Rubik, parola magica salva segreto?

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Rubik, parola magica salva segreto?
Rubik, parola magica salva segreto?
Intervista a Beat Ammann, Direttore generale, General Counsel di BSI SA
Per salvaguardare la sfera privata dei clienti stranieri, l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) ha proposto una nuova imposta alla fonte.
Chiamato Rubik, il modello mira a preservare il segreto bancario, evitando lo scambio automatico di informazioni con altri Paesi. Concretamente le banche preleverebbero un’imposta alla fonte su tutti i redditi generati dalla sostanza. Gli introiti verrebbero girati all’Amministrazione federale delle contribuzioni, che li riverserebbe a sua volta alle autorità fiscali del Paese d’origine del cliente, senza dover rivelare il nome di quest’ultimo. Sul progetto Rubik abbiamo posto alcune domande a Beat Ammann, Membro della Direzione generale di BSI SA. In pagina ospitiamo inoltre un intervento di Tamara Erez, Avv., Vicedirettore
e Responsabile Area Diritto bancario e finanziario del CSB,Vezia sull’argomento della confidenzialità bancaria, tema che sarà oggetto di un seminario la prossima settimana al CSB di Vezia.
PAGINA A CURA
DI MARIO TETTAMANTI
L’INTERVISTA
’’
) In cosa consiste tecnicamente il
progetto Rubik proposto dall’ASB?
«Il progetto Rubik prevede che
vengano prelevate, oltre agli interessi, le imposte sui dividendi
e sull’utile da capitale sulla base
delle aliquote nazionali di ciascun Paese di residenza del cliente. In questo modo, la banca assume il ruolo del sostituto d’imposta. In cambio, la Svizzera chiede la garanzia dell’anonimato per
la clientela delle banche. Questa
imposizione anonima avverrebbe attraverso le stesse procedure
dell’euro-ritenuta, ovvero prelevata dalle banche che la versano
a Berna e da lì al Paese estero».
Quali sono gli obiettivi strategici del
progetto Rubik e perché un progetto
di questo tipo?
«Rubik non è tanto un progetto,
quanto piuttosto parte di una
strategia economica per la Svizzera. Per prima cosa, attraverso
Rubik da un lato continuiamo a
gestire i patrimoni in modo vicino alla tax compliance, favorendo così l’uscita della Svizzera dalle varie liste nere; dall’altro vogliamo il libero accesso per le nostre aziende e banche ai mercati
UE. Non da ultimo, intendiamo
garantire il posto di lavoro ai dipendenti delle nostre banche.
Ogni accordo in materia fiscale,
però, necessita l’intesa di quattro
parti: la Confederazione, le banche svizzere, i clienti e i Paesi di
provenienza della clientela. La
soluzione Rubik offre degli evidenti vantaggi per tutti questi interlocutori: i clienti, che vedono
tutelato il loro diritto alla privacy; i Paesi esteri, che ricevono importanti entrate fiscale; le banche, che possono continuare a
servire la clientela senza essere
criminalizzate, e la Confederazione, che potrà vedere diminuire la pressione internazionale. Mi
preme sottolineare in particolare, che non sarà solo il ramo bancario a beneficiare dei vantaggi
di Rubik, ma tutta l’economia
svizzera, poiché le aziende potranno avere libero accesso ai
mercati, soprattutto i principali,
come quello tedesco e quello italiano. La situazione attuale, infatti, che vede la Svizzera sulla lista
nera italiana, è un problema per
l’intero Paese».
Alcuni osservatori giudicano il progetto Rubik fuori tempo massimo dopo l’accettazione del Diktat dell’OCSE. Cosa ne pensa?
«Non è mai troppo tardi per avanzare proposte concrete, mentre è
finito il tempo dell’immobilismo
e della strategia difensiva».
Oggi l’UE afferma di ricevere troppo
poco di imposta alla fonte sui capitali europei in Svizzera. Ma le regole
del Trattato sulla fiscalità non le hanno stabilite gli stessi europei (solo
persone fisiche e solo alcuni titoli di
reddito)? Cosa dire per quanto riguarda i prodotti finanziari non toccati
dall’imposta preventiva? Come mai
l’UE è stata così remissiva?
«Innanzitutto dobbiamo ricordare che la direttiva UE sull’euro-ritenuta è frutto di un compromesso, poiché l’obiettivo dell’UE era
di arrivare allo scambio automatico di informazioni a partire dal
2011. Il principale interessato allo scambio automatico di informazioni è il Regno Unito, il cui
obiettivo è che gli eurobonds
emessi sulla piazza londinese rimangano attrattivi per gli investitori. Infatti, la maggior parte degli
eurobonds trae vantaggio dal cosiddetto “grandfathering”, vale a
dire che per il momento non sottostanno all’applicazione dell’euro-ritenuta. Lo stesso vale per i
prodotti derivati, anch’essi scambiati per lo più sulla piazza londinese, che non creano flusso di
interessi ma utile di capitale e
quindi non sottostanno all’euroritenuta. Ma il motivo più importante è che nella prima metà degli anni 2000, i Paesi dell’UE non
conoscevano un regime di imposizione compensatorio totale. Per
esempio, la Germania conosceva un’imposizione anticipata sugli interessi, mentre solo all’inizio di quest’anno è entrata in vigore l’imposta compensatoria.
Oggi questa imposta è adottata
in 17 Paesi dell’UE. Infine, bisogna tenere presente che le attuali proposte del commissario UE
Kovac vanno nella direzione di
allargare la direttiva sui dividendi e sulle strutture».
Come si inserisce il Progetto Rubik in
questo contesto?
«Il progetto Rubik parte dall’idea
di applicare le aliquote di ciascun
Paese, così da rispettare il principio dell’autonomia fiscale degli Stati membri dell’UE. Bisogna
ricordare, infatti, che l’UE non ha
la possibilità di intervenire sulla
sovranità fiscale di ciascun Paese. In questo senso lo scambio automatico è visto come un passo
necessario per garantire una
maggiore armonizzazione fiscale all’interno dell’UE.
Con Rubik, applicando le aliquote nazionali non si rende più
necessario lo scambio automatico di informazioni. Insomma, diamo a Cesare
quel che è di Cesare».
Il motivo dell’accettazione del Trattato sulla
fiscalità del risparmio
si fondava sulla possibilità di evitare lo scambio automatico di informazioni in materia bancaria. A che pro mantenerlo
(anzi allargarlo) dopo l’accettazione
del modello dell’OCSE basato sullo
scambio di informazioni anche per
l’evasione fiscale?
«L’obiettivo di evitare lo scambio
automatico è dato dalla mentalità e dalla tradizione svizzera. La
volontà dei cittadini va contro il
concetto del “cittadino in vetrina”. Lo scambio automatico, invece, favorisce questa possibilità
poiché è fondato sulla presunzione dello Stato che tutti i cittadini
sono colpevoli. Il concetto di
scambio di informazioni sulla base del Modello OCSE prevede un
flusso di informazioni solo in casi singoli, basati su una richiesta
specifica, fondata e dettagliata, di
un altro Stato».
A parere di molti il problema ruota attorno all’automatismo dello scambio
di informazioni.A suo modo di vedere,
se l’accordo con l’OCSE prevede un
«semplice» scambio di informazioni
CSB VEZIA Una veduta di Villa Negroni. Nel riquadro a lato, Beat Ammann, Direttore generale, General Counsel di BSI SA.
anche per evasione fiscale, è possibile che l’UE possa prevedere uno
scambio automatico d’informazioni
se non accettiamo l’inasprimento del
trattato sulla fiscalità?
«Non sono d’accordo con chi dice che accettare il modello OCSE vuol dire accettare lo scambio automatico di informazioni,
perché lo stesso modello menziona il divieto di fishing expeditions. L’OCSE, comunque, è
un’organizzazione internazionale e, a livello internazionale, non
esiste la differenza tra frode ed
evasione fiscale e la Svizzera non
può non accettare queste regole. All’interno questo provoca
due diverse discipline fiscali: una
per gli svizzeri, una per gli stranieri. Dal punto di vista della certezza del diritto non è il massimo, ma al momento non c’è una
soluzione precisa».
Il progetto Rubik prevede una ritenuta sia per i Paesi dell’UE sia per gli
altri Paesi oppure, preventivamente, si
riferisce a tutti i Paesi del mondo?
«Rubik è un concetto aperto, non
legato a confini geografici. È stato pensato per regolare le cooperazioni con Paesi con cui la
Svizzera ha forti interessi economici, che sono prevalentemente Italia e Germania, ma anche
con Paesi extra-europei con i
quali la Svizzera ha importanti
relazioni economiche, quali ad
esempio il Brasile e l’India. È importante ora avviare il processo
con il primo Paese, gli altri seguiranno. L’importante è che
vengano garantite le medesime
modalità per tutti i Paesi».
Altre cose da aggiungere?
«Possiamo lavorare per un mondo tax compliant anche se non
si può garantire che tutti i clienti siano onesti. Anche con Rubik non possiamo garantire che
tutto sarà tax compliant, ma ci
si avvicinerà notevolmente. Per
i nostri vicini, l’evasione fiscale
è in primis legata al lavoro nero. Rubik non può dare la soluzione assoluta per combattere
la problematica del lavoro nero,
che prevale in tre settori economici: edilizia, lavoro domestico,
lavoro indipendente. Generalmente, chi lavora in nero in cantiere o come domestico, ovvero
la maggior parte, utilizza tutto
quello che guadagna per vivere
e non ha certo un conto in Svizzera. Diverso invece il discorso
di chi lavora in proprio e produce fondi neri, commettendo così reati fiscali quali la truffa, la
frode dell’Iva ecc. Questi casi sono coperti dall’articolo 26 del
Mod. OCSE, che la Svizzera ha
adottato lo scorso marzo. Sono
convinto che il futuro della piazza svizzera sarà dato non solo
dalla stabilità politica e dalla
moneta forte, ma soprattutto
dalla competenza dei collaboratori degli istituti finanziari, che
difficilmente trova eguali nel
mondo».