“Una riforma che serve all`Italia. Verso il referendum costituzionale
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“Una riforma che serve all`Italia. Verso il referendum costituzionale
“Una riforma che serve all’Italia. Verso il referendum costituzionale” Roma , 11 ottobre 2016. Relazione di Alberto Stancanelli La decisione sul voto referendario di ognuno di noi deve, a mio avviso, tenere conto di due considerazioni di carattere generale: a) è un voto sul complesso della nuova architettura dell’Ordinamento della Repubblica, ossia sul complesso della riforma, ogni parte è posta in relazione con l’altra; b) è un voto che non può prescindere comunque dalla verifica dell’esistenza di un equilibrio funzionale tra i poteri dello Stato Cercherò di non entrare per quanto possibile nel dettaglio delle disposizioni, evitando di cadere in un tecnicismo che poco si addice ad un voto referendario che coinvolge milioni di italiani, rimanderei comunque alla breve analisi dello scorso luglio pubblicata sul sito. La discussione tecnico-giuridica è ampiamente avvenuta in Parlamento, nelle competenti commissioni, con approfondimenti, valutazioni e audizioni di costituzionalisti ed esperti. Proverò ad evidenziare l’aspetto sistematico e complessivo con l’obiettivo di ricercare una prevalenza delle ragioni a favore su quelle contrarie. Questo è il ruolo del voto popolare nel referendum confermativo sulle riforme costituzionali come previsto dall’art. 138 della Costituzione, cioè decidere sul modello complessivo dei rapporti tra le Istituzioni della Repubblica, che il Parlamento, con una doppia votazione, sottopone, ove non approvata con una maggioranza qualificata, alla conferma dei cittadini. Se così non fosse e il tutto fosse rimesso esclusivamente al diritto o alla tecnica costituzionale-parlamentare, ben potremmo allora delegare o rimettere il giudizio finale non al referendum popolare, ma all’Associazione Italiana dei Costituzionalisti. Dico questo, chiaramente in modo paradossale, poiché mi ha colpito la recente intervista a L’Huffington Post del prof. Alessandro Pace che affermando che dalla parte del No si sono schierati ben 10 ex presidenti della Corte Costituzionale, ricordava come loro (quelli del Sì) hanno soltanto Sabino Cassese, ed anche “..se è stato un ottimo giudice costituzionale, non è un costituzionalista, ma un amministrativista.” Che Sabino Cassese sia un amministrativista, anzi un dei più importanti amministrativisti italiani, non c’è ombra di dubbio, ma che abbia, secondo il prof. Pace, in qualche modo un “peso minore ”, o che il giudizio positivo espresso non sia rilevante quanto quello degli ex giudici 1 costituzionalisti, o ancora che sia un problema di “pesatura” di quanti giuristi stanno da una parte o dall’altra, potrebbe dimostrare, oltre ad un modo banale di affrontare la discussione, forse anche la pochezza delle ragioni del no. Poi non oso immaginare cosa penserebbe il prof. Pace di chi vi parla, o del prof. Pietro Boria, ordinario di diritto tributario e quindi non un costituzionalista, che parlerà dopo di me, o ancora di quei milioni di semplici cittadini chiamati ad esprime un giudizio il prossimo 4 dicembre. Comunque non mi sottrarrò ad affrontare da un punto di vista giuridico se pur brevemente alcuni punti della riforma costituzionale che sono stati oggetto di critica. Vorrei però brevemente dirvi quali sarebbero state le ragioni che sicuramente mi avrebbero spinto verso il No. Ragioni che non sussistono nella riforma approvata. A mio avviso qualsiasi riforma costituzionale deve rimanere sempre e comunque nel solco di un corretto equilibrio tra poteri dello Stato: Legislativo – Esecutivo – Giudiziario, ai quali ritengo vadano aggiunti, come è nella nostra Costituzione, sempre due soggetti di garanzia che possano prevenire e dirimere qualsiasi conflitto: il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale. Ecco: io voterei No se nella proposta del nuovo assetto organizzativo della Repubblica questo equilibrio tra poteri fosse messo in discussione o fossero limitati i poteri di garanzia. La riforma invece non modifica l’assetto tra i poteri e non limita i poteri di garanzia: a) Non muta il rapporto Parlamento (Camera dei Deputati) - Governo, non si modificano i poteri del Presidente del Consiglio (come nella riforma Berlusconi nella quale concretamente il Presidente del Consiglio poteva sciogliere le Camere o, con l’ introduzione del vincolo di mandato, limitare di fatto la libera determinazione del parlamentare). Anzi nella riforma costituzionale i poteri del Parlamento si rafforzano, (Franco Bassanini) con i limiti alla decretazione d’urgenza; con il voto a data certa, si pongono di fatto limiti all’uso del voto di fiducia sulle leggi di conversione dei decreti legge o sui disegni di legge. b) Non si introducono limitazioni ai poteri di garanzia del Presidente della Repubblica, anzi se ne rafforza il ruolo in quanto non è più espressione della sola maggioranza, ma grazie al quorum dei 3/5 dei votanti il Presidente può 2 diventare strutturalmente espressione anche delle opposizioni,(Franco Bassanini) se chiaramente le opposizioni evitassero di assentarsi dall’ Aula al momento delle votazioni (cosa peraltro biasimabile anche ai sensi del nuovo art. 64 che prevede un dovere di partecipazione alle sedute dell’Assemblea e ai lavori delle Commissioni. Solo per dare il senso dei numeri: composizione del nuovo Parlamento 730, maggioranza semplice 366, maggioranza dei 3/5 438 che ben può rappresentare anche parte delle opposizioni). c) Non c’è alcuna compressione del ruolo della Corte costituzionale, anzi se ne rafforza la funzione con la possibilità di esprime, se richiesto dalle minoranze, il parere sulle leggi elettorali prima della loro entrata in vigore. Non voto No, quindi, perché l’assetto tra i poteri dello Stato con questa riforma resta in pieno equilibrio a garanzia del rispetto dei principi democratici. Non voto No perché questo referendum è solo un referendum sulla nuova organizzazione della Repubblica e non tocca ( e non potrebbe toccare per il limite a mio avviso dell’art. 139 Cost.) i principi fondamentali della Prima Parte e anzi consente di realizzare al meglio nella giusta flessibilità dei tempi i principi enunciati nella Prima parte. Tutti questi elementi che ho cercato di evidenziare, non solo con la freddezza del diritto, ma anche con il sentimento che mi coinvolge quando si tratta di difendere i principi democratici che sono stati conquistati con il sacrificio di molti italiani quasi settant’anni fa, per me sono determinanti per accettare una riforma della Carta Costituzionale. Ritengo quindi, che sia giusto votare a favore di questa riforma, perché è la giusta conseguenza della necessità di modernizzare gli strumenti previsti dalla Carta Costituzione per semplificare, nel rispetto di un corretto equilibrio tra i poteri costituzionali, i processi decisionali per adeguare la velocità delle nostre Istituzioni alla velocità con cui oggi si muove il sistema globale, e tutto ciò deve prescindere dal contingente delle fisiologiche conflittualità della politica. Voto Sì perché il mio voto non è influenzato in alcun modo dall’attività e dalle politiche del Governo; in alcun modo è condizionato dalle scelte, dai provvedimenti emanati in questi due anni, dal Governo; la discussione sul referendum costituzionale, non può essere il luogo dove esprimere o fare valutazioni sull’operato del Governo. I 3 governi sono per loro natura transeunti, le riforme costituzionali sono destinate a durare nel tempo, e un giudizio più o meno positivo sul presente, non deve privarci di guardare, con quel sano distacco, a ciò che può essere il futuro. Voglio però affrontare alcuni aspetti della riforma che costituiscono un elemento di riflessione tra gli esperti. Innanzitutto i contenuti che concretamente innovano la nostra Costituzione che sono ben limitati: a) composizione del Parlamento b) nuovo Senato c) nuovo procedimento legislativo (monocameralismo e superamento del bicameralismo paritario) ed in particolare il comma 7, dell’art. 70 con il voto a data certa senza particolare poteri del Presidente del Consiglio dei ministri (il voto a data certa è chiesto dal governo nella sua collegialità) d) fiducia al governo da parte della sola Camera e) superamento della legislazione concorrente e nuovo rapporto Stato-Regioni Alle quali aggiungo la soppressione del CNEL e delle Province Tutte le altre modifiche introdotte con la riforma sono consequenziali con richiami lessicali o mere norme di coordinamento. Quindi, i punti qualificanti della riforma riguardano: superamento del bicameralismo perfetto, il procedimento legislativo con il nuovo Senato delle autonomie e il nuovo Titolo V nel rapporto Stato-Regioni. (cfr. Sabino Cassese) Del nuovo Titolo V vi parlerà subito dopo di me il prof. Pietro Boria. Con la riforma si abbandona il bicameralismo perfetto. Si prevede un bicameralismo limitato su determinate materie, ossia la regola è il monocameralismo al quale in via residuale si aggiunge il bicameralismo c.d. imperfetto, affievolito, asimmetrico o per materie e che rappresenta l’eccezione. Le materie sono le seguenti: a) b) c) d) Leggi di revisione costituzionali e leggi costituzionali Referendum popolare e altre forme di consultazione Sistema elettorale Ordinamento della legislazione elettorale e organi di governo e funzioni fondamentali dei comuni e forme associative di leggi conseguenti alla partecipazione UE, ineleggibilità e incompatibilità 4 o ancora legge per Roma capitale, Autonomia differenziata o principi fondamentali per l’elezione Consigli regionali Con la riforma, con il nuovo Senato e con le leggi bicamerali, le autonomie territoriali assumono un ruolo qualificante nelle scelte, anche per mezzo di una funzione di controllo, della politica nazionale. Ciò comporta inoltre una forte sinergia tra il Senato e la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città autonomie che potranno al meglio continuare a svolgere una funzione di partecipazione delle autonomie all’azione amministrativa dell’esecutivo e agli atti di alta amministrazione. In definitiva possiamo dire che le leggi bicamerali sono leggi di carattere ordinamentale. Le materie elencate nell’art. 70 sono nel complesso chiare e l’ordinamento consente di avere tutti gli strumenti per dirimere gli eventuali dubbi (tra i Presidenti delle assemblee o anche davanti alla Corte Costituzionale se dovesse servire), quindi se escludiamo le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, le materie sono proprie del sistema delle autonomie e di regolazione degli assetti istituzionali. Non mi spaventa quindi l’obiezione da alcune parti avanzata che si potranno avere con il nuovo Parlamento maggioranze diverse tra Camera e Senato; le materie di legislazione bicamerale attengono alle regole comuni e ben venga la ricerca, se ci fosse l’occasione (essendo il Senato dinamico, rispetto alla stabilità della Camera soggetta normalmente al ricambio ogni cinque anni) di una maggioranza comunque qualificata. Altra questione attiene al “richiamo” (cioè la possibilità di chiedere da parte del Senato l’esame ed eventualmente proporre modifiche alle leggi di competenza esclusiva della Camera). Ciò può essere visto anche come una forma di controllo (così Massimo Luciani). La politica non si fa solo in Parlamento, e il “richiamo“ è anche uno strumento per evidenziare al Paese una scelta importante e qualificata che la Camera ha assunto in un determinato settore o ambito: può essere un valido collegamento con l’opinione pubblica, e anche di collegamento tra i senatori e il loro territorio. Vorrei poi spendere due parole sulla questione che ogni tanto si sente nelle discussioni da parte dei sostenitori del No: l’immunità parlamentare estesa di fatto ai consiglieri e sindaci eletti senatori Premesso che non credo sia in discussione l’immunità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni, resta da capire a quale immunità ci si riferisce. Per 5 me immunità vuol dire possibilità per il parlamentare di sottrarsi al processo, ossia limitare l’esercizio dell’azione penale del pubblico ministero. Credo di ricordare che l’ultimo caso di immunità parlamentare risalga al 1993, ossia all’improcedibilità votata dalla Camera per alcuni reati contestati all’on.le Bettino Craxi. Infatti, con la legge costituzionale del 29 ottobre 1993, n. 3, l’art. 68 della Costituzione è stato sostanzialmente modificato, prevedendo l’autorizzazione del Parlamento esclusivamente per la perquisizione o l’arresto (quest’ultimo consentito chiaramente in esecuzione di sentenza irrevocabile). Dal 1993, non vi è alcun limite verso i parlamentari all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero: l’indagine, l’udienza preliminare per l’eventuale rinvio a giudizio, il dibattimento e la sentenza procedono senza alcuna interferenza della Camera di appartenenza dell’imputato. Poi nel caso specifico della riforma il senatore è strettamente legato al suo status di consigliere regionale o di sindaco e, laddove si arrivasse ad una sentenza di condanna di primo grado e il reato o la pena rientrasse nelle previsioni della legge Severino, la conseguente sospensione da amministratore regionale o locale comporterebbe l’automatica sospensione da senatore. Torno al rafforzamento del Parlamento previsto nella riforma e in particolare delle opposizioni: è previsto lo Statuto delle opposizioni. Nella Costituzione entra formalmente il riconoscimento del ruolo e delle garanzie delle opposizioni. Quindi si costituzionalizza il ruolo e la funzione delle opposizioni, se è pur vero, come si sostiene, che ciò poteva raggiungersi anche con i Regolamenti parlamentari è indiscutibile che tale ruolo assurge a valore Costituzionale (oggi la parola opposizione è assente dalla nostra Carta Costituzionale), e che le opposizioni potranno, a mio avviso, far valere il loro diritto allo Statuto, in caso di inerzia da parte della maggioranza, davanti alla Corte Costituzionale. Altro aspetto importante che ho già toccato è il limite previsto alla decretazione d’urgenza con il consequenziale maggior controllo sui presupposti da parte del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale . Mi avvio alla conclusione, ma vorrei tornare brevemente alle leggi bicamerali: abbiamo visto che sono leggi ordinamentali ed essendo appunto bicamerali viene meno la possibilità da parte del Governo di condizionare, su queste leggi, il Parlamento, ponendo il voto di fiducia, che, in questo caso, sarebbe possibile solo alla Camera. Proprio sulla fiducia al governo, attribuita nella riforma alla sola Camera, vorrei fare un’ultima considerazione sul ruolo dei senatori a vita, non particolarmente rilevante, 6 ma significativa nella storia degli ultimi vent’anni: i senatori a vita, con la riforma, non potranno essere più determinanti, come in passato, per la nascita dei governi: ricordo il peso dei senatori a vita nel Governo Berlusconi del 1994 (elezione del Presidente del Senato proposto dalla maggioranza di centro destra, che aveva vinto le elezioni, per un voto determinante di un senatore a vita 162 a 161) e il ruolo determinante per l’esistenza in vita del Governo di centrosinistra (o dell’Unione) del 2006. Chiudo veramente e rapidamente sull’obiezione dell’elezione indiretta dei senatori in relazione alla funzione legislativa: non credo esista nell’art. 1 della Costituzione un limite alla rappresentatività di secondo livello; la democrazia indiretta ammette la possibilità di una rappresentanza politica di secondo livello, come per gli organi costituzionali formati dai collegi immediatamente eletti dai cittadini (consigli regionali) o altrimenti sorretti dal maggior consenso dei collegi stessi (Livio Paladin)(Presidente della Repubblica, Governo nella decretazione d’urgenza e anche nei decreti legislativi dove non sempre i criteri di delega sono così puntuali) In ultimo consentitemi di ritornare ai valori contenuti nella Prima Parte della Costituzione, che ne fa senza ombra di dubbio la più bella del mondo, espressione di quel corretto compromesso tra il pensiero cattolico, liberale, socialista e marxista proprio del Novecento, e rappresenta sempre e comunque un parametro imprescindibile e vincolante a garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo e dei cittadini, nell’esercizio dei poteri del Parlamento, dell’Esecutivo e del Giudiziario, qualunque sia l’assetto Ordinamentale della Repubblica: scriveva Costantino Mortati nella voce “Costituzione della Repubblica italiana”dell’Enciclopedia del diritto: “L’insieme veramente imponente delle garanzie poste nella prima parte, così organicamente ordinate fra loro deve essere apprezzato non solo per il suo valore diretto di protezione della persona, ma altresì per l’influenza indiretta che la maggior parte delle medesime esercita sul buon esercizio delle libertà politiche e quindi sulla funzionalità del complessivo regime democratico.” 7