Carugate, sala mensa, 15/9/2007 Illustrissimo Signor Dottor Editore

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Carugate, sala mensa, 15/9/2007 Illustrissimo Signor Dottor Editore
Carugate, sala mensa, 15/9/2007
Illustrissimo Signor Dottor Editore,
mi chiamo Stranito Ivo, so che Lei ha già sicuramente sentito parlare di me.
Sono il soggetto del libro che avrà, in mezzo ad altri, sulla Sua luccicante scrivania,
all’interno del quale so, pur non avendolo letto, di essere trattato come uno stupido
ma ci tengo a farLe presente, con una vigorosa quanto breve impennata di orgoglio,
che io sarei perito aziendale con l’umile ma considerevole punteggio di 50/60 e avrei
anche al mio attivo quattro esami di economia e commercio.
Infatti mi sarei permesso, sperando di non recarLe disturbo, di allegare a questa
mail il mio curriculu vite, proponendomi per la Sua Spettabilissima casa editrice che
io ammiro molto, specie per la pubblicazione di “100 colpi di spazzola prima di
andare a dormire” di Melissa Pi dalla quale sono attratto in maniera indecente e
scandalosa e con la quale vorrei fidanzarmi in casa perché è sincera ed elenca i suoi
uomini con dovizia di particolari, cosa che in realtà, Le devo confessare dottore, mi
fa molto soffrire.
Potrei essere un ottimo collaboratore; non pretendo di essere assunto come
giornalista o affini, non saprei da chi farmi raccomandare e so che circa questo
argomento siete giustamente rigorosissimi. Mi basterebbe un qualunque impiego
purché, scusi l’ardire, non inferiore ai tre mesi rinnovabili. Vi consiglierei anzi di
assumermi tre mesi, poi licenziarmi e riassumermi, in questa maniera potreste
mantenere il mio stipendio sempre il più basso possibile e io non mi lamenterei mai,
né mi rivolgerei ai sindacati che intanto, si sa, non fanno nulla.
Non pretendo ovviamente nessuna di quelle antiquate fesserie tipo ferie pagate o
tetto di otto ore giornaliere, né rimborsi spesa o arroganterie del genere, al contrario
dimostrerei quotidianamente buona volontà e abnegazione; l’unica dimessa richiesta
che mi permetto di avanzare è quella di poter conoscere la suddetta Melissa Pi.
Sarei reperibile, flessibile e automunito. Attendo fiducioso Sue notizie!
Ma torniamo al primo argomento di questa mia.
Probabilmente Lei non conosce Simone Repetto e la cattiva ma sacrosanta fama che
lo accompagna. Purtroppo io, al contrario, ho questa sfortuna.
Si tratta di un essere riprovevole che io detesto più del pesce crudo.
Egli, avendo inizialmente estorto la mia fiducia, tanto da riportare le mie gesta
prima sul suo blog e in seguito in uno spettacolo teatrale da lui pessimamente
interpretato, ora vorrebbe mettermi in ridicolo anche tramite libro.
La cattiveria e l’insensibilità di quell’uomo non hanno eguali in tutte le terre
conosciute tanto che io e la mia nuova fidanzata, tra di noi, lo chiamiamo
confidenzialmente Erode o Bin Laden.
Egli ha già finto e forse continuerà a fingere attenzione nei miei riguardi, si
atteggerà a persona sensibile, si sforzerà insomma di apparire umano; ma egli non è
umano, è una carogna!
Attingendo le forze dalla nuova mentalità lavorativa e televisiva che ci hanno
saggiamente inculcato che dimostra come la delazione sia una virtù e non, come ci
avevano erroneamente insegnato i nostri nonni, una bassezza, Le riporto qualche
fatterello circa quel brutto individuo che vorrebbe diventare un Suo autore: tanto per
cominciare ha un brutto carattere, non è sé stesso, non si integra nel gruppo e non
condivide le sue emozioni perché è una persona falsa…già tutto ciò mi pare
gravissimo! Poi ha poca voglia di lavorare (fa l’attore...non so se mi spiego!), si dice
sia fondamentalmente anarcoide e non sempre ma abbastanza spesso calpesta le
aiuole; ostenta un sorrisino ironico ai miei occhi molto fastidioso, risponde a volte a
tono senza rispettare l’autorità, è avido e, azzardo, secondo me, anche un po’
pervertito…insomma Lei capirà che io lo odio sommamente anche più del pesce
crudo! Scusi lo sfogo!
Comunque so che Simone Repetto oggi Le ha spedito il suo miserabile manoscritto
con le mie disavventure, so anche che potrebbero essere divertenti e raccontare le
disgrazie di questa generazione mia sfigata e del suo più sfigato rappresentante,
varrebbe a dire io; ma Lei capisce che non è così allettante apparire in un libro come
esempio della sfiga più alta della propria generazione!
Confido pertanto nel Suo buon cuore, Meraviglioso, Egregio, Illustre Editore. So che
Lei non permetterà che un bravo ragazzo come me venga esposto al pubblico
ludibrio a vantaggio di quel cialtrone di Simone Repetto.
L’ultima cosa che vorrei sarebbe vederlo su Italia1 a “Lucignolo Bellavita” grazie
alle mie tragedie quotidiane.
Tengo a precisare però che non ho nulla contro Italia1 che è anzi forse la mia rete
preferita assieme a Rai1, Rai2, Rai3, canale5, rete4 e la7 e alle reti pay che non mi
posso permettere ma so che sono bellissime e trasmettono format di elevato e
rispettabilissimo livello culturale almeno tanto quanto Lucignolo Bellavita.
SalutandoLa Le ricordo, senza essere pedante, la mia dimessa richiesta di
assunzione che sarei felice Lei accettasse così che io possa in seguito ringraziarLa di
persona per la nobile scelta che sicuramente opererà non pubblicando “L’uomo
senza dopodomani ovvero il primo lagrimoso catastrofico quaderno del perito Ivo
Stranito ”.
Rispettosamente Suo,
perito Stranito Ivo
1 - Ivo, disprezzandomi, mi consegna i suoi quaderni
La mattina che incontrai Ivo era una mattinata di primavera, fresca da fare brillare gli
occhi. Durante la notte aveva piovuto, le strade erano linde, i sassolini dei giardini
sembravano biglie e i colori tutt’intorno fiammeggiavano.
Suonai a casa sua che non erano nemmeno le nove; da un po’ stavo operando su Ivo
un certo pressing per avere i diari che, non senza fatica avevo scoperto, aveva l’uso di
tenere.
Mi aprì con un pigiama da corsia e con quello sguardo da semolino riscaldato. Quel
ragazzo sembrava portasse con sé una specie di polvere grigia, tanto che, al suo
passaggio, tutto assumeva contorni autunnali.
Mi invitò ad entrare con un gesto; sapevo che mi odiava profondamente ma non
aveva il coraggio di affrontarmi di petto. Se avesse potuto mi avrebbe chiuso le dita
nella porta e mi avrebbe liberato tranciandole; mi guardava di sottecchi, girandomi
attorno circospetto, senza risolversi sull’atteggiamento da assumere come se, invece
di un uomo, avesse di fronte un bagno alla turca; ma non appena il mio sguardo lo
sfidava, abbassava subito gli occhi che cercavano rifugio nel soffitto o fra i pochi libri
sparpagliati su una mensola dell’ingresso.
-
aspetta che mi cambio…
mi disse, già rassegnato al suo destino.
-
fatti pure un caffè, tanto lo so che anche se non te lo dico ti servi lo stesso…
che fai sempre come se fossi a casa tua…
Misi su la moka dando un’occhiata al deprimente appartamento di Ivo…definirlo
appartamento è decisamente eufemistico, vive in una specie di armadio a quattro ante
senza cassetti. Ambiente unico, “moderno”, dice lui per darsi un tono: solo una porta
per separare il cesso e una tenda a riparo della zona notte.
Sul fischio della caffettiera Ivo ritornò vestito del suo solito abito disarmante:
pantaloni neri leggermente larghi, camicia color gas di scarico male in arnese,
cravattina blu di lanetta già fuori moda negli anni ‘70 e giacchetta a quadretti
aderente grigio lapide.
Fisicamente non è neppure da buttar via: ha buona statura, capelli radi ma dignitosi,
una pancetta tollerabile e persino l’azzardo di due baffetti curati ma nel complesso, a
guardarlo tutto insieme, sembra un piccione morente sulla corsia di emergenza della
A7.
Da una quindicina di giorni, tutte le mattine mi presentavo da lui perché volevo mi
consegnasse i famosi quaderni.
-
non è che non te li voglio dare ma vorrei che, se non ti dispiace, insomma,
gentilmente, vorrei sapere che uso ne farai…
Aveva sempre quel fare ostentatamente dimesso che veniva voglia di passargli sopra
con la ruspa.
-
Ivo…non so, ci scriverò qualcosa, l’idea all’inizio era quella, no?
Sì, ma già sul blog mi hai fatto fare delle figure, pure dal tuo spettacolo non
è che ne uscissi benissimo, ora anche questa…
-
Dai, su, non fare storie…
-
Sì, sì, lo so che tanto tornerai qui finché non li avrai…
-
Appunto.
Ivo si avvicinò ad una mal montata scrivania dell’Ikea, come, d’altronde, il resto del
mobilio dell’armadio-uso cucina, e ne estrasse un paio di quaderni che aprì davanti a
me e che mi apparvero subito scritti fittamente, senza ordine, fatta eccezione per delle
avvilenti cornicette scarabocchiate che separavano i momenti raccontati.
-
ti vorrei chiedere di non farli leggere perché mi vergogno ma tanto lo so che
tu, per far ridere, venderesti tua madre quindi lo farai lo stesso…almeno
controlla che non ci siano gli errori della grammatica e della sintassi…e anche
l’ortografia…io non ho riletto niente, sennò mi viene da piangere…
disse, soffocando un patetico mugolio.
Poi girò su sé stesso, commiserandosi con un ampio inelegante gesto e si lasciò
cadere su una sedia. Si versò il caffè e vedevo che, all’idea che qualcuno potesse
leggere “le sue memorie”, sudava freddo. Ciò che più di tutto intuivo lo terrorizzasse
era l’idea che li potesse leggere Chiara.
Chiara è la sua ex-fidanzata, lo ha lasciato e lui continua a soffrirne molto, soprattutto
al mattino, senza, per altro, far nulla per voltare pagina.
A dire il vero ha a fianco a sé un’altra donna, se siete così gentili da passarmi il
termine “donna” ma non la ama, mentre Chiara, quando ancora non gli avevano tolto
il gusto di amare, l’aveva amata.
Etta è ributtante: è una ragazzetta secca secca che così, ad occhio, potrebbe avere fra i
venti e i cinquant’anni; ha modi viscidamente gentili e una vocetta stridula e acuta del
tutto simile alla sirena di fine turno, capelli scuri sporcati da una ciocca bianca che si
ostina a non tingersi e nerissima peluria sopra il labbro che rifiuta di tagliarsi ma si
ossigena, assumendo così l’aspetto di un tricheco albino.
La loro è una splendida unione di solitudini.
-
li porterai ad un editore, vero?
-
Prima li leggerò e li metterò insieme…
-
Ma poi li porterai ad un editore?
-
Sì
-
Sei un essere spregevole…avido…
-
Lo so. Mi dai ancora un po’ di caffè?...E’ dell’Ikea la moka?
-
Sì, sarebbe dell’Ikea
-
Perché usi sempre il condizionale?
-
Quale condizionale?
2 – L’uomo senza dopodomani
Il fatto che Ivo usi sempre il condizionale io me lo sono spiegato così: secondo me
rappresenta lo stato della sua vita, la sua precarietà.
Ivo è un precario sociale, un precario sentimentale, è precario in tutto ciò che fa.
Tutto ha avuto inizio una mattina di quindici anni prima.
La sua famiglia era riunita in cucina, attorno alla tavola, guardavano il Tg.
All’improvviso prese la parola un’economista per un approfondimento sul tema dei
futuri mercati; parlò per un po’, spiegò che, da lì a qualche anno, il lavoro avrebbe
cambiato forma, sarebbe sparita la obsoleta figura del lavoratore che passa la vita in
un’azienda e sarebbe stata sostituita da un lavoratore moderno, dinamico, duttile,
flessibile che avrebbe cambiato molti lavori nel corso della sua carriera.
Il padre di Ivo si inchiodò col cucchiaio a mezz’aria e disse una frase che nella sua
sintesi estrema riassunse il futuro di suo figlio; Il signor Stranito Senior sgranò gli
occhi e disse: “oh merda!”.
Ivo, fin da allora, era un ragazzo dalla mente non eccessivamente brillante ma molto
sensibile ed esageratamente impressionabile.
Nel suo cervello l’equilibrio precario dovuto al feed-back che regola i
neurotrasmettitori improvvisamente si alterò, generando una specie di microscopica
tempesta ormonale ed elettrica.
Così almeno gli hanno sempre spiegato gli psichiatri.
Fatto sta che la mattina dopo si alzò e la madre gli chiese se sarebbe andato con un
amico a vedere la partita la domenica seguente; Ivo automaticamente provò a
rispondere ma non ci riuscì; prese un respiro, chiuse e riaprì gli occhi, provò a far
ruotare il collo, a scrocchiarsi le dita ma non riusciva a realizzare il pensiero;
improvvisamente non capiva la domanda.
Disse solo: “in che senso domenica”?
Un piccolo giornale locale che, al tempo, si interessò del caso lo soprannominò:
“l’uomo senza dopodomani”; in psicologia questo fenomeno viene detto “di
rimozione” e generalmente si manifesta circa episodi accaduti nel passato; nessuno
aveva mai pensato che, se gli eventi dolorosi non abitano nel passato ma si ha la
certezza che si trovino nel proprio futuro, la parte della nostra vita che viene rimossa
è esattamente il futuro.
Per Ivo fu così. Il perito Ivo Stranito non riusciva a percepire futuro al di là delle
ventiquattrore immediatamente successive.
Il passato per contrappunto diventò all’improvviso nitido come un’alba in montagna.
Giorno dopo giorno continuamente ed inesorabilmente affioravano dal passato
particolari, aneddoti, facce, sfumature.
Ivo continuava a ricordare, le ondate del tempo gli portavano a riva i cocci ricomposti
delle sue esperienze.
Si sforzava di smettere di ricordare perché aveva l’impressione che cuore e cervello
gli si ingolfassero, come se non avessero spazio sufficiente per tutta quella roba, ma
non ce la faceva e aveva paura che gli scoppiassero di colori.
Così che Ivo, anche oggi che si è abituato ad immagazzinare il passato e che è
leggermente migliorato, imparando a parlare del futuro e talvolta a vederlo per poi
ripiombare nella nebbia , ha tutti i colori dietro le spalle e davanti agli occhi spesso
solo lo spazio di poche ore e poi tutto nero; questo fa di lui un essere ingenuo,
inconsapevole, innocuo, buffo, ferocissimo e spesso patologicamente malinconico.
3 – Ivo e il suo stimolante ambiente lavorativo
Ivo lavora in una grande azienda che vende quasi tutto ma non si sa bene cosa. E’ una
multinazionale che ha sedi in tutte le capitali europee e anche due uffici di
rappresentanza a Pechino e a Detroit.
Ivo lavora a Carugate, vicino all’Ikea, a un paio d’autobus e ad un paio d’ore da casa
sua.
L’azienda vende e compra porta a porta, per telefono, via internet e nelle migliaia e
migliaia di negozi e centri commerciali specializzati che sono, e continuano a
spuntare, come topi dalle cantine, un po’ ovunque.
Ivo lavora lì da tre anni ormai, senza saperlo. Lui è convinto di aver cambiato qualche
centinaio di datori di lavoro, logoi, magliette, caporali e buste paga. Da tre anni ha un
contratto di due settimane al termine del quale viene brutalmente licenziato,
sentendosi sempre un po’ in colpa, come se il mancato rinnovo fosse dovuto a sue
inefficienze. Dopo il licenziamento passa a casa quei tre, quattro giorni dominati dal
terrore di non avere più i soldi per pagare il modesto affitto, poi, puntualmente, la
mattina del quarto o del quinto giorno squilla il telefono e gli viene offerto un
contratto di due, tre, massimo quattro settimane con eventuale (molto eventuale)
rinnovo a condizioni pressoché identiche al contratto precedente. Gli viene
comunicata la nuova sede di impiego che non sempre è differente da quella appena
lasciata ed Ivo tira un sospiro di sollievo credendo nuovamente nella possibilità di
rinnovo.
Si butta sulla scrivania mal montata dell’Ikea facendo ad Etta la solita promessa di
una vacanza, che sarà scontatamente disattesa, e fa i conti sul nuovo stipendio: 3 euro
l’ora se riesce a tenere la persona al telefono almeno 25 secondi, più un incentivo di
10 euro per ogni cliente con il quale raggiunge l’obiettivo.
Il traguardo dei 25 secondi per telefonata è più facile da raggiungere, vista la
specializzazione di Ivo, l’incentivo di 10 euro è già più ostico. A dire il vero c’è
riuscito una sola volta e si trattava di una persona che voleva ordinare un pollo in
agrodolce e un bavaglino in carta origami al ristorante “la muraglia ticinese”.
Avrete capito che Ivo è un telefonista, ma un telefonista speciale.
Lavora in un sotto-ufficio dell’ufficio reclami, che, non a caso, sta in un sotterraneo
sotto le scrivanie dell’ufficio reclami che invece è situato nel seminterrato e gode dei
gas di scarico delle macchine ferme al semaforo.
L’ufficio di Ivo è l’ufficio insulti&improperi, un servizio che solo la sua azienda,
essendo leader nel settore e sempre all’avanguardia, offre ai suoi clienti.
Quando un cliente è deluso da un servizio o da una merce acquistata chiama l’ufficio
reclami per fare civilmente presente che l’azienda non è stata all’altezza delle sue
aspettative. Se, e succede quasi sempre, l’azienda non ha interesse economico a
risolvere il problema o se non ci può fare niente o se anche semplicemente
l’impiegato non ha voglia di rendersi utile, la chiamata viene girata ai telefoni
dell’ufficio sottostante che ha la stessa funzione di un grosso culo nella danza
montanara dello yodel.
I clienti all’altro capo del filo, a questo punto incazzati come gnu della Ande, si
scagliano con veemenza contro Ivo o contro i suoi colleghi ed essi non devono far
altro che stare lì buoni buoni ad incassare il dovuto.
Non è un lavoro faticoso. E’ l’autostima che ne esce un po’ ammaccata!
Tuttavia, come vi dicevo, non era difficile superare i 25 secondi e quindi approdare
alla meta dei 3 euro (quelli dell’ufficio vendite avevano molte difficoltà già ad
arrivare a tanto e si prendevano insulti comunque:
- pronto sono dell’azienda tal dei tali vorrei proporle…
- ma si eviri col compasso!), la cosa difficile era ottenere l’obiettivo che, per l’ufficio
insulti&improperi, consisteva nel riuscire a far calmare l’utente, convincendolo a non
citare legalmente la ditta. Come detto, ad Ivo successe solo quella volta del ristorante
cinese: il cliente voleva il suo pollo, una volta capito che non era il ristorante si
incazzò un po’, già che c’era insultò Ivo quanto bastava ma, intuendo che avrebbe
perso la causa, non denunciò.
La scrivania di Ivo misura 40cmX30, giusto lo spazio per un computer a manovella,
gentilmente venduto sottoprezzo all’azienda da uno slanciato Ivoriano, capitano di un
cargo libanese che avrebbe dovuto trasportare in Togo il materiale informatico
acquistato grazie alla solidarietà di una fondazione benefica, ed un telefono in
bachelite dismesso dalla Telecom e modificato, per conto dell’azienda, secondo le più
moderne tecnologie, da abilissimi tecnici in medio-oriente rigorosamente in età
scolare.
Generalmente Ivo sta appoggiato alla spalliera, assumendo una postura vagamente
scoliotica, tiene le braccia incrociate, non avendo spazio per appoggiare i gomiti, e si
alza con molta attenzione, avendo sopra la testa, inverno ed estate, un ventilatore
rotante che, alla minima distrazione, lo decapiterebbe in maniera truculenta.
Ad aggiungere disagio, dietro di lui eccede nella sua postazione Franchino Trentucci,
l’ingegner Merendina, che si attesta sull’uno e sessanta per 150 Kg. di peso, mangia
in continuazione, respira a fatica, emettendo suoni gorgoglianti, e scoreggia come una
marmitta bucata.
Con l’ingegner Merendina Ivo coltiva, suo malgrado, un’amicizia di tipo aziendale
che fa sì che non solo se lo ritrovi ad ogni apparente cambio di lavoro o effettivo
cambio di ufficio, ma condivida con lui molti momenti del suo tempo libero e delle
sue ore di svago.
Franchino Trentucci è il suo amico, il suo incubo, la sua guida e il suo aguzzino. Tra
loro c’è un rapporto solidissimo e nemmeno l’ombra di un sentimento. Uno qualsiasi.
A terminare il panorama di Ivo c’è Magda Severini, una incerta trentacinquenne
pervasa da un’energia invadente e da un entusiasmo disperato e finto come le sue
tette.
La signorina Severini, come ama farsi chiamare, è il capo di Ivo.
Si tratta di una ragazza sciupata che si aggrappa agli ultimi avanzi di bellezza per
accaparrarsi un marito che, ormai, neppure risponda ai suoi sogni. Intanto, mentre col
fiato corto annaspa contro il tempo, sevizia i telefonisti utilizzando un mobbing più o
meno velato e perfidie di vario genere e maltratta le telefoniste con cattiverie da
tipica zitella isterica.
Laureata da 110 e lode alla cattolica di Milano con master in gestione economicoamministrativa negli Stati Uniti iniziò anni fa come telefonista per avere qualche
soldo il sabato sera e rimase impantanata nell’azienda, anche se lei si ostina a
sostenere di aver fatto carriera; la carriera consisterebbe nella carica di capo ufficio
insulti&improperi dove detiene l’impagabile privilegio di sfogare le frustrazioni che
le derivano da superiori - a cui deve rendere conto - esattamente uguali a lei. La
signorina Severini occupa il suo tempo compilando tabelle di rendimento, segnando
su una lavagnetta bisunta i record del mese, stabilendo premi da assegnare, coniando
slogan e canzoncine atti a motivare “il suo staff”.
Una specie di animatrice di Rimini a cui, nemmeno un corso intensivo di acquagym,
avrebbe rinvigorito le chiappe cascanti.
Magda era il sogno erotico di Ivo; pur non essendo né bella, né affascinante,
esercitava su di lui un’attrazione di tipo gerarchico. Lei lo provocava per dar da
mangiare alla propria vanità e lui si ingoffiva in atteggiamenti sciolti che non gli
appartenevano e azzardava frasi brillanti che cadevano nel vuoto. Tuttavia lei non ci
sarebbe mai stata e lui non l’avrebbe mai sposata.
La Severini ci stava solo con i suoi amanti del sabato sera che, raccontava,
appartenevano all’alta società che frequentava: giovani rampolli di famiglie
importanti, uomini carismatici che davano del tu a politici di peso, brizzolati
intrallazzoni pieni di soldi e di magagne, alla peggio maschi, sì squattrinati, ma dal
fisico bronzeo, giunti a Milano per fare i modelli e naturalmente follemente invaghiti
di lei.
Un giorno, in ufficio, prima dell’inizio del turno, si sparse la notizia che la Severini
fosse stata avvistata in una piazzola di sosta della tangenziale est, non lontana da un
dancing di putrida categoria, a due passi da un motel con i cessi in comune, avere un
ardito rapporto sessuale con un rubizzo camionista rovigotto che, non più guizzante,
faceva leva in modo desolante con la gamba destra sul guard-rail mentre la Severini
rantolava come un cetaceo spiaggiato.
Pare che la Severini indossasse abito e intimo di paillettes giallo ocra.
4 – Ivo e il guanto di sfida al viscido Manfredini
Quella mattina il viscido Manfredini non staccava gli occhi dal decolletè della
Severini, tanto unto di creme abbronzanti da sembrare una grigliata mista.
Valentino Manfredini è uno studente universitario, ha 25 anni, occhi azzurri, capello
fluente, muscoli scolpiti e piede morbido. Insomma una faccia di merda.
Per di più è un arrivista rivoltante che usa ogni metodo per raggiungere i suoi scopi:
fa la spia quando i colleghi sbagliano, finge di aiutarli favorendo gli errori, ostenta
stucchevolmente le sue qualità e si finge schiavo adorante della signorina Severini.
Si tratta del record boy dell’ufficio.
Solo quel mese era riuscito a tranquillizzare quattordici persone, fra le quali sei
avevano perfino chiesto scusa delle loro intemperanze e un’anziana signora lo aveva
addirittura invitato a casa a bere un thè.
Il Manfredini le aveva estorto la pensione con il suo fare da nipote affettuoso e
l’aveva donata all’azienda durante una cerimonia solenne davanti alla timbratrice dei
cartellini.
Il subdolo aveva meritato una medaglia al valore e una menzione d’onore sulla
lavagnetta bisunta alla voce: “eroi della settimana”.
In quei giorni la Severini stava attraversando il ciclico tremendissimo periodo delle
mestruazioni. Lo si poteva intuire dalle setole che le spuntavano dalle orecchie, dalle
zanne che comparivano alle narici e dalle unghie dei piedi che aumentavano a
dismisura donandole il sinistro aspetto di un cinghiale maremmano di pessimo
umore.
Nonostante in quel periodo fosse lontana da qualsivoglia forma di femminilità e
grazia e, di conseguenza, si sentisse un escremento di volatile, il Manfredini la
sbirciva senza pudore affinché lei si sentisse inappropriatamente donna.
Una ragazzetta ignara delle regole auree dell’ufficio, vedendo la continua spola dal
bagno alla sua scrivania dell’Ikea modello “Cleopatra e la serpe”, osò chiedere alla
Severini se si sentisse male.
-
no, perché?
Rispose acida la Severini.
-
vedo che continua ad andare in bagno…
-
perché mi cambio l’assorbente, stronzetta!!!
Gracchiò, accompagnando la parola “assorbente” con un disgustoso gesto che
puntava dritto alle ovaie.
In quei giorni la Severini perdeva ogni sembianza di mammifero e rivelava la sua
vera mostruosa natura che, nel resto del mese, conteneva con una certa maestria frutto
di una posticcia educazione di taglio aristocratico.
Alla vista del gesto volgarissimo la candida ragazzetta scostò la sua dolce treccia
color del grano e vomitò nel cestino delle cartacce; la Severini al rumore del conato
finse un malore per distogliere l’attenzione da quel gesto da angiporto di cui si era
repentinamente vergognata.
A quel punto, quello stronzo del Manfredini, con un fare da telefilm americano, si
lanciò in suo soccorso e la sorresse, cingendola con la mano destra e palpandole
abbondantemente il silicone.
D’improvviso Ivo ebbe uno dei suoi famosi impeti. Era un’inquietante caratteristica
del suo modo di essere.
A mio parere se Ivo fosse nato cinquant’anni fa e invece di essere mio coetaneo
avesse l’età di mio padre o di mio nonno, non sarebbe un esemplare disastroso.
Forse non avrebbe spunti di particolare brillantezza ma sarebbe un uomo dignitoso,
con momenti di simpatia il sabato sera con gli amici.
Un tempo era un passionale, uno con tutti i sentimenti in agitazione e i neuroni in
fermento. Poi ci si sono messi in tanti a stropicciargli l’anima come se fosse carta
igienica e così, pian piano, è diventato quel cosetto piatto che è oggi.
La sua quotidianità è fatta di espressioni simili, tutte denotanti scarsa prontezza.
Tuttavia, dalle pieghe di quell’anima sua stropicciata ogni tanto erompe l’antica
passionalità che fa sì che abbia guizzi di rabbia o di gioia quasi sempre tragicamente
fuori luogo.
La cosa più umiliante è che questi epici momenti durano lo spazio di pochi secondi e
poi, una volta svaniti, lasciano il campo al dispregio dei presenti e al suo colossale
imbarazzo.
Quella mattina successe proprio questo: nel vedere la mano di Manfredini sulla tetta
della Severini, Ivo balzò in piedi rischiando la decapitazione e disse:
-
che cosa fai?
Scostando la mano del Manfredini e facendo cadere la Severini che battè i denti sul
pavimento. Si udì un cigolio sordo come di una piastrella crepata.
-
ma cosa fa Stranito? E’ impazzito?
Disse la Severini tentando goffamente di disincastrare l’incisivo dalla spaccatura.
-
egli le stava toccando il seno sinistro!
Replicò Ivo sempre un po’ inadeguato.
-
davvero? Non me ne ero accorta!
Si indignò la Severini ancora vagamente eccitata.
Il viscido si difese come un leone.
-
Non è vero, non è vero, io sono un puro!
Piagnucolò e l’ingegner Merendina scoreggiò.
Lo stronzo si avvicinò ad Ivo, estrasse il fazzoletto dalla tasca e lo schiaffeggiò.
-
ti sfido!
Disse e sorrise alla Severini come se fosse Lorenzo il Magnifico.
Ivo balbettò qualcosina, soprattutto vocali. Nessuno capì se lo fece perché non aveva
capito il gesto o perché si cacava addosso dalla paura. Valentino Manfredini era
arrivato secondo ai campionati europei di scherma. Specialità: scimitarra ottomana.
La Severini sognava che qualcuno si battesse per lei da quando aveva otto anni e
guardava Lady Oscar in Tv.
-
Stranito, se è vero quel che dice e se è un uomo, accetti!
Ivo sentì la vescica dilatarsi in modo imbarazzante ma ormai non poteva tirarsi
indietro. Assunse la prima espressione agonistica che gli venne in mente: quella di un
amico di Maria DeFilippi prima della decisiva sfida di danza hip-hop. Etta non si
perdeva una puntata.
-
il dado è tratto!
Proclamò Ivo.
-
squillino le trombe!
L’ingegner Merendina, affinché l’insensata frase dell’amico assumesse un vago
significato, scoreggiò per la seconda volta; e come spesso gli succedeva, Ivo esagerò:
-
non ho paura di te…Valentino Manfredini!
Disse masticando le sillabe.
-
a te la scelta dell’arma!
Sicuramente la consapevolezza della sua superiorità avrebbe fatto sì che il Manfredini
optasse per qualcosa di più neutro che permettesse agli sfidanti di partire alla pari.
Infatti disse sicuro:
-
scimitarra ottomana!...tra un’ora in sala mensa!
E girò i tacchi.
Ivo rimase lì come una statua di cera scossa solo dalle pacche sulle spalle degli altri
colleghi e dalla fastidiosa voce di Franchino Trentucci che, impastata di buondì,
ripeteva:
-
io faccio il testimone, eh! Il testimone lo faccio io!
5 – Ivo e il duello
Durante la pausa pranzo c’era un silenzio surreale. Tutti gli impiegati dell’ufficio
insulti&improperi ed anche qualche infiltrato dell’ufficio reclami e dell’ufficio
amministrazione pizzo&estorsioni stavano muti in attesa dell’evento.
Tutti chini sulla loro ciotola di plastica canna di fucile con la protocollare mezza
razione di zuppa del dipendente, vale a dire una poltiglia multicolore dal sapore
indefinito.
Veniva spacciata come un tritato iperproteico pensato dai più illuminati scienziati
alimentari della ditta. Tale pappetta sarebbe stata in grado di fornire uno strabiliante
apporto nutritivo, con lo 0% di grassi, favorendo il miglior rendimento possibile sul
posto di lavoro. Una sorta di dieta perfetta per il corpo e la mente, ideale connubio fra
la dieta mediterranea e le più avanzate ricerche macrobiotiche provenienti dagli
States.
In realtà si trattava degli avanzi di tutti i piani superiori che venivano convogliati in
una macchina tritatutto di ultima generazione che li macinava e li distribuiva negli
appositi contenitori allungandoli e ammorbidendoli con un filo di brodo di dado e una
capsula di coccolino concentrato.
Ivo non toccò quasi cibo per la tensione nervosa; osservava solamente disgustato
l’ingegner Merendina che, di fronte a lui, tagliava a metà i tegolini del Mulino Bianco
con un coltello di plastica e li farciva con la zuppa del dipendente.
Ad un certo punto un sospiro di stupore e ammirazione scosse l’aria. Dalla porta del
WC delle signore spuntò Valentino Manfredini vestito come Jago, con tanto di
orecchino a cerchio all’orecchio, scarpe simil-aladino, pantaloni a sbuffo e faccia
tinteggiata di lucido da scarpe mogano.
Ivo riconobbe nella nuance quella degli stivali della Severini ed intuì che lei stava
dalla parte del viscido moro. Sentì come una gambizzazione di tristezza.
A quel punto si alzò anche lui, stringendo fra le mani una improvvisata sciabola da
samurai che l’amico Trentucci gli aveva rimediato al ristorante cinese all’angolo. “La
muraglia Ticinese”, sempre quello.
Chiese un minuto per cambiarsi mentre gli impiegati si disponevano ordinatamente su
tribune artigianali edificate con le casse dell’acqua minerale.
Rientrò con una calzamaglia da mimo francese, la sua solita camicia grigio gas di
scarico e la cravatta annodata sulla fronte come su una stampa ritraente il glorioso
guerriero Kuan Kung.
Negli occhi aveva una luce baluginante. Tipica di chi vorrebbe invocare la mamma.
Si misero in posizione.
Il testimone del Manfredini era Omar Kazim Gasser, detto “il trancia-infedeli”.
Campione interoceanico di scimitarra ottomana, appartenente ad una famiglia di
integralisti islamici vicina ad Al Qaeda. Un suo antenato aveva protetto Gerusalemme
dall’attacco di due eserciti crociati con la sola forza di un kabab agliato e
naturalmente della sua spada.
Arbitro del match era la signora che lavava i bagni dell’azienda e che, quando ancora
era commestibile, ebbe un amante francese appassionato di parapendio . “Le regole
più o meno sono quelle!”, disse, fra lo scetticismo generale.
I due sfidanti erano uno di fronte all’altro. Alzarono le armi. La signora, quasi
liturgica, disse:
-
via al lancio!
E si dileguò. Dopo un attimo di perplessità diffusa i due si scagliarono l’uno contro
l’altro con un impeto goffo ma violentissimo.
Manfredini faceva roteare la scimitarra come la tigre di Mompracem, Ivo scappava
come la Perla di Labuan.
Manfredini urlava terrificanti frasi incomprensibili come: “Per il potere di
Greiscuuuuul!!!” ed Ivo replicava in maniera altrettanto inspiegabile: “specchio
riflesso, specchio riflesso!”.
A quel punto si spalancò la porta e apparve il Sommo Imperatore Supremo per diritto
Divino, volgarmente detto “responsabile unico delle risorse umane, dott. Elio
Fottola”.
Tutti si raggelarono e rientrarono alle loro postazioni sfilando a capo chino di fianco
all’imperatore come topi.
Manfredini depose la scimitarra. Ivo uscì guardingo dal portavivande.
-
che state a ‘ffa dentro la MIA azienda?
Chiese l’imperatore, mentre gli addetti alla sala mensa issavano in tutta fretta sul
bancone del bar alcune cassette dell’acqua trascinandole per mezzo di canapi alla
stessa maniera degli schiavi egizi; gli stavano frettolosamente costruendo un trono.
Egli si sedette mentre due signorine si misero a fargli vento con due cabaret vuoti e
disse:
-
tu! Extracomunitario!
Ed indicò Manfredini col viso annerito.
-
non sono un extracomunitario, sono un membro di Milano Uno!
Disse togliendosi con due dita il lucido da una guancia con un gesto estremamente
dignitoso del quale Ivo non sarebbe mai stato capace.
-
e non ho fatto niente io! È stato lui, io sono quello che ha donato la
pensione della signora alla ditta…amo questo posto, non farei mai nulla per
danneggiarlo! Tuttavia, se ho sbagliato in qualcosa, non l’ho fatto di proposito
e sono pronto a pagare!
Concluse fingendo commozione e appoggiandosi in modo teatrale alla macchina del
caffè.
-
va bene. Torni a lavorare!
-
Grazie imperatore…Lunga vita all’imperatore!!!
Urlacchiò genuflettendosi.
ro accorta!n po'occando il seno sinistro!si.verini che battè gli incisivi sulle
piastrelle.everini Ivo balzò in piedi6 – Ivo e l’incontro con l’imperatore dott.
Elio Fottola
-
invece tu vieni con me!
-
Senz’altro!
Protestò Ivo.
L’imperatore stava davanti a lui tre o quattro metri e Ivo aveva l’impressione
camminasse ad un paio di centimetri dal suolo con la stessa leggiadria del Nazareno
sul lago di Tiberiade.
Ad un certo punto arrivò il momento di salire. L’imperatore Fottola montò in uno
splendido monoascensore con poltrona e frigo bar ed indicò ad Ivo un altro ascensore
che assomigliava a quelli che portano i lettini in sala operatoria. Solo leggermente più
asettico.
Ivo salì e si sedette in un angolo; il viaggio era lungo, l’augusto sultano ha il suo
ufficio-hangar al terzultimo piano e da lì occorrono due ore e mezza di salita.
Quando le porte si aprirono Ivo vide davanti a sé un paio di alabarde incrociate da
due guardie svizzere di sentinella al piano e sullo sfondo una enorme vetrata davanti
alla quale si stagliava la silouettes di una segretaria che sembrava una velina. La
filodiffusione spandeva note di Gigi D’Alessio nell’aria e lui credette di essere
arrivato in uno strano paradiso o forse a Posillipo e svenne per la vertigine e la
disidratazione.
Si risvegliò assistito da un energumeno lampadato e omosessuale che riconobbe
essere l’autista del leader maximo.
Il dott. Esimio e splendido Elio Fottola ha scelto un autista omosessuale per tutelarsi.
L’estate precedente infatti si era sposato con una prorompente ventinovenne dal
grossolano accento abruzzese che aveva al suo attivo, fino a quel momento, un
calendario estremamente artistico che campeggiava sui muri delle migliori officine e
sui parabrezza dei più raffinati camion intercooler.
Ora è un’apprezzatissima attrice brechtiana.
Il venerabile sceicco Elio Fottola è un uomo che viene dal basso. E’ una persona
semplice e cerca di farlo notare, il più spesso possibile, pulendosi le orecchie col
mignolo.
Ha il curriculum ideale per un uomo nella sua posizione: nessuno sa come abbia fatto
a racimolare i primi miliardi, ha la fedina penale macchiata da qualche piccolo reato
di gioventù, qualche amico a Roma sia di qua che di là e uno sguardo ittico da SS in
pensione che fa intuire sia capace di qualsiasi nefandezza.
Ha quarantacinque anni ma tenta disperatamente di dimostrarne trenta; sembra
sempre di ritorno da una vacanza in barca, veste come Al Capone, non manca
neppure una festa vip in costa Smeralda o in uno dei prestigiosi locali milanesi e non
diserta una puntata di “Porta a Porta” sulla chirurgia estetica o sul viagra neanche con
la febbre a quaranta. E’, insomma, un gran professionista!
Ivo lo ammira come una divinità indù e, nello stesso tempo, lo odia. E’ il suo mito, lo
vede bello come Gabriel Garko, intelligente come Raffaele Morelli, stronzo come la
sua portinaia.
Ebbe un sussulto e si guardò attorno frastornato. La segretaria gli si avvicinò e lo
aiutò ad alzarsi non riuscendo a reprimere un certo disgusto.
Gli occhi di Ivo scivolarono sul suo tailleur leggermente aperto sul davanti e sui suoi
tacchi a spillo militarmente lucidati e accusò una piccola istantanea erezione.
Donne così le vedeva solo a Lucignolo Bellavita e si inveleniva come uno scorpione,
dimenandosi sul divano come una tinca presa all’amo. Quella trasmissione per lui era
una passerella di gente realizzata. Era convinto che non esistesse altra felicità che
quella, era convinto che chiunque contasse, dovesse apparire a Lucignolo Bellavita.
Credeva fermamente che chi si vedeva lì fosse arrivato alla propria meta, al culmine
della felicità possibile, che non ci fosse niente di meglio. Sapeva che non sarebbe mai
toccato a lui e gli bruciava come un eritema.
Nella stagione estiva, il fantascientifico imperatore delle risorse umane vi appariva, al
timone della sua barca, con i tinti capelli al vento e col petto a sfidare gli spruzzi del
mare, quasi tutte le settimane.
-
fallo passare.
Si sentì gracchiare nell’interfono. La velina-segretaria, scricchiolando sui tacchi,
spinse Ivo oltre la porta dell’ufficio; si ritrovò in una specie di foresta pluviale
dall’arredamento minimalista.
Sulla destra c’era un’enorme gondola di Venezia posata su un centrino dal diametro
di almeno dodici metri, sulla sinistra una cupola in plexinglass alta tre metri che
proteggeva una riproduzione in plastica del duomo di Orvieto; all’interno della
cupola c’era un grosso tubo grigio che spruzzava aria facendo agitare in
continuazione una decina di chili di polistirolo che garantivano uno stupefacente
effetto bufera siberiana.
Sullo sfondo un sarcofago simil-egizio con la faccia di Topolino era posato su una
mirabile riproduzione in cartongesso della piramide Cestia, tenero ricordo del primo
immobile che il dott. Fottola comprò quando arrivò, dal suo paese natale nel
frosinate, a Roma.
A tutt’oggi incassa una percentuale sui pedaggi della omonima fermata del metrò.
Il granitico comandante in capo è anche laureato ma dice sempre che non gliene è
mai importato un granché. Prese la laurea - in gestione aziendale e torture medievali
presso l’università delle isole Cayman, con un’interessantissima tesi da 110 e lode dal
titolo: “campi di concentramento e gestione delle risorse umane. Similarità e
differenze.” - solo per poter fare citazioni in latino nei salotti buoni.
Circa questo argomento, una volta, intervistato da Bruno Vespa, sfoderando il suo
celeberrimo umorismo britannico, divertì tutti con una sarcastica battuta in punta di
forchetta:
-
tante vorte ‘e sbajo e citazioni ma tanto nessuno ce capisce ‘n cazzo de
latino…io non conosco nessuno che sta a Latina!
Risate grasse.
Ivo salì su una piroga che sulla fiancata riportava ancora la scritta “Gardaland” e il
draghetto verde e arrivò a cinque metri dalla scrivania coltivata a prato inglese e
rododendri. Il dottor Fottola stava giocando a golf; era alla terza buca, fra il
portapenne e la fotografia della sua terza e ultima famiglia disintegrata dall’attrice
brechtiana.
Ivo scese dalla piroga e attraversò il ponte levatoio in tempo per vedere il
democratico dittatore illuminato spedire la pallina sul green.
-
ah eccoti! Accomodati, accomodati, resta pure comodo in piedi…
Ivo non sopportava che il dott. Fottola si permettesse di dargli del “tu”. Pensò a
rispondere in modo che lui intuisse il suo disagio. Forse tentando anche lui col “tu”.
-
grazie! Voi siete un ottimo giocatore…
non gli uscì, anzi, esagerò e passò dal formale “lei”, all’ottocentesco “voi”.
-
bah, a me me fa schifo ‘sto gioco, me ce so’ messo solo perché me ce
inviteno e nu vojo fa’ figure de ‘mmerda…
capisco.
Allora! Cosa ti credi che è la sala mensa, eh? Un posto per fare i duelli de
spada come ai tempi degli svizzeri?
Ivo non ricordava se gli svizzeri si sfidassero a duello. Comunque disse:
-
no…scusatemi…
-
vabbè…io lo so che sei un bravo ragazzo…vuoi riscattarti Stranito?
-
Farei tutto quello che volete esimio…
-
Molto bene…te piacerebbe essere come me? Dì la verità…apparire su
Lucignolo Bellavita…
-
Sarebbe un sogno che diventa realtà…
-
Allora ho bisogno di un favore da te…
-
ditemi…
-
Vuoi diventare amministratore delegato di una società?
-
Ma non so se sarei in grado…
-
Lo sei! Si chiama: “Estemporanea licenziamenti s.p.a., te piace?
-
…il nome non si potrebbe discutere?
-
No, è già deciso! Firma qui…
Ivo tracciò la sua firma senza neppure leggere il contratto, con un misto di
eccitazione e indistinta inquietudine.
-
bravo! Amministratore delegato, Perito Ivo Stranito…come te suona?
Disse Fottola agitando trionfalmente le mani nel vuoto.
-
Bene! Cosa devo fare?
-
Tieni questo elenco di nominativi…
-
Chi sono?
-
Impiegati da licenziare, sono appena stati licenziati dalla nostra ditta e
assunti dalla “Improvvisata licenziamenti s.p.a.”, loro non lo sanno. Ora tu li
devi definitivamente mandare a casa…
Ivo ebbe un vibrante moto di protesta; non poteva accettare una tale infamia, affondò
le mani in tutto lo spirito rivoluzionario che aveva a disposizione, sentiva lontane le
note dei Modena City Ramblers, forse ce la poteva fare: gonfiò il petto…
-
non me la sentirei tanto…Sire!
Partito benino, crollato sul finale.
-
-
fallo, fallo, altrimenti saremo costretti a trasferire i buchi di bilancio della
nostra società alla “Estemporanea licenziamenti s.p.a.” e l’amministratore
delegato andrà in galera nel giro di ventiquattrore.
E chi sarebbe l’amministratore delegato?
-
SEI tu.
-
Ah già!
Disse Ivo battendosi la fronte. Si voltò e con le spalle curve si preparò al viaggio di
ritorno fino alla sua scrivania 40X30.
-
scusatemi…
-
sì?
Grugnì il dottor Fottola, che aveva già ripreso a giocare a golf.
-
da amministratore delegato guadagnerei molto più di prima?
Vuoi già fare il nababbo al primo impiego?! Guadagni esattamente come
prima…poi, col tempo, se sarai bravo, se vedrà…io, al mio primo impiego, me
daveno pane e cipolla!
Mentì incensandosi.
-
lo troverei giusto…
-
E’ giusto!
Mentre Ivo tentava di uscire dall’ufficio facendosi largo col machete si chiedeva
come facesse il gran duce pluripremiato a riuscire ad usare sempre l’indicativo. Al
massimo l’imperativo.
7 – Ivo e l’inevitabile, in quanto vip, vacanza in Sardegna
Ivo fu così costretto a licenziare in tronco 34 persone che gli sputarono in faccia e lo
coprirono di ignominie.
Per le ignominie era abituato, erano gli sputi la novità.
Quando rientrò a casa la sera dell’ultimo licenziamento sembrava un burattino con i
fili staccati. Tenne il magone per tutta la durata della cena, per altro immangiabile,
tentando di atteggiarsi a uomo di potere.
-
sai, è doloroso ma qualcuno lo deve pur fare…
diceva ad Etta.
-
lo so, lo so, non ti avvilire! Se hanno scelto te vuol dire che si fidano…
provava a confortarlo con un sorriso.
-
ti prego non sorridere!
Si difese Ivo.
-
Perché?
-
Così…
Concluse, trattenendo un conato.
All’altezza della coppa Malù, dessert della serata, crollò miseramente in un pianto
dirotto. Piagnucolò come un vitello per tutta la notte sconvolto da dolori
psicosomatici allo stomaco, alla testa e alle gengive. Smise solo all’alba quando Etta
gli piazzò alla bocca dello stomaco un decotto rovente che gli causò un ustione del
settimo grado della scala Richter.
Il mattino seguente si sentiva meglio e supponeva ingenuamente che, ora che il duro
lavoro era stato fatto, lo aspettavano le gratificazioni e il successo.
Come prima cosa decise che un amministratore delegato che si rispetti doveva andare
in vacanza in Sardegna.
Si buttò sulla mal montata scrivania dell’Ikea e si rese rapidamente conto che per una
settimana nell’isola ad agosto, tolte le spese per cibo, affitto e condominio, più
qualche sacrificio qua e là, gli ci sarebbero voluti sei millenni di lavoro.
Ci pensò su un po’.
Ripiegò su un modesto week-end in campeggio da lì ad un mese e buttò giù una
sommaria tabella di comportamento per i trenta giorni successivi.
Pianificò acquisti di abbondanti derrate di patate e polenta solubile e si affidò
all’acquedotto comunale per dissetarsi; abolì recisamente l’uscita serale mensile,
sospese l’assegno per le pur necessarie cure odontoiatriche di Etta, smise di pagare
l’elettricità e restituì la tessera del videonoleggio.
Quando, allo scoccare di Ferragosto, si imbarcarono da Genova alla volta della
Sardegna Ivo ed Etta avevano sulle gote il tipico colore giallastro della pellagra.
Sbarcati ad Olbia salirono clandestinamente su un carro trainato da asini che li portò
a soli sette chilometri dal loro campeggio.
-
ma che ci vuole! Zaino in spalle e un piede davanti all’altro!
Si entusiasmò Ivo che arrivò all’accettazione del campeggio con la capacità
polmonare ridotta al 10%.
All’ingresso del camping, disposto disordinatamente su una collina spoglia,
campeggiava un grande cartello di legno con su scritto: “Camping resort - Ultima
spiaggia -”.
Una volta entrati furono accompagnati nell’unica piazzola rimasta disponibile che si
trovava sul cucuzzolo del monte.
-
ben esposta!
Disse Ivo.
-
luminosa…areata!
Ed in effetti era così.
Il sole cominciava a colpire la tenda al suo primo sorgere facendo sì che la
temperatura interna della asfittica canadese raggiungesse la ragguardevole
temperatura di 523 gradi Kelvin già dalle 8 del mattino. In compenso la notte, il faro,
posizionato non molto lontano dalla tenda della coppia, illuminava a giorno gli
accampati ad intervalli regolari, il vento proveniente dal mare soffiava con tanti nodi
quanto un rosario e la temperatura scendeva in picchiata fino a -5, -6 gradi percepiti.
Un’escursione termica sahariana.
Per di più i cessi stavano ai piedi dell’altra vallata e lo scollinamento richiedeva un
passo da altoatesini, tanto che, nello spaccio del campeggio, venivano venduti kit
completi di carta igienica, dentifricio, spazzolino e scarpe da trekking.
Ivo e Etta optarono per tenere la pipì fino al ritorno in città e di lavarsi i denti con la
birra rubata in autogrill.
Scopo unico di quella vacanza era apparire a Lucignolo Bellavita e per questo
bisognava recarsi al molo di Porto Rotondo, leggendario attracco di tutti gli yacht dei
vip.
Sabato mattina, intorno alle 8, Ivo e Etta passeggiavano già davanti all’imbarcadero
forniti di telecamera, macchina digitale e treppiedi ergonomico gentilmente prestati
dallo zio di Etta.
Per tutta la giornata di sabato non si vide nessuno, tranne bianche vele che
ondeggiavano al largo e si udirono solo voci contrastanti che ipotizzavano star di
Hollywood, divetti nostrani, calciatori, imprenditori, briatori vari.
Il gruppetto di un centinaio di disgraziati, fra i quali Ivo, che stazionavano sotto la
canicola, con le loro bottigliette d’acqua, i fazzoletti sulla testa, le bermuda mal
calzate e le mani sulla fronte a proteggersi dal solleone sembravano un gruppo di
Curdi in attesa di essere irreggimentati nel centro di prima accoglienza di Lampedusa.
Per non perdere la priorità acquisita Ivo e Etta si accamparono sulle dura assi del
molo e si addormentarono di schianto.
Tentarono di aprire gli occhi verso le cinque e mezza del mattino ma il vento del
mare che era passato sui loro corpi durante la notte li aveva trasformati in due
mummie di sale.
Ivo con uno sforzo devastante si tirò in piedi come una specie di zombie in
villeggiatura.
Etta invece tentò di girare il volto per chiamarlo ma rimase immobile come Sara
davanti alla città di Troia.
-
porca troia!
Disse fra i denti.
Ivo che non era abituato a sentire dalla bocca di Etta un simile frasario prese un
secchio di acqua dolce da un gozzetto di pescatori e lo rovesciò sulla sua compagna.
Etta finalmente si sciolse liberandosi anche dagli scorfani e dai polipi che si
rovesciarono su di lei insieme all’acqua.
Ivo passo dopo passo arrivò fino al bar del porto dove ordinò un cappuccino.
Al di là delle vetrate vide un immenso yacht che il giorno precedente non c’era ed
intuì che un vip doveva essere nei paraggi.
E prima che terminasse il pensiero vide spuntare da dietro il frigo dei gelati il
magnifico augusto imperatore dottor Elio Fottola e la sua divina compagna
brechtiana.
Apparvero avvolti da un alone di luce azzurra, da una musica di Gigi D’Alessio e da
un soave odore di trippa con i fagioli e caviale del Baltico.
Si muovevano armoniosi ed elegantissimi, lui con un completo bianco immacolato e
lei in un pareo raffinatissimo viola elettrico e rosa shocking.
Lui appoggiò la mano sul bancone che si illuminò dei riflessi del suo rolex d’oro
massello e lei sfilò i suoi occhialoni di Dolce&Gabbana che la schermavano dalle
sopracciglia alla trachea.
-
buongiorno Sire!
Disse Ivo con un sospiro.
-
ciao…tu sei?
Chiese il leader maximo onnipotente e onnivoro, pensando che Ivo fosse l’opera
ultima classificata, che per la rabbia aveva preso vita, del concorso per sculture di
sabbia indetta del Billionaire.
-
Perito Stranito Ivo…vi ricordate?...L’amministratore delegato della
“Estemporanea licenziamenti s.p.a.”
-
Oh, sì, certo che mi ricordo…se non c’ero io…
-
In che senso?
-
Te volevano fa’ la pelle tutti quegli impiegati che hai licenziato…
mannaggia a te!
Disse accompagnando l’espressione con un ganascino a tenaglia
-
…e per di più la magistratura te stava cor fiato sur collo!
-
Sul collo?
-
Certo! Quella mica è gente tenera, che te credi? Ma ho risolto! Anzi, già che
te vedo, metti ‘na firma qui!
Cos’è?
Disse Ivo firmando.
-
lo scioglimento della società!
-
Ma io sarei l’amministratore delegato…
-
Saresti…eri!
A volte usano anche l’imperfetto, pensò Ivo.
-
e ora sarei senza lavoro?
Saresti…sei!...ma tranquillo, ho pensato io a te…ti ho fatto assumere da
un’altra società!
-
Grazie!
-
Ma figurete! Se se po’ ffa der bene!
-
Sono amministratore delegato di una nuova società?
-
Macchè amministratore!...col center!
Disse con una pronuncia inglese del sud del Bangladesh
-
...D’altronde come prima esperienza da amministratore non sei andato un
granché: i tuoi dipendenti te odiano, il bilancio è disastroso…che volevi,
l’applauso?
E rise a dismisura come l’orco delle fiabe.
-
no, avete ragione…grazie del nuovo impiego…
niente, niente…cameriere er conto!...Ma porca mignotta! Ho lasciato il
portafogli sulla tolda…
-
pago io Sire, il minimo per ringraziarla del disturbo!
-
Grazie…come te chiami?
-
Stranito!
-
Grazie Stranito me ne ricorderò…andiamo bella!
Disse dando una pacca troglodita sul culo dell’attrice brechtiana.
-
cameriere, quant’è?
Chiese Ivo.
-
137 euro.
Solo allora Ivo si accorse del tavolo stracolmo di cornetti, spremute, prosciutto di
Parma e uova sode alla sua destra.
Etta lo aveva seguito e lo aspettava appoggiata allo stipite della porta. Chiese:
-
abbiamo finito i soldi?
Ivo abbassò gli occhi.
-
Torniamo a casa…
Disse Etta
-
…che lunedì inizi il lavoro nuovo. Prima facciamoci una doccia, io puzzo di
pesce e tu non riesci a staccare le cosce…
-
sjhbgwcvuygnym
Replicò Ivo, sfilandole accanto, vergognandosi come una blatta dislessica.
8 – Ivo e l’appuntamento galante con la Severini
Quella sera di fine estate Ivo se lo sentiva che sarebbe successo qualcosa di speciale.
Aveva iniziato il nuovo lavoro senza traumi visto che si trovava nello stesso ufficio,
con quasi tutti gli stessi colleghi e con la medesima capo-ufficio.
Il doppio turno infatti sembrava non pesargli e iniziò la quinta ora di straordinario
non retribuito con gagliardo vigore.
Sentiva sul fondo dello stanzone la Severini inveire contro un nuovo assunto che non
aveva ancora capito che doveva idolatrarla.
Il ragazzo aveva rimpiazzato Valentino Manfredini che, dopo la storia del duello e
dopo aver fatto dello scippo pensioni e conseguenti donazioni all’azienda la ragione
della sua vita, era stato trasferito all’ambito ufficio pizzo&estorsioni e aveva
addirittura avuto in prestito dall’azienda, per intuibili ragioni professionali, uno
scooter con la marmitta truccata.
Ora che il viscido Manfredini lavorava ben due piani più su, la Severini sapeva di
essere tagliata fuori. Non lo avrebbe mai confessato ma era perfettamente
consapevole del fatto che, ora che non gli serviva più, non avrebbe ricevuto altre
attenzioni dal bel giovane.
Il suo amor proprio aveva accusato il colpo e generato ulteriore frustrazione che la
disfatta trentacinquenne non mancava di riversare su tutto il suo staff e, in special
modo, sul nuovo arrivato che non aveva il fascino del Manfredini, né la sua
incondizionata sottomissione opportunistica.
La gelosia la aggrediva come la ruggine i rubinetti del bagno.
Voci di corridoio raccontavano che il Don Giovanni di Milano Uno si fosse già
attaccato alle gonne della sua nuova capoufficio, una ex nuotatrice olimpica della ex
repubblica socialista sovietica che, a causa di tutti gli ormoni assunti nel corso della
carriera sportiva, ora assomigliava ad un carpentiere di Busto Arsizio con la barba di
tre giorni.
-
questa settimana sette persone, dico sette, non sono state al telefono
neanche quindici secondi…ma come si fa, dico io? Ricordatevi che voi siete
lavoratori in-tes-ti-na-li…
Sillabava
- …se non fate ciò che dovete, per liberarmi di voi mi basta tirare la catena!
Ripeteva la Severini allo sfinimento, sempre più orgogliosa di aver inventato quel
garbato eufemismo per dar loro degli stronzi.
-
quando partono insultandoti è una fortuna, non devi mettere giù! Devi stare
lì e farli sfogare! Puoi intervallare con le frasi segnate sulla tabellina delle
risposte…quali sono le risposte segnate sulla tabellina delle risposte?
Chiese cantilenando la Severini e tutto l’ufficio rispose in coro come durante una
lezione di inglese.
-
-
ha ragionissima signore/a, l’errore è nostro, lei ha perfettamente ragione, io
la stimo la nostra azienda la stima e siamo mortificati del disagio che abbiamo
creato ad un cliente affezionato come lei, siamo imperdonabili ma la prego non
denunci tutti noi, abbiamo moglie/marito, figli malati, nonne in carrozzella,
mutui da estinguere e affitti in arretrato.
Se non dovesse bastare?
Incalzò la Severini. L’ufficio ripartì:
-
la colpa non è dell’azienda, sicuramente si tratterà di un errore umano,
probabilmente il mio, sono un/a incapace, le giuro che appena terminerà il
turno di oggi mi suiciderò legandomi ai binari della metropolitana
assicurandomi che non sia la linea che Lei utilizza per non provocarle ulteriori
disagi, buonasera, mi prostro!
Ivo pronunciò quell’ultima frase non più come uno scolaretto del primo banco ma
come un marines all’ultima settimana del corso di addestramento.
La Severini lo notò compiaciuta.
L’ambiziosa capo-ufficio non guardava più Ivo con gli stessi occhi di qualche
settimana prima; il nuovo incarico di amministratore delegato, seppure di facciata e
nonostante fosse in breve evaporato, aveva esercitato su di lei, che aveva un amore
feticista per i titoli e le apparenze, una malia invincibile.
Per altro il fatto che Ivo avesse avuto, seppur per un tempo esiguo, il potere di
licenziare ben 34 persone faceva ingarbugliare le interiora della Severini in maniera
devastante; gli passava accanto e sentiva squillare le trombe del giudizio universale,
vedeva in lui un uomo forte e risoluto, un manager.
Lo vedeva anche brizzolato, fatale come George Clooney, magnate come Tronchetti
Provera.
Si avvicinò come una pantera zoppa, mandando avanti il seno imbragato in un
reggiseno a balconcino contenitivo, puntellato da stecche in fibra di carbonio e viti
autofilettanti in vetroresina con doppio wonder bra on the rox.
La Severini, sfruttando la più avanzata tecnologia architettonica destrutturalista,
passava con disinvoltura da una terza crepuscolare (prima del silicone aveva una
retromarcia) ad una sesta rinascimentale solamente indossando biancheria intima
adeguata.
Quella sera di settembre i capezzoli puntavano dritti come canne di un cecchino e
scrutavano i vacui occhi di Ivo destabilizzandolo.
Per di più la Severini giochicchiava con la sbarretta degli occhiali mordicchiandola
con i denti e facendola scorrere sulla punta della lingua e sulle labbra.
Sfilò accanto alla ragazza con le trecce color del grano che, licenziata da Ivo e poi
riassunta, ormai terrorizzata da ogni persona o cosa, non alzava più gli occhi dalla
postazione ma solamente, a carattere saltuario, somatizzava la paura e spostava la
treccia per vomitare nel cestino della carta straccia; sculettando, arrivò accanto alla
scrivania di Ivo.
Sfoderò lo scettro del potere, vale a dire un telecomando che comandava ogni oggetto
controllabile dell’ufficio e diede un segnale inequivocabile: premette il tasto off del
ventilatore.
Le pale, in modo surreale, quasi magico, arrestarono la loro corsa e lei ebbe la
possibilità di accostarsi ad Ivo ben al di là di quanto permettesse la differenza
gerarchica.
Senza alcuna armonia, né sottigliezza, mostrò il suo decolletè e sorrise. Ivo emetteva
vapore acqueo come una pentola a pressione.
-
volevo farle i complimenti per la sua esperienza da amministratore
delegato…
brdfblu bhyouf
si atteggiò Ivo con la solita prontezza.
-
mi piacerebbe che me ne parlasse nei dettagli…magari domattina a pranzo,
so che lei domani ha il turno serale…
come fa a saperlo?
Disse Ivo ciondolando come un playboy di Cesanatico.
-
perché i turni li faccio io…
concluse ovvia la Severini.
-
lei mi fa un onore che non ha idea che onore sia…
accettò Ivo. La Severini fece ripartire il ventilatore.
Quella notte Ivo non dormì neppure un’ora, roteava fra le lenzuola come un
girarrosto.
Alle cinque e mezza la sveglia suonò e lo trovò già seduto sulla sponda del letto; Etta,
svegliata dal trillo, chiese il perché della levataccia; Ivo rispose:
-
quella stronza della Severini mi ha cambiato orario…
e nel dire “quella stronza” sentì un brivido lungo la schiena.
L’appuntamento era per le undici in corso Vittorio Emanuele ma Ivo non voleva ci
fossero intoppi, per questo si era voluto prendere un margine ampissimo.
Guardò fuori dalla finestra e il cielo terso e l’asfalto che liberava l’ultimo calore del
giorno precedente promettevano un’altra giornata tropicale.
Ivo fece un bagno fresco, lavandosi con meticolosità, si pettinò i capelli sulle tempie
all’indietro come John Travolta in Grease e si lasciò un ciuffo sbarazzino di quattro
capelli di numero sopra la fronte; pensò che il solito abito da ufficio e da colloquio,
vale a dire le attività che, uniche, riempivano le sue ore, non andasse bene per quel
pranzo galante.
Occorreva abbandonare le grisaglie per qualcosa di più colorato e brioso; si
arrampicò fin sopra l’armadio dove conservava una valigia con gli abiti di quando
ancora trascorreva un’esistenza sopportabile.
Scelse una camicia leggerissima e quasi trasparente con una fantasia di fiori
equatoriali gialli su sfondo blu a cui abbinò vecchi jeans comprati in via Paolo Sarpi
di pessima fattura ma che davano una certa idea di modernità, non foss’altro che per
il dragone rosso con gli occhi brillanti, per via di due perline incastonate, ricamato
sulla tasca posteriore destra.
Improvvisamente però gli venne il dubbio che forse alla Severini piaceva com’era,
col suo fascino dark da funerale della vecchia zia, quel discreto glamour delle
gramaglie.
Optò per una via di mezzo: mantenne la camicia fiorata e i jeans orientali e aggiunse
la solita cravatta di lanetta e la solita giacchetta a quadretti grigio lapide.
Per la colazione si fece aiutare dalla rivista maschile “Bello e impossibile”, acquistata
per l’occasione. A pagina dodici “Lo zio Ned” suggeriva a “l’uomo che deve fare
centro” di iniziare la giornata con la celeberrima “colazione del mandriano”: una
sproporzionata accozzaglia di pasta ai quattro sughi, carne della pampa arrostita sullo
spiedo e condita con maionese, ketchup, salsa tartara e salsa cocktail, gelato al
cioccolato, uova, prosciutto e fagioli.
Riteneva sarebbe stato cafone abbuffarsi di fronte alla Severini, preferiva arrivare al
ristorante sazio per dedicarsi solo alla sua compagna.
Al citato menù Ivo aggiunse frutta esotica perché l’ingegner Merendina gli aveva
detto di aver visto in TV un servizio sulle proprietà afrodisiache di quel tipo di frutta.
Sempre dietro suggerimento di Franchino Trentucci che, in quanto a teoria erotica era
un caposcuola, si masturbò due volte prima di uscire di casa. La prima pensando ad
Elisabetta Canalis, la seconda a Maddalena Corvaglia. Per la par condicio. In questo
modo, aveva sentenziato Trentucci, in caso di accoppiamento la prestazione sarebbe
stata all’altezza.
Ivo seguì i consigli dell’amico e, quando varcò la soglia di casa, verso le otto, aveva
la massima a 90 e i sali minerali ai minimi storici; fu sul luogo dell’appuntamento
intorno alle nove e trenta, con un’ora e mezza di anticipo e un pallore efebico.
Poco a poco si alzò un vento fortissimo e nuvoloni neri iniziarono ad addensarsi su
tutta la città. Verso le dieci cominciarono a sentirsi i primi ticchettii che nel giro di un
quarto d’ora diventarono una pioggia torrenziale. La temperatura si abbassò in un
lampo di quindici, venti gradi e la pioggia si mutò in grandine.
Ivo tentava di coprirsi sotto un finto palmizio di un bar con dehor ma la sua camicia
elettrica non gli permetteva di mimetizzarsi come avrebbe voluto.
Non voleva abbandonare il luogo dell’appuntamento per timore che la Severini, non
vedendolo, se ne tornasse a casa.
Finalmente, alle 12 e 15, con un’ora e un quarto di ritardo, “Ella”spuntò dal tunnel
della metropolitana.
Aveva smesso di piovere e Ivo con un sorriso marcio di felicità come tutto il suo
abbigliamento guardava l’asciuttissimo sogno erotico incedere verso di lui; si sentiva
felice come un quindicenne. Ogni passo della Severini gli permise di riprendere
confidenza con quel sentimento di pienezza che gli era caduto di tasca
nell’ottovolante degli anni trascorsi.
La erinni dell’ufficio aveva sfoderato per l’occasione un abbigliamento da vera
maiala professionista, con un taglio decisamente sadomaso: stivali di pelle nera fin
sotto al ginocchio con vertiginoso tacco appuntito, minigonna fasciante sempre di
pelle nera, top rosso ultracontenitivo, direzionale e rinforzato e cappottino mezzo
peso con collo di finta pelliccia non ecologica; coda di cavallo e occhiale da sole con
lenti viola.
Ad Ivo, nonostante tutto, sembrava l’incarnazione della donna angelicata.
-
Stranito, come è venuto colorato oggi! Fresco, frizzante, giovane! Bravo,
bravo, mi piace il casual!
-
Anche lei signorina è…
-
Sono?
Incalzò civettuola.
-
lei è…kgnbbytxvdbyuy
-
grazie! Lei è un birbaccione, glielo dico io!
Ivo rimpinzò il suo ego come una cima.
-
facciamo una passeggiata prima del pranzo?
Chiese la Severini risoluta.
-
certo! E’ proprio quello che mi ci voleva!
Disse Ivo che batteva i denti dal freddo. Il vento gli sferzava gli abiti zuppi mentre
l’autunno, invitato dalla pioggia, faceva definitivamente sloggiare l’estate.
-
brrrrr che freddino!
Si lamentò la Severini.
-
la scaldo io!
Si affrettò Ivo, sfilandosi la giacca e appoggiandola sulle spalle di Magda con un
gesto da cavaliere della tavola rotonda.
-
com’è carino, grazie! Ma lei non ha freddo?
-
Si figuri, mio nonno era alpino…
disse Ivo e dopo due passi iniziò a tossire come in preda alla tisi.
-
non è niente, non si preoccupi! Deve essermi andato qualcosa di traverso…
intanto la pelle assumeva una sfumatura bluastra e il corpo era sconquassato dagli
spasmi.
-
ma lei trema…
-
ma che?! E’ solo l’eccitazione di vederla!
La tranquillizzò Ivo e quasi contemporaneamente iniziò a starnutire a raffica.
-
senta non mi sembra che lei stia proprio bene, forse è meglio che entriamo
al ristorante, si riscalderà un po’
come preferisce…
disse Ivo ringraziando la Madonna.
Non appena furono dentro il ristorante “chez Gaetano” la Severini che dava i primi
velati segni di insofferenza disse:
-
una sedia per favore, che quest’imbecillone sta male!
-
No, no, che sedia?! Sto benissimo!
Disse Ivo e si immobilizzò, paralizzato da una congestione fulminante e cadde,
purtroppo senza perdere conoscenza, su una torta di riso.
La Severini se ne andò via tutta offesa abbandonandolo al suo destino. Fu caricato
sulla apecar delle consegne a domicilio e trasportato all’ospedale dove fu ricoverato
d’urgenza in stanza con un vecchiaccio che perdeva le bave e chiamava la mamma a
tutte le ore.
Il cellulare squillò, era un sms della Severini, diceva: “si vergogni! Avevo accettato il
suo invito per misericordia ma se non ha il fisico, è inutile che ambisca a un certo
tipo di ragazze! Lmr (era l’esatto opposto in slang giovanile di tvb, tvb-ti voglio bene,
lmr-lei mi repelle!) auguri di pronta guarigione!p.s.: per l’assenza di stasera le
decurto dieci euro!”
Beh, era stata gentile in fondo, pensò Ivo, forse aveva ancora speranze di recuperare.
Dalla porta entrò Etta con quel suo sorriso urticante.
-
il dottore mi ha detto che non è niente! Domattina ti mandano a casa…
-
ma non sei arrabbiata?
-
Perché?
-
Io sono uscito con un'altra donna…
Etta fece un sorriso compassionevole e gli carezzò la mano. Ivo pensò che non
avrebbe potuto essere più umiliato di così.
Spuntò un odioso infermiere.
-
è lei Stranito?
-
Sì, sarei io!
-
Sarebbe…è o non è?
-
Sì…
-
Venga con me…il dottore le ha prescritto un bel clistere, volgarmente detto
perettone tsunami!
E rise con perfidia. Ivo intuì che all’umiliazione, potenzialmente, non c’è fine.
9 – Ivo e quella disastrosa serata nazional-popolare
Quella volta in Sardegna o quest’altra in ospedale non furono certo le uniche volte
che Ivo uscì sconfitto dal confronto con Etta.
Lei è sì ributtante d’aspetto ma ha un animo nobile che ha protetto con
determinazione dagli attacchi della vita.
Etta, come spesso succede alle donne, sembra aver capito qualcosa di più.
Ivo, esattamente come ha gli sconclusionati scatti di ira o di gioia, allo stesso modo
soffre di rigurgiti di adolescenza e, per attimi fuggevoli, vive l’illusione di avere il
mondo in pugno, pensa di poter riconquistare tutta la passione del passato, trovare
una donna bellissima della quale sia davvero innamorato.
Etta invece no, è più pragmatica, decisamente più realista.
Sa che non è così, sa che Ivo per lei e lei per Ivo sono tutto ciò che c’è ed occorre
conservarsi; per questo perdona ad Ivo questi suoi voli pindarici, sia perché neppure
lei prova per lui un amore che spacca i ponti, sia perché confida nel fatto che Ivo sia
praticamente innocuo. Una specie di pistola caricata a salve, tanto rumore ma nessun
danno.
Forse qualcuno di voi può trovare in questo ragionamento di Etta una certa tristezza,
una dimessa abitudine, una rassegnazione. Forse.
Ma vi assicuro che, guardandoli dall’esterno, Ivo appare come un bambinone
imbranato e qualche volta ridicolo, solo raramente nobile per la sua fondamentale
onestà; nei gesti di Etta invece, sempre piccoli, nei suoi silenzi, nella sua
sopportazione, forse anche nella sua rassegnazione, c’è un che di saggezza, una
dignità talvolta commovente.
Un'altra volta che Ivo dovette riconoscere la propria inferiore maturità sentimentale
fu durante quel terribile week-end.
Una delle poche occasioni, se non forse l’unica, in cui Ivo ed Etta condividevano
qualcosa era la seratona del sabato nazional-popolare.
La serata iniziava prestissimo intorno alle 19.00 quando sulla rete ammiraglia della
Rai iniziava la fase finale del supermegaipermaxiquizzone condotto da Milo Infante.
Il concorrente arrivato in fondo dopo aver eliminato, sfruttando qualsiasi sotterfugio
più o meno morale, tutti gli altri candidati, entrava nella cabina della rispostona
transgalattica con un monte premi di un milione di euro, più una macchina sportiva,
più un posto in tribuna d’onore per la finale di champion’s league, più una notte di
sesso sfrenato con la prima ballerina lusitana: Amarilda de Gonzales, detta “la
schiaccianoci”, per una speciale potenza dei muscoli interni della cosce, sviluppati in
dieci anni di danza classica studiata con ferrea disciplina all’interno del carcere
femminile di Buenos Aires, braccio A.
Al termine del quizzone, rapido pasto preparato in anticipo da Etta da consumarsi
davanti al TG e poi virata su Canale5 per l’imperdibile puntata del reality show
“Carne cruda”, trasmissione di punta delle reti private, condotta da Carmen
DiPietro.
Il gioco si basava su questo: guadagnava i favori del pubblico chi riusciva a vincere il
proprio pudore e mostrarsi con meno veli possibile, chi riusciva a tirare fuori la
propria parte peggiore picchiando, spiando, umiliando, tiranneggiando i compagni di
avventura mantenendo però una facciata di amore, affetto, collaborazione, solidarietà,
bontà verso i compagni medesimi.
Quasi tutti i concorrenti, quando non si distraevano scopando, erano piuttosto bravi in
questa pratica. Fatta eccezione per un tale dal lessico troppo colorito che non si era
integrato nel gruppo fin da subito poiché ostentava cocciutamente la sua educazione e
si rifiutava di consolare le ragazze quando fingevano di piangere per la nostalgia della
famiglia o del fidanzato.
Addirittura una volta si rifiutò di sputare in faccia ai suoi compagni causando in tal
modo la perdita della prova settimanale e costringendo al digiuno tutto il gruppo per
alcuni giorni.
Iniziarono a mandarlo in nomination ovviamente ma neppure così fece scene madri e
sia il gruppo sia la produzione iniziavano a vederlo sotto una cattiva luce, fino a che
un giorno bestemmiò e fu giustamente spedito a casa con la sacrosanta motivazione
di essere un pessimo modello per i giovani.
Ivo, davanti al reality show, diventava una specie di licantropo assetato di sangue.
Etta lo costringeva sul divano a stento: inveiva, imprecava, faceva gesti scurrili, si
asciugava dalla bava che gli colava dalla bocca con l’avambraccio, scagliava oggetti
contro lo schermo, parlava con la conduttrice e si incazzava se lei non rispondeva,
incitava alla violenza, alla xenofobia, alla pulizia etnica e ai bombardamenti a tappeto
su ospedali, asili, ospizi, conventi e mercati ortofrutticoli.
Quando la trasmissione finì, verso le undici e mezza, il salotto dell’abitazionearmadio di Ivo sembrava Waterloo.
-
mi piace quando passiamo le serate insieme…
disse Etta dolcissima, iniziando a rimettere a posto come ogni sabato.
-
anche a me…
rispose Ivo esausto e aggredito da crampi alle cosce e alla mandibola.
-
io sono un po’ stanca, finisco domattina…
-
va bene, io resto sveglio…la notte è giovane!
Disse Ivo come se lo stessero aspettando in discoteca per dare inizio alle danze
latino-americane.
Aspettò che Etta fosse addormentata, si posizionò davanti al pc di casa e si collegò ad
internet.
La sciabolata emozionale dell’uscita con la Severini aveva risvegliato in lui una
frenesia sessuale che il banale e metodico tram tram domestico gli aveva fatto
dimenticare.
Con Etta i rapporti si erano stabilizzati ormai ad uno al mese, da somministrarsi il 29
di ogni mese; la data l’aveva scelta astutamente Ivo per poter saltare con disinvoltura
il mese di febbraio.
Digitò www.tradinoi.it, un vero e proprio bordello virtuale che veniva spacciato dai
gestori del sito come un circolo letterario per intellettuali di bella presenza.
Ivo qualche settimana prima vi aveva conosciuto tale “lady_vichinga”; profilo: italosvedese, bionda, occhi azzurri, quarta di reggiseno, amante degli abiti eleganti e delle
calze autoreggenti di pizzo nero, hobby preferito: cogliere more in campagna, lettura
preferita: l’opera omnia del maestro russo Fidor Michael Dostoievsky. Ivo, al loro
primo dialogo in chat, controllò sulla copertina della sua vecchia edizione di “Delitto
e castigo” e le scrisse:
-
credo che si scriva Fedor Michajlovic Dostoevskij
-
errori di battitura! Passiamo ad altro…
Rispose lei sicura e un po’ piccata. Ivo non replicò.
Nel corso di quelle chattate estenuanti la aggredì con una corte serrata ma
lady_vichinga sembrava non cedere alle sue lusinghe, nonostante Ivo usasse ogni
arma a sua disposizione: disegnini romantici, orsacchiotti che agitavano la mano e
gridavano “I love you”, poesie di poeti romantici francesi spacciate per proprie,
racconti dettagliati delle proprie scapestrate esperienze giovanili inventati di sana
pianta.
Vichinga non cedeva, diceva di essere capitata in chat per sbaglio, che non era sua
abitudine intrattenere rapporti virtuali, che era approdata su quella chat solo perché
interessata a discutere di letteratura e che si era scandalizzata - oh quanto si era
scandalizzata! - nell’accorgersi che la chat sembrava una casa di malaffare, che era
fidanzatissima con un modello jamaicano per il quale stravedeva e che era molto
devota a S.Antonio, S.Gennaro e Santa Giustina Vergine e Martire e che, come la
candida santa, voleva rimanere pura fino al giorno delle nozze.
Ivo diceva che anche lui si era molto scandalizzato, che anche lui era lì per parlare di
letteratura, soprattutto di Dostoevskij, suo autore di gran lunga preferito, e che era
stato fortunato, tra tutte quelle indegne ninfomani che scorrazzavano
inappropriatamente sulla chat, di incontrare proprio lei. Aggiungeva di ammirarla
moltissimo per la sua ritrosità e, quasi senza accorgersene, se ne innamorò
perdutamente riversando su di lei tutte le riaffioranti speranze adolescenziali; inoltre,
questo suo concedersi e poi negarsi, procurava in Ivo uno stuzzicante incentivo a
proseguire il corteggiamento senza quartiere per vincere le sue timidezze.
Finalmente quella sera, a metà della conversazione, Ivo lesse quello che da tempo
aveva sognato:
-
sei riuscito a fare quello che nessuno è mai riuscito a fare, mi sei entrato
dentro e mi costringi a fare ciò che non dovrei, tradire il mio fidanzato…
demonio!!!
L’ego di Ivo si gonfiò come un pallone aerostatico.
-
quando?
Incalzò
-
domani, davanti al ristorante “chez Gaetano”, sarò in rosso…lievemente
minimalista…
…ma non avevi detto di vivere fra Londra e Parigi?
Chiese Ivo perplesso.
-
sì, ma sono di passaggio a Milano…
-
e conosci chez Gaeatano?
-
…ne ho sentito parlare…
-
…beh, ma non è un posto raffinatissimo come quelli che sei abituata a
frequentare tu a Pigalle, non è esattamente un caffè letterario…
-
Mi adatterò! Essici!
Concluse sbrigativa lei. Ivo si arrovellò qualche minuto sul termine “essici”; concluse
si trattasse di un latinismo.
Nel frattempo lady_vichinga aveva chiuso la finestra chat e aveva lasciato Ivo
eccitato come un tanghèro privato della sua compagna e sbattuto dentro un night
club.
Dopo tutto quel romanticismo cliccò deciso un altro sito che visitava con una certa
frequenza: www.massacriamocincam.com; un truculento sito sadomaso dove si
ritrovavano i più perfidi amanti della rete.
Chissà, forse sfogare in rete il sadismo e il masochismo dentro di lui, gli permetteva
di avere un piccolo triste riscatto sulle sopraffazione quotidiane.
Quella notte incappò in “marchesa DeSade bisex”, una agghiacciante dominatrice
tedesca, ex torturatrice della STASI.
Verso le quattro del mattino, Etta fu svegliata da rumori provenienti dalla cucina, si
alzò, aprì la tenda e si trovò di fronte ad uno spettacolo tragicamente malinconico:
Ivo, con in testa un cerchietto per capelli, al quale aveva artigianalmente attaccato un
paio di orecchie di carta, con il tipico incarnato paonazzo di chi è al traguardo di una
feroce masturbazione, stava a quattro zampe e scodinzolava sotto il lavandino
simulando l’incedere di un cane da tartufo.
Appena si accorse di Etta si irrigidì repentinamente, si guardarono, lui allungò una
mano, afferrò lo sturalavandini e lo agitò in aria come a voler dire qualcosa. Poi lo
ripose.
-
ho perso una lente a contatto…
Ivo non portava lenti a contatto.
-
stavi guardando un sito porno?
Chiese pacatamente Etta.
-
assolutamente no!...Dialogavo con una mia amica filosofa esistenzialista
della ex Germania orientale per cui provo una stima profonda, non comportarti
come una bambina, sappi accettare il profondo legame spirituale che mi lega a
lei…
Disse. Si sfilò il cerchietto con le orecchie e si fiondò a letto fingendo di
addormentarsi subito.
Il terribile week-end tuttavia non era ancora finito.
Il giorno dopo, con il solito gigantesco anticipo, si presentò da “chez Gaetano” e
attese.
All’ora prevista, da dietro l’angolo, spuntò una raccapricciante signora di mezza età
vestita come una cubista della Magliana che non assomigliava per niente ad una
vergine innamorata in attesa del matrimonio bensì ad un bagascione con, a
curriculum, più colpi di una pentolaccia alla festa di carnevale.
Al posto del fisico nordico millantato in chat, si presentava il peggior prototipo
deteriorato di costituzione mediterranea: spalle strette, testa minuscola, tettone
ombelicali, pancia maestosa, culo degenerante; una specie di pagoda alta un metro e
mezzo. Gli occhi erano invece davvero azzurri, per merito di un paio di lenti estetiche
usa e getta e i capelli fiammeggiavano per via di una tintura platino di scarsa qualità .
-
ma non eri al 50% svedese?
Chiese Ivo.
-
ha vinto la parte di Cappiella, vicino Campobasso, Molise...
rispose la ex lady_vichinga che in realtà si chiamava Fausta per scelta del padre
tifosissimo di Coppi. Ivo la guardò e la ribattezzò silenziosamente “Infausta”.
-
passeggiamo?
Chiese lei.
-
è una buona idea…
rispose Ivo che cominciava ad avvertire un principio di influenza associata a nausea.
Dopo una quarantina di metri Fausta aveva cambiato già quattro argomenti (uno ogni
dieci metri) ognuno dei quali di una noia insopportabile.
Ivo si avvicinò alla fermata del 28 barrato, aspettò che si fermasse il bus, attese che
tutti i passeggeri fossero saliti e poi, appena le porte si stavano per chiudere, con un
balzo scoordinato ma efficace, saltò sul mezzo e si sottrasse alla fetida compagnia di
Fausta che rimase basita accanto alla pensilina con un’espressione da totano andato a
male.
Rientrò a casa che era già buio dopo aver passeggiato tutta la giornata per rendere
credibile la sua scappatella domenicale andata naturalmente buca.
Quando rientrò nell’armadio-abitazione Etta lo aspettava dietro la porta.
-
sei stato fuori molto tempo…
sì, Etta, confesso! La filosofa tedesca di cui ti ho parlato ieri non è una
semplice amica ma un’ amante! Tu forse puoi pensare che si tratti di una
relazione di solo sesso e per questo avere una bassa stima di me ma non è così!
Io mi sono innamorato! Mi dispiace, d’altronde, questa è la vita!...e oggi, so
che ne soffrirai ma è giusto che te lo dica, ho passato una delle giornate più
belle della mia vita!
Concluse con la voce rotta, poi il pensiero tornò a Fausta e Ivo avvertì istantanei
dolori tipo colica renale e scattò in bagno dove per i dieci successivi minuti vomitò
abbondantemente abbracciato alla tazza.
Etta si avvicinò al bagno e bussò, Ivo rispose:
-
Bleeeeeahhhh!!!
-
Ti ho messo una tazza di thè al limone sul comodino, accanto al letto.
L’avevo già preparato.
Ivo tacque ed Etta iniziò ad apparecchiare.
10 – Ivo e la gita con l’ACR
Quando accadeva che avesse questi scivoloni con Etta poi occorreva rimediare e
l’esame di riparazione si presentò proprio al termine di quel mese.
La Severini, dopo lo sgarbo subito, aveva fatto il diavolo a quattro per farlo
licenziare e ci era riuscita. I pretesti non mancavano, il rendimento di Ivo era al
minimo registrato, quindi non ci fu nemmeno bisogno che insistesse così tanto.
Per fortuna, quasi immediatamente, un’altra società lo assunse, pare per merito di una
raccomandazione dell’ingegner Merendina, e così, da lì a tre giorni, avrebbe ripreso a
lavorare. Anche stavolta stesso ufficio, stessa postazione con pale assassine, quasi gli
stessi colleghi e ancora la Severini, sempre più imbufalita.
Etta, approfittando di quei tre giorni liberi, costrinse Ivo ad accompagnarla alla
colonia autunnale dell’ACR a cui la sua parrocchia aderiva da sempre.
Etta ci andava da quando aveva 10 anni. Era stata prima semplice partecipante, poi
aiutante, poi cuoca, poi scenografa, poi assistente, poi catechista, poi direttrice degli
incontri di riflessione ed infine le era stato assegnato l’invidiatissimo titolo di
animatrice-educatrice con tanto di spilletta tricorna alabardata con leone rampante su
sfondo papale bianco-giallo.
Il suo palmares da donna ACR non mancava di nulla, se si esclude il ruolo di
chierichetto a cui ovviamente non poteva accedere per motivi dogmatici, aveva al suo
attivo un cursus honorum costellato di alloro e rispetto.
Ivo invece non aveva mai frequentato la parrocchia, tanto meno le vacanze con
l’azione cattolica. Non che avesse nulla contro la religione o la religiosità,
semplicemente non era una cosa che gli apparteneva; esattamente come con la
politica non aveva mai preso una posizione chiara, non aveva rapporti stretti né con il
potere spirituale, né con quello temporale, da qualsiasi parte i due poteri si
collochino. Si sentiva solo abbandonato da entrambi, ma era una sensazione
inconscia, più che altro non ci pensava.
Poi, voglio dire, riusciva a stento e saltuariamente a percepire qualcosetta che andasse
al di là del giorno immediatamente seguente, figuriamoci l’eternità.
Tuttavia quella volta, con il ricordo del clistere e del cane da tartufo ancora fresco
come una ferita, non ebbe la forza di rifiutare e acconsentì a passare tre giorni in
montagna.
Il sogno dichiarato di Etta era di trasformare Ivo in un buon cattolico; quello
inconfessato era di farne una dama di San Vincenzo specializzata in
accompagnamento anziani e disabili in luoghi di culto: Lourdes, Fatima, Santiago di
Compostela, varie Madonne piangenti. Una specie di tour operator mistico.
-
vedrai che ti diverti! Quest’anno c’è anche il tuo amico Franchino, cogli
l’occasione per ringraziarlo della raccomandazione e, naturalmente, quella
sagoma di Don Spartaco!
Passi per l’ingegner Merendina ma il parroco era un personaggio odioso, Ivo lo
detestava ma non aveva il coraggio di dirlo apertamente ad Etta per la quale era una
specie di santo vivente.
Si trattava di un robusto prete di campagna dall’aspetto tarchiato, con una
conformazione del cranio ferma al modello Neanderthal, capelli della stessa
consistenza della saggina che formavano un tutt’uno con le sopracciglia, braccia
lunghe e mani tozze con le quali elargiva a destra e a manca, con una fastidiosa
giovialità bucolica, ganci e diretti alla Primo Carnera.
Per don Spartaco, poi, al mondo non potevano esistere esseri umani che non fossero
cattolici. Egli ignorava completamente l’esistenza, oltre che di tutte le varie chiese
cristiane di diversa ispirazione, anche di altre religioni o filosofie spirituali del globo
terracqueo.
Escludeva inoltre a priori ogni forma di ateismo, laicismo, agnosticismo o fede soft.
Per don Spartaco aveva ragion d’essere solo un’incondizionata e cieca fede
ultraosservante che si arricchiva di elementi pagani quali ad esempio riti di
iniziazione, punizioni corporali da inquisizione spagnola, doni votivi sgozzati sugli
altari, canti propiziatori e battere ritmico delle mani tipo setta o happening aziendale.
Per rimanere in termini evangelici, il calvario di Ivo ebbe inizio dal viaggio in
pullman alla volta della ridente località sciistica di Campo Bianco, gemellata con
Barenberg, altrettanto ridente capitale dell’isoletta di Jan Mayen che galleggia al
largo della Groenlandia, mare artico.
Affinità elettive.
-
perché Campo Bianco?
Chiese Ivo a Trentucci salendo sul pullman
-
perché è un campo e c’è la neve anche al 15 di agosto.
-
…è un posto meraviglioso…
Intervenne un ramarro sui quattordici anni crivellato di brufoli
-
è tutto per noi…persino il sindaco non abita più là
-
come mai?
Chiese Ivo.
-
ha freddo…
Sorrise il brufoloso rettile mostrando anche un apparecchio per i denti in traliccio per
solette.
Appena preso posto sul pullman Ivo ebbe accanto l’ingegner Merendina che, dopo i
primi sei, sette minuti adrenalinici durante i quali cantò tutto l’album di Ligabue e
abusò del suo potere sgridando ingiustamente una ragazzetta che soffriva le curve, si
addormentò addosso ad Ivo, obbligandolo a passare gran parte del viaggio spalmato
contro il finestrino con uno spazio vitale da cella di rigore cilena.
Quando ormai erano passate cinque ore il pullman arrivò ai piedi del monte sulla cui
cima era situato Campo Bianco.
Il mezzo iniziò ad aggredire i tornanti mentre via via il paesaggio cambiava aspetto
fino a quando la vegetazione sparì completamente lasciando il posto alla pioggia, poi
al nevischio, poi alla grandine ed infine ad una bufera biblica con faloppe grosse
come gatti siamesi che arrivavano da ogni direzione.
I partecipanti incitati dal vivace don Spartaco intonavano “Azzurro” con i conati e le
vesciche a bordo sciabordavano come borracce.
Quando ormai nessuno ci sperava più si vide all’orizzonte la colomba liberata da don
Luigino, parroco in seconda, fare ritorno con un pezzo di “Camogli” stretto nel
becco.
La colomba della pace annunciava un autogrill; la povera bestiola si infilò dentro un
finestrino e depose il pezzo di panino sul cruscotto e poi cadde, morta assiderata.
Il posto di ristoro fu accolto come la Terra Promessa, tutti intonarono un osanna ed
iniziarono a ballare, più che altro per scaldarsi e una ragazzina dalla seconda
abbondante, che doveva essere la sex symbol del gruppo, versò lacrime da
telenovelas facendo sì che tutti andassero a consolarla palpeggiandola con trasporto.
L’ingegner Merendina si svegliò e si avventò come un ghepardo obeso sul pezzo di
panino.
All’autogrill Ivo ebbe il suo primo incontro ravvicinato con don Spartaco. Il
sacerdote lo annusò e sentì immediatamente puzza di infedele.
-
sono davvero contento che tu sia tra di noi…
disse mentendo. E poi subito a tradimento:
-
da quant’è che non ti confessi?
-
Beh, sarà, all’incirca htbfbciybif
-
Domani ti aspetto.
Tagliò corto come in un film western e si fece largo per raggiungere il self-service.
La prima sera il montaggio della tenda, al buio, sulla neve, fu un impresa di una
difficoltà sovrumana; Ivo ed Etta se la cavarono anche grazie all’aiuto dell’ingegner
Merendina che aveva scordato la sua e aveva chiesto ospitalità.
Franchino Trentucci era un transfugo degli scout fra le cui fila aveva militato per
anni. Poi c’era stata una lotta per il potere fra il clan dei castori, la famiglia dei
lupacchiotti e la sacra corona unita dei cervi e alla fine la sua fazione aveva perso e,
per evitare sanguinose faide nonnistiche, aveva preferito sparire, cambiando la sua
identità scout da “orso Yoghi” a “stambecco sovrappeso”. Voci bene informate dicono
sia pronto a tornare fra qualche anno più forte che mai per riconquistare il suo trono.
Comunque sia, sa montare le tende e quella sera fu provvidenziale, anche se la tassa
che la coppia pagò per l’aiuto fu altissima: Trentucci occupava praticamente tutta la
tenda e russava come un asmatico in crisi respiratoria.
Non chiusero occhio ma ci fu chi ebbe destino peggiore.
Due ragazze con gli occhi chiari tentarono di scaldarsi accendendo un piccolo falò
all’interno della tenda che reagì come una mongolfiera, sradicò i picchetti e si librò
nel cielo, dirigendosi verso nord.
Don Luigino, che la mattina seguente scese a valle con il bob e chiamò il 1518 di
viaggiareinformati, disse che forse le avevano avvistate in prossimità delle isole
Faroer.
Un altro ragazzino invece, tale Saverio, ebbe la sfortuna di piantare i picchetti sulla
superficie di un lago ghiacciato.
Conficcando i paletti a cerchio e tutti piuttosto vicini l’uno all’altro, lo sventurato
disegnò un diametro perfetto come fanno gli esquimesi quando vogliono pescare le
aringhe.
Appena entrò all’interno dell’area delimitata il ghiaccio cedette e lui scese a candela
per una decina di metri tipo sonda di carotaggio.
Lo trovarono all’ora della preghiera del mattino completamente ibernato, con in tasca
un salmone e qualche aringa, in posizione fetale con le labbra protese in
inequivocabile posizione bestemmiante. Don Spartaco chiuse un occhio e officiò la
messa del mattino.
Terminata la funzione i ragazzi si riunirono in gruppi per discutere dei massimi
sistemi. C’era chi si chiudeva in un mutismo autistico, chi invece parlava senza
prendere fiato per ostentare la propria profondità fatta di opinioni sentite da qualche
pop star il sabato pomeriggio ad hit parade show.
La ragazza che parlò per ultima, citò a memoria un paio di canzoni, complete degli
stacchi di batteria, che non c’entravano niente con il tema, e, non prendendo fiato,
sull’ultimo assolo di chitarra, stramazzò al suolo e fu necessaria una bombola di
ossigeno ed elio.
Dopo il pranzo si iniziò un gioco divertentissimo ed estremamente educativo.
Una specie di guardie e ladri: chi fossero le guardie e chi i ladri lo si faceva decidere
democraticamente ai ragazzi che ne discutevano civilmente e approdavano ad una
decisione solo se si presentava l’unanimità.
Dopo due minuti e quattordici secondi era raggiunta.
I più grandi facevano le guardie, i più piccoli i ladri.
I ladri dovevano scappare, cercando di nascondersi; le guardie per imprigionarli
dovevano toccarli con le mani o con prolungamenti del proprio corpo quali ad
esempio bastoni, pietre, fili scoperti, mute di cani.
Chi perdeva doveva tributare un omaggio all’ingegner Merendina, arbitro del gioco:
cibo se il perdente era maschio, bacino se la perdente era femmina.
Franchino Trentucci a quei raduni si sentiva un play boy e tornava in città rinfrancato.
Ivo, per cristallino spirito sportivo, scelse di stare con i ladri e fu imprigionato quasi
subito per mezzo di un trucchetto estremamente ingegnoso.
Le guardie che avanzavano a guscio di tartaruga come le legioni di Cesare, ad un
certo punto lasciarono libero un varco, Ivo pensando di avere campo libero iniziò a
correre ma all’improvviso, ad un ordine del generale, si alzò una griglia tipo prima
guerra mondiale e il povero Ivo rimase impigliato in mezzo al campo di battaglia.
Allora una batteria di arcieri mimetizzati dietro una roccia spuntarono, estrassero le
frecce dalle faretre e ne fecero uno spiedino alla San Sebastiano.
Ivo come obolo voleva cedere Etta all’ingegner Merendina ma egli integerrimo disse:
-
ma non fare lo scemo! Non accetto!
E volle le pizzette surgelate che Ivo nascondeva nello zaino.
Un sacco di risate, insomma!
La sera, dopo aver affumicato e cucinato sul pack il salmone e le aringhe di Saverio si
riunirono tutti nella grande tenda centrale per lo spettacolo di varietà.
Conduceva Etta con uno stomachevole abito lungo, giacca a vento e mountboot
pelosi.
Si susseguirono imitazioni dissimili, canti gregoriani accompagnati da gesti epilettici
che tutti conoscevano a memoria (tranne Ivo che, per questo, era continuamente
incenerito da don Spartaco), lotterie prive di premi ed elezione di miss Campo
Bianco; vinse la ragazza che piangeva sul pullman che nuovamente pianse per la
gioia e nuovamente venne consolata e palpeggiata.
Dopo nove mesi da quella gita la ragazza partorirà due splendidi gemelli per la gioia
di tutti i loro padri.
Dopo la sigla finale la serata non era ancora finita, c’era da assistere alla “compieta”,
insormontabile litania fiume accompagnata da chitarra classica e bongos africani.
Ivo si puntellò alla meglio sui quattro lati per rimanere in posizione eretta per le tre
ore di sermone senza intervallo.
Quando finalmente anche questa prova fu superata Ivo aveva terribili allucinazioni
visive, olfattive e sonore: vedeva manghi e papaie, ballerine brasiliane, sentiva
l’odore della crema solare e il ritmo della cucaracha. Per un attimo pensò di offrirsi
volontario come sacrificio umano.
Ma quello che lo aspettava era ben peggiore.
Trasalì di botto quando si sentì colpire da un colpo di karate alla nuca, stile Shito
Ryu, con una potenza degna del maestro Kenwa Mabuni.
-
ahia!!!
Disse Ivo, distaccandosi dalla scuola di Okinawa.
-
non sai nemmeno le canzoni!
-
No, le so, solo che a me piace cantarmele in testa…
Replico pateticamente guadagnandosi un altro montante destro alla mascella.
-
nella mia tenda! Confessione!
Disse con una voce che non ammetteva repliche don Spartaco e si avviò.
Ivo, che tremava come la colla di pesce, lanciò un occhiata di SOS all’ingegner
Merendina.
-
tranquillo, io lo conosco, sii sincero e vedrai che avrai una penitenza lieve!
Ivo entrò nella tenda del sacerdote intorno a mezzanotte. Tutti rientrarono nelle loro
tende ma sbirciavano e tenevano le orecchie tese. Per alcune decine di minuti il don
mulinava gesti molto pacati, quasi dolci e si vedeva l’ombra di Ivo che scuoteva la
testa; tutti ipotizzarono un atto di contrizione.
All’improvviso iniziò una compilation di suoni sordi.
Il rettile verde con i brufoli, uscì dalla tenda e disse:
-
ma ha la tv don Spartaco?
-
Forse. Perché?
Chiese qualcuno spuntando dalla canadese.
-
forse danno Bud Spencer e Terence Hill…
Tutti a quel punto uscirono dalle tende e cantarono al chiar di luna tutta la colonna
sonora di “Io sto con gli ippopotami” e “due super piedi quasi piatti”.
Alle due Ivo uscì.
Etta gli chiese:
-
ti ha dato molte preghiere per penitenza?
-
No, no, mi ha detto che basta così...
Disse Ivo tumefatto.
11 – Ivo e le sedute di analisi con il dottor Gianvittorio Fanelli, esimio
psichiatra
Mentre Natale si avvicinava a grandi passi Ivo era ripiombato in fondo al pozzo della
sua malattia. C’erano state settimane in cui aveva imparato a parlare del futuro, non
dico a fare progetti ma perlomeno riusciva a sforzarsi di pensare che, dopo le poche
ore successive, esistevano ancora ore e giorni, persino mesi.
Poi, pian piano, i quotidiani resoconti del tg sulle morti bianche lo avevano logorato,
le dichiarazioni di esponenti politici che equiparavano tutti coloro che parlavano di
precariato e di condizioni di impiego schiavistiche ai terroristi lo avevano scosso
sempre più in profondità, fino a restringere nuovamente le sua visione temporale allo
spazio di ventiquattrore.
Non si trattava di non avere speranza nel futuro o di non confidare nel progresso, si
trattava di una vera e propria patologia.
Ivo andava nei negozi e quando non c’era l’articolo che gli interessava il commesso
chiedeva:
-
glielo ordino per giovedì?
E lui rimaneva imbambolato come uno stoccafisso.
Non riusciva a fissare un appuntamento, a capire una battuta, a coltivare un sogno,
un’aspettativa, non poteva servirsi di nessuna utopia per restare a galla.
Una sera, quando ancora stava con Chiara e la situazione non era certo drammatica
come oggi, ricordò di aver pensato che la cosa che più di ogni altra gli faceva rabbia
era non poter pensare che avrebbe potuto stare con lei per tutta la vita.
Non glielo disse mai e di questo si rammarica quasi ogni giorno e, quando ci pensa,
sente una fitta alla bocca dello stomaco, come un pugno.
Per tutta la vita comunque non fu, ma sarebbe stata una bella illusione.
Così, decise a malincuore di tornare dal suo vecchio psichiatra che aveva
abbandonato su consiglio di Chiara appena prima che gli giocasse quel brutto tiro
della tv.
Gianvittorio Fanelli, esimio psichiatra, era l’unico medico che Ivo si potesse
permettere di frequentare con una certa regolarità; soprattutto dopo la bancarotta di
qualche anno prima, oggi il Fanelli accetta la retribuzione che il cliente può pagare,
non poco spesso baratta addirittura sedute e diagnosi con polli, ciuffi di insalata,
cassette di frutta o bottiglie del peggior vino da discount.
Fanelli non ha mai perdonato ad Ivo di essere fuggito con Chiara non accettando di
apparire sulla tv nazionale alla quale lui, proditoriamente, aveva venduto la sua storia
per pagare i debiti.
Perciò, ancora oggi, per vendicarsi, da quell’uomo sordido che è, più che sottoporlo a
sedute di analisi lo prende in giro tra un sonnellino e l’altro.
Quel giorno gli raccontò di aver rifiutato un lavoro e che, alla notizia, Etta aveva fatto
una scena da prefica greca.
Era stato convocato dal titolare di una piccola azienda del lodigiano che produce
vernici ma al momento del colloquio perse completamente l’uso dei neuroni.
Fino a metà tutto sembrava filare liscio ma quando il principale estrasse dal cassetto
l’eventuale contratto e glielo diede da leggere Ivo, già dalla prima riga, cominciò ad
avvertire un disagio crescente come se avesse avuto tra le mani un reggiseno da
slacciare entro cinque secondi (gli ce ne volevano sempre almeno sette o otto e, se
non ci riusciva, iniziava a smanettare vicino ai gancetti come se fossero un
carburatore).
-
come mai Ivo? Forse quel contratto le ricordava sua madre? Suo nonno? Il
suo cavallo a dondolo?
Incalzò Fanelli sarcastico senza smettere di compilare la schedina.
-
no, fu l’intestazione…non la capivo e più mi sforzavo di capirla e più mi
agitavo, più mi agitavo e più mi mancava il respiro e via con la pompetta, più
pompetta e più mi ricordo che ho l’asma, più asma più ansia, più ansia più
sudavo, più sudavo e più quel foglio tra le mani assomigliava alla carta oleata
della focaccia…
-
e che ci sarà mai stato scritto?
-
L’ho portato, dottore, legga…
L’esimio psichiatra di malavoglia distolse gli occhi da Fiorentina-Milan e prese il
foglio con due dita esplicitamente disgustato dal sudore fuori misura.
Si aggiustò gli occhiali pensando che forse per Fiorentina-Milan era opportuno
giocarsi una doppia…X2 o 1X? Mise gli occhi sul contratto…
-
dunque…
principiò stentoreo
-
…contratto a tempo indeterminato…
-
Ecco quello…
Interruppe Ivo
-
quello mi ha turbato…
-
cosa?
-
Quello!
-
Tempo indeterminato?
-
Sì
Finalmente Fanelli realizzò ed iniziò a ridere sboccatamente. Gli altri pazienti, per il
doveroso servilismo che gli sembrava legittimo offrire al proprio medico curante, lo
seguirono: iniziarono per primi quelli dei primi banchi sogghignando, poi pian piano
la risata contagiò tutti come una reazione a catena e aumentò via via di clamore e
intensità fino ad apparire come un’unica voce enorme e mostruosa.
-
ma lei ha rifiutato un lavoro a tempo indeterminato? Quando gliene capiterà
un altro andremo a fare la spesa su Saturno!
E rise ancora, tossendo, annaspando, ingollando una tartina alla senape.
Ivo guardava nel vuoto, spento, senza tristezza.
Guardò Fanelli che rideva, sbracato, rincagnando il collo, con quei suoi sette o otto
menti. D’un tratto smise di ridere e con lui smise tutto il gruppo. Spalancò gli occhi
come per regalare una diagnosi importante, come a rivelare un anfratto inaspettato
nella geografia delle sinapsi.
Invece si addormentò, ammonticchiandosi su sé stesso come un sacco di rape.
Ivo trovava assomigliasse a Baget Bozzo, fatta esclusione per quei capelli
orrendamente tinti con pozioni sempre diverse.
Era stato platino, finto mogano, prugna del Caucaso, testa di moro, pioppo del Po.
Quando è addormentato invece sembra un batrace in letargo.
Ivo è sempre stato convinto che se gli Angela lo vedessero farebbero uno speciale di
“Superquark”; a volte, mentre ascolta i suoi compagni della seduta di gruppo
raccontare le loro disavventure, si distrae e pensa che, quasi quasi, se avesse
abbastanza coraggio, potrebbe ripagarlo con la stessa moneta e vendere i filmati delle
sue dormite alla trasmissione.
Questo pensiero lo fa ridere e gli piace perché lo sente come una piccola rivincita.
Ivo lo prendo sempre in giro e spesso lo detesto perché riesce a essere stupido al di là
della decenza, perché è banale, poco brillante e, a volte, ho l’impressione che non
faccia il minimo sforzo per strappare il suo brandello di felicità, ma altrettanto spesso
mi sento in colpa.
Mi sento in colpa perché lui è più debole ed invece di essere difeso è stato
saccheggiato con una rapacità ed una voracità indegna. Forse lui meno di altri è stato
in grado di difendersi ma nessuno avrebbe avuto il diritto di decidere che non doveva
esistere e cancellarlo così, come una sbavatura.
Perché se a un uomo togli l’orizzonte e gli lasci solo il passato e le miserie dell’oggi,
davvero non rimane niente.
E questo è lui. Così dimesso da passargli sopra con la ruspa ma talvolta così tenero e
buffo e indifeso che ti viene voglia di abbracciarlo e di dirgli: “non ti preoccupare…
vedrai che passa tutto, dormi ora…” proprio così ti viene voglia di dire, come se fosse
un bambino, come se fosse una parte di te; proprio questa tenerezza ti viene e una
rabbia ti sale, da urlare, una rabbia con le radici ficcate nella ingiustizia più profonda
e più lercia.
12 – Ivo e la maga
La sera Ivo qualche volta guarda il cielo.
Non fa riflessioni tipo: “quanto siamo piccoli” o “da dove veniamo?!”, “dove
andiamo?!”, “chi siamo?!”
Ne fa altre tipo: “perché cazzo stasera non c’è niente in televisione?!”
Quella sera Etta era andata ad una riunione dell’ACR; il tema era: “amore spirituale
e, solo se è inevitabile, amore fisico” che era un po’ la filosofia di Ivo, anche se solo
nei confronti di Etta.
Era anche la filosofia di tutti quei brufolosi iperormonali adolescenti che,
ovviamente, la pensavano così per mera necessità.
Al primo essere vivente semi-mobile e umanoide di sesso opposto (ma non
necessariamente) che fosse apparso all’orizzonte, si sarebbero macchiati di qualsiasi
turpitudine pur di avere un orgasmetto piccolo piccolo, anche microscopico.
Tuttavia quella sera sarebbe stato un fluire di melassa sotto la quale turbinavano
correnti di solfuro di zinco.
Per esempio un ragazzo di cui Etta parlava sempre, tale Duccio Maria Keller, faceva
mostra della propria virtù ad ogni incontro. Aveva per le ragazze, ma in generale per
tutto il genere umano, diceva Etta, una sensibilità ed un’attenzione fuori dal comune.
Suo padre era un noto trafficante d’armi la cui attività si svolgeva fra l’Italia e diversi
paesi africani; si diceva fosse un feroce osservante dell’antica filosofia del nepotismo
che applicava con un rigore impeccabile.
Comunque Ivo era contento di essere riuscito, dopo la sfibrante campagna di Campo
Bianco, a rifiutare l’invito e a sedersi davanti alla finestra a far niente, attività di gran
lunga più divertente di una riunione con don Spartaco e i suoi calci rotanti sotto il
tavolo.
Purtroppo quella sera le luci della città sembravano particolarmente luminose e, per
di più, arrivarono ben presto nuvoloni da nord che coprirono tutte le stelle.
Pertanto Ivo decise di riaccendere la tv e di dedicarsi ad una maratona di zapping fino
ai canali più remoti ed inesplorati.
Dopo un paio d’ore il dito della mano si era trasformato in una specie di gnomo
avente vita propria che saltellava da un tasto all’altro fischiettando il motivo di “Io
sono un elfo e vivo nel bosco della mia fantasia”. Infine apparve
ReteCiociariaIndipendente, in sovrimpressione scorrevano titoli colorati e numeri da
digitare.
Al telefono c’era un signore che chiamava da Ariccia e che voleva parlare con la sua
vecchia zia a cui aveva voluto molto bene.
La maga dopo aver cotto una braciola su un barbecue accanto alla sfera di cristallo, la
depose sul tavolo e ci piantò nel mezzo, con una certa foga, una candela rossa con la
faccia di Babbo Natale.
Poi emise alcuni fonemi ciancicati, prese coltello e forchetta, ne tagliò un robusto
pezzo, lo ingoiò senza masticare e si mise a far saltellare la sua pancia con le mani.
Disse che il pezzo di braciola iniziava a darle segni divini, prese una gollata di
barbera da un bottiglione e confermò che i segni erano inequivocabili, ora glielo
confermava anche il vino che stava chiacchierando col pezzo di braciola.
Poi diede uno strillo apocalittico, chiuse gli occhi e iniziò a parlare con la voce di
Calimero; dichiarò di essere la zia trapassata, di stare bene dove sta, di voler molto
bene al nipote di cui sbagliò il nome e di dover tornare in uno dei buchi intersiderali
che era solita frequentare.
Il signore al telefono si sciolse in lacrime, la ringraziò commosso, sia per il dialogo
con la zia, sia per il fatto di aver sistemato la figlia che ora aveva un lavoro come
cristo comanda. Disse proprio così. E aggiunse che le avrebbe fatto avere quanto
prima due o tre salami, di quelli che fa suo cognato.
Ivo, nel sentire del lavoro, quasi senza pensarci, prese il telefono e compose il
numero che lampeggiava al centro dello schermo.
Gli rispose la maga in persona.
-
chi c’è?
Disse.
-
buonasera maga Elide, mi chiamo Ivo e chiamo dal nord…
-
pure io rispondo dal nord!
Replicò Elide mentre, sullo schermo, cercava in mezzo agli incensi il filo
interdentale.
-
come? Non vive in Ciociaria?
-
No, vivo a Genova…tu stai guardando la tv?
-
Sì
-
Saranno sedute registrate, su ReteCiociariaIndipendente mi faccio
pubblicità, vengono a mazzi dal Lazio, vado come il pane…
-
Capisco…
-
Io vivo a Genova e ho il mio studio qui...
-
Mi spiace averla disturbata a quest’ora allora…
-
Macché, tranquillo, ero sveglia, mi stavo facendo il solito spuntino prima di
andare a letto…
-
Volevo esporle il mio problema…
-
Per telefono non sento il fluido.
-
Come?
-
Il fluido, col telefono non arriva il fluido.
Bah. Sarà la Telecom, pensò Ivo.
-
…vieni nel mio studio…
-
Quando?
-
Quando puoi?
-
Domani sera, dopo il lavoro…
-
Ecco bravo, t’aspetto, ciao.
-
Buonanotte, grazie e buon appetito.
La sera dopo, accampando con Etta la solita scusa dell’amante, Ivo, dopo il lavoro,
prese un carro bestiame regionale e, senza riscaldamento, senza luce e in condizioni
igieniche da agropontino pre-bonifica, arrivò, fresco come un tuareg, a Genova
Principe con due ore e trentaquattro minuti di ritardo.
Chiese dove passare per raggiungere la via ma nessuno seppe rispondergli; le
mancate indicazioni non fecero che accrescere il suo nervosismo. Sembrava che
nessuno sapesse dove si trovava il vico dove ha lo studio la maga Elide.
Come se non bastasse, Ivo si sentì toccare sulla spalla e, voltandosi, vide una signora
altolocata con, al guinzaglio, un impiastro di barboncino con denti da vampiro.
-
me lo può tenere?
Chiese la signora.
-
guardi sono un po’ in ritardo…
grazie, lei è molto gentile, devo solo andare un attimo dalla parrucchiera a
farmi i riflessi, appena esco lo riprendo.
Ivo non riuscì a replicare.
Non appena la signora fu sparita il cagnolino si attaccò come una piattola alla
caviglia di Ivo facendone brandelli.
Più che mordere, rosicchiva ma non smetteva un attimo e lo faceva con una ferocia e
una indisponenza straordinari.
Il nervosismo di Ivo traboccò e sfociò in una delle sue note reazioni fuori misura.
Lo tirò per il guinzaglio verso l’alto e lo acchiappò in presa plastica sopra le teste di
alcuni attaccanti passati di lì per caso; poi lo palleggiò tre o quattro volte, attendendo
lo marcamento dei compagni ed infine lo rinviò ben oltre la metà campo esattamente
su un camino che svettava dalla città vecchia.
Seguendo la parabola del barboncino ad Ivo parve di leggere una scritta, pennellata
sul retro di una cassetta della frutta, indicare proprio vico dell’amore.
Se ne fregò della signora e si avviò ed, in effetti, arrivò davanti allo studio della maga
Elide.
Si trattava di una macelleria tuttora in funzione, specializzata nella macellazione e
nella vendita diretta di bovini della val Brembana.
Ivo entrò titubante.
-
dica…
disse un signore corpulento.
-
starei cercando la maga Elide…
-
sta o non sta?
Chiese il macellaio togliendosi dal collo una collana di salsicce.
-
sto.
-
Nel retrobottega, prego…
Ivo entrò in una sala d’aspetto sinistra, con quarti di bue appesi al soffitto, pareti di
marmo e un tavolino stracolmo di riviste di gossip, ciccioli e cubetti di pancetta
affumicata.
Nell’angolo in fondo a destra c’era un cartonato a grandezza naturale di Vanna
Marchi e il mago DoNacimiento che addentavano una costina di vitello.
Ivo avvertì un leggero disagio ma, prima di poter realizzare, si spalancò una porta a
vetri zigrinati e la maga Elide lo invitò ad entrare.
Ivo si sedette su un barile posto davanti alla scrivania ed iniziò ad esporre i suoi
problemi in un discorso fiume che la maga ascoltò solo per il 25, 26%.
-
insomma, se ho capito bene, qui si tratta soprattutto di amore e lavoro!
Lo interruppe infilando una fetta di pane nel tostapane.
-
sì…
-
vorresti che tornasse questa Giovanna…
-
Chiara…
-
Eh appunto, questa Chiara e vorresti trovare un lavoro migliore, diciamo di
una certa durata…
-
Eh, sì.
-
Beh, per l’amore ci vuole la classica pozione…
Diagnosticò la maga con aria professionale.
-
una pozione?
Chiese Ivo meravigliato.
-
certo!
-
E come è fatta una pozione d’amore?
-
Hai presente il ketchup?
Chiese la maga.
-
sì.
Ripose Ivo.
-
quella è la pozione. Puoi comprarlo quando esci, in negozio ne teniamo
assai. C’abbiamo quello della Calvè, va benissimo. Te lo porti a casa, ti fai una
cotoletta ai ferri, ce lo metti sopra e dici le parole magiche “papestan papesatan
aleppe”, poi mangi tutto, fai scarpetta e, prima della prima notte di plenilunio,
cioè martedì questo, mi mandi un vaglia con cinquecentoventisette euro…per
la riuscita dell’incantesimo fa fede la data del timbro postale!
-
Non sembrerebbe difficile!
-
Non lo è.
Tagliò corto la maga Elide.
-
e per il lavoro?
Incalzò Ivo
-
per quello devo parlare con l’aldilà!
-
Addirittura?
chiese un po’ spaventato.
-
sì, conoscevo uno che lavorava all’ufficio di collocamento, è morto l’anno
scorso, magari può fare qualcosa…
A quel punto estrasse una bottiglia di Lambrusco, il cartone del Monopoli sul quale
versò una polverina nera e tutti tasselli con le lettere dello scarabeo.
Accese il forno a microonde che si illuminò misticamente svelando un pollo da
scaldare; la maga dispose le lettere a cerchio e posizionò la bottiglia su Parco della
Vittoria, ci furono attimi di grande attesa.
All’improvviso si sentì una vibrazione ed un trillo. La maga estrasse il pollo dal
microonde e lo depose con gesto ieratico sulla casella degli imprevisti…strappò con
chirurgica spiritualità entrambe le cosce.
-
Mangia!
Disse, porgendone una come un’ostia. Ivo eseguì.
Lei si avventò sulla sua coscia, la sbranò, reclinò gli occhi all’indietro e, come
posseduta, come invasata, divorò in un attimo tutto il pollo; la bottiglia di Lambrusco
cominciava a muoversi sul tavolo, saltellando da corso Ateneo a vicolo Corto, senza
nemmeno passare dal via. La maga la afferrò per il collo e la scolò d’un fiato.
-
sono pronta a vaticinare, sono pronta a vaticinare!
Disse in preda all’estasi con la voce di Platinette.
Nel frattempo i tasselli dello scarabeo iniziarono a raccogliersi come mossi da vento
dionisiaco e formarono la scritta: “come fu per loracolo di Delfi, anche alla maga
Elide porgi la tua domanda”. Ivo aveva una tachicardia anfetaminica.
-
avrò presto un lavoro migliore? Magari anche a tempo in…, in…, in…,
in…per un bel po’ di tempo?
La maga sbarrò gli occhi, si artigliò la pancia con le mani ingioiellate e deflagrò un
rutto da quindici megatoni che si udì fino al lungomare di Porto San Maurizio.
Poi rientrò in sé, assunse nuovamente un colore roseo, aprì lentamente gli occhi ed
emise un lungo sospiro.
-
i trapassati hanno parlato.
Disse.
-
Prima o dopo il rutto?
-
Durante! E’ un oracolo!…
Spiegò
-
lo devi interpretare…il trapassato dell’ufficio di collocamento mi ha anche
fatto capire che vuole una bustarella votiva…
che offerta?
-
Sei chili di carne trita. Edifica un altare nel tuo salotto e offrigli in dono
questa carne e vedrà quello che può fare…
-
va bene.
-
Comprala di là, ti faccio uno sconto…
-
Grazie.
Disse Ivo cercando la porta per uscire.
-
ti faccio accompagnare
disse la maga
-
…Ettore!
Spuntò un nano da sotto il tavolo che giochicchiava con due calamite.
-
accompagna il signore…
-
per di qua…
disse Ettore, poi si voltò e chiese alla maga Elide:
-
loracolo con l’accento o senza?
Con! Con! Quante volte te lo devo dire! La parola è oracolo, “l” è
l’articolo! “L”, apostrofo, oracolo!
Porcaccia, mi confondo sempre.
Disse il nano.
Ivo arrivò davanti al bancone.
-
vorrei sei chili di carne trita…devo fare un’offerta…
il corpulento signore macinò la carne, facendola cadere sulla bilancia.
-
per che cos’è l’offerta?
-
Lavoro o amore, o amore e lavoro non ho ben capito…perché?
-
Perché ho fatto sei chili e mezzo, che faccio? Lascio?
-
Sì.
Disse Ivo, pensando di aumentare l’efficacia del voto.
-
sacrifica subito o gliela incarto?
-
No, no, sacrifico a casa.
Aspettando sul marciapiede numero 8 il treno che l’avrebbe riportato a Milano, Ivo
vide in lontananza una signora distinta che camminava su un tetto, barcollando con i
tacchi sulle tegole, nel disperato tentativo di recuperare il suo barboncino seduto nella
cavità di un camino.
Sotto un sacco di gente che rideva, applaudiva e puntava denaro.
-
ben gli sta!
Sussurrò Ivo che sentiva che le cose già cominciavano ad andare meglio. Squillò il
cellulare, era la Severini che gli comunicò che era stato licenziato un’altra volta e, nel
chiudere la comunicazione, vide sul display la data. Era il 29 del mese.
13 – Ivo e il viaggio culturale a Pompei
La storiaccia di Pompei iniziò una gocciolante notte di Novembre.
L’ingegner Merendina, assurdamente contro natura, dal giorno dei morti in avanti si
rinvigoriva inspiegabilmente, come se sniffasse righe e righe di colla vinilica.
Inoltre, sempre sfidando ogni legge biologica, iniziava a sentire voglia di vacanze ed
un irrefrenabile desiderio di esserne ideatore, organizzatore e animatore.
Anche negli altri mesi dell’anno aveva i suoi sprazzi di vitalità, che sfogava
prevalentemente con l’ACR, ma il mese di Novembre era il suo periodo d’oro.
Anche quell’anno, nel corso dei cinque minuti di merenda notturna, richiamò
l’attenzione battendo la forchetta di plastica sulla bottiglia di plastica. Si mise in piedi
su una sedia come un bambino che voglia recitare la poesia a Natale ma poi, appena
la sedia si mise ad emettere cigolii sospetti, scese e si adattò a parlare dal basso del
suo metro e sessanta.
-
ho organizzato una gita culturale a Pompei…sarà un’esperienza di estremo
spessore culturale…
alla frase “spessore culturale” tutti gli astanti rabbrividirono. Quel narcolettico
dell’architetto Gigioni si toccò le palle e poi si addormentò.
-
…mi spiace che non tutti potranno partecipare…
Tutti voltarono lo sguardo al maxischermo della sala mensa che riporta i turni degli
ultimi tre piani dell’edificio e che è sovrastato dall’enorme effigie luminosa
rappresentante il profilo dell’Augusto, Altissimo, Venerabile dott. Elio Fottola.
Ognuno sperava di dover lavorare quel giorno.
-
le iscrizioni sono aperte, le raccolgo io da oggi fermandomi davanti alla
timbratrice!
E si rimise giù a mangiare fra lo scoramento generale. Era difficile dire di no
all’ingegner Merendina; era un tipo irascibile e amava rifarsi degli sgarri subiti su
parenti e amici; inoltre, essendo il miglior cliente di tutti i negozi e supermercati della
città, se lo avesse voluto, avrebbe anche potuto imporre al suo nemico l’embargo
alimentare.
Nonostante questo, qualcuno ce la fece, accampando scuse astute e insindacabili
come epidemie in famiglia, carestie al paese d’origine, cali della borsa, crisi
mediorientali, questione cecena e finanziamenti pubblici ai partiti.
Alla fine la composizione della spedizione era la seguente: l’ingegner Merendina
capo-gita, la Severini che non aspettava che occasioni del genere per sfoderare la
propria cultura di quarta mano, la ragazzina dalle trecce color del grano che voleva
molto bene alla madre e temeva ripercussioni, Valentino Manfredini e la sua capoufficio sovietica, tre o quattro disgraziati dell’ufficio reclami che pur di avere
un’occasione mondana avrebbero sfruttato anche un last minute per Kabul, e
naturalmente, praticamente costretto dal Trentucci, Ivo con la ributtante dolcissima
compagna Etta che amava sinceramente i ruderi, essendola a sua volta.
Al momento della partenza Franchino Trentucci, in impeccabile tenuta da guida
turistica coloniale, rese edotti i partecipanti di alcuni particolari che inizialmente
aveva tralasciato.
Il mezzo di trasporto non era l’aereo, come inizialmente si pensava, ma un vecchio
scuolabus giallo canarino progettato per viaggi di massimo otto minuti; all’interno i
minisedili di plastica erano stati concepiti per far muovere i bambini il meno
possibile, quindi lo spazio fra uno e l’altro era giusto giusto per un paio di ginocchia
di un essere umano di cinque anni.
Altro elemento importante era che il pranzo e la cena non sarebbero stati al ristorante
bensì al sacco, con cibo e sacco forniti dall’organizzazione. Ultima questione non
trascurabile era il rientro, catastroficamente previsto in giornata.
Quando arrivarono a Pompei era già ora di ripartire.
Fecero un rapidissimo giro per la città durante il quale Ivo fece in tempo a sparare tre
o quattro stronzate storiche di notevole portata, prima fra tutte quella di meravigliarsi
di come le passerelle di legno presenti nell’area archeologica si fossero così ben
conservate nel corso dei secoli.
La Severini annuì lungamente fino a quando incrociò lo sguardo della guida locale,
una ignobile vecchiaccia putrefatta, che le fece intuire la scempiaggine e allora
insultò Ivo per la sua ignoranza premurandosi di farlo davanti ad Etta che incassò e si
mise a fotografare le passerelle dicendo che comunque a lei, vecchie o nuove,
piacevano molto.
Valentino Manfredini, con il suo solito savoir-faire da seduttore raffinato si mise di
fianco ad un dipinto di un fauno con l’enorme fallo su una bilancia e mimò
movimenti scurrili che lasciavano intendere che il suo membro eguagliasse la figura.
La campionessa sovietica rise a squarciagola facendo temere agli autoctoni una nuova
eruzione.
La ragazzina dalle trecce color del grano non fece sostanzialmente altro che vomitare.
Iniziò all’altezza di Casalpusterlengo e smise la settimana seguente.
I disgraziati dell’ufficio reclami invece si entusiasmavano, ridevano, davano fastidio
e fotografavano anche i cessi come i giapponesi.
L’ingegner Merendina, a parte aver comprato tutti i prodotti tipici del luogo,
indebitandosi fino al 2012, seguiva come un segugio la guida facendo eco a quasi
tutte le sue descrizioni e facendo domande di una banalità imbarazzante su usi e
costumi dell’antica e dell’attuale Pompei.
Il viaggio di ritorno fu una tragedia greca.
L’afrore dei prodotti acquistati dall’ingegner Merendina e disposti sotto i sedili, luogo
scelto per via dell’ideale umidità, rese l’aria irrespirabile quasi immediatamente.
Nonostante ciò il sadico Trentucci costrinse tutti a cantare “Azzurro” settantaquattro
volte, esentando solamente quel porco del Manfredini e la zoccola russa che, come
due adolescenti, limonavano caparbiamente in fondo al pullman.
La Severini, per contrappunto, si era piazzata in testa e tampinava indecorosamente il
conducente che le stava raccontando di essere laureato alla Sorbona con una tesi su
Thomas Milian, detto “er Monnezza”, quando invece tutti sapevano si trattasse di un
parcheggiatore abusivo di Buccinasco, affittato dall’ingegner Merendina perché gli
autisti veri erano fuori budget.
I disgraziati dell’ufficio reclami aprivano delle bocche così per il paesaggio, in modo
del tutto incomprensibile visto che era ormai buio da ore e fuori poteva pure essere la
periferia di Crotone; Ivo, con le ginocchia ormai saldate alle orecchie, si riprometteva
che non avrebbe più partecipato ad una gita organizzata dall’ingegner Merendina.
All’altezza di Firenze qualcuno scriveva lettere ai propri cari e redigeva testamenti ed
invece, alle prime luci dell’alba, apparve come un miracolo la barriera di Milano.
A quel punto Franchino rivelò l’ultima sorpresa: una rutilante lotteria legata al
numero del biglietto di ingresso agli scavi di Pompei.
-
un piccolo modo per rendere ancora più piacevole questo giorno passato
insieme!
Disse Trentucci.
Gestacci da dietro i sedili.
L’ingegner Merendina prese la confezione vuota di una mozzarella di bufala che
aveva consumato durante il viaggio e ci infilò tutte le matrici dei biglietti.
-
ci vorrebbe la pura mano di un bimbo!
Dichiarò Trentucci.
-
se hai pazienza nove mesi facciamo pescare a nostro figlio!
Vociò il Manfredini che, nel frattempo, era passato dallo slinguazzamento ad un
accoppiamento vero e proprio. Tutti risero, fingendo cameratismo, tranne Etta perché
non staccava gli occhi dall’ultimo libro della saga di Harry Potter, e la ragazza dalle
trecce color del grano perché vomitava.
-
vabbè, pesco io, non sono una bambina, ma sono pura!
Disse la Severini. Brusio fra i sedili.
-
il numero è il 196745/s!
sillabò la Severini denotando una certa esperienza di tombolate da ospizio.
Ci fu un silenzio surreale che durò lo spazio di pochi secondi; giusto il tempo
necessario affinché Ivo si accorgesse che il biglietto vincente era quello che Etta
stava usando come segnalibro. Con un movimento felino lo sfilò e si buttò giù dal
sedile esultando.
-
è mio, è mio, ho vinto!
Era la prima volta in assoluto che Ivo vinceva qualcosa (anche se aveva scippato la
vincita ad Etta) e, destino maligno, si presentò a ritirare il premio con le ginocchia
ancorate alle orecchie.
-
che cosa ho vinto? Che cosa ho vinto?
Chiedeva euforico mentre la Severini lo guardava come un essere deforme da
giustiziare con lo scacciamosche.
-
una cena per due al ristorante cinese “La muraglia ticinese”!
Ivo, avendo l’intestino irritabile, detestava due cose a tavola: il pesce crudo e tutta la
tradizione culinaria cinese dal periodo degli Stati combattenti ad oggi.
Gli si spense il sorriso. Tuttavia si sforzò e accennò un gesto di vittoria fra i magri
applausi della platea.
Tornato al suo posto disse a Etta:
-
sei contenta? Sabato ti porto a mangiare fuori…
Etta, che si era subito accorta del ratto del biglietto, gli sorrise, facendogli una
carezza. Era contenta che Ivo, seppur a sue spese, avesse provato il gusto della
vittoria e disse solo:
-
sì, sono contenta, grazie. Ora però cerca di staccare le ginocchia dalle
orecchie che siamo quasi arrivati…
14 – Ivo e la serata al ristorante “La muraglia ticinese”
Il solo fatto di poter portare la sua quasi-donna a mangiare fuori, faceva sentire Ivo
un uomo migliore, un quasi-macho.
Il solo fatto di tornare dal lavoro e doversi preparare gli buttava in faccia uno scherzo
di felicità.
Bastava poco a restituirgli quel briciolo di dignità che spetterebbe di diritto a
chiunque respiri, bastava il pensiero di poter uscire sottobraccio ad Etta (senza girarsi
troppo per guardarla, s’intende!), fare un paio di vasche per il corso, sentire l’arietta
gelida che annuncia la notte, infilarsi in un ristorantino, consumare un pasto
chiacchierando del più e del meno e potere, con disinvoltura, avvicinarsi alla cassa
estraendo il portafogli e pagare senza sentire terribili crampi gastro-duodenali.
Quella sera quindi Ivo, convinto del fatto che Etta non si fosse minimamente accorta
del furto del buono pasto, si aggiustava, tutto allegro, i baffetti intorno al labbro;
indossava addirittura una camicia bianca e una cravatta colorata, si pettinava quella
manciata di capelli con cura, tirava la pancia in dentro e si metteva di profilo di fronte
allo specchio.
Etta si raccolse i capelli all’indietro, indossò un abito di lana con il collo alto e una
collana di perle finte della nonna, finta anche lei, ma, tutto sommato, di una certa
grazia.
Si mise due gocce di uno stomachevole profumo all’essenza di anice che usava lei, un
paio di orecchini placcati in oro, scarpette lucide della domenica e si distribuì con
estrema attenzione gel e dopobarba sui baffoni albini da tricheco.
Uscirono con puntualità militare alle 7 e mezza dopo che Ivo, nel pianerottolo davanti
alla casa- armadio, fece una rapida perquisizione per controllare che tutto fosse in
ordine.
Occorreva essere al ristorante inderogabilmente per le ore 20 altrimenti il pasto gratis
sarebbe stato devoluto in beneficenza per contribuire all’acquisto del prossimo regista
che avrebbe dovuto offrire lavoro all’attrice brechtiana compagna dell’Onorevole,
Stimatissimo e già compianto in vita dott. Elio Fottola, proprietario di tutta la catena
di ristoranti “le muraglie Ticinesi”.
Allo scoccare delle 20 Ivo ed Etta presero posto al tavolo riservato ai fortunati
vincitori del concorso indetto dall’ingegner Merendina.
Si trattava di un tavolino graziosamente apparecchiato posto pericolosamente vicino
alla porta che portava alle cucine. Il rischio che uno dei battenti colpisse Ivo ogni
volta che un cameriere entrava o usciva era elevatissimo. Le sedie poi, nonostante le
ripetute, fantasiosissime zeppature, non riuscirono mai ad essere completamente
stabili.
Ma ad Ivo non importavano queste sottigliezze, quella sera aveva fermamente deciso
di essere felice; l’unica cosa che leggermente lo indispose fu la pala rotante posta
poco sopra il loro tavolo. Nel suo quaderno, a questo punto, il povero Ivo racconta di
iniziare ad avvertire una certa inquietudine per i ventilatori decapitanti che trova
praticamente ovunque vada.
Tuttavia passa subito oltre, come a non dar troppo peso alla faccenda, attribuendola
ad una sua ingiustificata paranoia momentanea.
La ferma decisione di strappare a quella notte un po’ di felicità fece scivolare Ivo ben
presto sulla buccia di banana dell’eccesso di brillantezza; una cameriera dagli
impercettibili tratti orientali ma dal chiaro accento milanese fece capolino al loro
tavolo indossando un elmetto da cantiere per proteggersi dalle pale.
-
buonasera! Avete già scelto?
-
No, non abbiamo ancora le liste…
Disse Ivo sicuro.
-
ve le porto subito…
-
grazie…come ti chiami?
Chiese Ivo con il gomito appoggiato al tavolo e con un fare da gran viveur.
-
…Greta
Rispose la ragazza con un bel sorriso.
-
sei molto gentile, grazie Gretina!
Disse Ivo, spegnendole istantaneamente il sorriso dal volto e guadagnandosi un calcio
di Etta sotto il tavolo alla Ronald Rambo Koeman.
Arrivarono le liste e Ivo fece la seconda clamorosa gaffe. Non aprì nemmeno il menù
e senza lasciare un secondo in mezzo, appena Greta disse:
-
quando avete scelto, chiamatemi…
Ivo disse:
-
ho già scelto, voglio tutto!
Va bene che era gratis, ma allora non occorreva la lista!
Greta segnò e si diresse in cucina.
Una signora, vestita con il tipico abito cinese da ristorante cinese italiano, si avvicinò
ad Ivo ed Etta per illustrare loro l’iniziativa del ristorante.
“La muraglia ticinese” metteva in palio una bellissima katana per chi avesse
raggiunto i 1000 punti.
-
come si fa ad accumulare i punti?
Chiese Ivo con gli occhi che brillavano. Ora che aveva vinto per la prima volta nella
sua vita qualcosa, la smania di ottenere oggetti senza comprarli, non importa di che
valore o utilità, lo aveva avvinto.
-
a seconda di quanto si spende qui. Ogni volta che si planza o si cena qui si
accumulano dei punti su una scheda e allivati ai mille punti si vince la katana!
Ma è di valore?
Chiese Ivo inopportuno.
-
quella è spada di mio onolevole nonno che ela valolosissimo guellielo del
Mandalino!
Rispose la signora tutta piccata.
-
Cosa c’entra il mandarino?
Chiese Ivo con gli occhi fissi sul cesto della frutta. Etta lo colpì con un altro calcio,
questa volta di sinistro alla Diego Armando Maratona.
-
bella, mi piace molto…
stasela dopo vostla cena, avlete plimi punti su scheda…ecco qui vostla
scheda…
grazie.
Disse Etta per chiudere il discorso.
Mentre la signora se ne andava Ivo la guardò con occhi d’odio. Chiese ad Etta il
perché dei calci; i suoi propositi di felicità si stavano miseramente sfarinando e gli
lasciavano in fondo all’anima germi di disagio che sarebbero ben presto sfociati nelle
sue solite reazioni fuori luogo.
Quando non riusciva ad ottenere quella felicità, quella serenità, o semplicemente
quella normalità che sperava Ivo se la prendeva con qualcuno; molto spesso in
maniera confusa ed indistinta, solo per il gusto patetico di sfogare su altri la propria
frustrazione e la propria inettitudine.
Si avvicinò Greta, detta Gretina, con la prima infornata di antipasti costituita
principalmente da elaborazioni culinarie aventi come materie prime carni di animali
da cortile della provincia dell’Hunan. Pare, da successiva approfondita indagine, che
nell’Hunan non abbiano cortili e, forse, nemmeno animali.
Tuttavia Ivo trangugiò senza creanza cibi dai colori inesistenti in natura.
Quando Greta arrivò con i primi Ivo le si avvicinò:
-
scusami per prima, mi è uscita un po’ così…non volevo essere sgarbato…
-
non importa.
Replicò secca Greta.
-
…non ho niente contro di te, sei anche di Milano…
Iniziò pericolosamente. Stava per sfogare su qualcuno l’ennesima mancata felicità di
quella serata. Etta tirò fuori il suo fazzolettino di lavanda per coprirsi il viso. Da lì a
poco avrebbe provato molta vergogna.
-
…non come quella stronza della signora di prima…
-
Quale?
Chiese Greta.
-
-
quella là, vestita come un albero di Natale. E’ venuta prima a parlarmi dello
spadone…ho fatto una battuta e subito se l’è presa…come se avessi offeso lei e
quel rincoglionito di suo nonno…dico: sarà arrivata qui col gommone a rubare
il lavoro agli italiani, noi la accogliamo a braccia aperte ed ecco come ti
ricompensano…chissà a te quanto ti pagano, mentre loro fanno i signori…dico
bene?
Beh, non saprei…
Disse Greta.
-
…per quanto riguarda i soldi sono abbastanza ben pagata. Ho una quota del
20% sul ristorante, quella è mia madre e il rincoglionito è il mio bisnonno…
eravamo molto legati.
Ivo si accartocciò. Sembrava un involtino primavera. Greta raccolse i piatti e prima di
tornare in cucina si voltò e disse:
-
e comunque dalla Cina non si arriva col gommone!
Etta si mise a disegnare sul tovagliolo di carta una mappa dell’Europa e dell’Asia da
mostrare a Ivo.
Arrivati alla fine della cena Ivo aveva mangiato per sette persone e fatto figure di
merda per quattordici. Aveva accumulato 500 punti, più i 24 di Etta, era a 524 punti
per ottenere la katana.
Di nascosto da Etta, rispolverando la solita vecchia scusa dell’amante, andò a
mangiare al ristorante cinese per tutta la settimana successiva per accumulare punti e
per tentare di recuperare credibilità agli occhi di Greta che aveva un bel faccino e due
grandi occhi a mandorla.
Asciugò con una rapidità esponenziale i soldi del mese ma finalmente riuscì ad
ottenere la sua katana, rientrando trionfalmente a casa.
-
ma quella non è la katana in palio al ristorante cinese?
Chiese Etta alla quale non sfuggiva mai nulla.
-
E’ lei.
Rispose Ivo trionfante.
-
ma quanto hai speso per averla?
Neanche un euro!...C’è del tenero fra me e Gretina…cioè Greta, ricordi? Ho
sentito subito che c’era elettricità fra di noi…me l’ha regalata, di nascosto da
quella stronza della madre…
Etta non replicò. Ivo passò tutta la notte ad imitare le mosse di una tartaruga ninjia in
cucina. Al mattino il cibo cinese cominciò a fare effetto. L’intestino prese vita ed
iniziò a ballare la quadriglia, la febbre salì rapidamente fino a toccare quota 40 e 1,
Ivo traspirava sudore agrodolce.
Etta lo mise a letto, guardò nella cassa e vide che non c’era più nulla; staccò la katana
dalla parete alla quale Ivo l’aveva fissata e uscì.
Tornò un’oretta più tardi con una borsata di medicinali.
-
come li hai comprati?
Chiese Ivo.
-
ho venduto la katana.
Rispose Etta.
Ivo fece un cenno come a ringraziarla, si voltò su un fianco e gli scese una lacrima.
15 – Ivo tenta la via dell’imprenditoria ma, osteggiato, affronta poi un
colloquio di lavoro
In seguito alla malattia da eccesso di Oriente ed alle conseguenti assenze dal lavoro,
Ivo fu nuovamente licenziato in tronco.
Passarono i canonici tre giorni, poi quattro, poi cinque, poi una settimana ma il
telefono restava muto.
Ivo, fingendo di non scoraggiarsi, si mostrava come un uomo pieno di risorse e
tranquillizzò Etta senza successo.
Una mattina, resosi conto della drammaticità del bilancio, prese una decisione
difficile ma improrogabile; se nessuno lo chiamava, avrebbe pensato a sé stesso:
l’imprenditoria, forse, era la sua vera strada.
Scese al negozio all’angolo e fece il primo investimento di capitale: acquistò un
secchio di plastica viola cornice mortuaria con impugnatura in solida latta, garantito
due anni, un panno di daino artigianale, vale a dire con animale scuoiato a mano dal
rivenditore, noto contrabbandiere bergamaasco, asciugaparabrezza con impugnatura
ergonomica; riempì il secchio alla fontanella, vi versò dentro una boccetta dei sali da
bagno di Etta dall’inconfondibile fetore di uovo marcio e si esercitò a lungo
simulando una credibile cadenza rumena con accento di Costanza.
Il mattino seguente, di buon’ora, prese posizione in zona Zara sotto un ventilatore
inspiegabilmente sospeso a mezz’aria.
Prima del sorgere del sole all’appello mancavano già due falangi della mano destra,
crudelmente mozzate dalle spazzole di una fiat Punto azionate da una conducente
invelenita dalle insistenze di Ivo. Dopo una mezz’oretta la giacca e il volto di Ivo
erano completamente fradici a causa degli schizzi dell’acqua del radiatore sparata da
un corpulento ragazzotto alla guida di una Opel Astra che ritenne l’idea estremamente
spiritosa.
Dopo un’oretta il piede sinistro divenne inutilizzabile a causa dello scatto di una Audi
80 troppo impaziente per aspettare il verde e troppo distratta per curarsi di un piede
momentaneamente fermo davanti al suo pneumatico.
Nonostante questi piccoli contrattempi, a cui Ivo non era abituato, il resto filò
abbastanza liscio: gli insulti erano appena la metà di quelli subiti al call center e la
paga di gran lunga superiore; infatti, quando Ivo si sedette su uno spartitraffico,
intorno all’ora di pranzo, per tirare un po’ le somme, cominciava davvero a pensare di
aver trovato la sua dimensione e la via che poteva realizzare le sue aspirazioni;
Purtroppo, come tutti i posti di prestigio, anche quello era chiuso e gestito da una
casta gelosa ed arroccata attorno ai propri privilegi.
Oggi come oggi sistemarsi ad un semaforo è una delle migliori alternative che la
nostra società può offrire ai suoi ragazzi: ricercatori universitari, uomini di lettere,
giovani artisti, scienziati in erba; era stato molto ingenuo, da parte di Ivo, pensare che
le porte fossero così spalancate. Chi pensava di essere? Il più bello del villaggio?!
Dopo pochi minuti infatti un giovanotto dalla voce soffiata e dallo sguardo vitreo gli
si parò davanti facendogli velatamente intendere, attraverso sottili allusioni e sguardi
carichi di significato, che lì non era gradito.
Quando Ivo riuscì a slegarsi e a scendere dal palo della luce sul quale era stato
scagliato era già tarda sera e, tornando a casa, pensò in quanto poco tempo era
diventato imprenditore e, contemporaneamente, con quanta rapidità aveva dovuto
abdicare al suo sogno. “Quello è un mondo di squali!” pensò, “E’ proprio vero!
Arrivare al successo è relativamente facile, è mantenerlo che è difficile!”.
Non poté fare altro pertanto che accettare con riluttanza la proposta di Etta.
La sua ripugnante compagna, il mercoledì precedente, si era fatta ricevere al Soglio
Pontificio del Veneratissimo Santo Subito dott. Elio Fottola, durante l’udienza
pomeridiana di metà settimana che il Misericordioso direttore dedicava alle opere di
carità.
Etta gli aveva chiesto in ginocchio di riassumere il povero Ivo, in modo che
ricevessero la Grazia di ricominciare l’insopportabile vita di prima.
Il direttore, nella sua magnanimità, acconsentì ma pretese, com’è sacrosanto, che Ivo
si presentasse in prima persona ad offrirgli i suoi omaggi ed a fare atto di pentimento
e sottomissione.
Ivo, in un primo momento, cavalcando uno di quei sempre più rari momenti di
dignità, molto antiestetici a vedersi da fuori, aveva rifiutato, accompagnando il
diniego con un teatrale movimento leonino della testa che gli era valso una
formidabile craniata sullo spigolo della credenza.
Ora però, trovandosi alle strettissime, accettò.
L’occasione si presentò quasi immediatamente dacché il Fottola, si venne a sapere,
doveva giocare a golf quella domenica e necessitava di un caddy.
Pertanto Ivo, andando per assonanza, si procurò un vestito da ufficiale dei cadetti
prussiani del 1860 e si presentò sul campo di gara, nei pressi di Rogoredo, in orario
spaccato.
Il supremo atleta dott. Campionissimo Elio Fottola lo guardò, lo fece cambiare e
iniziò drammaticamente la partita.
-
allora Stranito…è pentito di non essere venuto al lavoro?
-
Sì, Sua Santità.
-
Molto bene, mi passi un brassie!
Ovviamente Ivo non aveva idea alcuna dei nomi delle mazze che inizialmente, non
vedendone un’estremità, pensava fossero dei bastoni per infornare le pizze.
Infatti al nome “brassie” gli venne in mente il barbecue ma fortunatamente tacque.
Rimase con l’espressione arguta del fegato alla vicentina. Non era tutta colpa sua,
poverino, il Superbo, Serenissimo Imperatore Celeste aveva acquistato un set di
mazze in legno di faggio e melo da un antiquario londinese risalenti al 1603 e non più
in uso sui campi di tutto il mondo da almeno tre secoli.
-
quella a destra Stranito…e sveglia eh!!!...guardi qui, ammiri il mio swing…
conosce il swing?
Come no!?...Fly me to the moon…
Intonò Ivo.
-
ma che cazzo te canti?
Lo riprese dolcemente il dottore.
-
il swing della mazza…dove guarda? La mazza da golf…Là!
Disse sparando la pallina oltremodo lontana dal green.
Al termine di quella giornata Ivo capì che caddy in inglese significava
semplicemente: “cane da riporto”, specie se il giocatore che si accompagna ha il
tremendissimo swing del Madreperlaceo Eburneo responsabile unico delle risorse
umane dottor Elio Fottola.
Recuperò infatti palline in: pozze stagnanti, laghetti artificiali, isole sabbiose,
pioppeti geometrici, boscaglie vietnamite, roveti danteschi.
Verso sera, cosparso di lividi e graffi, meritò i suoi croccantini e il suggerimento di
presentarsi il mattino seguente al concorso truccato che lo avrebbe riammesso fra le
braccia della sua grande multinazionale.
Li divisero dapprima in due gruppi: i gialli e i verdi. Ivo era fra i gialli.
Gli fu chiesto di insultarsi a vicenda per una decina di minuti, così, tanto per fare
gruppo e intimidire gli avversari.
I verdi gridavano: “il giallo è il colore dei froci…fro-ci! Fro-ci! Fro-ci!”
I gialli rispondevano: “il verde è il colore della speranza! Chi vive sperando, muore
cacando!”
Così si motivarono.
Iniziarono ad affrontare diverse prove: di logica, di astuzia, di ruffianeria, di
servilismo, di cattiveria fine a sé stessa, di pettegolezzo, di rutti, corsa coi sacchi, a
chi sputa più lontano, chi ce l’ha più lungo, chi mangia prima la mela appesa al filo,
omicidio d’interesse, arrampicata sociale, matrimonio economico, test medici,
monopoli.
Al termine di questo estenuante percorso i pretendenti erano rimasti in dodici, gli altri
erano stati eliminati o si erano ritirati o erano morti per la fatica, per l’orrore o per
mano di altri candidati.
Furono create due nuove squadre: i leprotti e i canguri.
Ivo era un canguro. Lo si poteva capire dal marsupio cucitogli sulla camicia.
Iniziarono dei giochi acquatici, tipo “Giochi senza frontiere”: bisognava passare su
una passerella portando a destinazione un carotone di spugna, una gruviera in lattice
espanso e un incudine in cristallo di Boemia e acciaio di Toledo; l’altra squadra, nel
frattempo, con delle lunghe pertiche acuminate, aveva il compito di far cadere
l’avversario.
Niente male come gioco acquatico se escludiamo il fatto che l’azienda non era dotata
di piscina.
In questo modo furono eliminati gli ultimi 8 concorrenti. 5 canguri e 3 leprotti.
Gli ultimi 4 furono fatti sedere davanti ad un telefono dal quale ricevettero insulti e
richieste impossibili per una decina di ore sotto l’occhio vigile dell’istruttore che
continuava a ripetere: “non ce la farete mai ad entrare in questa azienda!!!”, così, per
rincuorarli.
Al termine del tempo furono congedati con un: “vi faremo sapere”. Tutti
ringraziarono e, dopo aver pagato una piccola somma simbolica per le spese
sostenute dall’azienda per il loro provino-colloquio, uscirono sostenendosi l’un
l’altro.
16 – Ivo e l’ingegner Merendina fanno i figuranti
Quel mese sconfortante sembrava non offrire altre proposte di lavoro. La normale
paura di Ivo si stava trasformando in vero e proprio panico. Etta, un pomeriggio,
rientrando dal fast-food dove si era impiegata per tamponare la situazione, lo trovò
che tentava di suicidarsi infilando il naso nella presa elettrica del telefono.
Per fortuna il nasone di Ivo, storto e picassiano, era troppo grosso e strano per entrare
nella tripolare dell’attacco. Etta per un attimo pensò che il gesto servisse solamente a
farsi compatire ma poi capì che invece, anche se solo per un attimo, Ivo aveva
davvero pensato di compiere l’insano gesto e il palese insuccesso era attribuibile
unicamente all’inesistente capacità progettuale di Ivo ed alla sua congenita tendenza
al fallimento.
Quindi finse uno spavento e cercò di consolarlo alla meglio.
La cena era garantita dai piccoli furti che Etta riusciva a mettere a segno al fast-food.
Certo il menù, a base di patatine, ketchup e panini di cane morto di vecchiaia o
malattia fulminante (specialità del fast-food molto frequentato dai giovanissimi) non
era il massimo ma per lo meno garantiva loro la sopravvivenza, anche se provocava
qualche curioso effetto collaterale.
Ivo per esempio faceva strani sogni gotici che lo vedevano preda di enormi mantidi
religiose metà aracnidi e metà Valeria Marini che lo sbaciucchiavano furiosamente e
poi se lo mangiavano con un calice di Cannonau che all’improvviso si riempiva di
bollicine e diventava una coca media allungata con acqua.
Si svegliava a metà notte, scattando seduto sul letto, madido di sudore e andava in
cucina a fare goffamente ginnastica per scacciare i cattivi pensieri.
Senza le quotidiane frustrazioni del lavoro non sapeva come impiegare il suo tempo,
senza umiliazioni e preoccupazioni, senza le angherie della Severini e dei colleghi,
senza la pala rotante che gli ricordava la sua precarietà, non solo lavorativa ma
proprio su questa terra, non era più in grado di trovare il suo posto nella società, non
era più sostanzialmente in grado di vivere.
Provvidenziale arrivò un sms dell’amico Merendina, sempre pronto ad aiutarlo
offrendogli soluzioni spesso dolorose.
Franchino Trentucci aveva saputo che una produzione cinematografica di Bollywood
stava girando un film e cercava comparse; davano 50 euro più il cesto del pranzo. Se
era interessato doveva trovarsi alle sette della mattina seguente davanti alla stazione
di Lambrate dove avrebbero reclutato tutte le persone necessarie.
Ivo si presentò con sottobraccio il libro: “Il lavoro dell’attore su sé stesso” del
maestro russo Konstantin Sergeyevich Stanislavsky e con uno sciarpa nera buttata
all’indietro come un cantante esistenzialista francese.
-
me ne servono 500!...Scene di gruppo!
Disse un nerboruto coatto romano che fungeva da caporale. Una masnada di più di
mille scalmanati iniziò a correre verso 5 furgoni arrugginiti.
-
Stoooooooooooooppeeeeeee!!!
Gridò il coatto romano.
-
scelgo io!
Ed iniziò a dividerli, a destra i Romani, a sinistra i Galli. Si scoprì in quella
circostanza si trattasse di una sequenza nei boschi brianzoli sulla campagna di Gallia
condotta da Cesare.
-
Gallo, Romano, Romano, Romano, Gallo, Gallo, Gallo, Gallo!
Gridava il coatto. Quando invece trovava che la persona di fronte a lui non andasse
bene per nessun ruolo, diceva semplicemente:
-
‘fanculo!
Quando fu davanti ad Ivo, lui chiuse gli occhi e strinse a sé il libro di Stanislavsky.
-
Gallo!
Disse il generalissimo. Ivo esultò silenziosamente e salì sul furgone dei Galli dove
c’era un altro signore che li marchiava a fuoco sulla natica destra con una grossa “G”.
-
se vi do un biglietto, ve lo perdete e poi non sappiamo più da che cosa
dobbiamo vestirvi!
Spiegò il signore. Ivo capì, abbassò i pantaloni e soffrì molto dignitosamente.
Dopo una decina di minuti anche l’ingegner Merendina salì sul suo furgone, anche lui
selezionato per la sezione “Galli”. Il signore si avvicinò anche a lui e lo marchiò; per
il furgone si diffuse un profumo tipo rosticciata pugliese.
La cosa più raccapricciante fu tuttavia all’uscita dal salone dei costumi. Ivo e
l’ingnegner Merendina accanto sembravano la caricatura di Asterix e Obelix, che già
sono fumetti.
Tuttavia Ivo si sentiva ancora abbastanza orgoglioso di essere stato scelto e, appena
vide il nerboruto passare davanti a lui con le mani nei testicoli, volle ringraziarlo.
Gli si avvicinò e disse timidamente:
-
maestro…
-
eh?
Grugnì il coatto che non era mai stato maestro in nessuna materia e/o attività in tutta
la sua vita.
-
la volevo ringraziare per avermi selezionato…
disse Ivo.
-
figurete!
-
Ma come mai avete scelto proprio me?
-
Perché io so’ romano e i Galli erano avversari dei romani, quindi, secondo
me, avevano la faccia da stronzi, tu c’hai la tipica faccia da stronzo!
L’orgoglio artistico di Ivo ebbe termine in questa maniera.
La scena da girare era una sanguinosa battaglia con pochissimi superstiti. Ogni
comparsa aveva ricevuto un kit con sangue, occhi e arti finti da scagliare per aria
quando l’assalto sarebbe stato inquadrato dall’alto.
Ivo confuse subito il kit con il cesto del catering e, al momento della scena
incriminata, lanciò per aria una pizza quattro stagioni che, in mezzo alla calca,
fortunatamente non fu notata né dal regista, né dal direttore della fotografia.
La scena purtroppo fu interrotta ugualmente perché l’ingegner Merendina, allo
stremo della forze, si sedette al centro del campo di battaglia e si sbranò la pizza di
Ivo acchiappandola in ricaduta libera.
Arrivarono a 44 ciak perché, ogni volta, gli inesperti figuranti commettevano qualche
errore imperdonabile, o per noia o per eccesso di immedesimazione.
Per esempio Ivo, alla ripresa numero 23, si mise a parlare francese, a cantare
“alonsenfantdelapatrì” e a caricare sul serio i nemici, tranciando un orecchio ad un
generale romano, di professione geometra al catasto al comune di Gallarate.
Il povero signore è tuttora ricoverato all’ospedale di Milano, non in pericolo di vita
ma con una cera tutt’altro che incoraggiante. Etta gli ha mandato un vaso di gerani e
un pacchetto di canestrelli.
A notte inoltrata finalmente le riprese terminarono e arrivò l’ora di passare alla cassa.
L’amministratore era il signore dei marchi che aveva posizionato, in maniera
tutt’altro che rassicurante, la sua postazione accanto ad un braciere ardente.
I figuranti, entravano in un separè e salivano direttamente sul furgone.
Quando Ivo entrò in quella specie di tenda, trovò ad aspettarlo il signore con il
ghigno che aveva imparato a conoscere quella mattina.
-
abbassete i pantaloni…
-
perché?
Chiese Ivo mostrando le chiappe. Il signore impresse un altro marchio sulla stessa
natica di prima, questa volta la “P” di “pagato”.
-
perché si no ci stanno i furbi che fanno er giro du vorte!
Spiegò impeccabilmente.
Il viaggio di ritorno fu immerso in un silenzio surreale. Non parlava nessuno,
nemmeno l’ingegner Merendina che emanava odore di sagra dell’agnello e del
maialino.
Quando Ivo rientrò a casa Etta gli diede la notizia che la società presso la quale aveva
fatto il colloquio nazista gli offriva un lavoro; diede un’occhiata all’indirizzo segnato
su un foglio: era sempre lo stesso.
-
accetto.
Disse quasi impercettibilmente. Quando si spogliò per mettersi il pigiama, Etta vide i
marchi.
-
che cosa significano quelle due lettere?
Chiese un po’ inorridita.
-
GP, Great Performance; la prestazione migliore…sono stato il migliore
oggi, mi hanno premiato.
Rispose Ivo che aveva usato tutto il viaggio di ritorno per elaborare questa scusa, non
senza l’aiuto di un rosso ragazzetto irlandese che faceva il sottoufficiale gallo.
Etta gli accarezzò la testa.
-
bravo.
Si addormentarono.
17 – Ivo rivede Chiara
Quando Ivo riprese a lavorare era ancora pallido e i postumi dell’influenza gli
avevano lasciato gli occhi lucidi ma nel complesso stava bene e si sentiva
sufficientemente in forze.
Si presentò nel solito sotterraneo, fingendo la solita aria da novizio un po’ confuso.
Si trovò davanti la Severini immutata ed immutabile, la ragazzina dalle trecce color
del grano che vomitava molto meno e, sorpresa delle sorprese, rivide in fondo alla
sala Valentino Manfredini.
Pare che all’ufficio pizzo&estorsioni lo avessero sottoposto al noto esame per passare
di grado e salire all’ufficio abbattimentoscrupoli&distruzionecoscienze.
Lo avevano lasciato da solo in ufficio e la generalessa sovietica, come per sbaglio,
aveva abbandonato una bustarella con 15000 euro sopra la propria scrivania
dirigenziale e si era premurata di scrivere sul retro: “per il gran Commodoro e
circonfuso di luce dott. Elio Fottola”.
Il viscido Manfredini l’aveva vista e non aveva resistito ad intascarla e ad uscire dal
portone principale fischiettando l’aria de l’”Inno alla gioia”.
Quella notte, tuttavia, sopraffatto dai rimorsi, non riuscì a chiudere occhio e, la
mattina seguente, si presentò alla timbratrice con due occhiaie enormi e il viso
emaciato ed eroso dalla colpa.
Si cosparse il capo di cenere (aveva comprato appositamente un pacchetto di Diana
blu morbide), indossò un cilicio artigianalmente fabbricato in garage, una corona di
spine fatta confezionare dal fioraio e procedendo in ginocchio tipo ex voto arrivò
dinnanzi alla scrivania della zoccola nuotatrice.
Sfilò la busta dalla tasca e la riconsegnò.
-
è stato un momento…
disse, fra i singhiozzi.
-
ci sono tutti, più trecento euro che ho aggiunto io per scusarmi.
La sovietica dovette fare rapporto e il Manfredini fu retrocesso.
In alto non lo valutarono idoneo per il salto di categoria; la restituzione della refurtiva
e il senso di colpa rappresentavano una debolezza inaccettabile.
Così, Ivo, non senza una leggerissima soddisfazione, se lo ritrovò in punizione
all’ufficio insulti&improperi.
Anche la Severini era felice, sia perché il ragazzo continuava a piacerle, sia perché
avrebbe potuto fargli pagare le sofferenze che, corteggiando la sovietica, le aveva
inflitto.
Inutile dire che al solito posto stava anche l’ingegner Merendina che lo accolse con
un sorriso impastato di caramelle e un depliant di una gita a Venezia. Ivo avvertì
come un crampo alla gola.
La postazione di Ivo tuttavia non era più la medesima; era stato spostato di tre banchi
più indietro per non meglio precisate ragioni logistiche; e per ragioni climatiche
altrettanto inspiegabili il ventilatore era stato spostato all’altezza del nuovo banco di
Ivo; la sensazione paranoica iniziò ad ingigantirsi ed a provocare il lui una sorta di
mania di persecuzione da ventilatore assassino.
La giornata passò noiosa e umiliante come sempre. Ricevette qualche decina di
fantasiosi insulti, si scusò nei modi più umili, incassò con maestria, non replicò mai,
non riuscì a calmare nessuno, anzi un pugile abbastanza pacato, a causa del suo
atteggiamento troppo dimesso, si incazzò.
Uscì stremato verso le sette di sera, fuori faceva un freddo micidiale.
Mentre il bus attraversava la città, Ivo se ne stava con la guancia appoggiata al vetro
appannato e vedeva scorrere la periferia, a tratti poetica e a tratti ripugnante.
Le case in costruzione, i prati agonizzanti, i bambini con le madri, gli zingari nelle
roulottes, le luci dei discounts e dei grandi magazzini, grandi manifesti con spiagge
tropicali.
Ivo si mise d’impegno e strizzarsi le cervella. Schiacciava con le dita le tempie per
costringere il futuro a schizzare fuori da quella scatola nera di piombo dentro la quale
si trovava prigioniero.
Quanto gli sarebbe piaciuto anche solo poter pensare ad un domani migliore, anche
solo immaginarlo, fantasticarlo, mettere insieme alla meglio un’utopia qualsiasi,
un’ambizione raccogliticcia che gli alleviasse almeno un po’ quei giorni tutti uguali,
quel presente senza senso.
Un futuro in cartonato, un futuro in polistirolo, un futuro in compensato, un futuro
irrealizzabile, con la certezza di essere solo un sogno, già gli sarebbe bastato.
Ma non ci riusciva.
Rimaneva lì inchiodato ai ricordi e al giorno successivo, fatto ancora di nebbia e di
pioggia fine e di freddo e di Etta che prepara il caffè e della squallida arrapante
Severini, del viscido Manfredini, di quel ciccione dell’ingegner Merendina e di nuovi
vecchi insulti, di gratificazioni pari a zero, di lavagnette e slogan e canzoncine
stupide che invece di motivarlo lo avvilivano come un pesce che non sa più nuotare.
Come avrebbe voluto essere un po’ libero, un po’ felice; anche solo capire come
potrebbero essere la felicità e la libertà; come gli sembrava di ricordare di essere stato
da bambino ma forse era solo quella patologica malinconia che non lo abbandona mai
e che gli fa vedere il passato come un’età dell’oro e il futuro come…beh, si sa, come
niente.
Non riusciva ad accontentarsi ma invece di usare l’insoddisfazione come benzina per
migliorare le cose, la usava come zucchero per inceppare il motore perché questo gli
avevano insegnato, perché questo, ogni giorno, datori di lavoro e pubblicità, gli
raccontavano.
Gli raccontavano che bisogna proprio essere immaturi per avere la costanza di tentare
di essere felici, avendo la profonda consapevolezza che non ci si riuscirà; ma forse
proprio in questo risiede l’inspiegabile straordinarietà della vita e il suo radicale
senso, anch’esso introvabile eppure sempre apparentemente a portata di mano per chi
ha le palle per cercarlo, per chi avuto il privilegio di avere intorno a sé persone che lo
abbiano educato alla possibilità concreta di essere libero e magari perfino felice.
Questo privilegio Ivo non l’ha avuto mai; nessuno gli ha mai raccontato che sta tutto
nel viaggio e non nella meta, non nel risultato ma nell’azzardo.
Scese inspiegabilmente a metà percorso, in centro. Una specie di pazzia.
Davanti ad un chiosco dei fiori, vide Chiara e quasi si sentì male.
Si avvicinò pian piano, cercando il coraggio qua e là. Era bellissima e lui si sentiva
inadeguato, piccolo piccolo, non avrebbe potuto neanche offrirle una pizza.
Quegli occhi enormi, come una foglia di castagno, scuri come vetro e il suo accenno
di strabismo, difetto di perfezione. Le efelidi tutt’intorno al naso, sulle gote; i capelli
mossi, lunghi, color del bosco e del rame e quel sorriso bianco come la spuma delle
onde che illuminava tutto, dentro e fuori.
Le luci dei negozi ed i passanti infreddoliti, le sciarpe e il vapore che usciva dalle
bocche, lo sferragliare dei tram, e il ticchettio delle suole di cuoio: tutto ora sembrava
più poetico, ogni peso sullo stomaco pareva un po’ più leggero e sopportabile.
Quando Chiara si voltò e lo vide pochi passi dietro di lei fece un’espressione curiosa,
un misto di sorpresa e di perplessità
Ad Ivo sembrò fosse felice e gli dispiacque, gli dispiacque davvero.
Non avanzò, non mosse un passo, rimase fermo come una lancia piantata nel mezzo
del marciapiede in attesa che qualcuno gli dicesse cosa fare.
Chiara fece un passo verso di lui e lo spaventò un po’, ma solo un po’.
Sorrise, come solo lei sapeva fare; fece quel suo sorriso che illuminava il cielo e i
fiori del terrazzo; quel sorriso che aveva come uno strascico, quel sorriso che, dopo
che lei si alzava e se ne andava da una stanza, lasciava in tutto l’ambiente un
chiarore, come se l’abat-jour non fosse stata spenta.
Ivo sentì come un vento di mare e vide il colore delle bouganville nell’inverno di
Milano.
Chiara fece un gesto come a dire: “devo andare…”
Ivo alzò una mano per salutarla e mise insieme un sorriso impacciato.
Chiara si allontanò camminando senza fretta mentre un raggio di luna riflesso dalle
mille vetrine della piazza colpiva i suoi capelli di sole.
-fine-
Simone Repetto
Via Montaldero 4
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