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EURAC book 57 Analisi spazio-temporali: dinamiche e processi a confronto Ordinare libro: Accademia Europea Bolzano Viale Druso, 1 39100 Bolzano Tel. +39 0471 055033 Fax +39 0471 055099 E-mail: [email protected] Riproduzione parziale o totale del contenuto autorizzata soltanto con la citazione della fonte (titolo e edizione). Direttore responsabile: Stephan Ortner Curatori: Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Chiara Maria Stella Foto e immagine inizio capitoli: Uta Schirpke, Roberta Bottarin Coordinazione: Roberta Bottarin, Uta Schirpke Stampa: Esperia srl, Lavis (TN) Contatto: Istituto per l’Ambiente Alpino Viale Druso, 1 39100 Bolzano Tel. +39 0471 055333 E-mail: [email protected] Si ringrazia la Provincia Autonoma di Bolzano Agenzia provinciale per l’Ambiente per il contributo finanziario. ISBN 978-88-88906-56-0 Analisi spazio-temporali: dinamiche e processi a confronto XIX Congresso della Società Italiana di Ecologia “Dalle vette alpine alle profondità marine” Bolzano, 15-18 settembre 2009 Volume 2 Roberta Bottarin, Uta Schirpke, Ulrike Tappeiner in collaborazione con la Società Italiana di Ecologia 2010 Contenuto Editorial advisors 7 Prefazione 8 Introduzione 9 Mountain Ecology – terrestrial and aquatic ecosystems 11 Application of a vegetation dynamic model for mowed meadows in an alpine valley (Stefano Della Chiesa et al.) 13 Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio (Mauro Gobbi et al.) 21 Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino, Central Alps (Italy) (Alessandro Lotti et al.) 29 Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario Salmo (trutta) trutta L. in Italia centrale (Giovanni Pedicillo et al.) 39 Reticolo idrografico ed ecosistemi marini 49 Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrograici (Roberta Bottarin & Uta Schirpke) 51 Calcolo su base biologica del delusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro (Provincia di Parma) (Sara Chiussi et al.) 59 Management questions regarding a luvial Site of Community Importance: The Case of Clitunno River (Linda Cingolani et al.) 69 Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa in un tratto del iume Taro (Parma) (Lorenzo Pattini et al.) 77 Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotograiche sui limiti inferiori delle praterie di P. oceanica dell’AMP Capo Rizzuto (Francesco Rende et al.) 87 Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes (Bruno Rossaro et al.) 95 Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione: un’analisi a scala di bacino dei iumi Oglio sublacuale e Mincio (Elisa Soana et al.) 103 Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration (Emiliana Valentini et al.) 113 Ecologia microbica Screening microbial diversity from vegetal wastes in aid of bio-hydrogen production (Antonella Marone et al.) Ecotossicologia 125 135 Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis. Case study: Imera Meridionale River, Sicily (Giuseppe Bonanno) 137 La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico (Alessio Ippolito et al.) 145 Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo per lo studio di contaminanti emergenti legati al traico (Pt, Pd e Rh) (Marco Marcheselli & Marina Mauri) 155 Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino Dinophilus gyrociliatus (Marco Marcheselli et al.) 165 Frazionamento di elementi in traccianei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento da parte dei lombrichi (Francesco Nannoni et al.) 175 Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test in apici radicali di Pisum Sativum L.: caso-studio in un sito contaminato (Silvia Panetta et al.) 187 Premio Marchetti – Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio degli inquinanti organici persistenti nelle acque (Silvia Quadroni et al.) 197 Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (Triticum aestivum L.) in un’area mineraria ed industriale del Kosovo (Sara Rossi et al.) 213 Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica di Pietramelina (Giuliana Taramella et al.) 225 Biorimediazione e fitorimediazione Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni della metalloita Biscutella laevigata ssp. laevigata (Filip Pošćić et al.) Autori 6 123 233 235 245 Editorial advisors Marco Abbiati – Università di Bologna in Ravenna Antonella Bachiorri – Università di Parma Alberto Basset – Università del Salento Roberto Bertoni – CNR sede di Verbania Ferdinando Boero – Università del Salento Roberta Bottarin – Accademia Europea di Bolzano Simona Castaldi – Seconda Università di Napoli Roberto Danovaro – Università Politecnica delle Marche Carlo Gaggi – Università di Siena Bruno Maiolini – Istituto Agrario San Michele all’Adige Antonio Mazzola – Università di Palermo Marco Moretti – Swiss Federal Research Institute Roland Psenner – Università di Innsbruck Nico Salmaso – Istituto Agrario San Michele all’Adige Massimo Tagliavini – Università di Bolzano Ulrike Tappeiner – Accademia Europea di Bolzano/Università di Innsbruck Pierluigi Viaroli – Università di Parma Vito Zingerle – Museo Scienze Naturali di Bolzano Giovanni Zurlini – Università del Salento 7 Prefazione Dr. Luigi Minach* Lasciando ai ricercatori della Società Italiana di Ecologia, delle Università nazionali ed estere, dei Centri di Ricerca e delle Agenzie per la protezione dell’ambiente il compito di indagare, nel corso del XIX congresso della S.It.E, sull’inluenza delle scale temporali e spaziali sugli ecosistemi, mi piace far notare come già la scelta di Bolzano quale luogo per il congresso sia la dimostrazione tangibile di come tempo, spazio, ecologia siano intrinsecamente collegati. L’Alto Adige, terra di montagna, regione alpina, in epoche lontanissime era un grande mare: Le Dolomiti altro non sono infatti che barriere marine tropicali, testimonianza originale della presenza del mare in questa terra. Ma non solo le rocce testimoniano tale passato, anche la presenza di lora subtropicale in valli laterali della provincia lasciano immaginare climi e geograie diversi dagli attuali. L’Alto Adige è inoltre dimostrazione “vivente” di come cambiamenti locali possano inluire a livello globale, penso ad esempio all’introduzione di tecniche costruttive di risparmio energetico di casaclima, alle piccole centrali di teleriscaldamento a biomassa locale ino alla sensibilizzazione degli abitanti di questo piccolo territorio verso stili di vita che tengano conto della limitata capacità di carico degli ecosistemi alpini. Questi approcci locali, che per la loro limitata area d’inluenza potrebbero apparire di scarsa eicacia in un’ottica globale, hanno invece attraversato i conini fondendosi e integrandosi con comportamenti e politiche ambientali virtuose di altre realtà. Tenere insieme tempo, spazio, ecologia e sviluppo umano: una sida immane, da afrontare a piccoli passi (minime distanze), a lungo termine (ragionare e procedere per tempi lunghi), con la conoscenza e rispetto di tutti gli ecosistemi interessati dai processi messi in atto dalla specie umana (sostenibilità da parte della terra nel tempo e nello spazio dell’umanità del Nord e del Sud). Una sida non impossibile, anche il mare in Alto Adige in fondo sembrava impossibile! Come Agenzia provinciale per l’ambiente abbiamo fatto nostri nel tempo questi compiti: conoscenza degli ecosistemi, monitoraggio dei parametri di qualità ambientali, misura dell’impatto delle attivita umane, ricerca ed adozione di misure di riduzione di tali impatti, sensibilizzazione verso uno stile di vita sostenibile. * Direttore di Ripartizione dell’Agenzia provinciale per l’ambiente della Provincia Autonoma di Bolzano 8 Introduzione Roberta Bottarin* I sistemi ecologici sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità sia spaziale che temporale. La scala temporale condiziona tutta l’ecologia, la descrizione dei suoi fenomeni, delle sue leggi, la vita delle specie. Il tempo va inteso, nel contesto ecologico, come velocità di cambiamento: non è l’estinzione di una specie che ci dovrebbe preoccupare (le specie si sono sempre estinte…), ma la velocità con la quale essa avviene. Non è la crescita di una popolazione di alghe che ci deve fare allarmare, ma la velocità con la quale queste si moltiplicano. Non è il cambiamento climatico che ci deve fare rilettere, ma il fatto che ciò si veriichi ad un ritmo incalzante. L’incorporazione della scala spaziale e temporale nelle teorie, nei modelli e nei disegni di campionamento ci ha permesso negli anni di incrementare la nostra conoscenza di come la dinamica delle popolazioni e le interrelazioni fra specie rispondono ai cambiamenti dell’ambiente, siano essi isici, quali la temperatura, o biologici, quali le relazioni preda-predatore. I recenti passi avanti fatti in ambito tecnologico, software sempre più soisticati, tecniche analitiche sempre più speciiche hanno permesso di acquisire ed elaborare un numero sempre maggiore di dati, nonché di sviluppare modelli di processi ecologici a varie scale spaziali e temporali. Le interrelazioni fra scala spaziale e temporale e la loro scelta appropriata negli studi ecologici rimangono spesso una sida per gli ecologi. Il XIX congresso nazionale della Società Italiana di Ecologia ha voluto mettere in risalto l’importanza delle scale temporali e spaziali nell’ecologia e dimostrare come queste possano fornire informazioni utili per comprendere e migliorare la gestione degli ecosistemi nella loro complessità. * Coordinatrice Istituto per l’Ambiente Alpino, EURAC 9 Mountain Ecology – terrestrial and aquatic ecosystems Application of a vegetation dynamic model for mowed meadows in an alpine valley Modello di vegetazione dinamica applicato ad un prato falciato in una valle alpina Stefano Della Chiesa1,2*, Giacomo Bertoldi1, Georg Wohlfahrt2, John D. Albertson3 & Ulrike Tappeiner1,2 2 1 Institute for Alpine Environment, EURAC research, Viale Druso 1, 39100 Bolzano Institute of Ecology, University of Innsbruck, Sternwartestraße 15, 6020 Innsbruck (A) 3 Department of Civil and Environmental Engineering, Pratt School of Engineering, Duke University, Durham, North Carolina (USA) *[email protected] Abstract Vegetation Dynamic Modeling is an important approach for the quantitative study of biomass production, carbon cycle, evapotranspiration mechanisms, water transport in the soil water atmosphere schemes because vegetation plays a key role in regulating those interactions. Several eforts have been made in order to develop Vegetation Dynamic Models (VDM) with the purpose to predict the feedback of vegetation in changing temperature and precipitation regime. In this contribution some results in applying a simple VDM in order to simulate LAI and Biomass in intensively used meadows in the Stubai Valley in Austria are discussed. he VDM is coupled with a model for mass and energy balance (Land Surface Model – LSM), both use as input commonly measured atmospheric variables such as wind speed, Photosynthetically Active Radiation (PAR), air temperature, relative humidity, precipitation. he VDM computes the biomass budget and gives back the Leaf Are Index (LAI) to the LSM for the energy and mass balance. he VDM previously developed by Montaldo et al. (2005) for semi-arid environments is here applied for alpine mowed meadows in a climate not subjected to water stresses. Moreover, here the efects of mowing practice during the season are taken into consideration. he model is able to reproduce the biomass, LAI dynamics in our study area. Future development will be focused on simulating the feedbacks of alpine meadows within a climate change scenarios framework at plot scale and to implement the VDM on a fully distributed hydrological model. 13 Stefano Della Chiesa et al. Introduction Vegetation has a key role in regulating the interactions between soil and atmosphere, exerting control over climate via its physiological properties, in particular LAI, stomatal resistance, rooting depth, albedo, surface roughness and efects on soil moisture. Vegetation Dynamic Modeling (VDM) is an important approach to the quantitative study of biomass production, carbon cycle, evapotranspiration mechanisms, water transport in soil-water-atmosphere schemes, because vegetation plays a key role in regulating those interactions. In the latest years several eforts have been made in order to develop Vegetation Dynamic Models aiming at predicting the feedback of vegetation towards changing temperature and precipitation regime. A review on current VDM can be found in Arora (2002). Photosynthesis is a key process in vegetation growth, however there are diferent approaches in order to compute photosynthesis, some require a wealth of information and some other might be more parsimonious. An interesting scheme is the carbon assimilation approach which computes photosynthesis starting from a maximum assimilation rate. his is therefore reduced by coeicients that simulate environmental stresses on leaf stomata opening, such as water limitation and temperature and vapor pressure deicit. Eforts have been made to couple VDMs and hydrological models, however this is a controversial issue due to some constrain such as the requirement of detailed input that are often unavailable in operational applications and the problem in increasing model parameterization. An attractive compromise is the VDM from Montaldo et al. (2005) inspired by the model of Nouvellon et al. (2000), coupled with the existing LSM of Montaldo et al. (2001). he coupled model simulates (hourly timescale) land surface mass as well as energy luxes and vegetation dynamics. In this contribution we pursue the objective of applying a simple VDM (Montaldo et al., 2005) developed for semi-arid environment in an inner alpine valley in Austria, addressing two questions: (1) Can a VDM designed for semi-arid Mediterranean area be suitable for alpine mowed meadows? (2) Which are the limiting factors in an alpine meadow? 14 Application of a Vegetation Dynamic Model for mowed meadows in an Alpine Valley Material and methods The study area he study site is located at a meadow in the vicinity of the village Neustift (47° 070N, 11° 190E) in the Stubai Valley (Austria) at an elevation of 970 m a.s.l., in the middle of the lat valley bottom. he average annual temperature is 6.5 °C, average annual precipitation amounts to 852 mm (Hammerle et al., 2008). he vegetation consists mainly of a few dominant graminoid (Dactylis glomerata, Festuca pratensis, Phleum pratensis, Trisetum lavescens) and forb (Ranunculus acris, Taraxacum oicinale, Trifolium repens, Trifolium pratense, Carum carvi) species. he soil has been classiied as a Fluvisol (FAO classiication) and is approximately 1 m deep. Below a thin (0.001 m) organic layer, an A horizon, with an organic volume fraction of approximately 14 %, extends down to 0.02 m, followed by the B horizon, which is best described as a (sandy) loam. Roots reach down to 0.5 m, but 80 % of them are concentrated in the upper 0.13 m of the soil. he ield is intensively managed with three cuts per year, in general at the beginning of June, at the end of July and in the middle of September. The VDM-LSM he VDM-LSM (Montaldo et al., 2005) predicts dynamics of water and energy luxes at land surface on hourly time step. he land cover is partitioned in bare soil and vegetated components. he model considers near surface and deep root zone soil layers. Details of the soil moisture equation are given by Noilhan & Planton (1989); Albertson & Kiely (2001); Montaldo et al. (2001). he actual evapotranspiration lux per unit ground area is given by (1), ET = cfsoil Esoil + Tveg cfveg (1) Esoil is the evaporation of the soil for the respective cover fraction cfsoil. Tveg is the transpiration of the vegetation cover fraction cfveg. Esoil and Tveg are estimated by Penman-Monteith (Brutsaert, 2005). Canopy resistance, which accounts for environmental stresses (2), is estimated by (Jarvis, 1976). 15 Stefano Della Chiesa et al. (2) he essence of this modeling coupling is that the VDM provides the leaf area index (LAI) evolution through time, which is then used by the LSM for computations of the energy and water luxes (Fig. 1). Figure 1: LSM and VDM coupling structure. The VDM provides the leaf area index (LAI) evolution through time, which is then used by the LSM for computations of water and energy luxes. Vegetation Dynamic Model he photosynthesis is computed using the carbon assimilation approach where photosynthesis is function of a maximum assimilation rate and of a series of environmental stresses dependences on canopy resistance (Nouvellon et al., 2000; Montaldo et al., 2005). he gross photosynthesis Pg (3) is estimated from the photosynthetically ac), (Charlestive radiation (PAR), the fraction of PAR absorbed by the canopy ( Edwards et al., 1986; Larcher, 2003), and is the leaf photochemical eiciency which estimates the amount of carbon ixed (in units of g DM m2 d-1) per unit of 16 Application of a Vegetation Dynamic Model for mowed meadows in an Alpine Valley is estimated as a simple function of LAI, following the Lamintercepted PAR. bert-Beer extinction law (Charles-Edwards et al., 1986; Larcher, 2003). rcmin is the minimum canopy resistance, while ra and rc are respectively the atmospheric and canopy resistance. (3) With this approach, we can estimate Pg by common monitored variables such as PAR, relative humidity, air temperature and wind speed. he change over time of the green biomass and of the root biomass is computed from the diference between the rate of biomass production (photosynthesis) and the rate of biomass destruction, as it occurs through respiration and senescence (Cayrol et al., 2000; Larcher, 2003). Green biomass production: Root biomass: LAI: Where a a and a r are allocation partition coeicients to shoot and root compartments, depending on a root shoot ratio scheme (Montaldo et al., 2005), Tra is the translocation of carbohydrates from the roots to the living aboveground biomass, Rg and Rr are the respirations from aboveground and root biomass, respectively, Sg and Sr are the senescence of aboveground green and root biomass, respectively. he is computed via a linear relationship with the green change of LAI over time biomass Bag where is the speciic leaf area of the aboveground green biomass [m2/g]. 17 Stefano Della Chiesa et al. Results and Discussion he coupled model is here applied in an inner alpine mowed meadow. Since green biomass data Bag of two growing seasons are available we calibrated the model for the year 2005 and afterwards we used the 2007 data for validation. In igure 2 the observed and simulated data for biomass are represented. he model performance is satisfactory even though the initial growth at the beginning of the season is generally over estimated, probably due to the diferent species fraction composition. Figure 2: Biomass comparison. Simulated green biomass (Bagsim) and observed green biomass (Bagobs) for the years 2005 (calibration) and 2007 (validation). After the cut, the model responds properly. In igure 3 the observed and simulated data for LAI are represented. he LAI dynamics at the beginning of the season is not as linear as we assume in the simulation, therefore the process is overestimated. After the cut, the model provided simulations in line with observed data. he stress functions in igure 4 show that in the Stubai valley there is no water scarcity, instead the temperature is the most important limiting factor. he correlations of the observation and simulated Bag and LAI are signiicant for both years (Tab. 1). 18 Application of a Vegetation Dynamic Model for mowed meadows in an Alpine Valley Figure 3: Leaf Area Index (LAI) comparison. Simulated LAI (LAIsim) and observed LAI (LAIobs) for the years 2005 (calibration) and 2007 (validation). Figure 4: Stress index functions: f1 (Soil moisture stress function), f2 (Soil moisture stress function), f5 (Vapour Pressure Deicit (VPD) stress function). Stress index with a 0 value indicates high stress, therefore stomata closure with photosynthesis limitation. Stress index with a value of 1 indicates no stress condition, therefore maximum photosynthesis rate. For both years the stronger inluence of temperature in limiting photosynthesis and smaller inluence of soil moisture and VPD is evident . These indings relect the characteristic of the Stubai valley being humid, cold, with consistent amounts of precipitation. 19 Stefano Della Chiesa et al. Table I: Correlation and p values for observed and simulated LAI and Biomass. Biomass LAI 2005 2007 r2 = 0.96 r2 = 0.93 p value = <0.001 p value = <0.001 r2 = 0.98 r2 = 0.95 p value = <0.001 p value = <0.001 We can conclude that the VDM previously developed for semi-arid areas and applied here in a humid valley in Stubai performs well in our case study, notwithstanding a certain green biomass overestimation. he low temperature is the limiting factor for our case study. Due to its simplicity, this VDM can be easily implemented within hydrological models. Future work is focused on implanting the VDM in the distributed hydrological model GEOtop (Rigon et al., 2006). References Albertson, J. D. & Kiely, G. (2001) On the structure of soil moisture time series in the context of land surface models. J. Hydrol., 243(1–2), 101–119. Arora, V. (2002) Modeling vegetation as a dynamic component in soilvegetation-atmosphere transfer schemes and hydrological models. Rev. Geophys., 40(2), 1006. Brutsaert, W. (2005) Hydrology: An introduction. Cambridge university press, New York. Cayrol, P., Chehbouni, A., Kergoat, L., Dedieu, G., Mordelet, P. & Nouvellon, Y. (2000) Grassland modeling and monitoring with SPOT-4 vegetation instrument during the 1997 – 1999 SALSA experiment. Agric. For. Meteorol., 105, 91– 115. Charles-Edwards, D. A., Doley, D. & Rimmington, G. M. (1986) Modelling Plant Growth and Development. Elsevier, New York. Hammerle, A., Haslwanter, A., Tappeiner, U., Cernusca, A. & Wohlfahrt, G. (2008) Leaf area controls on energy partitioning of a temperate mountain grassland. Biogeosciences, 5, 421–431. Jarvis, P. G. (1976) he interpretation of the variations in leaf water potential and stomatal conductance found in canopies in the ield. Philos. Trans. R. Soc. London, Ser. B, 273, 593–610. Larcher, W. (2003) Physiological Plant Ecology. Cambridge University Press, New York. Montaldo, N., Albertson, J. D., Mancini, M. & Kiely, G. (2001) Robust prediction of root zone soil moisture from assimilation of surface soil moisture. Water Res. Resour., 37, 2889– 2900. Montaldo, N., Rondena, R., Albertson, J. D. & Mancini, M. (2005) Parsimonious Modeling of Vegetation Dynamics for Ecohydrologic Studies of Water-Limited Ecosystems. Water Resour. Res., 41(10), W10416, doi:10.1029/2005WR00409. Noilhan, J. & Planton, S. (1989) A simple parameterization of land surface processes for meteorological models. Mon. Weather Rev., 117, 536– 549. Nouvellon, Y., Rambal, S., Lo Seen, D., Moran, M. S., Lhomme, J. P., Begue, A., Chehbouni, A. G., & Kerr, Y. (2000) Modelling of daily luxes of water and carbon from shortgrass steppes. Agric. For. Meteorol, 100, 137– 153. Rigon, R., Bertoldi, G. & Over, T.M. (2006) GEOtop: A Distributed Hydrological Model with Coupled Water and Energy Budgets. J. Hydrometeor., 7, 371–388. 20 Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio Carabid beetle assemblages in wooded areas of the Stelvio Nation Parc (Trentino Area) Mauro Gobbi1*, Natalia Bragalanti2 & Valeria Lencioni1 1 Sezione di Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia, Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento, Via Calepina 14, 38122 Trento 2 Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio, Comitato di Gestione per la Provincia Autonoma di Trento, Via Roma 65, 38024 Cogolo di Peio (TN) *[email protected] Abstract Le inalità di questo lavoro sono quelle di caratterizzare dal punto di vista faunistico le diferenti tipologie forestali presenti nel Parco Nazionale dello Stelvio (Trentino): laricete, larici-cembrete, peccete, ontanete, boschi misti di latifoglie. Nello speciico l’attenzione è rivolta alle cenosi di carabidi (Insecta: Coleoptera), noti per essere ottimi indicatori di qualità ambientale. Vengono presentati i risultati preliminari relativi alla carabidofauna (27 specie) rinvenuta in sei stazioni di campionamento mediante l’impiego, in ciascuna stazione, di 15 trappole a caduta. Ricchezza di specie, composizione delle comunità e adattamenti morfo-funzionali (morfologia alare) della carabidofauna sono discusse in relazione alla tipologia di bosco. Introduzione Le foreste insieme ai pascoli e ai prati sono le principali componenti del paesaggio alpino. Gli efetti della gestione di questi habitat sulla fauna invertebrata, che rappresenta la maggiore porzione per diversità di specie e numero di individui della biodiversità animale, non sono ancora ben noti (Lyndenmayer et al., 2000; Grandchamp et al., 2005). In questo contesto si inserisce la ricerca triennale che, a partire dal 2008, il Museo Tridentino di Scienze Naturali (MTSN) sta svolgendo nell’ambito del “Programma Monitoraggio Biodiversità” nel Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio (PNS). 21 Gobbi Mauro et al. Da più di mezzo secolo sono in atto trend che stanno portando a un cambiamento radicale del paesaggio. Tra questi l’abbandono della pastorizia, al quale è connesso quello dei prati da sfalcio impiegati per la produzione del foraggio, così come l’incremento delle superici forestali che colonizzano le aree abbandonate. A questi cambiamenti nel paesaggio sono associati quelli nella fauna invertebrata, il cui studio permette di ottenere informazioni sullo stato ecologico, l’integrità e la qualità naturalistica dell’ambiente (Grandchamp et al., 2005; Magura et al., 2005). Lo scopo della ricerca in corso nel PNS è di implementare le conoscenze sulla ricchezza e distribuzione dell’entomofauna, in relazione alle esigenze di conservazione e gestione degli habitat forestali e prativi rappresentativi dell’area protetta. Nello speciico l’attenzione è rivolta alle cenosi di carabidi (Insecta: Coleoptera), noti per essere ottimi indicatori di qualità ambientale (Rainio & Niemela 2003; Brandmayr et al., 2005; Gobbi, 2009). Finalità del presente lavoro è di mostrare un primo contributo alla caratterizzazione, dal punto di vista faunistico, delle diferenti tipologie forestali presenti nel PNS. Materiali e metodi Durante l’estate 2008 (luglio-ottobre) sono state indagate le principali tipologie di habitat forestali presenti nel PNS: larice-cembreta (1825 m s.l.m.), lariceta altamente frequentate da cervi (lariceta pascolate, 1600 m s.l.m.), pecceta montana (1425 m s.l.m.) e subalpina (1680 m s.l.m.), ontaneta (1390 m s.l.m.) e boscho misto di latifoglie (1250 m s.l.m.). In ciascuna delle sei stazioni indagate sono state innescate 15 trappole a caduta (7 cm di diametro superiore) disposte lungo un transetto lineare. Come trappole sono stati impiegati bicchieri di plastica interrati ino all’orlo e contenenti per 2/3 una soluzione di aceto e sale (Brandmayr et al., 2005). Per ogni stazione di campionamento sono stati rilevati i dati ambientali (tipologia forestale e quota) e calcolate: • la diversità di specie (Shannon’s Index); • la frequenza di specie prive di ali funzionali al volo (brachittere); la valutazione della frequenza di specie brachittere fornisce utili indicazioni sul livello di stabilità dell’ambiente indagato, poiché è noto come gli habitat perturbati presentino una maggiore frequenza di specie alate rispetto a quelle brachittere (Gobbi & Fontaneto, 2008). 22 Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Parco Nazionale dello Stelvio L’inluenza della tipologia forestale e della quota è stata testata mediante test di ANOVA sulla ricchezza di specie e sulla frequenza di specie a bassa mobilità (brachitteri). Per descrivere l’efetto delle variabili ambientali sulla composizione delle cenosi è stata utilizzata l’Analisi della Corrispondenza Canonica (CCA) (Gotelli & Ellison, 2004). Inine, è stata valutata la presenza di turnover di comunità tra le differenti tipologie forestali mediante l’impiego della macro di Excel sviluppata da Leibold e Mikkelson (2002). Le analisi sono state elaborate mediante l’utilizzo di Excel e dei software SPSS 10.0® e MVSP®. Risultati e discussione Dall’analisi di 1595 individui di coleotteri carabidi sono state determinate 27 specie (Tab. I). Le specie campionate sono tipiche di ambienti forestali, salvo alcune eccezioni come ad esempio Agonum sexpunctatum, Amara erratica e Ophonus laticollis che sono tipiche di habitat aperti quali i prati. Tra i taxa rinvenuti si segnala la presenza dei generi Duvalius e Philorhizus. Al primo appartengono specie endogee con particolari adattamenti morfologici e per il quale in Trentino sono presenti segnalazioni puntiformi solo per la porzione meridionale (Stoch, 2000-2005). Al secondo, piuttosto raro, appartengono specie il cui costume di vita è ancora poco noto, ma si ipotizza corticicolo (Hurka, 1996). Gli esemplari appartenenti a questi due generi sono ancora in fase di studio presso il MTSN per la determinazione della specie. Questo risultato mostra che anche se gli ambienti forestali non possiedono cenosi di carabidi ricche di specie (n. medio = 11,3; dev. st. ±4,03) in essi sono presenti specie con notevole interesse faunistico e biogeograico. 23 Gobbi Mauro et al. Tabella I: Elenco delle specie di carabidi campionati (nomenclatura aggiornata da www.faunaeur.org). Sp_Code Checklist Coleotteri Carabidi sp1 Abax (Abax) parallelepipedus (Piller & Mitterpacher 1783) sp2 Agonum (Punctagonum) sexpunctatum (Linnaeus 1758) sp3 Amara (Celia) erratica (Duftschmid 1812) * * sp4 Calathus (Neocalathus) melanocephalus (Linnaeus 1758) * * * sp5 Calathus (Neocalathus) micropterus (Duftschmid 1812) * * * * * sp6 Carabus (Megodontus) germarii Sturm 1815 * * * * * sp7 Carabus (Oreocarabus) hortensis Linnaeus 1758 * * sp8 Carabus (Platycarabus) depressus Bonelli 1810 sp9 Carabus (Tomocarabus) convexus Fabricius 1775 sp10 Carabus (Mesocarabus) problematicus Herbst 1786 sp11 Cychrus attenuatus (Fabricius 1792) sp12 Cymindis (Cymindis) cingulata Dejean 1825 sp13 Cymindis (Cymindis) humeralis (Geofroy in Fourcroy 1785) sp14 Dromius (Dromius) agilis (Fabricius 1787) sp15 Duvalius sp. Delarouzée 1859 A B C D Mb Ub * * * * * * * * * * * * * * * sp16 Harpalus (Harpalus) latus (Linnaeus 1758) sp17 Leistus (Leistus) nitidus (Duftschmid 1812) * sp18 Licinus (Neorescius) hofmanseggii (Panzer 1803) * sp19 Notiophilus palustris (Duftschmid 1812) * sp20 Ophonus (Metophonus) laticollis Mannerheim 1825 * sp21 Philorhizus sp. Hope 1838 * sp22 Pterostichus (Bothriopterus) oblongopunctatus (Fabricius 1787) * * * * * * * * sp23 Pterostichus (Cheporus) burmeisteri burmeisteri Heer 1838 * * sp24 Pterostichus (Haptoderus) unctulatus (Duftschmid 1812) * * * * * * * * sp25 Pterostichus (Oreophilus) multipunctatus (Dejean 1828) * * * * * * sp26 Pterostichus (Phonias) strenuus (Panzer 1797) sp27 Trichotichnus (Trichotichnus) laevicollis (Duftschmid 1812) * * * * * L’analisi preliminare di collinearità tra le variabili dipendenti (ricchezza di specie “sp_rich” e frequenza di specie brachittere “ %sp_brach”) mostra che non sono autocorrelate (r = 0,11; P = 0,29) e non lo sono neppure con la quota (sp_rich vs quota: P = 0,20; %sp_brach vs quota: P = 0,18). È stato quindi testato mediante ANOVA l’efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie e sulla frequenza di brachitteri, risultando altamente signiicativo su entrambe le variabili (Tab. II). 24 Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Parco Nazionale dello Stelvio Tabella II: Efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie “sp_rich” e sulla frequenza di specie brachittere “%sp_brach”. L’efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie è rappresentato nella igura 1a che mostra come l’unica tipologia forestale che si discosta signiicativamente, per ricchezza di specie, è la lariceta pascolata “B”. In questa lariceta è stato rinvenuto il più alto numero di specie. L’inluenza della tipologia forestale sulla frequenza di specie brachittere è messa in evidenza nel box-plot rappresentato nella igura 1b, dove si nota come le tipologie forestali che possiedono la maggiore concentrazione (100 %) di specie a bassa mobilità (specie brachittere) sono la pecceta montana “D”, quella subalpina “Mb” e il bosco di latifoglie ad ontano bianco (Alnus incana) “Ub”. Figura 1: Box-plot raiguranti l’efetto della tipologia forestale sulla ricchezza di specie “sp_ rich” (a) e frequenza di brachitteri “ %sp_brach” (b) (larice-cembreta “A”, lariceta pascolata “B”, bosco misto di latifoglie “C”, pecceta montana “D”, pecceta subalpina “Mb”, bosco di latifoglie a ontano bianco “Ub”). L’analisi di meta-comunità condotta impiegando la macro di Excel sviluppata da Leibold & Mikkelson (2002), mostra come tra le diferenti tipologie forestali non vi sia turnover signiicativo di comunità (P = 0,784); l’assenza quindi di comunità mutualmente esclusive impedisce di caratterizzare con dettaglio le cenosi degli habi- 25 Gobbi Mauro et al. Figura 2: Scatter-plot raiguranti la distribuzione dei siti (a) e delle specie (b) in relazione alle variabili ambientali (stabilità ambientale e quota) e alla diversità di specie (Shannon) (per le abbreviazioni vedere didascalia Fig 1). 26 Le cenosi di coleotteri carabidi nei siti forestali del Parco Nazionale dello Stelvio tat indagati. Tale dato è confermato anche dall’Analisi della Corrispondenza Canonica (CCA) (Fig. 2 a,b). L’asse 1, che rappresenta un gradiente di stabilità ambientale (determinato dalla frequenza di specie brachittere) e di quota, spiega il 22,43 % della varianza, mentre l’asse 2 spiega il 35,58 %. Dalla igura 2a si può notare come le tipologie forestali che presentano maggiore stabilità sono la larice-cembreta “A”, la pecceta montana e quella subalpina “D e Mb”. La igura 2b mostra invece come le tipologie forestali più perturbate, per esempio i boschi di latifoglie, siano frequentate da specie dalla dieta generalista tra cui Harpalus latus (sp.16) e Trichotichnus laevicollis (sp.27). Il fatto che i boschi di latifoglie abbiano un livello di instabilità simile a quello della lariceta-pascolata è giustiicabile dalla presenza di piccoli corsi d’acqua che le attraversano e che fungono, durante la stagione di massima portata, da fattori perturbativi ma naturali. È interessante notare come l’attività del pascolo all’interno della lariceta “B” determini la presenza di una cenosi tipica di ambienti instabili ovvero ricca di specie (Fig. 1a) ma poco strutturata poiché queste presentano valori bassi di Shannon (Fig. 2a). Probabilmente l’intenso brucamento da cervo porta ad avere un sottobosco meno denso che permette la sopravvivenza anche di specie opportuniste, e non strettamente silvicole, a scapito dei brachitteri che, vista la bassa mobilità, sono i primi a scomparire in presenza di fattori di disturbo. Tale risultato è in accordo con quanto dimostrato in Melis et al. (2006) per i boschi di conifere della Norvegia e suggerisce la necessità di approfondire questa linea di ricerca col ine di poter descrivere l’impatto del brucamento della fauna selvatica sulle cenosi di insetti. Ringraziamenti Si desidera ringraziare Dorino Moreschini per aver collaborato all’attività di campo e il Settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio, per aver co-inanziato il progetto. 27 Gobbi Mauro et al. Bibliografia Brandmayr, P., Zetto, T. & Pizzolotto, R. (2005) I Coleotteri Carabidi per la valutazione ambientale e la conservazione della biodiversità. Manuale operativo. APAT, Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, Roma. Manuali e linee guida, 34. Gobbi, M. & Fontaneto, D. (2008) Biodiversity of ground beetles (Coleoptera: Carabidae) in diferent habitats of the Italian Po lowland. Agriculture, Ecosystems and Environment, 127, 273-276. Gobbi, M. (2009) Inluenza dei caratteri e delle tipologie di uso del suolo sulle comunità di Carabidi (Insecta: Coleoptera). Studi Trentini di Scienze Naturali, 85, 131-134. Gotelli, N. L. & Ellison, A. (2004) A primer of Ecological Statistics. Sinauer Associates, Inc. Publishrs Sunderland, Massachusetts U.S.A. Grandchamp, A., Bergamini A., Stofer, S., Niemela, J., Duelli, P. & Scheidegger, C. (2005) he inluence of grassland management on ground beetles (Carabidae, Coleoptera) in Swiss montane meadows. Agriculture, Ecosystems and Environment, 110, 307-317. Hurka, K. (1996) Carabidae of the Czech and Slovak Republics. Ceské a Slovenské Republiky. Kabourek, Zlìn. Leibold, M. 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Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Direzione per la Protezione della Natura. Available at: http://ckmap.faunaitalia.it. 28 Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino, Central Alps (Italy) Circolazione dell’azoto in Val Masino: studi condotti in ambienti di alta quota Alessandro Lotti*, Cristina Arese, Carlo Andrea Delconte, Laura Passatore & Rafaella Balestrini CNR-IRSA Istituto di Ricerca sulle Acque, Via del Mulino 19, 20047 Brugherio (MB) *[email protected] Abstract Nitrogen dynamics in running waters and snowpack samples were investigated in the high-elevation part of the Val Masino catchment, in the Italian Alps. his area was studied and monitored since 1994 within the CON.ECO.FOR. project. Studies of the soil solution showed a complete assimilation of nitrogen in forested areas, but the atmospheric deposition trends and the evolution of nitrate in the Masino stream suggested an intermediate condition of N saturation. In 2007 the DIVALPA project started, aiming to identify the nitrate sources and the most important biogeochemical processes responsible for nitrogen loads in the stream at 1190 m asl. Median measured N-NO3- concentrations were 16 µeq/l in running waters, 4 µeq/l in snow and 24 µeq/l in rain. A PCA analysis was performed on the chemical species concentration of the running water sites and three principal axes, explaining 73 % of the total variation, were identiied. Introduction Chronic inputs of N deposition can over time lead to “N saturation”, a condition in which the availability of inorganic N exceeds the N assimilation capacity of biological processes. Alpine communities are considered to be very sensitive to changes in N deposition because a combination of extreme environmental features generally limits the N uptake and retention capacity of the ecosystem. Most alpine regions, both in Europe and in the United States, receive N deposition rates that are several times higher than presumed preindustrial levels (Burns, 2003; Fenn et al., 29 Alessandro Lotti et al. 2003; Preunkert et al., 2003; Hiltbrunner et al., 2005; Balestrini et al., 2006). Symptoms of advanced stages of N saturation have been reported in alpine ecosystems in the Rocky Mountains receiving relatively low N, i.e. 2–4 kg ha-1 yr-1, in wet deposition. he luxes reported for European alpine site at elevations above 2000 m asl are between 0.5–3 kg N ha-1 yr-1 (Hiltbrunner et al., 2005), but at lower sites the rates increase greatly. Val Masino catchment, in the Italian Alps, was studied since 1994 within the CON.ECO.FOR. project. he irst aim was to identify the interaction between the atmospheric luxes and the forest ecosystem. In this site nitrogen circulation was studied by monitoring open-ield and throughfall depositions, soil solution at diferent depths and the Masino stream as the output of Val Masino catchment. he results of this study showed an atmospheric deposition mean load of 12 kg ha-1 y-1, three times higher than the N critical load value suggested for remote areas (Williams & Tonnessen, 2000). Also nitrate concentrations in the stream highlighted an intermediate condition of N saturation for this catchment. On the other hand soil solution suggested a total assimilation of nitrate in the forested zone (Balestrini & Tagliaferri, 2001; Balestrini et al., 2006). For these reasons and with the purpose of obtaining a further insight in nitrogen dynamics in this remote ecosystem, a sampling campaign of running waters, snow and soils was conducted from 2007 to 2008 in the high-elevation part of the catchment (1900 – 2600 m asl), within the DIVALPA project (Tagliaferri et al., 2009). Materials and methods Study area he DIVALPA study area is located in Val Masino in the Central Italian Alps, a typical glacial valley surrounded by an amphitheatre of mountains as high as 3500 m a.s.l. (Fig. 1) Sampling sites were located from 1900 to 2600 m asl. Additional samples were collected at 1190 m asl, at the outlet of the Val Masino catchment. he Masino stream is a glacial stream that drains Val Masino. he geological substratum of Val Masino is granodiorite and the soils are humic cambisols. he average annual rainfall is about 1300 mm and the mean air temperature is 8 °C. Two synoptic surveys were conducted in 2007 and 30 sites were sampled to characterize chemical and physical properties of running waters between 2000 and 30 Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino, Central Alps (Italy) 2600 m asl. Eighteen sites were then selected and eight sampling surveys were conducted from June to October 2007 and 2008. Five snow proiles were dug between 1950 m and 2250 m asl in May 2008 within the study area and a soil analysis was conducted in October 2008. Figure 1: Map site of samples in Val Masino catchments. Chemical analysis All water and snow samples were analyzed for pH, conductivity and major ions. he concentration of ionic species was determined after iltration through 0.4 µm ISOPORE polycarbonate membrane ilters. Cations (Na+, N-NH4+, K+, Mg2+, Ca2+) and anions (Cl-, N-NO3-, N-NO2-, SO42-) were measured with ion chromatography Dionex ICS2000 with a CS12A column and MSA eluent for cations and Dionex LC25 with an AS11 column and KOH eluent for anions. Ammonium was determined using the indophenol-blue method and total nitrogen content was measured using molecular absorption spectrometry UV-VIS, after a persulphate digestion. Dissolved organic carbon (DOC) was assayed by high-temperature catalytic oxidation (Patrolecco et al., 2000). Snow grain structure and size were described according to international procedures and snow density and temperature were measured at each snow layer. 32 snow samples were analysed for the main ion species. Topsoil (0-10 cm) close to each of the running water sampling sites was sampled in three replicates and processed within 24 hours after returning from the ield. 31 Alessandro Lotti et al. Soils were 2 mm sieved and extracted with 0.5 M K2SO4 for subsequent determination of ammonium, nitrate and dissolved organic nitrogen (DON). A Principal Component Analysis (PCA) was performed to identify the relationship between the diferent chemical species and geophysical variability using STATISTICA for Windows R 5.0 software (StatSoft, Inc., 1995). Results Snow Median inorganic N concentration in snow was about 4 µeq/l for nitrate and 5 µeq/l for ammonium (Tab. I). Table I: Main statistical descriptors of chemical composition of snow sampled in May 2008 in Val Masino. c20 °C H+ N-NO3- SO42- Cl - µS cm-1 N-NH4+ Ca2+ Mg2+ Na+ K+ µeq l-1 N 32 32 32 32 32 32 32 32 32 32 Mean 3.6 2.4 8.1 3.6 3.6 8.4 7.2 1.0 5.0 2.2 S. D. 3.0 0.8 11.4 5.0 2.7 8.8 19.1 1.7 4.8 2.1 Min 1.2 0.7 1.2 0.2 0.6 1.1 0.3 0.3 0.2 0.8 First quartile 2.1 1.8 2.4 1.2 1.4 3.2 0.8 0.4 1.3 1.5 Median 2.5 2.2 4.1 1.7 2.8 5.2 1.7 0.5 3.1 1.6 Third quartile 3.5 2.8 7.6 3.0 4.4 8.6 3.5 0.6 9.0 1.8 Max 14.7 4.1 58.9 19.8 9.7 43.5 82.6 7.5 17.7 10.5 Total N loads were low, about 8 kg ha-1. Loads of ammonium and nitrate in snowpack were not correlated with the altitude, and depended mainly on the snow height, suggesting that the (re)distribution of snow due to topography or winds exerts a direct control on N loading in the snowpack and subsequent input to the soil during snowmelt (Fig. 2). he loads and concentrations of inorganic nitrogen were in agreement with the values reported for other sites in the Alps (Nickus et al., 1998, Hiltbrunner et al., 2005). 32 Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino, Central Alps (Italy) Figure 2: Snow height and nitrogen content at diferent altitudes. Table II: Main statistical descriptors of the nitrogen species determined on soil samples in Val Masino. N-NH4+ N-NO3- N_inorg mg kg N DON -1 15 15 15 15 Mean 18.7 8.8 27.5 23.6 S. D. 4.7 2.5 5.6 3.1 Min 1.5 0.8 2.4 5.4 First quartile 8.3 4.1 12.1 19 Median 15.7 4.9 23.3 22.7 Third quartile 19.7 9.1 42.7 28.2 Max 76.3 31.4 81 53.9 Soil Soil analyses showed high concentrations of nitrate (Tab. II), i.e. within the highest range for available values of Alpine sites (Brooks et al. 1996). N-NH4+ pools ranged from 0.11 – 6.29 g/m2 and N-NO3- pools ranged from 0.04 – 2.2 g/m2. hese results suggest fast transformation processes for nitrogen. Running waters he ionic content in the diferent matrices increased from snow to running waters reaching the maximum levels in the Masino stream. Ammonia concentrations were very low, i.e. near the detection limits (Tab. III). he median N-NO3- concentration in running waters was about 16 µeq/l. his value was 4 times higher than snow samples and somewhat lower than Masino stream (20 µeq/l). 33 Alessandro Lotti et al. he concentration of nitrate for running waters showed a minimum in mid summer and a maximum in October. he highest values (> 40 µeq/l) were measured in sites located over 2500 m asl. Other geochemical species related to abiotic processes such as Ca2+ and SO42- showed an increasing trend from July to October, while Cl-, a conservative species, remained stable during the whole period. Similar NO3and Ca2+ trends were reported for high-elevation catchments in Austrian Alps and Colorado (Battin et al., 2004, Williams et al., 2006). Table III: Main statistical descriptors of chemical composition determined in running water samples in Val Masino from June 2007 to October 2008. c20 °C H+ N-NO3- SO42- Cl- µS cm-1 HCO3- N-NH4+ Ca2+ Mg2+ Na+ K+ µeq l-1 N 124 126 126 125 124 125 125 125 125 124 125 Mean 9.6 0.4 16.4 21.7 4.3 47.4 0.8 64.0 5.7 14.9 7.5 S. D. 3.0 0.4 11.0 7.0 3.8 27.2 2.1 23.5 2.4 5.9 2.9 Min 4.4 0.0 0.0 8.3 0.5 2.0 0.0 22.5 1.6 5.1 1.7 First quartile 7.5 0.1 8.5 17.6 2.0 25.0 0.0 48.9 3.8 10.5 5.6 Median 9.3 0.2 15.7 21.2 2.8 46.0 0.3 60.2 5.6 13.5 6.8 Third quartile 11.7 0.4 24.1 25.2 5.0 68.0 0.9 77.8 7.4 18.0 8.6 Max 19.0 2.7 45.0 50.0 22.0 109.0 17.6 132.1 14.0 34.8 17.8 he knowledge of the origin of the water in diferent seasons is fundamental for the comprehension of this temporal evolution. Even if discharge at highest altitudes was not measured, the Masino stream annual hydrography (at 1190 m asl) and direct observations in the ield allowed us to identify a hydrological seasonal trend. Flow was high in June-July due to snowmelt and rainfall, and dramatically decreased to minimum levels in autumn, before the starting of snowfall. Some Authors explain the coincidence of higher concentrations during minimum hydrological lows with evapo-concentration mechanisms. he behaviour of Cl- in our study system does not support this hypothesis. Further research is necessary to identify the role of physical and biological processes producing the temporal variation in nitrate concentration. A PCA analysis was performed on the chemical species concentration of the running water sites to interpret major trends of variation in the study system. We have found three principal axes that explain 73 % of the variability. he irst axis (45 % of variability) was related to basic cations (-0.864 < R < -0.929) and alkalinity 34 Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino, Central Alps (Italy) (R= -0.844), representing the geochemical descriptors associated to the weathering processes. he second axis summarized N-NO3- (R= 0.901) and DOC (R= -0.821) and can be related to the biological processes that control the N export. he third axes explaining 12 % of variance is deined by organic nitrogen (ON) and Cl- and is not clearly understandable. hese axes were related with some geophysical variables. he irst axis was highly correlated with longitude and elevation, and in fact there are more glaciers and moraine moving from west to east. We can hypothesize that in this macrohabitat the erosive action is more intense, which causes increasing concentrations of basic cations in running waters. he second axis was correlated only with elevation. his can be explained with the increasing importance of soil cover at lower altitudes as well as the richness in habitat and vegetation supporting the biological processes responsible for the nitrate decrease and the organic matter enrichment in the waters. he variation of vegetation type and habitat with elevation and longitude was annotated during the investigation and the sampling phases. Using the NATURA 2000 Map we identiied four macrohabitats in Val Masino: the siliceous screes, the siliceous screes + siliceous alpine and boreal grassland, the siliceous alpine and boreal grassland, the grassland (Nardetus). We found a signiicant relation between N-NO3and DOC concentration and the macrohabitats. Nitrate decreased from simple macrohabitats (siliceous screes), characterized by boulders, thin soils without vegetation, to more complex ones (Nardetus), with more developed and vegetated soils. While DOC showed an inverse trend with high concentrations in simpler macrohabitats and lower concentrations in complex ones (Fig. 3). hese trends suggest that biological activities in the soil can regulate the nitrate concentration and the N export. Figure 3: Box plot of N-NO3- and DOC (mg l-1) at different macrohabitats: siliceous screes (1), siliceous screes + siliceous alpine and boreal grassland (2), siliceous alpine and boreal grassland (3), grassland – Nardetus (4). 35 Alessandro Lotti et al. Discussion and conclusions he chemical characterisation of diferent environmental matrices (running waters, snow and soils) from the high elevation zone is crucial to better understand the dynamics of nitrate in Val Masino catchment. he N-NO3- concentration in running waters has a high variability, from no detectable levels to 45 µeq/l. his variability is due to seasonality, elevation, content of organic carbon and the occurrence of diferent macrohabitats. he higher concentrations were measured in autumn at the output of habitats like “rock glaciers”, while lower concentrations were detected in habitats with more complex vegetation at lower elevation. An overall analysis of the measured concentrations in the main course of Masino stream at diferent locations, from to 2555 m asl to 1950 m asl, showed a decreasing trend of nitrate with elevation. From 1950 m to 1190 m asl, however, we observed a slight increase of nitrate concentration (Fig. 4), rather unexpected considering the increase of forested areas and, in general, of more complex habitats. We can hypothesize that the occurrence of steep slopes as well as the iniltration of water underneath the channel could reduce the interactions of waters and soils or vegetations limiting the nitrate assimilation. A more detailed study of the hydrology between 1100 m to 2000 m asl will be very helpful to verify this hypothesis. Figure 4: Nitrogen evolution in the Masino stream at diferent altitude (m asl) in 2008. Acknowledgements We thanks ERSAF for funding the DIVALPA project and for the technical support in sampling campaigns. 36 Nitrogen dynamics in high elevation environments of Val Masino, Central Alps (Italy) References Balestrini, R. & Tagliaferri, A. (2001) Atmospheric deposition and canopy exchange processes in alpine forest ecosystems (Northern Italy). 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Ecological Applications, 10(6), 1648–1665. 37 Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario Salmo (trutta) trutta L. in Italia centrale Population size structure indices and growth standard for Salmo (trutta) trutta L. in central Italy Giovanni Pedicillo1*, Antonella Carosi2, Lucia Ghetti3 & Massimo Lorenzoni1 1 Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale, Università di Perugia, Via Elce di Sotto, 06123 Perugia 2 Servizio Programmazione Ittico-Faunistica, Provincia di Terni, Via Plinio il Giovane 21, 05100 Terni 3 Servizio Programmazione Forestale, Faunistico-venatoria ed Economia Montana, Regione dell’Umbria *[email protected] Abstract Nello studio delle popolazioni ittiche una varietà di indici sono stati sviluppati per fornire indicazioni sullo stato di benessere dei pesci, sulla struttura delle popolazioni ittiche e sui loro tassi di accrescimento. Tuttavia lo sviluppo di indici che permettono di confrontare gli accrescimenti di diverse popolazioni ittiche è solo agli inizi. È, quindi, necessario individuare per la maggior parte delle specie ittiche italiane dei valori di riferimento. Lo scopo di questa ricerca è fornire un modello standard di accrescimento in lunghezza che possa servire come riferimento per le popolazioni dell’Italia centrale di trota fario Salmo (trutta) trutta Linnaeus. I valori di riferimento, espressi come percentili della lunghezza all’età, sono stati elaborati utilizzando le equazioni per l’accrescimento teorico in lunghezza, sviluppate secondo il modello di von Bertalanfy, appartenenti a 122 popolazioni di trota fario del bacino del iume Tevere. L’RSD (Relative Stock Density) ed il PSD (Proportional Stock Density) sono dei descrittori numerici, basati sulle frequenze delle lunghezze, largamente applicati alle popolazioni ittiche nordamericane per deinire la qualità della loro struttura per età. Per le popolazioni italiane di trota fario allo stato attuale non esistono in letteratura le soglie che deiniscono le categorie di lunghezza che servono a calcolare questi indici. In questo studio sono state stimate tali soglie utilizzando due metodi diferenti. 39 Giovanni Pedicillo et al. Introduzione La valutazione delle caratteristiche di una popolazione ittica spesso include la necessità di efettuare dei confronti tra località diverse o rispetto a condizioni standard di riferimento; a questo scopo sono stati sviluppati una varietà di indici. Metodi standardizzati per confrontare le caratteristiche tra popolazioni ittiche diferenti aumentano la comunicazione tra gli ittiologi, migliorano l’eicienza dell’analisi dei dati e forniscono indicazioni che aiutano le azioni gestionali. Uno dei primi tentativi per valutare la qualità della struttura delle popolazioni ittiche utilizzando i dati di frequenza delle lunghezze è stato proposto da Anderson (1976) che introdusse il concetto di Proportional Stock Density (PSD). Il PSD rappresenta la percentuale di esemplari di taglia stock che sono più lunghi della taglia quality, dove la prima rappresenta la taglia che ha poco valore dal punto di vista alieutico mentre la seconda indica la taglia minima che la maggior parte dei pescatori vorrebbero catturare. La principale critica a tale approccio è che esso comprime l’intera distribuzione delle lunghezze di una popolazione ittica in un singolo numero con una probabile perdita di informazioni (Gabelhouse, 1984). È stato quindi sviluppato un altro indice (Relative Stock Density) che si basa su cinque categorie di lunghezza e che permette di valutare la struttura di popolazione con maggiore dettaglio (Gabelhouse, 1984). Sebbene sia il PSD che l’RSD siano frequentemente usati in Nord America, in Europa essi sono utilizzati solo raramente. L’accrescimento è una delle caratteristiche più studiate nei pesci poiché rappresenta un buon indicatore della salute sia dei singoli individui che delle intere popolazioni. L’analisi dell’accrescimento di una popolazione ittica risulta particolarmente importante poiché fornisce una valutazione integrata delle condizioni ambientali ed endogene che agiscono sui pesci (Kocovsky & Carline, 2001); pertanto, l’individuazione di criteri standard di riferimento permette di esprimere un giudizio obiettivo sulla qualità di un accrescimento e rappresenta un valido strumento per valutare la correttezza delle scelte intraprese da chi si occupa della gestione delle risorse ittiche. Nonostante siano numerose le popolazioni ittiche per le quali è stata descritta la relazione esistente tra la lunghezza e l’età degli esemplari, poche sono le metodiche che permettono di confrontare e giudicare gli accrescimenti di popolazioni diferenti (Hubert, 1999). Uno dei primi tentativi di costruire delle curve di riferimento che descrivessero l’accrescimento è stato efettuato da Hickley & Dexter (1979) utilizzando i dati di lunghezza ed età: le curve fornivano le lunghezze di riferimento ad ogni età di alcune specie ittiche britanniche. Casselman & Crossman 40 Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario salmo (trutta) trutta l. (1986) usarono il modello di accrescimento di von Bertalanfy per stimare le lunghezze di riferimento all’età per Esox masquinongy Mitchill, mentre Hubert (1999) ha utilizzato per Ictalurus punctatus (Rainesque) i valori percentili delle lunghezze medie all’età di 102 popolazioni nordamericane. Metodi analoghi sono stati usati da Quist et al. (2003) per sviluppare i percentili standard per Sander vitreus (Mitchill) e da Jackson & Hurley (2005) per Pomoxis annularis Rainesque e P. nigromaculatis (Lesueur) in Nord America. Lo scopo di questa ricerca è deinire le categorie di lunghezza necessarie per il calcolo dell’RSD in Salmo (trutta) trutta in Italia centrale e fornire per tale specie un modello di riferimento per valutare la qualità dell’accrescimento di una popolazione. Materiali e metodi In questa ricerca sono stati utilizzati i dati delle catture di trota fario efettuate in periodo compreso tra il 1992 ed il 2008 in 32 corsi d’acqua del bacino del iume Tevere (Fig. 1). Figura 1: Area di studio. 41 Giovanni Pedicillo et al. Le catture sono state efettuate mediante elettrostorditori di diversa potenza, a seconda delle caratteristiche del settore luviale indagato; ad ogni esemplare esaminato è stata rilevata la lunghezza totale (LT) (±0,1 cm) (Anderson & Neumann, 1996), il peso (P) (± 1 g) e determinata l’età mediante scalimetria (Bagenal, 1978). Per esaminare la relazione tra la lunghezza e l’età della trota fario è stato utilizzato il modello di accrescimento teorico di von Bertalanfy (1938), descritto dalla seguente equazione: LTt = L∞{1 – exp[-k (t – t0)]} dove: LTt è la lunghezza totale teorica (cm) all’età t; L∞ è l’asintoto della curva, cioè la lunghezza massima (cm) che il pesce potrebbe raggiungere se continuasse a vivere indeinitamente; k è la velocità (anni -1) alla quale la curva di accrescimento si avvicina all’asintoto; t0 è l’età teorica (anni) alla quale il pesce ha lunghezza pari a zero. È stato inoltre calcolato il parametro Φ’ (Pauly & Munro, 1984) (Φ’ = log10k + 2log10L∞) che mette in relazione L∞ e k ed individua diferenze nelle caratteristiche degli accrescimenti in ambienti diversi (Abella et al., 1994), rendendo così possibile un confronto fra popolazioni di una stessa specie. Per sviluppare lo standard di riferimento sono state analizzate 122 popolazioni per un totale di 29.519 esemplari; per ognuna sono stati calcolati i parametri dell’equazione di von Bertalanfy utilizzando le lunghezze medie raggiunte nelle varie classi di età. Dalle successive analisi sono state scartate tutte quelle popolazioni che presentavano valori di L∞ superiori del 50 % rispetto all’esemplare più grande catturato in ognuna di esse (Taylor, 1962). Utilizzando tali parametri, per ciascuna popolazione sono state calcolate le lunghezze relative ad ogni età t (LTt per 1 ≤ t ≤ 10). Sul data-set così ottenuto è stata efettuata un’analisi della distribuzione delle lunghezze: per ciascuna età considerata, il 10°, 30°, 50°, 70° e 90° percentile della lunghezza sono stati considerati come soglie per la costruzione delle curve di accrescimento teorico in lunghezza che rappresentano gli standard di riferimento (Britton, 2007). L’accrescimento di una popolazione è giudicato molto scarso se le lunghezze all’età dei suoi esemplari risultano inferiori alla curva del 10° percentile, scarso se comprese tra il 10° ed il 30°, normale se comprese tra il 30° ed il 70°, buono se comprese tra il 70° ed il 90° e ottimo se superiori al 90° percentile. Per la valutazione della struttura di popolazione è stato utilizzato il Relative Stock Density (RSD) (Gabelhouse, 1984); tale indice prevede la presenza di cinque 42 Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario salmo (trutta) trutta l. speciiche categorie di taglia (stock, quality, preferred, memorable, trophy) ed il suo calcolo è deinito dalla formula seguente: RSD = (N° di pesci ≥ taglia speciica) / (N° di pesci ≥ taglia stock) Quando si utilizza come categoria speciica la taglia quality tale indice prende il nome di Proportional Stock Density (PSD) (Anderson, 1976). Sono considerate bilanciate le popolazioni ittiche che presentano valori di PSD compresi tra 35 e 65 (Gabelhouse, 1984): valori inferiori a 35 indicano una troppo scarsa presenza di adulti nella popolazione, mentre valori superiori a 65 sono indice di una eccessiva presenza di adulti, una riproduzione probabilmente insuiciente o una eccessiva mortalità che incide sugli stadi giovanili. Per stimare le soglie minime delle categorie di lunghezza che servono per il calcolo dell’RSD sono stati utilizzati due metodi diferenti. Seguendo l’approccio tradizionale (Gabelhouse, 1984) (Metodo 1), la lunghezza corrispondente a ciascuna categoria di taglia è calcolata come percentuale rispetto alla taglia massima (LTmax) registrata su scala mondiale in S. trutta (LTmax ≈ 100 cm) (Tab. III); tale valore risulta però sovradimensionato rispetto a quanto registrato nel bacino del iume Tevere. In questa ricerca vengono pertanto proposti valori tarati sulle condizioni locali con LTmax che, sulla base delle osservazioni fatte, risulta pari a 60 cm. La lunghezza media a cui un pesce di una data popolazione raggiunge per la prima volta la maturità sessuale è un importante parametro biologico per la gestione della popolazione stessa (Jennings et al., 1998). Froese & Binohlan (2000) hanno osservato che l’età di prima maturazione è soprattutto funzione della taglia. Seguendo tale criterio ed in accordo con Gassner et al. (2003) è stato proposto un ulteriore metodo (Metodo 2). Per il calcolo delle categorie di taglia dell’RSD sono state deinite prima due soglie: L∞ e la lunghezza alla maturità (Lm). La prima è stata espressa come media dei valori di L∞ (L∞ media) delle 122 popolazioni analizzate per deinire il modello standard di accrescimento, mentre la seconda è stata calcolata da L∞ media per mezzo dell’equazione log10Lm = 0.8979 log10L∞ – 0.0782 (Froese & Binohlan, 2000); le lunghezze delle diverse categorie sono state, quindi, così calcolate (Gassner et al., 2003): Stock (S) = Q-((T- Q)/3) Quality (Q) = Lm Preferred (P) = Q+((T- Q)/3) Memorable (M) = Q(((T- Q)/3)2) Trophy (T) = 80 % del valore medio di L∞ 43 Giovanni Pedicillo et al. Per valutare l’eicacia dei due metodi proposti, le soglie così computate sono state utilizzate per calcolare il PSD in 263 popolazioni di trota fario nel bacino del iume Tevere ed i risultati confrontati tra di loro. Risultati e discussioni Nella tabella I è riportata la statistica descrittiva dei parametri dell’equazione di von Bertalanfy calcolati per le 122 popolazioni analizzate, mentre nella tabella II viene illustrata la statistica descrittiva delle lunghezze raggiunte alle varie età ed utilizzate per la costruzione delle curve di riferimento per l’accrescimento teorico in lunghezza (Fig. 2). Tabella I: Statistica descrittiva dei parametri dell’equazione di von Bertalanfy. Media Mediana Minimo Massimo Dev. Std. Err. Std. 0,23 0,20 0,07 0,63 0,11 0,01 L∞ (cm) 44,72 42,71 23,02 89,47 12,98 1,18 t0 (anni) –0,53 –0,57 –1,56 0,67 0,37 0,03 k (anni -1) Tabella II: Statistica descrittiva delle lunghezze raggiunte alle varie età utilizzate per la costruzione delle curve standard. Età (anni) 10° perc. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 9,02 14,14 18,45 21,50 23,48 25,57 26,55 27,34 27,96 28,34 30° perc. 10,54 15,91 20,62 23,99 26,77 28,83 30,56 32,05 33,14 34,17 50° perc. 11,53 17,00 21,64 25,62 28,71 31,16 33,05 34,54 35,82 36,41 70° perc. 12,19 18,10 22,94 26,91 30,09 33,07 35,40 37,25 38,77 40,00 90° perc. 13,48 19,42 24,61 28,30 31,34 34,57 37,54 40,43 42,98 45,28 Media 11,20 16,97 21,56 25,25 28,25 30,71 32,75 34,44 35,86 37,05 Minimo 3,84 12,20 16,21 19,36 21,10 21,87 22,34 22,61 22,78 22,87 Massimo 14,43 20,70 26,66 32,79 37,90 42,17 45,74 48,71 51,19 53,27 Err. Std. 0,17 0,18 0,21 0,24 0,29 0,34 0,39 0,45 0,51 0,56 44 Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario salmo (trutta) trutta l. Figura 2: Curve di riferimento per l’accrescimento teorico in lunghezza con i relativi parametri dell’equazione di von Bertalanfy. I valori del parametro Φ’ forniti nella igura 2 possono costituire un ulteriore strumento per poter valutare in modo sintetico la qualità dell’accrescimento di una popolazione di trota fario rispetto agli standard tipici della specie nell’area di studio. I valori di riferimento riportati in questo studio evidenziano una considerevole plasticità nell’accrescimento tra le diverse popolazioni. I fattori causali, biologici ed ambientali, della plasticità fenotipica nell’accrescimento sono numerosi e molto spesso correlati ed includono, oltre a fattori genetici, anche temperatura, competizione intra- ed interspeciica, habitat, disponibilità di cibo, stato troico e tipo di gestione (Cowx, 2000). Anche se individui diversi in una stessa popolazione possono presentare considerevoli variazioni nella lunghezza raggiunta ad una età (Pilling et al., 2002), l’uso dei parametri dell’accrescimento medio é molto spesso adeguato a descrivere le caratteristiche di una popolazione ittica (Sainsbury, 1980). Strumenti comparativi che permettono di valutare tali parametri, grazie alla loro facilità di interpretazione ed al loro ruolo nel chiarire i fattori causali delle diferenze dei tassi di accrescimento tra popolazioni, risultano preziosi nel fornire indicazioni sui fattori ambientali e sulle attività gestionali che inluenzano l’accrescimento. L’analisi della struttura per età viene ampiamente utilizzata nella valutazione dell’integrità biotica di una popolazione ittica e costituisce, in accordo con la “Water Framework Directive” (CE-WFD) (EU, 2000), uno dei fondamentali parametri da considerare nell’uso dei pesci come indicatori biologici. Le soglie delle categorie di taglia utilizzate per il calcolo dell’RSD stimate sulla percentuale della lunghezza massima osservata per S. trutta non su scala mondiale (LTmax≈100 cm), come proposto da Gabelhouse (1984), ma su scala locale 45 Giovanni Pedicillo et al. (LTmax = 60 cm) (Metodo 1) risultano molto simili a quelli riportate da Milewski & Brown (1994) per la forma di torrente di S. trutta (LTmax = 55,4 cm) (Tab. III). Tabella III: Soglie minime delle categorie di taglia per il calcolo dell’RSD. Categoria Metodo 1 (Gabelhouse,1984) Metodo 2 (Gassner et al., 2003) % LTmax Classi LT (cm) corrispondenti a % LTmax Soglia minima (cm) Soglia minima (cm) stock 20 – 26 12,0 – 15,6 14 22 quality 26 – 41 21,6 – 24,6 23 25 preferred 45 – 55 27,0 – 33,0 30 29 memorable 59 – 64 35,4 – 38,4 37 32 trophy 74 – 80 44,4 – 48,0 46 36 Il metodo 2 utilizza per la determinazione delle categorie di taglia (Tab. III) la lunghezza alla maturità (Lm) e L∞ media ed i valori di tali parametri nel bacino del iume Tevere sono risultati pari a 25 cm e 44,72 cm, rispettivamente. L’analisi dei risultati ottenuti applicando l’indice PSD alle popolazioni del bacino del iume Tevere rivela che la scelta del metodo utilizzato nell’individuazione dei valori soglia condiziona in modo signiicativo il giudizio sulla qualità della struttura di popolazione: su un totale di 263 popolazioni e 34.645 individui, il valore medio (± ES) del PSD calcolato con il metodo 1 (20,28 ± 1,18) risulta nettamente minore di quello calcolato con il metodo 2 (37,84 ± 1,68), con diferenze che appaiono altamente signiicative al t-test (t = –8,693; p = 0,000). Il metodo 1 restituisce valori di PSD sempre inferiori sopravvalutando, quindi, la presenza degli esemplari di più piccole dimensioni: tale metodo giudica bilanciate (35 ≤ PSD ≤ 65) il 16,0 % delle popolazioni analizzate, mentre tale percentuale sale al 37,7 % con il metodo 2 (Tab. IV). Tabella IV: Frequenze dei valori di PSD nelle popolazioni di trota fario del bacino del iume Tevere. Metodo 1 N° popolazioni PSD < 35 35 ≤ PSD ≤ 65 PSD>65 46 Metodo 2 % N° popolazioni % 215 81,7 118 48,4 42 16,0 92 37,7 6 2,3 34 13,9 Indici di struttura ed accrescimento standard per la trota fario salmo (trutta) trutta l. Oltre a deinire la misura ottimale del campione e correlare PSD ed RSD ad altri parametri come, ad esempio, la condizione corporea, un importante compito per il futuro sarà quello di testare questo indice sul maggior numero possibile di popolazioni di S. trutta, in modo da stabilire quale dei due metodi risulti più eicace nel descrivere la struttura di popolazione di tale specie. 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Un confronto fra i livelli altitudinali mostra per esempio come i bacini idrograici molto modiicati hanno parti estese nel fondovalle, mentre quelli con buone caratteristiche di naturalità sono dislocati ad altitudini maggiori. La classiicazione “naturale” / “non naturale” non deve essere in alcun modo coercitiva, ma in molti casi esprime un’esigenza di miglioramento e l’attribuzione di un valore permette il monitoraggio. Lo studio dell’emerobia può trovare un supporto nell’amministrazione e gestione dei bacini imbriferi. Il grado di emerobia è prezioso nelle applicazioni, in particolare nelle carte di impatto e nei piani territoriali e nell’ambito dell’ecologia di conservazione, in quanto permette di evidenziare le aree a maggiore naturalità. Non si deve dimenticare però che i positivi cambiamenti del grado di naturalità in un bacino idrograico hanno luogo e possono essere deiniti tali solo in tempi lunghi. Introduzione Nell’ultimo secolo i cambiamenti dell’uso del suolo sono stati numerosi e hanno riguardato in un lasso di tempo sempre più ridotto porzioni di territori sempre più ampie. Il concetto di territorio “naturale” e di “intensità dell’inluenza umana” è poco chiaro, diicilmente confrontabile nel tempo e nello spazio e spesso troppo oggettivo. Negli anni sono stati sviluppati una serie di indici di naturalità (Anderson, 1991; Machado, 2004), applicati quasi esclusivamente a porzioni di territorio limitate, quali per esempio i corridoi luviali. D’altra parte numerosi indici 51 Roberta Bottarin & Uta Schirpke sono stati elaborati nell’ambito della Landscape ecology, considerando soprattutto gli aspetti geometrici e la distribuzione dei patch di territorio diversi (Farina, 2001; Dramstad et al., 2006). Il termine di “emerobia” è stato introdotto in ambito ecologico per la prima volta da Jale (1955), che ha classiicato le piante in base alla loro capacità di resistere verso specie invasive. Il termine successivamente è stato ampliato ad intere associazioni botaniche (Supkopp et al., 1990) e poi, nel 1990 Kowarik con il termine di “emerobia” ha deinito “la misura dell’inlusso culturale dell’uomo sull’ecosistema”. Avendo dimostrato che le piante superiori nonché le associazioni vegetali rilettono il grado di impatto antropico, questo inquadramento sostanzialmente botanico ha permesso di attribuire un valore di emerobia anche alle varie categorie dell’uso del suolo. Le specie vegetazionali dominanti nelle varie tipologie dell’uso del suolo sono state associate ad una scala di valori ordinati in base al grado di modiicazione antropica subita nel tempo. Una combinazione fra le nozioni in ambito paesaggistico con la catchment ecology ha portato per la prima volta all’applicazione del concetto di emerobia su scala di bacino idrograico ai ini di trovare una metodologia semplice per caratterizzare il grado di impatto antropico nel senso di pressione che subisce la rete idrograica all’interno del bacino stesso. L’indice di emerobia a livello di bacino potrebbe integrare gli indici di naturalità che attualmente vengono applicati prevalentemente ai corridoi luviali (Braioni & Penna, 1998). Area di Studio Il territorio provinciale altoatesino presenta un’orograia tipicamente alpina, con il 64 % della supericie dislocata al di sopra dei 1500 m s.l.m. Questo caratterizza fortemente anche il sistema agricolo, suddiviso in due fasce distinte: il fondovalle e la fascia pedemontana, dove si concentrano le coltivazioni legnose e la zona montana, sopra i 900 m, caratterizzata prevalentemente dalla zootecnia e dalle coltivazioni foraggere. Questa suddivisione in due aree distinte è accentuata anche dall’origine glaciale di molte valli altoatesine che presentano un fondovalle abbastanza ampio, versanti piuttosto ripidi ed altipiani. Le condizioni geograiche e climatiche della Provincia hanno permesso lo sviluppo dell’allevamento, in prevalenza bovino, che è la principale e spesso l’unica forma di sfruttamento eiciente dei territori posti alle quote più elevate. 52 Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrografici In Alto Adige l’acqua ad uso potabile viene fornita da oltre 1500 acquedotti, di cui 548 pubblici che servono 116 comuni e 983 privati di interesse pubblico (servizi di ristorazione isolati, rifugi alpini, ecc.). Gli acquedotti pubblici o di interesse pubblico soddisfano il fabbisogno del 95,1 % della popolazione, mentre il rimanente 4,9 % della popolazione dispone di un proprio acquedotto privato. L’acqua erogata dagli acquedotti proviene prevalentemente da sorgenti (61,5 %) e da pozzi (38,0 %) mentre solo lo 0,5 % dell’acqua viene prelevata da corsi d’acqua superficiali ed opportunamente potabilizzata. Materiali e metodi I bacini idrografici sono stati delimitati per 50 punti di misura selezionati, sulla base di un DEM (Digital Elevation Model) con maglia di 20 metri (Fig. 1). Per ottenere un DEM adatto alle analisi idrologiche è indispensabile correggere eventuali “errori” (buchi, imperfezioni, valori fuori range, ecc.) del DEM e rimuovere le depressioni locali. Inoltre, la rete idrologica esistente è stato impressa nel DEM abbassando i valori del DEM (Hellweger, 1997) per creare le direzioni di deflusso corrispondenti a quelli esistenti. Su questa base era possibile ottenere i percorsi del deflusso superficiale, generando quindi l’area drenata per ogni punto di misura. Figura 1: Dislocazione dell’area di studio e dei punti relativi alle stazioni di campionamento, dalle quali sono stati calcolati i rispettivi bacini idrografici. Gli usi del suolo sono rappresentati dai valori di emerobia (1-7) corrispondenti. 53 Roberta Bottarin & Uta Schirpke Nel passo successivo, le superici dei 50 bacini idrograici sono state intersecate con le varie tipologie dell’uso del suolo. Visto che il basso grado di deinizione di Corine Land Cover non consente di identiicare zone di supericie inferiore a 25 ha, è stata scelta la carta dell’uso del suolo provinciale (1:10.000) che comunque si appoggia alle categorie di uso del suolo deinite a livello europeo. Associando il valore di emerobia alle categorie dell’uso del suolo (Tab. 1) è stato possibile ottenere la distribuzione dell’impatto antropico su territorio provinciale (Fig. 1). Tabella I: Deinizioni e valori di emerobia secondo Kowarik (1990) e categorie di uso del suolo associato. Emerobia Valore Uso del suolo aemerobico 1 Roccia Zone detritiche prive di vegetazione Ghiacciaio oligoemerobico 2 Arbusti contorti e pini mughi Bosco Aree prative mesoemerobico 3 Zona militare Aree prative alberate Aree umide Bacini d‘acqua beta-euemerobico 4 Area verde urbana Dighe Siepi ed alberature Corsi d‘acqua alfa-euemerobico 5 Aeroporto Attrezzature sportive e per il tempo libero Cimitero Seminativo Colture permanenti Altre superici agricole poliemerobico 6 Tessuto urbano rado Insediamenti minori Case singole, case sparse Rete stradale e spazi associati Linee ferroviarie e spazi associati Impianti a fune (ediici) e spazi associati Altre attrezzature di interesse pubblico Cave Discariche, depositi di materiale Impianto speciale metaemerobico 7 Tessuto urbano denso Superici industriali e commerciali Area a copertura artiic. non classiicabile 54 Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrograici Intersecando i valori di emerobia con i conini calcolati per i singoli bacini imbriferi è stato successivamente calcolato un indice di emerobia (Steinhardt et al., 1999) per tutti bacini secondo la seguente formula: con M = indice emerobia; = proporzione dell’area della categoria; m = numero di categorie; h = valore di emerobia. Oltre a calcolare l’emerobia per l’intero bacino imbrifero, quest’ultima è stata calcolata anche speciicamente e secondo la stessa procedura per un’area bufer di 1 km intorno ad ogni stazione di campionamento (Fig. 2). Figura 2: Esempio di due stazioni di campionamento con l’area bufer di 1km di diametro che delimita la zona di calcolo per l’emerobia nelle strette vicinanze del punto di campionamento. 55 Roberta Bottarin & Uta Schirpke Risultati e Discussione La igura 1 mostra i risultati ottenuti relativi all’intera Provincia dell’Alto Adige, dislocata al centro della catena montuosa alpina. I valori più elevati di emerobia rispecchiano in modo molto chiaro il maggior grado di antropizzazione nei fondovalle dove si trovano anche i maggiori centri urbani. Valori vicino all’unità, e quindi con un impatto antropico limitato, invece si trovano nella parte alta dei bacini imbriferi ad altitudini più elevate. Infatti, gli indici di correlazioni fra emerobia e altitudine risultano altamente signiicativi (p>0,01 %) se si considera l’intera supericie imbrifera (Fig. 3). Figura 3: Correlazione fra indice di emerobia e altitudine media dei bacini imbriferi considerati (p>0,001). I valori di emerobia ottenuti per i 50 bacini imbriferi scelti nonché per le relative 50 zone bufer calcolate per ogni stazione di campionamento sono messi a confronto nella igura 4. 56 Dall’uso del suolo al grado di naturalità dei bacini idrograici Figura 4: Valori di emerobia ottenuti per l’intero bacino imbrifero (in verde) nonché per il bufer di 1 km (in giallo) per i 50 bacini imbriferi analizzati. Le diferenze fra i due valori di emerobia rappresentanti scale spaziali diverse si discostano in modo marcato in quasi tutti i 50 punti di campionamento. Fanno eccezione solo le stazioni poco antropizzate, nelle quali il territorio nelle vicinanze delle stazioni di campionamento non si discosta sostanzialmente dal rimanente territorio all’interno del bacino imbrifero. Queste valutazioni si sono rilevate utili per l’individuazione sia di aree maggiormente problematiche sia di aree particolarmente naturali in modo obbiettivo all’interno di un bacino imbrifero. La possibilità di variare la scala spaziale permette di applicare il calcolo dell’emerobia non solo ad interi bacini imbriferi, ma anche a speciiche zone scelte (es. bufer con vari diametri, ma anche fasce ripariali dei corsi d’acqua). Grazie all’impiego di dati satellitari le carte dell’uso del suolo saranno aggiornate in periodi sempre più brevi in futuro, e questo permetterà di implicare questo tipo di indagini nell’ambito di programmi di monitoraggio, in grado di mettere in evidenza gli efetti antropici anche a lungo termine. Queste valutazioni possono inoltre supportare la valutazione ambientale strategica a livello della pianiicazione territoriale, essendo il grado di emerobia un indicatore che sia di agevole applicazione su vari tipi di scala spaziale. Non solo: possedendo la documentazione storica si possono anche fare delle valutazioni dell’uso del suolo a ritroso per calcolare scenari possibili e se necessario intervenire repentinamente in forma preventiva. 57 Roberta Bottarin & Uta Schirpke Bibliografia Anderson, J. E. (1991) A Conceptual Framework for evaluation and quantifying Naturalness. Conservation Biology, 5, 347-358. Braioni, M. G. & Penna, G. (1998) I Nuovi Indici Ambientali sintetici di valutazione della qualità delle rive e delle aree riparie: Wild State Index, Bufer Strip Index, Environmental Landscape Indices: il metodo. Biologia Ambientale, 6, 3-47. Dramstad, W. E., Sundli Tveit, M., Fjellstad, W. J. & Fry G. L. A. 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Tuttavia la stima di questo parametro spesso non tiene conto delle specifiche caratteristiche ecologiche dei corsi d’acqua, risultando troppo generale e, di conseguenza, poco funzionale agli scopi per i quali è stato concepito. In questo lavoro, che riporta i principali risultati di uno studio avente ad oggetto il Fiume Taro (provincia di Parma), viene presentata una procedura per il calcolo del DMV a partire dall’applicazione della metodologia IFIM. Essa ha consentito di calibrare il calcolo di questo parametro a partire dalle caratteristiche specifiche (idrauliche ed ecologiche) del corso d’acqua in esame, valutando gli effetti delle modificazioni del deflusso rispetto alle esigenze di alcune specie ittiche di interesse conservazionistico presenti in Taro: lasca (Chondrostoma genei), vairone (Leuciscus souffia), barbo (Barbus plebejus). Combinando le informazioni relative a caratteristiche geomorfologiche, idrauliche e biologiche entro il software EVHA è stato possibile ridefinire operativamente il concetto di DMV distinguendo una Soglia di Criticità, intesa come limite di sopravvivenza, e un Deflusso Vitale in grado di offrire buone condizioni di vita. Sulla base di questi risultati sono state identificate le componenti ittiche più vulnerabili rispetto ai regimi del fiume (lo stadio riproduttivo del barbo) e si è modulato un valore del DMV in funzione del tempo nel periodo di massimo prelievo della risorsa idrica dal fiume, che coincide con i mesi estivi. 59 Sara Chiussi et al. Introduzione La sempre più pressante richiesta di concessioni idriche pone seri problemi alla gestione dei corsi d’acqua, la cui integrità richiede che siano mantenute buone condizioni anche attraverso il rispetto del Deflusso Minimo Vitale (DMV). La stima di questo parametro spesso non tiene conto delle caratteristiche ecologiche specifiche dei corsi d’acqua, e risulta così troppo generale e poco funzionale ai suoi scopi. Il Parco Regionale del Fiume Taro (Fig. 1) è interessato da numerose attività antropiche: la riserva idrica sotterranea è utilizzata principalmente dall’industria agro-alimentare (Marchiani, 1998) mentre quella superficiale è prelevata per uso irriguo (Marchiani & Antonietti, 2004). Il Piano di Tutela delle Acque (PTA, 2005) dell’Emilia-Romagna delinea un percorso tecnico e normativo per individuare i valori di DMV per i corsi d’acqua regionali e garantirne il rispetto in alveo. Esplicitato il calcolo della componente idrologica del DMV (per il Fiume Taro 1,6 m3/s), il PTA fissava al 31/12/2008 la data ultima per adeguare tutte le derivazioni al DMV idrologico e al 31/12/2016 l‘integrazione di questo valore con fattori di correzione. Figura 1: Area di studio. 60 Calcolo su base biologica del deflusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro Per un utilizzo finalizzato all’azione di salvaguardia ispirata alla Direttiva Habitat la stima del DMV deve necessariamente contabilizzare le esigenze delle specie ittiche sottoposte a regime di tutela. Il Fiume Taro ospita oggi le seguenti specie ittiche di interesse comunitario: Barbus meridionalis (barbo canino), Barbus plebejus (barbo), Cobitis tenia (cobite comune), Chondrostoma genei (lasca), Leuciscus souffia (vairone) (Direttiva 92/43/CEE). Da qui la necessità di eseguirne il calcolo tenendo conto sia delle caratteristiche biologico-ecologiche del corso d’acqua sia della sua specificità morfologica. Si è quindi proposto un metodo di calcolo per il DMV specifico per il fiume Taro attraverso l’applicazione del Metodo dei Microhabitat o IFIM (Instream Flow Incremental Methodology) (Bovee, 1982). Materiali e metodi Il Metodo dei Microhabitat (IFIM) IFIM è una struttura concettuale e analitica creata allo scopo di comprendere e gestire problematiche legate alla variazione dei regimi fluviali dovuta all’azione antropica (Stalnaker et al., 1995). IFIM permette di stimare le variazioni nella quantità di habitat idoneo (ADP = Area Disponibile Ponderata) alla vita e allo sviluppo della fauna ittica dipendenti dalle variazioni di deflusso. L’idoneità dell’ambiente fisico per ogni “specie ittica/stadio vitale” viene stimata grazie alle curve di idoneità che associano al valore della variabile ambientale (velocità di corrente, profondità dell’acqua e tipo di substrato) un grado di idoneità (0÷1) per la specie cui si riferisce. Il risultato è una curva ADP-Portata per specie ittica/stadio vitale dove in ascissa sono riportate le portate e in ordinata l’ADP espressa in m2/100m. Per una descrizione dettagliata del Metodo si rimanda a Ginot et al. (1998). L’applicazione dell’IFIM è avvenuta tramite il software EVHA 2.0 (EValuation de l’HAbitat physique des poissons en rivière, Ginot et al., 1998). Per il Taro si sono utilizzate le curve di idoneità di: Barbus plebejus (barbo), giovani, adulti e stadio riproduttivo (Rambaldi et al., 1997), Chondrostoma genei (lasca), giovani e adulti, e Leuciscus souffia (vairone), giovani e adulti (Bicchi et al., 2006). In figura 2 vengono riportate, a titolo di esempio, le curve di idoneità per la lasca. L’alveo è stato rilevato a Fornovo (PR) tramite campagne di misura ad hoc (Ginot et al., 1998). 61 Sara Chiussi et al. Figura 2: Curve di idoneità per la lasca (Chondrostoma genei) (Bicchi et al., 2006); in ascissa sono riportati i valori della variabile ambientale (altezza della lama d’acqua; velocità di corrente; granulometria del substrato) e in ordinata il corrispondente valore di idoneità che descrive il grado di accoglienza nei confronti della specie ittica di riferimento. Risultati Per ciascuna delle combinazioni specie ittica/stadio vitale è stata ricavata una curva ADP-Portata. Gli output sono stati interpretati qualitativamente (Ginot et al., 1998), come esemplificato in figura 3 per la lasca. Su ciascuna curva sono stati individuati: Figura 3: Curve di ADP (Area Disponibile Ponderata)/100m in funzione della portata per la lasca. L’ADP/100m identifica la quantità di habitat disponibile per una certa specie e stadio vitale su un tratto di fiume di lunghezza pari a 100m (Ginot et al., 1998). 62 Calcolo su base biologica del deflusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro 1. ADP Ottimale (Ginot et al., 1998): ADP OTT; punto di massimo della curva, corrisponde alle migliori condizioni che il tratto di fiume può offrire. 2. Soglia d’Accrescimento del Rischio: SAR (Ginot et al., 1998); limite al di sotto del quale il valore di ADP crolla rapidamente. 3. Livello d’Allarme: LA; è un elemento qui introdotto a scopo sperimentale, valore di portata con funzione unicamente diagnostica e gestionale: anticipa la SAR e consiglia un aumento dell’attenzione nella gestione dei deflussi. Tali valori sono riportati in tabella I. Tabella I: Fiume Taro a Fornovo. Sintesi delle portate critiche per la sopravvivenza e per la gestione di tutte le componenti biologiche esaminate. Portate (m3/s) corrispondenti a Stadio vitale e specie ADP ottimale Livello d’allarme Soglia d’accrescimento del rischio Lasca 3,4 – 4,3 m3/s 2,1 m3/s 1 m3/s Vairone 2,9 – 3,4 m3/s 2,9 m3/s 1,8 m3/s 0,7 – 0,8 m /s 0,7 0,7 m3/s Lasca 4,7 – 5,4 m3/s 2,3 m3/s 1 m3/s Vairone 2,3 – 2,7 m3/s 2,3 m3/s 1,8 m3/s – – 2,6 m3/s – – 2,6 m3/s Giovani Barbo 3 Adulti Barbo Stadio Riproduttivo Barbo Per confrontare le informazioni contenute nelle curve ADP-Portata delle diverse componenti ittiche ed ottenere un prospetto degli effetti complessivi dei decrementi di portata è stato introdotto l’Indice di Accoglienza (Ia) dato dal rapporto tra ADP e ADP Ottimale. Esso stabilisce il livello massimo di accoglienza che l’ambiente nel tratto di fiume può offrire al pesce ad una data portata e può essere usato per: a) quantificare la perdita di habitat mettendola in relazione alla potenzialità massima del tratto; b) confrontare gli effetti della stessa portata sulle diverse componenti biologiche. 63 Sara Chiussi et al. Il calcolo dell’Ia è limitato dalla possibilità di individuare chiaramente un massimo entro l’intervallo di portate considerato. Per rendere maggiormente fruibili le informazioni contenute nell’Ia i suoi valori sono stati suddivisi in classi qualitative. La figura 4 mostra come si è ottenuta la curva dell’Indice di Accoglienza per la lasca e riporta le classi di qualità individuate per l’interpretazione di tale indice. Figura 4: Indice di Accoglienza (Ia), calcolo e classi di qualità. L’Indice viene calcolato entro l’intervallo di simulazione come rapporto tra l’Area Disponibile Ponderata (ADP) rispettiva per ogni portata dell’intervallo e l’Area Disponibile Ponderata Ottimale (ADP OTT). Il valore dell’Indice di Accoglienza viene successivamente valutato attraverso una scala qualitativa e l’appartenenza ad una determinata classe di qualità: Ia < 0,30 Accoglienza Molto Scarsa; 0,30 < Ia < 0,50 Accoglienza Scarsa; 0,50 < Ia < 0,70 Accoglienza Sufficiente; 0,70 < Ia < 1 Accoglienza Buona; Ia = 1 Accoglienza Ottima. L’Indice di Accoglienza è stato applicato a tutte le componenti biologiche. Nella gestione del deflusso è auspicabile che l’Ia risulti Buono. Combinando i valori ottenuti dalle curve ADP-Portata e Ia-Portata con l’informazione relativa alla presenza delle specie ittiche ai diversi stadi di crescita nel periodo di indagine Maggio-Agosto (Tab. II), è stato possibile individuare un deflusso minimo di sopravvivenza per tutta la comunità, definito chiaramente dalla componente più sensibile, e un valore di deflusso in grado di garantire migliori condizioni di vita. 64 Calcolo su base biologica del delusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro Tabella II: Fiume Taro a Fornovo. Delussi critici per componente biologica per mese modulati in relazione alla struttura mensile delle popolazioni. Le caselle ombreggiate identiicano la presenza della componente indicata in riga nel mese indicato in colonna. Soglia d’Accrescimento del Rischio (m3/s) Componente biologica Maggio Giugno Luglio Agosto 1 1 1 1 1 Lasca Giovani Lasca Adulti 1 1 Lasca Ripr. \ \ 1,8 1,8 \ \ Vairone Giovani Vairone Adulti Vairone Ripr. 1,8 Barbo Giovani 1,8 1,8 \ 0,7 0,7 2,6 Barbo Adulti 2,6 2,6 2,6 Barbo Ripr. 2,6 2,6 2,6 Livello d’Allarme (m3/s) Lasca Giovani Lasca Adulti Lasca Ripr. 2,1 2,1 2,1 2,3 2,3 2,3 2,3 \ \ Vairone Giovani Vairone Adulti 2,9 2,3 2,3 2,3 \ \ \ 0,7 0,7 Barbo Adulti \ \ \ \ Barbo Ripr. \ \ \ Vairone Ripr. Barbo Giovani 2,3 Optimum (m3/s) Lasca Giovani Lasca Adulti Lasca Ripr. 3,4 – 4,3 3,4 – 4,3 3,4 – 4,3 4,7 – 5,4 4,7 – 5,4 4,7 – 5,4 4,7 – 5,4 \ \ Vairone Giovani Vairone Adulti Vairone Ripr. 2,9 – 3,4 2,3 – 2,7 2,3 – 2,7 \ \ Barbo Giovani 2,3 – 2,7 2,3 – 2,7 \ 0,7 – 0,8 0,7 – 0,8 \ Barbo Adulti \ \ \ Barbo Ripr. \ \ \ 65 Sara Chiussi et al. Discussione Per ogni mese del periodo di derivazione è stato dunque possibile individuare: • Portata di criticità; obiettivo minimo di sopravvivenza per tutta la comunità, deinito dalla SAR della componente più sensibile; • Delusso vitale; reale obiettivo di tutela che permetta alla fauna ittica di “vivere” in ambiente adeguato alle proprie esigenze. Per il Fiume Taro a Fornovo, l’obiettivo minimo in termini di sopravvivenza è determinato dal barbo: la portata di criticità è rappresentata durante tutto il periodo dalla SAR degli individui adulti e in riproduzione (2,6 m3/s). Raggiunta questa portata il iume dovrebbe garantire la sopravvivenza a giovani e adulti di tutte le specie. Poiché tale delusso costituisce una soglia di criticità, per tutelare opportunamente questi esemplari appare più ragionevole cercare di mantenere delussi superiori. Per ogni mese si è quindi proceduto ad individuare il delusso al quale si realizza il primo miglioramento signiicativo, in termini di accoglienza della fauna ittica, a mano a mano che ci si allontana dall’obiettivo minimo. Si è così delineato il quadro dei delussi critici modulati per mese (Tab. III). Tabella III: Sintesi dei delussi critici per mese. Maggio Giugno Luglio Agosto Delusso vitale 4,7 m3/s 3,4 m3/s 3,4 m3/s 2,9 m3/s Portata di criticità 2,6 m3/s 2,6 m3/s 2,6 m3/s 2,6 m3/s I delussi critici sono stati confrontati con la serie storica 2001-2006 delle portate del Fiume Taro a Fornovo. Da tale confronto è emerso che diicilmente il regime idrologico del Fiume Taro poteva garantire i delussi critici per tutto l’arco dell’anno. Le informazioni ottenute dalle curve ADP-Portata riguardano le singole componenti biologiche. Secondo l’ipotesi sempliicatrice su cui si basa la metodologia applicata, la consistenza efettiva di una popolazione di pesci deve essere direttamente correlata con la qualità dell’habitat (Pouilly & Souchon, 1995). Secondo Bovee (1988) il fattore habitat è necessario ma non suiciente a spiegare lo sviluppo di una determinata popolazione. Bisogna infatti tenere presente altri fattori quali le risorse nutritive, la disponibilità di ripari e rifugi, la disponibilità e distribuzione di zone adatte alla riproduzione, la qualità dell’acqua nonché le interazioni biologiche di competizione, predazione e parassitismo (Garcia de Jalon & Gortazar, 2007). Pur- 66 Calcolo su base biologica del delusso minimo vitale. Il caso del Fiume Taro troppo la molteplicità delle specie, degli stadi di sviluppo e dei fattori che inluenzano la scelta del microhabitat limitano l’eicacia dell’applicazione di curve di idoneità monovariate ed anche l’utilizzo di molteplici curve non è in grado di tradurre questa complessità (Pouilly & Souchon, 1995). Nel presente lavoro vengono utilizzate le curve di preferenza di diverse specie per avere un quadro il più completo possibile delle esigenze delle singole componenti ma si è compiuto uno sforzo interpretativo verso un risultato che tenesse conto di tutta la comunità ittica: da un lato si sono considerate le modiicazioni stagionali della struttura della comunità, dall’altro si è rilevata la necessità di confrontare le informazioni contenute nelle diverse curve ADP-Portata, trasformandole in indicazioni che illustrassero in maniera schematica gli efetti dei decrementi di portata sulla conservazione delle specie ittiche. Conclusioni Lo studio qui presentato consente di avanzare l’ipotesi che il DMV idrologico (1,6 m3/s) non sia tutelante nei confronti di alcuna delle specie presenti nel Fiume Taro. Durante tutto il periodo di derivazione è importante mantenere in alveo almeno 2,6 m3/s. La curva di durata dell’Anno Medio mostra che il Fiume può presentare delussi superiori ai 2,6 m3/s anche in estate. È dunque possibile gestire il delusso “disponibile” per le derivazioni evitando l’abuso della risorsa. Negli anni siccitosi lo stato d’emergenza richiederebbe misure straordinarie di gestione. Il Taro è sottoposto a prelievi anche nel suo tratto montano e la portata misurata alla stazione idrometrica di Fornovo rilette il delusso naturale a meno di quei prelievi. Nei periodi di crisi l’attuazione di misure d’emergenza dovrebbe contemplare la possibilità di attuare sistemi di gestione integrata di tutte le derivazioni sul corso d’acqua. Un’importante novità del presente lavoro è l’articolazione più dettagliata del concetto di Delusso Minimo Vitale. Si cerca di superare l’approccio comune che distingue unicamente tra due tipi di condizioni luviali: una caratterizzata da una portata soglia al di sotto della quale sono realistiche alcune disastrose occorrenze e una caratterizzata da tutte le altre portate (USGS, 2001; Hudson et al., 2003). In questo lavoro si distingue tra una Portata di Criticità e un Deflusso Vitale: la prima costituisce un limite di “sopravvivenza” non necessariamente tutelante; il secondo indica una condizione in cui la fauna ittica ha la possibilità di “vivere” in ambiente adeguato alle proprie esigenze. 67 Sara Chiussi et al. Bibliografia Bicchi, A., Angeli, V., Carosi, A., La Porta, G., Mearelli, M., Pedicillo, G., Spigonardi, M. P. & Lorenzoni, M. (2006) Curve di preferenza delle principali specie ittiche del bacino del iume Tevere (Umbria, Italia). S.It.E. Atti, Viterbo/Civitavecchia. Bovee, K. 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San Sisto, 06074 Perugia 2 Libero professionista, Perugia 3 Libero professionista, Firenze *[email protected] Abstract A work regarding restoration of the irst part of Clitunno river (Site of Community Importance) was carried out by the Consorzio di Boniicazione Umbra during the year 2006. he actions were based above all on sediment and hydrophyte removal and bank piling. Our Agency of Environmental Protection considered convenient to investigate on the impact of such interventions on luvial wildlife. To obtain reliable results the application of French indices (GIS, IBMR) to freshwater macrophytes resulted uncorrected for: a) the large cutting operations; b) the little size of our luvial site in comparison with the French large rivers. Studies on benthic macroinvertebrates at taxonomic level of species were more useful; the investigation showed a heavy decrease of the number of organisms and species. he disappearance of Bereodes minutus, testiied by preceding studies, was the more concrete sign of an inexpert management. he damage was ascribed above all to the lack of habitats caused by indiscriminate cut of macrophytes and bank piling. Introduction Clitunno river is one of the most interesting ecosystems of Italy. he irst part of the stream (1.86 mi) was declared Site of Community Importance. It takes origin from springs (low 1,300 l/sec) emerging at the base of Serano mount chains. he Fonti (springs) area, particularly suggestive for the richness of aquatic biocenosys 69 Linda Cingolani et al. (macrophytes and benthic macroinvertebrates) was classiied “Biotope of naturalistic Interest” by the Italian Botanic Society. he running water forms limpid puddles deep up to 4 m, in which a spectacular aquatic vegetation waves. he peculiarity of the site, holy for Roman people, induced in the course of time various subjects (public and private) to promote actions and behaviours, often in discordance because of the diferent points of view, but always inalized to safeguard or improve the river functionality. For this reason the aim of our work was to verify the impact of a series of luvial restoration actions made by “Consorzio di Boniicazione Umbra” during the year 2006, regarding, above all, sediment removal (with consequent extirpation of hydrophytes) and piling of the river banks. Material and Methods he study was carried out from 2007 to 2008. he control stations were 13, 100 m in length. he investigation was based on characterization of a) benthic macro-invertebrate communities (taxonomy at species level), b) aquatic and riparian macrophytes (taxonomy at species level). Employment of diferent indices was tested. he macroinvertebrate indices were: IBE (APAT et al., 2003) applied in all the stations for verifying pollution; Shannon diversity index H’ (Shannon & Weaver, 1949), Simpson dominance index D (Simson,1949), Menhinick richness index R (Menhinick, 1964), applied on 9 sampling points. he last three indices were considered essential for evaluating the state of biodiversity (presence/absence of species, distribution of relative abundance) along the site; in this case the random samples were quantitative, as required by the methods. he macrophyte indices tested were: GIS (Haury et al., 1996), IBMR (AFNOR, 2003). he observed invertebrates, plants and algae were compared with bibliographic material existent from 1889 (in Cingolani & Padula, 2008). In the period of investigation 16 chemical and microbiological samples were collected. 70 Management questions regarding a fluvial Site of Community Importance Results he averages of chemical and microbiological data are showed in table I. he values of nutrients detected along the site were very low, satisfying salmon life. he same for the other chemical data, resulting little useful for the study. he relatively low concentrations of D. O. were due to the numerous springs arising along the river. Only data coming from lateral branches of the river, where sewages were discharged, showed high nutrient values, in concordance with vegetation French indices. he area Fonti and the principal branch, instead, always resulted uncontaminated and free of polluted substances. Table I: Chemical and Microbiological results. Average of 16 samples/ in two years. Stations Parameters F1 NH3 –mg/l + 4 NH – mg/l 0.03 + 4 NH (N) – mg/l NO3 (N) – mg/l 0.92 C1 C2 C3 C4 C5 C6 RS1 FV0 <0.0004 <0.0004 <0.05 <0.05 2.10 FV1 FV2 BM1 M1 <0.04 <0.04 <0.04 0.10 0.11 0.08 <0.04 <0.04 0.20 0.08 0.26 0.18 1.67 0.90 0.98 1.20 1.11 1.67 1.80 1.00 1.20 1.40 1.20 581 681 673 0.06 0.07 0.07 7.69 7.74 7.73 1.01 BOD5 – mg/l (O2) 1.36 1.10 0.60 1.10 1.40 1.09 1.36 1.70 4.30 COD – mg/l (O2) 5.08 < 5.0 < 5.0 < 5.0 < 5.0 4.75 5.08 5.50 14.00 727 774 772 643 690 668 727 Cond. – µS/cm (20 °C) 746 Phenols – mg/l <0.005 Ptot. – mg/l < 0.02 Hydrocarbon tot. – mg/l <0.040 534 <0.005 <0.005 <0.005 <0.005 <0.005 0.03 <0.010 <0.010 <0.010 0.09 < 0.02 0.17 <0.040 <0.005 0.02 0.01 Orthophosphate – mg/l 0.01 0.03 0.01 0.01 0.02 0.03 0.08 0.03 0.05 DO % sat. 61.49 68.98 82.88 81.98 87.39 92.04 86.92 68.98 77.88 pH 7.50 7.43 7.53 7.52 7.58 7.76 7.69 7.43 7.55 2.80 1.40 2.05 2.55 8.00 5.70 2.80 155.0 12.12 11.00 10.95 10.75 10.40 10.94 12.12 14.00 <0.05 <0.05 <0.05 <0.05 <0.05 0.09 SS tot. – mg/l T° water – °C MBAS – mg/l E.coli – ufc/100 ml 12.21 <0.05 38 974 91 Macrobenthos control permitted to estimate the taxon richness and species distribution in the communities (relative abundance, grade of dominance and rarity). he obtained data (Fig. 1) showed that the most grade of evenness was along C2 71 Linda Cingolani et al. station; in fact H’ presented the highest value of diversity (2.76), conirmed by the lowest value of D (0.076) and the relatively high value of R (1.77). Figure 1: Trend of the α – diversity indices across the investigated luvial site. Shannon: increases with the presence of many taxa of similar abundance. Menhinick: decreases in consequence of community simpliication. Simpson: increases with the prevalence or dominance of few species. he lowest value of biodiversity (H’= 1.687) was found in Station C3A, aflicted also by a modest richness of species (R= 0.666) and a high D index = 0.16h. he Station C4 presented the highest value of dominance (D = 0.25); in concordance also the other indices (R= 0.753, H’= 1.695) showed a very simpliied community in which the dominant organisms were Bithynia tentaculata e Agapetus nimbulus. In Station C5, the last of the S.I.C., a modest improvement of diversity and equable-distribution seemed due to the habitat enlargement, in consequence of the presence of a very dense aquatic vegetation, capable to ofer more niches.he general impoverishment of taxa observed in the site, in fact, seemed connected to the continuous cutting of aquatic and riparian vegetation, thrown unresponsively into the river for all the spring and summer period, without any attention about the repercussions on the delicate balances governing luvial ecosystems. So the found benthonic taxa were little and composed of few individuals. 72 Management questions regarding a fluvial Site of Community Importance All the species, furthermore, belonged to very tolerant groups, typical of polluted environments. Only in proximity of the principal springs (area Fonti), community simpliication could be ascribed to natural factors like reocrenic and limnocrenic facies. In this site only few macroinvertebrates are adaptable, like Polycelis nigra and Agapetus fuscipes, also if not exclusive of spring waters. he aquatic and riparian vegetal component studies required many eforts to assess the real consistence and distribution of species. he cut of typical luvial plants, in fact, made diicult to individuate the real presence of many species. During the investigation, 3 species not signalized in precedent studies were found, while 48 aquatic and riparian plants had disappeared. he cutting operation, besides making the recognising operations diicult, seemed to have modiied the community structure, above all in the irst part of the principal branch, where the limpid waters once showed beautiful dances of Potamogeton natans, P. pusillus, Ranunculus aquatilis, R. fluitans and Vallisneria spiralis. Only for a brief period, before cuttting operations, it was possible to observe the spectacular colours of little woods of Mentha aquatica rubra (in front of the springs) and the tangled skeins of Hyppuris vulgaris (toward the exit of waters from area Fonti). Only in consequence of our lamentations, in the second year it was possible, sometime, to admire large lawns of Groenlandia densa in the pools. In general, the modiications of communities seemed to regard substitution of low growth plants with high growth essences; the phenomenon favoured also the increase of ilamentous algal populations in the water and ruderal plants on the banks. For example, Ranunculus thrichophyllus was found in the bottom of the Fonti pools only after very numerous samplings, and in a so little amount to be absolutely invisible in the surface, choked from expansion of Galium palustre and Apium nodiflorum. he improper managing operations might to have contributed to the ineiciency of French indices adopted to evaluate eutrophication phenomena (Tab. II). 73 Linda Cingolani et al. Table II: French index values in comparison with observed data regarding ammonium and phosphates. Sampling Site GIS N-NH3 μg/l Expected PO4— μg/l Expected N-NH3 μg/l Observed PO4— μg/l Observed IBMR Trophic level Fonti 3.3 100-150 high 100-150 high < 40 <5 11 medium C1 5.3 50-100 medium 50-100 medium < 40 <5 12 medium C2 5.2 50-100 medium 50-100 medium < 40 <5 12 medium C4 4.6 100-150 high 100-150 high < 40 <5 11 medium C5 4.3 100-150 high 100-150 high < 40 <5 10.7 medium FV2 4.8 100-150 high 100-150 high 100 21 10.8 medium BM1 5.3 50-100 medium 50-100 medium 260 70 12 medium MR1 4.6 100-150 high 50-100 medium 180 70 9.4 high In particular, as regards the riparian vegetation, elophytes and hygrophilous spontaneous plants (Tab. III) were regularly extirpated, while arboreal essences (Salix alba, Tilia europaea and Aesculus hyppocastanum) were planted in a linear succession. Such choice, as already said, took to a proliferation of ruderal herbaceous plants. Table III: Principal Vegetal Taxa Detected in the Fluvial investigated Site. Riparian Species Aquatic Vascular Species Filamentous Algae Lythrum salicaria Lemna spp. Planktotrix sp. Eupatorium cannabinum Callitriche spp. Batrachospermum moniliforme Myosotis scorpioides Myriophyllum spp. Lemanea luviatilis Bidens tripartite Hyppuris vulgaris Tribonema sp. Pispalum pispaloides Groenlandia densa Vaucheria sp. Cirsium spp. Potamogeton spp. Diatoma spp. Equisetum spp. Ranunculus trichophyllus Ellerbeckia arenaria Aristolochia spp. Zannichellia palustris Chara spp. Petasites spp. Alisma plantago aquatica Cladophora sp. Carex spp. Cardamine hirsuta Mugeotia sp. Cyperus spp. Rorippa nasturtium aquaticum Spirogyra sp. Holoschoenus romanus Agrostis stolonifera Ulothrix sp. Scirpus lacustris Juncus efusus Zygnema sp. Dipsacus lullonicum Mentha spp. LIVERWORTS Phragmites australis Galium palustre Conocephalum conicum Iris pseudacorus Veronica anagallis aquatica Lunularia cruciata 74 Management questions regarding a fluvial Site of Community Importance Riparian Species Aquatic Vascular Species Filamentous Algae Eleocharis palustris Sparganium erectum Marchantia sp. Juncus spp. Apium nodiflorum Riccia fluitans Tipha angustifolia Berula erecta Fontinalis antipiretica Lycopus europeus Cratoneuron felicinum Sambucus ebulus Palustriella commutate Ranunculus spp. Adiantum capillus veneris Epylobium spp. Asplenium Adiantum nigrum Poligonum spp. Asplenium trichomanes Lysimachia spp. Ranunculus spp. Thalictrum flavum Cruciata laevipes Veronica beccabunga Scrophularia auricolata Solanum dulcamara Cicuta virosa Urtica dioica Echinochloa crus-galli Tussilago farfara Xanthium italicum Melilotus alba Rumes hydrolapathum Ranunculus spp. he bank piling operations made by Consorzio di boniica “to preserve riparian site” have unpleasant consequences: Bereodes minutus (tricoper typical of the Fonti) disappeared for elimination of his habitat, consisting in the tree roots lowing in the water. Discussion In conclusion, in our opinion the uncorrected management of the river was the principal cause of simpliication of the animal and vegetal communities in the luvial ecosystems. Such results derived from an inadequate knowledge of biological mechanisms of the team involved in river restoration. In consequence, the rehabilita- 75 Linda Cingolani et al. tion actions (bank piling, vegetation cut and substation of spontaneous vegetation with big trees) were more harmful than a free evolution of the site. As regards community studies, we thinks that French vegetation indices are no apt to the water of the investigated district, too particular for a generic and strict monitoring. In similar way the IBE index was little useful for understanding the role of macrobenthos communities in the ecosystem, in fact, taxonomy resulted too coarse for evaluating biodiversity and conservation of typical species. Biodiversity indices, operating at species level, were in this case more opportune. References AFNOR (2003) Qualité de l’eau: Determination de l’Indice Biologique Macrophytique en rivière (IBMR). NF T 90-395. APAT-IRSA-CNR (2003) Metodi Analitici per le Acque. Manuali e Linee Guida, 1,2,3. Cingolani, L. & Padula, R. (2008) Metodologia per l’individuazione e valutazione dei possibili impatti su un ecosistema iume, derivanti da interventi di ripristino ambientale e di restauro della continuità luviale. ISPRA Roma, ARPA Umbria. Consorzio Boniicazione Umbra (2006) Progetto integrato Clitunno. Spoleto. Haury, J., Peltre, M. C., Muller, S., Tremolieres, M., Barbe, J., Dutartre, A. & Guerlesquin, M. (1996) Des indices macrophytes pour estimer la qualitè des cours d’eau francais: premieres proposition. Ecologie, 27 (4), 233244. Menhinick, E. P. (1964) A comparison of some species-individual diversity indices applies to samples of ield insects. Ecology, 45, 859-861. Shannon, C. E. & Weaver, W. (1949) he mathematical theory of communication. University of Illinois Press, Urbana. Simpson, E. H. (1949) Measurement of Diversity. Nature, 163, 688. 76 Effetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa in un tratto del fiume Taro (Parma) Effect of hydrological regime variations upon fisheries: a quali-quantitative analysis in a section of the Taro river (Parma) Lorenzo Pattini1*, Cristina Bondavalli2, Sara Chiussi2 & Maurizio Biolzi1 2 1 Arci Pesca Fisa sez. Prov. di Parma, Strada Baganzola 7, 43100 Parma Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Parma, Via G. P. Usberti 33/A , 43100 Parma *[email protected] Abstract Una gestione della risorsa idrica che renda compatibili i diversi usi antropici con la salvaguardia e la conservazione degli ecosistemi diventa sempre più una necessità: la sempre più pressante richiesta di concessioni idriche pone seri problemi alla gestione dei corsi d’acqua. Capire le esigenze ecologiche delle specie ittiche presenti nei iumi è importante non solo per ampliare le conoscenze sulla loro biologia, ma soprattutto per conoscere e mitigare i fattori di rischio e di minaccia, e approntare quegli interventi sull’ambiente e in campo gestionale, che ne permettano la difusione e la conservazione. Questo è il contesto in cui si pone questo studio relativo l’analisi delle popolazioni ittiche all’interno di un tratto del iume Taro in parte compreso all’interno del territorio dell’omonimo Parco Regionale. Durante la campagna d’indagine (anno 2008), alle 3 stazione campionate, sono state rinvenute 11 specie ittiche (alborella, anguilla, barbo canino, barbo comune, cavedano, cobite, ghiozzo padano, gobione, lasca, triotto e vairone) di cui solo 4 non assoggettate a forme di tutela o inserite all’interno di normative comunitarie (alborella, anguilla, cavedano e il trotto): tutte le specie catturate possono considerarsi autoctone. Le popolazioni campionate risultano essere destrutturate: è elevato il numero di individui giovani e di piccola taglia, mentre gli adulti sono presenti in modo sporadico. Le biomasse misurate diminuiscono progressivamente da giugno a settembre in controtendenza rispetto al numero di animali catturati. L’incremento numerico riguarda principalmente gli individui di piccola taglia. Questa fenomeno sta ad indicare che la diminuzione dei livelli idrometrici dovuta al normale regime di magra estiva e alle captazioni efettuate a scopo irriguo, inluenzano la distribuzione degli individui adulti, relegandoli nelle zone più profonde del corso d’acqua e favorendo l’insediamento dei giovani nelle rimanenti parti dell’alveo. 77 Lorenzo Pattini et al. Introduzione e obiettivi L’analisi delle popolazioni ittiche in un tratto del iume Taro, in parte compreso nell’omonimo Parco, nasce dall’esigenza acquisirei aggiornare i dati sull’ittiofauna pregressi per valutarne lo stato attuale e l’evoluzione recente. I primi campionamenti risalgono al giugno del 1985 (efettuati dallo studio IND.ECO., 1995), mentre gli ultimi, più recenti, sono stati svolti tra il 1999 e il 2001 nell’ambito del Progetto LIFE 98 (Pascale, 1999). I dati raccolti sono stati confrontati con quelli della Carta Ittica Regionale in particolare per le specie segnalate, all’interno del territorio del Parco, di particolare interesse dal punto di vista conservazionistico (All. II della Dir. 92/43/CEE ). Il presente lavoro è anche parte integrante di un progetto di più ampia portata, inalizzato ad individuare gli eventuali impatti sull’ecologia del iume derivati dalle captazioni presenti nel tratto in esame. L’obiettivo è quello di fornire indicazioni riguardo al delusso minimo vitale che deve essere garantito in un corso d’acqua soggetto a derivazioni, al ine di tutelare gli ecosistemi luviali e, in particolare, la vita acquatica. Materiali e metodi Il iume Taro nasce dalle pendici del Monte Penna e sfocia in Po dopo un percorso di 133 km. L’area presa in esame in questo studio si estende per circa 20 km, dalla conluenza con il Torrente Ceno presso il Ponte dell’Autostrada nel Comune di Fornovo sino all’attraversamento situato tra Giarola e Collecchio, nel comune di Collecchio. La zona campionata ricade per buona parte all’interno dell’area del Parco del Taro e anche all’interno del sito SIC – ZPS denominato IT 4040021. Il torrente, a carattere epipotamale per parte del suo corso, presenta, durante il periodo estivo, tratti in cui sono visibili notevoli riduzioni di portata con possibili fenomeni di secca. Durante l’estate la minore diluizione degli scarichi, le elevate temperature ed il ristagno delle masse d’acqua causano ioriture algali. Sono state identiicate tre stazioni per il campionamento: 1. Taro 1 (a valle della conluenza del Fiume Ceno fuori dai conini del Parco): situata a monte delle due principali captazioni, permette di ottenere indicazioni su popolamenti ittici presenti senza risentire delle inluenze dovute ai prelievi idrici; 2. Taro 2 (tra le località Riccò e Ozzano Taro): situata a valle della Presa del Canale del Duca e a monte dello scolmatore del Canale Naviglio Taro; 78 Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa 3. Taro 3 (nell’attraversamento della camionabile a Collecchio): si trova a valle delle due principali captazioni. La campagna di monitoraggio prevede, per ogni stazione individuata, tre cicli di campionamento: ogni ciclo viene efettuato a distanza di circa un mese dal precedente. Il primo ciclo è stato efettuato nel mese di giugno, precedentemente all’apertura dei canali di irrigazione. Il secondo ciclo è stato efettuato nel mese di agosto ovvero nel periodo più critico per la fauna ittica e per gli ecosistemi perché corrisponde al momento in cui è minima la disponibilità della risorsa idrica a seguito del regime di magra stagionale e del prelievo operato da parte dei consorzi di boniica a scopo irriguo. Il terzo ciclo è stato efettuato a settembre che corrisponde al termine del periodo irriguo e alla chiusura dei canali utilizzati per le derivazioni. Insieme ai dati inerenti alla fauna ittica sono state raccolte anche alcune indicazioni riferite all’ambiente circostante: temperatura, lunghezza e larghezza massima del tratto campionato, caratteristiche morfologiche del substrato. Per ogni stazione di campionamento è stata individuata una sezione longitudinale dell’asta del iume avente una lunghezza di 100 m e le due estremità dell’area sono state chiuse trasversalmente mediante l’utilizzo di reti (aventi maglie di grandezza di 10 x10 mm) issate attraverso cavi scorrevoli ad appositi supporti (pali di ferro) inissi nel terreno a distanza di circa 5 m l’uno dall’altro. Tutti i campionamenti dell’ittiofauna sono stati efettuati con elettrostorditore portatile a corrente continua, pulsata ed a voltaggio modulabile (300 – 600 V). L’intensità della corrente poteva essere variata in funzione della tipologia ambientale (Peduzzi & Meng, 1976). Gli individui catturati sono stati classiicati, contati, pesati e misurati. I dati raccolti hanno consentito di determinare: densità e/o indici di abbondanza numerica, biomassa totale e media, stima di consistenza numerica. La stima della popolazione (N) è ottenuta mediante il metodo dei passaggi ripetuti (Moran, 1951; Zippin, 1958). Risultati Durante i campionamenti efettuati nei tre mesi del 2008 sono stati catturati 2801 esemplari di fauna ittica appartenenti a 11 specie (Tab. I). 79 Lorenzo Pattini et al. Tabella I: Numero complessivo degli animali catturati e biomasse osservate. Specie Numero di individui Numero di individui ( %) Biomasse complessive (g) Biomasse complessive ( %) Alborella (Alburnus alburnus) 42 1 28 0 Anguilla (Anguilla anguilla) 1 0 1.640 14 Barbo canino (Barbus meridionalis) 1 0 55 0 Barbo comune (Barbus plebejus) 490 17 3.498 30 Cavedano (Leuciscus cephalus 394 14 2.051 17 Cobite (Cobitis taenia Linnaeus, 1758) 144 5 444 4 Ghiozzo (Podogobius martensii) 742 26 1.318 11 Gobione (Gobio gobio) 299 11 683 6 Lasca (Chondrostoma genei) 437 16 1.531 13 1 0 7 0 250 9 480 4 Triotto (Rutilus erythrophthalmus) Vairone (Leuciscus souia) Totale 2.801 11.735 Dal punto di vista numerico la specie maggiormente rappresentata è il ghiozzo con 742 individui, seguita dal barbo comune con 490 individui e dalla lasca con 437 rappresentanti. La biomassa più elevata è a carico del barbo comune che incide per il 31 % sul peso totale degli animali catturati, seguono cavedano (17 %), lasca (13 %) e ghiozzo (11 %). Il dato numerico di biomassa riferita all’anguilla incide per il 14 % rispetto al totale, ma è riferito ad un unico esemplare di grosse dimensioni (1640 g). Valutando l’importanza delle specie catturate attraverso un indice di abbondanza semiquantitativo riferito ad ogni stazione censita (Tab. II), si vede che barbo comune e ghiozzo sono le specie dominanti in tutte e tre le stazioni, mentre cavedano, gobione e vairone sono dominanti solo nelle stazioni Taro 2 e 3. Il cobite è presente nella stazione Taro 1, diventa frequente nella stazione Taro 2, mentre è dominante nella stazione Taro 3. L’alborella è assente nella stazione Taro 1, è scarsa nella stazione Taro 2 e diventa frequente nella stazione Taro 3. La lasca è abbondante nelle 80 Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa stazioni Taro 1 e 2 e diviene dominante nella stazione Taro 3. Il vairone ha un andamento in controtendenza in quanto risulta abbondante in Taro 1, dominante in Taro 2 per poi diminuire drasticamente (presente) in Taro 3. Tabella II: Indice di abbondanza semiquantitativo (n° di individui in 100 m lineari di iume): a) scarso (2-4 individui), b) presente (6-20 individui), c) frequente (21-40 individui), d) abbondante (41-100 individui), e) dominante (41-100 individui). Specie Taro 1 N° Individui Taro 2 Abbondanza Abbondanza N° individui Abbondanza Scarso 40 Frequente Alborella 0 2 Anguilla 0 1 Barbo canino Taro 3 N° Individui 0 1 Barbo comune 139 Dominante 157 Dominante 194 Dominante Cavedano 79 Abbondante 185 Dominante 130 Dominante Cobite 6 Presente 23 Frequente 115 Dominante Ghiozzo 138 Dominante 317 Dominante 287 Dominante Gobione 49 Abbondante 126 Dominante 124 Dominante Lasca 54 Abbondante 95 Abbondante 288 Dominante Abbondante 198 Triotto 0 Vairone 47 Totale 513 1 1105 0 Dominante 5 Presente 1183 Analizzando più in dettaglio i dati raccolti, anche in relazione al periodo di campionamento (Tab. III), si vede come le densità totali attese aumentano passando da giugno (510 individui) a luglio (1232 individui) ino a settembre (1907 individui), contrariamente alle biomasse totali che invece diminuiscono passando da 5026 grammi di giugno, ai 3222 g di luglio ino ad arrivare ai 2462 g di settembre. Per alcune specie infatti le biomasse medie diminuiscono drasticamente passando da giugno a settembre, nonostante il numero di individui aumenti a volte anche in modo considerevole. È il caso del barbo comune che a giugno presenta una biomassa media di 48 grammi e 52 individui attesi, mentre a settembre presenta una biomassa media di 2 grammi e una densità attesa di 346 individui. Lo stesso andamento viene osservato per cavedano, lasca e vairone. Per altre specie come ghiozzo, gobione e cobite, le variazioni sono minime nei tre periodi. 81 Lorenzo Pattini et al. Tabella III: Dati di densità e biomassa attesa e osservata, e biomassa media nei tre periodi di campionamento. Specie Ittica Numero tot. Densità attesa (Moran e Zippin) Biomassa tot osservata (g) Biomassa attesa (g) Biomassa media (g) PERIODO Barbo Comune 41 52 1.981 2.525 48,3 giu-08 Cavedano 58 68 1.282 1.500 22,1 giu-08 25 26 70 71 2,8 giu-08 Ghiozzo Cobite 163 197 288 349 1,8 giu-08 Gobione 21 22 52 55 2,5 giu-08 101 123 1.249 1.520 12,4 giu-08 Vairone Lasca 22 22 105 106 4,8 giu-08 Totale 431 510 5.027 6.126 Barbo Comune 127 182 1.419 2.030 11,2 ago-08 Cavedano 108 111 362 370 3,4 ago-08 52 – 172 – - ago-08 ago-08 Cobite Ghiozzo 294 – 547 – - Gobione 131 197 324 486 2,5 ago-08 Lasca 322 673 266 556 0,8 ago-08 1,9 ago-08 Vairone Totale Alborella 70 71 133 134 1.104 1.232 3.223 3.577 40 40 24 24 0,6 set-08 Barbo Comune 322 347 755 813 2,3 set-08 Cavedano 228 317 437 608 1,9 set-08 67 68 202 203 3,0 set-08 Ghiozzo 283 333 483 568 1,7 set-08 Gobione 139 147 307 325 2,2 set-08 14 14 16 16 1,1 set-08 157 64 240 978 1,5 set-08 1.250 1.907 2.463 3.535 Cobite Lasca Vairone Totale Suddividendo gli esemplari campionati in classi di lunghezza (Tab. IV) si vede come il maggior numero di individui appartiene alle prime due classi di lunghezza e questa caratteristica è presente in tutti e tre i periodi di campionamento. In speciico un aumento numerico si evidenzia soprattutto per quanto riguarda la prima classe, mentre gli intervalli di lunghezza che vanno dai 15 ai 30 cm hanno rappresentanti solo nel primo campionamento e risultano assenti in quelli successivi. Parallelamente, la biomassa della prima classe di lunghezza aumenta dal primo al terzo campionamento, mentre quella del secondo e del terzo intervallo diminuisce, tanto da determinare un generale calo della biomassa complessiva passando da giugno a settembre. 82 Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa Tabella IV: Numero di individui e biomasse osservate delle specie ittiche campionate suddivisi in base a classi di lunghezza e periodo di campionamento. 5 Cavedano Cobite 4 3 214 giu-08 193 1 8 31 14 5 19 234 25-30 cm 7 20-25 cm 1 15-20 cm 3 10-15 cm 5-10 cm 27 0-5 cm 2 Barbo Canino 35-40 cm Barbo Comune Biomassa (g) 25-30 cm 1 20-25 cm 5-10 cm 1 15-20 cm 0-5 cm Alborella 10-15 cm Numero di individui Specie Ittica 525 360 1.207 giu-08 55 giu-08 474 giu-08 3 22 4 66 giu-08 Ghiozzo 154 10 269 19 giu-08 Gobione 3 18 Lasca 4 77 Vairone 3 19 Totale 178 205 20 6 46 4 772 5 100 giu-08 473 giu-08 Triotto giu-08 39 10 0 3 317 giu-08 1.451 1.191 Alborella Barbo Comune 889 1.207 ago-08 42 75 9 1 37 537 189 Barbo Canino ago-08 giu-08 Cavedano 82 22 88 177 Cobite 11 41 15 157 ago-08 Ghiozzo 273 22 482 65 ago-08 Gobione 27 102 Lasca 307 15 Triotto 4 1 63 8 Totale 805 286 Alborella 40 Barbo Comune 265 14 0 0 0 1 4 44 276 67 ago-08 7 ago-08 90 46 ago-08 954 1.333 3 379 ago-08 290 24 54 ago-08 199 1 Vairone 97 set-08 322 53 Barbo Canino set-08 set-08 Cavedano 192 36 286 151 set-08 Cobite 24 43 40 162 set-08 Ghiozzo 268 15 44 40 set-08 Gobione 122 26 242 66 set-08 Triotto set-08 Lasca 13 1 13 3 set-08 Vairone 150 7 217 22 set-08 Totale 1.074 182 1.644 766 3 0 0 0 0 53 83 Lorenzo Pattini et al. Discussione e conclusioni Durante la campagna di indagine svolta nell’anno 2008 all’interno delle tre stazioni campionate sono state rinvenute 11 specie ittiche (Tab. I), che sono risultate essere tutte autoctone e la maggior parte anche assoggettate a forme di tutela o inserite all’interno di normative comunitarie, solo anguilla, alborella, triotto e cavedano non rientrano in queste categorie. Infatti, barbo comune, barbo canino e ghiozzo padano sono inserite nell’allegato 2 e 5 della Direttiva Habitat (Direttiva 92/43/CEE), nell’allegato 2 della Convenzione di Berna (1978) e, per quanto riguarda il Ghiozzo, è considerato anche una specie endemica (Zerunian, 2002). Se la composizione in specie risulta essere di notevole pregio naturalistico, i dati rilevati durante i tre campionamenti in tutte le stazioni esaminate evidenziano che le popolazioni ittiche non sono distribuite tra le diverse classi dimensionali in modo ottimale, in quanto per diverse di loro mancano in particolar modo gli individui adulti e, in alcuni casi, anche quelli appartenenti ai primi stadi giovanili. Solo per ghiozzo, gobione, vairone e lasca nella sola stazione Taro 2, le curve riferite alla struttura di popolazione appaiono in linea con quelle tipiche di una distribuzione normale. La composizione della struttura di popolazione, inoltre, varia da giugno a settembre, quando ad un aumento del numero di individui, in special modo appartenenti alle prime classi di lunghezza, corrisponde una diminuzione delle biomasse complessive. Quanto osservato fa supporre che la diminuzione dei livelli idrometrici dovuta al normale regime di magra estiva e alle captazioni efettuate a scopo irriguo inluenzano la distribuzione degli individui adulti, relegandoli nelle zone più profonde del corso d’acqua e favorendo l’insediamento dei giovani nelle rimanenti parti dell’alveo. 84 Efetti delle alterazioni del regime idrologico sulla fauna ittica: analisi quali-quantitativa Bibliografia Convenzione di Berna (1979) Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica dell’ambiente naturale in Europa, irmata a Berna il 19/11/79, ratiicata in Italia con legge n. 503 del 05/08/81. Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della lora e della fauna selvatiche. IND. ECO. Studio Associato (1995) La fauna ittica del Parco del Taro. Parma. Moran, P.A.P. (1951) A mathematical theory of animal trapping. Biometrika, 38, 307-311. Pascale, M. (1999) Rilevamenti sull’ittiofauna per la costruzione di una scala di risalita sul iume Taro. Progetto Life Natura (1998), Consorzio Regionale Parco del Taro. Peduzzi, R. & Meng, H. (1976) Introduzione alla pesca elettrica. 2- La reazione del pesce alla corrente elettrica. Rivista Italiana di Piscicoltura e Ittiopatologia, 11, 55-63. Zerunian, S. (2002) Condannati all’estinzione? Biodiversità, biologia, minacce e strategie di conservazione dei Pesci d’acqua dolce indigeni in Italia. Edagricole, 220. Zippin, C. (1958) he removal method of population estimation. Journal Wildlife Management, 22, 82-90. 85 Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotografiche sui limiti inferiori delle praterie di P. oceanica dell’AMP Capo Rizzuto Experimenting new monitoring photographic techniques for the P. oceanica meadows lower limits in the Marine Protected Area of Capo Rizzuto (Calabria, Italy) Francesco Rende1*, Marina Burgassi1, Domenico Rocca1, Piero Cappa2, Simone Scalise2 & Francesco Cinelli3 1 A.C.S.D.I.S.S.D “Anna Proietti Zolla”, Via Monte Grappa 28, 01100 Viterbo e Via Marzabotto 32, 00052 Cerenova (RM) 2 Area Marina Protetta Capo Rizzuto, Via C. Colombo s.n.c., 88900 Crotone 3 Dip. di Biologia, Università di Pisa, Via Derna 1, 56126 Pisa *[email protected] Abstract In mediterraneo sono molteplici le attività di ricerca applicate alle praterie di Posidonia oceanica dove il monitoraggio ne risulta un valido ed indispensabile strumento per deinire lo stato di qualità dei corpi idrici marino-costieri. Questo lavoro è stato condotto con un complesso monitoraggio dei limiti inferiori delle praterie di Posidonia oceanica dell’area marina protetta di Capo Rizzuto (KR), combinando una serie di strumenti in corso di sviluppo, utilizzando un distanziale metrico con due bracci munito di bussola e GPS data logger (Rende et al., 2009a). È stata inoltre applicata una tecnica di fotomosaico; inine, è stato utilizzato il software Vision 1.0, specializzato nel calcolo del ricoprimento percentuale (Rende et al., 2009b). Con questo studio vengono presentati i risultati preliminari della sperimentazione. Introduzione Per quanto riguarda il monitoraggio scientiico subacqueo poche sono le tecniche video-fotograiche scientiiche standardizzate per lo studio delle praterie di Posidonia oceanica L. (Delile) (Romero, 1985), l’ecosistema più importante del Mediterraneo in termini di produttività primaria, di rifugio e nursery per numerose 87 Francesco Rende et al. specie animali, di regolatore dell’equilibrio sedimentologico dei litorali e di biondicatore di alterate condizioni ambientali. Oggetto del nostro lavoro nell’Area Marina Protetta Capo Rizzuto (KR) è il monitoraggio condotto, in otto siti, dei limiti inferiori delle praterie di P. oceanica, sorvegliati da circa cinque anni per mezzo di un “balisage” (corpi morti in cemento). Nell’ambito della prima fase d’esecuzione del progetto E1 è stata efettuata la manutenzione del balisage realizzato nel 2004, efettuando un nuovo posizionamento di due corpi in cemento, di cui uno munito di sonda per la misura in continuo della luce e della temperatura. Nelle seconda fase del progetto E1 è stata poi condotta la sperimentazione di una nuova tecnica video e fotograica mediante l’uso di un distanziale metrico munito di due bracci movibili (Rende et al., 2009a) che ci ha permesso di efettuare, in modo veloce e pratico, foto calibrate su cui sono state efettuate le misure di ricoprimento percentuale e di scalzamento (Rende et al., 2009b). Sono stati, inine, ricostruiti i fotomosaici georeferenziati del limite inferiore degli otto siti monitorati applicando la tecnica della foto in sequenza (Rende et al., 2009a). Materiali e metodi Il rilievo fotograico sui “balises” è stato efettuato mediante l’utilizzo di un distanziale metrico (Fig. 1c), applicando una nuova metodologia in corso di sperimentazione (Rende et al., 2009a). La georeferenziazione delle immagini è stata ottenuta mediante un GPS data logger modello Gosget (Fig. 1a e Fig. 1b), ed utilizzando il software di geotagging “Robogeo”. Il disegno di campionamento predisposto ha previsto, partendo dal primo balise, una ripresa fotograica random con il distanziale munito di braccio lungo (Fig. 1d) al ine di efettuare un rilievo fotograico dall’alto a circa un metro di altezza dalla prateria. Tale misura è servita per stimare il ricoprimento della prateria a livello dei suoi limiti inferiori. È stato efettuato un rilievo fotograico casuale mediante un distanziale metrico munito di braccio corto (Fig. 1e) (Rende et al., 2009a), tale misura è servita per stimare lo scalzamento dei rizomi in cm. Le immagini fotograiche sono state analizzate mediante l’applicativo Vision 1.0 per la stima del ricoprimento e con il software Visilog 6.4 per la stima dello scalzamento (Rende et al., 2009a). Per quanto riguarda il fotomosaico, il rilievo fotograico georeferenziato è stato efettuato con scatti in sequenza lungo il percorso del limite inferiore partendo dal primo balise, in testa, ino ad arrivare all’ultimo balise in coda; le immagini sono state elaborate con il software Panorama Factory V.1.6 (Rende et al., 2009a). 88 Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotograiche sui limiti inferiori Figura 1: a) GPS data logger, b) boa con GPS data logger, c) distanziale metrico con bracci, d) rilievo con braccio 1 metro, e) rilievo con braccio di 50 centimetri. Risultati L’utilizzo del distanziale, delle immagini digitali, del GPS data logger e dei software di elaborazione ci ha permesso di stimare, mediante il software Vision 1.0, un ricoprimento percentuale più elevato di P. oceanica nel sito 5 (80 %) e nel sito 6 (78 %), ed i valori minimi nei siti 2 (62 %), 3 (59,7 %), 4 (65 %) e 7 (62,2 %) (Fig. 2 e Fig. 3). Per quanto riguarda le misure efettuate con il software Visilog V. 6.4, è stato stimato,in via preliminare lo scalzamento centimetrico dei rizomi. L’analisi dei dati evidenzia uno scalzamento dei rizomi maggiore nel sito 5 (15,4 cm), nel sito 3 (8,3 cm) e nel sito 1 (6 cm) rispetto a quello osservato nei siti 4, 8 e 7 dove lo scalzamento misurato è pari a zero, anche se nel sito 4 e nel sito 8 è stato osservato, per via dell’intenso idrodinamismo, un evidente processo di seppellimento dei rizomi (Fig. 4 e Fig. 5). Le immagini fotograiche, scattate lungo il limite della prateria, georiferite tramite il software Robogeo e mosaicate con Panorama Factory V.1.6, ci hanno permesso di ricostruire l’andamento “su grande scala” del limite esterno (Fig. 6). In tutto sono stati realizzati 8 fotomosaici con lunghezze medie di circa 5-10 metri (Fig. 6). Il rilievo fotograico successivo, se efettuato con le stesse speciiche, permetterà 89 Francesco Rende et al. di veriicare l’eventuale avanzamento e/o arretramento del limite inferiore delle praterie mosaicate. Figura 2: Valori di ricoprimento percentuale stimati con Vision 1.0. Figura 3: Frames fotograici utilizzati per la stima del ricoprimento percentuale. 90 Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotograiche sui limiti inferiori Figura 4: Valori di scalzamento in centimetri stimati con Visilog 6.4. Figura 5: Frames fotograici utilizzati per la stima dello scalzamento in centimetri dei rizomi. 91 Francesco Rende et al. Figura 6: Fotomosaici dei limiti inferiori delle praterie di P. oceanica monitorate. Conclusioni L’utilizzo del distanziale con il braccio estensibile calibrato a 1 metro ci ha permesso di stimare il ricoprimento % a livello del limite inferiore. I dati del ricoprimento evidenziano sostanzialmente un cattivo andamento in quattro siti (2, 3, 4 e 7) su un totale di otto siti. I dati sullo scalzamento confermano l’intenso processo di movimentazione dei sedimenti posti al limite della praterie che, nel caso dei siti 4 e 8, tendono a seppellire i fasci di P. oceanica, mentre nei restanti siti è stato osservato un deicit di sedimenti con evidente scalzamento dei rizomi. La tecnica del fotomosaico e del geotagging ci ha permesso di ricostruire l’andamento del limite inferiore dei siti monitorati. Dalle prime osservazioni e dal confronto con il precedente balisage, sembrerebbe che i limiti esaminati si trovino in uno stato stazionario, nonostante la dinamica di spostamento dei sedimenti, principale fonte di pressione per i limiti inferiori delle praterie campionate, sia molto elevata. Inine, la metodologia fotograica adottata si è rivelata molto pratica e, veloce e risponde alle esigenze, nelle Aree Marine Protette, di monitoraggi non distruttivi. 92 Sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio fotograiche sui limiti inferiori Il progetto E.1 – Monitoraggio permanente delle criticità e dei sistemi ambientali dell’A.M.P. Capo Rizzuto è stato realizzato con fondi del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Bibliografia Rende, F., Polifrone, M., Stroobant, M., Burgassi, M. & Cinelli, F. (2009a) Distanziale metrico e software di digital imaging applicati al biomonitoraggio di P. oceanica (L.) Delile. Biol. Mar. Mediterr., 16 (1), 298-299. Rende, F., Frangella, S., Polifrone, M., Stroobant, M., Burgassi, M. & Cinelli, F. (2009b) Vision 1.0: software sperimentale per la valutazione rapida del ricoprimento macroitobentonico. Biol. Mar. Mediterr., 16 (1), 296-297. Romero, J. (1985) Estudio ecológico de las fanerógamas marinas de la costa catalana: producción primaria de Posidonia oceanica (L.) Delile en las islas Medes. Tesis Doct. Facultad Biol. Univ. Barcelona, Spain. 93 Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes I macroinvertebrati bentonici come bioindicatori nei laghi Bruno Rossaro1*, Angela Boggero2, Valeria Lencioni3 & Laura Marziali1 1 Dipartimento di Protezione dei sistemi agroalimentari e urbani e valorizzazione delle biodiversità, DiPSA, Università di Milano, via Celoria 2, 20133 Milano 2 CNR-ISE Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, largo V. Tonolli 50, 28922 Verbania Pallanza 3 Museo Tridentino Scienze Naturali, via Calepina 14, 38122 Trento *[email protected] Abstract Benthic macroinvertebrates are considered to be good indicators of the trophic status of lakes but in the Mediterranean area gaps in knowledge on taxonomical and autoecological traits of species hinder their potential as indicators. Seventy-eight Italian lakes were sampled, belonging to 10 types according to morphometrical, geographical and geological parameters. An unsupervised neural network (SOM analysis) was carried out using 65 Chironomid and Oligochaete species collected in 1865 samples. he accordance between lake types and species assemblages was tested. Indicator weight of species was calculated considering their optima for trophic variables (dissolved oxygen, TP, transparency). A Benthic Quality Index (BQI) and a weighted diversity index were then calculated to test their potential as indicators of trophic status of lakes. Alpine, volcanic and large profundal lakes were separated into diferent clusters, characterized by diferent communities, chemical and morphometrical parameters. On the contrary, other lake types with similar trophic status were grouped together, showing similar taxa assemblages. BQI values were in agreement with the trophic condition of lakes, while the weighted diversity index showed low values for alpine lakes due to low species numbers. Introduction Benthic macroinvertebrates are currently used in lake monitoring and diferent indexes were proposed to assess the ecological status of lentic ecosystems (Wiederholm, 1980). A weak point in index formulation is the diiculty to correctly de- 95 Bruno Rossaro et al. ine indicators. here is consensus that identiication at the species level is needed to detect changes in community composition. Yet taxonomical and autoecological knowledge of macroinvertebrate species is still scanty, especially for what concerns the fauna of the Mediterranean area. he most commonly used indicators of trophic status of lakes are Chironomids and Oligochaetes inhabiting soft bottom sediments. hese taxa are particularly diicult to identify at the species level, especially when larvae (Chironomids) or immature stages (Oligochaetes) are the only material available. For what concerns Chironomids, the collection of pupal exuviae with a Brundin net was recommended (Ruse, 2002) to improve identiication, while for Oligochaetes the collection of mature specimens is needed. A Benthic Quality Index (BQI) was developed (Wiederholm, 1976) using Chironomid species to assign lakes to 5 trophic classes. Chironomus plumosus is characteristic of eutrophic lakes and received a low score (1), while Heterotrissocladius subpilosus – characteristic of oligotrophic lakes – received a high score (5). Intermediate scores were used for Chironomus anthracinus (2), Sergentia coracina and Stictochironomus rosenschoeldi (3), Micropsectra spp. and Paracladopelma nigritula (4). Nevertheless S. coracina, S. rosenschoeldi and H. subpilosus probably were never collected in Italy, while Micropsectra includes many species with rather diferent indicator values (Rossaro et al., 2009). herefore, other indicator taxa must be selected for Italian lakes. Another Benthic Quality Index (BQI) was developed (Wiederholm, 1980) considering Oligochaete species. Stylodrilus heringianus and Rhynchelmis limosella were considered oligotrophic species and scored 4, Spirosperma ferox was scored 3 and Potamothrix hammoniensis got a score of 2, while Limnodrilus hofmeisteri was considered a eutrophic species and was scored 1. Except Rhynchelmis limosella which is rare in Italy, the other species can be used as indicators because they are common in Italian lakes. herefore this BQI can be tested using Italian lakes data without substantial modiications of the species list. he key point is that identiication at the species level is necessary. he aim of the present research is to update weights assigned to Chironomid and Oligochaete taxa in a previous publication (Rossaro et al., 2007a) according to new data collected in Italian lakes. Moreover, a new trophic status index based on a modiied diversity index which takes into account total abundances and species weights will be proposed. 96 Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes Sites and data analysis A total of 1865 samples were collected with a Petersen, Ekman or Ponar grab in 78 Italian lakes between 5 m and the maximum depth, except the 2007 samples in large lakes (see below). he investigated lakes belong to 10 diferent types according to morphometrical, geographical and geological characteristics (Buraschi et al., 2005). he database includes historical data collected from the 1950s up to recent times. In 2007-2009 further samples (about 30x30 cm2 area) were collected in large lakes by scuba divers between 5 and 25 m depth; abundances were converted into densities (individuals m2). Details about the sampling sites, sampling methods and identiication protocols were published elsewhere (Rossaro et al., 2006; 2007a). Chironomid and Oligochaete species present in at least 40 samples were selected for further analysis (65 species). An unsupervised neural network with a Self Organizing Map (SOM) was calculated (Park et al., 2004). Species and sites were ordered and clustered to generate groups of sites with similar species composition. Environmental data were not used for ordination, but were represented in the map after calculation. For the 65 species optimum values for dissolved oxygen (O2), total phosphorus (TP) and transparency (Tr) were calculated as weighted means of O2, TP and Tr values measured in the sites, where each species was found, considering species abundance as weight; optimum values were rescaled between 0 and 1 and used as Benthic Quality Index Weights (BQIW; Rossaro et al., 2007a). BQIW can be used to calculate a BQI for each site (Rossaro et al., 2007a). A weighted diversity index (Hw) was then calculated; the BQIW weights were included in the following formula (Ozzola et al., 1992): where s is the number of species found at a site; nj is the number of specimens belonging to species j present at a site; N is the total number of specimens at a site; BQIWj is the indicator weight assigned to species j. In this algorithm both indicator values and total abundances are considered. 97 Bruno Rossaro et al. Results Indicator weights of trophic status for the 65 more frequent species are given in table I. Table I: Benthic quality index weights (BQIW) calculated for 65 species. C. bicinctus 0 H. marcidus 0.5895 U. uncinata 0.6876 P. prasinatus 0.769 G. pallens 0.2172 P. choreus 0.5915 A. aquaticus 0.6898 T. luviatilis 0.7796 C. lavicans 0.3016 L. peregra 0.6128 T. gregarius 0.6926 P. austriacus 0.7868 C. vermiformes 0.3489 P. nigrohalteralis 0.6129 P. nubeculosum 0.6933 H. stagnalis 0.789 M. atrofasciata 0.3549 D. digitata 0.6195 E. tendens 0.7006 R. coccineus 0.8006 C. plumosus 0.3562 S. heringianus 0.6205 C. anthracinus 0.7047 C. scutellata 0.8033 P. lavipes 0.469 D. vulneratus 0.6452 P. albimanus 0.705 S. ferox 0.8067 P. acuta 0.4896 P. barbatus 0.6455 M. nebulosa 0.705 S. bausei 0.8307 S. lacustris 0.5034 M. pedellus 0.6516 D. tigrina 0.7072 P. orophila 0.8562 P. hammoniensis 0.5068 Hydracarina 0.6538 S. pictulus 0.7098 P. bathophila 0.8584 Sialis 0.5092 A. monilis 0.6552 A. pluriseta 0.7108 P. nigritulum 1 T. tubifex 0.5145 V. piscinalis 0.66 B. sowerbyi 0.5193 C. defectus 0.6632 P. oxyura 0.7223 E. tetraedra 0.535 P. casertanum 0.6653 C. atridorsum 0.7285 L. hofmeisteri 0.5473 B. sanguinea 0.6677 B. tentaculata 0.729 P. heuscheri 0.5787 P. olivacea 0.6708 P. camptolabis 0.7305 C. annulator 0.5825 E. stammeri 0.6768 C. pallidula 0.7356 C. viridulum 0.5855 D. nervosus 0.6781 S. lemani 0.7684 B. vejdoskyanum 0.7201 he SOM analysis emphasized a good separation of some lake types, in particular alpine lakes, AL-1 and AL-2 types (Buraschi et al., 2005), were separated according to the abundance of Corynoneura scutellata, Heterotrissocladius marcidus and Paratanytarsus austriacus. Volcanic lakes Bolsena, Bracciano and Vico (ME-7 type) were also separated, being some species (e.g. Branchiura sowerbyi and Cryptochironomus defectus) more common in volcanic lakes than in other lake types. Volcanic lakes were characterized by high mineral content (conductivity in Fig. 1). Large lakes such as Maggiore, Garda and Como (AL-3 type) were grouped into a cluster, with water depth as a key factor. Psammoryctides barbatus and Potamothrix hammoniensis characterized this group, showing high abundances at great depths. 98 Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes Sites belonging to diferent lake types but characterized by a high trophic status (high phosphorus and low oxygen level) were colonized by tolerant species, such as Chaoborus lavicans, C. plumosus and C. anthracinus. Most sites in this group were from lowland lakes belonging to diferent types (AL-4, AL-5 and AL-6). Figure 1: Unsupervised neural networks: Self Organizing Map (SOM) showing site clusters (grey cells), species distribution and environmental variables. altit = altitude, abs lutt = temporary inhabitants, resid = permanent inhabitants, temp = water temperature, cond = conductivity, alc = alkalinity. Alpine lakes showed the highest BQI index values, whereas small lowland lakes belonging to AL-5 type showed the lowest values, i.e. the most eutrophic status (Fig. 2); the highest values in lowland lakes were observed in AL-6 type lakes, here historical data from Mergozzo lake – an oligotrophic lake – were included and contributed to enhance the index; volcanic lakes showed high BQI index values. 99 Bruno Rossaro et al. Figure 2: BQI index calculated as mean value for diferent lake types (Buraschi et al., 2004) and in diferent sampling years. Points inside bars: median values; points outside bars: outliers; bars: 25 and 75 percentiles. Diversity weighted index was low for alpine lakes, which showed low species richness due to high altitude and low temperature. he highest values were for the Mergozzo lake (Fig. 3). Figure 3: Shannon diversity index modiied (see text) calculated for diferent lake types (Buraschi et al., 2005) and in diferent sampling years. Points inside bars: median values; points outside bars: outliers; bars: 25 and 75 percentiles. 100 Benthic macroinvertebrates as indicators in lakes Discussion he present analysis emphasized that Chironomids and Oligochaetes are indicators of trophic status of lakes (Wiederholm, 1980) because trophic variables (O2, TP, Tr, summarized into the BQI index) are strong factors structuring macroinvertebrate taxa composition. he separation of Italian lakes into types (Buraschi et al., 2005) was supported only in part by benthic macroinvertebrates, since only some types were characterized by diferent species assemblages. Alpine lakes were separated on the basis of altitude, low temperature and low alkalinity; volcanic lakes were grouped together according to water conductivity (Fig. 1); on the contrary, sublittoral stations from AL-3, AL-5, AL- 6 type lakes were rather similar according to chemical and physical values and according to the macrofauna, therefore it was not possible to separate the three types. For what concerns the diversity weighted index, the advantage of this algorithm is that both indicator values and total abundances are considered, as requested by the European Water Framework Directive 2000/60/CE. Nevertheless low values were obtained for Alpine lakes notwithstanding the good ecological quality of these lakes (Figs. 2-3). Low values were also obtained for AL-7 and AL-8 type lakes. Moreover, a higher percentile range of the index was obtained in comparison with BQI. Gaps in taxonomic knowledge are probably the most critical drawback in using benthic macroinvertebrates as indicators of trophic status (and other impacts or pressures) of lakes. Species belonging to the same genus may show a diferent indicator value, as was emphasized for the genera Orthocladius (Formenti & Rossaro, 2009) and Micropsectra (Rossaro et al., 2009). Recently (Lencioni et al., 2007; Rossaro et al., 2007a; 2007b; Free et al., 2009) an efort was made to ill the gaps in taxonomical and autoecological knowledge, but much research efort is still needed. Acknowledgements his work was performed with the contribution of ISE CNR Pallanza which furnished historical data and LIMNO database, IRSA CNR Brugherio which contributed to LIMNO database, ARPA Lombardia (BS, LC, VA) contributing to sampling and examining material. JRC (dr. Gary Free) gave a substantial contribution to sampling and to the development of database. A particular thank is for Varese scuba group (Silvia Guenzani) who recently sampled large lakes (Maggiore, Como, Garda). 101 Bruno Rossaro et al. References Buraschi, E., Salerno, F., Monguzzi, C., Barbiero, G. & Tartari, G. (2005) Characterization of the Italian lake-types and identiication of their reference sites using anthropogenic pressure factors. Journal of Limnology, 64, 75-84. Formenti, M. & Rossaro, B. (2009) Autoecologia e valore indicatore di diverse specie del genere Orthocladius van der Wulp (Diptera, Chironomidae). Studi Trentini di Scienze Naturali, Acta Biologica, 84, 1-10. Free, G., Solimini, A., Rossaro, B., Marziali, L., Giacchini, R., Paracchini, P., Ghiani, M., Vaccaro, S., Gawlik, B., Fresner, R., Santner, G., Scho, M. & Cardoso, A. C. (2009) Modelling lake macroinvertebrate species in the shallow sublittoral, relative roles of habitat, lake morphology, aquatic chemistry and sediment composition. Hydrobiologia, 133, 123-136. 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Journal Water Pollution Conrol Federation, 52, 537-547. 102 Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitrificazione: un’analisi a scala di bacino dei fiumi Oglio sublacuale e Mincio Nitrogen mass balances and aquatic denitrification relevance: a watershed scale study for lower Oglio and Mincio Rivers Elisa Soana*, Erica Racchetti, Monica Pinardi, Marco Bartoli & Pierluigi Viaroli Dipartimento di Scienze Ambientali, Università degli Studi di Parma, V. le G.P. Usberti 33/A, 43124 Parma *[email protected] Abstract Il bilancio di massa dell’azoto rappresenta uno strumento per valutare le conseguenze dell’uso del suolo sulla qualità delle acque ed è funzionale all’adozione di strategie per la gestione e la riqualiicazione del territorio. Il presente lavoro riporta un esempio di questo tipo di approccio relativamente ai bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio. L’indagine è stata svolta con risoluzione spaziale comunale, integrando dati inerenti i comparti agro-zootecnico e civile e la qualità chimica delle acque supericiali. In entrambi i bacini gli apporti azotati alla supericie agricola utile sono oltre il doppio rispetto alle necessità delle colture e i surplus areali medi superano i 140 kg N ha-1 anno-1, con picchi ino a 400 kg N ha-1 anno-1. Il comparto zootecnico è responsabile di oltre il 50 % degli input totali. Il carico derivante dalle sorgenti puntiformi rappresenta in entrambi i casi meno del 5 % di quello di origine difusa. Il carico esportato mediante trasporto luviale costituisce il 50 % (Oglio) e il 32 % (Mincio) del surplus generato a scala di bacino. La diferenza tra surplus ed export sembra indicare un’elevata capacità di ritenzione dell’azoto all’interno dei sistemi. La potenzialità di denitriicazione nei sistemi acquatici (zone umide periluviali, reticolo idrograico secondario e connesse fasce riparie) è stata analizzata integrando misure sperimentali e dati di letteratura. Le perdite per denitriicazione risultano elevate soprattutto nel reticolo idrograico secondario in ragione della notevole estensione lineare e possono contribuire all’abbattimento di una quota importante del surplus azotato. 103 Elisa Soana et al. Introduzione Gli input di azoto negli ecosistemi terrestri ed acquatici sono aumentati progressivamente a seguito delle attività antropiche (Galloway et al., 2003). L’eutroizzazione luviale (Hilton et al., 2006) e la crescente preoccupazione circa la tossicità del nitrato (NO3-) (Camargo & Alonso, 2006) hanno portato la comunità scientiica a rispondere con studi mirati alla stima di bilanci di massa dell’azoto a scala di bacino idrograico (ad es. McKee & Eyre, 2000; Boyer et al., 2006), integrati dall’analisi dei carichi esportati, misura sintetica della capacità di metabolizzazione dell’eccesso di azoto da parte dei sistemi (Caraco et al., 2003). Bilanci condotti in bacini compresi in un ampio range dimensionale hanno evidenziato che mediamente oltre il 75 % dei carichi azotati prodotti internamente non sono soggetti ad export luviale. La differenza tra surplus azotato e carico esportato (missing nitrogen quota) rappresenta il termine dei bilanci a cui è associata l’incertezza maggiore, includendo gli errori connessi alla stima delle altre voci di input ed output. La mancanza di stime e coeicienti sito-speciici e la conseguente adozione di informazioni improprie per l’area indagata generano inoltre errori nei calcoli inversamente proporzionali alla scala di analisi (Van Drecht et al., 2005). Emerge quindi la necessità di approfondire lo studio delle dinamiche dell’azoto con risoluzione spaziale di dettaglio, impiegando database locali e integrando valutazioni dei lussi a scala di bacino con studi sito-speciici per meglio comprendere le trasformazioni a cui sono soggetti i carichi di azoto durante il trasporto dai siti di generazione alla chiusura dei bacini. Il presente lavoro riporta la stima dei bilanci di massa dell’azoto in due sottobacini lombardi del iume Po, l’Oglio sublacuale e il Mincio, efettuati impiegando database ad alta risoluzione spaziale e coeicienti tratti dalla realtà locale. Sono stati quindi indagati i possibili sink di azoto interni ai bacini e responsabili della discrepanza tra surplus e carico esportato: il contributo dei diversi comparti acquatici e infra-acquatici all’abbattimento dei carichi di azoto mediante denitriicazione è stato valutato integrando dati sperimentali e di letteratura. Materiali e metodi I iumi Oglio sublacuale (154 km, emissario del Lago d’Iseo) e Mincio (75 km, emissario del Lago di Garda), drenano bacini rispettivamente di 3.700 e 775 km2, rappresentativi della realtà padana in termini di uso del suolo, pratiche agronomiche, 104 Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione condizioni pedoclimatiche e idrologiche (Fig. 1). Lo sfruttamento agro-zootecnico del territorio, gli insediamenti urbani e la valenza turistica dei due bacini lacustri determinano accertati fenomeni di inquinamento da sorgenti azotate puntiformi e difuse (Regione Lombardia, 2006). Figura 1: Localizzazione dei bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio con indicazione dei principali immissari. La stima dei termini del bilancio è stata efettuata integrando dati statistici inerenti i settori agro-zootecnico e civile (censimenti ISTAT, banche dati del Programma di Tutela e Uso delle Acque della Regione Lombardia) e il quadro qualiquantitativo del reticolo idrograico supericiale derivante da serie storiche di ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) Lombardia e del Consorzio dell’Oglio e da monitoraggi condotti nell’ambito dei progetti STRA.RI.FLU. (STRAtegia di RIqualiicazione FLUviale partecipata) Oglio e Mincio. In mancanza di informazioni proprie delle aree indagate si è fatto ricorso a dati di letteratura, dopo un’attenta valutazione della loro applicabilità. Secondo l’approccio del soil sy- 105 Elisa Soana et al. stem budget (Oenema et al., 2003) sono stati quantiicati gli apporti – spandimenti di relui zootecnici, fertilizzazioni chimiche, issazione biologica, deposizioni atmosferiche e acque di irrigazione – e le perdite di azoto – assimilazione delle colture, volatilizzazione di ammoniaca (NH3) e denitriicazione nei suoli agrari – attraverso la Supericie Agricola Utilizzata (SAU). I termini sono stati calcolati con risoluzione comunale, quindi corretti in base alla frazione di area comunale compresa entro i conini dei rispettivi bacini idrograici. Il carico generato dall’attività zootecnica è stato calcolato impiegando dati di consistenza del patrimonio allevato (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000), pesi vivi medi e coeicienti di produzione di azoto delle diverse categorie animali (D.G.R. 21/11/2007, n° 8/5868). Informazioni relative alle vendite annuali di fertilizzanti (Tavole Provinciali su Agricoltura e Zootecnia, ISTAT, 2000) e ai contenuti medi di azoto per le diverse tipologie (Vitosh, 1996) sono state utilizzate nella stima dell’apporto imputabile alle pratiche di concimazione chimica. La stima dell’input da issazione biologica è stata efettuata sulla base delle estensioni occupate da specie azoto-issatrici (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000) e dei relativi tassi medi (Smil, 1999; McKee & Eyre, 2000). È stato considerato un carico da deposizioni atmosferiche di 8 kg N ha-1 anno-1 come azoto organico e NO3- (Tagliaferri et al., 2006). L’azoto convogliato ai campi mediante le acque di irrigazione è stato inine quantiicato in base ai fabbisogni idrici delle colture (Buzzacchi et al., 2008) e alle concentrazioni medie di azoto totale (TN) nelle acque ad uso irriguo (monitoraggi ARPA e progetti STRA.RI.FLU.). L’asportazione ad opera delle colture è stata stimata impiegando le estensioni delle superici agricole occupate dalle diverse colture (V Censimento Generale dell’Agricoltura, ISTAT, 2000), le rese medie annuali (Tavole Provinciali su Agricoltura e Zootecnia, ISTAT, 2000) e i relativi coeicienti di rimozione (Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013, Regione Lombardia). In assenza di misure dirette nell’area indagata, i tassi di volatilizzazione di NH3 e di denitriicazione nei suoli agrari sono stati desunti dalla letteratura. Le perdite per volatilizzazione di NH3 sono state issate nel 30 % degli input di azoto da eluenti zootecnici e nel 20 % degli input da fertilizzazioni chimiche (Ferm, 1998), considerando però una ri-deposizione media del 60 % nei pressi della sorgente di emissione. La denitriicazione nei suoli è stata inine stimata considerando perdite del 10 % degli apporti azotati totali da pratiche agrozootecniche (Smil, 1999). Il carico generato dal comparto civile è stato calcolato dalla consistenza della popolazione (XIV Censimento Generale della Popolazione e delle Abitazioni, ISTAT, 106 Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione 2001) mediante un coeiciente di produzione giornaliera di azoto dell’Abitante Equivalente (Provini et al., 1998). Sebbene non inserito nel computo del bilancio azotato a livello del suolo agrario, il calcolo ha permesso un confronto a livello di ordine di grandezza tra sorgenti difuse e puntiformi. I carichi azotati esportati annualmente dai bacini mediante trasporto luviale sono stati quantiicati in base a valori medi di portate e concentrazioni di TN alle stazioni di chiusura (monitoraggi ARPA 2000-2008 e progetti STRA.RI.FLU.). Risultati Il carico derivante dal comparto zootecnico ha rappresentato la fonte principale di azoto in entrambi i bacini (Tab. I), con apporti areali anche superiori a 500 kg N ha-1 SAU anno-1, imputabili prevalentemente agli allevamenti bovino (55 %) e suino (30 %). La seconda fonte di azoto per importanza è risultata essere l’applicazione di fertilizzanti di sintesi, mentre la issazione biologica, le deposizioni atmosferiche e le acque di irrigazione hanno costituito complessivamente in media il 20 % degli input totali. Tabella I: Bilancio dell’azoto nei bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio (t N anno-1). Oglio Sublacuale Mincio Relui zootecnici 42.521 11.178 Fertilizzazioni chimiche 27.640 5.902 Fissazione biologica 7.975 2.988 Deposizioni atmosferiche 1.845 473 Input Acque di irrigazione 4.074 758 84.055 21.299 Asportazione delle colture 34.259 8.324 Volatilizzazione di NH3 10.147 2.641 7.016 1.708 ∑ output 51.422 12.672 ∑ input -∑ output 32.633 8.627 ∑ input Output Denitriicazione nel suolo agrario 107 Elisa Soana et al. L’uptake da parte delle colture ha rappresentato il principale sink di azoto (circa il 50 % imputabile alla coltivazione del mais), con la denitriicazione nei suoli agrari e la volatilizzazione responsabili invece delle rimanenti perdite (circa il 35 % degli output totali). È emerso come la disponibilità teorica di azoto a livello di suolo agrario sia ampiamente superiore alla domanda delle colture, con surplus medi a livello di bacino di oltre 140 kg N ha-1 SAU anno-1 e valori massimi ino a circa 400 kg N ha-1 SAU anno-1 in alcune realtà comunali (Fig. 2). Figura 2: Distribuzione spaziale del surplus azotato rispetto alla Supericie Agricola Utile (SAU) a scala comunale nei bacini dei iumi Oglio sublacuale e Mincio (kg N ha-1 SAU anno-1). I carichi generati dal comparto civile, costituenti l’insieme delle sorgenti azotate puntiformi (circa 5.000 t N anno-1 per l’Oglio e circa 900 t N anno-1 per il Mincio), sono risultati trascurabili rispetto a quelle difuse, considerando un ulteriore abbattimento del 70-80 % in seguito ai trattamenti di depurazione (D. Lgs. n° 152/2006, Allegato 5 alla Parte III). 108 Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione Discussione L’analisi dell’export di azoto dai bacini idrograici consente di stimare il contributo dei processi di trasformazione dell’azoto rispetto all’eccesso di questo elemento. Il carico esportato in Po su base annuale (16.000 t N per l’Oglio e 2.700 t N per il Mincio) rende conto di circa il 50 % del surplus esistente nel bacino dell’Oglio sublacuale, mentre la quota si riduce al 32 % per il Mincio. Il rapporto tra carichi esportati e carichi generati (0,19 per l’Oglio e 0,13 per il Mincio) ricade all’estremo inferiore dell’intervallo relativo ad un ampio dataset di bacini idrograici (Boyer et al., 2006), facendo ipotizzare l’esistenza di importanti sink interni ai sistemi. Relativamente al bacino dell’Oglio sublacuale, per il quale è disponibile un quadro dettagliato di informazioni relative al reticolo idrograico, nonché studi sitospeciici sulle dinamiche di ritenzione dell’azoto, è stato stimato il contributo del processo di denitriicazione in diversi comparti acquatici e infra-acquatici all’abbattimento del surplus. Gli ambienti periluviali connessi idraulicamente al iume risultano in grado di rimuovere tra 150 e 1260 kg N ha-1 anno-1 (Racchetti et al., submitted), tassi tra i maggiori ritrovabili in letteratura (Pina-Ochoa & Alvarez-Cobelas, 2006), a conferma della funzionalità di questi ecosistemi quali “hot spot” di denitriicazione (McClain et al., 2003). Estendendo il tasso massimo a tutte le zone umide nel bacino la rimozione teorica annuale complessiva ammonterebbe a circa 250 t N, valore di ben tre ordini di grandezza inferiore al surplus annuale nel bacino. Il contributo di questi ecosistemi alla dissipazione dei carichi azotati appare infatti trascurabile, dato il rapporto altamente sbilanciato tra superici coltivate (circa 230.000 ha) e superici di ambienti umidi (circa 200 ha). Un contributo rilevante in termini di rimozione potrebbe essere imputabile al reticolo idrograico secondario, in considerazione della notevole estensione lineare (oltre 12.500 km). Sebbene misure sperimentali di tassi di denitriicazione non siano disponibili per l’area in esame, dall’impiego del modello di Christensen et al. (1990) che stima il potenziale di denitriicazione sulla base del tenore di ossigeno, della disponibilità di NO3- nelle acque e della domanda sedimentaria di ossigeno (monitoraggi ARPA e progetto STRA.RI.FLU.), si ricava una rimozione teorica nell’intero bacino di oltre 5.500 t N durante il periodo in cui i canali del reticolo minore sono attivi per l’irrigazione (maggio-settembre). L’asportazione del reticolo verrebbe inoltre incrementata di ulteriori 3.000 t N applicando agli oltre 9.500 km tra siepi e ilari adiacenti ai corsi d‘acqua (Regione Lombardia, 2007) i tassi massimi di abbattimento dell’azoto ritrovabili in letteratura (Mander et al., 1997) per ambienti della medesima tipologia. 109 Elisa Soana et al. Considerazioni analoghe sul destino dell’eccesso di azoto rimangono valide anche per il bacino del Mincio. La minor quota di surplus soggetto ad export (32 %) rispetto al bacino dell’Oglio sublacuale è probabilmente imputabile al rapporto maggiore tra superici occupate da ambienti lentici e superici coltivate. Queste stime, seppur accompagnate da un ampio margine di incertezza data l’estrema variabilità di condizioni, evidenziano come le perdite per denitriicazione nelle acque supericiali possano spiegare oltre il 50 % della frazione di surplus non esportato dal bacino. Fertilizzazioni azotate frequenti ed eccedenti le necessità colturali determinano inoltre l’accumulo di pool di azoto organico nel suolo aventi lunghi tempi di turnover (Grimvall et al., 2000), nonché contaminazione da nitrati delle falde. In conclusione, il presente lavoro ha evidenziato come i bacini di Oglio sublacuale e Mincio, sebbene fortemente impattati dalle attività agro-zootecniche, conservano una buona capacità di metabolizzazione dell’azoto. Le perdite per denitriicazione nelle acque supericiali contribuiscono all’abbattimento di una quota rilevante del surplus azotato: importanti appaiono in particolare i processi di dissipazione nel reticolo minore durante il periodo irriguo, in ragione della notevole estensione lineare di questo e dei ripetuti lavaggi che le acque operano sul territorio. La denitriicazione nelle acque profonde può rappresentare un’importante pathway di rimozione dell’azoto, sebbene l’entità di questo processo rimanga ad oggi diicilmente quantiicabile. 110 Bilanci di massa dell’azoto e importanza del processo di denitriicazione Bibliografia Boyer, E. W., Howarth, R. W., Galloway, J. N., Dentener, F. J., Green, P. A. & Vörösmarty, C. J. (2006) Riverine nitrogen export from the continents to the coasts. Global Biogeochemical Cycles, 20, GB1S91, doi:10.1029/2005GB002537. Buzzacchi, C., Ferraresi, M., Galli, M. & Magri, P. 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Michigan University Press. 112 Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration Integrazione di evidenze ecologiche ed idrologiche finalizzata al risanamento di aree umide costiere Emiliana Valentini1*, Matteo Conti1, Giancarlo Bovina2, Sergio Cappucci3 & Massimo Gabellini1 1 ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Via di Casalotti 300, 00166 Roma 2 Geosphera – Studio Associato, Via Cesare Battisti 18, 04100 Latina 3 ENEA – Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile Via Anguillarese 301, 00123 – Roma *[email protected] Abstract Wetlands and transitional habitats between aquatic and terrestrial environments are key elements of coastal systems which require speciic restoring and management strategies. In the present study we show the Natural Reserve of Sentina case study. Since wetlands are rapidly disappearing, this system, located in the lower part of the Ascoli Piceno Plain, represents one of the latest coastal stepping stone along AdriaticEurafrican migratory lyways. Dryness of soils arises and bioclimatic indices in two diferent time range, 1950-1989 (regional scale) and 1996-2007 (local scale) shows an increase of evapotranspiration rate. At local scale a reduction of precipitation during summer and mid-seasons was observed and regional data conirm this trend with a constant rising temperature. he values of potential available moisture, obtained by subtracting potential evapotranspiration from precipitation, show a higher moisture deicit during summer. In addition, marine intrusion into the backshore increase with the over-pressure condition of supericial ground water. To obtain quantitative evaluation of net water balance, surfaces and distribution of wetland boundaries between 1954 and 2007 were investigated. Information on birds population sizes of individual species have been used to set priorities in restoration allowing the conservation efort to be focused on some species. he inluence of water luctuation and habitat structure, including vegetation distribution, have been assessed and inundation scenarios visualized in 3D maps. he results of the present study highlight that the assessment of the water balance to obtain potential inundation scenarios stabilizes the fragmented nature of the residual wetlands. 113 Emiliana Valentini et al. Introduction Climate variability, dynamical and suricial process such as, marine, luvial and ground water, strictly inluenced by anthropogenic uses, can generate spatially and temporally highly variable environmental conditions, mostly in coastal wetland areas (Good et al., 1999; Zedler, 1996, 2000). Under this variability, the structure and growth of wetlands, can luctuate over time in response to seasonal pattern of water levels and suricial extension. Wetlands are complex and vulnerable ecosystems, characterized by diferent soil conditions in adjacent uplands, and by vegetation adapted to diferent wet conditions (Zhonghua & Wan, 2006). Such transitional zones may be diversity hotspots, because of the edge efect that enhances species richness and ecosystem services (Harris, 1988; Costanza et al., 1997). In this frame, ecological and hydrological results are integrated to establish restoration strategies for disappearing wetlands and provide a tool to stakeholders to eiciently manage coastal wetlands. Study area he Natural Reserve of Sentina has an extension of 178 ha and is bordered to the south with the armed mouth of the Tronto River and to the north it is delimited by a collector of organic dumping, with the emerged breakwaters that represent the outskirt of the town (Fig. 1). hanks to the application of conservation and protection strategies the area is included in the NATURA 2000 sites (‘Birds Directives’ EC, 409/1979 and ‘Habitats Directive’ EC, 43/1992) as a key element within the ecological networks both at regional and local scale. Land-use changes, agriculture irrigation and coastal erosion led to the loss of natural wetlands important for birds and for biological community in the whole and caused also signiicant decreases in ecosystem functions through altered hydro period and salt balance. In the last decades the presence of Sentina Natural Reserve saved the lower part of Tronto Valley from building activities (usually carried out without planning permission). At the same time, some evidence of dumping areas was found, suggesting that a wetland reduction is related to the diversion of channel network and to coastline evolution. he narrow unprotected beach is strongly inluenced by the absence of breakwaters and groins that characterise most of the Adriatic coasts; by a negligible sediment discharge from Tronto River and by management of dredged sediment from the har- 114 Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration bour of San Benedetto del Tronto. he site is vulnerable because of the indirect connection with tourism of the adjacent beaches and the original extent of wetland areas are now dependent on seasonal rainfall and on the intensity of storms during autumn-winter period. he dryness of summer leads to soil salinity increase and steppic habitat replacing wet grassland. Some of the pioneer annual vegetation and Salicornia patula, species that usually colonize muddy and sandy deposits, are disappearing. Mediterranean salt meadows (Juncetalia Maritime) and, in more elevated areas, Artemisia coerulescens are moving toward lower salinity areas. he emerged beach is characterised by ine-medium sand with some rippled areas showing paths of aeolian transport and some lat, rounded limestone shingles. Discontinuous colonisation of psammo-halophytic vegetation was observed during surveys. Figure 1: Ortophoto 2007 of the study site, georeference: UTM33 projection, datum WGS84. a) Wetland extension and shoreline in 1954. b) Tin obtained on two meters contour lines with ArcMap 9.2 R. 115 Emiliana Valentini et al. Climate settings Mediterranean weather conditions in Adriatic coastal areas are characterized by wet winter and dry summer with occasional precipitation. Protection or restoration of coastal wetlands requires a good understanding of the relationship between water supply and soil wetness. To obtain qualitative evaluation of aridity period length, the Bagnouls-Gaussen (1953) ombrothermic technique was used (Fig. 2). his technique shows months having the ratio between precipitation (mm) and temperature (C°) less than two (P<2T) and was employed as a proxy for ecosystems’ vulnerability to climatic stimuli. he Sentina area is characterized by hot summer, mean annual temperature of 16 °C and rainfall not higher than 550 mm. he ombrothermic technique ofers the possibility to highlight gradual shifts that occur during seasonal pattern, their relative lengthening, as well as corresponding seasonal draught conditions and precipitation overabundance. Results, based on the last ten years data (1996-2007) show the presence of aridity from May to September. Figure 2: Bagnouls-Gaussen ombrothermic diagrams. In ordered mean monthly rainfall (mm) and temperature (C°) on two diferent scale (P=2T), in abscissa the twelve months of the year. 116 Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration Materials and methods Water balance analysis In the present study the hornthwaite and Mather (1957) classiication system was used to perform quantitative water balance assessment of the soil. his method uses air temperature as an index of the energy available for evapotranspiration, assuming that it is correlated with the integrated efects of net radiation and other drivers of evapotranspiration. We used daily data from 1996 to 2007 of S. B. del Tronto meteorological station, compared with the elaboration of oicial meteo-climatic data of Marche region from 1950-1989 (Amici & Spina, 2002; Spina et al., 2007). Morphological and ecological analysis To obtain quantitative evaluation of net water balance, we investigated areal extent and distribution of wetland boundaries within the table of 1954 and the available ortophotos of 1985, 1995 and 2007 in GIS (ArcMap 9.3R). In the past (1954) the collector channel by looding the area was the principal element in wetlands water supply. he original wetlands were extended on a surface of 6-7 ha, probably not deeper than 3 m of brackish water. he quantiication of hydrogeological balance was made by integrating information and data about water availability in the site. At present, most of the water used for intense agriculture is directed from Tronto River into the irrigation network but into the backshore there is also evidence of water rise due to capillarity. A ield campaign during spring 2008 lead to the stratigraphic analysis with six hand (Eijkelkamp) cores of the irst 2 m of soil along three transect normal to the shore line and along it, and shows a very complex intercalation system of silty-clay, sandy and coarse lenses. he quantitative ecological and economical analysis of suitable scenarios was also based on the results of a census for implementation of bird species check-list (ISPRA, 2008). We collected information of migratory and breeding practice, about the inluence of water luctuation, physical and biological environment, about amphibian and the entire biological community, including vegetation distribution. hese data help in hypothesize looding scenarios that would favour biodiversity, increases in the usability from the avian and tourist users and that will be maintained by rainfall, external waters and sea storms. 117 Emiliana Valentini et al. he implementation of the shore development was provided by the following relation: F = l0/2√πA (1) where l0 is the wet perimeter; A is the area of inundated land in m2. his relation allows to quantify the irregularity/heterogeneity by geometric features of wetlands extracted by 1954 – 1985 – 1995 – 2007 maps, useful to compare them with morphological restoring hypothesis. Results and discussions Net water balance he evapotranspiration rate during the draught season is about 150 mm/ month, which corresponds to a water deicit balance of about 5 mm/d/m2 (Fig. 3). When the rainfall is less than the evapotranspiration values, soil vegetation needs to withdraw water from groundwater. Such process contributes to the salt water intrusion within Sentina Natural Reserve, and locally dryness of suricial soil may arise. Figure 3: Evapotranspiration of two diferent time range, 1950-1989 (regional scale) and 1996-2007 (local scale); in the table, the P-Ep values at local scale. In the last ifty years, frequency of marine intrusion that occurs during storms increased with the sensitive retreat of shoreline. We have estimated a loss of territory of 20 ha in the period between 1954 and 2007, corresponding to 50 % of original 118 Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration wetlands areas disappeared during this interval. Moreover, on the 1954 map, wetland inondation was developed over a surface of about 65,000 m2 in the Northern part of the reserve close to the backshore. One of the evidence of this comparison is that coastal system in the whole is seriously afected by a synergy of climate and anthropogenic forces that forced to a shoreline retreat of 20 m between 1985 and 1995 and 30 m between 1995 and 2007, with a loss of 8.5 ha of emerged beach. Geomorphic and ecological evidences Rising of water level observed immediately after coring, suggests an over-pressured water table, located between 0.8 m and 1.4 m of depth, that corresponds to 0.1 and 0.8 a.s.l. Water salinity ranges between 2.5 g/l and 22 g/l. Soil aridity means that in addition to the hydrological deicit, highlighted by the hydrological and bioclimatic balance, we have also to consider the loss for iniltration mechanisms, lateral and vertical, that involves natural sandy, clay and silty soils, characterized by low permeability with a K coeicient in the order of 10-5-10-6 cm/s. In such conditions losses of iniltration correspond to a water blade from 50 to 5 mm/day. As an example, in presence of a permeability of 5 x 10-5 cm/s, that corresponds to silty-clay deposits found during surveys, the losses by terrain are of about 15 l/s/ha. he upward trend in arid conditions is faced with the need of inding new sources of water supply for maintaining the stability of levels. It was estimated that by the simple compensation of evapotranspiration water losses the needs should be considered in a maximum order of 10-12 mm/day, corresponding to a power of about 1.4 l/s/ha. A GIS based evaluation and the shore development (F) based on the 1954 shapes show articulated areas, with irregular marshes with less heterogeneity under the bathymetric proile, probably deeper in the north of the backshore. Wetlands in the past had an F value comprised between 1.63 (l0 = 530 m, A = 7,800 m2) and 2.14 (l0 = 1825 m, A = 57,800 m2). With these F values, and with the great species diversity in avifaunal community, morphological restoration will include high F values. To ensure the presence of birds, mudlats with scarce vegetation within subemerged habitat and very shallow waters are favoured. Equally, with the great presence of Passeriformes, attracted by seminative or to serve tuft of reed within subemerged ponds for Acrocephalus paludicola (IUCN, 2007), structural diferentiation is a sensitive question to evaluate. he irst scenario represents a suricial inundation with 2 m above the actual surface morphology. If we hypothesize the removal of some land, we can obtain 119 Emiliana Valentini et al. more surface and deeper permanent waters. In the irst scenario wetlands are extended on a surface of 130,000 m2 and net water requirements are 10 l/sec. (Fig. 4a). In case of inundation up to the 0.8 m and the removal of the top 0.4 m of soil, we can have 57,000 m2 of ponds and astatic seasonal areas (Fig. 4b) having a storage volume of about 25,000 m3. In this case, 4.6 l/s of water are requested to compensate the evapotranspiration rate (Fig. 4b). Figure 4: Scenarios hypothesis and modelling. In a) no land will be moved from the site, in b) 25000 m3 are removed. 120 Integrating ecological and hydrological features to assess coastal wetland restoration Conclusions Within the Sentina Natural Reserve, aridity and water scarcity combined with salinity intrusion let wetlands presence only with additional water supply because the natural precipitation is not enough to maintain stable ground water tables. At present, the irrigation system provides water supply for agriculture in most of the area and this water is picked up from the neighbouring Tronto River. he results obtained by the inundation’s scenarios showes that in order to produce a irm wet condition, the water supply should vary seasonally, according to the seasonal rates of evapotranspiration and the consequent recharging time of ponds. To obtain 5-6 ha of inundated wetland, an external supply of 10-12mm/d with an average low rate of 1.4 l/s/ha should guarantee a constant inundation through the year. In particular, a supply of 5 l/sec to the southern part of the area and 7-8 l/s to the northern part is proposed to realize such intervention. At present, the most promising option proposed to stabilize wetlands is to use the Tronto River’s waters, that shows “good” water quality (ARPA Marche, 2005). In addition, land and soil handling and management will help heterogeneity in terms of sinuosity, varying slope and depth of ponds, presence of small islands and shoals which are fundamental to trigger competition and coexistence among diferent species. Ackwoledgement he present study have been funded by the city council of San Benedetto del Tronto and the Natural Reserve of “La Sentina” (Marche Region). Special thanks to Andrea Taramelli and Lorenzo Rossi for supporting reviews and GIS mapping. 121 Emiliana Valentini et al. References Amici, M. & Spina, R. 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In this study microbial strains were isolated from non pretreated vegetable kitchen waste, under mesophilic anaerobic conditions. 11 strains out of 63 isolated were selected on the basis of H2 production capacity. Comparison with the 16S rRNA genes in the GenBank showed that all the producers had sequence similarities ≥ 98 % with known strains. Ten were ailiated with phylotype of Enterobacteriaceae (γ – proteobacteria) and one of Streptococcaceae (Firmicutes). Seven strains (Erwinia sp. MK14; Pantoea agglomerans and P. sp. 57917; Enterobacter sp. 638 and E. aerogens strain C4-1; Lactococcus lactis strain R-30; Citrobacter freundii strain MH0711) belonged to species already known as hydrogen producers, while four strains (Pectobacterium carotovorum strain E161 and strain NZEC23; Endophyte bacterium SS10; Raoultella ornithinolytica) were characterized for the irst time for their ability to produce H2. Hydrogen producing performance of isolates was investigated in batch by dark fermentation using glucose as substrate and compared under the same experimental conditions. Cumulative H2 production, H2 yield and the amount of soluble metabolites were determined for each strain. 125 Antonella Marone et al. Introduction Hydrogen is considered to be the fuel of the future mainly due to its high conversion eiciency, recyclability and non polluting nature. Among the methods for its production, the most promising and environmentally friendly one seems to be the dark fermentation of organic wastes as it solves both the problem of energy production and waste disposal (Benemann, 1996). he dark H2 fermentation is carried out by fermentative H2-producing microorganisms, such as facultative and obligate anaerobes. One way to improve the eiciency of H2 production is to identify and to select bacterial strains with high H2 producing abilities from diferent substrates (Kalia & Purohit, 2008), and to characterize the microbial metabolism, in order to understand and optimize the whole process. his work has two main aims: 1) to isolate and to identify potential H2 producer bacterial strains developed in vegetal waste under mesophilic anaerobic conditions; 2) to characterize the fermentation process of the isolates in batch cultures using glucose as a nutrient source. Materials and methods Vegetable kitchen waste Vegetable kitchen waste, composed of green vegetables (V) and a mix of green vegetables and potatoes peelings (VP) was chosen as substrate. he waste was collected from the canteen at the ENEA Research Centre-Casaccia. It comes from the irst processing of food and represents a typical daily waste produced during the year. Screening for H2 producing bacteria he isolation of microbial colonies was organized as follows: two extracts were obtained by homogenizing 1g of the samples V and VP in sterile saline solution (0.9 % v/v). Serial dilutions of the two extracts were plated on the basal fermentation 126 Screening Microbial Diversity from Vegetal Wastes in aid of Bio-Hydrogen Production medium (BFM) with 0.1 M KH2PO4–Na2HPO4 bufer solution, pH 6.8 (Pan et al., 2008). Plates were incubated at 28 °C for 48 h in anaerobic jar. In order to isolate bacteria, single distinct colonies showing diferent morphologies were picked up from plates of 102-103-104 fold dilutions. Each colony was re-streaked on fresh plates under anaerobic chamber more than three times to ensure the purity of the isolates. All isolates were cryopreserved in glycerol (30 % v/v) at –80 °C until use. Single colonies were picked up from BFM plates and inoculated in 25 ml bottles containing 10 ml of BFM liquid medium and H2-producing bacteria were selected on the basis of the presence of H2 in the evolved gas. 16S rDNA sequencing and phylogenetic analysis DNA of each bacterial isolate was prepared by lysis of 2-3 colonies grown overnight on BFM plates according to the procedure described by Vandamme et al. (2002). he ampliication of the 16S rRNA gene was carried out using eubacterial universal primers 27f (5’-GAGAGTTTGATCCTGGCTCAG-3’) and 1492r (5’-CTACGGCTACCTTGTTACGA-3’) with 2µl of each cell lysate suspension in 20µl of Quiagen Taq bufer with 0.5 U of Taq DNA polymerase, as reported by Di Cello et al. (1997). PCR products were puriied using the Sephadex TM G-100 resin according to the supplier’s instructions and quantitatively analyzed using the spectrometer hermo Scientiic NanoDropTM. Sequencing reactions were prepared using the sequencing kit Applied Biosystem Big Dye Terminator ® version 3.1, according to the manufacturer’s instructions, and analyzed with an ABI PRISM 310 Genetic Analyzer Perkin-Elmer, at the ENEA Genome Research Facility DNA Sequencing Laboratory (Genelab, ENEA C.R. Casaccia, Italy). hermal cycling was performed with a gene Amp PCR System 9700 instrument (Applied Biosystems). he raw sequences of both strands were analyzed by the software Chromas Pro and DNA star and the consensus sequences were compared with those deposited using the BLAST network service of the NCBI db (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/ BLAST/). For phylogenetic analysis, identiication of 16S rRNA gene sequences was performed with RDP Classiication Algorithm (http://rdp.cme.msu.edu/classiier/ classiier.jsp). 127 Antonella Marone et al. Batch tests for H2 production he bacterial strains were renewed in pre-culture basal medium as reported in Pan et al. (2008). After anaerobic incubation at 28 °C with shaking at 120 rpm for 24 h, the cultures were used as inocula. he production tests for each strain were carried out in 125 ml serum bottles, containing 50 ml of BFM. he medium was sterilized by autoclaving (121 °C for 15 min) while the minerals, vitamins and glucose, previously prepared in stock and iltered with ilters 0.22 µm, were added later. he bottles capped with rubber stopper were inoculated 1% (v/v) ratio, with pre-activated bacterial cells and lushed for 2 min with iltered (0.22 µm) pure nitrogen gas to remove oxygen. he bottles were incubated in the dark at 28 °C in an orbital shaker at 120 rpm. he total gas volume was measured using water displacement equipment (Kalia et al., 1994). he pH of the cultures was also measured, while liquid and gaseous product composition was analyzed, as described below. Analytical methods Biogas analysis he H2 percentage of biogas in the headspace of the reactors was measured using a gas chromatograph (Focus GC, by hermo) equipped with a thermal conductivity detector (TCD) and a 3 m Stainless Steel column packed whit Hayesep Q (800/100 mesh). he volume of produced H2 was calculated by the mass balance equation (Logan et al., 2002): VH,i=VH,i –1+CH,i(VG,i -VG,i – 1)+VH(CH,i-CH,i – 1) where VH,i and VH,i–1 are cumulative H2 gas volumes at the current (i) and previous (i–1) time intervals, respectively; VG,i and VG,i–1 are the total biogas volumes at the current (i) and previous (i–1) time intervals; CH,i and CH,i–1 are the fraction of H2 gas in the headspace at the current (i) and previous (i–1) time intervals, and VH is the total volume of headspace in the reactor. Fermentation products he metabolic products of fermentation (Volatile Fatty Acids, lactate, and ethanol) and glucose were analyzed by a high performance liquid chromatograph (hermo Spectrasystem P4000) equipped whit both an UV detector (λ = 210 nm) and a refractive index detector. 128 Screening Microbial Diversity from Vegetal Wastes in aid of Bio-Hydrogen Production he column, a 300 mm × 7.8 mm Rezex ROA-Organic Acid H+ (8 %) column (Phenomenex) with a 4×30 mm security guard cartridge Carbo-H (Phenomenex), was operated at 65 °C, using a solution of 5 mN H2SO4 as mobile phase (low rate, 0.5 ml/min). he liquid samples were diluted 1:10 and pretreated with 0.22 µm membrane ilter before injection to the HPLC. Results Diversity of microbial isolates Totally 63 single distinct colonies were selected, showing diferent morphologies, 16 from V (numbered from 1 to 16) and 47 from VP (numbered from 17 to 63). 11 of the isolates that were grown on liquid medium, were selected for H2 production (yield ≥ 0.2 mol H2/mol glucose): seven V-isolates (2, 3, 4, 5, 9, 10, 15) and four VP-isolates (47, 54, 56, 57). Comparison with the 16S rRNA genes in the GenBank showed that all isolates had sequence similarities ≥ 98 % with known strains (Tab. I). Ten isolates were ailiated with phylotype of Enterobacteriaceae (γ–proteobacteria) and one of Streptococcaceae (Firmicutes). Table I: Phylogenetic ailiations of 16S rRNA gene. a: sequence similarities between rDNA gene sequences of strain and those of the closest relatives in the NCBI database. b: identiication performed with RDP Classiication Algorithm. Bootstrap conidence values are given between brackets (classiication is well supported for conidence > 80 %). 129 Antonella Marone et al. H2 production by microbial isolates Preliminary tests were carried out for evaluating the efect of glucose concentrations (5.5 mM, 27.5 mM, 55.5 mM) on H2 yield (mol H2/mol glucose). Results show (Fig. 1) that the yield decreases with increasing substrate concentrations for all strains except for strains 3 and 54. he higher eiciency was observed at glucose 5.5 mM for all the strains except for 3 and 54 (55.5 mM). hese concentrations were used for production tests. Figure 1: Efect of glucose concentrations on H2 production eiciency. Results of H2 production expressed by all strains are summarized in table II. he gases detected from the anaerobic fermentation process were H2 and CO2; CH4 was never detected. Nine strains (2-Pectobacterium carotovorum E161, 4-Pantoea sp. 57917, 5-Pectobacterium carotovorum strain NZEC23, 9-Enterobacter sp. 638, 10-Endophyte bacterium SS10, 15-Enterobacter aerogens C4-1, 47-Raoultella ornithinolytica, 56-Lactococcus lactis R-30 and 57-Citrobacter freundii MH0711) were able to utilize glucose for H2 production and they revealed as good H2 producers. In contrast, two strains (3-Erwinia sp. MK14 and 54-Pantoea agglomerans) could not utilize glucose and no H2 production was observed. he H2 production yield showed a range from 1.6 ± 0.0 to 2.7 ± 0.2 (mol H2 / mol glucose). Pantoea sp. 57917 exhibited the best Hydrogen producing performance corresponding to cumulative production of 18.3 ± 1.5 ml and 19 %. H2 production followed a variable trend during the experiments: an earlier production (3-6 hours) was observed for P. carotovorum E161, Enterobacter sp. 638, 130 Screening Microbial Diversity from Vegetal Wastes in aid of Bio-Hydrogen Production E. bacterium SS10, R. ornithinolytica and C. freundii and a more prolonged time of production was expressed by R. ornithinolytica that ended production after 48 hours. pH of 6.8 was found to be suitable for hydrogen production and did not show any signiicant variation with a slightly decrease to 5.4 for Enterobacter sp. 638. Table II: Summary of parameters characterizing H2 production by all isolates. a: b: c: d: e: V, strains isolated from green vegetables VP, strains isolated from green vegetables and potatoes peelings start time and end time (hours) of H2 production highest parameters of production medium pH at ended production 131 Antonella Marone et al. Composition of soluble metabolites Soluble metabolites analyses were performed. In table III only results obtained at ended production are summarized. he main metabolites produced from all H2 positive strains were acetic acid, formic acid and ethanol, while a smaller amount of propionic acid and lactic acid was also formed. A diferent pattern was observed for Erwinia sp. MK14 and P. agglomerans strains that produced respectively the higher concentration of lactic acid, formic acid and ethanol. Butyric acid was produced only by Erwinia sp. MK14. In table III residual glucose concentration is also reported. All glucose added was used by all nine producing strains, while residual concentrations were pointed out for not producing strains. Table III: End fermentation soluble metabolites and residual glucose. a: b: *: +: V, strains isolated from green vegetables VP, strains isolated from green vegetables and potatoes peelings 5.5mM of glucose added 55.5mM of glucose added 132 Screening Microbial Diversity from Vegetal Wastes in aid of Bio-Hydrogen Production Discussion After verifying the capacity of the waste’s endogenous microorganisms to produce H2 in auto-fermentation (Marone, 2009), we isolated eleven bacterial strains from endogenous microbial population of vegetable waste. Among the producing strains P. carotovorum strains E161 and NZEC23, E. bacterium SS10 and R. ornithinolytica were characterized for the irst time. heir potential in H2 production was comparable to the other known strains (Kalia & Purohit, 2008). he experimental conditions used were suitable for H2 production from all microbial isolates except for Erwinia sp. MK14 and P. agglomerans. hese strains were not able to convert glucose to H2 as shown from all parameters (Tab. II and III). he H2 producing strains metabolized all glucose forming acetic acid, formic acid and ethanol as soluble metabolites (Tab. III). hey expressed a mixed acid fermentation of glucose characterized by two pathways: the acetic and the formic acids fermentations. hese are characteristic pathways of Enterobacteriaceae anaerobic fermentation that occurs through the action of both periplasmic hydrogenases and of cytoplasmic formate hydrogen-lyase complex (FLH) (Mathews & Wang, 2009). Induction of FLH complex and therefore the degradation of formic acid to H2 bufers the drop of pH (Hallenbeck, 2009) and this is consistent with our data. Since H2 is derived from formic acid, and a maximum of two molecules of formates are formed per glucose, maximum H2 yield can be predicted to be 2H2/glucose. he results of this work show that it could be possible to improve both H2 production and yield from fermentation of vegetal waste using autochthonous pure bacterial strains as starters. 133 Antonella Marone et al. References Benemann, J. (1996) Hydrogen biotechnology: progress and prospects. Nature Biotechnol, 14, 1101-3. Di Cello, F., Bevivino, A., Chiarini, L., Fani, R., Pafetti, D., Tabacchioni, S. & Dalmastri, C. (1997) Biodiversity of a Burkholderia cepacia population isolated from the maize rhizosphere at diferent plant growth stages. Applied in Environmental Microbioliogy, 63, 4485-4493. Hallenbeck, P. C. (2009) Fermentative hydrogen production: principles, progress, and prognosis. International Journal of Hydrogen Energy, 34, 7379-7389. Kalia, V. C., Jain, S. R., Kumar, A. & Joshi, A. P. 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On the basis of the Water Framework Directive 2000/60 (WFD), which is the main European reference in the policy of water safeguard, the water ecosystems of Community States should meet good quality standards by 2015. A basic aspect of the WFD is the use of bioindicators to be integrated with the classical methods of water assessment based on chemical, physical and bacteriological analyses. In this study, the leaves of Phragmites australis (common reed) were used as heavy metal biomonitors to assess the anthropogenic inluence on the Imera Meridionale river, the longest watercourse of Sicily. Phragmites australis is a perennial herbaceous plant widespread throughout the world, living in wetlands and tolerant to highly toxic environments. he heavy metals analyzed were Cd, Cr, Cu, Hg, Mn, Ni, Pb, Zn, which were detected in three sampling sites next to the river. he source area, located in the Madonie Park, was chosen as control site whereas the other two stations were located in the middle course, where farming is predominant, and at the mouth, afected mainly by urbanization and intensive farming. Results indicated a signiicant heavy metal bioaccumulation in the anthropogenic sites but only Cr, Mn and Pb exceeded the phytotoxic threshold. his study showed that the Imera Meridionale river is a stressed ecosystem which requires suitable safeguard actions aiming at limiting human inluence along the course. In particular, heavy metal contamination can be mainly due to agricultural chemicals such as fertilizers, and exhaust fumes of vehicular traic, especially at the mouth. Possible restoration strategies should consider the granting of subsidies for those farmers willing to reduce the use of certain chemicals, and the creation of protection belts where human activities are regulated. 137 Giuseppe Bonanno Introduction Monitoring of freshwater ecosystems is a matter of growing concern due to the progressive impoverishment and contamination of water resources. Over the past decades, biological monitoring has risen to the forefront of environmental impact assessments and routine programs (Wang et al., 1997). A great impetus for biomonitoring came from the Water Framework Directive (WFD 2000/60), that is the main regulatory reference of the European Community in the policy of water protection, according to which the water resources of Community States should reach good quality standards by 2015. One of the major aspects of such regulations concerns the integrated use of chemical and physical analytical methods of water monitoring with the aquatic biota such as lora, invertebrates and ish. Biological monitoring measures the loss of naturalness of aquatic habitats, has a good response to minor pollution events and has a longer time dimension by recording the efects of chemical and hydrological events which may have lasted years (Chapman, 1996; Bargagli, 1998). Compared with other plant and animal species, macrophytes have been reported to show better capacity for metal accumulation (Jana, 1988), and can be ideal in situ biomonitors of metal contamination because they can tolerate high concentrations in water and sediment (Lin & Zhang, 1990). However, local conditions and availability of macrophytes afect largely the selection of plant species for biomonitoring. Among aquatic ecosystems, the condition of rivers reveals much about the consequences of human actions because rivers integrate all that happens in their landscapes. he aim of this study was to biomonitor the heavy metal contamination of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis (common reed), a macrophyte widespread throughout the world. As case study, the Imera Meridionale River, Sicily’s longest water course, was considered, and the concentrations of Cd, Cr, Cu, Hg, Mn, Ni, Pb, Zn were analyzed in the leaf tissues of Phragmites australis in three sampling points with diferent degree of disturbance. Restoration actions were also discussed. 138 Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis. Materials and methods he research focused on the Imera Meridionale River, Sicily’s longest water course (144 km). he watershed is 2120 km2 wide, with an annual discharge of 8 m3/s. Average temperature and rainfall are 18 °C and 600 mm, respectively. he predominant human activities are farming, in particular intensive agriculture in greenhouse is widespread in the lower course. Several towns are located near the river, but only one is crossed by it (Licata, mouth). his river is also called “Salso” for the high salinity of its waters. hree sampling sites were considered: one in the upper course as control site, the other two in the middle stem and at the mouth (Fig. 1). he control site was chosen within the park of the Madonie Mountains near the town of Petralia Sottana (PA); the second site was located at Mount Capodarso (EN), in an area subject to high vehicular traic due to the Caltanisetta-Gela freeway; the mouth was considered as second anthropogenic site because afected by the massive urbanization of the town of Licata (40,000 inhabitants). As experimental unit, the plant Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steud., called “common reed”, was examined. his species is a large perennial grass living in lakes, rivers, and brackish wetlands, prefers eutrophic and stagnating waters, tolerates a moderate salinity, and is worldwide distributed. It belongs to the Poaceae family and it is the only species of the Phragmites genus. he sampling campaign was performed during January-May 2009 in days with the same weather conditions, and the sampling dates were sunny and not windy. In each sampling site, ive samples of Phragmites australis were randomly collected, put in plastic bags, and taken to the laboratory for dissection. he upper leaves of each plant were removed to form the basic sample for chemical analysis. Such leaves were not washed. he heavy metals analyzed were Cd, Cr, Cu, Mn, Ni, Pb, Zn by ICP-MS, whereas Hg was detected by AAS. Data were statistically processed by a one-way ANOVA with the site as independent variable, and log-transformation was adopted if necessary. he post-hoc Tukey test was applied to ascertain the signiicant diferences among the mean values (p < 0.05). he statistical processing was conducted using the software SPSS version 17.0. 139 Giuseppe Bonanno Figure 1: Location of the study area and sampling points. Results he metal concentrations are shown in table I with the corresponding toxic thresholds (Allen, 1989; Chaney, 1989; Kabata-Pendias & Pendias, 2000). he results are summarized as follows: 1. concentrations decrease in the order of Mn > Zn > Pb > Cu > Hg > Ni > Cd > Cr 2. metals with a signiicant increasing trend are Cr, Cu, Mn, Pb, Zn 3. metals with similar concentration in anthropogenic sites are Cd, Hg, Ni 4. metals above toxic threshold are Cr, Mn, Pb 5. metal above toxic threshold in both anthropogenic sites is Mn 6. metal with the highest control/anthropogenic concentration ratio is Mn (1:10) 140 Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis. Table I: Heavy metal concentrations in leaf tissues [mg kg-1]. Metal Site 1 control Site 2 anthropogenic Site 3 anthropogenic Toxic threshold Cd 0.22 ± 0.01a 0.68 ± 0.08b 0.78 ± 0.10b 5 Cr 0.10 ± 0.01a 0.42 ± 0.05b 0.69 ± 0.06c 0.5 Cu 4.05 ± 0.37a 5.88 ± 0.69b 7.32 ± 0.28c 25 Hg 0.55 ± 0.13a 0.86 ± 0.15b 0.91 ± 0.09b 1 Mn 30.25 ± 4.89a 295.75 ± 15.63b 343.63 ± 14.72c 50 Ni 0.35 ± 0.07a 0.71 ± 0.11b 0.85 ± 0.07b 5 Pb 13.59 ± 2.43a 26.36 ± 4.21b 34.72 ± 5.61c 30 Zn 16.75 ± 3.52a 31.22 ± 5.19b 37.23 ± 2.53c 500 Note: diferent letters mean signiicant diferences among sites Discussion his study showed that the Imera Meridionale river is a signiicantly human impacted ecosystem because most heavy metals (Cr, Cu, Mn, Pb, Zn) varied according to an increasing gradient. he progressive environmental worsening is also emphasized by the levels of Cr, Pb and Mn which passed the toxic threshold. Cr is an element considered as toxic for plants, and its dangerous levels at the mouth are likely due to agricultural chemicals. Similarly, Pb is not essential in plant species and is potentially harmful. According to Ye et al. (1997), Phragmites australis may have an innate tolerance to Pb because insuicient evidence was found to support the idea that common reed populations living in metal-contaminated sites have evolved to a Pb tolerant ecotype. Pb contamination is often linked to the exhaust emission of vehicles. In turn, Mn is an essential micronutrient for plants, especially in the activity of various types of enzymes. he ten-fold level of Mn compared to the control site is indicative of massive use of fertilizers. In particular, the fact that Mn bioaccumulation was dangerously toxic in both anthropogenic sites implies that farming is the primary source of disturbance as compared to vehicular traic on a basin scale. Agricultural activities are now considered the dominant source for non-point pollution of rivers (Jones, 1997), and manganese is one of the most common contaminants due to agriculture (Beke et al., 1993; Kelly, 1997). Heavy metal concentrations may be also afected by a salinity gradient (Wang & Liu, 2003), especially at the mouth (site 3). However, salinity should be considered relatively constant in site 3 because of the short stretch of sampling, thus implying low efects on bioaccumulation. 141 Giuseppe Bonanno Aquatic lora relects the metal content of its environment (Sawidis et al., 1995). Bioaccumulation of heavy metals is afected by numerous environmental factors that include water, soil, atmospheric deposition, seasonal physiology, speciesspeciic capacities for uptake, translocation and compartmentalization of trace elements (Bargagli, 1998). Rooted macrophytes such as Phragmites australis are generally inluenced more by metals in sediment than by those in water. In particular, once released into the aquatic environment, a part of heavy metals is transferred to sediments by the processes of adsorption onto suspended matter and sedimentation (Zwolsman et al., 1993). Sedimentation of polluted particles results in high metal contents in the soil of wetlands, which are generally considered as a sink (Hart, 1982). Several authors showed that macrophytes act as “biomonitors” because they register metal temporal luctuations, thus providing historical information on past environmental conditions (Žáková & Kočková, 1999; Fränzle, 2006; Vardanyan & Ingole, 2006). Biomonitors, deined as organisms providing quantitative assessment of the environmental quality, could detect not only the presence of anthropogenic stressors but also the adverse impact that stressors are having on the environment (Wang et al., 1997; Chang et al., 2009). Over the last two decades, river ecosystems have experienced signiicant alterations that afected profoundly the biota and the abiotic environment. Only through a constant monitoring can land planners implement suitable actions to ecologically improve the health of rivers. Regarding the Imera Meridionale River, feasible protection strategies should aim on the one hand at regulating activities related to agriculture and breeding such as granting subsidies for those farmers willing to reduce certain chemicals, on the other at creating safeguard bufers where human activities are controlled. Conclusions his study indicated that the Imera Meridionale River is an impacted ecosystem afected by an increasing gradient of heavy metals. In particular, the levels of bioaccumulation in the leaves of macrophyte Phragmites australis showed a signiicant toxicity of Cr, Mn, and Pb. Restoration strategies should put into practice actions controlling farming on a basin scale. 142 Heavy metal biomonitoring of a river ecosystem by the leaves of Phragmites australis. References Allen, S. E. (1989) Chemical analysis of ecological material. 2nd edition. Blackwell Scientiic Publications, Oxford. Bargagli, R. (1998) Trace elements in terrestrial plants. An ecophysiological approach to biomonitoring and biorecovery. Springer, Berlin. Beke, C. J., Entz, T. & Graham, D. P. (1993) Long term quality of shallow groundwater at irrigated sites. Journal of Irrigation and Drainage Engineering, 119, 8-23. Chaney, R. L. (1989) Toxic element accumulation in soils and crops: protecting soil fertility and agricultural food chains. In: Bar-Yosef, B., Barrow, N. J., Goldshmid, J., editors. Inorganic Contaminants in the Vadose Zone. Springer-Verlag, Berlin, 140-158. Chang, J. S., Yoon, I. H. & Kim, K. W. 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Vengono discussi i vantaggi e le diicoltà del metodo, mettendo in evidenza la necessità di una più approfondita informazione ecologica per migliorare il processo di valutazione sito-speciica del rischio ecotossicologico. Introduzione Le procedure attualmente utilizzate per la valutazione del rischio ecotossicologico sono costruite basandosi sul mero confronto fra stime di esposizione ad un fattore di stress ed efetti tossicologici misurati sperimentalmente su ristretti numeri di specie. La valutazione comparativa di questi due fattori risulta tuttavia più vicina alla deinizione di “pericolo” (hazard) che a quella di “rischio” (Cairns et al., 1979; Cairns, 1980). In generale, anche astraendo dall’ambito ecologico, il pericolo è deinito dal prodotto di una esposizione ad un fenomeno potenzialmente nocivo per il grado 145 Alessio Ippolito et al. di magnitudine di tale fenomeno. In quest’ottica il pericolo può essere considerato come il potenziale di produzione di un rischio. Anche in ecologia i concetti di pericolo e di rischio, sebbene intimamente connessi, non possono essere considerati coincidenti. Il rischio ecotossicologico viene deinito come la probabilità, legata ad un dato pericolo, che si veriichi un evento avverso o indesiderabile, valutata attraverso indicatori riguardanti tre diversi aspetti: esposizione; efetti causati dal fattore di stress; caratteristiche del sistema biologico potenzialmente esposto. In particolare è necessario valutare la vulnerabilità del sistema, determinata da caratteristiche e da meccanismi, spesso assai complessi, intrinseci al sistema stesso. In letteratura il concetto di vulnerabilità degli ecosistemi è stato inora scarsamente trattato (De Lange et al., in press). Nell’ambito del presente lavoro il concetto di vulnerabilità degli ecosistemi si riferisce all’insieme delle caratteristiche di un ecosistema che ne determinano una maggiore o minore condizione di alterabilità delle funzioni ecologiche in relazione ad uno speciico stress/contaminante. Quanto più tali caratteristiche sono deinite, tanto più realistica potrà essere la valutazione della vulnerabilità del sistema, specialmente se viene integrata una valutazione sito-speciica. Gran parte delle Direttive Europee inerenti la regolamentazione di sostanze pericolose richiedono valutazioni di rischio non sito-speciiche. Il rischio in questi casi viene caratterizzato solo sulla base del rapporto fra un indicatore di efetto (tendenzialmente end-point ecotossicologici determinati in laboratorio, es. EC50, NOEC) o una PNEC (Predicted No Efect Concentration – Concentrazione prevista di non efetto), e un indicatore di esposizione come una PEC (Predicted Environmental Concentration). I rapporti PEC/PNEC (EC, 2003) e TER (Toxicity Exposure Ratio) (EC, 1991) sono spesso utilizzati come indicatori di rischio, assumendo come target di protezione un ideale “ecosistema medio europeo” (acquatico o terrestre) e come indicatori di efetto dati tossicologici su organismi standard, assunti come rappresentativi dei principali livelli troici. Le caratteristiche intrinseche dell’ecosistema esposto e quindi la vulnerabilità dell’ecosistema non vengono assolutamente considerate e le procedure non sono sito-speciiche: si riferiscono a scenari ambientali generici a diversa scala. Esse rispondono alla necessità di misure di controllo a livello europeo e non sono pertanto adatte alla valutazione del rischio efettivo su ecosistemi speciici. Al contrario, per una valutazione del rischio sito-speciica la conoscenza delle caratteristiche della comunità biologica e dell’ambiente isico in cui questa si inseri- 146 La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico sce, divengono fondamentali (Sala & Vighi, 2007), come richiesto in diversi contesti, tra i quali la Direttiva Quadro sulle Acque (Water Framework Directive; EC, 2000). Struttura metodologica per la stima della vulnerabilità di una comunità biologica Il presente lavoro ha come obiettivo la declinazione del concetto di vulnerabilità ecologica, al ine di gettare le basi metodologiche attraverso cui sia possibile, nel futuro, efettuare delle valutazioni della vulnerabilità che siano il più possibile complete ed ecologicamente realistiche (De Lange et al., in press). La stima della vulnerabilità di un ecosistema deve necessariamente tener conto di una quantità considerevole di fattori, e consta della valutazione della vulnerabilità della comunità e della vulnerabilità dell’habitat che la ospita. Infatti, l’ecosistema è costituito da una comunità biologica inserita in un ambiente che con le sue caratteristiche isiche, chimiche, climatiche, geograiche e morfologiche è parte integrante dell’ecosistema stesso. Tali stime sono intimamente congiunte, dal momento che un fattore di disturbo in grado di produrre signiicativi cambiamenti nell’habitat di una certa comunità biologica ha una grossa probabilità di generare uno stress diretto o indiretto sulla comunità stessa. Il processo di valutazione della vulnerabilità della comunità si fonda principalmente sull’analisi di tre caratteristiche: Sensibilità; Capacità di recupero (resilienza); Suscettibilità all’esposizione. Il primo passo è rappresentato da un’indagine il più possibile approfondita sulla composizione della comunità oggetto di valutazione e delle sue dinamiche al ine di consentire di concentrarsi maggiormente sulle popolazioni più rappresentative o aventi un ruolo ecologico determinante (specie chiave), dal momento che raccogliere dati ed informazioni di dettaglio su tutte le specie presenti in un ecosistema risulterebbe certamente molto arduo se non addirittura impossibile. È opportuno raccogliere quante più informazioni possibile sulla composizione, distribuzione e sulla struttura delle singole popolazioni, oltre a dati autoecologici e isiologici. L’individuazione e la caratterizzazione del fattore di stress o, nel caso in cui ce ne sia più di uno, delle relazioni esistenti fra le diverse fonti di disturbo, rappresenta un passaggio fondamentale nel processo di valutazione della vulnerabilità, in quanto necessariamente stress-speciica. 147 Alessio Ippolito et al. Valutazione della sensibilità della comunità Una volta individuati i fattori di stress è possibile procedere alla valutazione degli efetti che questi provocano sulla comunità. Le stime di sensibilità efettuate nell’ambito della valutazione del pericolo hanno un carattere generalista: si efettuano test su poche specie standard ritenute rappresentative dei diversi livelli troici di un ecosistema. Invece, l’approccio proposto per la valutazione della sensibilità nell’ambito della stima della vulnerabilità è di tipo sito-speciico. Le specie sulle quali si decide di indagare per valutare gli efetti di un fattore di stress sono efettivamente presenti nell’ecosistema oggetto di studio, ed anzi giocano un ruolo rilevante per rappresentatività e/o per importanza nelle dinamiche della comunità. La sensibilità delle diverse specie all’interno della comunità può essere rappresentata in termini probabilistici utilizzando il metodo della Species Sensitivity Distribution (SSD, Van Straalen & Denneman, 1989; Posthuma et al., 2002). In mancanza di dati sperimentali sulle specie che compongono la comunità, la risposta di specie diverse ad una stessa tipologia di stress può essere prevista sulla base di determinate caratteristiche (traits) delle specie stesse (Baird & Van den Brink, 2007). Un altro possibile metodo previsionale è rappresentato dalle QICAR (Quantitative Interspeciic Chemical Activity Relationships, Dimitrov et al., 2000; Tremolada et al., 2004). Un altro importante problema per la valutazione della sensibilità della comunità biologica è la stima degli efetti indiretti a seguito di uno stress. Valutazione della capacità di recupero della comunità Il danno efettivo che una comunità biologica può subire a seguito di una esposizione ad un fattore nocivo non è determinato unicamente dalla sensibilità, espressione della resistenza della comunità. La valutazione della resilienza della comunità permette di valutare la risposta delle popolazioni nel tempo successivo all’esposizione (ammettendo che questa sia discontinua o comunque limitata nel tempo) e la capacità delle comunità di ritornare allo stato di organizzazione strutturale e funzionale precedente alla variazione indotta da un fattore di stress. Il recupero a livello di popolazione può dipendere da proprietà individuali (e.g. capacità di detossiicazione, metabolizzazione) oppure da proprietà collettive (e.g. strategie r o K, potenziale riproduttivo). 148 La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico Valutazione della suscettibilità all’esposizione Ogni specie possiede delle caratteristiche intrinseche che rendono più o meno probabile un certo livello di esposizione, a parità di concentrazione prevedibile in un determinato comparto ambientale (PEC). Tutto l’insieme dei fattori comportamentali può essere determinante in questo senso: il tipo ed il grado di mobilità, l’attitudine a frequentare particolari zone o strutture, naturali e non, la variazione stagionale del comportamento, sono tutti fattori che possono determinare una maggiore o minore probabilità di essere esposti ad un fattore di rischio. La igura 1 propone lo schema riassuntivo per la metodologia di valutazione della vulnerabilità di una comunità biologica. Alcune frecce sono state evidenziate per segnalare le maggiori criticità in alcuni passaggi del processo. Figura 1: Struttura metodologica della valutazione della vulnerabilità ecologica di una comunità. La valutazione della vulnerabilità di una comunità, nelle tre componenti che si è scelto di prendere in considerazione, parte da stime riferite a livello di popolazione. Sensibilità, capacità di recupero e suscettibilità all’esposizione, vengono tutte inizialmente indagate su ciascuna delle popolazioni della comunità ritenute rilevanti. All’interno di un ecosistema infatti la popolazione rappresenta l’unità, gerarchicamente più 149 Alessio Ippolito et al. elevata, che possa essere considerata ecologicamente omogenea: è quindi naturale che anche in questa valutazione il punto di partenza sia collocato a tale livello. Ciononostante, com’è possibile osservare in igura 1, le maggiori criticità emergono proprio nel passaggio di scala dal livello di popolazione a quello di comunità. In efetti, per nessuno dei tre elementi considerati le proprietà della comunità possono essere dedotte dalla somma delle caratteristiche delle popolazioni che la compongono. La presenza di proprietà emergenti, date dalle complicate interazioni fra le diverse specie presenti in ogni ecosistema, impedisce l’adozione di un approccio riduzionistico in questa fase. Ad oggi mancano strumenti in grado di efettuare questo “salto di scala” che pure risulta essere fondamentale in un processo di valutazione realistica della vulnerabilità, e più in generale del rischio ecotossicologico. La sida per il futuro dovrebbe quindi essere l’implementazione di metodologie in grado di estrapolare, dalle informazioni disponibili sulle singole popolazioni, dei risultati più generici riferiti all’intera comunità. Stima della vulnerabilità degli habitat Il concetto di vulnerabilità dell’habitat deve essere afrontato da un punto di vista alquanto diferente, soprattutto se si considera che col termine di habitat si considerano sia entità biologiche (ad esempio gli alberi di una foresta) sia entità abiotiche (il letto di un iume). In questo caso, la sensibilità sarà prevalentemente funzione di fattori di stress diversi dall’efetto tossico di microcontaminanti (ad esempio alterazioni isiche, cambiamenti climatici). Anche in questo caso è possibile valutare la resilienza di un ambiente particolare a seguito di un’alterazione e il concetto di suscettibilità all’esposizione riconoscendo che ogni ambiente ha una sua evoluzione temporale, anche solo su base stagionale, per cui possono esserci delle situazioni temporanee in cui un certo ambiente è più suscettibile ad alterazioni provocate da una determinata fonte di disturbo. 150 La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico Stima del rischio e vulnerabilità ecologica Lo schema rappresentato in igura 2 riporta sinteticamente tutte le varie fasi del processo di valutazione, sottolineando in particolare come la valutazione del rischio scaturisca dall’integrazione della stima del pericolo e di quella della vulnerabilità. Figura 2: Schema metodologico per la valutazione del rischio ecotossicologico negli ecosistemi. I processi di valutazione di vulnerabilità di comunità ed habitat sono concettualmente sovrapponibili, benché l’analisi della comunità risulti nella pratica più complesso, sia per una maggiore necessità di dettaglio, sia per la complessità organizzativa a diverse scale di cui è necessario tener conto. La vulnerabilità degli ecosistemi fluviali: un caso applicativo È possibile applicare il concetto di vulnerabilità sia ad ecosistemi reali, sia ad ecosistemi potenziali (nel caso siano disponibili suicienti informazioni o riferimenti). Per questo motivo è possibile usare la vulnerabilità per stabilire criteri di protezione degli ecosistemi che si riferiscano ad un obiettivo di qualità ecologica per ecosistemi ideali o di riferimento, come richiesto da alcune normative. 151 Alessio Ippolito et al. Il concetto di vulnerabilità ecologica è stato applicato al caso degli ecosistemi luviali con speciico riferimento al Fiume Serio e al Fiume Trebbia per prevedere gli efetti causati dall’immissione di sostanze in un sistema ambientale naturale, grazie alla valutazione degli efetti avvenuti nel tempo in un sistema già impattato. Entrambi appartengono al bacino del Po e presentano caratteristiche idrologiche e geomorfologiche simili. Nonostante la somiglianza delle loro caratteristiche naturali, il livello di qualità ecologica di questi due iumi è assai diferente. Il Serio presenta un considerevole inquinamento organico; il gran numero di derivazioni pone seri problemi di portata. Il Trebbia invece presenta una minore pressione antropica e si trova ancora in condizioni semi-naturali. Un buon numero di dati sulle comunità naturali è stato raccolto da dati di letteratura e da campagne di monitoraggio: in tal modo si ha una prospettiva storica delle risposte ecologiche a stress pregressi. Per i risultati dell’applicazione e i dettagli metodologici: Ippolito et al., 2009. Conclusioni Con il presente lavoro sono state gettate le basi metodologiche per la deinizione di un nuovo approccio nel processo di stima del rischio ecotossicologico e sono inoltre state poste importanti questioni che dovrebbero costituire una nuova sida per l’ecotossicologia. L’obiettivo generale, una volta consolidata la metodologia, sarà la costruzione di indici di vulnerabilità da impiegare in processi di valutazione del rischio ecotossicologico. 152 La valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi nella stima del rischio ecotossicologico Bibliografia Baird, D. J & Van den Brink, P. J. (2007) Using biological traits to predict species sensitivity to toxic substances. Ecotoxicol. Environ. Saf., 67, 296-301. Cairns, J. Jr., Dickson, K. L. & Maki, A. W. (1979) Estimating the hazard of chemical substances to aquatic life. Hydrobiologia, 64, 157-166. Cairns, J. Jr. (1980) Estimating Hazard. 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EC (2003) Technical Guidance Document on risk assessment in support of Commission Directive 93/67/EEC on risk assessment for new notiied substances and Commission Regulation (EC) N.1488/94 on risk assessment for existing substances and directive 98/8/EC of the European Parliament and of the council concerning the placing of biocidal products on the market. Ippolito, A., Sala, S., Faber, J. H. & Vighi, M (2009) Ecological vulnerability analysis: a river basin case study. Sci. Tot. Environ. doi:10.1016/j.scitotenv.2009.10.002. Posthuma, L., Suter, G. W. & Traas. T. P. (2002) Species Sensitivity Distribution in Ecotoxicology. Lewis Publishers, Boca Raton. Sala, S. & Vighi, M. (2007) GIS-based procedure for site-speciic risk assessment of pesticides for aquatic ecosystems. Ecotoxicol. Environ. Saf, 69/1, 1-12. Tremolada, P., Finizio, A., Villa, S., Gaggi, C. & Vighi, M. (2004) Quantitative inter-speciic chemical activity relationships of pesticides in the aquatic environment. Aquat. 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Il roditore Apodemus sylvaticus si presenta come un ottimo bioindicatore per la valutazione del rischio di esposizione per l’uomo, caratterizzato da livelli e distribuzione dei metalli pesanti nei tessuti del tutto similari a quelli nei tessuti umani. L’utilizzo rilevante di mammiferi catturati in natura a scopo di biomonitoraggio pone però problemi dal punto di vista etico e conservazionistico, perciò approcci alternativi che non presuppongono il sacriicio dell’animale, quali lo studio del bioaccumulo di microinquinanti nel pelo, possono presentare un alto potenziale applicativo. Ai ini della validazione del metodo per il biomonitoraggio dell’esposizione a microinquinanti da traico, la distribuzione di Pd, Pt e Rh nei peli di esemplari di A. sylvaticus è stata studiata in relazione al bioaccumulo nei tessuti target per eccellenza, fegato e rene, e alle concentrazioni nel suolo supericiale in quattro siti di campionamento in provincia di Modena, rispettivamente un’oasi faunistica, un terreno agricolo, due siti urbani nelle strette vicinanze di strade a diverso impatto di traico. Le analisi dei tessuti hanno indicato un carico di questi metalli signiicativamente maggiore nei due siti urbani rispetto a quelli di controllo, in accordo con i livelli nei suoli. I peli sono risultati ottimi accumulatori e, soprattutto, hanno mostrato una correlazione altamente signiicativa con i livelli di metallo in reni e fegato. Indici di 155 Marco Marcheselli & Marina Mauri stress isiologico quali il rapporto delle concentrazioni rene/fegato e del peso rene/ corpo, evidenziano segnali di alterazione della capacità omeostatica per gli individui dei due siti caratterizzati dal traico. Il bioaccumulo di Pt, Pd e Rh nei peli degli animali selvatici ofre un’ottima possibilità di interpretazione dell’esposizione ambientale e segnala la validità di questi metalli rari come traccianti della speciica fonte di emissioni atmosferiche costituita dal traico veicolare. Introduzione La contaminazione da metalli pesanti che caratterizza l’ambiente terrestre urbano deriva da decenni di emissioni provenienti da diferenti sorgenti, tra cui, ad esempio, le industrie manifatturiere, i processi di incenerimento dei riiuti e, soprattutto, il traico veicolare. In particolare, a seguito dell’introduzione delle marmitte catalitiche negli anni ’80, la ricerca ambientale si è occupata dei cosiddetti PGE (Platinum Group Elements), vale a dire platino (Pt), palladio (Pd) e rodio (Rh). Questi metalli, una volta emessi con i gas di scarico nella loro forma metallica o come ossidi, possono interagire nell’ambiente con diversi ligandi, diventare solubili e quindi entrare nella rete alimentare (Colombo et al., 2008). La concentrazione di questi elementi è andata progressivamente aumentando negli ultimi due decenni nell’atmosfera (Rauch et al., 2006), nel suolo (Zereini et al., 2007) e nella polvere a bordo strada (Jackson et al., 2007), ma anche nella vegetazione (Djingova et al., 2003), nei sedimenti degli ecosistemi acquatici urbani (Hoppstock & Sures, 2004) e in organismi sia acquatici che terrestri (Ek et al., 2004; Zimmermann et al., 2005). Molti studi hanno mostrato come i valori più alti di PGE siano ritrovabili nelle aree ad alto traico veicolare, in particolare in prossimità (< 10 m) di strade, incroci e rotatorie (Parry & Jarvis, 2006). L’incremento dei livelli di questi metalli ha stimolato un acceso dibattito sul loro impatto sugli ecosistemi terrestri ed, in ultimo, sulla salute dell’uomo. Nella loro forma metallica, i PGE sembrano non essere pericolosi, ma si sa che alcuni loro composti sono altamente tossici ed allergenici (WHO, 1991, 2002; Colombo et al., 2008). La letteratura internazionale generalmente concorda sul fatto che siano ancora insuicienti le informazioni sulla potenziale tossicità dei PGE e che sia oggi ancora diicile una seria valutazione dei rischi legati alla loro presenza nell’ambiente (Wiseman & Zereini, 2009). 156 Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo I piccoli mammiferi, e in particolare i roditori, sono considerati bioindicatori sensibili ed eicaci nel monitoraggio dell’ambiente urbano, perché sono presenti in buon numero, si muovono sul territorio in un’area limitata e hanno una vita suicientemente lunga per valutare efetti a lungo termine. Il topo selvatico Apodemus sylvaticus è difusissimo nelle aree verdi urbane e suburbane, e la sua dieta consiste primariamente di semi e piccoli invertebrati presenti nel suolo. In quanto specie ad alto livello di complessità biologica, questi animali possono essere buoni bioindicatori anche per la previsione di rischi per la salute dell’uomo. Numerosi studi hanno valutato il livello dei principali metalli pesanti nei tessuti di questo e altri roditori in relazione all’esposizione ambientale (Beernaert et al., 2007; D’Havè et al., 2005), ma non esistono a tutt’oggi dati sul bioaccumulo dei PGE. Con questo progetto di ricerca si è inteso studiare il bioaccumulo di microinquinanti, nel caso speciico i PGE, nel bioindicatore A. sylvaticus, veriicando la fattibilità di un approccio, quale l’analisi del pelo che non presuppone il sacriicio dell’animale, alternativo all’analisi dei più utilizzati tessuti, reni e fegato. Questo metodo non invasivo può presentare infatti un alto potenziale applicativo nella sorveglianza ambientale, dal momento che permetterebbe di superare gli ostacoli etici e conservazionistici al prelievo di individui da popolazioni naturali ad alto livello di complessità biologica. Materiali e metodi Siti di campionamento I campionamenti sono stati efettuati in quattro siti della provincia di Modena (Italia), rappresentativi di diverso uso e impatto antropico: CONTR, una riserva faunistica lontana dall’area urbana; AGRIC, un sito agricolo nella campagna modenese; SUBURBAN, un terreno boschivo alla periferia del centro abitato a ianco di una strada altamente traicata; URBAN, un’area verde urbana nelle vicinanze di un incrocio molto frequentato. In ciascun sito esemplari adulti di A. sylvaticus sono stati campionati mediante trappole. Per ciascun sito è stata individuata un’area di circa 2250 m2, corrispondente all’areale di A. sylvaticus, nella quale sono stati casualmente scelti 10 punti in cui prelevare campioni di suolo. Per ogni punto è stato formato un campione, ottenuto miscelando 5 sub-campioni di suolo supericiale (5x5x10 cm) rappresentativi di un area di 1 m2. 157 Marco Marcheselli & Marina Mauri Trattamento dei campioni I campioni di suoli sono stati seccati (40 °C per 48 h) e setacciati (< 2 mm). Un grammo di suolo per ogni campione è stato digerito in HNO3 (69 %, Merck) in forno microonde (Milestone ETHOS TC Labstation) e successivamente riscaldato con l’aggiunta di H2O2 (30 %, Merck) Il metodo scelto consente di determinare il metallo totale biodisponibile (US EPA 3050B). Il pH dei campioni di suolo è stato misurato in CaCl2 0,01 M (ISO, 1994) mediante un pH-metro CRISON micropH. Fegato e reni sono stati dissezionati, seccati e sottoposti a mineralizzazione acida in forno microonde con HNO3, separatamente per ogni individuo e tessuto. Un’aliquota di pelo (0,5 g) da ogni esemplare è stato lavato in Triton X-100 per rimuovere i contaminanti esterni, seccato e mineralizzato in forno microonde con una miscela 1:2:4 di HCl, H2SO4 and HNO3 (Borella et al., 1998). La concentrazione di Pt, Pd e Rh è stata rilevata mediante un sistema ICP-MS (Inductively Coupled Plasma-Mass Spectrometry, hermo Fisher Scientiic) con analizzatore di massa a quadrupolo. Accuratezza e precisione analitiche sono state veriicate utilizzando materiale standard di riferimento (NIST 2977). L’errore strumentale si è mantenuto al di sotto del 5 %. Analisi statistiche Per tutti i dati è stata controllata la normalità distributiva (Shapiro-Wilk’s test). Per saggiare le diferenze tra i diversi siti riguardo a: concentrazione di metalli e pH dei suoli, condizione biologica degli animali (lunghezza e peso), concentrazioni di metalli nei diversi organi e indici calcolati di stress isiologico, è stata prima testata la omoschedasticità (Bartlett’s test) ed è stata poi applicata l’analisi della varianza (ANOVA a una via) seguita da confronti a coppie (Duncan). Il t-test di Student è stato applicato per saggiare diferenze tra i sessi. Per valutare la relazione fra le concentrazione di metallo nel pelo e nei tessuti interni è stato calcolato il coeiciente di correlazione di Pearson. È stata inoltre efettuata l’analisi delle componenti principali (PCA) separatamente per i dati di concentrazione nei suoli e nei tessuti. Altre tecniche di analisi multivariata (ANOSIM e RELATE) sono state utilizzate per studiare la distribuzione dei campioni nello spazio bidimensionale. Per le analisi sono stati usati i software statistici SPSS e PRIMER. Il valore di signiicatività (p-value) è stato issato a 0,05. 158 Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo Risultati e discussione Contenuto di metalli nei suoli Non sono state individuate diferenze signiicative nel pH tra i diversi siti (range 8-8,4). Sono state invece rilevate nei terreni dei siti urbani concentrazioni di tutti i metalli analizzati di un ordine di grandezza superiore rispetto ai siti di controllo (URBAN, SUBURBAN > AGRIC, CONTR; ANOVA) come riportato in igura 1. Le alte concentrazioni di PGE (Pd > Pt > Rh) riscontrate nei suoli urbani rispetto ai suoli più distanti dal traico veicolare (CONTROL e AGRIC), sono presumibilmente associabili alle emissioni del traico veicolare e sono sugli stessi valori riportati in letteratura per terreni o campioni di polvere raccolti in altre aree cittadine europee (Haus et al., 2007; Jackson et al., 2007; Moldovan et al., 2001). Figura 1: Concentrazione di Pt, Pd e Rh nei suoli dei 4 siti considerati (media ± D.S.; ng/g peso secco). Contenuto di metalli nei tessuti e relazione con i livelli ambientali Non è stata rilevata nessuna diferenza signiicativa tra sessi né per quanto riguarda la condizione biologica degli animali campionati né per quanto riguarda i livelli di metalli nei tessuti. Le concentrazioni di Pt, Pd e Rh nei diversi tessuti sono riportate nelle igure 2a - 2c. I livelli di tutti i PGE sono risultati più alti negli individui catturati nei siti URBAN e SUBURBAN rispetto ai siti di controllo AGRIC e CONTR. Non sono disponibili in letteratura dati per il confronto sul bioaccumulo di questi metalli nei roditori. L’analisi ha rivelato inoltre un accumulo di Pd maggiore in tutti i tessuti rispetto a Pt e Rh. Questo dato risulta in accordo coi risultati di altri autori (Moldo- 159 Marco Marcheselli & Marina Mauri van et al., 2001; Sures et al., 2001) che riportano, per altre specie, sia terrestri che marine, una biodisponibilità dei PGE nello stesso ordine (Pd>Pt>Rh). Il rene si connota come il principale organo bersaglio, ma anche i peli sono risultati ottimi accumulatori. Figura 2: a-c) Concentrazione di Pd, Pt e Rh nei tessuti di Apodemus sylvaticus nei quattro siti campionati (media ± D.S.; ng/g peso secco). Le analisi PCA efettuate sia sui dati di bioaccumulo che su quelli ambientali evidenziano un ottimo accordo. In entrambi i casi le unità statistiche (esemplari di A. sylvaticus o campioni di suolo) si dispongono nello spazio bidimensionale con il medesimo pattern (Fig. 3), separando nettamente i siti urbani da quelli di controllo. L’analisi ANOSIM mostra che sia URBAN che SUBURBAN diferiscono signiicativamente da CONTROL e AGRIC (pairwise comparisons, R = 1), mentre è notevole la vicinanza tra URBAN e SUBURBAN (R = 0,2) e tra CONTROL e AGRIC (R = 0,3). L’analisi RELATE inine conferma che i due set di variabili (concentrazioni di metallo nei suoli e nei tessuti di Apodemus) condividono lo stesso pattern. Il coeiciente di correlazione (ρ = 0,6) rivela infatti un’ottima corrispondenza tra i dati ambientali e quelli di bioaccumulo. 160 Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo a) b) Figura 3: PCA per i dati di concentrazione di Pd, Pt e Rh relativi ai suoli (a) e ai tessuti (b). Ognuno dei simboli riportati nei graici rappresenta rispettivamente un campione di suolo o un esemplare di A. sylvaticus. Relazione tra il bioaccumulo nel pelo e i livelli di metallo nei tessuti interni Le concentrazioni di Pt, Pd e Rh nel pelo sono fortemente correlate con i livelli riscontrati sia nel fegato che nei reni, indicando questa matrice biologica come possibile alternativa ad uguale eicacia rispetto ai tessuti più comunemente utilizzati nel biomonitoraggio. Altri studi hanno riportato una relazione tra il bioaccumulo di metalli non essenziali nel pelo e quello riscontrabile negli organi interni (D’Havè et 161 Marco Marcheselli & Marina Mauri al., 2005; Beernaert et al., 2007). Questi risultati dimostrano, per la prima volta, come questa relazione sia valida anche per quanto riguarda i PGE. Indici di stress Sono stati calcolati indici di stress isiologico, quali il rapporto concentrazioni di metallo rene/fegato e il rapporto peso rene/corpo, segnalati in letteratura come biomarkers isiologici (Ma, 1989; Ek et al., 2004; ). Il rapporto delle concentrazioni di PGE rene/fegato (circa =1 nei siti di controllo; >2 nei siti URBAN e SUBURBAN) e del peso rene/corpo (0,2 nei siti AGRIC e CONTR; 0,3 nei siti urbani) evidenziano segnali di alterazione della capacità omeostatica per gli individui dei due siti caratterizzati dal traico veicolare. Conclusioni Gli alti livelli di Pd, Pt e Rh riscontrati nei suoli urbani e il loro accumulo nei tessuti di A. sylvaticus dimostrano la necessità di mantenere alta l’attenzione su questi metalli, la cui presenza nell’ambiente sta divenendo sempre più tangibile. Anche se il bioaccumulo riscontrato nei tessuti non raggiunge i livelli che sono associati in letteratura ad una tossicità acuta (WHO, 1991; 2002), riteniamo che il carico rilevato negli organi interni e i valori alterati di alcuni importanti indici isiologici riscontrati per le aree urbane oggetto della ricerca confermino che, al livello di contaminazione che sperimentano, queste popolazioni del roditore A. sylvaticus possano essere sottoposte a condizioni di stress. I risultati di questo studio dimostrano l’eicacia dell’utilizzo di A. sylvaticus nel caratterizzare siti sottoposti a diferente carico di inquinanti, suggerendo l’utilità di questa specie bioindicatrice nel biomonitoraggio di aree antropizzate. È stata confermata inoltre la validità dei metalli rari come traccianti della speciica fonte di emissioni atmosferiche costituita dal traico veicolare. Il bioaccumulo di questi elementi nei peli si è dimostrato capace di un’ottima responsività all’esposizione ambientale, confermando l’ipotesi di un impiego più esteso di questa metodologia non invasiva, ad esempio in studi su altre specie selvatiche quali gli ungulati, indicatori di area vasta, al ine di un monitoraggio di quegli ecosistemi che possono essere inluenzati da contaminanti provenienti da fonti difuse e dispersi e trasportati a lunghe distanze. 162 Analisi del bioaccumulo nei peli del roditore Apodemus sylvaticus: un metodo non invasivo Bibliografia Beernaert, J., Scheirs, J., Leirs, H., Blust, R. & Verhagen, R. (2007) Non-destructive pollution exposure assessment by means of wood mice hair. Environmental Pollution, 145, 443–451. Borella, P., Bargellini, A., Caselgrandi, E., Menditto, A., Patriarca, M., Taylor, A. & Vivoli, G. (1998) Selenium Determination in Biological Matrices. Microchemical Journal, 58 (3), 325–336. Colombo, C., Monhermius, J. A. & Plant, J. A. 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Oltre a test di tossicità acuta (96 h LC50 = 7,77 nM al buio e 11,52 nM in condizioni di luce) sono stati allestiti “Life Table Response Experiments” (LTRE), per valutare gli efetti su ciclo biologico e demograia del polichete. Concentrazioni nanomolari dell’inquinante (0,5 and 1,0 nM), già riscontrabili in natura in alcuni ambiti portuali europei, hanno mostrato di avere efetti su sopravvivenza e riproduzione, ma anche a livello di popolazione, alterando alcuni dei principali indici demograici, quali l’aspettativa di vita e0 (ino a –33 % rispetto al controllo), il tasso netto d’accrescimento R0 (ino a –63 %) e il tasso di crescita della popolazione λ (ino a –9 %), importante indicatore della itness biologica di una popolazione. Il sospetto di efetti sul potenziale di crescita di D. gyrociliatus suggerisce la pericolosità del biocida per questa ed altre specie aini e il rischio di alterazione della biodiversità nell’ambiente marino costiero, imponendo la necessità di una più ampia valutazione degli efetti cronici dell’utilizzo su larga scala di questo biocida nelle pratiche antifouling. 165 Marco Marcheselli et al. Introduzione Il divieto sull’utilizzo di tributilstagno (TBT) nei prodotti antifouling ha dato una notevole spinta verso l’uso di biocidi alternativi. In particolare lo zinco piritione (ZnPT) è divenuto negli ultimi anni uno dei principi attivi più impiegati nelle vernici anti-vegetative applicate alle imbarcazioni. ZnPT viene commercializzato come neutrale e non persistente nell’ambiente marino, per via della sua rapida fotolisi sotto l’efetto diretto della luce solare per dare composti meno tossici (Turley et al., 2005). Tuttavia la radiazione che risulta dare origine a fotolisi sembra essere riscontrabile solo nei pressi della supericie dell’acqua. In condizioni di luce scarsa, come quelle riscontrabili nei porti a causa della torbidità dell’acqua o dell’ombreggiamento, ZnPT è risultato persistente in acqua di mare (Dahllöf et al., 2005). Test di tossicità acuta condotti su embrioni di invertebrati marini hanno evidenziato efetti dannosi del composto anche a bassissime concentrazioni (SánchezBayo & Goka, 2006; Bellas, 2008), ma non sono disponibili dati sull’efetto a lungo termine su sopravvivenza e riproduzione di organismi marini non-target. Il polichete interstiziale Dinophilus gyrociliatus è da tempo studiato per le sue risposte a contaminazione chimica (Mauri et al., 2003) e accreditato come specie tester nei protocolli ASTM (ASTM, E 1562-00). D. gyrociliatus è comune nelle incrostazioni biologiche (biofouling) che rivestono i substrati duri degli habitat costieri coninanti, ambienti particolarmente soggetti all’inquinamento da ZnPT a causa dell’elevato traico nautico. Questa specie può quindi essere inclusa tra quelle che possono risentire degli efetti di biocidi e altri contaminanti chimici liberati nell’ambiente costiero senza esserne il bersaglio diretto. Allo scopo di determinare gli efetti di ZnPT nei confronti di D. gyrociliatus sono stati efettuati test di tossicità acuta ed esperimenti a lungo termine (Life Table Response Experiments, LTRE). L’obiettivo della ricerca è contribuire alla conoscenza degli efetti ambientali di ZnPT al ine di una più informata valutazione di tale composto quale alternativa sostenibile agli antifouling contenenti TBT. 166 Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino Materiali e metodi Colture e soluzioni di esposizione Le colture di D. gyrociliatus sono mantenute in condizioni costanti (24 °C, 30 psu, ciclo luce/buio 12:12 h) in acqua marina artiiciale (Reef Crystals, Instant Ocean®). Seguendo le procedure standard (ASTM, E 1562-00), femmine neonate sono state trasferite in Boveri da 10 mL e utilizzate per formare le coorti sperimentali. Sono state preparate soluzioni stock sciogliendo ZnPT (soluzione acquosa 48 %, Rutgers chemicals AG) nel solvente organico non tossico dimetil solfossido (DMSO, Carlo Erba) 2 ore prima dell’inizio degli esperimenti. Le soluzioni sperimentali sono poi state allestite diluendo la soluzione stock nell’acqua marina artiiciale. Tutte le soluzioni di esposizione e di controllo contenevano la stessa concentrazione inale di DMSO (1 ‰) e sono state mantenute nel corso dell’esperimento in condizioni costanti di temperatura e salinità (24 °C, 30 psu). Test pilota e test di tossicità acuta Poiché non esistevano dati riguardanti l’efetto di ZnPT su D. gyrociliatus, sono stati condotti esperimenti pilota a breve termine in assenza di luce per identiicare un range di concentrazioni per i successivi test di esposizione. Sono stati allestiti test di tossicità acuta (96 h) sia in condizioni di assenza di luce che di ciclo luce/buio 12:12 h, per determinare i valori di LC50 e per individuare concentrazioni sub letali e non letali utili per il successivo esperimento a lungo termine LTRE. Dieci coorti di 15 individui, suddivisi egualmente in tre Boveri da 10 mL, sono state esposte a ZnPT alle seguenti concentrazioni nominali: 0 (controllo) -0,51-2-3-4-8-16-32 e 64 nM. Le osservazioni e il conteggio degli individui sopravvissuti sono stati efettuati ogni giorno. Esperimenti LTRE Sono stati allestiti esperimenti a lungo termine LTRE, nei quali coorti di individui sono state esposte a concentrazioni non letali di ZnPT (0,5 e 1 nM, vale a dire 0,15 e 0,30 µg/L), associabili ad una sopravvivenza a 96 h maggiore del 90 %, secon- 167 Marco Marcheselli et al. do i risultati dei test di tossicità a breve termine. È stata inoltre predisposta una coorte di controllo, mantenuta in acqua artiiciale e DMSO. Per ogni gruppo sperimentale sono state utilizzate 25 femmine neonate, suddivise equamente in cinque Boveri da 10 mL. Le soluzioni sono state cambiate ogni 48 ore, 6 ore dopo avere aggiunto 0,5 mL di una soluzione 0,5 % di spinaci per nutrimento. Ogni due giorni tutti i Boveri sono stati controllati con l’ausilio di uno stereomicroscopio per veriicare il numero di animali sopravvissuti e di uova depositate. Solo gli individui vivi sono stati quindi trasferiti in nuovi Boveri puliti contenenti la soluzione appropriata. Le osservazioni sono state eseguite intanto che tutti gli animali non sono morti. Tutte le coorti sono state mantenute in condizioni di ciclo luce/buio 12:12 h per tutta la durata dell’esperimento. Analisi statistica e indici demografici Per stimare i valori di LC50 è stato utilizzato il metodo Trimmed SpearmanKarber. Per quanto riguarda gli esperimenti LTRE, i dati relativi alla sopravvivenza e alla fecondità di ciascun campione (life-table) sono stati impiegati per costruire un modello di popolazione classiicata per età con periodo di proiezione di un giorno: in particolare dalla life-table di ciascun gruppo sperimentale è stata ottenuta una matrice di proiezione (matrice di Leslie) seguendo la metodica di Caswell (2000) per specie a riproduzione semicontinua. L’aspettativa di vita e0, il tasso netto di accrescimento R0, il tempo di generazione T, il tasso di crescita della popolazione λ in risposta alle variazioni nella sopravvivenza e nella fecondità età-speciiche per ogni gruppo sperimentale, sono state calcolate seguendo le indicazioni di Prevedelli e Simonini (2001). Le analisi statistiche sui dati demograici sono state realizzate usando metodi di ricampionamento. L’intervallo di conidenza al 95 % dei parametri è stato stimato usando il metodo dei percentili, basandosi su 2000 stime generate con una tecnica di ricampionamento bootstrap. Per evidenziare diferenze signiicative tra controllo e trattati nei parametri demograici sono stati efettuati test di permutazione (Caswell, 2000). 168 Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino Risultati e discussione Tossicità acuta di ZnPT Le curve di sopravvivenza relative agli esperimenti a breve termine sono riportate in igura 1. Figura 1: L’efetto a breve termine di ZnPT sulla sopravvivenza di D. gyrociliatus, in condizioni di buio e di ciclo luce/buio 12:12 h. CONT si riferisce al gruppo di controllo. In condizioni di buio, quindi in assenza di fotolisi, è stato determinato un valore di LC50 a 96 ore pari a 7,77 ± 1,73 nM (2,47 ± 0,55 µg/L), mentre una concentrazione di ZnPT pari 4 nM si è rivelata già suiciente a causare una mortalità attorno al 20 % dopo 4 giorni. Tuttavia, ZnPT presenta un chiaro efetto sulla sopravvivenza di D. gyrociliatus già a concentrazioni molto basse anche in condizioni di luce, nelle quali, almeno parzialmente, dovrebbe decomporsi dando luogo a composti secondari meno tossici. In condizioni di ciclo luce/buio 12:12 h, si è potuto calcolare un valore di LC50 a 96 ore di 11,52 ± 3,12 nM (3,66 ± 0,99 µg/L). Questo dato contrasta con la teoria di una riduzione veloce della tossicità di ZnPT in condizioni di luce, sollevando dubbi anche sul reale destino ambientale del composto, peraltro già espressi da diversi autori (Dahllöf et al., 2005; Mackie et al., 2004). I valori di LC50 stimati per D. gyrociliatus risultano di almeno un ordine di grandezza inferiori rispetto a quelli riportati per altri invertebrati marini, quali il crostaceo Daphnia magna (Sánchez-Bayo & Goka, 2006) o il mitilo mediterraneo Mytilus galloprovincialis (Marcheselli, 2009), mentre si attestano sui livelli delle concentrazioni EC50 calcolate per gli embrioni del riccio di mare Paracentrotus lividus e del bivalve Mytilus edulis (7,7 e 8,0 nM rispettivamente, Bellas et al., 2005). 169 Marco Marcheselli et al. Effetto a lungo termine di ZnPT I risultati dell’esperimento LTRE suggeriscono che l’esposizione a ZnPT alle due concentrazioni testate inluisca sia sulla sopravvivenza che sulla riproduzione di D. gyrociliatus. Le curve di sopravvivenza riferite al controllo e ai gruppi esposti presentano già a partire dai primi giorni di esposizione evidenti diferenze nel loro andamento (Fig. 2). Nella coorte di controllo tutti gli individui raggiungono la maturità sessuale. La sopravvivenza diminuisce gradualmente a partire dalla terza settimana di vita. Il 50 % degli individui sopravvive ino al 40° giorno, mentre la durata massima della vita è di circa 60 giorni. Figura 2: Curve di sopravvivenza per il polichete Dinophilus gyrociliatus esposto a due diverse concentrazioni di ZnPT a confronto con il gruppo di controllo. Il graico mostra la percentuale di animali vivi durante tutta la durata dell’esperimento. Il trend della sopravvivenza della coorte esposta a ZnPT 0,5 nM è simile a quello riscontrato per il controllo, ad eccezione del tratto compreso tra 3-6 settimane di vita in cui si osserva una maggiore mortalità. Il 50 % degli individui iniziali sopravvive ino al 35° giorno. Al contrario, nel gruppo esposto alla concentrazione più elevata (1 nM), la mortalità è maggiore rispetto agli altri due gruppi sperimentali. Alcuni individui muoiono ancora prima di raggiungere la maturità sessuale e solamente la metà degli individui iniziali riesce a sopravvivere ino al 25° giorno. La durata massima della vita osservata in questo gruppo sperimentale è di 46 giorni. Le diferenze tra il controllo e i gruppi trattati sono ancora più marcate per quanto riguarda le curve della fecondità (Fig. 3). Nel controllo gli individui cominciano a riprodursi dopo 8-10 giorni e il picco di fecondità (circa 6 uova(individuo· 2gg)-1) viene raggiunto durante la terza settimana di vita. Successivamente la fecon- 170 Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino dità diminuisce rapidamente e le ultime deposizioni sono state osservate nel 35° giorno di vita. ZnPT non sembra modiicare l’età del raggiungimento della maturità nei gruppi trattati rispetto al controllo, provoca invece un netto calo della fecondità già nei primi eventi riproduttivi, anche alla concentrazione più bassa 0.5 nM. I picchi della curva di fecondità sono stati 3,8 e 3,2 uova(individuo · 2 gg)-1 nei gruppi esposti rispettivamente a 0,5 e 1 nM. Anche la durata del periodo riproduttivo sembra essere inluenzata da ZnPT: nella coorte di policheti esposti a 1 nM gli ultimi eventi riproduttivi sono stati osservati al 30° giorno. Figura 3: Curve di fecondità per D. gyrociliatus esposto a due diverse concentrazioni di ZnPT a confronto con il gruppo di controllo. Il graico mostra il valore della fecondità (uova (individuo · 2gg)-1) durante tutta la durata dell’esperimento. L’efetto di ZnPT su sopravvivenza e fecondità si ripercuote sugli indici demograici (Tab. I). Gli indici calcolati per il gruppo di controllo confermano che l’aspettativa di vita di D. gyrociliatus è di circa 6 settimane, con un tempo di generazione di poco più di tre settimane. Il tasso netto di riproduzione è di 33 uova “femminili”/individuo, mentre il tasso di crescita della popolazione è molto elevato (circa 1,3/2 giorni). L’esposizione a ZnPT determina una drastica riduzione nel tasso netto di riproduzione (–41 % e -63 % rispetto al controllo a 0,5 e 1 nM, rispettivamente) e nell’aspettativa di vita (–10 % e –33 % rispetto al controllo). Il tasso di crescita della popolazione (λ), usato generalmente come indicatore della itness, risente signiicativamente degli efetti della presenza di ZnPT su sopravvivenza e fecondità. In particolare i valori di λ più bassi sono stati calcolati per la coorte esposta alla concentrazione maggiore (–9 % rispetto al controllo). Al contrario non è stato osservato un efetto signiicativo del tossico a livello del tempo di generazione (T). 171 Marco Marcheselli et al. Tabella I: Parametri demograici ottenuti per le coorti di D. gyrociliatus esposte a ZnPT. ZnPT (nM) Controllo 0 0,5 1 Aspettativa di vita (e , giorni) 42 38 28 2,5 percentile 41 37 27 97,5 percentile 43 39 30 * * Permutation test (Trattato vs. Controllo) Tasso netto d’accrescimento (R0, uova femminili) 33 19 12 2,5 percentile 32 18 11 97,5 percentile 34 20 13 * * Permutation test (Trattato vs. Controllo) Tempo di generazione (T, giorni) 23 22 22 2,5 percentile 22 21 21 97,5 percentile 24 24 23 n.s. n.s. Tasso di crescita della popolazione (λ/2giorni) 1,31 1,24 1,19 2,5 percentile 1,29 1,22 1,17 97,5 percentile 1,32 1,26 1,21 * * Permutation test (Trattato vs. Controllo) Permutation test (Trattato vs. Controllo) * diferenza signiicativa tra controllo e trattato (Permutation test, p<0,05). n.s. = diferenza non statisticamente signiicativa. Conclusioni I valori di LC50 qui stimati testimoniano la notevole sensibilità del polichete marino D. gyrociliatus anche a concentrazioni nanomolari di ZnPT. I risultati dell’esperimento LTRE suggeriscono poi che la presenza del biocida, anche a dosi molto basse, che si prevede saranno raggiunte a breve in molti ambiti marino-costieri (Madsen et al., 2000) e che sono già riscontrabili in alcune aree portuali (Mackie et al., 2004), può avere un efetto a livello ecologico, riducendo la sopravvivenza e la fecondità della specie non target D. gyrociliatus. ZnPT ha mostrato di inluire negativamente non solo sulle caratteristiche della life history individuale, ma anche sulla itness a livello di popolazione del polichete. Questi risultati confermano i sospetti di una notevole attività biologica e tossicità del biocida anche in condizioni di luce, imponendo l’esigenza, da un lato, di aumentare la disponibilità di dati sperimentali sugli efetti ad alto livello di complessità biologica, e, dall’altro, di approfondire ulteriormente quali siano il comporta- 172 Efetti a breve e lungo termine del biocida antifouling zinco piritione sul polichete marino mento e il destino ambientale di questo ormai difusissimo composto, allo scopo di saggiare l’opportunità di un approccio precauzionale con una più restrittiva regolazione nell’uso. Bibliografia American Society for Testing and Materials (2000) Standard guide for conducting acute, chronic and life-cycle aquatic toxicity tests with polychaetous annelids. ASTM E1562–00. Bellas, J. (2008) Prediction and assessment of mixture toxicity of compounds in antifouling paints using the seaurchin embryo-larval bioassay. Aquatic Toxicology, 88, 308–315. Bellas, J., Granmo, A. & Beiras, R. (2005) Embryotoxicity of the antifouling biocide zinc pyrithione to sea urchin (Paracentrotus lividus) and mussel (Mytilus edulis). Marine Pollution Bulletin, 50, 1382-1385. Caswell, H. (2000) Matrix population models. Sinauer (Ed.), Sunderland, Massachusetts, USA. Dahllöf, I., Grunnet, K., Haller, R., Hjorth, M., Maraldo, K. & Petersen, D. G. (2005) Analysis, fate and toxicity of zinc and copper pyrithione in the marine environment. Nordic Environmental Co-operation, Nordic Council of Ministers, Copenhagen. Mackie, D. S., Van Den Berg, C. M. G & Readman, J. W. (2004) Determination of pyrithione in natural waters by cathodic stripping voltametry. Analytica Chimica Acta, 511, 47-53. Madsen, T., Gustavson, K., Samsoe-Petersen, L., Simonsen, F., Jakobsen, J., Foverskov, S. & Larsen, M. M. (2000) Ecotoxicological assessment of antifouling biocides and non biocidal paints. Environmental project No 531. Danish Environmental Protection Agency. Marcheselli, M. (2009) Destino biologico ed efetti del biocida zinco piritione su specie non target dell’ambiente marino costiero. Tesi di Dottorato. Mauri, M., Simonini, R. & Baraldi, E. (2003) Efects of zinc exposures on the polychaete Dinophilus gyrociliatus: a life-table response experiment. Aquatic Toxicology, 65, 93-100. Prevedelli, D. & Simonini, R. (2001) Efect of diet and laboratory rearing on demography of Dinophilus gyrociliatus (Polychaeta: Dinophilidae). Marine Biology, 139, 929-935. Sánchez-Bayo, F. & Goka, K. (2006) Inluence of light in acute toxicity bioassays of imidacloprid and zinc pyrithione to zooplankton crustaceans. Aquatic Toxicology, 78, 262-271. Turley, P. A., Fenn, R. J., Ritter, J. C. & Callow, M. E. (2005) Pyrithiones as antifoulants: environmental fate and loss of toxicity. Biofouling, 21, 31-40. 173 Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento da parte dei lombrichi Fractionation of trace elements in soils and their uptake by earthworms in the Siena urban area Francesco Nannoni1*, Carlo Gaggi2, Giuseppe Protano1 & Francesco Riccobono1 Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, U. R. Geochimica Ambientale, Università degli Studi di Siena, Via del Laterino 8, 53100 Siena 2 Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, U. R. Valutazione della Qualità Ambientale e degli Impatti Ecotossicologici, Università degli Studi di Siena, Via P. A. Mattioli 4, 53100 Siena *[email protected] 1 Abstract Le aree urbane rappresentano ambienti a rischio di contaminazione da specie chimiche organiche ed inorganiche in quanto soggette alla pressione di diverse attività antropiche, tra cui il traico veicolare. Nell’area di Siena è stato condotto uno studio volto a valutare l’impatto del traico veicolare sulla presenza e distribuzione areale di alcuni elementi in traccia nel suolo di zone urbane, peri-urbane ed extra-urbane, ed il loro trasferimento ai lombrichi della specie Nicodrilus caliginosus. I lombrichi sono organismi sensibili alla presenza di elementi in traccia nel suolo e per questo eicacemente utilizzati negli studi dei livelli di contaminazione. Nei campioni di suolo e negli esemplari di lombrico sono stati misurati i contenuti di Cd, Co, Cr, Cu, Ni, Pb, Sb, U e Zn, ed è stata deinita la loro ripartizione nelle principali frazioni del suolo: solubile, estraibile, riducibile, ossidabile e residuale. Pb e Sb sono risultati gli elementi il cui contenuto nel suolo è maggiormente inluenzato dal traico veicolare, seguono Zn, Cd e Cu. Per tutti questi elementi le concentrazioni più elevate contraddistinguono i suoli urbani s.s. Gli elementi considerati mostrano tre diversi pattern di ripartizione nelle frazioni del suolo: Co, Cr, Cu, Ni, Sb, U e Zn sono presenti prevalentemente nella frazione residuale, Pb nelle frazioni riducibile e residuale, Cd principalmente in quella estraibile. Per Cd, Cu, Pb, Sb e Zn l’apporto del traico veicolare si distribuisce a vario grado in tutte le frazioni non residuali. Negli esemplari di lombrico le concentrazioni degli elementi in traccia rivelano un modello di distribuzione analogo a quello descritto per i loro contenuti totali nel suolo. Le modalità ed il grado di assorbimento degli elementi in traccia da parte dei lombrichi appaiono inluenzate dal tipo di 175 Francesco Nannoni et al. ripartizione nel suolo. Nel complesso la frazione estraibile è quella che maggiormente determina le concentrazioni di Cd, Pb, Sb e Zn nei lombrichi, mentre un contributo minoritario è dovuto anche alle frazioni solubile ed ossidabile; la frazione ossidabile è quella che regola in maggior misura i contenuti di Cu nei lombrichi. Introduzione Le aree urbane rappresentano ambienti a rischio di contaminazione in quanto interessate dalle emissioni prodotte dalle attività antropiche che immettono nell’ambiente urbano elementi e sostanze tossiche che inluenzano soprattutto la chimica dell’aria e del suolo. Attualmente, in molte aree urbane il traico veicolare rappresenta la fonte primaria di contaminanti, tra cui gli elementi in traccia; tra questi Cd, Cr, Cu, Ni, Pb, Sb e Zn provengono essenzialmente dai gas di scarico e dal deterioramento di varie componenti veicolari (Manoli et al., 2002; Wang et al., 2003). L’importanza del suolo nell’ambiente urbano deriva soprattutto dal fatto che può accumulare i contaminanti atmosferici e regolare il loro trasferimento alla biosfera. In tale ottica, lo studio del frazionamento chimico degli elementi nel suolo fornisce importanti indicazioni circa il loro comportamento geochimico e destino ambientale, soprattutto in termini di mobilità e biodisponibilità per gli organismi vegetali e terricoli quali ad esempio lombrichi (Morgan & Morgan, 1999; Kennette et al., 2002). A tale riguardo i lombrichi (phylum Annelida, classe Oligochaeta), importanti membri della comunità del suolo, sono considerati bioindicatori della qualità del suolo sensibili a fattori di stress antropici, tra cui quelli dovuti alla presenza di elementi in traccia, e tra i taxa più eicacemente utilizzati negli studi di valutazione dei livelli di contaminazione. Questo lavoro riporta i risultati di uno studio intrapreso nell’area urbana di Siena volto a valutare l’impatto del traico veicolare sulla presenza di Cd, Co, Cr, Cu, Ni, Pb, Sb, U e Zn nel suolo ed il loro trasferimento ai lombrichi. Scopo della ricerca è quello di deinire per i suddetti elementi: i) i livelli e la distribuzione nel suolo in relazione all’intensità del traico veicolare; ii) il tipo di frazionamento nel suolo, con attenzione rivolta soprattutto alla mobilità ed alle variazioni indotte dagli apporti antropici; iii) le concentrazioni nei lombrichi; iv) le relazioni tra la ripartizione nel suolo e l’assorbimento da parte dei lombrichi. 176 Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento Materiali e metodi L’area di studio comprende il centro urbano e le zone limitrofe di Siena, una città di dimensioni medio-piccole in cui le attività industriali sono piuttosto limitate e dove la principale sorgente di contaminanti è riconducibile prevalentemente al trafico veicolare. Nell’area di studio sono stati individuati 30 siti di campionamento del suolo che per posizione e relazione con il traico si diferenziano in: extra-urbani (n = 6) in terreni incolti in aree rurali distanti dal centro urbano e da arterie viarie, verdi cittadini (n = 4) in zone verdi pubbliche all’interno o immediatamente a ridosso del centro, peri-urbani (n = 9) in prossimità delle principali arterie stradali ad intenso traico che circondano la città, urbani (n = 11) vicino alle più importanti strade cittadine. Nei settori urbano e peri-urbano il campionamento è avvenuto entro una distanza massima di 2 m dal margine stradale. In ogni sito è stato prelevato un campione di suolo (0-20 cm) costituito da 3 sub-campioni. In laboratorio i campioni sono stati essiccati e setacciati al vaglio di 2 mm, ed il passante è stato omogeneizzato e polverizzato. Circa 0,2 g di suolo polverizzato sono stati solubilizzati mediante una miscela di acidi ultrapuri in bombe di telon ed un digestore a microonde. In 15 siti, rappresentativi dei diversi settori dell’area di studio, sono stati raccolti 150 lombrichi della specie Nicodrilus caliginosus (Savigny), in numero di 10 esemplari per sito. In laboratorio i lombrichi sono stati sciacquati con acqua deionizzata e, per permettere l’egestione dei contenuti intestinali, posti per 96 h in capsule Petri rivestite con carta da iltro inumidita. Ciascun esemplare è stato congelato a –80 °C, lioilizzato e solubilizzato con una miscela di reagenti ultrapuri. Lo studio del frazionamento degli elementi in traccia è stato efettuato sui 15 campioni di suolo in cui sono stati raccolti i lombrichi, ed ha riguardato le frazioni solubile, estraibile, riducibile, ossidabile e residuale. Allo scopo è stata utilizzata una procedura di estrazione sequenziale basata su 5 step (Tab. I) che riprende quella BCR (Community Bureau of Reference; Quevauviller et al., 1993). 177 Francesco Nannoni et al. Tabella I: Schema della procedura di estrazione sequenziale adottata con indicazione delle frazioni del suolo considerate, i reagenti utilizzati e le condizioni operative di ciascuno step. Step Frazione Reagente/i Condizioni operative A Solubile fasi solide solubili in acqua 5 g suolo : 10 ml Acqua ultrapura Agitazione per 1 h a temperatura ambiente B Estraibile scambiabile + acido-solubile (per lo più associata ai carbonati) 1 g suolo : 40 ml Acido acetico 0,11 M Agitazione per 16 h a temperatura ambiente C Riducibile legata essenzialmente agli ossidrossidi di Fe e Mn 40 ml Idrossilammina cloroidrata 0,5 M Agitazione per 16 h a temperatura ambiente D Ossidabile legata essenzialmente alla sostanza organica 20 ml Perossido di idrogeno 8.8 M + 50 ml Acetato di ammonio 1M Riscaldamento a +85 °C per 2 h Agitazione per 16 h a temperatura ambiente E Residuale presente nei reticoli cristallini dei minerali residuali e di neoformazione HNO3 + HCl + HF + HClO4 Solubilizzazione in digestore a microonde I contenuti totali degli elementi in traccia nel suolo, le loro concentrazioni nelle frazioni del suolo nonché negli esemplari di lombrico sono stati determinati tramite spettrometria di massa accoppiata al plasma induttivo (ICP-MS). Risultati e discussione Contenuto totale e distribuzione degli elementi in traccia nel suolo Al ine di quantiicare il livello di contaminazione di ciascun elemento in traccia nel suolo è stato determinato il background geochimico locale, in ottica cautelativa rappresentato dal valore massimo del contenuto totale misurato nei suoli extraurbani (Tab. II). Quindi, quale indice dell’apporto antropico, è stato utilizzato il fattore di arricchimento (FA), calcolato dal rapporto tra il contenuto di un elemento nel suolo ed il valore del suo background. 178 Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento Tabella II: Contenuto minimo, massimo, medio e deviazione standard degli elementi in traccia nei suoli di Siena raggruppati per area (extra-urbana, verde cittadina, peri-urbana ed urbana). Area Extra-urbana Verde cittadina Peri-urbana Urbana Cd mg/kg Co mg/kg Cr mg/kg Cu mg/kg Ni mg/kg Pb mg/kg Sb mg/kg U Zn mg/kg mg/kg Min 0,10 10,1 59,2 21,9 36,6 16,3 0,8 1,4 68,7 Max 0,17 15,4 81,6 24,7 60,5 37,5 1,3 2,5 90,1 Media 0,15 12,5 71,7 23,2 43,6 23,0 1,0 1,8 77,6 Dev. Std. ± 0,03 ± 2,3 ± 7,6 ± 1,1 ± 8,7 ± 7,8 ± 0,2 ± 0,5 ±9 Min 0,05 6,8 47,6 32,2 24,8 35,5 1,2 1,2 57,2 Max 0,23 10,2 58,9 55,8 30,9 77,6 3,5 1,4 120,0 Media 0,16 8,2 54,4 39,0 28,4 54,2 2,4 1,3 90,7 Dev. Std. ± 0,08 ± 1,4 ± 5,3 ± 11,3 ± 2,7 ± 17,5 ± 0,9 ± 0,1 ± 31,6 Min 0,06 8,2 55,8 26,2 32,9 28,0 1,1 1,1 67,3 Max 0,35 15,4 92,0 82,1 55,6 258,9 8,9 2,6 121,0 Media 0,22 11,7 76,3 45,4 45,3 81,9 3,1 1,6 96,8 Dev. Std. ± 0,08 ± 2,2 ± 12,9 ± 15,7 ± 6,9 ± 31 ± 1,1 ± 0,5 ± 17,7 Min 0,07 5,9 50,4 14,2 29,8 24,8 0,9 0,9 60,2 Max 0,48 11,7 75,3 101,0 48,7 178,0 14,8 2,7 206,8 Media 0,27 8,4 64,7 43,7 41,0 104,5 5,1 1,5 121,6 Dev. Std. ± 0,10 ± 1,7 ± 8,9 ± 17,2 ± 5,9 ± 43 ± 2,5 ± 0,6 ± 32,5 In base al valore medio del fattore di arricchimento, piombo ed antimonio sono risultati i principali contaminanti dei suoli di Siena. Pb e Sb sono caratterizzati da signiicativi arricchimenti nei suoli urbani e peri-urbani (FAmedio>2) e mostrano un trend di variazione delle concentrazioni e del fattore di arricchimento in relazione al settore di campionamento. I più bassi contenuti medi di Pb (23 mg/kg) e Sb (1 mg/kg) contraddistinguono i suoli extra-urbani (Fig. 1 e Tab. II). Il FAmedio nelle aree verdi, pari a 1,4 per Pb e 1,8 per Sb, è probabilmente indice della circolazione atmosferica ad ampio raggio di questi elementi. Nei suoli peri-urbani il FAmedio dei due elementi si colloca poco sopra 2, in considerazione di un contenuto medio di 81,9 mg/kg per Pb e 3,1 mg/kg per Sb. Questi elementi raggiungono le più alte concentrazioni medie nei suoli urbani (Pb = 104,5 mg/kg e Sb = 5,1 mg/kg), a cui corrisponde un FAmedio rispettivamente di 2,8 e 3,9 (Fig. 1). I picchi di Pb e Sb misurati nei suoli urbani in prossimità di semafori e rotatorie sono verosimilmente da imputare alla presenza di ostacoli che frenano la difusione dei contaminanti nonché ad una loro maggiore immissione connessa ai frequenti “stop and go” dei veicoli. 179 Francesco Nannoni et al. Figura 1: Contenuto medio (in mg/kg) e fattore di arricchimento medio (FA) di Pb, Sb, Cd e Ni nel suolo dei siti extra-urbani, verdi cittadini, peri-urbani ed urbani di Siena. Nel suolo cadmio, rame e zinco mostrano una distribuzione simile a quella descritta per piombo ed antimonio, diferenziandosi da questi per un minore livello di arricchimento nei suoli urbani e peri-urbani (FAmedio tra 1 e 2). Per esempio, nei suoli extra-urbani il cadmio ha un contenuto medio analogo a quello dei siti verdi cittadini (Fig. 1 e Tab. II), mentre mostra un incremento in quelli peri-urbani (0,22 mg/kg, FAmedio = 1,3) ed urbani (0,27 mg/kg, FAmedio = 1,5). Nei suoli raccolti nei vari settori di Siena non sono state riscontrate diferenze di concentrazione per Co, Cr, Ni ed U (Tab. II). Ne consegue che l’abbondanza di questi elementi nel suolo rimane pressoché uniforme al variare dell’intensità del trafico veicolare, con valori di concentrazione che ricadono all’interno dei rispettivi background (FA ≤ 1). Frazionamento degli elementi in traccia nel suolo Lo studio del frazionamento degli elementi in traccia nel suolo è stato inalizzato principalmente alla deinizione della loro mobilità e biodisponibilità. I dati analitici relativi al frazionamento di ciascun elemento sono riportati in termini di incidenza percentuale rispetto al suo contenuto totale, quale sommatoria dei 5 step di estrazione. Inoltre, è stata confrontata la presenza percentuale nelle frazioni dei suoli extra-urbani non contaminati con quella dei suoli contaminati urbani e peri-urbani. 180 Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento Il piombo mostra una preferenziale presenza nelle frazioni riducibile (48,5 %, in media) e residuale (42,8 %; Fig. 2). Questo tipo di frazionamento è in linea con l’usuale distribuzione del piombo nel suolo, dove risulta fondamentalmente associato sia a minerali residuali che di neoformazione, in particolare agli ossidrossidi di ferro e manganese (Li et al., 2001; Wong & Li, 2004). Dal confronto tra i due gruppi di suoli risulta che l’apporto antropico di piombo si ripartisce in tutte le frazioni e che nei suoli contaminati è maggiore la presenza dell’elemento nelle frazioni riducibile ed ossidabile (Fig. 2). L’antimonio è associato prevalentemente alla frazione residuale (93,4 %, in media), mentre l’aliquota restante è ripartita pressoché equamente tra le altre frazioni. La distribuzione percentuale dell’elemento non varia tra i suoli extra-urbani e quelli urbani e peri-urbani. Il cadmio è principalmente associato alla frazione estraibile, con un’incidenza media del 61,3 % (Fig. 2); ciò evidenzia la notevole mobilità di questo elemento. L’input antropico di cadmio interessa soprattutto le frazioni estraibile e riducibile dei suoli contaminati. Il rame è preferenzialmente presente nella frazione residuale (74,8 %, in media; Fig. 2), in accordo con la sua usuale ripartizione nel suolo (Tao et al., 2003). Il più marcato arricchimento di rame è stato riscontrato nella frazione ossidabile dei suoli contaminati. Lo zinco è per lo più presente nella frazione residuale (76,8 %, in media), e subordinatamente in quella riducibile (13,5 %) ed ossidabile (6,9 %; Fig. 2). Nel complesso questa ripartizione è in linea con l’usuale distribuzione dello zinco nel suolo (Kaasalainen & Yli-Halla, 2003). L’apporto di zinco derivante dal traico veicolare interessa tutte le frazioni dei suoli contaminati e determina una diversa ripartizione rispetto a quella dei suoli non contaminati. 181 Francesco Nannoni et al. Figura 2: Frazionamento medio (in %) e ripartizione percentuale di Pb, Cd, Cu e Zn nelle frazioni dei suoli non contaminati (extra-urbani) e contaminati (urbani e peri-urbani) di Siena. Cobalto, cromo, nickel ed uranio sono presenti essenzialmente nella frazione residuale, con aliquote medie comprese tra 54 % (Co) e 86 % (Cr). Lo schema di frazionamento di questi elementi è piuttosto uniforme in tutti i campioni in studio, in accordo con il fatto che la loro presenza nel suolo non è inluenzata dal traico veicolare. Di conseguenza, non si riscontrano apprezzabili diferenze tra i suoli non contaminati e quelli contaminati. 182 Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento Nel complesso risulta che gli elementi in traccia considerati in questo studio hanno 3 diversi pattern di ripartizione nel suolo, cui fa seguito una loro diversa mobilità e biodisponibilità. L’apporto antropico di Pb, Sb, Cd, Cu e Zn determina consistenti arricchimenti nelle frazioni più mobili e redox-sensibili del suolo nonché marcate diferenze del loro frazionamento tra i suoli extra-urbani non contaminati e quelli urbani e peri-urbani contaminati. Contenuto degli elementi in traccia nei lombrichi I contenuti corporei di piombo ed antimonio mostrano apprezzabili diferenze tra gli esemplari di lombrico raccolti nei suoli extra-urbani e quelli prelevati negli altri settori dell’area di studio. Le più basse concentrazioni medie dei due elementi contraddistinguono i lombrichi dei siti extra-urbani (Pb = 1,2 mg/kg, Sb = 0,1 mg/kg), mentre quelle più elevate sono di pertinenza degli esemplari provenienti dal settore urbano (Pb = 3,1 mg/kg, Sb = 0,5 mg/kg; Fig. 3). Figura 3: Concentrazione media (in mg/kg) di Pb, Sb, Cd e Ni nei lombrichi raccolti nei siti extra-urbani, verdi cittadini, peri-urbani ed urbani di Siena. I contenuti di piombo ed antimonio nei lombrichi aumentano con l’incremento del loro contenuto totale nel suolo (R2 = 0,86 per Pb, 0,89 per Sb, p < 0,05). 183 Francesco Nannoni et al. Anche le concentrazioni medie di cadmio, rame e zinco nei lombrichi aumentano in funzione dell’incremento degli input dovuti al traico veicolare, seppur in maniera meno marcata rispetto a piombo ed antimonio, risultando signiicativamente correlate con il contenuto totale dei rispettivi suoli di raccolta (R2 = 0,73 per Cd, 0,46 per Cu e 0,49 per Zn, p < 0,05). Negli esemplari dei settori urbano e peri-urbano si nota un incremento delle concentrazioni di Cd (Fig. 3), Cu e Zn rispetto a quelli delle zone extra-urbane. In linea con l’omogeneità dei contenuti nel suolo, le concentrazioni di cobalto, cromo, nickel ed uranio nei lombrichi non mostrano sostanziali diferenze in relazione al settore di campionamento. Relazioni tra il contenuto degli elementi in traccia nei lombrichi e nelle frazioni del suolo I lombrichi assorbono gli elementi chimici attraverso 2 modalità: i) dermale, per contatto con le specie chimiche disciolte nella soil solution; ii) intestinale, attraverso l’ingestione di suolo (ad es., Lanno et al., 2004; Hobbelen et al., 2006). La questione di quale sia la modalità di assorbimento predominante, così come quali frazioni del suolo inluenzino maggiormente questo processo, è tuttora oggetto di dibattito. Allo scopo di fornire indicazioni a riguardo, le concentrazioni degli elementi in traccia nei lombrichi sono state correlate con i loro contenuti nelle frazioni solubile, estraibile ed ossidabile del suolo (Tab. III). Tabella III: Valori del coeiciente di correlazione di Pearson tra le concentrazioni degli elementi in traccia nei lombrichi e quelle nelle frazioni solubile, estraibile ed ossidabile del suolo. Elemento Fraz. Solubile 0,882 *** Co –0,221 Cr –0,279 Cu 0,484 Ni –0,280 Pb 0,896 Sb U Zn 0,590 Fraz. Ossidabile 0,898 *** NS 0,347 NS 0,637 * NS –0,004 NS –0,081 NS NS 0,498 NS 0,729 ** NS –0,418 NS –0,090 NS *** 0,939 *** 0,930 *** 0,664 ** 0,946 *** 0,880 *** 0,230 NS 0,133 NS 0,246 NS * 0,850 *** 0,761 *** * Signiicativo per p < 0,05 ** Signiicativo per p < 0,01 184 Fraz. Estraibile Cd *** Signiicativo per p < 0,001 NS Non signiicativo 0,635 * Frazionamento di elementi in traccia nei suoli dell’area urbana di Siena e loro assorbimento Le correlazioni statisticamente signiicative riguardano gli elementi in traccia individuati come i principali contaminanti del suolo (Cd, Cu, Pb, Sb e Zn) ed indicano che il loro tipo di frazionamento inluenza la modalità di assorbimento da parte dei lombrichi. Infatti, le correlazioni tra i contenuti di Cd nei lombrichi e nelle frazioni estraibile e solubile (Tab. III) sono spiegabili dal pattern di ripartizione di questo elemento nel suolo, risultato il più mobile tra quelli considerati. Il tipo di frazionamento di Pb, Sb e Zn giustiica le correlazioni tra i loro contenuti nei lombrichi e nelle frazioni estraibile ed ossidabile, indicando che le loro concentrazioni corporee dipendono essenzialmente da tali frazioni. Il contenuto tissutale di rame è signiicativamente correlato con quello della frazione ossidabile (Tab. III), suggerendo un ruolo predominante della componente organica nell’assorbimento di questo elemento da parte dei lombrichi. Nel complesso tutte le frazioni del suolo contribuiscono all’assorbimento; tuttavia, la frazione estraibile appare quella che determina maggiormente i contenuti degli elementi in traccia nei lombrichi, suggerendo un suo possibile utilizzo come il migliore predictor della loro biodisponibilità nel suolo. L’assorbimento intestinale è la modalità predominante, anche se le relazioni riscontrate con la frazione solubile suggeriscono un contributo minoritario da parte dell’assorbimento dermale. Nessuna delle frazioni del suolo considerate sembra inluenzare l’assorbimento degli elementi presenti nel suolo in contenuti naturali. 185 Francesco Nannoni et al. Bibliografia Hobbelen, P. H. F., Koolhaas, J. E. & van Gestel, C. A. M. (2006) Bioaccumulation of heavy metals in the earthworms Lumbricus rubellus and Aporrectodea caliginosa in relation to total and available metal concentrations in ield soils. Environmental Pollution, 144, 639-646. Kaasalainen, M. & Yli-Halla, M. (2003) Use of sequential extraction to assess metal partitioning in soils. Environmental Pollution, 126, 225-233. Kennette, D., Hendershot, W., Tomlin, A. & Sauvé, S. (2002) Uptake of trace metals by the earthworm Lumbricus terrestris L. in urban contaminated soils. Applied Soil Ecology, 19, 191-198. Lanno, R., Wells, J., Conder, J., Bradham, K. & Basta, N. (2004) he bioavailability of chemicals in soil for earthworms. Ecotoxicology and Environmental Safety, 57, 39-47. Li, X. D., Poon, C. S. & Liu, P. S. (2001) Heavy metal contamination of urban soils and street dusts in Hong Kong. Applied Geochemistry, 16, 1361-1368. Manoli, E., Voutsa, D. & Samara, C. 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(2004) Pb contamination and isotopic composition of urban soils in Hong Kong. Science of the Total Environment, 319, 185-195. 186 Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test in apici radicali di Pisum Sativum L.: caso-studio in un sito contaminato Assessing gradients of genotossicity in polluted soils whit comet test using Pisum sativum L. clones: a case study from a polluted site Silvia Panetta1*, Gina Galante1, Fausto Manes1, Patrizia Cesaro2 & Graziella Berta2 1 Dpt. Biologia Vegetale, Area Ecologia, Università “Sapienza” di Roma, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma 2 Dpt. Scienze Ambientali, laboratorio Biomolecolare, Università del Piemonte orientale “Amedeo Avogadro”, Via Teresa Michel 11, 15121 Alessandria *[email protected] Abstract In questo studio è stato valutato il gradiente di tossicità dei suoli nell’area riparia del iume “Sacco” (Lazio, Italia). La zona è interessata da un elevato inquinamento di origine industriale e dalla presenza di metalli pesanti e sostanze organo-clururate (esacolorcicloesano) nel suolo e nei sedimenti luviali. Attraverso tecniche GIS è stata approntata una carta di uso del suolo e degli hot-spots di contaminazione sulla base della quale sono state scelte le stazioni di campionamento dei suoli. Il “Comet-test” è un test che mette in evidenzia gli efetti genotossici dei contaminanti ambientali a livello cellulare. In questo lavoro è stato valutato l’efetto genotossico di Pb, Cr, Cd, e Zn in apici radicali di cloni di Pisum sativum L. attraverso il “Comet-test” e comparato i risultati determinando la concentrazione nei suoli dei metalli in studio con spettroscopia ad assorbimento atomico (SAA). Dalle analisi è stato riscontrato un gradiente crescente di inquinamento dalla sorgente alla foce del iume. Il test di genotossicità ha messo in evidenza danni al materiale nucleare di Pisum sativum L. 187 Silvia Panetta et al. Introduzione Le attività antropiche quali i processi industriali, attività estrattive, urbane e agricole hanno determinato un consistente aumento della concentrazione di metalli pesanti e altri inquinanti nell’ambiente (Clijsters et al., 2000). La “Valle dei Latini” nota anche come “Valle del Sacco” è stata dichiarata sito da boniicare di Interesse Nazionale a seguito di gravi e ripetuti episodi di inquinamento da sostanze organiche ed inorganiche. Il iume annovera tra le sue problematiche un elevato grado di inquinamento da metalli pesanti a causa dell’immissione diretta di relui chimici e industriali. Le critiche condizioni della Valle sono state portate alla luce da numerose morie di bestiame che si sono veriicate nel corso degli anni e che sono state ampiamente documentate dai media nazionali. Gli inquinanti attraverso il processo di biomagniicazione si sono accumulati ino ai più alti livelli della rete alimentare: metalli pesanti e sostanze organoclorurate sono state riscontrate nei prodotti lattiero caseari. In questo studio è stato eseguito il “Comet test”, una tecnica che prevede l’esecuzione di una elettroforesi su gel a livello di singole cellule (SCGE). Il “Comet-test” è un test rapido, sensibile e relativamente semplice per individuare danni al DNA causati da contaminanti (Singh, 1988). Il test combina tecniche biochimiche per l’individuazione di sequenze interrotte nel DNA, siti alcalo-labili e cross-linking. L’immagine ottenuta al termine dell’esperimento ed osservata al microscopio a luorescenza ha l’aspetto di una „cometa“ con un capo distinto, composto di DNA intatto ed una coda, costituita da DNA danneggiato; la lunghezza della cometa è proporzionale alla dimensione dei frammenti di DNA, l’intensità luminosa risulta proporzionale al quantitativo di DNA migrato verso l’anodo durante la corsa elettroforetica, questi parametri sono in diretta relazione con l’entità del danno (Fairbairn et al., 1995). Il metodo misura con alta sensibilità anche bassi livelli e basse frazioni di catene nucleari interrotte. Diverse revisioni del metodo sono state pubblicate in questi ultimi anni per evidenziarne procedure, vantaggi e limiti sia a livello genotossicologico che ecotossicologico (Fairbairn et al. 1995; Dixon et al., 2002; Collins, 2004). Il test è inoltre stato realizzato con successo in cellule vegetali (Gichner et al., 2004; Gichner et al., 2006). I principali vantaggi del Comet-test comprendono: (a) l’analisi di dati a livello delle singole cellule, con conseguenti analisi statistiche più accurate; (b) la necessità di un piccolo numero di cellule per campione (< 10.000); (c) la sensibilità per il rilevamento di danni al DNA e (d) la possibilità di utilizzare tipi cellulari di specie diverse, sia in vitro che in vivo, tra le quali le cellule ottenute da popolazioni umane e da organismi acquatici e vegetali per studi eco-genotossicologi e di monitoraggio 188 Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test ambientale (Collins et al., 1997; Dixon et al., 2002; Jha, 2004). In questo test una sospensione di cellule viene mescolata in agarosio, successivamente viene effettuata la lisi delle cellule con detergenti e soluzioni ad alta concentrazione salina. Il DNA rilassato viene poi sottoposto ad elettroforesi eseguita a pH controllato. Lo svolgimento del DNA e l’elettroforesi a pH superiore a 12,6 mette in evidenza i siti alcalinolabili (ALS). Materiali e metodi Industrie, discariche e punti di confluenza delle acque reflue nel fiume, sono stati identificati attraverso una categorizzazione di una recente immagine tele rilevata (anno 2009, software Envi 4.3), la classificazione è stata poi importata su un supporto GIS (ArcGIS 9.2). Le fasi successive hanno previsto la sovrapposizione in formato vettoriale del corso del fiume sull’immagine categorizzata, l’implementazione di dati inerenti la qualità di acqua e sedimenti (ARPA 2008) nel GIS. Sulla base di queste informazioni sono state scelte quattro stazioni di campionamento (Fig. 1) seguendo un gradiente longitudinale dalla sorgente alla foce ed un gradiente d’inquinamento crescente avente stessa direzione geografica. Figura 1: Ortofoto, risoluzione 1 pixel/metro. Visualizzazione del corso fluviale nell’area di Colleferro e delle stazioni di campionamento. Ortofoto a colori del 2000. Nella tabella sono visualizzati i valori di concentrazione dei metalli pesanti nel sedimento. Valori in mg·kg-1. 189 Silvia Panetta et al. I suoli sono stati prelevati lungo il corso del fiume considerando il punto di campionamento come il centro di un quadrato di lato di 1 metro; il prelievo è stato effettuato ad una distanza di circa 1,5 metri dalla sponda del fiume, eseguendo il carotaggio ad una profondità circa di 20 cm. È stato prelevato 1 kg di suolo in ogni stazione per ovviare alla diminuzione di peso dovuta alla perdita di acqua nel successivo essiccamento all’aria. Al termine del periodo di essiccamento i terreni sono stati pestati nel mortaio per uniformarne la granulometria e setacciati con setaccio di maglia 2 mm. Per ogni terreno sono state approntate tre repliche in cui sono stati seminati 20 cloni di Pisum sativum L.. Dopo il periodo di germinazione, della durata di tre giorni, e le indagini preliminari sull’accrescimento dell’apparato radicale dei singoli individui, le radichette dei cloni di Pisum sativum L. sono state omogeneizzate per l’estrazione dei nuclei che sono, in seguito, stati sottoposti ad elettroforesi su gel. I set di controllo sono stati allestiti su sabbia. L’analisi viene condotta sul materiale nucleare che in presenza di danni tende a migrare portando alla formazione della cometa caratteristica, l’incremento della migrazione del DNA nel campo elettrico e associata all’incremento dell’effetto genotossico. Mediante l’utilizzo di un microscopio ottico a fluorescenza vengono acquisite le immagini poi analizzate mediante il software “Comet score” che permette di valutare parametri morfologici della cometa di DNA come altezza e larghezza, da questi è possibile ottenere informazioni di tipo quantitativo sul danno presente (Fig. 2). Figura 2: (a) Esempio di comete estratte dal campione controllo con il cadmio. (b) Esempio di raggiere. Foto dal MO a fluorescenza. 190 Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test Le analisi per la valutazione del quantitativo di metalli pesanti sono state efettuate mediante spettroscopia ad assorbimento atomico (AAS) con esclusione della fase di mineralizzazione allo scopo di quantiicare la frazione di metalli efettivamente disponibili per l’assorbimento da parte delle piante. Risultati Dalle analisi statistiche eseguite è stato veriicato che non esistono diferenze signiicative tra i campioni; a dimostrazione che la crescita dei cloni di Pisum sativum L. non risulta inluenzata dalle possibili sostanze inquinanti presenti nel terreno. Osservando la igura 3 non solo è possibile afermare che non vi è diferenza statistica tra i diversi campioni ma si nota che diversamente da quanto atteso sulle piastre contenenti i campioni di suolo sono germinati più semi rispetto al controllo su sabbia. Le analisi statistiche condotte sulla lunghezza radicale non evidenziano diferenze signiicative tra i diversi campioni che risultano, invece, meno sviluppati rispetto al controllo, a conferma della presenza di sostanze in grado di inibire la crescita (Fig. 4). Efettuando l’analisi statistica dei risultati elaborati dal software “Comet-score” si osserva (Fig. 5) che i campioni sono statisticamente diferenti dal controllo e tra di loro. Il controllo allestito su sabbia presenta un quantitativo di comete inferiore rispetto a tutti gli altri campioni. Il campione che presenta lunghezza maggiore a livello delle code delle comete è quello allestito sul suolo prelevato dalla stazione 2, seguono in ordine la 1 e la 4 che presentano medesima signiicatività. I danni causati nei piselli seminati su questi terreni risultano di intensità simile. Leggermente diversa dagli altri campioni è risultata la stazione 3 che presenta comete con code di dimensioni molto inferiori rispetto a tutti gli altri campioni. 191 Silvia Panetta et al. Figura 3: Germinazione di cloni di Pisum sativum L. Figura 4: Allungamento delle radichette di Pisum sativum L. Figura 5: Lunghezza delle comete espressa in pixel. 192 Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test Tramite AAS sono stati valutati i quantitativi di metalli biodisponibili, cioè quella frazione di metalli assimilabili dalle piante (Tab. I). Il Cd è l’elemento presente in quantità minore in tutte le stazioni; piombo e rame presentano valori elevati in tutti i campioni, questo risultato dimostra la presenza omogenea di entrambi questi elementi nel territorio. La stazione 4 è quella che presenta maggiori concentrazioni di tutti e quattro i metalli esaminati. Tabella I: Concentrazione dei metalli pesanti biodisponibili nelle quattro stazioni esaminate. Stazione 1 –1 Stazione 2 2,42 mg kg –1 Stazione 3 3,88 mg kg Stazione 4 –1 4,96 mg kg–1 Cu 2,12 mg kg Zn 1,38 mg kg–1 1,80 mg kg–1 1,56 mg kg–1 5,24 mg kg–1 Pb 3,52 mg kg –1 –1 –1 5,90 mg kg–1 Cd 0,11 mg kg–1 0,23 mg kg–1 0,28 mg kg–1 4,09 mg kg 0,19 mg kg–1 5,61 mg kg Discussione Esaminando i risultati ottenuti dalle diverse indagini è possibile apprezzare, che la germinazione dei cloni di Pisum sativum L., non risulta inluenzata negativamente dalla presenza nei terreni di eventuali sostanze ad azione tossica. È possibile escludere la presenza di sostanze che condizionino lo sviluppo dei cloni soprattutto perché diversamente da quanto atteso sono germinati più semi nei campioni di suolo rispetto al controllo, circostanza dovuta all’elevato carico di nutrienti che caratterizza le zone di campionamento situate nei pressi di coltivi e prati-pascolo. Lo studio dei risultati delle misure di allungamento radicale ha mostrato che le variazioni di lunghezza delle radici nei terreni campione rispetto a quelli di controllo mostrano diferenze statisticamente signiicative. La lunghezza delle radichette dei piselli è risultata molto simile, invece, nei quattro campioni di suolo analizzati: le radici dei piselli seminati nel set di controllo sono cresciute di più rispetto alle radici dei campioni di suolo. Da questo risultato si può concludere che vi è presenza di sostanze tossiche nei suoli campionati nel bacino del Sacco. Il test di genotossicità evidenzia la presenza di comete in misura diversa in tutti i campioni di suolo analizzati, pertanto è possibile confermare la presenza di sostanze nocive che anche se non hanno inluenzato la germinazione hanno causato danni al DNA dei cloni di Pisum sativum L. Il campione che presenta lunghezza delle comete maggiore è quello della stazione 2, stazione posta a valle degli insediamenti industriali di Colleferro e dei fossi che 193 Silvia Panetta et al. drenano le discariche di riiuti tossici, che risulta essere la più compromessa. Seguono nell’ordine la stazione 1, la stazione 4 e la stazione 3. La stazione 1 è situata a monte dei fossi di drenaggio dei relui tossici industriali e per questo presenta un inquinamento leggermente inferiore alla stazione 2, che raccoglie le acque provenienti dal plesso urbano ed industriale di Colleferro. La stazione 3, che presenta un grado di inquinamento dei suoli inferiore rispetto a tutte le altre, è situata lungo un tratto di iume che presenta caratteristiche di naturalità maggiori rispetto alle altre stazioni. Lungo questo tratto luviale, oltrepassato l’abitato di Colleferro, infatti, il iume è costeggiato da una vegetazione di ripa ben conservata, gli insediamenti urbani ed industriali sono assenti ed i processi di diluizione delle acque e di iltraggio della vegetazione migliorano la qualità di suoli e sedimenti. Nei pressi della stazione 4 il corso luviale raggiunge nuovamente i poli industriali della cittadina di Anagni, e l’impatto dell’industria sui suoli torna a farsi evidente in termini di tossicità. Analizzando il quantitativo di metalli biodisponibili si nota in generale che piombo e rame risultano essere presenti in concentrazioni maggiori rispetto allo zinco e al cadmio; osservando inoltre la tabella I è possibile apprezzare la presenza di un gradiente di concentrazione crescente di queste sostanze dalla sorgente alla foce. La stazione 3 caratterizzata da un pH del suolo leggermente più basico (8,4 rispetto al 7,5 delle stazioni 1, 2, 4), pur presentando elevate concentrazioni di piombo, risente in maniera minore degli efetti tossici di questo elemento in quanto maggiormente chelato nella matrice. Lo stesso principio è alla base della minor disponibilità di piombo per quel che riguarda la stazione 4. 194 Valutazione della tossicità del suolo mediante applicazione del Comet Test Bibliografia Clijsters, H., Vangronsveld, J., Van Der Lelie, N. & Colpaert, J. (2000) Ecological aspects of phytostabilitation of heavy metal contaminated soil. In: Ceulemans R., Bogaert J., Deckmyn G., Nijs I.,(Eds),Topics in Ecology, Structure and Functions in Plants and Ecosystems. University of Antwerp, UIA, Wilrijk, Belgium, 299-306. Collins, A. R. (2004) Comet Assay for DNA damage and repair: principles, applications and limitations. Mol. Biotechnol., 26, 249-61. Collins, A., Dusinska, M., Franklin, M., Somorovska, M., Petrovska, H., Duthie, S., Fillion, L., Panayiotidis, M., Raslova, K. & Vaughan, N. (1997) Comet Assay in human biomonitoring studies: reliability, validation, and applications. Environ. Mol. Mutagen., 30, 139-46. Dixon, D. R., Pruski, A. M., Dixon, L. R. J. & Jha, A. N. (2002) Marine invertebrate ecogenotoxicology: a methodological overview. Mutagenesis, 17, 495-507. Fairbairn, D. W., Olive, P. L. & O’Neill, K. L. (1995) he Comet Assay: A comprehensive review. Mutat. Res., 339, 37-59. Gichner, T., Mukherjee, A. & Veleminsky, J. (2006) DNA staining with the luorochromes EtBr, DAPI and YOYO-1 in the comet assay with tobacco plants after treatment with ethyl methanesulphonate, hyperthermia and DNase-I. Mutat. Res., 605, 17-21. Gichner, T., Patkova, Z., Szakova, J. & Demnerova, K. (2004) Cadmium induces DNA damage in tobacco roots, but no DNA damage, somatic mutations or homologous recombination in tobacco leaves. Mutat. Res., 559, 49-57. Jha, A. N. (2004) Genotoxicological studies in aquatic organisms: an overview. Mutat. Res., 552, 1-17. Singh, N. P., M. T., McCoy, R. R., Tice & Schneider, E. L. (1988) A simple technique for quantitation of low levels of DNA damage in individual cells. Exp. Cell Res., 175, 184-191. 195 Premio Marchetti Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio degli inquinanti organici persistenti nelle acque Using fish species for POP biomonitoring in waters Silvia Quadroni1,2*, Roberta Bettinetti1, Fabrizio Capoccioni3, Eleonora Ciccotti3 & Silvana Galassi2 1 Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università degli Studi dell’Insubria, Via Valleggio 11, 22100 Como 2 Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Milano, Via Celoria 26, 20133 Milano 3 Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Via della Ricerca Scientiica 1, 00133 Roma * [email protected] Abstract Di recente l’anguilla europea (Anguilla anguilla) è stata proposta per il biomonitoraggio della contaminazione da POP (Persistent Organic Pollutants) in sostituzione delle analisi dell’acqua previste dalla Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE). Pur condividendo la necessità di utilizzare organismi bioaccumulatori per il monitoraggio di sostanze altamente lipoile, nutriamo seri dubbi sulla scelta di questa specie come organismo sentinella universale per le acque interne. Sia dall’analisi dei dati di letteratura sia dai risultati dei livelli di DDT e di PCB determinati in una nostra recente indagine eseguita in tre diverse zone di pesca italiane (Fiume Tevere, Laguna di Caprolace e Laguna di Lesina) si è riscontrata una variabilità intra-sito molto elevata della contaminazione che potrebbe essere in parte dovuta alla variabilità delle caratteristiche morfometriche e isiologiche dell’animale: individui prelevati nei tre siti, pur avendo la stessa lunghezza, sono risultati di età molto diversa e con un contenuto lipidico in alcuni casi estremamente variabile anche nell’ambito della stessa classe di età. A diferenza di altre specie ittiche, l’età e quindi il tempo di esposizione alla contaminazione non sono risultati positivamente correlati alle concentrazioni di DDT e PCB nel tessuto muscolare. Si ritiene, quindi, che nonostante il fatto che l’anguilla sia un buon bioaccumulatore e che nessun’altra specie abbia un areale così ampio in Europa, la sua longevità e alcune 197 Silvia Quadroni et al. sue caratteristiche biologiche ed ecologiche siano argomenti a sfavore del suo utilizzo a scopi normativi per il monitoraggio delle acque. A questi motivi si aggiunge la diicoltà di cattura di questo pesce, soprattutto nel caso dei laghi profondi. Poiché non è facile individuare in ambito europeo un’altra specie cosmopolita, per il biomonitoraggio si potrebbero utilizzare specie diverse ma ecologicamente equivalenti. Resta comunque importante continuare a monitorare la contaminazione delle anguille sia per la loro importanza commerciale sia perché i livelli di alcuni composti potrebbero rappresentare uno dei fattori di rischio che minacciano l’estinzione di questa specie. Introduzione Con la Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) è diventato obbligatorio per gli Stati Membri dell’Unione Europea il monitoraggio nei corpi idrici supericiali di 33 sostanze pericolose deinite prioritarie, tra cui alcuni microinquinanti organici persistenti (POP), al ine di assicurare l’integrità di questi ecosistemi acquatici e la salute dell’uomo che li utilizza. Tale monitoraggio deve essere eseguito direttamente mediante analisi chimiche della matrice acquosa, per cui sono già stati issati degli standard di qualità ambientale (EQS; Direttiva 2008/105/CE). Per i composti più lipoili, come pesticidi clorurati e policlorodifenili (PCB), la Direttiva stessa (2008/105/CE) propone di efettuare analisi aggiuntive dei sedimenti e degli organismi acquatici senza speciicarne però le linee guida e i relativi standard di qualità. In efetti l’analisi di sostanze idrofobiche risulta complicata soprattutto quando le concentrazioni in acqua sono molto basse: occorrerebbe processare decine di litri d’acqua (Tran & Zeng, 1996) per riuscire a quantiicare i singoli contaminanti con le strumentazioni oggi a disposizione nei laboratori d’analisi. Inoltre se in un ambiente acquatico esiste una situazione di disequilibrio tra la contaminazione dei suoi diversi comparti potrebbe essere valutato in modo errato il rischio ecosistemico: ad esempio in un lago la concentrazione in acqua dei contaminanti lipoili varia notevolmente in dipendenza dell’abbondanza e della distribuzione delle comunità itoplanctoniche, che sono in grado di ab-adsorbire e bioconcentrare queste sostanze (Dachs et al., 2000; Söderstrom et al., 2000), e dei fenomeni idro-geologici che interessano tutto il suo bacino imbrifero. Questa variabilità spazio-temporale della contaminazione dell’acqua rende poco attendibile l’analisi di campioni puntiformi ed istantanei di questa matrice per la valutazione dell’esposizione degli organismi acquatici agli inquinanti più idrofobici. 198 Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP Come suggerito dalla Direttiva 2008/105/CE, per superare queste diicoltà si dovrebbe sostituire il monitoraggio dell’acqua con quello di organismi acquatici bioaccumulatori, ossia specie indicatrici del livello di contaminazione dell’ambiente in cui vivono, in grado di evidenziare la frazione biodisponibile di inquinanti lipoili e di determinarne il destino lungo la catena troica (Cairns & van der Shalie, 1980). Infatti, oltre ad un vantaggio legato al metodo analitico, essi sono in grado di fornire un’informazione riguardante la minaccia che questi inquinanti rappresentano per loro stessi, per tutta la vita acquatica e, nel caso in cui facciano parte della dieta umana, anche per l’uomo. Tutte le specie acquatiche possono essere considerate bioaccumulatori, ma gli organismi idonei per il biomonitoraggio devono: • essere tolleranti alla contaminazione e alle variazioni dei parametri chimico-isici dell’ambiente in cui vivono; • avere un’elevata capacità di accumulare un ampio range di sostanze presenti nell’acqua; • essere rappresentativi dello stato di salute dell’intero corpo idrico da cui provengono; • essere ubiquitari per permettere il loro utilizzo su un’ampia scala geograica; • essere facili da campionare in numero e biomassa adeguati; • avere isiologia, anatomia ed etologia note; • avere bassi costi di monitoraggio ed analisi; • appartenere ad un livello troico deinito; • avere un ciclo vitale pluriennale; • essere stanziali; • essere svincolati dal sedimento; • essere in grado di fornire misure attendibili e riproducibili se ripetute nell’ambito di individui della stessa popolazione nel medesimo momento storico. Per agevolare i confronti tra ambienti diversi la scelta di una sola specie indicatrice sarebbe ideale; però individuare un’unica specie sentinella su scala europea che soddisi i requisiti è praticamente impossibile, innanzitutto perchè la maggior parte degli organismi possiede areali ristretti o comunque limitati dalla barriera imposta dal clima mediterraneo (Griiths, 2006). Negli ultimi decenni molte specie, appartenenti a diversi taxa animali e vegetali, sono state utilizzate come indicatori dello stato di salute di diversi ecosistemi acquatici. Tra queste, quelle appartenenti al phylum Mollusca – classe Bivalvia sono state ampiamente adottate per confrontare la distribuzione spazio-temporale di con- 199 Silvia Quadroni et al. taminanti sia organici che inorganici negli ambienti d’acqua dolce e salata (Goldberg et al., 1978; Hellou & Law, 2003). Questi organismi attraverso la respirazione e la iltrazione sono in grado di accumulare i contaminanti in essa presenti in continuo. Per il monitoraggio delle acque costiere marine solitamente vengono utilizzate diverse specie appartenenti al genere Mytilus (de Kock, 1986), mentre nel caso delle acque interne viene usata Dreissena polymorpha (Galassi & Cassi, 2001). Questa specie è però caratteristica solo della zona bentonica litorale, mentre sono i pesci i migliori rappresentanti della zona pelagica lacustre, così come lo sono dei iumi. Il problema di questo taxon animale consiste nella diicoltà di trovare specie ubiquitarie anche all’interno dello stesso ecosistema: i iumi, ad esempio, presentano una zonazione per cui generalmente i salmonidi si trovano solo vicino alla sorgente mentre i ciprinidi nei pressi delle foci (Huet, 1949; Ferreira et al., 2007). I dati di letteratura mostrano come ino ad ora anche considerando uno stesso Paese della Comunità Europea siano state diverse le specie ittiche utilizzate ai ini del biomonitoraggio (Binelli & Provini, 2003; Orban et al., 2006; Elia et al., 2007). Recentemente Belpaire & Goemans (2007) hanno proposto lo stadio preriproduttivo dell’anguilla europea (Anguilla anguilla), in cui viene denominata gialla, come modello ideale per valutare lo stato chimico delle acque nel caso dei composti lipoili all’interno della Direttiva 2000/60/CE. Le ragioni avanzate sono le seguenti: • ha un ampio areale che arriva a coprire la maggior parte dei corpi d’acqua europei e che permette di confrontare lo stato di salute di diversi ambienti e di formulare standard di qualità su ampia scala; • è sedentaria; • possiede un’elevata capacità di accumulo di molte sostanze lipoile a causa del suo alto contenuto lipidico e delle sue abitudini alimentari (specie carnivora e bentonica), cosa che permette di registrare anche contaminanti non rilevabili in acqua; • ha una taglia abbastanza grande da fornire suiciente materiale per le analisi; • è molto longeva; • è una specie eurialina e univoltina. Inoltre, secondo questi autori (Belpaire & Goemans, 2007), il monitoraggio su scala europea con questa specie consentirebbe di perseguire altri due obbiettivi oltre alla valutazione della qualità ambientale, ossia stimare il rischio sanitario derivante da questo pesce di enorme importanza commerciale e veriicare il grado di inquinamento delle diverse sottopopolazioni di Anguilla anguilla in funzione dei piani di recupero internazionali di questa specie, dichiarata a rischio di estinzione. 200 Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP Con questo lavoro, sulla base delle nostre osservazioni, abbiamo cercato di capire il valore dell’anguilla come “indicatore universale europeo”. A questo scopo, oltre ad aver analizzato i dati di letteratura, abbiamo determinato i livelli di DDT e PCB in anguille provenienti da tre diversi siti italiani (Fiume Tevere, Laguna di Caprolace e Laguna di Lesina). Materiali e metodi Area di studio e campionamento delle anguille Gli esemplari di anguilla sono stati pescati mediante bertovelli in tre aree della penisola italiana aventi caratteristiche ecologiche e pressioni antropiche diferenti: il Fiume Tevere, la Laguna di Caprolace e la Laguna di Lesina (Fig. 1). Nel caso del Fiume Tevere e della Laguna di Lesina il campionamento è avvenuto nell’autunno 2007 (ottobre-dicembre), mentre per la Laguna di Caprolace è stato eseguito nell’inverno 2008 (febbraio-marzo). N Fiume Tevere Laguna di Lesina Laguna di Caprolace 0 km 250 500 Figura 1: Area di studio: Fiume Tevere, Laguna di Caprolace e Laguna di Lesina. 201 Silvia Quadroni et al. Il Tevere (Fig. 1) è il terzo iume più lungo d’Italia (405 km), secondo per ampiezza del bacino idrograico (17.375 km2); nasce su una cima degli Appennini (Monte Fumaiolo, 1268 m s.l.m.), attraversa quattro regioni passando per la capitale e sfocia nel Mar Tirreno nella parte centrale della penisola (Lazio). A Roma presenta una portata media di 267 m3/s. Nel suo percorso sono presenti tre laghi artiiciali (Montedoglio, Corbara e Alviano) e parecchie dighe per la produzione di energia idroelettrica. Il suo bacino è ricco di aluenti e sub-aluenti tra cui i principali sono l’Aniene, il Nera e il Chiascio. Le anguille sottoposte ad analisi chimica (N = 24) sono state pescate nel basso corso di questo iume, nei 40 km che intercorrono tra la foce e la diga di Castel Giubileo, a monte di Roma, che costituisce un ostacolo alla migrazione delle anguille. In questo tratto vi è l’immissione dell’Aniene e la pesca avviene da maggio a novembre. La Laguna di Caprolace (Fig. 1) è localizzata all’interno del Parco Nazionale del Circeo sulla costa tirrenica (Lazio), tra i laghi di Fogliano e di Sabaudia, con i quali costituisce il sistema dei laghi Pontini. Presenta un’area di 2,3 km2, una profondità media di 1,3 m e massima di 2,9 m. È collegata al Lago di Sabaudia e al mare tramite due canali artiiciali ed è dotata di sponde regolari e argini cementiicati. Possiede acque salmastre con una salinità pari a 33-44 ‰. La temperatura varia annualmente tra 10 e 32 °C ed il periodo di pesca è compreso tra novembre e marzo. In questa stazione sono state catturate 23 anguille. La Laguna di Lesina (Fig. 1), così come quella di Caprolace, è una zona umida mediterranea d’importanza comunitaria (S.I.C.). Essa è localizzata nella parte sud del Mar Adriatico (Puglia) con cui comunica attraverso due canali (Acquarotta e Schiapparo), dotati di chiuse meccaniche per regolare gli scambi idrici. Gli apporti di acqua dolce sono garantiti da numerosi piccoli corsi d’acqua che drenano i terreni circostanti, destinati in gran parte a colture agricole di tipo intensivo. La sua salinità è pari a 10-27 ‰ e presenta un gradiente Est-Ovest. La temperatura varia annualmente da 5 a 30 °C. Lunga 22,2 km e larga mediamente 2,5 km, ha una supericie pari a 51,4 km2. La sua profondità media è pari a 0,7 m, quella massima è di 1,5 m. È un corpo d’acqua dove la pesca professionale dell’anguilla, che si svolge nel periodo compreso tra ottobre e marzo, è una tradizione e in cui l’acquacoltura si è sviluppata intensamente in anni recenti. Le anguille prese in esame in questo lavoro (N = 31) sono state catturate in due diversi punti: centro laguna (N = 9) e canale di marea (N = 22). Dopo essere stati sacriicati, tutti gli esemplari sono stati pesati e misurati ed è stata eseguita la determinazione dello stadio, del sesso attraverso ispezione viscerale e dell’età mediante lettura degli otoliti. In seguito sono stati conservati a –20 °C. 202 Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP Determinazione di DDT e PCB nel tessuto muscolare delle anguille Sono state individuate tre diverse classi di lunghezza: < 30 cm, 30-40 cm e > 40 cm. Gli individui provenienti dal Fiume Tevere e dalla Laguna di Lesina appartenenti alle prime due classi sono stati analizzati costituendo dei pool, mentre su quelli aventi una lunghezza maggiore di 40 cm e nel caso di tutte le anguille di Caprolace l’analisi è stata svolta singolarmente. Un sub-campione (0,5 g p.s.) di tessuto muscolare lioilizzato (Freeze dryer Mod. 24, Edwards, USA) è stato estratto con una miscela acetone-n-esano (Carlo Erba per analisi dei residui) 1:1 in ditali in microibra di vetro (19 mm d.i. x 90 mm di lunghezza, Whatman, England) mediante l’utilizzo di un apparato Soxhlet modiicato (VELP SCIENTIFICA – ECO 6 thermoreactor). Dopo l’evaporazione del solvente è stata efettuata la determinazione gravimetrica dei lipidi. Questi sono stati poi risospesi in 2 mL di n-esano e digeriti con 5 mL di acido solforico (98 % Carlo Erba). I composti clorurati sono stati recuperati mediante lavaggi successivi con n-esano. L’estratto esanico è stato concentrato a circa 2 mL e puriicato su Florisil (colonna 4 x 0,7 cm). 1 µL di ogni campione è stato introdotto mediante iniezione on-column in un gascromatografo (Carlo Erba TOP 8000) dotato di una colonna capillare (WCOT, CP_Sil 8CB, Varian USA, 50 m x 0,25 mm, spessore del ilm 0,25 µm) e accoppiato ad un rivelatore a cattura di elettroni 63Ni (Carlo Erba ECD 80, hermoQuest Italia), riscaldato a 320 °C. È stato preparato uno standard di riferimento per DDT a partire da composti puri (Pestanal, Sigma-Aldrich, Germany) disciolti in iso-ottano (Carlo Erba per analisi dei residui) a una concentrazione di 10 µg/L; Aroclor 1260 (Alltech, IL, USA) con aggiunta dei congeneri 28, 52 e 118 è stato invece usato come standard di riferimento per la quantiicazione dei PCB. Sono stati estratti e analizzati in triplo i materiali di riferimento BCR-598 e BCR-349 (olio di fegato di merluzzo, Community Bureau of Reference – BCR Brussels) rispettivamente per DDT e per PCB; la % di recupero del pp’-DDE è stata pari a 107,5 (±4,0 %), del pp’-DDD 106,2 (±4,0 %), del pp’-DDT 106,2 (±3,0 %) e dei PCB tra 91,3 (±1,1 %) e 102,2 (±1,6 %). Il limite di rilevabilità è di 0,1-0,5 ng/g lipidi, a seconda del composto. Analisi statistica Per l’analisi statistica le concentrazioni sono state espresse come ng/g lipidi in quanto il quantitativo di grasso nel muscolo inluenza il bioaccumulo dei contaminanti indagati. È stato eseguito il test di Grubbs (p < 0,05) per l’individuazione degli outlier ed in seguito una trasformazione logaritmica dei dati per ottenere una distri- 203 Silvia Quadroni et al. buzione gaussiana. In seguito, utilizzando il software STATISTICA, sono state identificate eventuali correlazioni e sono stati applicati l’analisi della varianza (one-way ANOVA; p < 0,05) e il test post hoc di Scheffè (p < 0,05) per confrontare i livelli di contaminazione e i parametri morfo-fisiologici delle tre stazioni o il test t di Student per variabili indipendenti per i confronti tra due sole classi di lunghezza all’interno della stessa area di studio (Laguna di Lesina e Fiume Tevere). Risultati Per ogni esemplare di anguilla proveniente dal Fiume Tevere, dalla Laguna di Caprolace e dalla Laguna di Lesina sono state determinate la lunghezza totale, il peso, lo stadio, l’età e il sesso. Per ogni stazione è stato calcolato il valore medio e la deviazione standard per ciascuno di questi parametri, eccetto lo stadio e il sesso, considerando gli individui suddivisi nelle tre diverse classi di lunghezza (< 30 cm, 30-40 cm e > 40 cm) e poi nel loro insieme (Tab. I). Tabella I: Caratteristiche morfometriche e fisiologiche delle anguille provenienti dal Fiume Tevere, dalla Laguna di Caprolace e dalla Laguna di Lesina divise per tre classi di lunghezza e nel totale (N = numero individui; LT = lunghezza totale media (ds); P = peso medio (ds); stadio: G = gialle e A = argentine; età media (ds); sesso: I = indifferenziate; M = maschi; F = femmine). N LT (cm) P (g) stadio età (anni) sesso < 30 cm 9 24,61 (2,72) 23,81 (9,05) 9G 4,33 (0,71) 8I-1M 30-40 cm 8 34,80 (3,40) 75,99 (26,17) 7G-1A 5,75 (1,39) 5I-3M > 40 cm 7 45,43 (5,56) 170,99 (66,52) 7A 6,71 (1,70) 6M-1F totale 24 34,08 (9,41) 84,13 (71,65) 16G-8A 5,50 (1,59) 13I-10M-1F < 30 cm 7 26,11 (4,01) 26,91 (12,26) 7G 6,00 (1,63) 6I-1M 30-40 cm 8 35,68 (1,17) 65,71 (12,27) 8G 6,75 (1,16) 5M-3F F. Tevere L. Caprolace > 40 cm 8 50,24 (8,05) 202,24 (102,20) 6G-2A 8,38 (2,00) 8F totale 23 37,83 (11,26) 101,39 (96,63) 21G-2A 7,09 (1,86) 6I-6M-11F 8 28,31 (1,41) 31,35 (3,13) 8G 3,00 (1,20) 8I L. Lesina < 30 cm 30-40 cm 13 34,94 (2,83) 65,14 (18,22) 13G 3,62 (0,65) 2I-11F > 40 cm 10 58,83 (10,25) 399,24 (224,98) 6G-4A 6,00 (1,25) 10F totale 31 40,94 (14,14) 164,19 (206,62) 27G-4A 4,23 (1,61) 10I-21F 204 Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP In tutte e tre le aree di studio la lunghezza è strettamente correlata al peso (r = 0,95; p < 0,05) ed è presente una correlazione positiva anche tra lunghezza ed età (r = 0,64-0,82; p < 0,05). Le anguille provenienti dalla Laguna di Caprolace risultano avere un’età maggiore rispetto a quelle del Fiume Tevere, che a loro volta sono più vecchie degli esemplari della Laguna di Lesina (p < 0,05). Il Fiume Tevere è caratterizzato dalla maggior percentuale di argentine sul totale (33,33 %), le quali costituiscono tutto il gruppo di anguille più lunghe di 40 cm. Anche per quanto riguarda il sesso, questo ambiente contiene la maggior parte di anguille indiferenziate, più della metà di tutti gli esemplari (54,17 %), a diferenza di Lesina (32,26 %) e Caprolace (26,09 %). È importante sottolineare che sono state impropriamente considerate indiferenziate anche le anguille aventi l’organo di Syrski. Il rapporto sessi (M:F) è diverso nelle tre stazioni: 10:1 nel caso delle anguille diferenziate del Tevere, 6:11 per quelle di Caprolace, mentre a Lesina sono tutte femmine. Nella tabella II sono riportati il contenuto lipidico e le concentrazioni di PCB e DDT totali, espresse sul peso fresco, delle anguille provenienti dalle tre stazioni, divise per classi di lunghezza e sul totale. Nel caso degli individui aventi lunghezza inferiore a 30 cm della Laguna di Lesina e del Fiume Tevere non è riportata la variabilità in quanto sono stati analizzati costituendo due pool di cui è stata fatta la media. Considerando il totale degli individui solo le anguille di Lesina presentano una correlazione positiva tra contenuto lipidico e taglia (r = 0,72; p < 0,05) o età (r = 0,64; p < 0,05) ed è evidente come gli esemplari provenienti da Caprolace abbiano una % lipidica molto più variabile e signiicativamente minore rispetto a quelli degli altri due siti (p < 0,05). Inoltre la contaminazione non è correlata né alla taglia né all’età. Siccome è noto che nei pesci il contenuto di grassi è positivamente correlato con le concentrazioni degli inquinanti idrofobici (Hebert & Keenleyside, 1995), per confrontare i livelli di contaminazione minimizzando le diferenze dovute alla diverse condizioni isiologiche, le concentrazioni di PCB e DDT sono state espresse sui lipidi escludendo gli outlier (p < 0,05) dai calcoli successivi. Sono stati individuati un outlier a Lesina e uno nel Tevere entro la classe di lunghezza > 40 cm, che si mantengono anche considerando il totale degli individui. 205 Silvia Quadroni et al. Tabella II: Contenuto lipidico medio (ds) e concentrazioni medie di PCB e DDT totali (ds) delle anguille provenienti dal Fiume Tevere, dalla Laguna di Caprolace e dalla Laguna di Lesina divise per tre classi di lunghezza e nel totale. % lipidi (pf ) PCB tot (ng/g p.f.) DDT tot (ng/g p.f.) < 30 cm 10,86 1453,67 315,66 30-40 cm 20,80 (7,58) 277,30 (81,85) 266,50 (240,78) > 40 cm 24,13 (7,32) 258,78 (146,44) 152,38 (145,18) totale 21,05 (7,99) 436,10 (676,02) 216,46 (202,33) F. Tevere L. Caprolace < 30 cm 5,51 (4,62) 10,53 (4,58) 21,58 (16,41) 30-40 cm 9,56 (7,66) 38,32 (51,72) 23,54 (11,35) > 40 cm 6,30 (6,83) 21,56 (22,75) 13,46 (6,08) totale 7,19 (6,52) 24,03 (34,00) 19,44 (12,11) L. Lesina < 30 cm 11,62 6,18 43,37 30-40 cm 10,61 (4,11) 8,18 (3,19) 128,72 (89,99) > 40 cm 18,10 (5,13) 7,63 (3,24) 101,45 (81,98) totale 15,42 (5,67) 7,59 (3,02) 101,01 (79,44) Poiché non sono state osservate differenze nella capacità di accumulo dei composti organoclorurati tra maschi e femmine aventi la stessa taglia e la stessa età in altre specie ittiche (Volta et al., 2009), si è proceduto al confronto dei tre gruppi. Nell’ambito dello stesso sito è emersa una differente contaminazione tra le anguille provenienti da Lesina di lunghezza compresa tra 30 e 40 cm e quelle più lunghe di 40 cm, che presentano una minore concentrazione di PCB totali; mentre gli altri due ambienti sono più omogenei. Per quanto riguarda il confronto tra i tre ambienti di studio non si riscontrano differenze nelle concentrazioni di DDT totali. Nel caso dei PCB totali, se si considerano singolarmente le classi di lunghezza 30-40 cm e > 40 cm le concentrazioni sono meno elevate nelle anguille di Lesina rispetto che in quelle degli altri due siti (p < 0,05); se invece si considerano tutti gli individui emerge anche una differenza di contaminazione tra gli esemplari del Tevere e quelli di Caprolace, meno inquinati (p < 0,05). Esiste una correlazione positiva tra la contaminazione da DDT e quella da PCB in tutte e tre le stazioni (r = 0,74-0,93; p < 0,05). 206 Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP Discussione Come è già stato osservato in studi precedenti (van der Oost et al., 1996; Tulonen & Vuorinen, 1996; Buet et al., 2006) l’anguilla europea presenta un’elevata variabilità nei livelli di contaminazione all’interno dello stesso ambiente di studio, anche in seguito all’eliminazione degli outlier, in particolar modo nel caso dei DDT totali (Fig. 2). Tale variabilità può essere giustiicata solo in parte dalle caratteristiche morfometriche e isiologiche degli esemplari campionati. Le anguille provenienti da Caprolace ad esempio presentano un contenuto lipidico estremamente variabile che potrebbe dipendere dal diverso periodo di campionamento rispetto alle altre due stazioni: in inverno le risorse alimentari sono meno abbondanti e il metabolismo degli animali è più lento. A diferenza di altri pesci (Schindler et al., 1995; Harding et al., 1997; Volta et al., 2009) né la taglia né l’età risultano essere correlate alla contaminazione. Il tempo di esposizione agli inquinanti non sembra quindi essere il fattore principale che governa il bioaccumulo nell’anguilla. Anche il sesso sembra non inluire dato che nelle classi costituite solo da femmine più lunghe di 40 cm provenienti dalle lagune di Lesina e Caprolace permane una variabilità elevata così come in quella del Tevere dove sono tutti maschi eccetto un esemplare femminile o in quella di Caprolace costituita per la maggior parte da individui indiferenziati più corti di 30 cm (Tab. I e II). Lo stesso accade considerando esclusivamente le anguille gialle (Fig. 2), come proposto da Belpaire & Goemans (2007): nemmeno i cambiamenti morfo-isiologici e comportamentali che potrebbero determinare nelle argentine una variazione della contaminazione nel muscolo rispetto allo stadio precedente sembrano essere la spiegazione alla variabilità osservata. Figura 2: Confronto tra i livelli di contaminazione da PCB e DDT totali, espressi sul contenuto lipidico, di tutte le anguille (T) e solo delle anguille gialle (G) provenienti dal Fiume Tevere, dalla Laguna di Caprolace e dalla Laguna di Lesina. 207 Silvia Quadroni et al. La giustiicazione più plausibile è da ricondurre alle abitudini alimentari e all’etologia di questo pesce. Il fatto che sia una specie opportunista, bentonica e sedentaria (Michel & Oberdorf, 1995; van der Oost et al., 1996) determina un’enorme variabilità della contaminazione anche in un areale relativamente ristretto. Alla luce di questo anche l’elevata longevità che la caratterizza (Vøllestad, 1992) non è da considerarsi un fattore favorevole al suo utilizzo come specie indicatrice dell’inquinamento di un intero ecosistema: individui appartenenti alla stessa sottopopolazione e aventi taglie simili potrebbero presentare infatti un carico di inquinanti molto diverso per efetto della loro stanzialità che potrebbe determinare l’esposizione di alcuni di essi a sorgenti puntiformi di contaminazione. Del resto la varianza dei valori di contaminazione all’interno di individui appartenenti alla stessa classe d’età e provenienti dalla medesima località supera di molto la media, indicando che la distribuzione dei valori non è casuale. Al contrario di Anguilla anguilla, altre specie ittiche predatrici ma non bentoniche registrano una minore variabilità nella contaminazione. Ad esempio la trota (Salmo trutta) presenta all’interno di uno stesso ecosistema un range di concentrazioni di DDT e PCB molto meno ampio rispetto all’anguilla e una minore variabilità del valore medio (Bordajandi et al., 2003). In ogni caso, la scelta di pesci appartenenti ai livelli troici più alti come specie indicatrici non sarebbe da consigliare dato il ridotto numero di specie di predatori terminali che popolano le acque dolci e la maggiore diicoltà di cattura rispetto ai pesci planctofagi. Ainché una specie ittica possa essere utilizzata a scopi normativi a livello di tutta l’Unione Europea dovrebbe poter permettere la formulazione di procedure standard per il campionamento e per l’analisi che siano applicabili da tutti gli Stati Membri. Dovrebbe quindi essere facile da campionare con i metodi convenzionali, pesca con tremagli o elettrostorditori, in tutti i corpi d’acqua e dovrebbe consentire il reperimento di un numero di individui adeguato nell’ambito di un ristretto intervallo di taglia per la costituzione di pool che siano il più possibile rappresentativi della popolazione da cui provengono. 208 Valutazione dell’uso di specie ittiche per il biomonitoraggio dei POP Conclusioni Per il recepimento e l’attuazione della Direttiva Quadro sulle Acque si rende necessario l’utilizzo di organismi bioaccumulatori per il monitoraggio dei composti più lipofili, come DDT e PCB, nei corpi idrici europei perché per adottare standard di qualità realmente protettivi nei confronti sia della vita acquatica che della salute umana (Bettinetti et al., 2005) si renderebbero necessarie metodologie analitiche molto costose e poco affidabili. Si pone quindi l’urgenza di selezionare specie indicatrici da ricercare nei diversi ambienti acquatici europei in funzione della loro “equivalenza ecologica”, dal momento che l’unica specie ubiquitaria sinora individuata, Anguilla anguilla, si dimostra poco adatta per essere utilizzata come specie sentinella. A suo sfavore giocano soprattutto la difficoltà di cattura nei laghi profondi, la longevità e la variabilità di accrescimento e differenziazione in funzione delle condizioni ambientali, la frequentazione di ambienti bentonici profondi più soggetti ad accumuli puntiformi di inquinanti rispetto alla zona pelagica, fattori che possono determinare un’estrema variabilità della contaminazione all’interno della stessa sottopopolazione. Infine, l’anguilla non sembra essere particolarmente tollerante alla contaminazione dato che l’inquinamento è una tra le cause più probabili che sono state avanzate per giustificare il suo declino (Robinet & Feunteun, 2002). Riteniamo che sia comunque necessario continuare a monitorare lo stato della contaminazione di questa specie di notevole importanza ecologica e commerciale al fine della sua salvaguardia e di quella dell’uomo che la consuma. Ringraziamenti Questo studio è stato finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica “Un Approccio Integrato alla Conservazione e Gestione dell’Anguilla Europea in Area Mediterranea” nel 2006. 209 Silvia Quadroni et al. Bibliografia Belpaire, C. & Goemans, G. (2007) he european eel Anguilla anguilla, a rapporteur of the chemical status for the water framework directive? Vie et milieu – life and environment, 57 (4), 235-252. Bettinetti, R., Croce, V. & Galassi, S. (2005) Ecological risk assessment for the recent case of DDT pollution in Lake Maggiore (Northern Italy). Water, Air, and Soil Pollution, 162, 385-399. Binelli, A. & Provini, A. (2003) he PCB pollution of Lake Iseo (N. Italy) and the role of biomagniication in the pelagic food web. 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In questa ottica si pone la presente ricerca che è incentrata sullo studio della distribuzione e del comportamento nel suolo di elementi pesanti quali: As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn, e del loro trasferimento alla specie vegetale edibile Triticum aestivum L., in un’area mineraria ed industriale del Kosovo settentrionale. I dati analitici indicano una difusa e talora intensa contaminazione del suolo da parte degli elementi pesanti legati all’attività mineraria, che si estende sui suoli ad uso agricolo ino ad una distanza di 10 km dal polo industriale. In base al fattore di arricchimento, i principali contaminanti nel suolo sono nell’ordine: Cd (ino a 24 mg/ kg), Pb (ino a 770 mg/kg), Zn (ino a 1431 mg/kg) e Sb (ino a 14 mg/kg). Gli elementi pesanti hanno evidenziato diferenti pattern di ripartizione nelle principali frazioni del suolo (solubile, estraibile, riducibile, ossidabile e residuale) e Cd e Zn sono risultati gli elementi più mobili. Contenuti elevati di Pb (ino a 241 mg/kg), Zn (ino a 707 mg/kg) e Cd (ino a 10 mg/kg) sono stati misurati negli apparati radicali di esemplari di T. aestivum prelevati nelle vicinanze del polo minerario-industriale. Nelle cariossidi gli stessi elementi pesanti hanno concentrazioni sensibilmente inferiori rispetto a quanto registrato nelle radici (da 1 a 3 ordini di grandezza per Pb, Zn, Cd), evidenziando un’elevata capacità di questa specie vegetale nel bloccare i suddetti elementi a livello radicale. Va sottolineato comunque che le concentrazioni di Cd e Pb nelle cariossidi sono di frequente superiori al limite indicato dalla Comunità Europea per i cereali destinati al consumo umano (Pb = 0,2 mg/kg, Cd = 0,1 mg/kg). 213 Sara Rossi et al. Introduzione La contaminazione da elementi pesanti del suolo, connessa con le attività di impianti industriali, rappresenta un problema ambientale a scala mondiale soprattutto in zone in cui sono presenti coltivazioni agricole. Ciò è dovuto al fatto che gli elementi pesanti accumulati nel suolo possono entrare nella rete troica attraverso l’assorbimento da parte di organismi vegetali ed animali. Una tale problematica ambientale caratterizza l’area di Kosovska Mitrovica, situata nel Kosovo settentrionale, nel cui territorio ricade uno dei principali centri minerari d’Europa ed uno dei più importanti poli industriali dell’ex Jugoslavia. Studi recenti (Riccobono et al., 2004; Borgna et al., 2009) hanno rilevato una difusa contaminazione da elementi pesanti (principalmente Pb, Zn, Cd ed Sb) nei suoli di questa regione, in gran parte destinati ad un uso agricolo. In considerazione di ciò, nell’area di K. Mitrovica è stata condotta una ricerca incentrata sullo studio dell’abbondanza, distribuzione e comportamento nel suolo di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn, e del loro trasferimento al grano (Triticum aestivum L.) coltivato in questa zona. I principali obiettivi dello studio sono riconducibili a: i) deinizione del livello e dello sviluppo areale della contaminazione da As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nel suolo; ii) ricostruzione del frazionamento chimico di questi elementi pesanti nel suolo; iii) determinazione del loro grado di assorbimento radicale da parte del grano e valutazione delle relazioni con l’ aliquota biodisponibile nel suolo; iv) determinazione delle concentrazioni degli elementi pesanti nelle cariossidi del grano e quantiicazione della loro traslocazione. 214 Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.) Area di studio L’area di studio è localizzata nel Kosovo settentrionale, nei pressi della città di Kosovska Mitrovica (Fig. 1). In questa zona nel corso del XX secolo è sorto di uno dei più importanti poli industriali dell’ex Jugoslavia, incentrato principalmente sullo smelter di Zvecan e sulla fabbrica di batterie “Trepca”. Figura 1: L’area di studio con ubicazione dei siti di campionamento. L’area di studio coincide con la piana alluvionale del F. Sitnica che si estende a sud dell’abitato di K. Mitrovica a partire dal sito industriale “Trepca” (Fig. 1). La ricerca è stata focalizzata in questa zona poiché la piana del F. Sitnica è: i) interessata da attività agricola con estese coltivazioni di grano; ii) posizionata a ridosso delle principali sorgenti di contaminazione; iii) caratterizzata da un substrato litologico uniforme costituito da sedimenti alluvionali. 215 Sara Rossi et al. Materiali e metodi Il prelievo dei campioni di suolo (primi 20 cm) e di Triticum aestivum L. è stato efettuato nella piana del F. Sitnica, lungo un transetto di circa 15 km, con direzione SE. Lungo questo transetto sono stati individuati 10 siti di campionamento posti a distanza variabile (da 0,8 a 14 km) dalla fabbrica “Trepca” (Fig. 1 e Tab. I). In laboratorio, i campioni di suolo sono stati essiccati a +40 °C e setacciati al vaglio di 2 mm. Il passante è stato omogeneizzato attraverso il metodo della quartatura ed un’aliquota di circa 100 g è stata polverizzata. Lo studio del frazionamento chimico ha riguardato le frazioni solubile, estraibile, riducibile, ossidabile e residuale del suolo, condotto utilizzando una procedura di estrazione selettiva sequenziale a 5 step, basata su quella deinita dal Bureau Community of Reference (Quevauviller et al., 1993) con l’aggiunta della frazione solubile in acqua e di quella residuale. La presenza di cloro nel reagente utilizzato per l’estrazione della frazione riducibile non ha reso possibile la ricostruzione del frazionamento dell’As. Per il dosaggio del contenuto totale di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn, i campioni di suolo (0,25 g in peso) sono stati solubilizzati mediante attacco acido (2 mL HNO3 + 2 mL HF + 1 mL H2O2). Il prelievo di T. aestivum ha riguardato 5-7 esemplari per sito, al massimo della maturazione. Ogni esemplare, separato in radici e spighe, è stato lavato in bagno ad ultrasuoni, essiccato e polverizzato. Circa 0,5 g in peso sono stati mineralizzati utilizzando una miscela di HNO3 e H2O2 (6:1, v/v). Le determinazioni analitiche sono state eseguite in spettrometria di massa accoppiata al plasma induttivo (ICP-MS) utilizzando lo spettrometro Perkin Elmer ELAN 6100. Risultati e discussione Contenuto totale e distribuzione degli elementi pesanti nel suolo Nel commento dei risultati, i contenuti totali di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn nei suoli in studio (Tab. I) sono stati confrontati con dati prodotti da Riccobono et al. (2004) che deiniscono l’intervallo di variabilità naturale di questi elementi pesanti nel suolo a scala locale (fondo geochimico; Tab. II). Inoltre, per questi elemen- 216 Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.) ti è stato calcolato il fattore di arricchimento (FA) quale indice del livello di contaminazione (FA = rapporto tra il contenuto totale dell’elemento nel suolo ed il valore massimo del suo intervallo di variabilità naturale). Tabella I: Contenuto totale di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, Sb, U, Zn nei campioni di suolo prelevati a distanza variabile dalla fabbrica di batterie “Trepca” (dati in mg/kg). Campione Distanza (km) As Cd Co Cu Pb Sb U Zn K 3/SL 1,1 68,3 7,83 21,4 73,9 769,6 10,19 2,26 1302,0 K 4/SL 0,9 58,7 7,09 20,9 62,1 571,9 7,88 2,45 1079,7 K 5/SL 0,8 64,8 24,32 23,5 73,8 683,7 9,72 2,37 1431,4 K 6/SL 0,9 104,9 4,62 22,2 50,2 335,2 14,43 5,02 321,5 K 7/SL 1,4 35,9 5,06 18,5 87,0 392,4 7,07 2,02 791,9 K 8/SL 3,7 55,4 3,91 21,1 54,1 386,3 6,45 2,49 583,8 K 9/SL 5,0 63,0 3,48 14,1 51,7 549,8 5,18 2,84 516,7 K 10/SL 7,8 21,1 1,10 15,4 38,5 202,3 2,71 2,75 172,9 K 11/SL 12,0 18,0 0,42 16,8 26,7 90,3 1,64 2,64 93,4 K 12/SL 14,1 19,5 0,43 18,0 38,1 105,3 2,18 2,08 87,0 Minimo 18,0 0,42 14,1 26,7 90,3 1,64 2,02 87,0 Massimo 104,9 24,32 22,2 87,0 769,6 14,43 5,02 1431,4 Tabella II: Valori del fondo geochimico locale di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, Sb, U, Zn (dati in mg/kg, Riccobono et al., 2004). As Fondo geochimico locale (n = 32) Cd Co Cu Pb Sb U Zn Min 16,4 0,11 17,1 16,4 50,3 1,03 1,97 93,3 Max 29,5 0,73 29,2 42,5 122,9 3,24 3,36 204,7 Media 23,5 0,47 23,2 29,8 82,3 2,38 2,45 150,0 Nei suoli in studio le concentrazioni di Pb (90-770 mg/kg) e Zn (87-1431 mg/ kg) diminuiscono allontanandosi dal polo industriale “Trepca”. I contenuti più elevati di Pb (da 572 a 770 mg/kg) e Zn (da 1080 a 1431 mg/kg) sono stati misurati nei suoli prelevati in prossimità (tra 800 e 1100 m) della fabbrica di batterie (Fig. 2). Questi suoli risultano pesantemente contaminanti da Pb e Zn con FA compresi tra 4,6 e 7. La contaminazione da tali elementi interessa un ampio tratto della piana alluvionale del F. Sitnica dato che i loro contenuti rientrano nell’intervallo di variabilità naturale nel suolo oltre 10 km dal limite meridionale dell’area industriale di K. Mitrovica. 217 Sara Rossi et al. Figura 2: Variazione della concentrazione totale di Pb, Zn, Cd, Sb, Cu, As nel suolo in funzione della distanza dal polo industriale “Trepca”. Un tipo di distribuzione simile a quello descritto per Pb e Zn è stato riscontrato anche per le concentrazioni nel suolo di Cd, Sb, As e Cu. Signiicativo è l’arricchimento in Cd dei suoli più vicini alla fabbrica “Trepca” con contenuti tra 7,1 e 24,3 mg/kg e valori di FA da 9,7 a 33,3. La contaminazione da As, Cu, Sb del suolo è risultata meno marcata (FA tra 1,2 a 4,5 nei suoli prossimi al sito industriale) e ha uno sviluppo areale più circoscritto (ino a circa 5 km dal polo industriale). 218 Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.) Diversamente, Co e U hanno contenuti piuttosto uniformi nei campioni di suolo (2,02-2,84 mg/kg U; 14,1-23,5 mg/kg Co), che rientrano all’interno del loro intervallo di variabilità naturale a scala locale (Tab. I e II). Questo aspetto è in linea con il fatto che la presenza di Co e U non è legata al minerario ed ai processi industriali; la loro abbondanza nel suolo dipende principalmente dalla natura della roccia madre e dei processi pedogenetici. Frazionamento chimico degli elementi pesanti nel suolo Di seguito sono illustrati i risultati relativi alla ripartizione di Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nelle seguenti frazioni del suolo: solubile in acqua (Fsol), estraibile (Fest), riducibile (Frid), ossidabile (Foss) e residuale (Fres). Nei suoli in studio il Pb è associato prevalentemente alla Frid con una presenza media pari al 79 % del suo contenuto totale (Fig. 3). Seguono nell’ordine la Foss (10 %) e la Fres (8 %). Minore è l’aliquota dell’elemento nelle frazioni più mobili del suolo (3 % nella Fest e 0,05 % nella Fsol). Questo tipo di distribuzione è in accordo con i risultati di ricerche efettuate su suoli in aree minerarie ed industriali, che hanno evidenziato come gli ossidrossidi di Fe e Mn sono importanti scavenger di questo elemento (Wong et al., 2002; Burt et al., 2003). Lo Zn è presente principalmente nella Frid (31 %) e nella Fres (28 %; Fig. 3). Importanti contenuti dell’elemento si trovano anche nella Fest (24 %) e nella Foss (17 %). Il Cd è associato in larga parte alla Fest (43 %) ed alla Frid (34 %); seguono la Fres e la Foss (15 % e 8 %, Fig. 3). Questi pattern di ripartizione di Zn e Cd sono analoghi a quelli riscontrati in suoli prelevati sia in aree non contaminate che in siti interessati da attività di smelting (Sanchez et al., 1999; Kabala & Singh, 2001; Li & hornton, 2001; Burt et al., 2003; Kaasalainen & Yli-Halla, 2003). Il Cu è ripartito in misura maggior nella Fres (46 %), seguita dalla Foss e dalla Frid (27 % e 23 %; Fig. 3). Aliquote di Cu più basse riguardano la Fest (3 %) e la Fsol (0,2 %,). Questo tipo di ripartizione rispecchia l’usuale frazionamento dell’elemento nel sistema suolo (Kabala & Singh, 2001; Burt et al., 2003; Kaasalainen & Yli-Halla, 2003). Nei suoli in studio, Sb è fondamentalmente presente nella Fres (95 % in media). Nelle altre frazioni la presenza percentuale media dell’elemento è risultata la seguente: 2,9 % nella Frid, 1,2 % nella Fest, 1 % nella Foss e 0,3 % nella Fsol (Fig. 3). L’U ha evidenziato un tipo di ripartizione nel suolo simile a quello di Sb con Fres (80,4 %) >> Foss (14 %) > Frid (5,2 %). >> Fest (0,3 %) > Fsol (0,04 %). Il Co si trova preferenzialmente nella Frid (55 %) ed a seguire in quella residuale (23 %; Fig. 3). 219 Sara Rossi et al. Figura 3: Frazionamento chimico di Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nei suoli dell’area di studio. Contenuto degli elementi pesanti nelle radici di T. aestivum Le concentrazioni di As, Cd, Pb, Sb e Zn nelle radici di T. aestivum indicano che vi è un generale arricchimento di questi elementi pesanti negli apparati radicali degli esemplari cresciuti nelle vicinanze della fabbrica “Trepca” (Tab. III). Allontanandosi dal polo industriale i contenuti di questi elementi nelle radici diminuiscono, in linea con il trend di variazione dei loro contenuti totali nel suolo, attestandosi su valori bassi ed uniformi ad una distanza oltre 10 km dall’impianto industriale. 220 Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.) Per Cu, Co ed U non è stata rilevata nessuna signiicativa variazione delle concentrazioni negli apparati radicali in funzione dell’ubicazione del sito di campionamento rispetto al polo industriale. Tabella III: Concentrazione e deviazione standard di As, Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nelle radici e nelle cariossidi degli esemplari di T. aestivum (5-7 esemplari per sito) prelevati nell’area di studio (dati in mg/kg). K3/PN Radici K4/PN K5/PN K6/PN K7/PN K8/PN K/PN9 K10/PN K11/PN K12/PN 14,41 ± 4,01 8,64 ± 2,19 5,11 ± 1,04 5,60 ± 1,16 3,32 ± 0,60 8,71 ± 1,60 7,86 ± 1,25 6,15 ± 0,77 2,59 ± 0,36 1,81 ± 0,25 0,04 ± 0,01 0,06 ± 0,01 0,08 ± 0,02 0,05 ± 0,01 0,05 ± 0,01 0,04 ± 0,01 0,11 ± 0,02 0,03 ± 0,01 0,03 ± 0,01 0,02 ± 0,01 As Cariossidi Radici 8,77 ± 2,18 3,81 ± 0,98 10,27 ± 1,88 0,71 ± 0,13 1,43 ± 0,22 1,37 ± 0,24 2,68 ± 0,36 0,57 ± 0,08 0,38 ± 0,04 0,42 ± 0,05 Cariossidi 0,29 ± 0,07 0,17 ± 0,04 0,16 ± 0,03 0,23 ± 0,04 0,21 ± 0,03 0,17 ± 0,03 0,17 ± 0,02 0,04 ± 0,01 0,03 ± 0,00 0,04 ± 0,01 Radici 6,47 ± 1,31 3,96 ± 0,73 2,57 ± 0,46 4,21 ± 0,69 2,26 ± 0,37 4,85 ± 0,72 2,01 ± 0,25 5,57 ± 0,61 3,81 ± 0,39 2,33 ± 0,17 Cd Co Cariossidi 0,021 ± 0,004 0,041 ± 0,008 0,026 ± 0,005 0,025 ± 0,004 0,023 ± 0,004 0,040 ± 0,006 0,023 ± 0,003 0,019 ± 0,002 0,028 ± 0,003 0,03 ± 0,002 Radici 29,88 ± 7,56 17,60 ± 3,73 6,63 ± 1,68 6,71 ± 1,42 15,87 ± 3,59 10,13 ± 1,89 13,82 ± 2,10 12,38 ± 1,73 21,18 ± 2,33 6,01 ± 0,91 8,11 ± 1,13 5,15 ± 0,57 20,28 ± 1,68 11,47 ± 0,92 10,32 ± 0,89 Cu Cariossidi Radici 5,42 ± 1,23 5,10 ± 0,95 241,11 ± 43,16 129,53 ± 23,96 73,47 ± 11,90 69,91 ± 8,60 4,98 ± 0,41 5,48 ± 0,44 7,16 ± 0,62 73,34 ± 11,22 98,21 ± 14,63 83,71 ± 10,80 77,09 ± 8,63 18,12 ± 2,25 17,08 ± 1,42 Pb Cariossidi 0,17 ± 0,03 Radici 0,23 ± 0,05 0,22 ± 0,04 0,28 ± 0,05 0,21 ± 0,03 0,21 ± 0,03 0,43 ± 0,06 0,17 ± 0,02 0,10 ± 0,01 0,10 ± 0,01 0,13 ± 0,01 0,47 ± 0,11 0,16 ± 0,03 0,09 ± 0,02 0,11 ± 0,02 0,05 ± 0,01 0,26 ± 0,04 0,06 ± 0,01 0,03 ± 0,01 0,13 ± 0,02 <0,001 <0,001 Zn Cariossidi 0,007 ± 0,001 0,007 ± 0,002 0,009 ± 0,002 0,008 ± 0,001 0,008 ± 0,002 0,006 ± 0,001 0,007 ± 0,001 0,003 ± 0,001 Radici 0,186 ± 0,048 0,125 ± 0,03 0,135 ± 0,025 0,175 ± 0,036 0,193 ± 0,041 0,196 ± 0,036 0,524 ± 0,065 0,28 ± 0,04 0,145 ± 0,01 0,249 ± 0,071 U Cariossidi 0,005 ± 0,001 Radici 0,008 ± 0,002 0,005 ± 0,001 0,004 ± 0,001 0,006 ± 0,001 0,007 ± 0,001 0,006 ± 0,001 0,005 ± 0,001 0,006 ± 0,001 0,005 ± 0,001 707,89 ± 107,60 356,24 ± 54,86 364,10 ± 50,25 75,20 ± 10,68 143,50 ± 14,64 152,06 ± 17,34 164,35 ± 17,75 117,02 ± 10,88 54,93 ± 5,49 58,44 ± 5,67 Sb Cariossidi 59,24 ± 9,00 37,56 ± 5,78 42,68 ± 5,89 51,22 ± 7,27 41,00 ± 4,18 59,66 ± 6,80 37,92 ± 4,09 36,96 ± 3,44 35,35 ± 3,54 34,75 ± 3,37 Relazione tra il frazionamento chimico degli elementi pesanti nel suolo ed il loro assorbimento radicale da parte di T. aestivum Per deinire le relazioni esistenti tra le concentrazioni nelle radici di T. aestivum di Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U, Zn ed il loro contenuto totale e concentrazione nelle frazioni più mobili del suolo (frazioni solubile ed estraibile) è stato utilizzato il coeficiente di correlazione lineare di Pearson (r). I valori di questo coeiciente (Tab. IV) indicano che vi sono correlazioni statisticamente signiicative e di segno positivo tra le concentrazioni di Cd, Pb e Zn negli apparati radicali e la presenza di questi elementi nelle frazioni solubile ed estraibile, nonché il loro contenuto totale nel suolo (Tab. IV). Da ciò consegue che l’assorbimento radicale di Cd, Pb e Zn da parte del grano è inluenzato e regolato dal livello di contaminazione del suolo. 221 Sara Rossi et al. Tabella IV: Coeiciente di correlazione lineare di Pearson (r) tra le concentrazioni di Cd, Co, Cu, Pb, Sb, U e Zn nelle radici di grano ed il loro contenuto totale nel suolo, nella frazione solubile ed in quella estraibile (*p < 0,05; ** p < 0,01; *** p < 0,001). Cd Co Cu Pb Sb U Zn F. Solubile 0,896** –0,29 0,123 0,776** 0,683** 0,640* 0,783*** F. Estraibile 0,902*** –0,17 0,11 0,854*** 0,528 0,637* 0,808*** Totale 0,883*** 0,048 –0,38 0,859*** 0,476 –0,28 0,837*** Contenuto degli elementi pesanti nelle cariossidi e loro livello di traslocazione Le concentrazioni degli elementi pesanti nelle cariossidi del grano sono inferiori, da 1 a 3 ordini di grandezza, rispetto ai loro contenuti nelle radici (Tab. III). Nelle parti eduli le concentrazioni di As, Co, Cu, Pb, Sb, Zn e U sono omogenee e non variano in funzione della distanza degli esemplari di T. aestivum rispetto alle sorgenti di contaminazione. Solo per il Cd sono state misurate concentrazioni signiicativamente più elevate nelle cariossidi del grano raccolto nelle vicinanze della fabbrica “Trepca” (ino a 5 km di distanza). Il fattore di traslocazione degli elementi pesanti (FT = contenuto nelle cariossidi / contenuto nelle radici) è risultato sempre inferiore a 1, indicando che il T. aestivum è in grado di bloccare a livello radicale le specie chimiche potenzialmente pericolose per la isiologia della pianta stessa. Gli elementi maggiormente traslocati sono Cu, Zn e Cd (FT tra 0,2 e 0,7 per Cu; tra 0,08 e 0,6 per Zn; tra 0,02 e 0,3 per Cd), mentre il Pb è bloccato quasi totalmente nelle radici (FT < 0,008). Va inine sottolineato che, nella maggior parte delle cariossidi campionate entro 8 km dal polo industriale “Trepca”, i contenuti di Cd e Pb sono leggermente superiori ai limiti proposti dalla Comunità Europea (Regolamento (CE) N. 466/2001 della Commissione dell’8 marzo 2001) per i cereali destinati al consumo umano (Pb = 0,2 mg/kg, Cd = 0,1 mg/kg). 222 Contaminazione da elementi pesanti nel suolo e nel grano (triticum aestivum l.) Conclusioni Sulla base dei dati analitici prodotti nel presente studio è possibile fare le seguenti considerazioni: • L’area di studio è interessata da una difusa e talora marcata contaminazione dei suoli da parte di elementi pesanti legati all’attività mineraria ed industriale. • I principali contaminanti del suolo sono Cd, Pb, Sb e Zn, ed il livello e l’estensione della contaminazione dipendono essenzialmente dalla distanza dal complesso minerario-industriale di K. Mitrovica di cui la fabbrica “Trepca” rappresenta la porzione più meridionale. • Gli elementi pesanti hanno evidenziato diferenti pattern di ripartizione nelle frazioni del suolo: i) Pb e Co sono associati principalmente alla frazione riducibile; ii) Cd è presente preferenzialmente nella frazione estraibile; iii) Zn e Cu sono equamente distribuiti nelle frazioni residuale, riducibile, ossidabile ed estraibile; iv) Sb e U sono concentrati nella frazione residuale. • In base alla presenza nella frazione biodisponibile (solubile + estraibile), il cadmio e lo zinco sono risultati gli elementi più mobili. • Le concentrazioni di Cd, Pb e Zn nelle radici del grano diminuiscono all’aumentare della distanza dal polo industriale e sono correlate positivamente con le loro concentrazioni nelle frazioni mobili del suolo. • Nelle cariossidi i contenuti degli elementi pesanti sono sempre inferiori rispetto a quelli nelle radici e non variano con la distanza dal polo industriale. • Il fattore di traslocazione è risultato sempre inferiore ad 1, con i valori più bassi per il Pb. • Nella maggior parte delle cariossidi le concentrazioni di Cd e Pb sono poco superiori ai limiti proposti dalla Comunità Europea per i cereali destinati al consumo umano. 223 Sara Rossi et al. Bibliografia Borgna, L., Di Lella, L. A., Nannoni, F., Pisani, A., Pizzetti, E., Protano, G., Riccobono, G. & Rossi, S. (2009) he high contents of lead in soils of northern Kosovo. Journal of Geochemical Exploration, 101, 137-149. Burt, R., Wilson, M.A., Keck, T.J., Dougherty, B.D., Strom, D.E. & Lindahl J.A. (2003) Trace element speciation in selected smelter-contaminated soils in Anaconda and Deer Lodge Valley, Montana, USA. Advances in Environmental Research, 8, 51-67. Kaasalainen, M. & Yli-Halla, M. (2003) Use of sequential extraction to assess metal partitioning in soils. Environmental Pollution, 126, 225-233. Kabala, C. & Singh, B. R. (2001) Fractionation and mobility of copper, lead and zinc in soil proiles in the vicinity of a copper smelter. Journal of Environmental Quality, 30, 485-492. Li, X. D. & hornton, I. (2001) Chemical partitioning of trace and major elements in soils contaminated by mining and smelting activities. Applied Geochemistry, 16, 1693-1706. 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D., Zhang, G., Qi, S. H. & Min, Y. S. (2002) Heavy metals in agricultural soils of the Pearl River Delta, South China. Environmental Pollution, 119, 33-44. 224 Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica di Pietramelina Environmental impact assessment for Pietramelina dump: biological control systems Giuliana Taramella, Elisabetta Ciccarelli*, Linda Cingolani & Tisza Lancioni Laboratorio ARPA Umbria, Via Pievaiola, San Sisto Perugia *[email protected] Abstract Nel seguente lavoro è presentata l’indagine di biomonitoraggio, efettuata nell’area della discarica RSU di Pietramelina, nel Comune di Perugia, al ine di valutare l’impatto dell’impianto sulle comunità acquatiche del T. Mussino. Gli indicatori biologici, scelti per rilevare le eventuali alterazioni degli ambienti luviali oggetto di studio, sono i macroinvertebrati bentonici (IBE) e tre diversi organismi acquatici, in uso per i test ecotossicologici: l’alga verde Selenastrum capricornutum, il crostaceo di acqua dolce Daphnia magna e il batterio bioluminescente Vibrio ischeri. Inoltre, durante i campionamenti, sono stati rilevati gli indicatori visuali di inquinamento. I dati ottenuti mediante il saggio con S. capricornutum hanno evidenziato una tossicità di tipo cronico dovuta al carico inquinante proveniente dalla discarica attraverso il fosso Covile. Tali dati hanno permesso, inoltre, di esprimere una valutazione positiva sull’impiego di questo saggio per controlli routinari. Di contro, si è potuto osservare che i saggi di tossicità acuta con D. magna e V. ischeri, applicati nell’ambito di controlli programmati, non riescono a rilevare l’impatto della discarica sugli organismi acquatici; tali test, quindi, risultano più adatti ad indagini condotte in situazioni di emergenza. L’applicazione dell’IBE ha evidenziato una soferenza cronica delle comunità bentoniche nella stazione a valle della discarica sul T. Mussino. I macroinvertebrati sono risultati, in efetti, dei buoni indicatori da utilizzare per la valutazione dell’impatto delle discariche sugli ecosistemi acquatici. 225 Giuliana Taramella et al. Introduzione Le discariche di riiuti solidi urbani (RSU) sono percepite sempre di più come importanti fonti di rischio per il territorio in cui insistono e i residenti, organizzati in comitati, sono diventati importanti interlocutori degli organi di controllo che attuano i piani di monitoraggio di tali siti. Spesso i programmi di controllo routinari, basati su normative, non soddisfano le richieste dei cittadini poiché comportano la produzione di una notevole mole di dati chimico-isici di diicile gestione ed interpretazione, anche per esperti, e di problematica divulgazione. Inoltre, la popolazione, oramai, non si accontenta di una valutazione basata prevalentemente sul superamento dei limiti di legge, ma esige indagini sempre più mirate alla salvaguardia della vita acquatica, considerando gli organismi viventi le vere sentinelle dell’immissione di sostanze tossiche nell’ambiente. Questo è quanto si è veriicato per la discarica di Pietramelina, nel Comune di Perugia. Questa area viene monitorata dal 1999 con frequenza semestrale, secondo un protocollo basato sul controllo delle acque sotterranee (parametri chimici e test ecotossicologici su 2 pozzi spia) e delle acque supericiali (parametri chimici, bentonici e microbiologici su 2 stazioni posizionate sul iume Mussino, a monte e a valle della discarica). Sul iume Mussino è stata, inoltre, posizionata una centralina per il rilevamento di alcuni parametri chimici in continuo. Poiché la popolazione si dichiarava non soddisfatta dei controlli efettuati, ARPA Umbria ha deciso di attuare un’indagine speciica, atta a valutare l’impatto della discarica sulle comunità acquatiche del torrente Mussino. Materiali e metodi Area in esame Mediante sopralluoghi congiunti con rappresentanti del Comitato e della Circoscrizione sono stati individuati e concordati i punti di campionamento rappresentativi per l’esecuzione delle indagini biologiche ritenute particolarmente signiicative, al ine di: • valutare l’impatto di eventuali sversamenti di percolato veicolati dalla discarica di Pietramelina sul Torrente Mussino; 226 Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica di Pietramelina • controllare il Fosso Covile che prende origine dall’interno della discarica e si immette nel Torrente Mussino. Stazioni di controllo Sono state individuate tre stazioni di prelievo schematizzate in igura 1: Staz. 1 – F.sso Covile prima della conluenza con il T. Mussino Staz. 2 – T. Mussino a monte dell’immissione del F.sso Covile Staz. 3 – T. Mussino a valle dell’immissione del F.sso Covile. Figura 1: Schematizzazione dell’area in esame, delle stazioni di prelievo e dei parametri rilevati. 227 Giuliana Taramella et al. Metodologie di indagine Gli indicatori biologici scelti per controllare le possibili alterazioni degli ambienti luviali sono: i macroinvertebrati bentonici (Indice Biotico Esteso – IBE Metodo 9010 APAT IRSA CNR, 2003) e tre diversi organismi acquatici per i test ecotossicologici. Le popolazioni bentoniche, caratterizzate da una permanenza stabile nei tratti luviali e da una diferenziata sensibilità agli inquinanti, risultano particolarmente adatte ad evidenziare direttamente sul campo gli efetti negativi causati dall’immissione di sostanze nocive nell’ambiente acquatico (Ghetti, 1997). Le comunità soggette a fenomeni di stress risultano più povere in numero di specie e di individui. Il confronto tra la comunità osservata a monte dell’immissione del Fosso Covile e quella registrata a valle permette, quindi, di evidenziare eventuali danni provocati dalla discarica all’ecosistema del Torrente Mussino (Cingolani & Ciccarelli, 1996) Per l’allestimento dei test ecotossicologici è stata utilizzata una batteria di organismi appartenenti a diversi gruppi tassonomici, con diverse caratteristiche troiche e una diversa sensibilità agli inquinanti: • l’alga verde Selenastrum capricornutum (EPA1003.0 2002) • il crostaceo di acqua dolce Daphnia magna (Metodo 8020 APAT CNR IRSA 2003) • il batterio bioluminescente Vibrio ischeri (Metodo 8030 APAT CNR IRSA 2003) (Microbics, 1989). Durante i campionamenti si è proceduto al rilevamento di indicatori visuali di inquinamento (Metodo 9010 APATCNR IRSA2003) quali: riiuti solidi urbani, schiume, colorazioni particolari, materiale organico in decomposizione, fenomeni di anaerobiosi. 228 Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica di Pietramelina Risultati Test Ecotossicologici I campioni di acqua e la frazione solubile in acqua dei sedimenti esaminati non hanno evidenziato efetti di tossicità acuta per V. ischeri, non essendo mai stato rilevato un decremento signiicativo della luce naturalmente emessa dal batterio. Il decremento della luminosità è risultato, infatti, sempre inferiore al 20 %, valore limite al di sotto del quale i campioni sono considerati non tossici (Tab. I). Tabella I: Dati dei test ecotossicologici eseguiti sulle acque e sui sedimenti del fosso CovileStaz.1 (aprile – novembre 2004). apr-04 mag-04 mag-04 giu-04 lug-04 ott-04 0 0 0 0 0 0 Acqua supericiale D. magna % imm. 24 h D. magna % imm. 48 h V. ischeri % decr. lum. 5’ 0 0 0 20 0 0 <0 <0 <0 <0 <0 <0 V. ischeri % decr. lum. 15’ <0 <0 <0 <0 <0 <0 V. ischeri % decr. lum. 30’ <0 <0 <0 <0 <0 5,4 S. capricornutum I % 72 h <0 63,7 71,0 34,2 24,7 54,4 Elutriato sedimento D. magna % imm. 24 h 0 0 0 0 0 0 D. magna % imm. 48 h 0 0 0 0 0 0 V. ischeri % decr. lum. 5’ <0 <0 <0 3,1 1,9 3,0 V. ischeri % decr. lum. 15’ <0 <0 <0 4,2 4,1 2,7 V. ischeri % decr. lum. 30’ <0 <0 <0 6,9 4,9 13,8 S. capricornutum I % 72 h <0 38,0 22,2 19,7 <0 64,5 La quasi totalità dei campioni (83,3 %) di acqua supericiale ha provocato, al contrario, una stimolazione della bioluminescenza (valori < 0 Tab. I). Tale fenomeno, di ormesi, viene interpretato da alcuni autori come una reazione dell’organismo a fattori di interferenza legati ad una eccessiva disponibilità di nutrienti (Amendola et al., 2006). Anche per il crostaceo D. magna i test di tossicità acuta a 24 h, eseguiti sulle due diverse matrici prelevate, hanno dato esito negativo. Il prolungamento del tempo 229 Giuliana Taramella et al. di esposizione a 48 h ha permesso di rilevare un modesto efetto inibente in un solo campione di acqua prelevato sul Fosso Covile nel mese di giugno 2004 (Tab. I). Durante il periodo di monitoraggio i test di tossicità cronica a breve termine eseguiti con S. capricornutum, al contrario, sono risultati positivi nel 67 % dei campioni prelevati sul Fosso Covile. Nei campioni esaminati in maggio e ottobre 2004, subito dopo abbondanti piogge, sono stati registrati i valori di tossicità più elevati (Tab. I). In particolare, sono stati riscontrati efetti di tossicità più elevati e con maggior frequenza nei campioni di acqua supericiale (83,3 %) piuttosto che negli estratti acquosi dei sedimenti (50,0 %) (Tab. I). Il fenomeno può essere spiegato con la presenza di inquinanti facilmente solubili che non si adsorbono stabilmente alle particelle solide dei sedimenti. Macroinvertebrati Per quanto riguarda l’analisi delle comunità bentoniche rilevate nel Torrente Mussino da aprile a novembre 2004 e da giugno ad aprile 2009 (Fig. 2), si osserva, per 11 dei 18 campioni prelevati a valle della discarica, una diminuzione dell’Indice Biotico Esteso (IBE) rispetto alla stazione a monte; per 6 di tali campioni lo scadimento dell’IBE determina anche un peggioramento della classe di qualità. Figura 2: Andamento dei valori IBE riscontrati nella stazione sul T. Mussino (da 2004 a 2009). I dati ottenuti dal rilevamento bentonico tendono a confermare l’immissione nel torrente Mussino di basse concentrazioni di inquinanti, derivanti dal drenaggio dell’area della discarica e capaci di produrre efetti cronici sulle comunità acquatiche. 230 Sistemi di controllo biologico per la valutazione di impatto della discarica di Pietramelina Questo non esclude la possibilità di sporadici sversamenti di percolato molto più consistenti (soprattutto nei periodi di pioggia). Complessivamente il torrente Mussino risulta caratterizzato da una buona capacità autodepurativa, dato che la qualità della stazione a valle mantiene comunque buoni valori (la maggior parte dei valori IBE ottenuti si collocano in I-II classe) (Fig. 2) e non di rado sono riscontrati taxa indicatori di una buona qualità delle acque, quali Plecotteri, Efemerotteri e Tricotteri (Isoperla, Protonemura, Leuctra, Ephemera, Ecdyonurus, Rhyachophyla), anche se la loro presenza non è sempre costante oppure le popolazioni sono costituite da un minor numero di individui. Indicatori visuali Durante i sopralluoghi è stata osservata la presenza, per tutto il periodo di indagine, di abbondanti riiuti solidi urbani provenienti dal dilavamento della discarica ed accumulati nel punto di conluenza del Covile nel Mussino. I riiuti accumulati, oltre a costituire un impatto visivo sgradevole, potrebbero contribuire al rilascio di sostanze indesiderabili nell’ambiente acquatico. Saltuariamente il letto del torrente Mussino nella stazione a valle è risultato tappezzato da alghe ilamentose e l’acqua del fosso Covile si è presentata torbida, colorata e con abbondanti schiume. Non sono stati rilevati organismi ilamentosi del tipo Sphaerotylus sp. caratteristici di ambienti in cui si veriicano sversamenti di percolato. Discussione Dall’analisi dei dati nel loro complesso si può concludere che: • il saggio cronico a breve termine con S. capricornutum è riuscito ad evidenziare efetti negativi anche durante il monitoraggio concordato, risultando molto più sensibile al modesto carico inquinante rilasciato nel fosso Covile evidentemente in maniera quasi continua. Il test risulta pertanto adatto anche per controlli routinari; • i saggi di tossicità acuta programmati per controlli routinari non riescono a rilevare l’impatto della discarica sulle acque del fosso Covile. Solo quando si riesce a prelevare un campione durante un consistente sversamento di percolato, gli efetti di tossicità acuta diventano facilmente rilevabili. Ciò dimostra come i test acu- 231 Giuliana Taramella et al. ti su D. magna e V. ischeri siano più adatti a situazioni di emergenza piuttosto che a monitoraggi programmati, durante i quali è più diicile captare uno scarico saltuario; • i macroinvertebrati sono risultati dei buoni indicatori da utilizzare per la valutazione dell’impatto delle discariche sugli ecosistemi acquatici; l’impoverimento delle comunità bentoniche a valle del fosso Covile, rispetto a quelle rilevate a monte, denuncia una soferenza cronica degli ecosistemi acquatici del torrente Mussino; il fenomeno è confermato dalla marcata tossicità rilevata dai test algali nelle acque e nei sedimenti del fosso e dall’abbondanza di riiuti solidi urbani trascinati dal lusso del Covile ino alla conluenza col Mussino. Bibliografia Amendola, A., Cerioli, N. L. & Migliore, L. 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Pordenone 16-17 settembre 1994, 195-203. 232 Biorimediazione e fitorimediazione Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni della metallofita Biscutella laevigata ssp. laevigata Metallophyte Biscutella laevigata ssp. laevigata population characterization by ecogenomic Filip Pošćić1, Maurizio Martinuzzi1, Guido Fellet1, Valentino Casolo2, Massimo Vischi1 & Luca Marchiol1* Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli Studi di Udine, Via delle Scienze 208, 33100 Udine 2 Dipartimento di Biologia e Protezione delle Piante, Sezione di Biologia Vegetale, Università degli Studi di Udine, Via delle Scienze 91/93, 33100 Udine *[email protected] 1 Abstract Questo lavoro presenta uno studio sulla metallo-tolleranza e sulla struttura genetica di popolazioni della metalloita Biscutella laevigata ssp. laevigata, eseguito utilizzando gli strumenti dell’ecogenomica. Tale approccio risulta piuttosto utile in indagini sulla metallo-tolleranza indotta da fattori antropici in piante. Sono state caratterizzate le seguenti tre popolazioni di B. laevigata ssp. laevigata presenti in Friuli Venezia Giulia (N-E Italia): (i) Codroipo, (ii) Monte Avanza e (iii) Cave del Predil. Su campioni di piante e suolo rizosferico sono stati determinati il contenuto totale di Cd, Cr, Cu, Fe, Ni, Pb, Tl e Zn. La struttura genetica delle rispettive popolazioni è stata caratterizzata mediante marcatori molecolari AFLP e quindi attraverso la tecnica del DNA Barcoding utilizzando i loci ITS e trnH-psbA. La popolazione Cave del Predil è risultata nettamente separata nel fenogramma UPGMA e con diversità genetica tra le popolazioni più alta. In individui di questa popolazione è stata rilevata la più elevata concentrazione di Tl (32.661 mg kg-1) sino ad ora registrata nelle piante superiori. I dati delle analisi AFLP e sulla concentrazione dei metalli nei tessuti vegetali supportano l’ipotesi di una diferenziazione della popolazione Cave del Predil rispetto alle altre. 235 Filip Pošćić et al. Introduzione Le piante iperaccumulatrici appartengono ad una vasta gamma di gruppi tassonomici e aree geograiche, con una grande variabilità morfologica, isiologica ed ecologica (Pollard et al., 2002). L’adattamento delle piante ai suoli metalliferi è esercitato dai fattori genetici e fenotipici, dai livelli di contaminazione e dalle specie metalliche presenti nel suolo. Anche l’accumulo dei metalli nei tessuti vegetali è dovuto ad un’interazione genotipo × ambiente (Pollard et al., 2002) e per questo motivo è importante studiare sia le basi ecologiche che genetiche di questo fenomeno. Biscutella laevigata L. (Brassicaceae) è una emicriptoita scaposa con autoincompatibilità sporoitica (Olowokudejo & Heywood, 1984). La sottospecie laevigata è un autotetraploide (2n = 4x = 36) di origini multiple che coinvolgono la sottospecie austriaca e la B. prealpina (Tremetsberger et al., 2002); la specie è nota come pseudometalloita e iperaccumulatrice di Tl (Leblanc et al., 1999). La dispersione pollinica avviene grazie a specie generaliste dell’ordine Diptera e Lepidoptera, mentre la dispersione dei semi avviene passivamente per gravità e vento. Lo scopo di questo studio è stato quello di avviare un’analisi preliminare sulla struttura genetica di diferenti popolazioni di B. laevigata ssp. laevigata presenti in Friuli Venezia Giulia e di caratterizzare le popolazioni dal punto di vista ecologico. Lo studio della diversità genetica tra e nelle popolazioni è stato condotto mediante i marcatori molecolari AFLP (Zabeau, 1993). È stato inoltre utilizzato l’approccio del DNA barcoding (Hollingsworth, 2008). Materiali e metodi Nelle seguenti località del Friuli Venezia Giulia (Italia) sono stati raccolti individui di Biscutella laevigata ssp. laevigata e i corrispondenti campioni di suolo rizosferico nel proilo 0-20 cm: Codroipo (43 m s.l.m., 45° 67’ 00” N, 12° 67’ 00” E), 17 individui, Monte Avanza (1.750 m s.l.m., 46° 37’ 17” N, 12° 45’ 15’’E), 18 individui e Cave del Predil (901 m s.l.m., 46° 26’ 26” N, 13° 34’ 16” E), 24 individui. Presso il Monte Avanza e Cave del Predil nel passato sono state condotte rilevanti attività minerarie. Dopo essicazione all’aria i campioni di suolo sono stati setacciati a 2 mm; successivamente sono stati misurati il pH e la conduttività elettrica (EC) misurata in mS 236 Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni cm-1 a 25 °C. Le piante sono state accuratamente pulite, sciacquate in acqua distillata e divise in frazione ipogea ed epigea. I suoli e i campioni vegetali sono stati successivamente trattati secondo i metodi EPA 3051 (USEPA, 1995a) e EPA 3052 (USEPA, 1995b) rispettivamente, per la determinazione del contenuto totale di Cd, Cr, Cu, Fe, Ni, Pb, Tl e Zn tramite ICP-OES (Varian Inc., Vista MPX). Il DNA genomico è stato estratto secondo il protocollo di Doyle & Doyle (1990). Alcune estrazioni non sono andate a buon ine e dunque i corrispondenti campioni non sono stati considerati nelle successive analisi. L’analisi AFLP è stata eseguita secondo il protocollo di Zabeau (1993) e Vos et al. (1995) utilizzando come enzimi di restrizione PstI e MseI. L’ampliicazione selettiva è stata eseguita con due combinazioni di primer a tre basi selettive (Pst55-Mse47 e Pst55-Mse62). Il primer Pst55 è stato marcato con il luorocromo FAM per l’analisi dei tracciati, analizzati mediante il software Gene Mapper 3.0TM (Applied Biosystem). Dall’analisi dei marcatori AFLP, assunti come dominanti, si sono calcolati diversi indici genetici di variabilità in accordo al modello Bayesiano proposto da Zhivotovsky (1999) e assumendo l’equilibrio Hardy-Weinberg. Tutte le analisi statistiche sulla variabilità e diversità genetica sono state eseguite tramite i software GenAlEx v6.2 (Peakall & Smouse, 2006) e Popgen32 v1.32 (Yeh et al., 1997). Il fenogramma UPGMA, in base alla distanza dell’ancestore comune (Reynolds et al., 1983), è stato ricavato mediante il software TFPGA v1.3 (Miller, 1997). L’analisi delle Coordinate Principali (PCoA) è stata eseguita tramite il software GenAlEx v6.2. Per l’analisi del Barcoding sono stati analizzati due loci: ITS e trnH-psbA (Kress et al., 2005). Gli elettroferogrammi sono stati trasferiti nel sistema Unix dove con Phred v0.020425.c, e Phrap v0.990319, si è provveduto rispettivamente alla chiamata delle basi (base calling) e all’assemblaggio (Ewing & Green, 1998; Ewing et al., 1998). I risultati sono stati visualizzati ed editati con Consed v9.0 (Gordon et al., 1998). Risultati I valori di pH e EC osservati nei suoli delle tre stazioni non presentano anomalie (Tab. I). Al contrario, come atteso, i campioni di suolo raccolti su suoli metalliferi, raccolti presso le aree minerarie, presentano concentrazioni anomale di Cd, Cu, Pb, Tl e Zn (Tab. I). Le concentrazioni di Cr, Fe e Ni, ugualmente rilevate dalle analisi, sono risultate al di sotto dei valori soglia imposti dal D.Lgs 152/06 e pertan- 237 Filip Pošćić et al. to tali valori non sono riportati. I campioni di suolo raccolti a Monte Avanza hanno valori elevati per il Cu (ino a 7.902 mg kg -1); mentre in campioni di suolo raccolti presso Cave del Predil sono stati rilevati ino a 59.950 mg kg -1, 9.158 mg kg -1 e 66.563 mg kg -1 rispettivamente di Pb, Tl e Zn. Tabella I: Analisi pedologica dei tre siti. Sono riportati i limiti del D.lgs. 152/06 per le concentrazioni dei metalli nei suoli residenziali e industriali. Parametri pH EC (mS cm-1) Cd (mg kg-1) Cu (mg kg-1) Pb (mg kg-1) Tl (mg kg-1) Zn (mg kg-1) Codroipo 7,78 0,55 0,89 20,7 47,6 n.d. 82,9 Mt. Avanza 7,68 0,26 1,54 – 8,61 102 – 7.902 74 –6.372 n.d. – 1,30 80,7 – 1.336 Cave del Predil 8,0 0,42 0,88 – 23,5 1,27 – 90,6 448 – 59.950 150 – 4.549 837 – 66.563 D. lgs. 152/06 (a) D. lgs. 152/06 (a) (b) uso residenziale; (b) 2 120 100 1 150 15 600 1.000 10 1.500 uso industriale In igura 1 è riportata la relazione fra la concentrazione dei metalli nel terreno dei suoli metalliferi raccolti a Monte Avanza e a Cave del Predil e le concentrazioni nei tessuti epigei di B. laevigata ssp. laevigata raccolte negli stessi siti. Le linee tratteggiate rappresentano i valori di soglia dell’iperaccumulazione proposti da Baker & Brooks (1989) per Cd (100 mg kg-1), Pb (1.000 mg kg-1) e Zn (10.000 mg kg-1) e da LaCoste et al. (1999) per Tl (500 mg kg-1). Come atteso, B. laevigata ssp. laevigata risponde positivamente a concentrazioni crescenti di ciascun metallo nel substrato; ciò risulta particolarmente evidente per il Cu (Fig. 1). Il risultato più rilevante riguarda il Tl, per il quale è stata confermata l’iperaccumulazione di B. laevigata ssp. laevigata. I valori di concentrazione di Tl osservati nei tessuti epigei dei campioni raccolti a Cave del Predil sono compresi fra 48,2 e 32.661 mg kg-1. Nella maggior parte degli individui (18 su 24) è stata superata la soglia di iperaccumulazione di 500 mg kg-1 (LaCoste et al., 1999). 238 Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni Figura 1: Relazione fra la concentrazione dei metalli nel terreno dei suoli metalliferi raccolti a Monte Avanza e a Cave del Predil e le concentrazioni nei tessuti epigei di B. laevigata ssp. laevigata raccolte negli stessi siti. Le linee tratteggiate rappresentano i valori di soglia dell’iperaccumulazione (Baker & Brooks, 1989; LaCoste et al., 1999). I risultati delle osservazioni relative all’analisi della variabilità e della diversità genetica sono riportatati nelle tabelle II e III. Il valore di HE (eterozigosità attesa; Nei, 1987) della popolazione di Cave del Predil è il più basso e diferisce chiaramente da quello di Codroipo ma è simile a quello di Monte Avanza. Il valore di GST (porzione di diferenziazione genetica tra le popolazioni; Nei, 1973) della popolazione di Cave del Predil è diferente dalle altre due. In ogni caso i valori di GST trovati per B. laevigata ssp. laevigata sono minori del range tipico per le specie allogame a impollinazione animale (GST = 0,20 ± 0,19, Hamrick & Godt, 1989). 239 Filip Pošćić et al. Tabella II: Variabilità genetica nelle popolazioni (media ± errore standard). NA (numero osservato di alleli), NE (numero efettivo di alleli, Kimura & Crow, 1964), I (indice informativo di Shannon, Chalmers et al., 1992), HE (eterozigosità attesa; Nei, 1987) e UHE (eterozigosità attesa unbiased; Nei, 1978). Popolazioni Indivi- Numero di loci dui AFLP polimorici NA NE I HE UHE Codroipo 17 38 (77,55 %) 1,735 ± 0,076 1,622 ± 0,054 0,487 ± 0,039 0,340 ± 0,028 0,350 ± 0,029 Cave del Predil 14 30 (61,22 %) 1,551 ± 0,088 1,494 ± 0,061 0,385 ± 0,045 0,269 ± 0,032 0,279 ± 0,033 Monte Avanza 11 33 (67,35 %) 1,673 ± 0,068 1,543 ± 0,059 0,423 ± 0,044 0,295 ± 0,031 0,309 ± 0,032 Tutte 42 43 (87,76 %) 1,653 ± 0,045 1,553 ± 0,034 0,431 ± 0,025 0,301 ± 0,018 0,313 ± 0,018 media: 68,71 % ± 4,76 % Tabella III: Comparazione della struttura genetica tra le tre popolazioni (media ± errore standard). HT (diversità genetica totale), HS (diversità genica media nelle popolazioni) e GST (porzione di diferenziazione genetica tra le popolazioni) (Nei, 1973). Popolazioni HT HS GST Codroipo vs. Monte Avanza 0,339 ± 0,005 0,318 ± 0,005 0,064 Codroipo vs. Cave del Predil 0,333 ± 0,004 0,304 ± 0,004 0,087 Monte Avanza vs. Cave del Predil 0,312 ± 0,005 0,282 ± 0,005 0,095 Pool genico totale 0,337 ± 0,005 0,301 ± 0,004 0,106 La PCoA (Fig. 2), le cui prime tre coordinate principali spiegano il 61,04 % della variabilità totale degli AFLP, distingue chiaramente la popolazione campionata a Cave del Predil. Le popolazioni di Codroipo e Monte Avanza formano un’unica nuvola di punti indistinta. Nel fenogramma UPGMA si formano due rami con alto valore di bootstrap dove uno comprende la sola popolazione di Cave del Predil mentre l’altro le due rimanenti (Fig. 3). 240 Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni Figura 2: Analisi delle Coordinate Principali dei campioni di B. laevigata ssp. laevigata raccolti. I campioni sono riportati in base alle prime tre coordinate principali (PCo) che assieme spiegano il 61,04 % della variabilità totale. Figura 3: Fenogramma UPGMA delle tre popolazioni di B. laevigata ssp. laevigata basato sulla distanza del ancestore comune (Reynolds et al., 1983). Sugli assi è riportato il valore di bootstrap (10.000 permutazioni eseguite). L’analisi di sequenze di ITS (di circa 700 bp) ha presentato bassa variabilità nelle singole popolazioni e nessuna tra le popolazioni. Al contrario nel locus trnHpsbA (di circa 300 bp) si nota chiaramente uno SNP in posizione 293 popolazione speciico (C in Cave del Predil e G in tutte le altre popolazioni). 241 Filip Pošćić et al. Discussione I risultati di questa indagine confermano la grande capacità di adattamento di B. laevigata ssp. laevigata a condizioni ecologiche molto diferenti, consistenti nel nostro caso in un vasto range di concentrazioni di metalli pesanti nel suolo. I risultati sono stati confrontati con dati di letteratura (Tab. IV). Il risultato più interessante è la concentrazione di Tl (32.661 mg kg-1) rilevata nei tessuti epigei di un individuo appartenente alla popolazione di Cave del Predil; ad oggi ciò corrisponde al più elevato valore di concentrazione di questo elemento mai rilevato in letteratura. Un nuovo dato riportato in questo lavoro è riferito all’accumulo di Cu in B. laevigata. Nella tabella IV questa informazione non è comparabile con altri lavori perché non riscontrata in letteratura. Tabella IV: Concentrazioni di Cd, Pb, Tl e Zn riscontrate in campioni di Biscutella laevigata da studi ecologici e dal presente lavoro. Se non speciicato, i dati si riferiscono alla pianta in toto. Ubicazione Les Aviniéres, Francia (1) (1) Individui Cd (mg kg-1) Cu (mg kg-1) Pb (mg kg-1) Tl (mg kg-1) Zn (mg kg-1) 34 – – – 20 – 15199 – Les Aviniéres, Francia (foglie) 3 – – – 244 – 308 – Toscana, Italia (1) 15 – – – <1–2 – 2 – – – 295 – 495 – 5 – – – 0,21 – Arnoldstein, Austria (4) (frazione epigea) 1 78,3 – 1090 – 4870 Mt. Prinzera, Italia (5) 5 – – – – 53 Mt. Avanza, Italia (6) (frazione epigea) 18 n.r. (†) – 0,61 11,5 – 785 7,21 – 541 n.r. – 78,1 n.r. – 221 Cave del Predil, Italia (6) (frazione epigea) 24 n.r. – 4,75 n.r. – 19,9 9,33 – 8774 48,2 –32661 226 – 3669 Gailitz, Austria (2) (foglie) Boleslaw, Polonia (frazione epigea) (1) (5) (3) Anderson et at., (1999); (2) Leblanc et al., 1999; (3) Wierzbicka et al., 2004; (4) Wenzel & Jockwer, 1999; Lombini et al., 1998; (6) questo lavoro; (†) non rilevato. Per approfondire meglio le diferenze di popolazioni che crescono su suoli metalliferi e quelle che crescono su suoli non metalliferi abbiamo preso in esame tre popolazioni, due da suoli metalliferi (Cave del Predil e Monte Avanza) e una da suolo non metallifero (Codroipo) e analizzate tramite AFLP e Barcoding. I nostri risultati sono in accordo con Rafaelli & Baldoin (1997) i quali indicano che B. laevigata ssp. laevigata ha la più grande plasticità morfologica ed ecologica all’interno del genere. 242 Ecogenomica per la caratterizzazione di popolazioni I valori osservati di HE e GST potrebbero indicare un tipo di pressione selettiva esercitata dalla condizione ecologica con alto contenuto di metalli presenti nel suolo. Tutti i dati (ecologici, AFLP e Barcoding) supportano l’ipotesi di una diferenziazione della popolazione di B. laevigata ssp. laevigata proveniente da Cave del Predil rispetto alle altre. Future analisi della diversità genetica estese ad un numero maggiore di popolazioni saranno necessarie per confermare queste prime evidenze. Bibliografia Anderson, C. W. N., Brooks, R. R., Chiarucci, A., LaCoste, C. J., Leblanc, M., Robinson, B. H., Simcock R. & Stewart, R. B. (1999) Phytomining for nickel, thallium and gold. Journal of Geochemical Exploration, 67, 407–415. Baker, A. J. M. & Brooks, R. R. (1989) Terrestrial higher plants which hyperaccumulate metallic elements – a review of their distribution, ecology and phytochemistry. Biorecovery, 1, 81–126. Chalmers, K. J., Waugh, R., Sprent, J. I., Simons, A. J. & Powell, W. (1992) Detection of genetic variation between and within populations of Gliricidia sepium and G. maculata using RAPD markers. Heredity, 69, 465–472. Doyle, J. J. & Doyle, J. L. (1990) Isolation of plant DNA from fresh tissue. Focus, 12, 13–15. Ewing, B. & Green, P. (1998) Basecalling of automated sequencer traces using phred. II. Error probabilities. 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