Secondo idolo: il potere. Un libro scritto da un giornalista italiano
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Secondo idolo: il potere. Un libro scritto da un giornalista italiano
Secondo idolo: il potere. Un libro scritto da un giornalista italiano faceva una analisi nei comportamenti degli italiani. Volendo illustrare le differenze di scelte dalla popolazione del Nord Italia e del Sud Italia annotava le notevoli differenze. Il popolo del settentrione crede di potersi realizzare negli affari allargando la propria ricchezza, investendo e aprendo miriadi di fabbriche, potenziando la produzione che fa aumentare il capitale e perciò la ricchezza attraverso il prodotto e gli investimenti. Il popolo del Sud Italia, invece, crede di realizzarsi nell’acquisire prestigio e scalare i gradini del potere. Il prestigio del diventare e l’essere qualcuno, avere un posto di comando o una professione influente, cioè, potere sugli altri. Ambedue i casi: avere nelle proprie mani il dominio sugli altri. Questo idolo dell’uomo: IL POTERE. L’uomo che può disporre di altri uomini, come il ricco che può disporre delle cose e di ogni tipo di proprietà. Ma esiste potere e potere. Quello che alimenta l’ambizione è detestabile quanto quello che strumentalizza gli altri, l’uno e l’altro portano a sopravvalutare se stessi a scapito di molti con i loro doni e le loro possibilità. (Si potrebbe definire questo un furto di equilibrio e di giustizia sociale nel valorizzare il bene comune e l’uguaglianza delle persone). Gesù è molto deciso nel condannare questi sistemi di dominio. Gesù è invitato a un pranzo di società dove gli invitati erano molti. Tra di essi c’erano alcuni che si davano da fare per accaparrarsi i primi posti, quelli più ambiti. Lui interviene dando a tutti una lezione di comportamento. Luca 14,7-14: “Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece quando sei invitato, và a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti»”. Questo insegnamento non deve aver prodotto molto effetto se pensiamo che coloro che stavano sempre con lui hanno poi litigato per avere il diritto ai primi posti. In quell’occasione Gesù espresse in modo più completo il suo pensiero sul potere. Per lui esiste un solo potere che può essere esercitato in modo legittimo: quello che non si serve degli uomini ma che si mette al loro servizio. L’uomo di potere solo allora compie il suo dovere: quando non si lascia vincere dalla tentazione di esercitare la sua autorità come dominio, con tutte le forme di violenza e di oppressione dell’uomo con le quali lo possa attuare, ma esercita la sua autorità in favore della crescita dell’uomo. “La domanda dei figli di Zebedeo E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»”. (Marco 10, 35-45). Quando il potere che esercitano i grandi (?) della terra non è servizio è necessariamente violenza e oppressione. Quando l’esercizio di potere crea differenza da uomo a uomo esercita violenza e discriminazione. Quando le scelte di potere per mezzo delle leggi che si dà è autoaffermazione di sé e selezione di classe allora davvero diventa totalitarismo democratico e monopolizzazione della cultura e dell’orientamento sociale. In questo modo la vita delle persone viene incanalata a seconda delle scelte compiute e delle idee che il potere getta in pasto al popolo come nuova forma di obbligante condivisione delle scelte compiute. In questo caso nascono gruppi di estremismo e di xenofobia nei confronti del diverso per cultura, provenienza, colore della pelle, etnia, e approfondimento di divisione delle classi sociali tra ricchi e poveri. Un potere contro il Vangelo e perciò contro l’uomo. Anche se molti di loro si definiscono cristiani, di fatto, non lo sono! Terzo idolo: la religione. E’ difficile pensare alla religione come un idolo. La religione può diventare merce di scambio e meglio camuffarla. Dio stesso può essere scambiato per quello che Dio non è. Oppure per ciò che Dio rappresenta o chiede che venga messo in pratica: la giustizia, l’onestà, i comportamenti dell’uomo, le cose stesse che l’uomo fabbrica, le idee e le elaborazioni scientifiche, i sistemi dell’economia e delle ricchezze che essa produce. Personaggi esaltati dai Mass Media (nella nostra Italia molti di loro che esercitano il potere politico inquisiti dalla magistratura (si contano oltre 80 “onorevoli” (= che parola ambigua…) sono stati condannati per abuso di potere, tangenti, speculazione, moralità, fuga di capitali, e molto altro: eppure continuano a rimanere ai loro posti di “prestigio”…), altri di passaggio che si definiscono nuovi messia (un nuovo idealista con dubbia filosofia, cantanti prezzolati: canzoni che inneggiano all’amore, alla fraternità universale e al rispetto della natura, ma loro vivono nel lusso più sfrenato e nel divertimento), persone che fanno del ‘male’ il proprio idolo come una forma di religione (le chiese di satana, i Bambini di Dio, sensitivi e cartomanti, ecc.. Dio può essere per loro che si definiscono credenti un idolo praticando le “cerimonie” della Chiesa e si accostano ai sacramenti (nascondersi e offrire agli altri una falsa realtà). Se Gesù è stato severo con tutti i falsi idoli, verso questi atteggiamenti che l’uomo esprime è impietoso e molto aggressivo. Il comportamento religioso non è forse l’idolo che più inganna l’uomo e lo fa sentire a posto? Gesù si scaglia verso quelle “forme di giustizia” e le smaschera. La “giustizia” degli onesti. Dimostra che essa non garantisce lo stesso pensiero di Dio. A volte l’applicazione di questo sistema di giustizia si manifesta contro l’uomo. Volendo rileggere la parabola del fariseo e del pubblicano, troviamo questo insegnamento: “Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato»”. (Luca 18,9-14). Con questa parabola, Gesù, ha sintetizzato il mondo religioso del suo tempo. Da una parte, il gruppo degli osservanti, dall’altra il gruppo dei peccatori. Ambedue davanti a Dio. Il fariseo rappresenta la categoria religiosa osservante, si sente a posto, fa tutto secondo quello che la religiose richiede, è un suo specifico dovere non trasgredire. Per questo ringrazia Dio. Cosa mai potrebbe fare più di così? Non potrebbe essere migliore di quello che è. Ma c’è qualcosa di sbagliato che inquina tutta la sua esistenza. Egli si crede onesto in forza della sua volontà orientata al bene: la sua giustizia, la rettitudine comportamentale della sua vita, è una conquista. Dio non deve fare altro che riconoscerlo. Questo è il Dio del fariseo: colui che prende atto della sua giustizia. Il Dio del fariseo non è il Dio della salvezza. Non è Dio che aiuta l’uomo a essere giusto. Che lo educata a gestire la giustizia. Alla base dell’onestà dell’uomo ci deve essere Dio, non l’uomo stesso. Ma il fariseo è convinto del contrario: “ti ringrazio che non sono come gli altri uomini…”. La religione è servita al fariseo a crearsi l’idolo di compiacere se stesso. Lui, e lui soltanto, è salvatore di se stesso. Qui l’orgoglio non ha limiti. A questo fariseo, Gesù, oppone un confronto incredibile. Il pubblicano! L’uomo del peccato. Un uomo perduto per la logica del fariseo. Proprio perché riconosce di essere stato cattivo, svogliato, introverso, e così facile preda del peccato, domanda a Dio il perdono. Chiede di essere salvato dalla sua misericordia. Lui ottiene il perdono e rientra nell’amicizia di Dio. Lui viene giustificato è accolto da Dio con amore. Il fariseo, invece, viene lasciato nella “sua giustizia”. Per questo non ritenuto giusto secondo Dio. Non sarebbe sbagliato domandare a noi stessi, cristiani e cattolici, da quale parte stiamo. In chi di queste due persone ci riconosciamo. Si può essere farisei in tanti modi… Gesù quando vuole smascherare le falsità dell’idolo religioso non da tregua. Egli guarda a quelle espressioni di religiosità legate a situazioni di comode osservanze che vogliono scavalcare le richieste importanti dell’uomo. Alcune volte si ha l’impressione (o forse no!) che la pratica religiosa sia soltanto una manifestazione meschina di fronte ai doveri e agli impegni importanti che la vita chiede. Sono certo che Gesù la pensa così. Così si esprime per questo tipo di religiosità fatto di alcune manifestazioni ritualistiche (ma non hanno nulla né di ‘rito’, né di ‘religioso’…) e di interessate richieste pseudo-spirituali con accurate benedizioni: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!”. (Matteo 23, 23-26). Certo, è un testo molto forte. Non vorremmo accettiamo facilmente un Gesù che si esprime in questo modo. Non siamo disposti ad accettare queste parole da Lui pronunciate. Certo, se gli evangelisti hanno riportato parole così forti e dure, significa che davvero Lui, Gesù, le ha pronunciate. Con il rischio che non venga accettato da coloro che sono in cerca di una ‘bella e soffice’ religiosità. Quanti di fronte alla richiesta di elemosine, offerte, contributi, in momenti di grosse calamità, terremoti, shunami, epidemie, fame, miseria, ci commoviamo e diventiamo disponibili con la ‘nostra’ generosità. (a dire il vero, verso i bisogni della propria comunità, un poco meno…!). Per Gesù non è sufficiente. Non basta dare, (il dare vero…), bisogna darsi! I problemi dell’uomo non si risolvono con il denaro, con le idee, ma mettendo insieme, lasciandosi coinvolgere personalmente. Con la collaborazione personale: il mio lavoro, il mio impegno nel sociale, la mia espressione religiosa, un tipo gestione politica deve risultare promozionale per gli altri uomini che sono nel bisogno. Per questo si elargiscono contributi e offerte verso i poveri, “quelli che hanno fame e sete della giustizia”, quelli che sono nella miseria. E questo vale per ogni uomo! Dio non fa preferenze di persone! Gesù non è severo solo con i farisei. Lo è anche verso i suoi. Verso coloro che si sono limitati solo a pregarlo ma non hanno messo in pratica la giustizia e la carità: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità”. (Matteo 7, 21-23). Il fare, in senso cristiano, cioè con amore e concreto, vale di più. Sta al di sopra della preghiera stessa, necessaria, e di molte benedizioni con scadenze rituali. Il giudizio di Gesù si baserà sull’amore fraterno, quello vero: “Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna»”. (Matteo 25,31-46).