Per l`uccisione di Eratostene, Lisia

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Per l`uccisione di Eratostene, Lisia
TESTO GRECO CON TRADUZIONE A FRONTE
PER L’UCCISIONE DI
ERATOSTENE
LISIA
© GSCATULLO
(
Appunti di Paolo Franchi,
sulle spiegazioni della prof.ssa Angela Preziosi
Per l’uccisione di Eratostene
Propedeutica
L’Oratoria Giudiziaria
In epoca pre-cittadina il potere giudiziario era proprio degli arconti, che avevano competenze sia ordinative,
di indire i processi, che direttive, di presiederli e giudicare. Con le riforme di Solone prima, di Clistene e di
Pericle poi, viene istituito un tribunale popolare detto ἠλιαία (< ἤλιος, sole. Per la loro usanza di riunirsi a
cielo aperto) composta da 6000 cittadini – 600 per tribù – eletti annualmente per sorteggio fra tutti i cittadini
che avessero compiuto i trent’anni. Dopo aver prestato giuramento gli eliasti venivano divisi nei vari tribunali
civili. Lavoravano sotto compenso di due oboli al giorno, che divennero tre dopo il 425 a.C. È importante
sottolineare che i membri dell’Eliea non avevano una preparazione giuridica, e che dunque il giudizio non
avveniva su basi tecniche ma principalmente emotive, ed è questa una delle ragioni che ha permesso lo
sviluppo dell’orazione. La preparazione degli estratti a sorte, per questa ed ogni altra magistratura, era
verificata dalla βυλή co delle prove chiamate docimasie.
Il processo
Esistevano ad Atene due tipi di processi: i δίκαι e i γραφαί, i primi a tutela della cosa pubblica e della πόλις,
i secondi erano cause private a riguardanti il diritto familiare. Non esisteva il concetto di procedura d’ufficio
e ad iniziare il processo era sempre un actor accusante. Il convenuto doveva presentarsi in tribunale al
momento del processo, se ciò non fosse avvenuto erano previste procedure straordinarie: la ἀπαγωγή, che
vedeva il reo, colto in flagrante, condotto davanti al magistrato; la ἐφήγησις, che prevedeva che fosse il
magistrato a raggiungere il luogo del reato per procedere all’arresto; e la ἔνδειξις, ovvero la denuncia al
magistrato perché arrestasse il reo.
Dopo la denuncia dell’actor, la causa veniva dapprima esaminata dai dieteti, arbitri con funzioni di paciere,
che avevano almeno sessant’anni e cui i demi assegnavano le cause. Qualora non si raggiungesse un accordo
la causa veniva rimessa all’Eliea e i tesmoteti fissavano la data del processo. Ovviamente l’arconte basileus,
come già detto, vagliava al tribunale appropriato la causa.
I due contendenti parlavano direttamente senza l’intermediazione di un avvocato, al più facendosi scrivere
discorsi “professionali” dai logografi. Alle donne, ai meteci e ai minori era affiancato loro un tutore, ed era
prevista anche per i cittadini che, per anzianità o inesperienza, non potessero rappresentarsi da soli
l’affiancamento di un συνήγορος, dotto in materia di diritto, che interveniva a titolo personale e
gratuitamente. Gli interventi previsti erano due, il primo di cinquanta minuti, il secondo di dodici, misurati
da una clessidra ad acqua. La stessa veniva fermata durante l’esibizione di prove, i discorsi dei testimoni o la
lettura delle leggi.
Il processo durava un giorno al termine dei quali la giuria era chiamata a votare. La votazione avveniva tramite
due dischetti - uno pieno, per l’assoluzione, ed uno vuoto per la condanna – consegnati ai giudici, che
venivano inseriti in un contenitore di bronzo ed uno di legno. Il primo serviva come conteggio ufficiale, lì
veniva inserito il verdetto che ogni giurato emetteva, il secondo contenitore invece era di riscontro, per
evitare brogli: conteneva i dischetti “scartati” dai giurati, che a fine votazione dovevano essere in egual
numero a quelli validi. I giurati attribuivano poi la pena fissata per quel reato (il processo è allora ἀγών
ἀτίμητος), se presente, o la valutavano essi stessi in base alla situazione (ἀγών τίμητος).
Il logografo
Con il termine logografo si indicava alla fine del VI secolo a.C. colui che scriveva in prosa per distinguerlo dal
poeta. Con la nascita della storiografia si identificò questa figura con quella di una sorta di storico
inattendibile. Alla fine del V secolo a.C. il logografo è considerato un tecnico della parola, che scriveva orazioni
dietro compenso, un vero e proprio mestiere.
Il logografo non recitava le orazioni che scriveva, affidandole al cliente. Su come ciò avvenisse, vi sono diverse
ipotesi: alcuni studiosi credono che il logografo scrivesse solo la traccia e il cliente improvvisasse il resto in
tribunale, altri che collaborasse con lui nella stesura, ed altri ancora che scrivesse l’intera orazione.
L’orazione veniva composta basandosi sulla realtà dei fatti, ma ricercando il successo della causa e l’ἐικός.
Un altro criterio fondamentale era poi l’ἠθοποίια (rappresentazione del carattere): il logografo adattava le
argomentazioni allo stile che avrebbe potuto avere il cliente, e ne sfruttava alcune caratteristiche, studiando
e creando un vero e proprio “personaggio”.
Il logografo strutturava l’orazione in cinque momenti: l’esordio, con l’inizio e la presentazione al tribunale; la
narratio, in cui spiegava i fatti accaduti; l’argomentatio, dove si esponeva la tesi; la refutatio, in cui veniva
confutata l’antitesi; e la perorazione, che costituiva l’arringa finale.
Non di rado accadeva che le orazioni veniva modificate dai clienti e immesse su una sorta di “mercato nero”:
i logografi non ne avrebbero rivendicato la paternità, da un lato perché considerato un lavoro infamante, ed
inoltre perché molti di loro, essendo meteci, non possedevano la facoltà di accusare cittadini in tribunale.
Bisogna anche considerare che ciò rende difficile la reale attribuzione delle orazioni, si pensi che a Lisia furono
attribuite ben 425 orazioni. Tanto che Aristotele, pur citandone alcune certamente sue, non gliele attribuisce.
Lisia
Vita
Lisia nasce nel 445 a.C. ad Atene. È figlio di Cefalo, un ricco meteco siracusano fabbricante di armi, trasferitosi
ad Atene su invito di Pericle. Dopo la morte del padre (430 a.C.) si trasferisce a Turi, dove si può ipotizzare un
incontro con Erodoto e Protagora, e lì frequenta la scuola di retorica, forse allievo di Tisia. Nel 412 a.C., dopo
la disastrosa seconda spedizione ateniese in Sicilia (415-413 a.C.), torna ad Atene.
Dopo la caduta della città e l’instaurazione del regime dei Trenta Tiranni (404 a.C.) la sua famiglia – legata ai
circoli democratici - rimane vittima delle epurazioni operate dagli oligarchi, e suo fratello Polemarco viene
giustiziato. Lisia riesce a fuggire a Megara, da dove sostiene l’opposizione democratica, e nel 403 a.C. rientra
ad Atene al seguito di Trasibulo. Si ipotizza che a questo punto gli venne concessa, come riconoscimento per
l’appoggio ai democratici, che erano riusciti a far crollare il governo dei Trenta, la cittadinanza ateniese,
revocatagli per l’intervento da Archino che aveva individuato un vizio di forma. Gli venne comunque concessa
l’isotelia, ovvero la parità di diritti civili con l’assenza di quelli politici.
Dovendo fronteggiare la rovina del patrimonio familiare iniziò la carriera di logografo con grande profitto. La
data di morte non è conosciuta, ma si pensa posteriore al 380 a.C., data delle ultime notizie su di lui.
Orazioni
Nell’antichità gli furono attribuite più di quattrocento orazioni, delle quali solo 230 avevano riconosciuta dagli
Alessandrini la paternità, numero che scende a 34 con la critica moderna. Di queste, certamente autentiche,
due sono epidittiche: un epitafio, in commemorazione degli ateniesi morti nella battaglia di Corinto (395
a.C.); e l’Olimpico, un panegirico in occasione dei Giochi del 388 a.C. in cui accusa Dioniso di Siracusa e la
tirannia in generale, e si dice abbia fomentato la folla a tal punto che la sera tentò il linciaggio contro il
siracusano. Le altre 32 orazioni sono invece di genere giudiziario, che sicuramente preferiva su tutti gli altri.
Il filologo britannico Kenneth J. Dover riteneva che l’unica orazione autenticamente scritta da Lisia fosse la
Contro Eratostene (XII), indicando le altre come troppo diverse per lo stile, il tedesco U. von Wilamowitz a
proposito delle sue orazioni accusava nei suoi scritti Lisia di aver lavorato persino per i Trenta Tiranni,
evidenziando una certa assenza di etica del lavoro. S. Usher ridimensionò le affermazioni di Dover,
identificando le 34 orazioni che la critica moderna attribuisce a Lisia, sostenendo che seppur diverse per lo
stile era contro l’interesse dei logografi che si diffondessero sotto falso nome orazioni non proprie, e che
dunque Lisia non lo avrebbe permesso in una maniera così vasta.
Stile
Lisia non segue schemi precisi nella composizione delle sue orazioni, costanti sono però la semplicità – che
non è mai spontaneità, essendo ogni espressione sempre studiata ad hoc -, che esprime nella chiarezza e
nella fluidità, e la vicinanza alla lingua parlata, per favorire la verosimiglianza, che ottiene usando l’anacoluto
e la metafora. La parte in cui eccelle è la narratio, per cui si pensa al contatto con Erodoto, e la cura della
profondità psicologica, che ha in comune con Euripide. È presente una forte concezione relativista, che gli
hanno procurato l’accusa di essere un sofista.
Fortuna
Lisia ebbe grande fortuna per il suo stile semplice e fluido, e si rifanno a lui gli atticisti. Cicerone invece gli
preferiva Demostene per la maggior forza d’animo, ma va evidenziata la differenza di genere oratorio
(giudiziario/deliberativo). Quintilliano ne apprezza l’eleganza e la semplicità, lodandone il modo di esporre.
L’Orazione
Trama
Il contadino Eufileto è citato in giudizio dai parenti di Eratostene, da lui ucciso per averlo sorpreso in flagranza
di μοιχέια (adulterio) con la moglie, accusato di aver premeditato l’omicidio. Nella narratio Eufileto spiega di
essere venuto a conoscenza della relazione adulterina da una serva di una donna che è stata amante di
Eratostene ma, abbandonata in favore di sua moglie, ha ordinato di andare a riferirgli tutto. Eufileto riesce
astutamente ad ottenere la confessione della propria serva, complice della moglie, e ad organizzare un
tranello in cui far cadere Eratostene. Attirandolo a casa sua, lo coglie in flagrante e lo uccide, invocando la
legittimità dell’atto agli occhi delle leggi della πόλις.
Tesi di Eufileto
Eufileto sostiene nell’orazione che una sua eventuale condanna avrebbe messo a rischio la πόλις stessa,
intesa come ordine precostituito: il μοιχός minaccia la proprietà privata (è paragonato ad un ladro) e la
famiglia stessa, ponendo in dubbio la legittimità della discendenza. Uccidere chi si macchia di questo crimine
non è un applicare una vendetta tribale, ma operare secondo la giustizia dello stato. Insiste particolarmente
sul non aver accettato la ποινή, e dunque di non averlo ucciso per tornaconto personale.
Personaggi
Eufileto è ritratto, secondo l’ἠθοποίια che gli ha costruito Lisia, come un contadino ingenuo,
fondamentalmente buono, ignaro della situazione sino alle informazioni della serva.
La moglie non è mai nominata per nome, è considerata la proprietà privata. Se ne accusa la malizia, provocata
dalla corruzione di Eratostene. Compare in un discorso diretto, quando si riporta della sua richiesta di
spostare il gineceo, normalmente la parte più interna della casa o comunque più lontana dalla strada, dal
secondo al primo piano. Questa richiesta viene considerata prova della corruzione ai danni di Eufileto,
potendo in questo modo incontrare il suo amante. Si riporta inoltre che avesse incaricato una serva di
pizzicare il bambino fino a farlo piangere per avvisarla così del ritorno del marito.
Eratostene di Oe viene nominato raramente nell’orazione, preferendo perifrasi, spesso dispregiative. Eufileto
insiste sul fatto che non vi fosse inimicizia tra i due, se non dopo la scoperta dell’adulterio. Lo descrive come
irrispettoso, avendo corteggiato la moglie al funerale della propria madre, e un vigliacco, avendo offerto in
cambio della vita la ποινή. Alcuni critici hanno individuato in questo personaggio lo stesso Eratostene della
dodicesima orazione, essendo entrambi del demo di Oe, giustificando l’assenza di riferimenti politici con il
contesto. Tuttavia è più accreditata la tesi opposta che li vuole due cittadini diversi.
Lingua e Stile
Sono presenti la consueta purezza e semplicità lessicale che riflettono la condizione di Eufileto, un contadino
e non certo un letterato. Sono presenti tre discorsi diretti, che conferiscono vivacità ed oggettività al testo: a
descrivere una determinata cosa non è tanto Eufileto, quanto le persone che nell’orazione vengono “fatte
parlare”. Per fedeltà alla lingua parlata sono assenti sinonimi, e dunque presenti diverse ripetizioni.
L’esordio e la peroratio sono particolarmente incisivi, e si rivolgono ai giudici, mentre la narratio è spedita e
decisa. L’argomentatio infine è più acuta, e spiega in maniera dettagliata. Dionigi d’Alicarnasso accusa
l’orazione di non avere abbastanza forza, specialmente nel rivolgersi ai giudici.
Ὑπὲρ τοῦ Ἐρατοσθένους φόνου ἀπολογία
Apologia per l’uccisione di Eratostene
Esordio (1-5)
L’esordio è costituito da un’apostrofe ai giudici per carpirne la solidarietà. Eufileto si presenta come una
vittima, nonostante sia esso stesso l’assassino, e lamenta di essere stato privato della proprietà. Attacca
Eratostene, che non nomina quasi mai: i giudici non devono prestar troppa attenzione a lui, o ai rapporti con
l’imputato, ma devono focalizzarsi sul fatto in sé, perché non si corra il rischio che l’omicidio venga inteso
operato per inimicizia e non per giustizia.
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Originale
Περὶ πολλοῦ ἂν, ποιησαίμην, ὦ ἄνδρες, τὸ
τοιούτους ὑμᾶς ἐμοὶ δικαστὰς περὶ τούτου
τοῦ πράγματος γενέσθαι, οἷοίπερ ἂν ὑμῖν
αὐτοῖς εἴητε τοιαῦτα πεπονθότες: εὖ γὰρ οἶδ᾽
ὅτι, εἰ τὴν αὐτὴν γνώμην περὶ τῶν ἄλλων
ἔχοιτε, ἥνπερ περὶ ὑμῶν αὐτῶν, οὐκ ἂν εἴη:
ὅστις οὐκ ἐπὶ τοῖς γεγενημένοις ἀγανακτοίη,
ἀλλὰ πάντες ἂν περὶ τῶν τὰ τοιαῦτα
ἐπιτηδευόντων τὰς ζημίας μικρὰς ἡγοῖσθε.
Καὶ ταῦτα οὐκ ἂν εἴη μόνον παρ᾽ ὑμῖν οὕτως
ἐγνωσμένα, ἀλλ᾽ ἐν ἁπάσῃ τῇ Ἑλλάδι: περὶ
τούτου γὰρ μόνου τοῦ ἀδικήματος καὶ ἐν
δημοκρατίᾳ καὶ ὀλιγαρχίᾳ ἡ αὐτὴ τιμωρία
τοῖς ἀσθενεστάτοις πρὸς τοὺς τὰ μέγιστα
δυναμένους ἀποδέδοται, ὥστε τὸν χείριστον
τῶν αὐτῶν τυγχάνειν τῷ βελτίστῳ: οὕτως, ὦ
ἄνδρες, ταύτην τὴν ὕβριν ἅπαντες ἄνθρωποι
δεινοτάτην ἡγοῦνται.
Περὶ μὲν οὖν τοῦ μεγέθους τῆς ζημίας
ἅπαντας ὑμᾶς νομίζω τὴν αὐτὴν διάνοιαν
ἔχειν, καὶ οὐδένα οὕτως ὀλιγώρως
διακεῖσθαι, ὅστις οἴεται δεῖν συγγνώμης
τυγχάνειν ἢ μικρᾶς ζημίας ἀξίους ἡγεῖται
τοὺς τῶν τοιούτων ἔργων αἰτίους;
Ἡγοῦμαι δέ, ὦ ἄνδρες, τοῦτό με δεῖν
ἐπιδεῖξαι, ὡς ἐμοίχευεν Ἐρατοσθένης τὴν
γυναῖκα τὴν ἐμὴν καὶ ἐκείνην τε διέφθειρε
καὶ τοὺς παῖδας τοὺς ἐμοὺς ᾔσχυνε καὶ ἐμὲ
αὐτὸν ὕβρισεν εἰς τὴν οἰκίαν τὴν ἐμὴν εἰσιών,
καὶ οὔτε ἔχθρα ἐμοὶ καὶ ἐκείνῳ οὐδεμία ἦν
πλὴν ταύτης, οὔτε χρημάτων ἕνεκα ἔπραξα
ταῦτα, ἵνα πλούσιος ἐκ πένητος γένωμαι,
οὔτε ἄλλου κέρδους οὐδενὸς πλὴν τῆς κατὰ
τοὺς νόμους τιμωρίας.
Ἐγὼ τοίνυν ἐξ ἀρχῆς ὑμῖν ἅπαντα ἐπιδείξω τὰ
ἐμαυτοῦ πράγματα, οὐδὲν παραλείπων,
ἀλλὰ λέγων τἀληθῆ: ταύτην γὰρ ἐμαυτῷ
μόνην ἡγοῦμαι σωτηρίαν, ἐὰν ὑμῖν εἰπεῖν
ἅπαντα δυνηθῶ τὰ πεπραγμένα.
Traduzione
Considererei molto importante, signori giudici, il fatto
che voi siate, riguardo questa cosa, nei miei confronti
giudici tali che sareste se aveste subito una tale
offesa; infatti so bene che se aveste lo stesso
atteggiamento, che avete verso voi stessi, nei
confronti degli altri, non ci sarebbe chi proverebbe
sdegno per i fatti accaduti, ma tutti giudichereste
minime le pene di chi compie tali azioni.
E queste azioni non sarebbero giudicate così non
soltanto presso di voi ma in tutta la Grecia; e infatti
per questo solo reato sia in democrazia che nei regimi
oligarchici è stata assegnata la stessa punizione ai più
deboli nei confronti dei più potenti, così che i peggiori
ottengano gli stessi diritti dei migliori. Così o giudici
tutti gli uomini ritengono quest’oltraggio il più grave.
Riguardo la grandezza della pena, penso che voi tutti
abbiate la stessa opinione, e io ritengo che nessuno di
voi sia così non curante da pensare che coloro che
sono colpevoli di tali reati debbano ottenere il
perdono oppure siano meritevoli di pene più piccole;
Credo, o giudici, di dover dimostrare tutto ciò, ossia
che Eratostene commetteva adulterio con mia moglie
che la corruppe e disonorò i miei figli, e oltraggiò me
stesso, entrando nella mia casa, e non c’era inimicizia
tra me e quello tranne questo, né feci queste cose per
denaro affinché io diventassi ricco da povero, né per
nessun altro guadagno tranne che per vendetta
secondo le leggi.
Io dunque vi racconterò dal principio tutte le mie
vicende, non tralasciando nulla, ma dicendo la verità.
Infatti ritengo che questa (sia) per me l’unica
possibilità di salvezza, qualora io riesca a dirvi tutti i
fatti accaduti.
Narratio (6-26)
Narrazione molto ampia, utile per capire nozioni sulla vita quotidiana ad Atene. Il ritmo della narrazione è
molto vivace, presenti ripetizioni non sinonimiche per simulare il parlato.
Originale
Ἐγὼ γάρ, ὦ Ἀθηναῖοι, ἐπειδὴ ἔδοξέ μοι γῆμαι
καὶ γυναῖκα ἠγαγόμην εἰς τὴν οἰκίαν, τὸν μὲν
ἄλλον χρόνον οὕτω διεκείμην ὥστε μήτε
λυπεῖν μήτε λίαν ἐπ᾽ ἐκείνῃ εἶναι ὅ τι ἂν
ἐθέλῃ ποιεῖν, ἐφύλαττόν τε ὡς οἷόν τε ἦν, καὶ
προσεῖχον τὸν νοῦν ὥσπερ εἰκὸς ἦν. Ἐπειδὴ
δέ μοι παιδίον γίγνεται, ἐπίστευον ἤδη καὶ
πάντα τὰ ἐμαυτοῦ ἐκείνῃ παρέδωκα,
ἡγούμενος ταύτην οἰκειότητα μεγίστην εἶναι.
7 Ἐν μὲν οὖν τῷ πρώτῳ χρόνῳ, ὦ Ἀθηναῖοι,
πασῶν ἦν βελτίστη: καὶ γὰρ οἰκονόμος δεινὴ
καὶ φειδωλὸς [ἀγαθὴ] καὶ ἀκριβῶς πάντα
διοικοῦσα: ἐπειδὴ δέ μοι ἡ μήτηρ
ἐτελεύτησε, [ἥ] πάντων τῶν κακῶν
ἀποθανοῦσα αἰτία μοι γεγένηται.
8 Ἐπ᾽ ἐκφορὰν γὰρ αὐτῇ ἀκολουθήσασα ἡ ἐμὴ
γυνὴ ὑπὸ τούτου τοῦ ἀνθρώπου ὀφθεῖσα,
χρόνῳ διαφθείρεται: ἐπιτηρῶν γὰρ τὴν
θεράπαιναν τὴν εἰς τὴν ἀγορὰν βαδίζουσαν
καὶ λόγους προσφέρων ἀπώλεσεν αὐτήν.
9 Πρῶτον μὲν οὖν, ὦ ἄνδρες, (δεῖ γὰρ καὶ
ταῦθ᾽ ὑμῖν διηγήσασθαι) οἰκίδιον ἔστι μοι
διπλοῦν, ἴσα ἔχον τὰ ἄνω τοῖς κάτω κατὰ τὴν
γυναικωνῖτιν καὶ κατὰ τὴν ἀνδρωνῖτιν.
Ἐπειδὴ δὲ τὸ παιδίον ἐγένετο ἡμῖν, ἡ μήτηρ
αὐτὸ ἐθήλαζεν: ἵνα δὲ μή, ὁπότε λοῦσθαι
δέοι, κινδυνεύ ῃ κατὰ τῆς κλίμακος
καταβαίνουσα, ἐγὼ μὲν ἄνω διῃτώμην, αἱ δὲ
γυναῖκες κάτω.
10 Καὶ οὕτως ἤδη συνειθισμένον ἦν, ὥστε
πολλάκις ἡ γυνὴ ἀπῄει κάτω καθευδήσουσα
ὡς τὸ παιδίον, ἵνα τὸν τιτθὸν αὐτῷ διδῷ καὶ
μὴ βοᾷ. Καὶ ταῦτα πολὺν χρόνον οὕτως
ἐγίγνετο, καὶ ἐγὼ οὐδέποτε ὑπώπτευσα, ἀλλ᾽
οὕτως ἠλιθίως διεκείμην, ὥστε ᾤμην τὴν
ἐμαυτοῦ γυναῖκα πασῶν σωφρονεστάτην
εἶναι τῶν ἐν τῇ πόλει.
11 Προϊόντος δὲ τοῦ χρόνου, ὦ ἄνδρες, ἧκον
μὲν ἀπροσδοκήτως ἐξ ἀγροῦ, μετὰ δὲ τὸ
δεῖπνον τὸ παιδίον ἐβόα καὶ ἐδυσκόλαινεν
ὑπὸ τῆς θεραπαίνης ἐπίτηδες λυπούμενον,
ἵνα ταῦτα ποιῇ: ὁ γὰρ ἅνθρωπος ἔνδον ἦν:
ὕστερον γὰρ ἅπαντα ἐπυθόμην.
12 Καὶ ἐγὼ τὴν γυναῖκα ἀπιέναι ἐκέλευον καὶ
δοῦναι τῷ παιδίῳ τὸν τιτθόν, ἵνα παύσηται
κλᾶον. Ἡ δὲ τὸ μὲν πρῶτον οὐκ ἤθελεν, ὡς ἂν
ἀσμένη με ἑωρακυῖα ἥκοντα δὶα χρόνου:
ἐπειδὴ δὲ ἐγὼ ὠργιζόμην καὶ ἐκέλευον αὐτὴν
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Traduzione
Infatti io, Ateniesi, dopo che mi sembrò opportuno di
sposarmi presi moglie per il resto del tempo mi
comportavo così da non infastidirla ma che neanche
dipendesse troppo da lei fare ciò che volesse. E la
sorvegliavo quanto più possibile e prestavo
attenzione com’era naturale. Dopo che mi nacque un
figlio però ormai io mi fidavo di lei e le affidavo tutte
le cose mie ritenendo che questo fosse il legame
d’affetto più profondo.
Nei primi tempi o Ateniesi era la migliore di tutte
infatti era una grande amministratrice e
parsimoniosa, capace di gestire ogni cosa con
attenzione: ma quando morì mia madre, (la quale)
morendo è diventata per me la causa di tutti i mali.
Infatti mia moglie mentre seguiva il corteo funebre
notata da quest’uomo si lasciò sedurre; infatti
spiando la serva che andava al mercato e
sussurrandole parole (consegnandole messaggi)
riuscì a corromperla.
In primo luogo dunque, o uomini, (infatti bisogna che
io vi spieghi anche questo) io possiedo una casetta a
due piani, che ha il piano superiore uguale a quello
inferiore, rispettivamente per il gineceo e per le
stanze degli uomini. Dopo che nacque il bambino la
madre lo allattava, affinché non risalisse scendendo
le scale, io risiedevo di sopra.
Ed era ormai divenuto così consueto che spesso mia
moglie scendeva a dormiva accanto al bambino,
affinché gli desse il seno e affinché non piangesse. E
queste cose accadevano così per molto tempo ed io
non nutrivo dei sospetti, ma ero così ingenuo da
pensare che mia moglie fosse la più onesta fra tutte
in città.
Con il trascorrere del tempo, o giudici, ero tornato un
giorno senza preavviso dal campo dopo cena il
bambino strillava e faceva i capricci disturbato
apposta perché facesse così. Infatti l’uomo era in
casa, io in seguito venni a sapere tutto.
Allora io esortavo la moglie a scendere e a dare il seno
al bambino poiché smettesse di piangere. Ma lei
dapprima non voleva dicendo di avermi visto con
gioia tornare dopo tanto tempo. Poiché io mi
arrabbiavo e le chiedevo di scendere: «Certo tu vuoi
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ἀπιέναι, ἵνα σύ γε ἔφη πειρᾷς ἐνταῦθα τὴν
παιδίσκην: καὶ πρότερον δὲ μεθύων εἷλκες
αὐτήν.
Κἀγὼ μὲν ἐγέλων, ἐκείνη δὲ ἀναστᾶσα καὶ
ἀπιοῦσα
προστίθησι
τὴν
θύραν,
προσποιουμένη παίζειν, καὶ τὴν κλεῖν
ἐφέλκεται.
Κἀγὼ
τούτων
οὐδὲν
ἐνθυμούμενος οὐδ᾽ ὑπονοῶν ἐκάθευδον
ἄσμενος, ἥκων ἐξ ἀγροῦ.
Ἐπειδὴ δὲ ἦν πρὸς ἡμέραν, ἧκεν ἐκείνη καὶ
τὴν θύραν ἀνέῳξεν. Ἐρομένου δέ μου τί αἱ
θύραι νύκτωρ ψοφοῖεν, ἔφασκε τὸν λύχνον
ἀποσβεσθῆναι τὸν παρὰ τῷ παιδίῳ, εἶτα ἐκ
τῶν γειτόνων ἐνάψασθαι. Ἐσιώπων ἐγὼ καὶ
ταῦτα οὕτως ἔχειν ἡγούμην. Ἔδοξε δέ μοι, ὦ
ἄνδρες, τὸ πρόσωπον ἐψιμυθιῶσθαι, τοῦ
ἀδελφοῦ τεθνεῶτος οὔπω τριάκονθ᾽ ἡμέρας:
ὅμως δ᾽ οὐδ᾽ οὕτως οὐδὲν εἰπὼν περὶ τοῦ
πράγματος ἐξελθὼν ᾠχόμην ἔξω σιωπῇ.
Μετὰ δὲ ταῦτα, ὦ ἄνδρες, χρόνου μεταξὺ
διαγενομένου
καὶ
ἐμοῦ
πολὺ
ἀπολελειμμένου τῶν ἐμαυτοῦ κακῶν,
προσέρχεταί μοί τις πρεσβῦτις ἄνθρωπος,
ὑπὸ γυναικὸς ὑποπεμφθεῖσα ἣν ἐκεῖνος
ἐμοίχευεν, ὡς ἐγὼ ὕστερον ἤκουον: αὕτη δὲ
ὀργιζομένη καὶ ἀδικεῖσθαι νομίζουσα, ὅτι
οὐκέτι ὁμοίως ἐφοίτα παρ᾽ αὐτήν, ἐφύλαττεν
ἕως ἐξηῦρεν ὅ τι εἴη τὸ αἴτιον.
Προσελθοῦσα οὖν μοι ἐγγὺς ἡ ἄνθρωπος τῆς
οἰκίας τῆς ἐμῆς ἐπιτηροῦσα, "Εὐφίλητε" ἔφη
"μηδεμιᾷ πολυπραγμοσύνῃ προσεληλυθέναι με
νόμιζε πρὸς σέ· ὁ γὰρ ἀνὴρ ὁ ὑβρίζων εἰς σὲ
καὶ τὴν σὴν γυναῖκα ἐχθρὸς ὢν ἡμῖν τυγχάνει.
Ἐὰν οὖν λάβῃς τὴν θεράπαιναν τὴν εἰς
ἀγορὰν βαδίζουσαν καὶ διακονοῦσαν ὑμῖν
καὶ βασανίσῃς, ἅπαντα πεύσῃ". "ἔστι δ'" ἔφη
"Ἐρατοσθένης Ὀῆθεν ὁ ταῦτα πράττων, ὃς οὐ
μόνον τὴν σὴν γυναῖκα διέφθαρκεν ἀλλὰ καὶ
ἄλλας πολλάς· ταύτην γὰρ τέχνην ἔχει".
Ταῦτα εἰποῦσα, ὦ ἄνδρες, ἐκείνη μὲν
ἀπηλλάγη, ἐγὼ δ' εὐθέως ἐταραττόμην, καὶ
πάντα μου εἰς τὴν γνώμην εἰσῄει, καὶ μεστὸς
ἦν ὑποψίας, ἐνθυμούμενος μὲν ὡς
ἀπεκλῄσθην
ἐν
τῷ
δωματίῳ,
ἀναμιμνῃσκόμενος δὲ ὅτι ἐν ἐκείνῃ τῇ νυκτὶ
ἐψόφει ἡ μέταυλος θύρα καὶ ἡ αὔλειος, ὃ
οὐδέποτε ἐγένετο, ἔδοξέ τέ μοι ἡ γυνὴ
ἐψιμυθιῶσθαι. Ταῦτά μου πάντα εἰς τὴν
γνώμην εἰσῄει, καὶ μεστὸς ἦν ὑποψίας.
Ἐλθὼν δὲ οἴκαδε ἐκέλευον ἀκολουθεῖν μοι
τὴν θεράπαιναν εἰς τὴν ἀγοράν, ἀγαγὼν δ'
αὐτὴν ὡς τῶν ἐπιτηδείων τινὰ ἔλεγον ὅτι ἐγὼ
πάντα εἴην πεπυσμένος τὰ γιγνόμενα ἐν τῇ
che io scenda» disse «e tu importuni la schiavetta,
poiché già prima ubriaco hai tentato di concupirla».
Ed io ridevo, lei però alzandosi si allontana chiudendo
la porta fingendo di scherzare e si porta via la chiave.
Ed io senza preoccuparmi di nulla dormivo contento
essendo tornato dalla campagna
Quando era quasi giorno, quella era ritornata e aprì la
porta. E poiché le chiedevo perché quella notte le
porte avevano cigolato lei affermava che si era spenta
la lucerna e di averla fatta accendere dai vicini. Io
stavo zitto e pensavo che le cose stessero così. Mi
sembrò, o giudici, che si fosse truccata il viso sebbene
suo fratello fosse morto da meno di trenta giorni;
tuttavia (neppure) così senza aver detto nulla sul
fatto me ne andavo fuori.
Dopo queste cose, o giudici, essendo trascorso del
tempo mi si avvicina un essere vecchio mandato da
quella con la quale lui aveva avuto una relazione,
come io venni a sapere in seguito. Quella dunque
adirata e convinta di non essere più frequentata così
come prima lo faceva sorvegliare finché non conobbe
quale fosse il motivo.
Dunque avvicinatasi a me la donna la quale mi spiava
vicino alla mia casa disse: «Eufileto, non pensare che
io sia giunta per una qualche invadenza da te, infatti
l’uomo che oltraggia te e tua moglie si trova ad essere
nostro (lett. a noi) nemico. Dunque qualora tu prenda
la serva che va al mercato e che vi fa da domestica e
la minacci tu saprai ogni cosa». E disse: «È Eratostene
di Oe, colui che fa queste cose il quale ha sedotto non
solo tua moglie, ma anche molte altre, infatti fa
questo di mestiere».
Dette queste cose, o giudici, quella si allontanò
mentre io, subito, mi sentivo scoinvolto e mi tornava
alla mente ogni cosa ed ero pieno di sospetto e
pensando che ero stato chiuso in camera,
ricordandomi che in quella notte cigolavano sia la
porta sul cortile sia quella sulla strada, cosa che non
era mai successa prima e che mi sembrò che mia
moglie si fosse truccata. Tutte queste cose tornavano
alla mia mente ed ero pieno di sospetto.
Tornato a casa ordinavo alla serva di seguirmi al
mercato e dopo averla invece portata a casa di un mio
conoscente le dicevo che ero venuto a sapere tutto
ciò che accadeva nella casa. Dissi: «Dunque è
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οἰκίᾳ· "σοὶ οὖν" ἔφην "ἔξεστι δυοῖν ὁπότερον
βούλει ἑλέσθαι, ἢ μαστιγωθεῖσαν εἰς
μύλωνα ἐμπεσεῖν καὶ μηδέποτε παύσασθαι
κακοῖς
τοιούτοις
συνεχομένην,
ἢ
κατειποῦσαν ἅπαντα τἀληθῆ μηδὲν παθεῖν
κακόν, ἀλλὰ συγγνώμης παρ' ἐμοῦ τυχεῖν
τῶν ἡμαρτημένων. Ψεύσῃ δὲ μηδέν, ἀλλὰ
πάντα τἀληθῆ λέγε".
Kἀκείνη τὸ μὲν πρῶτον ἔξαρνος ἦν, καὶ ποιεῖν
ἐκέλευεν ὅ τι βούλομαι· οὐδὲν γὰρ εἰδέναι·
ἐπειδὴ δὲ ἐγὼ ἐμνήσθην Ἐρατοσθένους πρὸς
αὐτήν, καὶ εἶπον ὅτι οὗτος ὁ φοιτῶν εἴη πρὸς
τὴν γυναῖκα, ἐξεπλάγη ἡγησαμένη με πάντα
ἀκριβῶς ἐγνωκέναι.
Καὶ τότε ἤδη πρὸς τὰ γόνατά μου πεσοῦσα,
καὶ πίστιν παρ' ἐμοῦ λαβοῦσα μηδὲν
πείσεσθαι κακόν, κατηγόρει πρῶτον μὲν ὡς
μετὰ τὴν ἐκφορὰν αὐτῇ προσίοι, ἔπειτα ὡς
αὐτὴ τελευτῶσα εἰσαγγείλειε καὶ ὡς ἐκείνη
τῷ χρόνῳ πεισθείη, καὶ τὰς εἰσόδους οἷς
τρόποις προσιεῖτο, καὶ ὡς Θεσμοφορίοις
ἐμοῦ ἐν ἀγρῷ ὄντος ᾤχετο εἰς τὸ ἱερὸν μετὰ
τῆς μητρὸς τῆς ἐκείνου· καὶ τἆλλα τὰ
γενόμενα πάντα ἀκριβῶς διηγήσατο.
Ἐπειδὴ δὲ πάντα εἴρητο αὐτῇ, εἶπον ἐγώ,
"ὅπως τοίνυν ταῦτα μηδεὶς ἀνθρώπων
πεύσεται· εἰ δὲ μή, οὐδέν σοι κύριον ἔσται
τῶν πρὸς ἔμ' ὡμολογημένων. Ἀξιῶ δέ σε ἐπ'
αὐτοφώρῳ ταῦτά μοι ἐπιδεῖξαι· ἐγὼ γὰρ
οὐδὲν δέομαι λόγων, ἀλλὰ τὸ ἔργον φανερὸν
γενέσθαι, εἴπερ οὕτως ἔχει".
Ὡμολόγει ταῦτα ποιήσειν. Καὶ μετὰ ταῦτα
διεγένοντο ἡμέραι τέτταρες ἢ πέντε, ὡς ἐγὼ
μεγάλοις ὑμῖν τεκμηρίοις ἐπιδείξω. Πρῶτον
δὲ διηγήσασθαι βούλομαι τὰ πραχθέντα τῇ
τελευταίᾳ ἡμέρᾳ. Σώστρατος ἦν μοι
ἐπιτήδειος καὶ φίλος. Τούτῳ ἡλίου
δεδυκότος ἰόντι ἐξ ἀγροῦ ἀπήντησα. Εἰδὼς δ'
ἐγὼ ὅτι τηνικαῦτα ἀφιγμένος οὐδὲν
καταλήψοιτο οἴκοι τῶν ἐπιτηδείων,
ἐκέλευον συνδειπνεῖν· καὶ ἐλθόντες οἴκαδε
ὡς ἐμέ, ἀναβάντες εἰς τὸ ὑπερῷον
ἐδειπνοῦμεν.
Ἐπειδὴ δὲ καλῶς αὐτῷ εἶχεν, ἐκεῖνος μὲν
ἀπιὼν ᾤχετο, ἐγὼ δ' ἐκάθευδον. Ὁ δ'
Ἐρατοσθένης, ὦ ἄνδρες, εἰσέρχεται, καὶ ἡ
θεράπαινα ἐπεγείρασά με εὐθὺς φράζει ὅτι
ἔνδον ἐστί. Κἀγὼ εἰπὼν ἐκείνῃ ἐπιμελεῖσθαι
τῆς θύρας, καταβὰς σιωπῇ ἐξέρχομαι, καὶ
ἀφικνοῦμαι ὡς τὸν καὶ τόν, καὶ τοὺς μὲν
ἔνδον
κατέλαβον,
τοὺς
δὲ
οὐδ'
ἐπιδημοῦντας ηὗρον.
possibile a te scegliere quella che tu vuoi tra due
alternative: o dopo essere stata frustrata finire al
mulino e non finire mai di essere oppressa da queste
sofferenze, oppure se dici tutta la verità può accadere
che tu non subisca alcuna punizione ma è possibile
ottenere da me il perdono dei tuoi sbagli, non
mentire ma dì tutta la verità».
E lei inizialmente negava, e mi diceva di fare quello
che volevo; infatti diceva di non sapere nulla; ma
quando io feci a lei menzione di Eratostene e dissi che
era lui quello che si recava da mia moglie, si spaventò
pensando che io sapessi tutto esattamente.
Gettatasi alle mie ginocchia e avendo ottenuta la
parola da parte mia che non avrebbe subito alcun
male, lo accusava dapprima che dopo il funerale
l’aveva avvicinata poi dicendo che lei alla fine aveva
riferito tutto quanto alla donna e che quella piano con
il tempo si era lasciata convincere. E diceva in quali
modi riceveva le visite. Durante le Tesmoforie mentre
io ero in campagna era andata al tempio con la madre
di quello; e spiegò tutti gli altri accadimenti.
Dopo che tutto era stato raccontato da lei, io dissi:
«(Sta attenta) che ora nessun uomo sappia queste
cose, altrimenti nessuna delle promesse datte da me
sarà valida. Voglio inoltre che tu mi mostri queste
cose in flagrante, io infatti non ho bisogno di parole
ma che il fatto sia evidente se le cose stanno così».
Prometteva che avrenne fatto queste cose. E dopo
questi avvenimenti passarono quattro o cinque
giorni, come vi mostrerò con valide prove. Anzitutto
desidero raccontare le cose avvenute dall’ultimo
giorno. Avevo un caro amico. Io lo incontrai mentre
tornava dal campo al tramonto del sole. E allora io,
sapendo che arrivato allora non avrebbe trovato nulla
a casa da mangiare, lo invitai (lett. Esortai) a cenare
con me. E giunti a casa, saliti al piano superiore
cenavamo.
Quando poi si era saziato (lett. a lui stava tutto bene)
quello uscendo andava via io invece andavo a
dormire. Eratostene, o giudici, arriva, e la serva mi
disse subito svegliandomi che era arrivato. Ed io
avendo detto a quella di sorvegliare la porta vado da
questo e da quella, e alcuni non li trovo dentro, altri
scoprii che non erano in città.
24 Παραλαβὼν δ' ὡς οἷόν τε ἦν πλείστους ἐκ
τῶν παρόντων ἐβάδιζον. Καὶ δᾷδας λαβόντες
ἐκ τοῦ ἐγγύτατα καπηλείου εἰσερχόμεθα,
ἀνεῳγμένης τῆς θύρας καὶ ὑπὸ τῆς
ἀνθρώπου παρεσκευασμένης. Ὤσαντες δὲ
τὴν θύραν τοῦ δωματίου οἱ μὲν πρῶτοι
εἰσιόντες ἔτι εἴδομεν αὐτὸν κατακείμενον
παρὰ τῇ γυναικί, οἱ δ' ὕστερον ἐν τῇ κλίνῃ
γυμνὸν ἑστηκότα.
25 Ἐγὼ δ', ὦ ἄνδρες, πατάξας καταβάλλω
αὐτόν, καὶ τὼ χεῖρε περιαγαγὼν εἰς
τοὔπισθεν καὶ δήσας ἠρώτων διὰ τί ὑβρίζει
εἰς τὴν οἰκίαν τὴν ἐμὴν εἰσιών. Κἀκεῖνος
ἀδικεῖν μὲν ὡμολόγει, ἠντεβόλει δὲ καὶ
ἱκέτευε μὴ ἀποκτεῖναι ἀλλ' ἀργύριον
πράξασθαι.
26 Ἐγὼ δ' εἶπον ὅτι "οὐκ ἐγώ σε ἀποκτενῶ, ἀλλ'
ὁ τῆς πόλεως νόμος, ὃν σὺ παραβαίνων περὶ
ἐλάττονος τῶν ἡδονῶν ἐποιήσω, καὶ μᾶλλον
εἵλου τοιοῦτον ἁμάρτημα ἐξαμαρτάνειν εἰς
τὴν γυναῖκα τὴν ἐμὴν καὶ εἰς τοὺς παῖδας
τοὺς ἐμοὺς ἢ τοῖς νόμοις πείθεσθαι καὶ
κόσμιος εἶναι".
E avendone presi quanti più era possibile tra quelli
che c’erano mi incamminavo. E avendo preso delle
fiaccole dall’osteria più vicina entriamo. Essendo la
porta aperta e preparata dalla serva. Avendo
spalacato la porta entrando per primi noi vedemmo
quello sdraiato vicino alla donna, quelli entrati per
secondi lo vedevano nudo in piedi sul letto.
Io, o uomini, avendolo colpito, lo stendo a terra, e
dopo avergli girato le mani dietro e avendole legate
gli chiedevo perché mi offendesse entrando nella mia
casa. E quello ammetteva di aver sbagliato ma mi
pregava di non ucciderlo ma di accettare in cambio
del denaro.
Io dissi: «Non io ti ucciderò, ma la legge della città,
che tu violandola considerasti di meno dei piaceri e
hai preferito piuttosto commettere una tale colpa
verso mia moglie e verso i miei figli, piuttosto che
obbedire alle leggi ed essere onesto!»
Argomentatio (parr. 27-36)
Nell’argomentatio Eufileto espone le ragioni della sua difesa, che si incentrano non tanto sulle dinamiche del
fatto ma sulla legge: una sua eventuale condanna metterebbe in discussione le leggi della Polis che tutelano
la stabilità dell’istituzione, infatti i colpevoli di μοιχεία corrompono le mogli, violano la casa e soprattutto
mettono in dubbio la legittimità dei figli e della successione. Altra cosa su cui fa leva Eufileto è l’identità tra
giudici e legislatori: sono sempre gli stessi cittadini, il loro compito è confermare la legge emanata.
27 Οὕτως, ὦ ἄνδρες, ἐκεῖνος τούτων ἔτυχεν
ὧνπερ οἱ νόμοι κελεύουσι τοὺς τὰ τοιαῦτα
πράττοντας, οὐκ εἰσαρπασθεὶς ἐκ τῆς ὁδοῦ,
οὐδ' ἐπὶ τὴν ἑστίαν καταφυγών, ὥσπερ οὗτοι
λέγουσι· πῶς γὰρ ἄν, ὅστις ἐν τῷ δωματίῳ
πληγεὶς κατέπεσεν εὐθύς, περιέστρεψα δ'
αὐτοῦ τὼ χεῖρε, ἔνδον δὲ ἦσαν ἄνθρωποι
τοσοῦτοι, οὓς διαφυγεῖν οὐκ ἐδύνατο, οὔτε
σίδηρον οὔτε ξύλον οὔτε ἄλλο οὐδὲν ἔχων, ᾧ
τοὺς εἰσελθόντας ἂν ἠμύνατο;
28 Ἀλλ', ὦ ἄνδρες, οἶμαι καὶ ὑμᾶς εἰδέναι ὅτι οἱ
μὴ τὰ δίκαια πράττοντες οὐχ ὁμολογοῦσι
τοὺς ἐχθροὺς λέγειν ἀληθῆ, ἀλλ' αὐτοὶ
ψευδόμενοι καὶ τὰ τοιαῦτα μηχανώμενοι
ὀργὰς τοῖς ἀκούουσι κατὰ τῶν τὰ δίκαια
πραττόντων παρασκευάζουσι. Πρῶτον μὲν
οὖν ἀνάγνωθι τὸν νόμον.
ΝΟΜΟΣ
29 Οὐκ ἠμφεσβήτει, ὦ ἄνδρες, ἀλλ' ὡμολόγει
ἀδικεῖν, καὶ ὅπως μὲν μὴ ἀποθάνῃ ἠντεβόλει
καὶ ἱκέτευεν, ἀποτίνειν δ' ἕτοιμος ἦν
Quello, o giudici, ebbe per sorte ciò che le leggi
prescrivono nei confronti di chi commette tali cose,
non dopo essere stato rapito dalla strada, ma
rifugiando il focolare e l’altare, come questi dicono.
Infatti come avrebbe potuto lui che colpito cadde
subito nella camera da letto. Poi legai le mani di
quello, dentro c’erano tanti uomin che lui non poteva
evitare, non avendo né una spada né un legno, con i
quali non avrebbe potuto respingere coloro che
entravano?
Ma, o giudici, io penso che anche voi sappiate che
coloro che non compiono cose giuste non
ammettonoche gli avversari dicono cose vere. Ma
coloro dicendo bugie oe inventando tali cose cercano
di creare ostilità in coloro che ascoltano nei confronti
di quelli che compiono cose giuste. In primo luogo
dunque leggi la legge. [Il grammateus, segretario,
legge le norme]
Non negava, o giudici, ma ammetteva di aver
sbagliato e, per non morire, era pronto a dare del
denaro. Io, invece, non accettavo la proposta di
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χρήματα. Ἐγὼ δὲ τῷ μὲν ἐκείνου τιμήματι οὐ
συνεχώρουν, τὸν δὲ τῆς πόλεως νόμον
ἠξίουν εἶναι κυριώτερον, καὶ ταύτην ἔλαβον
τὴν δίκην, ἣν ὑμεῖς δικαιοτάτην εἶναι
ἡγησάμενοι τοῖς τὰ τοιαῦτα ἐπιτηδεύουσιν
ἐτάξατε. Καί μοι ἀνάβητε τούτων μάρτυρες.
ΜΑΡΤΥΡΕΣ
Ἀνάγνωθι δέ μοι καὶ τοῦτον τὸν νόμον τὸν ἐκ
τῆς στήλης τῆς ἐξ Ἀρείου πάγου.
ΝΟΜΟΣ
Ἀκούετε, ὦ ἄνδρες, ὅτι αὐτῷ τῷ δικαστηρίῳ
τῷ ἐξ Ἀρείου πάγου, ᾧ καὶ πάτριόν ἐστι καὶ
ἐφ' ἡμῶν ἀποδέδοται τοῦ φόνου τὰς δίκας
δικάζειν, διαρρήδην εἴρηται τούτου μὴ
καταγιγνώσκειν φόνον, ὃς ἂν ἐπὶ δάμαρτι τῇ
ἑαυτοῦ μοιχὸν λαβὼν ταύτην τὴν τιμωρίαν
ποιήσηται
. Καὶ οὕτω σφόδρα ὁ νομοθέτης ἐπὶ ταῖς
γαμεταῖς γυναιξὶ δίκαια ταῦτα ἡγήσατο
εἶναι, ὥστε καὶ ἐπὶ ταῖς παλλακαῖς ταῖς
ἐλάττονος ἀξίαις τὴν αὐτὴν δίκην ἐπέθηκε.
Καίτοι δῆλον ὅτι, εἴ τινα εἶχε ταύτης μείζω
τιμωρίαν ἐπὶ ταῖς γαμεταῖς, ἐποίησεν ἄν. Νῦν
δὲ οὐχ οἷός τε ὢν ταύτης ἰσχυροτέραν ἐπ'
ἐκείναις ἐξευρεῖν, τὴν αὐτὴν καὶ ἐπὶ ταῖς
παλλακαῖς ἠξίωσε γίγνεσθαι. Ἀνάγνωθι δέ
μοι καὶ τοῦτοντὸν νόμον.
ΝΟΜΟΣ
Ἀκούετε, ὦ ἄνδρες, ὅτι κελεύει, ἐάν τις
ἄνθρωπον ἐλεύθερον ἢ παῖδα αἰσχύνῃ βίᾳ,
διπλῆν τὴν βλάβην ὀφείλειν· ἐὰν δὲ γυναῖκα,
ἐφ' αἷσπερ ἀποκτείνειν ἔξεστιν, ἐν τοῖς
αὐτοῖς ἐνέχεσθαι· οὕτως, ὦ ἄνδρες, τοὺς
βιαζομένους ἐλάττονος ζημίας ἀξίους
ἡγήσατο εἶναι ἢ τοὺς πείθοντας· τῶν μὲν γὰρ
θάνατον κατέγνω, τοῖς δὲ διπλῆν
ἐποίησε τὴν βλάβην, ἡγούμενος τοὺς μὲν
διαπραττομένους βίᾳ ὑπὸ τῶν βιασθέντων
μισεῖσθαι, τοὺς δὲ πείσαντας οὕτως αὐτῶν
τὰς ψυχὰς διαφθείρειν, ὥστ' οἰκειοτέρας
αὑτοῖς ποιεῖν τὰς ἀλλοτρίας γυναῖκας ἢ τοῖς
ἀνδράσι, καὶ πᾶσαν ἐπ' ἐκείνοις τὴν οἰκίαν
γεγονέναι, καὶ τοὺς παῖδας ἀδήλους εἶναι
ὁποτέρων τυγχάνουσιν ὄντες, τῶν ἀνδρῶν ἢ
τῶν μοιχῶν. Ἀνθ' ὧν ὁ τὸν νόμον τιθεὶς
θάνατον αὐτοῖς ἐποίησε τὴν ζημίαν.
Ἐμοῦ τοίνυν, ὦ ἄνδρες, οἱ μὲν νόμοι οὐ
μόνον ἀπεγνωκότες εἰσὶ μὴ ἀδικεῖν, ἀλλὰ καὶ
κεκελευκότες ταύτην τὴν δίκην λαμβάνειν· ἐν
ὑμῖν δ' ἐστὶ πότερον χρὴ τούτους ἰσχυροὺς ἢ
μηδενὸς ἀξίους εἶναι.
Ἐγὼ μὲν γὰρ οἶμαι πάσας τὰς πόλεις διὰ
τοῦτο τοὺς νόμους τίθεσθαι, ἵνα περὶ ὧν ἂν
quello, ma ritenevo giusto che fosse più potente (del
denaro) la legge della città e feci giustizia in questo
modo, che voi sanciste ritenendo assai giusto per
coloro che fanno tali cose. E salite i testimoni miei
(lett. per me) di questi fatti. [Si ascoltano i testimoni]
Leggimi anche questa legge incisa sulla stele
dell’areopago. [Si legge la legge]
Sentite o cittadini che dallo stesso tribunale
dell’Areopago (lett. collina di Ares) cui spetta per
tradizione ed è stato assegnato anche presso di noi [il
gov. democ.] il compito di giudicare le cause di
omicidio, ed è stato affermato espressamente di non
condannare a morte colui che avendo sorpreso un
adultero presso la propria moglie si vendichi.
E il legislatore riteneva che questi principi fossero così
profondamente giusti per le donne sposate così che
stabilì la medesima punizione anche per le concubine
di minor considerazione (lett. degne di meno).
Ebbene è chiaro che se avesse una pena maggiore di
questa per le donne sposate l’avrebbe messa in
pratica. Non essendo ora in grado di trovare una pena
più severa di questa per quelle ritenne giusto che vi
fosse la stessa per le concubine. Leggimi anche
questa legge.
[Si legge la legge]
Sentite, o giudici, che prescrive qualora un uomo
disonori un uomo libero o uno schiavo che paghi il
doppio del danno; qualora oltraggi una donna è
previsto che sia sottoposto alla stessa punizione per
la quale è lecito uccidere; così p uomini ritenne che i
violentatori meritassero una pena minore rispetto
agli adulteri. Infatti per gli uni stabilì la morte, per gli
altri fissò il doppio del danno
ritenendo che coloro che agiscono con violenza siano
più odiati dalle donne che hanno subito violenza,
mentre i seduttori corrompono l’animo di quelle così
che rendono le mogli degli altri più loro che dei mariti
e così che l’intera casa passi sotto (il potere) di quelli,
e i figli non è certo se siano del marito o degli adulteri.
E per questi motivi colui che ha posto questa legge
fece (previse) per loro la morte.
Per quel che mi riguarda le leggi non solo mi hanno
assolto dal commettere il reato ma anche mi hanno
imposto di eseguire questa pena. Sta a voi decidere
se queste cose devono essere valide o di nessun
valore.
Io infatti penso che per questo motivo tutte le città
stabiliscono delle leggi, affinché capiamo intorno a
πραγμάτων ἀπορῶμεν, παρὰ τούτους
ἐλθόντες σκεψώμεθα ὅ τι ἡμῖν ποιητέον
ἐστίν. Οὗτοι τοίνυν περὶ τῶν τοιούτων τοῖς
ἀδικουμένοις τοιαύτην δίκην λαμβάνειν
παρακελεύονται.
36 Οἷς ὑμᾶς ἀξιῶ τὴν αὐτὴν γνώμην ἔχειν· εἰ δὲ
μή, τοιαύτην ἄδειαν τοῖς μοιχοῖς ποιήσετε,
ὥστε καὶ τοὺς κλέπτας ἐπαρεῖτε φάσκειν
μοιχοὺς εἶναι, εὖ εἰδότας ὅτι, ἐὰν ταύτην τὴν
αἰτίαν περὶ ἑαυτῶν λέγωσι καὶ ἐπὶ τούτῳ
φάσκωσιν εἰς τὰς ἀλλοτρίας οἰκίας εἰσιέναι,
οὐδεὶς αὐτῶν ἅψεται. Πάντες γὰρ εἴσονται
ὅτι τοὺς μὲν νόμους τῆς μοιχείας χαίρειν ἐᾶν
δεῖ, τὴν δὲ ψῆφον τὴν ὑμετέραν δεδιέναι·
αὕτη γάρ ἐστι πάντων τῶν ἐν τῇ πόλει
κυριωτάτη.
quelle cose di cui non siamo certi, rivolgendosi a
queste su quello che dobbiamo fare. Queste (le leggi)
riguardo a tali cose esortano chi subisce un torto a
farsi giustizia in tale modo.
Ed io ritengo giusto che voi abbiate la medesima
opinione; altrimenti garantirete agli adulti una tale
impunità così che spingerete i ladri a dichiarare di
essere adulteri, sapendo bene che qualora dicano di
loro stessi questa colpa e dicano di entrare nelle case
altrui per questo scopo nessuno li toccherà
(ucciderà). Tutti infatti sapranno che bisogna
congedare le leggi che riguardano l’adulterio mentre
bisogna temere il vostro voto; infatti questa è la cosa
più importante di quelle cose che riguardano la città.
Refutatio (parr. 37-46)
Consiste nel confutare la prova e le accuse della controparte, in questo caso della premeditazione
dell’omicidio. Per difendersi Eufileto spiega di aver avuto a cena, il giorno del fatto, Sostrato: se fosse stato
tutto premeditato non lo avrebbe congedato, come invece sostiene di aver fatto, perché sarebbe stato un
testimone! Inoltre tra lui ed Eratostene non c’era inimicizia che spiegherebbe la premeditazione.
37 Σκέψασθε δέ, ὦ ἄνδρες· κατηγοροῦσι γάρ
μου ὡς ἐγὼ τὴν θεράπαιναν ἐν ἐκείνῃ τῇ
ἡμέρᾳ μετελθεῖν ἐκέλευσα τὸν νεανίσκον.
Ἐγὼ δέ, ὦ ἄνδρες, δίκαιον μὲν ἂν ποιεῖν
ἡγούμην ᾡτινιοῦν τρόπῳ τὸν τὴν γυναῖκα τὴν
ἐμὴν διαφθείραντα λαμβάνων·
38 εἰ μὲν γὰρ λόγων εἰρημένων ἔργου δὲ
μηδενὸς γεγενημένου μετελθεῖν ἐκέλευον
ἐκεῖνον, ἠδίκουν ἄν· εἰ δὲ ἤδη πάντων
διαπεπραγμένων
καὶ
πολλάκις
εἰσεληλυθότος εἰς τὴν οἰκίαν τὴν ἐμὴν
ᾡτινιοῦν τρόπῳ ἐλάμβανον αὐτόν, σώφρον'
ἂν ἐμαυτὸν ἡγούμην·
39 Σκέψασθε δὲ ὅτι καὶ ταῦτα ψεύδονται·
ῥᾳδίως δὲ ἐκ τῶνδε γνώσεσθε. Ἐμοὶ γάρ, ὦ
ἄνδρες, ὅπερ καὶ πρότερον εἶπον, φίλος ὢν
Σώστρατος
καὶ οἰκείως
διακείμενος
ἀπαντήσας ἐξ ἀγροῦ περὶ ἡλίου δυσμὰς
συνεδείπνει, καὶ ἐπειδὴ καλῶς εἶχεν αὐτῷ,
ἀπιὼν ᾤχετο.
40 Καίτοι πρῶτον μέν, ὦ ἄνδρες, ἐνθυμήθητε· εἰ
ἐν ἐκείνῃ τῇ νυκτὶ ἐγὼ ἐπεβούλευον
Ἐρατοσθένει, πότερον ἦν μοι κρεῖττον αὐτῷ
ἑτέρωθι δειπνεῖν ἢ τὸν συνδειπνήσοντά μοι
εἰσαγαγεῖν; οὕτω γὰρ ἂν ἧττον ἐτόλμησεν
ἐκεῖνος εἰσελθεῖν εἰς τὴν οἰκίαν. Εἶτα δοκῶ
ἂν ὑμῖν τὸν συνδειπνοῦντα ἀφεὶς μόνος
καταλειφθῆναι καὶ ἔρημος γενέσθαι, ἢ
κελεύειν ἐκεῖνον μένειν, ἵνα μετ' ἐμοῦ τὸν
μοιχὸν ἐτιμωρεῖτο;
Riflettete, o uomini, infatti essi accusano me che io
abbia ordinato alla serva di andare a chiamare il
giovinastro (dispregiativo per Eratostene). Io, o
giudici, ritenni davvero di agire giustamente
sorprendendo in qualunque modo sorprendendo
colui che ha sedotto mia moglie;
se infatti quanto fossero state dette parole ma non
fosse avvenuto il fatto e avessi ordinato di farlo
venire, avrei torto, ma se quando tutto era giù
accaduto ed egli si era introdotto nella mia casa e io
l’avessi sorpreso in qualunque modo io considererei
me saggio.
Considerate che mentono anche riguardo queste
cose. Facilmente lo capirete da queste cose, infatti, o
giudici, come io ho detto prima Sostrato, che è mio
amico ed è in rapporti di amicizia (con me), avendomi
incontrato che provenivo dai campi, cenava con me
circa al calar del sole, e poi, quando lui fu soddisfatto,
andando via, partì.
Dunque anzitutto, o uomini, riflettete che, se in
quella notte io avessi teso una trappola ad Eratostene
sarebbe stato meglio per me cenare con lui altrove o
portarlo a casa cenando insieme a lui? Così infatti
quello avrebbe avuto il coraggio di meno dall’entrare
in casa mia. Poi vi sembra che avrei lasciato andar via
il mio ospite rimanendo tutto solo, oppure avrei
chiesto a quello di rimanere affinché punisse
l’adultero assieme con me?
41 Ἔπειτα, ὦ ἄνδρες, οὐκ ἂν δοκῶ ὑμῖν τοῖς
ἐπιτηδείοις μεθ' ἡμέραν παραγγεῖλαι, καὶ
κελεῦσαι αὐτοὺς συλλεγῆναι εἰς οἰκίαν του
τῶν φίλων τῶν ἐγγυτάτω, μᾶλλον ἢ ἐπειδὴ
τάχιστα ᾐσθόμην τῆς νυκτὸς περιτρέχειν, οὐκ
εἰδὼς ὅντινα οἴκοι καταλήψομαι καὶ ὅντινα
ἔξω; καὶ ὡς Ἁρμόδιον μὲν καὶ τὸν δεῖνα
ἦλθον οὐκ ἐπιδημοῦντας (οὐ γὰρ ᾔδειν),
ἑτέρους δὲ οὐκ ἔνδον ὄντας κατέλαβον, οὓς
δ' οἷός τε ἦν λαβὼν ἐβάδιζον.
42 Καίτοιγε εἰ προῄδειν, οὐκ ἂν δοκῶ ὑμῖν καὶ
θεράποντας παρασκευάσασθαι καὶ τοῖς
φίλοις παραγγεῖλαι, ἵν' ὡς ἀσφαλέστατα μὲν
αὐτὸς εἰσῄειν (τί γὰρ ᾔδειν εἴ τι κἀκεῖνος εἶχε
σιδήριον;), ὡς μετὰ πλείστων δὲ μαρτύρων
τὴν τιμωρίαν ἐποιούμην; νῦν δ' οὐδὲν εἰδὼς
τῶν ἐσομένων ἐκείνῃ τῇ νυκτί, οὓς οἷός τε ἦν
παρέλαβον. Καί μοι ἀνάβητε τούτων
μάρτυρες.
ΜΑΡΤΥΡΕΣ
43 Τῶν μὲν μαρτύρων ἀκηκόατε, ὦ ἄνδρες·
σκέψασθε δὲ παρ' ὑμῖν αὐτοῖς οὕτως περὶ
τούτου τοῦ πράγματος, ζητοῦντες εἴ τις ἐμοὶ
καὶ Ἐρατοσθένει ἔχθρα πώποτε γεγένηται
πλὴν ταύτης. Οὐδεμίαν γὰρ εὑρήσετε.
44 Οὔτε γὰρ συκοφαντῶν γραφάς με ἐγράψατο,
οὔτε ἐκβάλλειν ἐκ τῆς πόλεως ἐπεχείρησεν,
οὔτε ἰδίας δίκας ἐδικάζετο, οὔτε συνῄδει
κακὸν οὐδὲν ὃ ἐγὼ δεδιὼς μή τις πύθηται
ἐπεθύμουν αὐτὸν ἀπολέσαι, οὔτε εἰ ταῦτα
διαπραξαίμην, ἤλπιζόν ποθεν χρήματα
λήψεσθαι· ἔνιοι γὰρ τοιούτων πραγμάτων
ἕνεκα θάνατον ἀλλήλοις ἐπιβουλεύουσι.
45 Τοσούτου τοίνυν δεῖ ἢ λοιδορία ἢ παροινία ἢ
ἄλλη τις διαφορὰ ἡμῖν γεγονέναι, ὥστε οὐδὲ
ἑωρακὼς ἦν τὸν ἄνθρωπον πώποτε πλὴν ἐν
ἐκείνῃ τῇ νυκτί. Τί ἂν οὖν βουλόμενος ἐγὼ
τοιοῦτον κίνδυνον ἐκινδύνευον, εἰ μὴ τὸ
μέγιστον τῶν ἀδικημάτων ἦν ὑπ' αὐτοῦ
ἠδικημένος;
46 Ἔπειτα παρακαλέσας αὐτὸς μάρτυρας
ἠσέβουν, ἐξόν μοι, εἴπερ ἀδίκως ἐπεθύμουν
αὐτὸν ἀπολέσαι, μηδένα μοι τούτων
συνειδέναι;
Poi, o giudici, non vi sembra che avrei avvisato gli
amici durante il giorno e gli avrei chiesto di riunirsi a
casa di un vicino, piuttosto che correre di notte
quando subito mi fossi accodo (di Eratostene, sott.),
non sapendo chi avrei trovato in casa e chi fuori? E
andai da Armodio e da quelli che erano fuori città
(infatti non lo sapevo), trovai altri che non erano in
casa e, presi quelli che potevo, mi incamminvavo.
Ebbene se l’avessi saputo prima non vi sembra che
non solo avrei preparato dei servi e ma anche che
l’avrei detto agli amici affinché io stesso entrassi nel
modo più sicuro (infatti che cosa ne sapevo se anche
quello aveva qualcosa di ferro?), e affinché facessi la
mia punizione con quanti più testimoni? Ora non
sapendo nulla delle cose che sarebbero avvenute
quella notte, raccolsi quelli che potevo. E salitemi voi
testimoni di queste cose.
[Si ascoltano i testimoni]
Avete ascoltato i testimoni, o uomini; considerate
presso di voi rigardo questa vicenda cercando di
scoprire se i sia mai stato qualche motivo di inimicizia
tra me ed Eratostene tranne questa. Non ne
troverete nessuno.
Né infatti rivolgendomi false accuse egli intentò una
causa contro di me, né cercò di mandarmi fuori dalla
città (esilio), né mi intentava processi privati. Né
conosceva qualche colpa per la quale temendo che
qualcuno ne venisse a conoscenza io desiderassi
ucciderlo. Né speravo di ricevere denaro da qualche
parte se l’avessi ucciso. Infatti per queste ragioni si
trama la morte gli uni degli altri.
Tanto manca che tra noi siano avvenuti uno scambio
di insulti, una rissa tra ubriachi o un’altra lite. Così che
io non avevo mai visto l’uomo tranne che in quella
notte. Volendo cosa avrei corso un tale pericolo se
non avessi subito da lui la più grande delle offese?
Poi dopo aver chiamato io stesso i testimoni avrei
commesso un’empietà, pur essendo a me doveroso
ucciderlo contro ogni giustizia?
Peroratio (parr. 47-50)
Parte più importante dell’orazione era necessaria a convincere l’uditorio a votare a favore delle proprie
ragioni. Eufileto ribadisce la sua difesa di aver agito secondo le leggi ed in loro nome, evidenziando il pericolo,
per la validità delle leggi stesse, di una sua eventuale condanna.
47 Ἐγὼ μὲν οὖν, ὦ ἄνδρες, οὐκ ἰδίαν ὑπὲρ
ἐμαυτοῦ νομίζω ταύτην γενέσθαι τὴν
τιμωρίαν, ἀλλ' ὑπὲρ τῆς πόλεως ἁπάσης· οἱ
γὰρ τὰ τοιαῦτα πράττοντες, ὁρῶντες οἷα τὰ
Io dunque, o giudici, ritengo che questa non sia stata
una vendetta privata nel mio interesse, ma
nell’interesse dell’intera Polis; infatti coloro che
fanno tali cose, vedendo quali ricompense sono
ἆθλα πρόκειται τῶν τοιούτων ἁμαρτημάτων,
ἧττον εἰς τοὺς ἄλλους ἐξαμαρτήσονται, ἐὰν
καὶ ὑμᾶς ὁρῶσι τὴν αὐτὴν γνώμην ἔχοντας.
48 Εἰ δὲ μή, πολὺ κάλλιον τοὺς μὲν κειμένους
νόμους ἐξαλεῖψαι, ἑτέρους δὲ θεῖναι, οἵτινες
τοὺς μὲν φυλάττοντας τὰς ἑαυτῶν γυναῖκας
ταῖς
ζημίαις
ζημιώσουσι,
τοῖς
δὲ
βουλομένοις εἰς αὐτὰς ἁμαρτάνειν πολλὴν
ἄδειαν ποιήσουσι.
49 Πολὺ γὰρ οὕτω δικαιότερον ἢ ὑπὸ τῶν
νόμων τοὺς πολίτας ἐνεδρεύεσθαι, οἳ
κελεύουσι μέν, ἐάν τις μοιχὸν λάβῃ, ὅ τι ἂν
οὖν βούληται χρῆσθαι, οἱ δ' ἀγῶνες
δεινότεροι τοῖς ἀδικουμένοις καθεστήκασιν
ἢ τοῖς παρὰ τοὺς νόμους τὰς ἀλλοτρίας
καταισχύνουσι γυναῖκας.
50 Ἐγὼ γὰρ νῦν καὶ περὶ τοῦ σώματος καὶ περὶ
τῶν χρημάτων καὶ περὶ τῶν ἄλλων ἁπάντων
κινδυνεύω, ὅτι τοῖς τῆς πόλεως νόμοις
ἐπειθόμην.
fissate per tali colpe si renderebbero meno volentieri
colpevoli verso gli altri, qualora vedono che anche voi
avete la mia stessa opinione.
Se no sarebbe meglio cancellare le leggi vigenti e
stabilirne delle altre che puniranno coloro che
difendono le proprie mogli e concederanno impunità
a quanti vogliono cadere nella colpa a danno delle
stesse.
Sarebbe molto più giusto così, piuttosto che i cittadini
siano insidiati dalle leggi, le quali prescrivono che
qualora qualcuno sorprenda un adultero gli daccia ciò
che vuole, ma i processi sono più terribili per coloro
che subiscono i torti, piuttosto che per quanti, contro
le leggi, disonorano le mogli altrui.
Io infatti ora rischio il mio corpo (la mia vita), i miei
beni e tutto il resto, poiché obbedivo alle leggi della
città.
Note
Per la traduzione
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ποιησαίμην, ott. pot. con gen. di stima (περὶ πολλοῦ), 1 p. sing. ott. aor. m. di ποιέω; ὦ
ἄνδρες (sott. δικασταί), voc. pl. di ἀνήρ, lett. o uomini inteso come cittadini e giudici, può
essere reso in tutti e tre i modi; τὸ…γενέσθαι ogg. sost. con pred. (τοιούτους δικαστὰς)
del sogg. (ὑμᾶς); γενέσθαι, inf. aor. di γίγνομαι; εἴητε, 2 p. pl. ott. pr. da εἰμί; πεπονθότες,
part. pf. masch. di πάσχω con val. ipot.; οἶδα pf. di *εἴδω (ὀράω) con val. di pr.; ὅτι, cong.
introduce due dichiarative oggettive coordinate, dalla cong. avversativa ἀλλὰ; ὅστις,
pronome, introduce una relativa con ott. potenziale.
ἂν εἴη [] οὕτως ἐγνωσμένα, ott. pf. p. perifrastico (ott. di εἰμί + part. pf.); ἀποδέδοται, 3
p. sing. Ind. Pf. M.p. da ἀποδίδωμι; ὥστε, cong. cons.
διακεῖσθαι, inf. pr. da διάκειμαι; ὅστις, pron. che introduce due rel. consec. coordinate
dalla cong. disgiuntiva ἢ.
τοῦτό, in funz. prol. delle rel. epesegetiche che lo seguono; ἐπιδεῖξαι inf. aor. di
ἐπιδείκνυμι; ὡς, cong. che introduce le successive dichiarative; ἐμοίχευεν, impf. azione
durativa nel tempo (manteneva una relazione adulterina), così come διέφθειρε
(corrompeva), che potrebbe essere anche aoristo (rovinò); ἕνεκα, segue il gen., compl. di
fine; ἵνα, cong. finale.
τοίνυν, particella conclusiva si può rendere con dunque; τἀληθῆ, crasi di τὰ ἀληθῆ (le cose
vere, la verità); ταύτην…σωτηρίαν, ἐὰν…πεπραγμένα periodo ipotetico dell’eventualità.
ἔδοξέ 3 p. sing. aor. pres. di δοκέω; τὸν μὲν ἄλλον χρόνον, acc. Di tempo continuato;
ὥστε + inf. prop. cons.; ὅ τι ἂν ἐθέλῃ, prop. rel. ogg. dell’inf. ποιεῖν; ἐπειδὴ + ind.
introduce temporale; παρέδωκα, 1 p. sing. ind. aor. di παραδίδωμι; ταύτην, pron. in funz,
epanalettica enfatizzante.
πασῶν, gen. part. dipendente dal superl. βελτίστη (la migliore di tutte, sott. le donne);
διοικοῦσα, part. pres. attributivo femm. di διοικέω; ἐτελεύτησε, 3 p. sing. aor. ind. di
τελευτάω; ἥ pron. rel. espunto per evitare anacoluto.
ὀφθεῖσα, part. aor. pass. femm. sing. di ὁράω; χρόνῳ διαφθείρεται, lett. viene corrotta
con il passare del tempo (azione continuata), si puà intendere διαφθείρεται come pres.
storico: fu sedotta, si lasciò sedurre, si noti il verbo legato all’idea di corruzione prima
ancora che all’adulterio (per cui si sarebbe usato μοιχέω).
οἰκίδιον ἔστι μοι, dat. Di possesso, lett. è a me una casetta, resa: ho una casetta; ἵνα +
cong. in luogo di ott. obl., finale, pur avendo alla principale un tempo storico; λοῦσθαι =
λούεσθαι inf. pr. di λούω.
συνειθισμένον, part. pf. m.-p. neut. sing. di συννεθίζω; καθευδήσουσα, part. femm. fut.
con val. final. di καθεύδω; ἵνα introduce due finali coord. dalla cong. copul. καὶ, ἵνα + cong.
in luogo di ott. obl.; ταῦτα…ἐγίγνετο sintassi attica, il verbo al sing. può riferirsi ad un
sogg. neut. plur.; ὥστε ᾤμην, consec. denotante la realtà; ᾤμην, impf. di οἴομαι.
προϊόντος δὲ τοῦ χρόνου, gen. ass. con val. temporale; προϊόντος, part. pres. masch.
sing. di πρόειμι; ἧκον, impf. con val. di ppf.; ἵνα + cong. finale; ἐπυθόμην, 1 p. sing. ind.
aor. di πυνθάνομαι.
ἀπιέναι, inf. pres. di ἄπειμι; δοῦναι, inf. aor. di δίδομι; κλᾶον, part. pred. del sogg.
παιδίον; ἥκοντα part. pred. dell’ogg. με; ἐπειδὴ introduce due causali coord. dalla cong.
copulativa καὶ subordinate alla principale ἔφη.
ἀναστᾶσα, part. aor. 3 femm. sing. di ἀνίστημι; ἀπιοῦσα, part. pres. femm. sing. di
ἄπειμι; ἥκων, part. cong. con significato causale.
τί, pron. con funz. avv. introduce un’interrogativa indiretta; ψοφοῖεν, ott. obl.;
ἐψιμυθιῶσθαι, inf. perf. pass. da ψιμυθιόω.
χρόνου μεταξὺ διαγενομένου e ἐμοῦ πολὺ ἀπολελειμμένου τῶν ἐμαυτοῦ κακῶν sono
genitivi assoluti.
ὢν, part. pred. del sogg.; Ἐὰν οὖν λάβῃς τὴν θεράπαιναν…ἅπαντα πεύσῃ, periodo
ipotetico dell’eventualità con due protasi coordinate dalla cong. copul. καὶ; Ὀῆθεν, demo
attico –θεν è un suff. di provenienza; διέφθαρκεν, perf. debole di διαφθείρω.
ἀπηλλάγη, aor. pass. fort. di ἀπαλλάσσω; εἰσῄει, impf. di εἴσειμι; ὡς, introduce una
dichiarativa; ὃ…ἐγένετο, relativa appositiva.
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οἴκαδε, a casa, -δε suff. denotante moto a luogo; ὡς, val. preposiz. moto a luogo; τῶν
ἐπιτηδείων, gen. part.; ὅτι…πεπυσμένος, dichiarativa con ott. obl. dipendente dal t.
storico ἔλεγον; εἴην πεπυσμένος, ott. perifrastico del perfetto medio di ουνθάνομαι;
ἑλέσθαι, inf. aor. 2 di ἀιρέω, regge due infinitive (le opzioni che Eufileto da alla serva,
introdotte dalla disgiuntiva ἢ; ἔξεστι, verbo impers. + dat. + inf. aor. 2 di ἐμπίπτω; δυοῖν,
gen. part. duale; συνεχομένην, part. pred. del sogg. sott. dell’infinitiva; ψεύσῃ, cong. aor.
esortativo di ψεύδομαι; τἀληθῆ, crasi di τὰ ἀληθῆ.
kἀκείνη, crasi di καὶ ἐκείνη; ὅ τι βούλομαι, prop. relat. ogg.; εἰδέναι, inf. perf. di οἶδα;
ὅτι…γυναῖκα, dichiarativa; εἴη, ott. obl. dipendente da tempo storico; ἐξεπλάγη, aor.
pass. forte di ἐκπλήσσω; ἐγνωκέναι, infinito perf. di γιγνώσκω.
πεσοῦσα, part. aor. 2 di πίπτω; πείσεσθαι, inf. fut. di πάσχω; ὡς, val. dichiarativo,
introduce tutte le dichiarative del periodo; αὐτῇ, rif. alla serva, grammaticalmente
sarebbe stato più corretto *εαὐτῇ, infatti così sorge l’ambiguità che possa riferirsi alla
moglie, probabilmente è colloquile, parlando la serva; προσίοι, ott. pr. di πρόσειμι;
εἰσαγγείλειε, ott. aor. di εἰσαγγέλλω; πεισθείη ott. aor. pass. di πείθω; προσιεῖτο, ott.
pres. medio di προσίημι; ᾤχετο imperf. di οἴχομαι; τἆλλα, crasi di τὰ ἄλλα.
ἐπειδὴ, cong. temp.; εἴρητο, piuccheperfetto passivo di λέγω; αὐτῇ, dat. di agente; ὅπως
+ fut. ind. o cong. aor. introduce una secondaria completiva che dipende da un imperativo
antecedente che esprime sforzo o cura (verba curandi), in questo caso omesso (ὅρα);
πρὸς ἔμου, complemento di agente; ἔχει, con avv. può assumere valore di stare anziché
di avere.
ποιήσειν, inf. fut. di ποιέω; μοι, dat. di poss.; ἡλίου δεδυκότος, gen. ass. con val. temp.;
δεδυκότος, part. perf. di δύω; ἰόντι, part. pres. di εἶμι; εἰδὼς, part. perf. di οἶδα; ὅτι,
introduce una prep. dichiarativa dipendente da εἰδὼς; ὡς + gen. compl. di moto per luogo.
ἐπειδὴ, cong. temp.; ἀπιὼν, part. pres. di ἄπειμι; ᾤχετο, imperf. storico o narr. da
rendere in it. anche con pass. rem.; κἀγὼ crasi di καὶ ed ἐγὼ; ἐξέρχομαι, pres. stor. O narr.
da rend. In it. Con pass. rem.; ὡς + gen. compl. di moto a luogo; τοὺς μὲν…τοὺς δὲ, art.
pronom. in funz. attributiva; ηὗρον, ind. aor. 2 da εὑρίσκω.
ὡς, rafforzativo del superl. πλείστους; ἀνεῳγμένης, part. perf. m.-p. di ἀνοίγω;
παρεσκευασμένης, part. perf. m.-p. di παρασκευάζω; κατακείμενον, part. pres. pred.
dell’ogg. αὐτὸν; ἑστηκότα, part. perf. di, pred. dell’ogg.
καταβάλλω, pres. stor.; χεῖρε, acc. duale; τοὔπισθεν, crasi di τὸ ὄπισθεν; δήσας, part.
aor. di δέω; ὡμολόγει, imperf. stor. in it. si può rendere anche con il pres.; ἠντεβόλει,
imperf. stor. di ἀντιβολέω
ὅτι, non va tradotto, equivale ai due punti, gli segue infatti un discorso dir.; ἀποκτενῶ,
ind. fut. di ἀποκτείνω; τῶν ἡδονῶν, gen. di paragone; εἵλου, inf. aor. medio di αἱρέω;
ἁμάρτημα ἐξαμαρτάνειν figura etimologica (ripetiz. della radice).
ἐκ τῆς ὁδοῦ e ἐπὶ τὴν ἑστίαν sono compl. di luogo; τὼ χεῖρε, acc. duale; εἰσελθόντας,
part. aor. di εἰσέρχομαι; ἂν ἠμύνατο, denota potenzialità nel passato.
οἱ μὴ τὰ δίκαια πράττοντες, lett. coloro che non fanno cose giuste, quindi gli ingiusti; τῶν
τὰ δίκαια πραττόντων, lett. di coloro che fanno cose giuste, quindi i giusti; ἀνάγνωθι,
imper. aor. 3 da ἀναγιγνώσκω.
ἠμφεσβήτει, imperf. di ἀμφισβητέω; ὡμολόγει, imperf. di ὁμολογέω; ὅπως, introduce
una finale; συνεχώρουν, imperf. storico di συγχωρέω; ἡγησάμενοι, part. aor. di ἡγέομαι;
ἐτάξατε, ind. aor. di τάσσω; μοι, dat. etico; ἀνάβητε, imper. aor. 3 di ἀναβαίνω.
ἀποδέδοται, 3 p. sing. ind. perf. passivo di ἀποδίδωμι; καταγιγνώσκειν, inf. di
καταγιγνώσκω τινός (gen. della persona imputata) τι (acc. della colpa); εἴρηται, perfetto
passivo di λέγω; λαβὼν, part. aor. 2 di λαμβάνω; ποιήσηται, cong. aor. medio di ποιέω.
ὥστε, introduce una consecutiva; ἐπέθηκε, aor. ind. di ἐπιτίθημι; εἴ… γαμεταῖς protasi
del per. ipo. dell’irrealtà nel pass.; ταύτης, gen. di parag. dipendente dal comp. μείζω;
ἐποίησεν ἄν, apodosi dell’irrealtà; ὢν, participio con val. caus.; ἐξευρεῖν, inf. aor. 2 di
ἐξευρίσκω.
ὅτι, introduce una dichiarativa; κελεύει, regge i due periodi ipotetici: (prot.1) ἐάν…βίᾳ,
(apod.1) διπλῆν…ὀφείλειν – (prot.2) ἐὰν…ἔξεστιν, (apod.2) ἐν…ἐνέχεσθαι; τῶν μὲν, val.
pronominale; κατέγνω, 3 p. sing. ind. aor. 3 di καταγιγνώσκω; τοῖς δὲ, val. pronominale.
ἡγούμενος, part. congiunto con val. caus.; βιασθέντων, part. sost. aor. di βιάζω; ὥστε,
introcue tre infinitive consecutive; ἀνθ' ὧν = ἀντὶ ὧν; ὁ τὸν νόμον τιθεὶς = ὁ νομοθέτης.
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ἀπεγνωκότες εἰσὶ, perifrasi dell’ind. perf. att. (= ἀπεγνώκασιν) da ἀπογιγνώσκω τινος
(gen. della persona) τι (acc. della colpa/della sanzione); κεκελευκότες (sott. εἰσὶ), per. Ind.
perf. att. = (=κεκελεύκασιν); πότερον…ἢ… introducono interr. dir. disgiuntive.
νόμους τίθεσθαι = νομοθετέω; ἵνα, introduce una finale; ὅ τι, pronom. rel. Neutro che
introduce una relativa oggettiva.
εἰ δὲ μή = se no, altrimenti; εὖ εἰδότας = ben sapendo, εἰδότας è part. maschile pl. di οἶδα,
regge una dichiarativa retta da ὅτι; ἐὰν…εἰσιέναι, protasi del periodo ipotetico
dell’event., οὐδεὶς…ἅψεται, apodosi; ἅψεται, ind. fut. medio di ἅπτω.
σκέψασθε, imper. aor. da σκέπτομαι; κατηγοροῦσι, κατηγορέω τινος = avanzare un
accusa contro qualcuno (in gen.).
λόγων εἰρημένων, gen. ass. con ἔργου δὲ μηδενὸς γεγενημένου compone un periodo
ipotetico dell’irrealtà; εἰρημένων, part. perf. m.-p. di λέγω; γεγενημένου, part. perf. m.p. di γίγνομαι; πάντων διαπεπραγμένων e πολλάκις εἰσεληλυθότος, altri due gen. ass.
che strutturano un periodo ipotetico dell’irrealtà.
γνώσεσθε, fut. ind. di γιγνώσκω; ὅπερ…εἶπον, relativa incidentale.
ἐνθυμήθητε, imper. aor. pass. di ἐνθυμέομαι; εἰ…εἰσαγαγεῖν, periodo ipotetico
dell’idrrealtà; συνδειπνήσοντά, part. fut. di συνδειπνέω; εἰσαγαγεῖν, inf. aor. di εἰσάγω;
καταλειφθῆναι, inf. aor. pass. di καταλείπτω.
του = τινος; μᾶλλον ἢ, piuttosto che; ἐπειδὴ τάχιστα, cong. che introduce una temporale;
οἴκοι, avv. locativo; οὐ γὰρ ᾔδειν, prop. parenetica; οἷός τε ἦν = ero capace, potevo.
εἰ…παραγγεῖλαι, periodo ipotetico dell’irrealtà; ἵν' ὡς…εἰσῄειν…ὡς…ἐποιούμην, finali
doppie introdotte da ὡς; τί…σιδήριον, interr. diretta.
ἀκηκόατε, ind. perf. di ἀκούω; εἴ τις…ταύτης, interrogativa indiretta; εὑρήσετε, ind. fut.
di εὑρίσκω;
γραφάς ἐγράψατο e δίκας ἐδικάζετο sono fig. etimologiche, γράφω regge il doppio
accusativo; διαπραξαίμην, ott. aor. medio di διαπράσσω; λήψεσθαι, inf. fut. di λαμβάνω.
ἑωρακὼς ἦν, piuccheperf. perif. di ὀράω; τί ἂν…ἐκινδύνευον, apodosi del periodo
ipotetico dell’irrealtà, εἰ…ἠδικημένος, protasi; ἦν ἠδικημένος, piuccheperf. perif. di
ἀδικέω.
ἐξόν μοι, participio accusativo assoluto di valore concessivo di ἔξεστι.
τὰ ἆθλα πρόκειται, sintassi attica; ἐὰν, concessivo.
θεῖναι, inf. aor. di τίθεμι; τοὺς μὲν…τοῖς δὲ, da un lato, dall’altro; τοὺς φυλάττοντας,
participio sostantivato.
οἳ κελεύουσι…χρῆσθαι, periodo ipotetico dell’eventualità; ἂν οὖν βούληται, relativa
oggettiva; τοῖς ἀδικουμένοις e καταισχύνουσι, participi sostantivati.
ὅτι, congiunzione causale.
Per la comprensione
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Eufileto cerca nei giudici il coinvolgimento emotivo, chiedendogli come si
comporterebbero qualora le proprie mogli fossero adultere.
Universalizza la gravità dell’adulterio così che qualsiasi legge lo condannerebbe.
Continua la captatio benevolentiae dei giudici spronati a concordare sulla gravità
dell’adulterio e la necessità per quello di una pena grande che, nel caso di Eratostene, è
stata la morte.
Nella descrizione che Eufileto fa delle colpe di Eratostene c’è un climax ascendente:
corruppe la moglie, disonorò i suoi figli, lui stesso e persino l’οἰκία, la casa intesa in senso
ampio, cellula sociale e religiosa della Polis. Interessante il ruolo della donna che è oggetto
di corruzione, nel venire meno del suo ruolo di custode della casa, la cui responsabilità è
dell’uomo adultero, quasi che violasse un possesso privato di Eufileto.
L’accusato ritiene che, unica via di salvezza, una mancata assoluzione significherebbe
infatti condanna a morte, è dire la verità della sua vita privata senza tralasciare nulla.
Descrive un rapporto coniugale irreprensibile da parte della moglie; dapprima – non
conoscendola – la sorvegliava come ci si sarebbe aspettato da un marito ateniese, poi,
avuta la certezza della sua capacità procreativa con la nascita dell’erede maschio le lasciò
più libertà. La nascita di un erede era fondamentale per l’ateniese: garantiva continuità
alla discendenza ed assistenza nella vecchiaia (obbligo di legge, tra l’altro).
La custodia e il governo della casa (l’οἰκονομία) era il compito abituale della moglie e
consisteva nell’oculata gestione di tutte le faccende ad essa riguardanti, dalla schiavitù al
vestiario, passando per la gestione del patrimonio e delle provviste.
Il corteo funebre, che avveniva il giorno successivo l’esposizione del corpo, era uno di
quegli eventi per cui le donne ateniesi potevano uscire dalla casa se legati da parentela.
Eratostene approfitta dell’occasione per conoscere la donna e la seduce tramite la serva,
invece libera di uscire di casa per andare al mercato.
Ai giurati vengono forniti elementi utili a comprendere meglio la situazione come la
struttura della casa. Gli Ateniesi avevano la casa divisa fondamentalmente in due parti:
una più interna riservata alle donne (gineceo, γυναικωνῖτιν) e quella più vicina alla strada
agli uomini, nelle case a due piani quello più vicino alla strada, il piano terra, degli uomini
e il secondo piano delle donne. Eufileto, che si fidava ciecamente della moglie – cerca di
passare per un ingenuo – le aveva concesso di avere il gineceo al piano terra, forse per la
vicinanza al bagno, per poter meglio provvedere al bambino, per cui non poté permettersi
forse una balia da latte.
Eufileto ammette candidamente la propria ingenuità e insiste sulla sua illusione che la
moglie fosse la migliore della città, probabilmente per coinvolgere emotivamente i
giudici.
Eufileto rincasa inaspettatamente (ἀπροσδοκήτως) mentre Eratostene aveva un
appuntamento in casa con sua moglie
Eufileto sale al piano di sopra dove sta la moglie, la serva, all’arrivo dell’amante, pizzica il
bambino per farlo piangere: lo stesso Eufileto sprona la moglie ad andare ad allattare il
bambino, incitandola senza volerlo a raggiungere l’amante! La moglie tra l’altro,
beffandolo, tentenna dallo scendere fingendosi lei stessa gelosa del marito che l’avrebbe
tradita in sua assenza con la serva. Eufileto, che non è escluso possa in effetti aver avuto
rapporti con la schiava, passa per il marito ingenuo e incapace di nutrire sospetti del
tradimento.
La battuta della moglie fa ridere compiaciuto Eufileto che, comicamente, si lascia
chiudere a chiave in stanza senza nutrire sospetti di sorta.
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Al cigolio delle porte di casa, che aveva allarmato Eufileto, la moglie trova una scusa cui
lui crede. E non si insospettisce nemmeno nel vederla truccata nonostante fosse in lutto
per la morte del fratello (la legge prescriveva alle donne 30gg senza trucco).
Molto tempo dopo quella notte si avvicina ad Eufileto un’anziana figura umana
(πρεσβῦτις ἄνθρωπος), che è una vecchia serva, mandata dalla precedente amante di
Eratostene, abbandonata per la nuova, a rivelargli quanto avviene in casa sua.
Compaiono nel paragrafo i nomi dei protagonisti: Eufileto, che significa – forse
ironicamente – il ben amato, ed Eratostene ovvero la forza dell’amore.
Alla luce delle rivelazioni della vecchia delatrice Eufileto rilegge eventi precedenti,
comprende la soluzione ed inizia a ritenere necessario agire.
Per accertarsi della verità porta la terra da un suo amico, che gli farà da testimone, e la
mette davanti ad una scelta: o rivela la verità, così da ottenere il perdono per la collusione
con il misfatto della padrona, o sarà mandata a girare il mulino, uno dei lavori più faticosi
e bassi in cui impiegare la servitù. Il testimone torna utile nel tribunale dove la serva, priva
di personalità giuridica, non avrebbe potuto parlare validamente che sotto tortura
secondo le leggi ateniesi.
La serva dopo aver tentato inizialmente di dissimulare, quando si accorge che il padrone
è a conoscenza della faccenda, pronuncia il nome di Eratostene, confessa tutto:
Eratostene si era invaghito della donna urante il funerale della madre di Eufileto, contatta
la serva e gli fa fare da spola per le comunicazioni con lei. La relazione va avanti anche
con l’assenzo della madre di lui, con cui la moglie di Eufileto si era recata alla festa
autunnale agricola delle Tesmoforie. La festività, dedicata a Demetra Tesmoforia, patrona
della semina e della fecondità delle donne, durava tre giorni e prevedeva la
partecipazione di donne sposate.
Eufileto intima alla serva di non rivelare nulla a nessuno e le comunica il bisogno che i fatti
vengano colti in flagrante, iniziando a pianificare la sua vendetta.
La serva promette di aiutare Eufileto. L’occasione si presenta dopo quattro o cinque giorni
quando, incontrato un suo amico che tornava dalla campagna, Sostrato, lo porta a cena
con lui.
Andato via l’amico, Eufileto va a dormire. Dopo un po’ viene svegliato dalla serva che lo
avverte della presenza di Eratostene in casa. Lui scende in silenzio e va a cercare dei
testimoni.
Alcuni li trova in casa mentre altri erano fuori città, prende delle fiaccole da una locanda
lì vicino e, abbattuta la porta entra, trova l’adultero affianco a sua moglie, cogliendolo in
flagrante.
Lo immobilizza dapprima colpendolo, poi legandogli le mani dietro la schiena, mentre
quello chiedeva pietà e di poter pagare in denaro la propria colpa.
Eufileto, rifiuta le sue suppliche e gli annuncia che non lui ma la legge della città lo
avvrebbe ucciso per la sua disobbedienza, invocando la legislazione ateniese là dove
permetteva come legittimo l’omicidio dell’adultero o di quanti avessero violato una
donna (sorella, madre, concubina, moglie…). Tra l’altro non era tanto l’atto in sé ad essere
condannato quanto l’aver “corrotto” (διαφθείρω) una donna parte di un ordine sociale
della città, mettendo a rischio la cura della casa e la legittimità della discendenza!
Mentre Eufileto sostiene di aver commesso un δικάιος φόνος, un crimine legittimo che
andrebbe giudicato dal Delfinio, mentre i parenti di Eratostene lo accusano di ἑκούσιος
φόνος cioè di aver premeditato l’omicidio. Secondo la loro accusa Eufileto avrebbe
condotto il parente in casa propria per ucciderlo, forse a causa di un’inimicizia
precedente, e di aver consumato l’omicidio presso l’altare domestico, compiendo
un’empietà! Eufileto dal canto suo dice di aver trovato in casa l’adultero e che non
sarebbe stato possibile per lui rifugiarsi presso il focolare poiché steso a terra con un
colpo.
Gli ingiusti, dice Eufileto, non ammettono che i loro nemici dicano la verità ed inventano
bugie ai danni dei giusti, suscitando indignazione. Dunque esorta alla lettura della legge
(ΝΟΜΟΣ) da parte del grammateus, il segretario della giuria.
La legge supporta l’azione di Eufileto ai danni dell’adultero che è un reo confesso. E non
l’ha compiuta per denaro ma per amore della legge della città. Invita dunque l’ascolto dei
testimoni. Durante l’intervento di questi e la lettura delle leggi la clessidra veniva fermata.
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Eufileto chiede anche che si legga una legge incisa, come tutte le leggi più importanti,
sulla stele esposta presso l’Areopago, che stabilisce il diritto dell’omicidio legittimo
dell’adultero.
La legge stabiliva la stessa legittimità anche per le concubine, il che a detta di Eufileto è
una prova della gravità del reato punito.
Tra l’altro la stessa legge è raffrontata da Eufileto con una riguardo la violenza sessuale,
punita meno duramente (con un risarcimento economico) in quanto non prevedeva la
corruzione della moglie, le donne infatti avrebbero odiato il violentatore mentre
sarebbero rimaste più legate all’adultero che al marito nel caso della seduzione.
Il problema dell’adultero è che mette in dubbio la successione legittima e la paternità dei
figli.
Le leggi non solo assolvono l’azione di Eufileto ma la hanno incoraggiata esse stesse.
Sono di guida per i cittadini, e li spronano a farsi giustizia dei torti.
È giusto e positivo per la legge che i giudici confermino con la sua assoluzione questa
normativa.
Nella refutatio Eufileto confuta le accuse che gli vengono fatte, non ha introdotto
Eratostene in casa per incastrarlo.
Né se l’avesse fatto l’avrebbe fatto sulla base di un pettegolezzo o solo di parole, ma
perché si erano compiuti dei fatti, tra l’altro era stata ripetutamente violata la sua
proprietà.
A che pro, chiede, congedare infatti il suo amico Sostrato?
Avrebbe potuto punire con lui l’adultero, che magari sarebbe stato scoraggiato
dall’entrare in casa con la presenza dell’ospite, il che smentisce le accuse di
premeditazione dei parenti di Eratostene.
Accuse tra l’altro smentite dalla difficoltà di rintracciare amici, nel caso li avrebbe
preavvisati avrebbe potuto trovarli tutti in una casa vicina piuttosto che cercarli di notte,
a volte con scarso successo!
Preavvisare amici e servi sarebbe significato anche entrare in maniera più sicura a casa,
cosa che invece non è accaduta, rischiando.
Ascoltati i testimoni, Eufileto respinge anche le accuse di aver qualche inimicizia
precedente con Eratostene, negando che ve ne fossero.
Non c’erano motivi per un’eventuale inimicizia, l’unico dissidio è il tradimento.
Addirittura Eufileto non ha mai visto Eratostene prima della notte dei fatti! Spinto dalle
offese ha corso il rischio di aggredire uno sconosciuto.
E circa le accuse di empietà si domanda il perché l’avrebbe commessa davanti a testimoni
che lui stesse avrebbe chiamato.
Eufileto nella perorazione ai giudici ribadisce cosa l’ha spinto a commettere l’omicidio:
non una vendetta privata ma il bene della città, un gesto esemplare per dissuadere altre
persone dall’adulterio, mettendo a rischio la legittimità dei figli, e quindi l’ordine della
Polis (solo i figli di cittadini erano cittadini!).
Se non si fanno rispettare le leggi vigenti che tutelano l’omicidio legittimo sarebbe più
giusto abolirne ed istituirne di nuove.
Infatti punire Eufileto significherebbe mettere in dubbio le leggi, e per di più punire con
la morte un cittadino onesto.
Infatti – conclude Eufileto – lui si sta giocando tutto ciò che ha, dalle ricchezze alla vita
stessa, per aver obbedito alla Legge della città.
Sommario
Propedeutica ..................................................................................................................................................... 3
L’Oratoria Giudiziaria ..................................................................................................................................... 3
Il processo ...................................................................................................................................................... 3
Il logografo ..................................................................................................................................................... 3
Lisia .................................................................................................................................................................... 4
Vita................................................................................................................................................................. 4
Orazioni ......................................................................................................................................................... 4
Stile ................................................................................................................................................................ 5
Fortuna .......................................................................................................................................................... 5
L’Orazione .......................................................................................................................................................... 5
Trama............................................................................................................................................................. 5
Tesi di Eufileto ............................................................................................................................................... 5
Personaggi ..................................................................................................................................................... 5
Lingua e Stile.................................................................................................................................................. 6
Ὑπὲρ τοῦ Ἐρατοσθένους φόνου ἀπολογία Apologia per l’uccisione di Eratostene .......................................... 7
Esordio (1-5) .................................................................................................................................................. 7
Narratio (6-26) ............................................................................................................................................... 8
Argomentatio (parr. 27-36) ......................................................................................................................... 11
Refutatio (parr. 37-46)................................................................................................................................. 13
Peroratio (parr. 47-50)................................................................................................................................. 14
Note ................................................................................................................................................................. 16
Per la traduzione ......................................................................................................................................... 16
Per la comprensione .................................................................................................................................... 19
Sommario ........................................................................................................................................................ 22
Realizzato il 30/03/2016 da Paolo Franchi, 5°BC (A.S. 2015/2016), utilizzando gli appunti della prof.ssa Angela
Preziosi, il testo pubblicato su www.poesialatina.it ed il libro Lisia, Per l’uccisione di Eratostene a cura di G.
Korinthios. Ringrazio tutti quelli che hanno collaborato.
AMDG