A tal fine basti solo considerare che
l’art. 1 l. f. (R.D. n. 267/42) e l’art. 2221 c.c. (R.D. 262/42) non avendo subito alcuna modifica,
nonostante la recente riforma della legge fallimentare, non potrà essere espressione dell’attuale
realtà economica e soprattutto non potrà disciplinare il fenomeno delle società partecipate pubbliche
che oggi ha assunto proporzioni gigantesche66. Inoltre, quella chiave di lettura in senso privatistico
del fenomeno non appare compatibile con la semplice quanto reale constatazione che oggi operano
sul mercato società che svolgono servizi pubblici con ingerenze (modalità di gestione, clausole
statutarie, modalità di costituzione, attività diretta allo svolgimento di un servizio per la collettività,
finanziamenti, dotazione iniziale, ecc.) dell’Ente partecipante tali da rendere il riferimento alle
norme privatistico-commerciali solo un puro riferimento. In altri termini, oggi esistono società
pubbliche dove le regole societarie vengono stravolte, piegate a vantaggio dell’azione dell’Ente
pubblico, tanto che le norme privatistiche previste in tema di diritto societario rappresentano solo un
“puro” riferimento normativo privo di contenuto. In tal senso si vedano, ad esempio, le c.d. società
in house dove il “potere” del socio maggioritario è sovrapponibile a quello della stessa società
“immedesimandosi” in quest’ultima. A tale considerazione bisogna affiancare l’ulteriore
63
Nello stesso senso G. Terracciano op.cit. D'altronde gli statuti di società di capitali a partecipazione pubblica
disciplinano sempre la distribuzione degli utili e mai ne vietano, ne potrebbero farlo, la relativa distribuzione. Da ciò
discende che l’attività è sempre e comunque improntata a criteri di economicità e che le norme applicabili sono
sempre quelle derivanti dal diritto comune. Vedi F. Galgano op. cit.
64
In tal senso costante giurisprudenza di legittimità. Vedi da ultimo Cass. Civile, sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991 in Il
Fallimento n. 10/2013 pag. 1273 con nota di L. Balestra. In dottrina la tesi non è del tutto pacifica e la tesi opposta,
sulla necessità dell’effettivo inizio dell’attività, risulta ben rappresentata. Vedi per tutti G.F. Campobasso op.cit.
65
Corte Appello Napoli n. 346/2013 cit.
66
In senso contrario vedi da ultimo quanto affermato nella recente sentenza Cass. n. 22209/13 infra.
69
considerazione che vede queste società sempre gestire un servizio necessario per la collettività e
spesso, sempre per tali società, il requisito della qualifica di imprenditore commerciale potrebbe
difettare. In questi casi, considerando che la veste giuridica assunta dalla società non può
determinare la disciplina di riferimento, facendo leva sul principio della sostanza sulla forma di
diretta derivazione, possiamo dire che si appalesa una reale “immedesimazione” dell’Ente alla
società che porterebbe ad una riqualificazione di quel soggetto privato in soggetto (ente) pubblico
retto da regole pubblicistiche. Tale fenomeno non può essere spiegato sicuramente con le norme
attualmente in vigore, ma nello stesso tempo non possiamo permetterci di interpretarle oltre quei
termini individuandosi una società di diritto pubblico, visti anche i recenti pronunciamenti e dettami
della Suprema Corte. Inoltre, l’accettazione di questo modus operandi per indici o criteri presenta
un ulteriore carattere di debolezza laddove non consente all’interprete di ottenere punti di
riferimento certi “ai quali attenersi, … , senza che si ricavi un indirizzo, sia pure pragmatico,
univoco”67.
A conclusione, nel rinnovare ancora una volta l’improrogabile intervento legislativo che disciplini
espressamente in tema di società partecipate pubbliche anche attraverso una modifica degli art. 1 l.f.
e 2221 c.c., il quadro normativo di riferimento porta alla ragionevole affermazione che le società
pubbliche sono soggetti privati fallibili, quand’anche la forma assunta sia quella della società in
house68.
CONSIDERAZIONI FINALI
Appare evidente che il legislatore per regolamentare la disciplina delle società partecipate sta
attuando sempre più un processo diretto ad inquadrare le stesse all’interno del diritto privato, in
modo da unificare tali società al mercato, cercando di porle così sullo stesso piano delle società
tradizionali.
A conclusione del presente lavoro appare opportuno riferire e sottolineare quelli che sono solo
alcuni aspetti statistici del fenomeno qui indagato ed elaborato (Fonte Sole 24 Ore su dati 2012).
Si riportano alcune indicazioni statistiche (fonte Sole 24 Ore – dati 2012 sottostimati):
Società pubbliche e Consorzi partecipati dallo Stato o Enti localin. 7.771
Costo complessivo (stipendi, gettoni, indennità, emolumenti)
15 miliardi
AZIENDA
addetti
Azienda forestale Reg. Calabria
5.600
162 mln.
Consorzio per i sist. Informativi (Piemonte)
1.171
66 mln.
Cons. milanese servizi alla pers. (ex Pio A. Trivulzio)
1.405
600 mln.
43.000
oltre 3.303 mln.
ENI, RAI, ATAC, ENAV, ANAS
oltre
costo
67
G. Terracciano op. cit.
Cfr. anche ASSONIME n. 2/2014 Il Caso “Società a partecipazione pubblica e procedure concorsuali” evidenzia che
sia le esigenze di certezza del diritto sia di tutela dell’affidamento di terzi, a livello internazionale, abbiano indotto
Uncitral e Banca Mondiale a suggerire che le eccezioni all’applicazione delle leggi sull’insolvenza devono essere
fondate su ragioni stringenti nonché chiaramente espresse dalla legge sull’insolvenza o da altra legge.
68
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SOCIETA’ CONTROLLATE DALLE REGIONI
I DATI SI RIFERISCONO AL 2012, SI TRATTA DI QUELLE SOCIETA’ IN CUI LA
PARTECIPAZIONE E’ COMPRESA FRA IL 50% ED IL 100%
NUMERO DI SOCIETA’:
89
PERDITE ACCUMULATE COMPLESSIVAMENTE:
15,3 mln.
(senza considerare le perdite accumulate da Ente autonomo del Volturno – gestisce la
circumvesuviana - soggetto ad un piano di rientro per una perdita del 2010 di 82,5 mln.)
- ATTIVITA’ SVOLTA
REGIONE
Produzione sale
Sicilia
Produzione zucchero, agroalimentare
Molise
Estrazione carbone
Sardegna
Accanto alle classiche attività di: trasporti (aerei, ferroviari, marittimi, su gomma)
SOCIETA’ CONTROLLATE DAI COMUNI CAPOLUOGO DI REGIONE
I DATI SI RIFERISCONO AL 2012, SI TRATTA DI QUELLE SOCIETA’ IN CUI LA
PARTECIPAZIONE E’ OLTRE IL 50% E PER QUEI COMUNI CON PIU’ SOCIETA’
LIMITATAMENTE A TRE CONTROLLATE PIU’ SIGNIFICATIVE
- NUMERO DI SOCIETA’:
84
- PERDITE ACCUMULATE COMPLESSIVAMENTE:
73,6 mln.
- ATTIVITA’ SVOLTA: dominano attività di trasporti/mobilità (aeroporti, metropolitane,
autobus) e gestione rifiuti a cui si affiancano attività di multiservizi e gestione idrica.
Accanto a queste attività «classiche», altre come: Parcheggi (Ancona); Ristorazione e Commercio
(Bologna); Sport (Cagliari); Immobiliare/Patrimonio (Catanzaro, Genova); Farmacie (L’Aquila,
Trento); Illuminazione (Palermo); Assistenza tecnica (Potenza); Energia (Roma); Cimiteriali
(Torino); Riscossione (Trieste); Casinò (Venezia).
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