92 Del resto lo sappiamo bene: le parole dei
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92 Del resto lo sappiamo bene: le parole dei
Falso movimento Del resto lo sappiamo bene: le parole dei registi sono una cosa, i loro film un’altra. Sapete chi altro, nel panorama artistico italiano del secondo dopoguerra, ha fatto del potrei/dovrei/se solo sapessi/se solo potessi un cardine del proprio lavoro? Luigi Tenco. Ecco, la domanda è questa: Tinto Brass saprà di essere lo zio sporcaccione di Luigi Tenco? Il punto con Tinto è che in Italia siamo sempre abbastanza grotteschi quando si tratta di gestire i nostri fatti pubblici e politici, ma abbiamo l’incapacità di usare il grottesco o il demenziale o il carnevale, appunto, per leggere la realtà. O almeno: quando qualche artista si presenta con queste frecce al suo arco, subito lo consideriamo di serie B. Negli Stati Uniti – per citare un paese che di certo non è il massimo della liceità – Frank Zappa è considerato un genio, i film di Russ Meyer (l’equivalente USA di Tinto Brass, solo attratto dalle pettorute) sono cult e John Landis aveva a disposizione milioni di dollari per mettere in scena epici inseguimenti automobilistici, che finivano in un’orgia demenziale di lamiere contorte. Qui da noi i geniali Elio e le Storie Tese hanno dovuto lavorare per trent’anni prima di essere riconosciuti come artisti tout court e dalla loro avevano, almeno, la patente di musicisti virtuosi. Tinto Brass, in quanto a tecnica, non aveva niente da invidiare a quel Russ Meyer che abbiamo citato. Aveva lo stesso spirito selvaggio, le associazioni giuste (Tinto è sempre montatore dei suoi film) e la capacità di imporre le sue attrici nell’immaginario. Certo che proprio come il suo gemello sanguinario Dario Argento anche lui gode di maggior fama all’estero (Francia soprattutto) piuttosto che in Italia. Qui in Italia, per tutti Tinto è un porcello che invade i nostri cinema, ma non bisogna dimenticare che questo scanzonato erotomane ha contribuito in modo notevole all’affermazione del cinema italiano all’estero e ha fatto fare una montagna di soldi ai produttori, allora ben contenti di finanziare i successi-annunciati come La chiave, Paprika, Così fan tutte, Miranda ecc. CONCLUSIONI Oggi la fortuna sembra aver voltato le spalle a Tinto. Dalla morte di sua moglie (2006), che in molti dicevano la vera mente ideatrice dei suoi film, il regista non ha praticamente fatto più film e comunque erano almeno dieci anni che, si capisce, non aveva più niente da dire. La tensione acidula degli esordi si era stemperata in un mare di carne, ma gli umori che agitavano quella carne, umori finanche blasfemi, si erano dissolti nell’aria alla metà degli anni ’90 del secolo scorso. Il sesso non era più strumento di lettura della realtà, né provocazione, né sberleffo, né goliardia: dall’Uomo che guarda in poi (e forse anche un po’ prima) il sesso era diventato solo macchietta. Ecco cosa c’è dietro a quello zio che nessuno vuole nel proprio salotto, ma che tutti non possono fare a meno di invitare. Tutti credono che ogni anno si ripresentino le stesse scene imbarazzanti e divertenti perché non si può fare a meno d’invitare lo zio derelitto, ma la verità è che intorno a quella tavola si siede un uomo complesso, che parla di carne per non parlare della morte, che sa cosa significa perdere qualcosa e il valore di dire Ah, se potessi…, ma lo nasconde dietro al fumo del suo sigaro. Eppure Tinto Brass non è incatenato a niente. Tinto Brass è libero: è libero di rilanciarsi, di rimettersi in gioco. Senza chiedergli di fare qualcosa di completamente diverso rispetto alla sua storia professionale ed esistenziale. Tinto è libero di riprovarci, di tornare a metterci il cuore nei propri film, senza snaturarsi, ma tornando a essere onesto con se stesso e con i propri spettatori, perché se inganni il tuo pubblico quello prima o poi se ne accorge. E non perdona. Silenzio in sala. Comincia la proiezione. Nuove direzioni • n. 6 novembre-dicembre 2011 92