dispense per il I e II modulo

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dispense per il I e II modulo
Prefazione
In questi Appunti abbiamo cercato di dare forma scritta alle Lezioni
di Matematica per le Scienze Sociali, IV e V periodo, tenute durante
l’Anno Accademico 2002/2003 dai proff. R. Paoletti e C. Morpurgo.
Si è cercato di tenere la trattazione degli argomenti scelti ad un livello
elementare, dando molto spazio alla risoluzione di esercizi (molti dei
quali sono stati discussi anche in classe), evitando approfondimenti e
ricorrendo il meno possibile a formule complesse.
Ringrazio, oltre che i docenti titolari del corso, gli altri tre tutors
che mi hanno affiancato durante le esercitazioni: il dott. S. Bassis, il
dott. A. Della Vedova ed in particolare la dott.ssa V. Doldi, per l’aiuto
prezioso offerto.
Michele Bricchi
i
1. IL LINGUAGGIO DELLA
MATEMATICA
In questi Appunti tratteremo alcuni temi elementari di carattere
matematico. Perciò, nonostante la materia che presenteremo non sarà
complicata, è bene premettere alcune osservazioni di carattere generale
riguardanti il linguaggio che si usa in contesti matematici. Cercheremo
infatti di mettere in luce la specificità di tale linguaggio: è ben vero che
si parlerà e si scriverà sempre in italiano, tuttavia la matematica ha
delle regole di espressione tutte sue; non di rado si ricorre addirittura a
formule in cui compaiono simboli non in uso nella lingua corrente, ed è
bene che lo studente cominci ad avere dimestichezza con questo modo
di esprimersi e con questi simboli.
Cominciamo con il dire che in matematica certe parole vogliono dire
una ed una sola cosa, a differenza della lingua corrente in cui una
stessa parola od espressione ha talora sfumature differenti o addirittura
significati diversi, a seconda del contesto in cui è inserita.
Ad esempio, se Tizio dicesse di avere una macchina, tutti penseremmo
subito che Tizio vuol dire di possedere una ed una sola automobile.
Ma nel fare questa deduzione noi abbiamo aggiunto molto di più di
quanto Tizio abbia in realtà detto. Abbiamo infatti pensato che la
parola “una” significasse “una e soltanto una”, ovvero “una e non più
di una”, e non, magari “almeno una”. Parimenti, abbiamo pensato che
“macchina” significasse “automobile” e non, ad esempio, “tosa-erba”
o “telaio meccanico” (tutte “macchine”, a ben guardare). E’ vero che
tutti questi dubbi sono presto fugati nel corso del discorso: dal contesto
si capisce infatti subito se Tizio intende dire di possedere almeno un
tosa-erba o di avere una buona utilitaria, e non più di una.
In matematica non ci si può però affidare al contesto, né al semplice
buon senso dell’ascoltatore, né, ovviamente, si può far riferimento ad
elementi imponderabili e soggettivi di chi parla o scrive, di chi ascolta
o di chi legge.
1
Capitolo 1
1.1.
Proposizioni, variabili e predicati
Consideriamo le seguenti due affermazioni: a) Tizio è più alto di Caio;
b) Tizio è molto alto.
Ora, la prima affermazione è o vera o falsa. Potrebbe essere difficile
appurarlo, potendo le due altezze differire di pochissimo, eppure tutti
coloro in grado di giudicare le due altezze concorderebbero: o Tizio è
più alto di Caio, oppure no: la frase a) ha un contenuto oggettivo.
D’altro canto, la seconda affermazione è condizionata da giudizi soggettivi: per qualcuno potrebbe sembrare che Tizio sia molto alto, per altri
che sia solo alto. Insomma, non tutti concorderebbero sulla verità o la
falsità della frase b), che quindi ha un contenuto soggettivo.
In matematica le frasi di tipo a) si chiamano proposizioni, mentre
quelle del tipo b) devono essere assolutamente scartate.
Dunque, una proposizione è una frase (di senso compiuto) o vera o
falsa, senza mezzi termini.
Come ulteriore esempio segnaliamo la frase seguente:
“ il numero 223 092 871 è un numero primo ”.
Ebbene, non è del tutto ovvio se questa frase sia vera (in effetti, essa è
vera), ma nessuno deve avere dubbi sul fatto che essa o è certamente
vera o è certamente falsa, comunque difficile risulti appurarlo, pertanto
essa rientra a buon diritto nella categoria delle proposizioni.
Esaminiamo ora la frase: “x è più alto di y”. Ora questa frase non è
né vera, né falsa, infatti non conosciamo x e y. Tuttavia, ogniqualvolta
a x e ad y viene dato un nome, ad esempio ad x viene dato il nome
Tizio e ad y viene dato il nome Caio, ebbene allora la frase diventa una
proposizione, in quanto è possibile decidere della sua verità o della sua
falsità in maniera precisa.
Frasi di tal fatta si chiamano predicati, mentre x e y sono chiamate
variabili.
Dunque un predicato è una frase dipendente da certe variabili tale
che ogni volta che alle variabili vengono sostituiti valori consentiti essa
diventa una proposizione.
2
Capitolo 1
Un altro esempio di predicato è: x > 5.
Infatti, ogni volta che ad x si sostituisce un numero, la frase scritta
diventa una proposizione, la quale è appunto o indiscutibilmente vera
o indiscutibilmente falsa.
Invece, la frase “x è un bel numero” non è un predicato, dal momento
che sostituendo ad x un numero non si ottiene una proposizione, ma
una frase la cui verità o falsità dipende da giudizi soggettivi.
1.1.1. Esercizio. La frase “per ogni numero n > 1 il numero n2 è un
numero primo” è una proposizione, un predicato o non è nessuna delle
due?
1.2.
I quantificatori
Una proposizione matematica non può dunque essere fraintendibile,
pertanto occorre una certa attenzione nel formularla.
Valutiamo il seguente esempio:
1.2.1. Teorema. Per ogni coppia di punti distinti del piano esiste
una ed una sola retta che li contiene.
Come abbiamo imparato, si tratta effettivamente di una proposizione.
La geometria elementare insegna inoltre che questa proposizione è effettivamente vera (ed è per questo motivo che la si chiama “Teorema”).
Andiamo ora un po’ oltre, cercando di studiarne meglio la struttura.
Questa proposizione comincia con le parole “per ogni”: si tratta di
un esempio di quantificatore. I quantificatori principali in matematica
sono tre, e precisamente
per ogni ∀ ;
esiste ∃ ;
esiste un unico
∃! .
I segni che compaiono di fianco ad ogni quantificatore sono i simboli che
possono essere impiegati al posto delle parole per designare la medesima
cosa. Ne impareremo presto altri, tanto che l’intero Teorema 1.2.1 può
essere riformulato semplicemente cosı̀:
∀ p, q ∈ Π : p 6= q
∃! r ∈ R : p ∈ r, q ∈ r,
(2.1)
3
Capitolo 1
dove abbiamo convenuto di indicare con Π il piano della geometria
elementare e con R l’insieme delle rette tracciabili su tale piano. Il
segno di interpunzione “:” non ha la stessa funzione che esso riveste
nella lingua italiana, ma va letto come se vi fosse scritto “tale che” (o
“tali che”).
Dunque, la frase in simboli scritta qui sopra comincia ad acquistare
un senso compiuto: il quantificatore iniziale significa, come abbiamo
appena visto, “per ogni”, poi seguono i punti p e q e poi ancora si ha
il simbolo “∈”, il quale significa “appartenente” (o “appartenenti”, a
seconda di ciò che lo precede). Fino ad ora, quindi, la frase significa:
per ogni p e q appartenenti al piano Π tali che . . .
Ora si ha il segno “6=”, il quale significa “diverso”. In generale, quando
si vuole negare un qualunque simbolo, basta mettere una sbarretta
obliqua sul simbolo da negare. In questo caso negare “=” significa
appunto dire “diverso”.
Altri simboli negati sono, ad esempio,
6∈
non appartenente ;
6 ∀ non per ogni ;
6∃
non esiste .
Cosı̀, l’intera formula diventa chiara: per ogni p e q appartenenti al
piano, tali che p è diverso da q (e dunque p e q sono distinti), esiste
un’unica (ecco un altro quantificatore) retta r tale che sia p che q vi
appartengono.
Una volta sviscerata la frase si cerca di renderla in italiano accettabile
e ne esce il Teorema 1.2.1 enunciato sopra.
1.2.2. Esempio. Ora il lettore dovrebbe essere in grado di riconoscere
nella formuletta che segue il famoso Quinto Postulato di Euclide,
con l’informazione che se r e s indicano due rette, allora la scrittura
rks significa che r è parallela a s:
∀ p ∈ Π, ∀r ∈ R : p 6∈ r
∃! s ∈ R : s k r, p ∈ s.
A parole quanto abbiamo scritto si traduce dicendo: per ogni punto p
del piano e per ogni retta r che giace su tale piano e non contenente p,
esiste una ed una sola retta s passante per p e parallela a r.
1.2.3. Esercizio. a) Cosa significa a parole il predicato (supponendo
che le variabili in gioco siano numeri): ∀ x ∃ y : x + y = 0 ?
b) E’ vero che ∃ x : ∀ y x·y = 0 ?
4
Capitolo 1
1.3.
I connettivi
Una volta acquisita una certa dimestichezza con i quantificatori, bisogna cercare di capire come collegare tra loro le parti di una proposizione, oppure più proposizioni, per formarne una più grande.
Ora tale operazione è stata fatta sopra tacitamente, usando le congiunzioni “e” oppure “o” nel corso degli enunciati.
Vediamo ora i connettivi più importanti nel dettaglio. Essi sono:
negazione
implicazione
¬,
=⇒ ,
congiunzione
equivalenza
∧,
disgiunzione
⇐⇒.
∨,
Negazione. Se P è una proposizione, allora la negazione di P ,
ovvero ¬P , è la proposizione che afferma l’esatto contrario di P .
In generale,
la proposizione ¬P è vera se e solo la proposizione P è
falsa.
Se, ad esempio P fosse:
“ Tizio ha più francobolli di Caio ”,
allora ¬P è la proposizione:
“ è falso che Tizio abbia più francobolli di Caio ”,
oppure, equivalentemente:
“ Tizio non ha più francobolli di Caio”.
Si badi che la proposizione: “Tizio ha meno francobolli di Caio” è più
precisa di ¬P , in quanto esclude che Tizio e Caio abbiano lo stesso
numero di francobolli.
Dunque si presti attenzione quando si negano le proposizioni.
5
Capitolo 1
Ecco un esempio più complicato: supponiamo che P sia la proposizione
seguente (incidentalmente, vera)
“ per ogni numero naturale n, esiste un numero primo maggiore di n ”.
Cosa significa negare P ? Significa affermare che P è falsa, ovvero,
asserire che
“ è falso che per ogni numero naturale n esiste un numero
primo maggiore di n ”.
Ora, è sempre meglio cercare di spostare la negazione più all’interno che
si può nella proposizione, in quanto la frase acquista maggior chiarezza.
Allora, se è falso che per ogni numero succede una tal cosa, significa
che esiste un’eccezione, ovvero, nel nostro caso, che esiste almeno un
numero naturale n tale che non esiste alcun numero primo p maggiore
di n.
Guardiamo in simboli cosa succede. La proposizione P si traduce in
questo modo:
∀n ∈ N, ∃ p primo: p > n.
La negazione di P abbiamo scoperto dunque essere
∃ n ∈ N : ∀p primo,
p ≤ n.
Si è notato lo scambio dei quantificatori nel passaggio da P a ¬P ?
In generale per proposizioni molto complicate, l’uso dei simboli torna
molto utile, in quanto si riesce a negare tali proposizioni complesse con
un certo grado di automatismo. Ma su questa questione non spendiamo
altre parole.
Congiunzione. La congiunzione è un connettivo molto naturale:
se P e Q sono due proposizioni, la proposizione P ∧Q (si legge“P e Q”)
è la proposizione che asserisce sia P che Q.
Se ad esempio P fosse: “3 è un numero primo” (vera) e Q fosse: “4
è un numero dispari” (falsa), la proposizione P ∧ Q sarebbe: “3 è un
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Capitolo 1
numero primo e 4 è un numero dispari” (falsa).
In generale,
la proposizione P ∧ Q è vera se e solo se entrambe le
proposizioni P e Q sono vere.
Disgiunzione. La disgiunzione è un connettivo pure molto naturale: se P e Q sono due proposizioni, la proposizione P ∨ Q (si legge“P
oppure Q”) è la proposizione che asserisce o P oppure Q.
Se ad esempio P fosse di nuovo: “3 è un numero primo” (vera) e Q
fosse: “4 è un numero dispari” (falsa), la proposizione P ∨ Q sarebbe:
“3 è un numero primo oppure 4 è un numero dispari” (vera).
In generale,
la proposizione P ∨ Q è vera se e solo se almeno una fra
le proposizioni P e Q è vera.
Implicazione. L’implicazione è il connettivo più delicato: se P
e Q sono due proposizioni, la proposizione P ⇒ Q (si legge“P implica
Q”, oppure “se P allora Q”) è la proposizione che asserisce che da P
si deduce Q.
Se ad esempio P fosse: “3 è un numero primo” (vera) e Q fosse: “4 è
un numero dispari” (falsa), la proposizione P ⇒ Q sarebbe: “se 3 è un
numero primo allora 4 è un numero dispari” (falsa).
Si osservi che P ⇒ Q è equivalente alla proposizione (¬P ) ∨ Q: infatti
dire “se P allora Q” significa dire che o non vale P , oppure vale Q, ci
si pensi un po’.
Pertanto,
la proposizione P =⇒ Q è vera se e solo se non si ha che
la proposizione P (premessa) è vera e Q (tesi) è falsa.
Si prenda ad esempio l’implicazione:
“ se fa bel tempo, Tizio va a trovare Caio ”.
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Capitolo 1
Ora, se per caso piovesse, tutti penserebbero che Tizio non andrebbe
da Caio, ma questa deduzione aggiuntiva non è consentita sul piano
logico-deduttivo: l’unica cosa che è certa è che se fa bel tempo Tizio
va da Caio. Equivalentemente si può dire che se Tizio non va a trovare
Caio, allora senz’altro non fa bel tempo.
Ma il cattivo tempo non impedisce a Tizio di andare da Caio. La nostra
proposizione è dunque equivalente alla seguente affermazione:
“ o non fa bel tempo, oppure Tizio va da Caio ”.
In ultimo, (lo ribadiamo ancora) osserviamo che se P ⇒ Q è vera, ciò
non significa che Q sia vera, ma semplicemente che è vero che da P si
deduce Q.
Ad esempio se P fosse 2 < 1 (falsa) e Q fosse 3 < 2 (pure falsa), allora
l’implicazione 2 < 1 ⇒ 3 < 2 sarebbe vera, in quanto la conclusione
è deducibile dalla premessa, bastando aggiungere semplicemente 1 ad
ambo i membri della disuguaglianza contenuta nella premessa stessa.
Equivalenza. In ultimo, prendiamo in esame l’equivalenza: se P
e Q sono due proposizioni, allora P ⇐⇒ Q (si legge “P se e solo se Q”,
oppure “P è equivalente a Q”) è la proposizione che è vera se e solo
se P e Q sono contemporaneamente vere o contemporaneamente false,
ovvero, sono equivalenti. Ad esempio la proposizione
“ 2 < 1 se e solo se 3 < 2 ”
è vera, poiche premessa e conclusione sono entrambe false. Invece, la
proposizione
“ il numero naturale 10 è divisibile per 2 se e solo se esso
è divisibile per 4 ”.
è una proposizione falsa, in quanto è ben vero che 10 è divisibile per 2,
ma è falso che 10 è divisibile per 4.
In generale,
la proposizione P ⇐⇒ Q è vera se e solo se le proposizioni
P e Q sono entrambe vere o entrambe false.
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Capitolo 1
1.3.1. Esercizio risolto. Si consideri la seguente proposizione:
¬(P ∨ Q) =⇒ (¬P ) ∧ (Q ∨ R) .
Si dica, usando le regole di riduzione viste sopra, se essa è vera o falsa,
supponendo che P e R siano vere e Q sia falsa.
Soluzione. Se P è vera e Q è falsa, allora la disgiunzione P ∨ Q è vera
e quindi la sua negazione ¬(P ∨ Q) è falsa.
La disgiunzione Q ∨ R è vera, poiché almeno una delle due proposizioni
Q o R è vera. Dato poi che P è vera, si ha che ¬P è falsa. Pertanto la
congiunzione
(¬P ) ∧ (Q ∨ R)
| {z } | {z }
falsa
vera
risulta nel suo complesso falsa. Dunque, l’implicazione
¬(P ∨ Q) =⇒ (¬P ) ∧ (Q ∨ R) .
| {z }
|
{z
}
falsa
falsa
è vera, poiché, come abbiamo appena visto, se la premessa è falsa e la
tesi è falsa, l’implicazione è vera.
1.3.2. Esercizio. Si consideri la seguente proposizione:
¬(P ∧ Q) ⇐⇒ (¬P ) ∨ (¬Q) .
Si dica, usando le regole di riduzione viste sopra, se essa è vera o falsa,
supponendo che P sia falsa e Q sia vera.
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2. GLI INSIEMI
La nozione di insieme riveste in matematica un ruolo di primaria
importanza: potremmo dire, anche se rimarremo vaghi, che il concetto
di insieme rappresenta, alla stessa stregua delle operazioni elementari,
l’alfabeto della matematica.
Mediante l’uso degli insiemi è infatti possibile definire oggetti più “evoluti” e complicati. Tali oggetti più complicati servono poi per definire
oggetti ancora più strutturati, e via dicendo.
Continuando il paragone con la nostra lingua, potremmo osservare
come la Divina Commedia sia un insieme di cantiche, le quali, a loro
volta, sono formate da canti, che a loro volta sono formati da terzine,
a loro volta formate da endecasillabi, a loro volta formati da parole. E
le parole sono solo (!) sequenze finite di lettere dell’alfabeto.
Dunque una cosa elementarissima come il nostro alfabeto ha permesso
la creazione di un capolavoro.
Del tutto similmente, la teoria degli insiemi, a prima vista piuttosto
semplice, consente (assieme ad altre nozioni primitive) di creare un
linguaggio matematico capace di esprimere idee e nozioni sofisticate,
teoremi di grande fascino e teorie capaci di rivoluzionare il pensiero
dell’uomo.
Noi in questo capitolo avremo naturalmente pretese assai più modeste:
cercheremo di presentare le prime nozioni riguardanti la teoria degli
insiemi nella versione più elementare che ci è possibile.
2.1.
Definizioni e prime proprietà
Cominciamo con il precisare che cosa intendiamo con la parola “insieme”.
2.1.1. Definizione. Chiameremo insieme una qualunque collezione
di oggetti (che verranno detti elementi dell’insieme) distinti e ben
determinati.
2.1.2. Esempio. Sono effettivamente insiemi la collezione delle lettere dell’alfabeto italiano, oppure la totalità degli esseri umani, o anche
il gruppo delle squadre di calcio di serie A.
10
Capitolo 2
2.1.3. Esempio. Non costituiscono un insieme, invece, la collezione
di tre città (non sappiamo quali sono!), cinque monete finlandesi da
1 euro (non le possiamo distinguere!) e il gruppo degli uomini alti
(cosa intendiamo per “alto”? E’ una proprietà soggettiva!)
Useremo di preferenza le lettere maiuscole A, B, . . . per indicare gli
insiemi e le lettere minuscole a, b, c, . . . , per indicarne gli elementi.
Per indicare che un dato elemento a sta nell’insieme A, diremo che “a
appartiene ad A” e indicheremo questa relazione con “a ∈ A”.
Milan
Inter
Chievo
Lazio
Juventus
C
Figura 2.1: rappresentazione dell’insieme C mediante diagramma di Eulero-Venn.
Ci sono tre modi per rappresentare gli insiemi:
• per elencazione:
si scrivono esplicitamente tutti gli elementi dell’insieme (e
l’ordine in cui si scrivono è indifferente); ad esempio
C = {Chievo, Inter, Juventus, Lazio, Milan};
• mediante diagrammi di Eulero-Venn:
gli insiemi vengono rappresentati graficamente come “recinti”
ovali, si veda ad esempio la Figura 2.1;
• per proprietà caratteristica: si scrive la proprietà che deve
avere ogni elemento per appartenere all’insieme voluto; ad esempio,
C = { x è una squadra di calcio: x è tra le prime cinque }.
L’elencazione è certamente il modo più intuitivo per introdurre un dato
insieme. E’ però vero che se l’insieme consta di molti elementi, la mera
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Capitolo 2
elencazione di tutti questi elementi può diventare spossante. D’altro
canto vi sono casi in cui l’elencazione degli elementi di un dato insieme
è proprio impossibile. Se ad esempio volessimo indicare matematicamente l’insieme di tutti i numeri pari, non potremmo certo elencarli
tutti! In questi casi è certamente preferibile (se non obbligatorio)
ricorrere al metodo della proprietà caratteristica. Per i numeri pari
potremmo procedere in questo modo:
P = {n è un numero: n è pari}
e leggeremo: “P è l’insieme dei numeri n tali che n è pari”.
In tal modo, anche se non compaiono affatto i numeri pari nella definizione dell’insieme P , si è capito con esattezza chi sono i suoi elementi.
Ad esempio, 4 appartiene a P in quanto è un numero pari, 5 non
appartiene a P in quanto è un numero, ma non è pari, ed infine la
lettera q non appartiene a P in quanto non è nemmeno un numero.
Tra tutti gli insiemi che si possono definire, ce n’è uno particolarmente
facile, che però bisogna tenere bene in mente.
2.1.4. Definizione. L’insieme che non contiene nessun elemento si
chiama insieme vuoto e si denota con il simbolo ∅.
Dunque, l’insieme vuoto non contiene alcun elemento: ecco due esempi
di insiemi che sono uguali all’insieme vuoto:
A = {n è un numero: n è dispari e multiplo di 4},
B = {x è un uomo: x è padre di suo nonno}.
Come si vede, i due insiemi non possono contenere alcun elemento:
nel primo caso perché nessun numero dispari può essere multiplo di 4,
altrimenti sarebbe pari, e nel secondo caso perché nessun uomo può
essere padre di un proprio avo! Quindi A = B = ∅.
2.1.5. Definizione. Un insieme A si dice finito se esso contiene un
numero finito di elementi (o non ne contiene nessuno), mentre si dice
infinito in caso contrario.
Nel caso in cui un certo insieme A sia finito, il numero dei suoi elementi
(0, nel caso in cui non ve ne siano) si chiama cardinalità di tale
insieme e si denota con |A|.
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Capitolo 2
2.2.
Relazioni insiemistiche
Passiamo ora alle relazioni tra insiemi e cominciamo con il precisare
quando due insiemi sono uguali.
2.2.1. Definizione. Due insiemi A e B sono uguali quando essi contengono gli stessi elementi.
Ad esempio i due insiemi
A = {a, b, c}
e
B = {b, c, a}
sono uguali: essi infatti contengono gli stessi tre elementi. Anche
l’insieme
C = {x è una lettera: x è una delle prime tre lettere dell’alfabeto}
è uguale ad A e B, per la stessa ragione.
2.2.2. Definizione. Un insieme A è incluso in un insieme B, e scriveremo A ⊆ B, quando ogni elemento di A è anche elemento di B.
Se A è incluso in B, diremo anche che B include A e scriveremo
B ⊇ A.
Se A è incluso in B, allora si dice anche che A è un sottoinsieme
di B.
Per convenzione assumiamo che ∅ ⊆ A, qualunque sia A, in altri termini
l’insieme vuoto è sempre un sottoinsieme di ogni altro insieme A.
2.2.3. Osservazione. Osserviamo che ogni insieme è sottoinsieme di
se stesso. Dunque ogni insieme non vuoto ha sempre due sottoinsiemi
distinti: l’insieme vuoto e se stesso. Questi due sottoinsiemi vengono
spesso chiamati sottoinsiemi banali (o impropri).
Insieme universo. Per evitare confusioni o paradossi è bene pensare che gli insiemi che si esaminano siano contenuti in un insieme più
grande, detto insieme universo (o ambiente), di volta in volta specificato (o comunque tacitamente sottinteso). Ad esempio, quando parleremo dell’insieme dei numeri pari, o dei numeri dispari, o dei numeri
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Capitolo 2
A
B
Figura 2.2: B è sottoinsieme di A.
primi, penseremo sempre che tutti questi sottoinsiemi siano contenuti
nell’insieme universo costituito da tutti i numeri.
Se consideriamo l’insieme delle prime cinque squadre di serie A o l’insieme delle ultime otto, o l’insieme delle squadre il cui nome inizia per “C”,
allora penseremo che tutti questi insiemi siano immersi nell’insieme
universo costituito dalla totalità di tutte le squadre di serie A.
2.2.4. Definizione. Sia dato un insieme A. Si chiama insieme delle
parti di A l’insieme che ha per elementi tutti i sottoinsiemi di A.
Indicheremo tale insieme con il simbolo P(A).
Ad esempio, sia A = {x, y, z}. Allora (ricordiamoci che ∅ e A sono
sottoinsiemi di A!)
P(A) = ∅, {x, y, z}, {x}, {y}, {z}, {x, y}, {x, z}, {y, z} .
Da ricordare. In seguito osserveremo che se A ha cardinalità n, allora
P(A) ha cardinalità 2n : nel nostro caso |A| = 3, ed infatti abbiamo
verificato che |P(A)| = 23 = 8.
Esaminiamo ora alcune proprietà dell’inclusione.
• Proprietà riflessiva :
A ⊆ A;
• Proprietà antisimmetrica : se A ⊆ B e B ⊆ A, allora A = B;
• Proprietà transitiva :
se A ⊆ B e B ⊆ C, allora A ⊆ C.
Della prima proprietà abbiamo già parlato, quanto alla seconda essa
dice che se A è incluso in B e B è incluso in A, allora l’unica possibilità
è che A = B. In ultimo, la transitività esprime un fatto intuitivamente
ovvio: se un certo insieme A è contenuto in B, ed a sua volta B è
contenuto in C, allora anche A è contenuto in C.
14
Capitolo 2
2.3.
Operazioni tra insiemi
Ora esaminiamo quattro operazioni fondamentali nella teoria degli insiemi: unione, intersezione, differenza e complementazione.
Ricordiamo che tutti gli insiemi che consideriamo sono da considerarsi
contenuti in un insieme universo X, fissato una volta per tutte.
Ecco le definizioni:
2.3.1. Definizione. Siano dati due insiemi A e B contenuti in X.
Allora l’unione di A e B, denotata con A∪B, è l’insieme i cui elementi
appartengono o ad A, oppure a B.
h h
a a
e
b
b
c cc
d d
i i
g
f
l l
B
A
Figura 2.3: l’intera parte ombreggiata rappresenta l’unione di A e B.
2.3.2. Definizione. Siano dati due insiemi A e B contenuti in X.
Allora l’intersezione di A e B, denotata con A ∩ B, è l’insieme i cui
elementi appartengono sia ad A, sia a B.
h
a
e g
b
c
d
f
i
l
B
A
Figura 2.4: la parte ombreggiata rappresenta l’intersezione di A e B.
15
Capitolo 2
2.3.3. Definizione. Siano dati due insiemi A e B contenuti in X.
Allora la differenza di A e B, denotata con A \ B è l’insieme i cui
elementi appartengono ad A ma non a B.
a
h
i
e g
b
c
f
d
l
B
A
Figura 2.5: la parte ombreggiata rappresenta la differenza di A e B.
2.3.4. Definizione. Sia dato un insieme A contenuto in X. Allora il
complementare di A, denotato con Ac , è l’insieme i cui elementi non
appartengono ad A.
h h
a
i i
e
b
c
f
d
g
l l
B
A
X
Figura 2.6: la parte ombreggiata rappresenta il complementare di A: si osservi come questo dipenda da X.
Ad esempio se X = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7}, A = {1, 2, 3, 4} e B = {1, 3, 7},
allora abbiamo che
A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 7},
B \ A = {7},
A ∩ B = {1, 3},
Ac = {5, 6, 7}
e
A \ B = {2, 4},
B c = {2, 4, 5, 6}.
16
Capitolo 2
2.3.5. Osservazione. Direttamente dalla definizione si ha che A ∪
B = B ∪ A, e analogamente A ∩ B = B ∩ A. Per contro A \ B non è
uguale (in generale) a B \ A, e l’esempio appena discusso mostra infatti
che questi due ultimi insiemi possono non coincidere. Ad ogni modo si
osservi che A \ B = A ∩ B c .
Si possono dimostrare le seguenti formule (alcune sono immediate, altre
meriterebbero qualche considerazioni aggiuntiva):
1.
Ac
= X \A
2.
c c
(A )
= A
((·)c è involutorio)
3.
A∩A
= A
(idempotenza di
A∪A
= A
(idempotenza di
A\A
A ∪ Ac
= ∅
= X
4.
5.
6.
7. A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C
8. A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C
9.
10.
(A ∪ B)c
(A ∩ B)c
= Ac ∩ B c
= Ac ∪ B c
11. A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)
12. A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)
∩)
∪)
(non contradditorietà)
(associatività di
(associatività di
∩)
∪)
(legge di De Morgan)
”
(distributività di
(distributività di
∩ rispetto a ∪)
∪ rispetto a ∩)
Grazie alle proprietà 8, possiamo scrivere impunemente A∪B∪C, senza
preoccuparci di specificare se intendiamo A∪(B ∪C) o (A∪B)∪C, dato
che si tratta della stessa cosa. Analogamente (grazie alla proprietà 7),
per la scrittura A ∩ B ∩ C. Si osservi l’analogia di questa proprietà con
quella della consueta operazione “+”: anche qui si ha che a + (b + c) =
(a + b) + c e pertanto risulta non ambigua la scrittura a + b + c. Al
contrario l’operazione di differenza per gli insiemi non gode di questa
proprietà: non è vero che A\(B\C) = (A\B)\C. Per rendersene conto,
si consideri il seguente esempio: X = {a, b, c, d, e, f, g}, A = {a, b, c},
B = {a, b, g, f }, C = {a, g}. Ora,
A \ (B \ C) = A \ {b, f } = {a, c},
17
Capitolo 2
mentre
(A \ B) \ C = {c} \ {a, g} = {c}.
Come si vede i due insiemi non coincidono. Si osservi l’analogia con
l’operazione di sottrazione tra numeri: anche in questo caso non vale
la proprietà associativa; infatti (a − b) − c non è in generale uguale a
a − (b − c) (si costruisca un esempio!).
2.3.6. Esercizio risolto. Ridurre in forma più semplice l’insieme
c
Ac ∪ (A ∩ B) \ B ∩ (B \ A)c ,
(3.1)
sfruttando le regole elencate sopra.
Soluzione. Poniamo
c
Ac ∪ (A ∩ B) \ B ∩ (B \ A)c .
|
{z
} |
{z
}
= I
= II
Occupiamoci della parte I dell’espressione:
Ac ∪ (A ∩ B) = (Ac ∪ A) ∩ (Ac ∪ B)
= X ∩ (Ac ∪ B)
= Ac ∪ B,
grazie alle regole 12 e 6.
Per quanto riguarda il membro II dell’espressione abbiamo
B ∩ (B \ A)c
c
= B c ∪ (B \ A)c
= B c ∪ (B \ A)
c
= B c ∪ (B ∩ Ac )
= (B c ∪ B) ∩ (B c ∪ Ac )
= X ∩ (B c ∪ Ac )
= B c ∪ Ac ,
18
Capitolo 2
grazie alle regole 10, 2, 12 e 6.
Dunque, in definitiva la nostra espressione iniziale è uguale a
(Ac ∪ B) \ (Ac ∪ B c ) = (Ac ∪ B) ∩ (Ac ∪ B c )c
= (Ac ∪ B) ∩ (Ac )c ∩ (B c )c
= (Ac ∪ B) ∩ (A ∩ B)
= (Ac ∩ A ∩ B) ∪ (B ∩ A ∩ B)
= ∅ ∪ (A ∩ B) = A ∩ B.
Sicché l’intera espressione (3.1) altri non è che l’insieme A ∩ B.
A
B
X
Figura 2.7: qui è ombreggiato l’insieme I dell’Esercizio 2.3.6, cioè l’insieme
Ac ∪ (A ∩ B).
A
B
X
Figura 2.8: qui è ombreggiato l’insieme II dell’Esercizio 2.3.6, cioè l’insieme (B ∩ (B \ A)c )c .
19
Capitolo 2
A
B
X
Figura 2.9: qui è ombreggiato l’insieme I \ II dell’Esercizio 2.3.6, cioè l’insieme A ∩ B.
2.3.7. Esercizio. Ridurre in forma più semplice l’insieme
A ∩ (A ∪ B c ) ∪ A \ (B \ A) .
2.4.
(3.2)
Contare gli elementi
Se A ha n elementi e B ha m elementi, quanti elementi ha A ∩ B? E
A ∩ B?
In questo paragrafo diamo le formulette che rispondono a queste domande.
2.4.1. Proposizione. Siano A e B due insiemi non vuoti di cardinalità finita. Allora si hanno le seguenti relazioni:
|A ∪ B| = |A| + |B| − |A ∩ B|,
|A ∩ B| = |A| + |B| − |A ∪ B|,
|A \ B| = |A| − |A ∩ B| = |A ∪ B| − |B|.
2.4.2. Esempio. Se, ad esempio A = {a, b, c, d, e} e B = {a, f }, abbiamo che |A| = 5, |B| = 2, |A ∩ B| = 1, |A ∪ B| = 6, |A \ B| = 4 e
|B \ A| = 1.
20
Capitolo 2
2.5.
Partizioni
Ora veniamo ad un altro concetto importante nella teoria degli insiemi.
2.5.1. Definizione. Dato un insieme non vuoto A, una partizione
di A è una collezione qualunque di sottoinsiemi non vuoti di A tali che
ogni elemento di A appartiene ad uno ed uno solo di tali sottoinsiemi.
Se A = {a, b, c, d, e, f }, quelli che seguono sono tutti esempi di possibili
partizioni di A:
P1 = {a}, {b, c}, {d, e, f } ;
P2 = {a, b, c}, {d}, {e, f } ;
P3 = {a, b, c, d, e, f } ;
P4 = {a}, {b}, {c}, {d}, {e}, {f } ;
P5 = {a, f }, {b, e}, {c, d} .
Come si vede in ognuno degli esempi si ha che ogni elemento di A sta
in uno ed in uno solo dei sottoinsiemi non vuoti di volta in volta scelti,
i quali, quindi, costituiscono una partizione di A.
Nel caso in cui A sia l’insieme dei numeri naturali, una possibile partizione è data dai seguenti sottoinsiemi:
A1 = {1},
A2 = {2, 3},
A3 = {4, 5, 6},
...
In questo modo costruiamo un’infinità di sottoinsiemi, i quali costituiscono una partizione di A: infatti ognuno di questi sottoinsiemi è non
vuoto, in più è chiaro dalla loro costruzione che ogni numero sta in uno
ed uno solo di tali sottoinsiemi.
Attenzione. Non è detto che una partizione di un insieme infinito sia
infinita: ad esempio la partizione
P = {numeri pari}, {numeri dispari}
è una partizione dell’insieme dei numeri naturali che ha solo due elementi!
21
Capitolo 2
A15
A4
A3
A2
A5
A8
A1
A13
A6
A10
A11
A7
A12 A9
A14
A
Figura 2.10: i 15 sottoinsiemi Ai ; i =1,2,. . . ,15 rappresentano, in maniera
schematica, una partizione di un certo insieme A.
2.6.
Prodotto cartesiano
In questo paragrafo consideriamo un’altra operazione tra due insiemi:
il prodotto cartesiano.
Consideriamo due insiemi non vuoti A e B. Supponiamo, per il momento, che A e B siano due insiemi finiti. Per facilitare la comprensione
di quanto diremo supponiamo che A sia l’insieme delle quattro giacche
che Tizio ha nell’armadio, diciamo
A = {giacca1 , giacca2 , giacca3 , giacca4 }.
L’insieme B è invece l’insieme delle tre cravatte che Tizio ha sempre
nell’armadio:
B = {cravatta1 , cravatta2 , cravatta3 }.
Ora, l’insieme A × B (prodotto cartesiano di A e B) indica tutti gli
abbinamenti tra giacche e cravatte, precisamente gli elementi di A × B
sono:
(giacca1 , cravatta1 ),
(giacca1 , cravatta2 ),
(giacca1 , cravatta3 ),
(giacca2 , cravatta1 ),
(giacca3 , cravatta1 ),
(giacca2 , cravatta2 ),
(giacca3 , cravatta2 ),
(giacca2 , cravatta3 ),
(giacca3 , cravatta3 ),
(giacca4 , cravatta1 ),
(giacca4 , cravatta2 ),
(giacca4 , cravatta3 ).
22
Capitolo 2
Notiamo che gli elementi del prodotto cartesiano sono coppie ordinate
di elementi: il primo elemento della coppia appartiene ad A, mentre il
secondo elemento della coppia appartiene a B. Dunque se A e B sono
due insiemi inclusi dell’insieme ambiente X e, rispettivamente, Y , il
loro prodotto cartesiano A × B è un sottoinsieme di X × Y .
La definizione rigorosa è questa:
2.6.1. Definizione. Siano A e B due insiemi non vuoti contenuti
l’uno nell’insieme ambiente X, l’altro nell’insieme ambiente Y . Allora
l’insieme
A × B = {(a, b) : a ∈ A, b ∈ B}
si chiama prodotto cartesiano di A e B ed è un sottoinsieme
di X × Y .
2.6.2. Esempio. Se X è l’insieme dei numeri ed A = {1, 2} e se Y è
l’insieme delle lettere dell’alfabeto italiano e B = {a, f, z}, allora
A × B = (1, a), (1, f ), (1, z), (2, a), (2, f ), (2, z) ⊆ X × Y.
Si scriva per esercizio esplicitamente anche B × A.
AxB
B
2
1
(a,2)
(b,2)
(c,2)
(a,1)
(b,1)
(c,1)
a
b
c
A
Figura 2.11: realizzazione intuitiva del prodotto cartesiano: su di un asse
indichiamo gli elementi di A, sull’altro quelli di B: le relative coppie ordinate di punti nel piano rappresentano gli elementi di A × B.
E’ chiaro che se A ha n elementi e B ha m elementi, allora A × B ha
n·m elementi, ovvero, in formula,
|A × B| = |A|·|B|.
23
Capitolo 2
Osserviamo anche che il prodotto cartesiano non è commutativo: un
conto è considerare A × B, un altro è considerare B × A: dunque la
posizione degli elementi a e b nella coppia (a, b) è importante e non si
può invertire.
Ad esempio poniamo che A = {Inter}, B = {Juventus} e che X =
{squadre di serie A}, allora
A × B = {(Juventus, Inter)},
mentre
B × A = {(Inter, Juventus)},
ed è chiaro che la prima partita si disputa a Torino, mentre la seconda
si gioca a Milano!
2.7.
Insiemi numerici
Tra tutti gli insiemi che si possono costruire, in matematica rivestono
grande importanza i cosiddetti insiemi numerici.
Vediamoli nel dettaglio, soffermandoci un poco su ognuno di questi.
Numeri naturali. Il primo insieme che consideriamo è l’insieme dei
numeri naturali, indicato con N.
L’insieme dei numeri naturali contiene i numeri 1, 2, 3, eccetera, ovvero
i numeri che tutti hanno imparato a conoscere alle scuole elementari. Si
preferisce non considerare lo 0 come numero naturale, pertanto esso non
appartiene ad N. L’insieme {0, 1, 2, . . .}, ottenuto da N con l’aggiunta
dello 0, ovvero N ∪ {0}, verrà chiamato N0 .
Sull’insieme dei numeri naturali non ci pare il caso di spendere altre
parole.
Numeri interi. Il secondo insieme che prendiamo in considerazione è
l’insieme dei numeri interi, denotato con Z.
Tale insieme è costituito da tutti i numeri naturali, dallo 0 e da tutti i
loro opposti, dunque
Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .}.
L’insieme Z contiene N0 e dunque anche N.
24
Capitolo 2
Numeri razionali. Il terzo insieme che prendiamo in considerazione
è l’insieme dei numeri razionali, denotato con Q.
Tale insieme è costituito da tutti i numeri che si possono presentare
come rapporto di numeri interi. Ad esempio 1/2 è un numero razionale,
in quanto esso è il rapporto tra 1 e 2, i quali sono due numeri interi.
Anche −7/8 è un numero razionale, in quanto esso può essere visto
come rapporto tra i numeri −7 e 8. Dunque tutte le frazioni, positive o
negative, sono numeri razionali. In maniera analoga si può vedere che
tutti i numeri con allineamento decimale finito o periodico sono numeri
razionali, infatti essi possono sempre essere scritti come frazioni: il
numero 1, 34 può essere infatti scritto come 134/100, che è appunto
una frazione.
Questo procedimento può essere esteso a tutti i numeri decimali con
allineamento decimale periodico.
Ad esempio, il numero 1, 333 · · · = 1, 3 può essere scritto come 4/3,
mentre il numero 14, 3414141 · · · = 14, 341 = 13 + 13/10 + 41/990.
Ora, non è importante cercare di ricordarsi i procedimenti meccanici
usati per convertire ogni numero decimale con allineamento periodico
in frazione. L’importante è comprendere che è sempre possibile farlo.
Pertanto,
Q = {p/q : p ∈ Z, q ∈ N},
cioè Q è l’insieme di tutte le possibili frazioni tra due numeri interi
(e denominatore diverso da 0). Tale insieme contiene tutti i numeri
interi (e quindi anche tutti i naturali), i quali possono essere visti come
particolari frazioni con denominatore uguale a 1.
Numeri reali. L’ultimo insieme numerico che consideriamo è anche
il più grande.
Si tratta dell’insieme dei numeri reali, denotato con R. A differenza
degli insiemi visti sino ad ora, esso è difficilmente definibile. Per dare
una definizione davvero rigorosa bisognerebbe ricorrere a strumenti
matematici non elementari e preferiamo essere poco rigorosi piuttosto che incomprensibili.
Diremo quindi, un po’ grossolanamente che l’insieme dei numeri reali
raccoglie tutti i numeri che ci sono: pertanto, oltre a Q faranno parte
√
di R tutti qui numeri che non sono razionali, come ad esempio 2
o π (cioè con allineamento decimale illimitato e non periodico, ma non
25
Capitolo 2
insistiamo oltre).
Tutti questi numeri che non sono razionali e che, nondimeno, sono sempre numeri reali (ovvero appartengono a R \ Q), si chiamano numeri
irrazionali.
√
√
Altri esempi di numeri irrazionali sono, ad esempio − 5 21, 7 3 , 52/5 ,
π π , il numero di Nepero e e moltissimi altri.
Qualche volta ci servirà considerare solo i numeri reali positivi. Per
questo diamo un nome a tale insieme ponendo
R≥0 = {x ∈ R : x ≥ 0}.
N
Z
Q
R
Figura 2.12: gli insiemi N, Z, Q e R sono rappresentati schematicamente: essi sono inclusi l’uno nell’altro. L’insieme dei numeri naturali è il più
piccolo, mentre quello dei numeri reali è il più grande.
2.7.1. Esercizio. Chi sono gli elementi di Z \ N ?
2.7.2. Esercizio. Sia A = {x ∈ R : x ≥ 5} e B = {x ∈ R : x ≤ 5}.
Individuare gli insiemi:
a) A ∩ B; b) A ∪ B; c) A \ B; d) B \ A.
26
3. LE FUNZIONI
Il concetto di funzione è di grande importanza nella matematica.
Dati due insiemi non vuoti A e B, vorremmo poter chiamare funzione
ogni legge che associa elementi di A ad elementi di B in maniera univoca, cioè in modo tale che ad ogni elemento di A si associ un unico
elemento di B e non, ad esempio nessuno, o due o quarantotto elementi di B (relazioni di tal fatta, ovvero non univoche, non verranno
mai prese in considerazione in questi Appunti).
3.1.
Definizione ed esempi
Ecco la definizione vera e propria di funzione.
3.1.1. Definizione. Siano A e B due insiemi non vuoti. Una funzione f da A in B (si scrive “ f : A −→ B ”) è una qualunque relazione
che associa ad ogni elemento a di A un unico elemento b di B.
Per denotare che all’elemento a si associa b si scrive “ f (a) = b ”.
L’insieme di partenza A si chiama dominio della funzione f , mentre
l’insieme di arrivo B si chiama codominio della funzione f .
f
A
B
Figura 3.1: la relazione f : A → B disegnata qui sopra è effettivamente una
funzione: ad ogni elemento di A (circoletti) è univocamente associato un elemento di B (triangolini).
27
Capitolo 3
3.1.2. Esempio. Prendiamo A = {2, 7, 10, 12} e B = {2, 3, 5, 9}.
Definiamo ora la relazione seguente: ad ogni elemento a di A associamo gli elementi di B che sono suoi divisori.
Ebbene in questo caso la relazione introdotta non è una funzione. Infatti, da un lato non ogni elemento di A ha associato elementi di B: il
numero 7 non ha infatti divisori in B e quindi a 7 non è associato nessun elemento di B; d’altro canto capita anche che al numero 10 siano
associati i numeri 2 e 5, pertanto non è vero che ad ogni numero di A sia
associato un solo elemento di B, come richiederebbe la definizione.
2
7
?
2
10
9
3
12
A
5
B
Figura 3.2: schema della situazione discussa nell’Esempio 3.1.2.
3.1.3. Esempio. Prendiamo adesso come insieme A l’insieme delle
automobili acquistate e come insieme B prendiamo l’insieme degli esseri
umani. Scegliamo la relazione f che associa ad ogni automobile il
legittimo proprietario.
Ora, si tratta in effetti di una funzione, infatti ogni automobile acquistata ha un suo proprietario (non sottilizziamo ed immaginiamo che i
proprietari siano tutti esseri umani e non società o ditte . . . ). Inoltre
ogni automobile ha un solo proprietario e quindi entrambe le richieste
perché f sia una funzione sono soddisfatte.
3.1.4. Osservazione. Ritorniamo sull’Esempio 3.1.3. Si noti che non
è affatto detto che ogni essere umano sia proprietario di un’automobile,
né che ogni essere umano ne abbia soltanto una.
In altre parole, più automobili possono avere lo stesso proprietario e può
esserci qualche essere umano cui non è associata nessuna automobile,
ma questo non è vietato dalla definizione.
28
Capitolo 3
3.2.
Funzioni iniettive, suriettive e biettive
In termini matematici, l’Osservazione 3.1.4 può essere riformulata dicendo che può accadere che due elementi distinti a e a0 del dominio A
di una certa funzione f vengano associati allo stesso b (ovvero f (a) =
f (a0 ) = b). In tal caso si dirà che la funzione f non è iniettiva.
Se invece succede che qualche b ∈ B non è raggiunto da nessun elemento a in A mediante la f (cioè b rimane “scoperto”), allora diremo
che la funzione in questione non è suriettiva.
Ecco le definizioni rigorose.
3.2.1. Definizione. Una funzione f : A −→ B è detta iniettiva se
per ogni elemento b ∈ B esiste al più un elemento a ∈ A tale che
f (a) = b.
Equivalentemente, una funzione è detta iniettiva se e solo se per ogni
a, a0 ∈ A tali che f (a) = f (a0 ) si ha a = a0 .
A
B
f
Figura 3.3: la funzione f non è iniettiva: a due elementi distinti viene associato uno stesso elemento nel codominio. La funzione f è però suriettiva.
3.2.2. Definizione. Una funzione f : A −→ B è detta suriettiva se
per ogni elemento b ∈ B esiste almeno un elemento a ∈ A tale che
f (a) = b.
3.2.3. Definizione. Una funzione f : A −→ B è detta biettiva (o
corrispondenza biunivoca) se per ogni elemento b ∈ B esiste uno
ed un solo elemento a ∈ A tale che f (a) = b.
Equivalentemente, una funzione è biettiva se e solo se essa è sia iniettiva
che suriettiva.
29
Capitolo 3
A
B
f
Figura 3.4: la funzione f non è suriettiva: c’è un elemento del codominio
che non è associato ad alcun elemento del dominio. Si ha però che f è iniettiva.
Automobili
Proprietari
f
Figura 3.5: la funzione f rappresentata nell’immagine non è né iniettiva,
né suriettiva.
Allora, la funzione discussa prima che associa ad ogni automobile acquistata il suo proprietario non è né iniettiva, né suriettiva, in quanto
esistono proprietari di più automobili (salta l’iniettività) e ci sono anche
persone senza automobile (salta la suriettività).
Passiamo a qualche esempio più “matematico”.
3.2.4. Esempio. Sia f : N −→ N la funzione definita da f (n) = n2 .
Ora, una tale funzione è certamente iniettiva, in quanto non è possibile
che due numeri naturali distinti abbiano lo stesso quadrato.
D’altro canto f non è suriettiva, in quanto ci sono dei numeri naturali
che non sono il quadrato di un numero naturale. Ad esempio 2 non è
il quadrato di nessun numero naturale in quanto non c’è nessun n ∈ N
tale che n2 = 2.
3.2.5. Esempio. Sia ora f : Z −→ N la funzione definita da f (n) =
n2 .
Essa sembra simile a quella definita nell’esempio precedente, ma in
realtà non si tratta della stessa funzione, in quanto i domini sono diversi
30
Capitolo 3
(anche se le due funzioni hanno la stessa “formula”!).
In questo caso f non è iniettiva: infatti se n2 = m2 non possiamo più
concludere che n = m: ad esempio 3 e −3 hanno lo stesso quadrato e
quindi f non può essere iniettiva.
Quanto alla suriettività abbiamo anche in questo caso gli stessi problemi di prima: ci sono dei numeri naturali che non sono il quadrato di
un numero intero. Ad esempio 2 non è il quadrato di nessun numero
intero dal momento che non c’è nessun n ∈ Z tale che n2 = 2.
3.2.6. Esempio. Sia ora f : R −→ R la funzione definita da f (x) = x2
(si preferisce usare la lettera x quando la variabile appartiene ad R,
ma è solo una convenzione, si poteva usare qualunque altra lettera).
Ora il dominio della funzione f è l’insieme dei numeri reali. La funzione f non è iniettiva, sempre per il fatto
due numeri reali opposti
√ che √
hanno lo stesso quadrato, ad esempio 2 e − 2.
La funzione non è nemmeno suriettiva, in quanto non è vero che tutti i
numeri reali sono il quadrato di un numero reale: −1, ad esempio, non
può essere il quadrato di alcun numero reale.
3.2.7. Esempio. Consideriamo adesso la funzione f : R −→ R≥0 definita da f (x) = x2 .
Ora, il codominio della funzione f è l’insieme dei numeri reali non
negativi. La funzione f non è iniettiva, sempre per la ragione espressa
negli esempi precedenti.
La funzione ora è però finalmente suriettiva, in quanto è vero che tutti
i numeri reali non negativi sono il quadrato di un numero reale: √
se a è
un qualunque numero reale non negativo, allora il numero reale a ha
per quadrato proprio a, e questo basta per dire che la funzione data è
suriettiva.
3.2.8. Esercizio. Cosa si può dire della funzione f : R≥0 −→ R≥0 ,
definita da f (x) = x2 ?
3.2.9. Osservazione. Abbiamo visto in questi esempi che cambiando
il dominio o il codominio di una stessa relazione si ottengono funzioni diverse, con diverse proprietà. Pertanto si ricordi che una funzione è assegnata quando si conosce il suo dominio, il suo codominio e
l’espressione di f (non basta conoscere solo quest’ultima!).
31
Capitolo 3
3.2.10. Esempio. La funzione f : R −→ R data da f (x) = x3 è un
esempio di funzione biettiva.
Procediamo con ordine: verifichiamo che f è iniettiva. Per questo supponiamo che per un certo x ∈ R ed un certo y ∈ R si abbia f (x) = f (y),
ovvero x3 = y 3 . Per dimostrare che f è iniettiva bisogna dedurre da
qui che x = y. Si tratta tuttavia di un passaggio elementare se x3 = y 3 ,
estraendo la radice cubica a destra ed a sinistra di questa uguaglianza
si arriva a x = y, che è appunto quanto volevamo. Dunque, la funzione f è iniettiva.
Per quanto riguarda la suriettività, dobbiamo procedere in questo modo:
comunque si scelga un numero y nel codominio, bisogna essere in grado
di reperire almeno un x nel dominio, tale per cui f (x) = y, ovvero tale
che x3 = y. Ma è a questo punto chiaro che una volta scelto y, basterà
√
√
scegliere x = 3 y, infatti ( 3 y)3 = y, come volevamo.
Questo mostra che la funzione f è sia iniettiva che suriettiva, pertanto
essa è biettiva.
3.2.11. Esempio. Consideriamo la funzione f : N −→ N data da
f (n) = 1 + 2 + · · · + n.
Ad esempio f (1) = 1, f (2) = 1 + 2 = 3, f (3) = 1 + 2 + 3 = 6 e cosı̀ via.
Si tratta di una funzione suriettiva? In altre parole, se prendiamo un
numero naturale m qualunque, è vero che esiste n tale che m è la somma
dei primi n numeri?
Se, ad esempio, si scegliesse m = 6, avremmo che n = 3, infatti f (3) =
1 + 2 + 3 = 6.
Se però scegliessimo m = 7 non riusciamo a trovare nessun n tale
che f (n) = 7. Infatti non possiamo scegliere n = 1, 2, 3, dato che
f (1) = 1 f (2) = 3 e f (3) = 6. Se scegliamo n = 4 abbiamo che
f (4) = 1 + 2 + 3 + 4 = 11, che è maggiore di 7. Ogni n maggiore di
quattro renderà poi f (n) ancora più grande di 11 e quindi non potrà
mai essere uguale a 7. Insomma la funzione non è suriettiva: ci sono dei
numeri naturali m che non sono della forma f (n), per nessun n ∈ N.
I numeri 2, 7, 8 e 9 ne sono un esempio, ma in queste condizioni ce ne
sono addirittura infiniti.
Veniamo all’iniettività: supponiamo pertanto che per un certo n e per
32
Capitolo 3
un certo n0 in N si abbia f (n) = f (n0 ), ovvero
1 + 2 + · · · + n = 1 + 2 + · · · + n0 .
(2.1)
Ora, è del tutto ovvio che una tale uguaglianza non può sussistere se
n 6= n0 , dal momento che se, ad esempio fosse n0 > n, allora sarebbe
1+2+· · ·+n0 > 1+2+· · ·+n e non si potrebbe avere l’uguaglianza (2.1).
Lo stesso discorso vale se fosse n0 < n e pertanto non può che essere
n = n0 . Dunque la funzione è iniettiva.
3.2.12. Esempio. Dagli esempi sino ad ora discussi sembrerebbe che
non si possano costruire funzioni f : N −→ N che siano suriettive e non
iniettive. Cosı̀ non è: consideriamo la funzione f : N −→ N definita in
questo modo:
f (1) = f (2) = 1,
f (3) = 2,
f (4) = 3,
...,
f (k) = k − 1, (2.2)
per ogni k > 4. Per come è definita questa funzione è evidente che essa
risulti suriettiva ma non iniettiva: si mediti sulla figura sottostante che
rappresenta tale funzione.
1
3
2
4
5
...
f
1
2
3
4
...
Figura 3.6: la funzione f definita nella (2.2): si tratta di una funzione da
N in N suriettiva e non iniettiva.
3.3.
Il grafico di una funzione
Limitiamoci ad esaminare una funzione f : R −→ R.
33
Capitolo 3
3.3.1. Definizione. Il grafico di una funzione f : R −→ R è l’insieme
costituito dai punti del piano che hanno coordinate (x, f (x)), al variare
di x ∈ R.
Ad esempio il grafico della funzione f (x) = x è la retta bisettrice del
I–III quadrante del piano cartesiano, mentre il grafico della funzione
f (x) = x2 , definita ed a valori in R, è la caratteristica parabola che
tutti conosciamo.
Non vogliamo approfondire molto questo punto, ma segnaliamo che in
qualche caso si può leggere l’iniettività e la suriettività di una funzione
f : R −→ R direttamente dal suo grafico. Abbiamo detto che ciò è
possibile solo qualche volta, in quanto non è sempre facile tracciare il
grafico in maniera sufficientemente accurata di una data funzione.
In ogni caso, supposto che tale grafico sia stato disegnato, si procede
in questo modo: si considerano le rette parallele all’asse delle x.
• Se ognuna di queste rette taglia il grafico della funzione in almeno
un punto, allora la funzione è suriettiva.
• Se ognuna di tali rette taglia il grafico in al massimo un punto, allora
la funzione data è suriettiva.
Si mediti sulla figura sottostante.
3.4.
Immagine di una funzione
Aggiungiamo ora un’altra definizione importante.
3.4.1. Definizione. Sia f : A −→ B una funzione. L’insieme
Im(f ) = {b ∈ B : ∃ a ∈ A : f (a) = b}
si chiama immagine (o insieme immagine) di f .
Si dice inoltre che un elemento a ∈ A ha per immagine b ∈ B se si
ha f (a) = b.
L’immagine di una funzione rappresenta il sottoinsieme del codominio
i cui elementi sono quelli “raggiunti” da qualche elemento di A.
34
Capitolo 3
y
rette parallele all'asse x
grafico di f
b1
a
b2
b3
c1
c2
x
intersezioni
Figura 3.7: in questa figura si ha il grafico di una certa funzione f . Essa
non risulta né iniettiva, né suriettiva, in quanto vi sono rette parallele all’asse delle ascisse che non tagliano il grafico della funzione (che non è pertanto
suriettiva) e rette che tagliano tale grafico in più di un punto (non si ha pertanto l’iniettività).
3.4.2. Esempio. Sia A = {1, 2, 3} e B = {a, b, c, d, e, f }. Definiamo
f nel modo seguente: f (1) = a, f (2) = b, f (3) = a.
L’immagine di f è l’insieme Im(f ) = {a, b}, cioè è l’insieme dei valori
effettivamente raggiunti dalla funzione.
3.4.3. Osservazione. Notiamo che una funzione è suriettiva se e solo
se l’immagine di tale funzione coincide con l’intero codominio (ovvero,
graficamente, si ha che la parte ombreggiata in Figura 3.8 coincide con
tutto B).
3.5.
Funzione inversa
Abbiamo detto che una funzione f associa ad ogni elemento del dominio uno ed un solo elemento del codominio. Ora vorremmo, in un
35
Capitolo 3
A
B
Im(f)
f
Figura 3.8: l’insieme immagine di f è ombreggiato.
certo senso, invertire la procedura ed associare ad elementi del codominio i rispettivi elementi del dominio.
Questa relazione, tuttavia, non è più in generale una funzione. Consideriamo infatti la funzione f : A −→ B, dove A = {1, 2, 3}, B = {a, b, c, d}
e f (1) = a, f (2) = a, f (3) = d.
A
?
B
f
1
2
3
?
a
b
?
c
f -1
d
Figura 3.9: funzione non invertibile: al punto a in B non è univocamente
associato un unico elemento di A ed ai punti b e c non corrisponde alcun elemento.
Ora, la funzione inversa che vorremo definire, dovrebbe associare a d il
numero 3, dal momento che f (3) = d e dunque porre f −1 (d) = 3.
Tuttavia già per f −1 (c) abbiamo dei problemi, dato che non c’è nessun
elemento del dominio che viene mandato in c dalla f . Quindi f −1 (c)
non è definita.
Inoltre, e qui si ha un secondo problema, si ha che f −1 (a) vale sia 1
che 2, infatti entrambi questi numeri sono mandati in a dalla funzione f :
36
Capitolo 3
f -1
f
Im(f)
A
B
Figura 3.10: la funzione f ha per dominio A e codominio B: essa è biunivoca, come si accerta subito. La sua funzione inversa f −1 quindi esiste: essa
ha dominio B e per codominio A; f −1 è mostrata con le frecce tratteggiate.
qui c’è un problema di non univocità.
Le considerazioni che abbiamo appena fatto ci inducono a pensare che
non tutte le funzioni siano invertibili.
Per ovviare al primo tipo di problema basterà considerare funzioni suriettive, mentre per quanto riguarda il secondo problema bisognerà considerare solo funzioni f iniettive: infatti per tali funzioni un qualunque
punto b appartenente all’immagine Im(f ) di f proviene da uno ed un
solo punto del dominio, ovvero esiste un unico a ∈ A tale che f (a) = b
e possiamo pertanto definire f −1 (b) = a senza ambiguità. Dunque le
funzioni biunivoche sono le funzioni adatte ad essere invertite.
Ecco la definizione rigorosa.
3.5.1. Definizione. Sia f : A −→ B una funzione biettiva. Allora si
definisce la funzione inversa di f , denotandola con f −1 , nel modo
seguente: il dominio di f −1 è B (codominio di f ), mentre il codominio
di f −1 è A (dominio di f ) e si pone
f −1 (b) = a,
dove a ∈ A è tale che f (a) = b.
3.5.2. Esempio. La funzione f : R −→ R definita da f (x) = x2 non è
invertibile, poiché non è iniettiva, come abbiamo osservato nell’Esempio 3.2.6.
37
Capitolo 3
3.5.3. Esempio. La funzione f : R≥0 −→ R≥0 definita da f (x) = x2
è invertibile, poiché f è biunivoca, come sappiamo
dall’Esercizio 3.2.8.
√
La sua funzione inversa è la funzione radice · : R≥0 −→ R≥0 .
3.5.4. Esercizio. Sia f : R −→ R la funzione data da f (x) = x2 − 1.
Calcolare l’immagine di f . E’ una funzione suriettiva? Si tratta di una
funzione invertibile?
3.5.5. Esercizio. Sia f : {a, b, c, d} −→ {a, b, c, d} la funzione data da
f (a) = f (b) = a, f (c) = f (d) = c. Calcolare l’immagine di f . E’ una
funzione suriettiva? Si tratta di una funzione invertibile?
3.5.6. Esercizio. Si trovi la funzione inversa della funzione f : R ≥0 −→
R≥0 data da f (x) = x2 + 2x.
3.5.7. Esercizio. a) Si contino tutte le possibili funzioni da {a, b} in
{α, β, γ}.
b) Si contino tutte le possibili funzioni iniettive da {a, b} in {α, β, γ}.
3.5.8. Esercizio. Può esistere una funzione suriettiva f tra un insieme di 5 elementi in un insieme di 6 elementi?
3.5.9. Esercizio. Può esistere una funzione iniettiva f tra un insieme
di 6 elementi in un insieme di 5 elementi?
3.5.10. Esercizio. E’ vero che una funzione fra due insiemi finiti e
non vuoti con la stessa cardinalità k è iniettiva se e solo se è suriettiva?
38
4. NOZIONI DI CALCOLO
COMBINATORIO
In questo capitolo prendiamo in considerazione alcuni fatti di carattere elementare riguardanti il calcolo combinatorio.
4.1.
Il Principio di Moltiplicazione
Cominciamo con l’enunciare un principio fondamentale, cui ricorreremo
spesso.
Principio di Moltiplicazione (PM). Se k procedure hanno, rispettivamente, n1 , n2 , . . . , nk esiti possibili, allora ci sono n1 ·n2 · · · · ·nk
esiti possibili risultanti dall’applicazione della prima procedura seguita
dalla seconda, dalla terza, ecc., fino alla k-esima.
4.1.1. Esempio. Supponiamo che in un ristorante si servano 3 primi
diversi (ad esempio, pasta, riso e zuppa) e 4 secondi (ad esempio vitello,
maiale, pesce e pollo). In quanti modi si può mangiare in quel ristorante?
In questo caso la prima procedura di cui si parla del Principio di Moltiplicazione consiste nello scegliere un primo piatto: questo può essere
fatto in n1 = 4 modi.
La seconda procedura consiste nello scegliere un secondo, e ciò può essere fatto in n2 = 4 modi.
In definitiva, per (PM) si ha che vi sono 3·4 = 12 modi possibili per
abbinare un primo con secondo. Essi sono, elencandoli,
(pasta, vitello),
(pasta, maiale),
(pasta, pesce),
(pasta, pollo),
(riso, vitello), (zuppa, vitello),
(riso, maiale), (zuppa, maiale),
(riso, pesce),
(zuppa, pesce),
(riso, pollo),
(zuppa, pollo).
Se vi fossero stati 4 antipasti, 6 primi, 10 secondi e 3 dolci, si sarebbero
potuti ottenere 4·6·10·3 = 720 possibili menù differenti.
39
Capitolo 4
4.1.2. Esempio. Supponiamo Tizio non ami il riso e pertanto che
non gli interessino quei menù che abbiano “riso” come prima portata.
Quanti menù avrebbe a disposizione se andasse nel ristorante considerato nell’esempio precedente?
Usando di nuovo (PM) abbiamo che Tizio sceglie il primo in n1 = 2
modi (non considera infatti il riso), mentre sceglie tranquillamente i
secondi in n2 = 4 modi. Pertanto per lui ci sono 2·4 = 8 possibili menù
a disposizione.
4.1.3. Esercizio. Un lucchetto per biciclette ha un dispositivo di chiusura a combinazione formato da tre rotelle dentellate imperniate, ognuna delle quali può essere ruotata su 10 posizioni numerate da 0 a 9.
Quante combinazioni segrete si possono formare?
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Figura 4.1: schema del lucchetto a combinazione dell’Esercizio 4.1.3.
4.1.4. Esercizio. Il PIN di ogni tessera bancomat è costituito da 5
cifre. Quanti sono i possibili codici segreti?
4.1.5. Esercizio risolto. Supponiamo che in un certo paese straniero
le targhe delle automobili siano costituite da due lettere diverse dell’alfabeto italiano e da tre cifre, dallo 0 al 9.
Quante targhe si possono formare?
Soluzione. Vi sono n1 = 21 modi per scegliere la prima lettera della
targa. La seconda lettera può essere scelta in n2 = 20 modi, in quanto
non si possono avere due lettere uguali. Poi la prima cifra può essere
scelta in n3 = 10 modi ed analogamente per le altre due: n4 = n5 = 10.
In definitiva, si hanno 21·20·10·10·10 = 420 000 possibili targhe.
40
Capitolo 4
4.1.6. Esercizio risolto. Estraiamo da un comune mazzo di 40 carte
tre carte consecutivamente, reinserendo subito nel mazzo la carta di
volta in volta estratta.
Qual è il numero di casi in cui la prima carta sia un Re e la seconda
non sia di fiori?
Soluzione. Vi sono n1 = 4 modi possibili perché la prima carta estratta sia un Re e vi sono n2 = 30 modi possibili perché la seconda
carta estratta non sia un fiori, mentre vi sono ovviamente 40 modi per
estrarre l’ultima.
In totale si hanno 4·30·40 = 4 800 estrazioni possibili.
4.1.7. Esercizio. (1) Quante parole di tre lettere si possono formare
usando l’alfabeto ridotto A = {a, b, c, d }?
(Per “parola” si intenderà qui sempre una mera sequenza ordinata di
lettere giustapposte. Ad esempio, aac è una parola ammessa, anche se
nella nostra lingua non ha alcun senso.)
(2) Quante parole di tre lettere che non finiscono per d si possono
formare?
(3) Quante parole di tre lettere che abbiano due lettere b si possono
formare?
(4) Quante parole di tre lettere che abbiano almeno due lettere b si
possono formare?
4.2.
Disposizioni semplici
Supponiamo di avere un insieme A di n oggetti: vogliamo sapere in
quanti modi si può formare una lista ordinata di k oggetti scelti fra
questi n.
Una tale lista è ciò che chiamiamo disposizione di k oggetti scelti in n.
4.2.1. Definizione. Sia A un insieme di n elementi. Una qualunque
lista ordinata di k ≤ n oggetti scelti fra questi n si chiama disposizione
semplice di elementi di A a k a k.
Il numero di tutte le disposizioni semplici di elementi di A a k a k è
denotato con D(n, k), dove n indica il numero di elementi di A.
41
Capitolo 4
4.2.2. Esempio. Quanti numeri di due cifre diverse si possono scrivere usando le cifre 1, 2, 7 e 9?
Si tratta di un problema di disposizioni: si devono cercare tutte “liste”
ordinate composte da due cifre scelte nell’insieme dato. In altri termini, si deve calcolare D(4, 2).
risolviamo “a mano” il problema, elencando tutti i possibili numeri:
12,
21,
71,
91,
17,
27,
72,
92,
19,
29,
79,
97.
Contandoli, troviamo che D(4, 2) = 12.
4.2.3. Osservazione. L’esempio di prima può anche essere riguardato
come un’applicazione del Principio di Moltiplicazione: ho n 1 = 4 modi
per scegliere la prima cifra del numero che mi interessa. Poi ho n 2 = 3
modi per scegliere la seconda cifra di tale numero, in quanto non sono
consentite ripetizioni.
Ecco da dove è saltato fuori il numero 12: 12 = 4·3.
Il problema della ricerca del numero di disposizioni semplici può quindi
essere risolto ricorrendo a (PM). Generalizzando infatti quanto si è
detto nell’esempio soprastante si può enunciare la seguente proposizione.
4.2.4. Proposizione. Sia A un insieme di n elementi. Si fissi k ≤ n.
Allora
D(n, k) = n·(n − 1)·(n − 2) · · · · · (n − k + 1).
(2.1)
4.2.5. Esercizio risolto. In quanti modi si possono assegnare 3 caramelle diverse fra 6 bambini?
Soluzione. Si tratta di calcolare D(6, 3), infatti si risolvere l’esercizio
pensando di calcolare tutte le liste possibili di tre bambini (k) scegliendoli entro sei candidati (n): al primo andrà la prima caramella, al
secondo la seconda caramella ed al terzo bambino la terza caramella.
Sicché la risposta è D(6, 3) = 6·5·4 = 120.
42
Capitolo 4
4.2.6. Esercizio. In quanti modi si possono far sedere 4 persone su 7
sedie?
4.2.7. Esercizio. Si abbia un’urna contenente otto biglie di colori
diversi.
In quanti modi si possono estrarre due biglie di colore uguale, estraendo
dall’urna tre biglie in successione e reimbussolando ogni volta?
4.2.8. Esercizio. Un’urna contiene 10 palline numerate da 1 a 10,
delle quali 3 sono blu, 5 sono rosse e 2 sono verdi.
Effettuando un’estrazione di quattro biglie senza reimbussolamento,
quanti modi ci sono per estrarre in ordine due palline rosse e due verdi?
4.2.9. Esercizio. Cosa cambierebbe nell’esercizio di prima, se si reimbussolassero la palline dopo ogni estrazione?
4.3.
Permutazioni semplici
Una permutazione (semplice) di una data lista di n oggetti distinti è
una lista che ha per oggetti gli stessi della lista precedente, ove tutt’al
più cambia l’ordine in cui si considerano. Ad esempio, la parola acne è
una permutazione (anagramma) della parola cane, visto che esse hanno
le stesse lettere e cambia solo l’ordine in cui le dispongo.
Figura 4.2: qualche permutazione di 6 elementi; in tutto ce ne sono 720.
43
Capitolo 4
4.3.1. Osservazione. Si dice che la permutazione è semplice in quanto
gli n oggetti che si intendono permutare sono supposti distinti. Vedremo in seguito come operare se non tutti gli oggetti che intendiamo
permutare sono distinti (ad esempio se volessimo trovare il numero degli
anagrammi della parola casa, in cui figurano due lettere uguali).
A ben guardare una permutazione è allora una particolare disposizione:
precisamente è una disposizione di n oggetti, presi a n a n.
4.3.2. Definizione. Sia A un insieme con n elementi. Una qualunque
disposizione degli elementi di A a n a n è detta permutazione degli
elementi di A.
Il numero delle permutazioni di un dato insieme A si indica con P (n),
dove n è il numero di elementi di A.
Poiché una permutazione è una particolare disposizione semplice, sappiamo calcolare il numero di permutazioni degli elementi di un qualunque insieme finito A:
4.3.3. Proposizione. Sia A un insieme di n elementi, allora
P (n) = n·(n − 1)·(n − 2)· · · · ·2·1
(3.1)
4.3.4. Esempio. Quante sono le permutazioni della parola mano?
Dato che la parola mano ha tutte le lettere distinte, il numero di anagrammi è P (4) = 4·3·2·1 = 24.
4.3.5. Esercizio. In quanti modi si possono ordinare 5 libri di Matematica su di uno scaffale?
4.3.6. Esercizio. In quanti modi si possono ordinare 5 libri di Matematica, 4 di Storia e 3 di Geografia su di uno scaffale, tenendo vicini
tra loro i libri della stessa materia?
4.3.7. Esercizio. In quanti modi si possono riporre 3 libri di Matematica e 2 di Storia, purché non si abbiano mai i tre libri di Matematica
ed i due di storia vicini fra di loro?
44
Capitolo 4
4.4.
Il fattoriale
Per indicare che il numero delle permutazioni di n oggetti distinti è
n·(n − 1)·(n − 2)· · · · ·2·1 si usa scrivere in maniera più compatta che
esso è n! (si legge “n fattoriale”).
La definizione del fattoriale, a prescindere dalla sua interpretazione
combinatoria, è pertanto questa:
4.4.1. Definizione. Sia n un numero naturale, oppure lo zero. Allora
il numero n! definito da

 n·(n − 1)·(n − 2)· · · · ·2·1, se n 6= 0,
n! =
(4.1)

1,
se n = 0.
si dice n Fattoriale.
4.4.2. Esempio. Calcoliamo qualche valore di n!:
0! = 1,
1! = 1,
2! = 2,
3! = 3·2 = 6
4! = 4·3·2 = 24,
5! = 5·4·3·2 = 120,
6! = 6·5·4·3·2 = 720, 7! = 6!·7 = 5 040, 8! = 7!·8 = 40 320.
Come si vede al crescere di n, n! cresce molto rapidamente. Già per
n = 10 si ha che 10! è il numero 3 628 800.
Nell’esempio soprastante abbiamo usato la seguente ovvia relazione:
n! = (n − 1)!·n,
per ogni n ≥ 1.
Questa relazione è utile se, ad esempio, volessimo calcolare 11!/9!. In
tal caso è impensabile calcolare effettivamente tali numeri e poi farne il
quoziente. Sfruttando la relazione appena vista abbiamo invece molto
più rapidamente che
10!·11
9!·10·11
11!
=
=
= 10·11 = 110.
9!
9!
9!
45
Capitolo 4
4.4.3. Osservazione. Con l’introduzione della nozione di fattoriale,
abbiamo ora in maniera più compatta che
D(n, k) =
n!
.
(n − k)!
Tale formula è infatti equivalente a quella solitamente usata per calcolare D(n, k) e, quando ci sono in gioco numeri n e k grandi, essa torna
utile.
4.5.
Permutazioni con ripetizione
Ora chiediamoci: quanti sono gli anagrammi della parola acacia?
La risposta 6! è sbagliata, in quanto 6! sarebbero gli anagrammi della
parola acacia, ottenuti considerando diverse fra loro le due lettere c e
considerando differenti le tre a. Il vero numero di anagrammi è allora
uguale a 6!, diviso il numero di permutazioni delle c e delle a, ovvero è
uguale a 6!/(3!·2!) = 60.
La proposizione seguente non è che una generalizzazione di queste considerazioni:
4.5.1. Proposizione. Si abbiano n simboli, fra le quali n1 sono tra
loro uguali, n2 sono uguali fra loro, . . . , nk sono uguali fra loro. Allora
il numero di liste distinte ordinate degli n simboli date è
n!
.
n1 !·n2 !· · · · ·nk !
4.5.2. Esercizio. Ci sono 6 bandierine, fra cui 3 rosse, 2 azzurre e 1
gialla. Allineandole tutte verticalmente, quanti possibili segnali diversi
si possono comporre?
4.6.
Disposizioni con ripetizione
46
Capitolo 4
4.6.1. Definizione. Supponiamo di avere un insieme A con n elementi. Ogni lista di k elementi (k qualunque), ognuno dei quali è
un elemento di A, è detta disposizione con eventuali ripetizioni
degli elementi di A a k a k.
Il numero di tutte le disposizioni con ripetizione di elementi di A a k
a k è denotato con Dr (n, k).
Abbiamo già incontrato il concetto di disposizione con ripetizione:
l’Esempio 4.1.7 in (1) richiede appunto il numero delle disposizioni
di 3 lettere (con ripetizione) scelte in un insieme di 4 lettere.
A differenza delle disposizioni semplici, dove k deve essere minore o
uguale a n, qui k può essere un qualunque numero. Ad esempio, possiamo calcolare le parole di 9 lettere scelte nell’alfabeto A = {a, b}. Una
di tali parole è aaababbaa. Qui k = 9 e n = 2.
4.6.2. Proposizione. Sia A un insieme di n elementi e sia k un numero naturale qualunque. Allora
Dr (n, k) = nk .
(6.1)
4.6.3. Esercizio risolto. Da un mazzo di 40 carte estraiamo in successione 5 carte, reinserendo nuovamente nel mazzo ogni carta subito
dopo averla estratta.
In quanti modi diversi possiamo estrarre 5 fanti?
Soluzione. Si tratta di calcolare Dr (4, 5), infatti dobbiamo calcolare
il numero di tutte le liste possibili, costituite da cinque fanti in successione. Due di tali liste sono, ad esempio,
(F♣ , F♣ , F♥ , F♠ , F♦ ),
(F♦ , F♦ , F♥ , F♠ , F♦ ).
La risposta è pertanto Dr (4, 5) = 45 = 1 024.
4.6.4. Esercizio risolto. Quante parole di lunghezza non superiore
a 5 (ovvero con al massimo 5 lettere) si possono formare con il nostro
alfabeto?
Soluzione. Possiamo dapprima calcolare quante parole di lunghezza 1
è possibile formare con il nostro alfabeto. Poi calcoliamo il numero di
47
Capitolo 4
parole di due lettere, poi il numero di quelle con tre, e cosı̀ via, fino a
cinque. Ciò fatto, sommiamo tutti questi numeri ed avremo la risposta
al quesito.
Pertanto, la risposta è
Dr (21, 1) + Dr (21, 2) + Dr (21, 3) + Dr (21, 4) + Dr (21, 5)
= 21 + 212 + 213 + 214 + 215 = 4 288 305.
Ribadiamo che in tutti questi esempi (ed in quelli che seguiranno) il
concetto di parola è quello di una semplice lista ordinata di lettere: per
noi, ad esempio, aergr è da ritenersi una parola.
4.7.
Combinazioni
Un’altra importante nozione del calcolo combinatorio che prendiamo
in esame è quella di combinazione.
Diamo subito la definizione, rinviando a dopo commenti ed esempi.
4.7.1. Definizione. Sia A un insieme di n elementi e fissiamo un
numero naturale k ≤ n. Una combinazione di elementi di A a k a k è
un qualunque sottoinsieme di A con k elementi.
Il numero di tutte le possibili combinazioni di elementi di A a k a k è
denotato con il simbolo C(n, k), o, equivalentemente, con il simbolo nk
(si legge “n su k”), dove n è il numero di elementi di A.
Dunque, il concetto di combinazione differisce dal concetto di disposizione in quanto per una disposizione di k elementi scelti in un insieme di n elementi è importante sia sapere quali oggetti si scelgono,
sia l’ordine di scelta, mentre per una combinazione sono importanti
solo gli oggetti considerati e non l’ordine in cui li si sceglie.
Questa differenza diventa lampante se si confronta, ad esempio, D(4, 4)
con C(4, 4): D(4, 4) è il numero di tutte le possibili permutazioni di
una parola con quattro lettere diverse ed è uguale a 4! = 24.
Invece C(4, 4) è il numero di tutti i modi in cui è possibile scegliere
4 oggetti in un insieme di 4 oggetti, senza badare all’ordine: è chiaro
allora che C(4, 4) = 1, ovvero l’unico modo è prenderli tutti e quattro!
La formula generale per le combinazioni è data nella seguente
48
Capitolo 4
4.7.2. Proposizione. Sia A un insieme di n elementi e si fissi k ≤ n.
Si ha allora
D(n, k)
n!
C(n, k) =
=
.
(7.1)
k!
k!(n − k)!
4.7.3. Esercizio risolto. In quanti modi diversi si possono estrarre
contemporaneamente due assi tra i quattro assi A♥ , A♦ , A♣ , A♠ ?
Soluzione. Questo è proprio un caso tipico in ci si deve calcolare
C(4, 2): infatti si è interessati a tutti i possibili sottoinsiemi di due
elementi dell’insieme A = {A♥ , A♦ , A♣ , A♠ }. La risposta è allora 6,
infatti
12
4·3
C(4, 2) =
=
= 6.
2!
2
Possiamo anche elencare tutte e sei queste estrazioni possibili:
{A♥ , A♦ },
{A♥ , A♣ },
{A♥ , A♠ },
{A♦ , A♣ },
{A♦ , A♠ },
{A♣ , A♠ }.
Come si vede, l’ordine in cui figurano i due assi in ogni coppia è ininfluente.
4.7.4. Esercizio. Quanti sono i sottoinsiemi di un insieme di 6 elementi?
Con considerazioni non diverse da quelle fatte a proposito della risoluzione dell’Esercizio 4.7.4 si può dimostrare che vale la seguente generale
4.7.5. Proposizione. Sia A un insieme di cardinalità n. Allora
|P(A)| = 2n ,
ovvero la cardinalità dell’insieme delle parti di A, cioè dell’insieme i cui
elementi sono tutti i sottoinsiemi di A, è uguale a 2n .
4.7.6. Esercizio risolto. Consideriamo l’alfabeto A = {a, b, c, d}.
Quante parole di quattro lettere scelte in A si possono formare in modo
che esse contengano due a?
49
Capitolo 4
Soluzione. Due a si possono scegliere in un gruppo di 4 oggetti in
C(4, 2) modi diversi, ovvero ci sono C(4, 2) = 6 modi diversi per avere
due a in una parola di quattro lettere:
aa∗∗,
a∗a∗,
a∗∗a,
∗aa∗,
∗a∗a,
∗∗aa.
Per ognuno di questi modi ci sono evidentemente 9 parole, ottenute
riempiendo gli ∗, senza altre a.
In tutto ci sono allora 6·32 = 54 parole di quattro lettere, di cui due
sono a.
4.7.7. Esercizio. Consideriamo l’alfabeto A = {a, b, c, d}. Quante
parole di quattro lettere scelte in A si possono formare in modo che
esse contengano almeno due a?
4.7.8. Esercizio. Consideriamo di nuovo l’alfabeto A = {a, b, c, d}.
Quante parole di quattro lettere scelte in A si possono formare in modo
che esse contengano esattamente due lettere uguali?
4.7.9. Esercizio. Un allenatore di calcio deve formare una squadra
(da 11 giocatori) scegliendo tra 20 possibili giocatori. Quanti modi ha
per formarla?
4.7.10. Esercizio. Ci sono 20 giocatori di calcio, di cui 7 difensori, 6
centrocampisti, 4 attaccanti e 3 portieri. Un allenatore deve ora formare una squadra (da 11 giocatori) scegliendo tra questi 20 possibili
giocatori, in modo che la sua squadra abbia 4 difensori, 3 centrocampisti, 3 attaccanti e un portiere. Quanti modi ha per formarla?
4.7.11. Esercizio. Ci sono 4 città diverse. Quante sono le possibili
strade che si possono costruire per collegarle?
4.7.12. Esercizio. Ad una festa 10 persone si congedano stringendosi
la mano. Quante strette di mano si sono scambiate?
4.7.13. Esercizio. In quanti modi posso avere una doppia coppia,
giocando a Poker? Si supponga che le carte siano 32: quattro 7, quattro 8, ecc., fino a 4 Assi.
4.7.14. Esercizio. Quanti sono i tris che si possono avere a Poker?
50
Capitolo 4
4.8.
Partizioni ordinate
Supponiamo che un allenatore di una squadra di calcio utilizzi il modulo
3–5–2, ovvero che voglia impiegare 3 difensori, 5 centrocampisti e 2
attaccanti.
Facciamo anche la poco realistica ipotesi che ogni giocatore (all’infuori
del portiere) possa ricoprire ogni ruolo e chiamiamo con g1 , g2 , g3 ,. . . ,
g10 i dieci giocatori senza portiere. Due possibili scelte per il modulo
3–5–2 sono allora, ad esempio,
{g2 , g4 , g5 },
| {z }
{g10 , g1 , g9 , g3 , g8 },
|
{z
}
attaccanti
difensori
centrocampisti
attaccanti
difensori
{g2 , g4 , g10 },
|
{z
}
centrocampisti
{g1 , g3 , g5 , g6 , g9 },
|
{z
}
{g6 , g7 } ,
| {z }
{g7 , g8 } .
| {z }
L’ordine in cui i vari difensori, centrocampisti ed attaccanti sono scelti
è indifferente. La cosa che conta è invece chi va ed a quale classe è
assegnato.
Quante scelte si possono fare?
Da un punto di vista generale il problema che ci poniamo è questo:
abbiamo un insieme A di n elementi e scegliamo r numeri n1 , n2 ,
. . . , nr tali che n1 +n2 +· · ·+nr = n e consideriamo tutte le partizioni
ordinate di A in elementi che abbiano cardinalità n1 , n2 , . . . , nr .
Una partizione è detta ordinata quanto l’ordine degli elementi della
partizione è significativo.
Ad esempio se A = {1, 2, 3, 4, 5}, le due partizioni ordinate (ottenute
con n1 = 2, n2 = 2 e k3 = 1)
{2, 3}, {1, 5}, {4}
e
{1, 5}, {2, 3}, {4}
sono diverse, in quanto differiscono per l’ordine degli elementi. La
precisazione rigorosa del concetto di partizione ordinata è contenuta
nella seguente
4.8.1. Definizione. Sia A un insieme di n elementi e siano n1 , n2 ,
. . . , nr dei numeri naturali fissati tali che n1 + n2 + · · · + nr = n.
51
Capitolo 4
Allora per partizione ordinata di A rispetto ai numeri n1 ,
n2 , . . . , nr intendiamo una qualunque r-upla ordinata della forma
(An1 , An2 , . . . , Anr )
con le seguenti caratteristiche: per ogni i = 1, 2, . . . , r
1) l’insieme Ani è un sottoinsieme di A con ni elementi;
2) {An1 , An2 , . . . , Anr } è una partizione di A.
4.8.2. Definizione. La totalità delle partizioni ordinate di un insieme
finito e non vuoto A rispetto ai numeri n1 , n2 , . . . , nr verrà indicata
con Pn1 ,n2 ,...,nr (A).
Ed ora veniamo alla soluzione del nostro problema.
4.8.3. Proposizione. Sia A un insieme di n elementi. Si fissino r
numeri naturali n1 , n2 , . . . , nr tali che n1 + n2 + · · · + nr = n.
Allora si ha che
|Pn1 ,n2 ,...,nr (A)| =
n!
.
n1 !·n2 !· · · · ·nr !
4.8.4. Osservazione. Si osservi che il numero di partizioni ordinate
di un insieme di n elementi rispetto ai numeri n1 , n2 , . . . , nr è lo stesso
numero degli anagrammi possibili in un insieme di n lettere in cui vi
siano n1 lettere uguali fra di loro, n2 lettere uguali fra di loro, . . . , nr
lettere uguali fra di loro.
In effetti non si tratta di un caso, ma su questo punto non insistiamo
oltre.
4.8.5. Esempio. Tornando al nostro esempio calcistico, allora abbiamo che il numero di scelte possibili per formare un modulo 3–5–2 è
uguale al numero |P3,5,2 (G)|, dove G denota l’insieme dei 10 giocatori,
e dunque si hanno
|P3,5,2 (G)| =
10!
5!·6·7·8·9·10
=
= 2 520
3!·5!·2!
12·5!
scelte possibili.
52
Capitolo 4
4.8.6. Esercizio risolto. In quanti modi possiamo distribuire 9 giocattoli diversi fra i quattro bambini Marco, Luca, Giorgio e Paolo, in
modo che Paolo (essendo il più piccolo) ne abbia 3, mentre gli altri ne
ricevano ognuno 2.
Soluzione. L’esercizio si può risolvere osservando che il numero richiesto è in effetti uguale al numero di partizioni ordinate dell’insieme G
dei nove giocattoli, rispetto ai numeri 3, 2, 2, 2.
Si hanno quindi
|P3,2,2,2 (G)| =
9!
5!·6·7·8·9
=
= 5!·7·9 = 7 560
3!·2!·2!·2!
6·8
modi differenti per distribuire i regali.
4.9.
Esercizi riassuntivi
4.9.1. Esercizio. Ci sono 6 coppie di persone sposate in una sala
da ballo. In quanti modi diversi si possono scegliere quattro persone,
facendo si’ che tra queste vi sia sempre una sola coppia sposata?
4.9.2. Esercizio. Consideriamo 6 coppie di persone sposate. In quanti
modi possono scegliere 4 persone perché tra queste non vi siano persone
sposate tra loro?
4.9.3. Esercizio. Si abbiano dieci carte numerate da 1 a 10. In
quanti modi possiamo estrarne due contemporaneamente, in modo che
la somma dei valori delle carte scelte sia dispari?
E per avare somma pari?
4.9.4. Esercizio. Un lotto di 19 pezzi presenta 5 pezzi difettosi. In
quanti modi possiamo scegliere 4 pezzi in modo che 2 fra questi siano
difettosi?
4.9.5. Esercizio. Ci sono 11 pezzi diversi e 3 scatole che possono
essere riempite solo con 2, 5 e 4 pezzi, rispettivamente. In quanti modi
posso riempire le scatole?
53
Capitolo 4
V
W
Figura 4.3: sono tracciate alcune diagonali. Quante sono in tutto?
4.9.6. Esercizio. Ci sono 8 persone che vanno messe in fila indiana.
Quanti modi ho per farlo, tenendo conto che due tra queste persone
devono sempre stare vicine?
4.9.7. Esercizio. Si consideri un poligono regolare di 13 lati. In
quanti modi posso unire con un segmento due vertici non consecutivi?
4.9.8. Esercizio. Ci sono quattro case A, B C e D. In quanti modi
si possono collegare le case, sapendo che B e D non possono essere
collegate fra di loro?
A
B
C
D
Figura 4.4: risoluzione grafica dell’Esercizio 4.9.8
54
Capitolo 4
4.9.9. Esercizio. In quanti modi 4 ragazzi e 4 ragazze possono sedersi
in fila, se vogliono alternarsi?
4.9.10. Esercizio. In quanti modi 4 ragazzi e 4 ragazze possono sedersi
in fila, se vogliono alternarsi e se Giacomo e Irene devono stare vicini?
4.9.11. Esercizio. Supponiamo ora che Giacomo ed Irene abbiano
litigato: in quanti modi ora i 4 ragazzi e le 4 ragazze possono sedersi
in fila, se vogliono alternarsi e se Giacomo e Irene non devono stare
vicini?
4.9.12. Esercizio. Consideriamo tutti i numeri naturali di tre cifre
distinte.
a) Quanti di questi numeri sono maggiori di 700?
b) Quanti di questi numeri sono dispari?
c) Quanti di questi numeri sono divisibili per 5?
4.9.13. Esercizio. Quante parole di 5 lettere con 2 vocali distinte e
3 consonanti distinte si possono formare con l’alfabeto italiano?
55
5. PROBABILITA’
Supponiamo di dover fare una previsione su un esito che può
avvenire all’interno di un certo insieme di eventi. Ad esempio, vengono lanciati due dadi e si vuole fare un pronostico sulla somma delle
facce uscite; ancora, si estraggono 5 carte da un mazzo e si vuole fare
n pronostico sull’eventualità che tra queste 5 carte ci sia un asso. Un
altro esempio è questo: si sceglie a caso un campione di 10 persone da
una popolazione data e si vuole fare un pronostico sull’eventualità che
due di queste persone abbiano i capelli turchini, e cosı̀ via.
5.1.
Breve introduzione informale
Un modo preciso di esprimere tale pronostico è associare ad ogni possibile esito un numero reale p, tale che 0 ≤ p ≤ 1, detto probabilità.
Dire allora che un dato evento ha probabilità p di verificarsi come esito
delle nostre prove significa che ci aspettiamo che eseguendo un gran
numero, diciamo N , di prove il numero di casi in cui si verifica tale
evento è circa pN . “Circa” qui significa che il numero dei casi favorevoli dell’evento dato, diviso per il numero totale di prove N , si
avvicina sempre di più, al crescere di N , al numero p.
In termini percentuali ci aspettiamo che per N molto grande l’evento
dato si verifichi circa nel (100p)% dei casi.
Quindi ad un esito è associata la probabilità p = 1 se ci si aspetta che
questo si verifichi nel 100% dei casi, ossia sempre (evento certo), una
probabilità p = 0 se ci si aspetta che questo non si verifichi mai, una
probabilità p = 1/2 se ci si aspetta che esso si verifichi il 50% delle
volte, ovvero in metà dei casi, una probabilità p = 0, 7 se ci si aspetta
che esso si verifichi il 70%, delle volte e cosı̀ via.
Sia Ω l’insieme degli eventi che si possono verificare come esito delle
nostre prove. Ad esempio, nel lancio di un dado Ω sarà l’insieme degli
interi 1, 2, 3, 4, 5 e 6. Nel caso del lancio di due dadi (che per semplicità supporremo distinguibili) l’insieme degli eventi Ω sarà costituito dalle 36 coppie ordinate (a, b), dove a e b appartengono all’insieme
56
Capitolo 5
{1, 2, 3, 4, 5, 6}, ovvero,


(1, 1) (1, 2) (1, 3) (1, 4) (1, 5) (1, 6) 









(2,
1)
(2,
2)
(2,
3)
(2,
4)
(2,
5)
(2,
6)






 (3, 1) (3, 2) (3, 3) (3, 4) (3, 5) (3, 6) 
.
(1.1)
Ω=

(4, 1) (4, 2) (4, 3) (4, 4) (4, 5) (4, 6) 










(5,
1)
(5,
2)
(5,
3)
(5,
4)
(5,
5)
(5,
6)






(6, 1) (6, 2) (6, 3) (6, 4) (6, 5) (6, 6)
Se invece l’evento cui siamo interessati è la somma delle facce di due
dadi, allora l’insieme degli eventi sarà l’insieme Ω = {2, 3, 4, . . . , 12}.
Diremo che Ω è l’insieme degli eventi.
Ad ogni elemento a ∈ Ω associamo la sua probabilità p(a) ∈ [0, 1],
che come abbiamo detto, esprime la nostra valutazione di quante volte
l’evento a si verificherà come esito di un gran numero di prove.
Per esempio, supponiamo di lanciare un dado non truccato. La probabilità che esca la faccia 1 è 1/6, poiché il dado ha 6 facce e non c’é
nessuna ragione di pensare che una di queste sia più probabile delle
altre. Ciò significa che facendo un numero molto grande di lanci del
dado ci aspettiamo che il numero di volte in cui esce la faccia 1 sia 1/6
del totale.
In generale, il dado può però essere truccato. Ad ogni faccia del dado
1, 2, . . . , 6 possiamo ancora associare delle probabilità di uscita, ma
questa volta non saranno più tutte uguali.
Se A ⊆ Ω è un sottoinsieme, possiamo associare una probabilità anche
ad A: questa è la somma delle probabilità di tutti gli eventi a ∈ A ed
esprime la frazione di prove che hanno come esito un evento contenuto
in A, quando il numero delle prove è molto grande.
5.1.1. Esempio. Sia A l’insieme delle facce pari di un dado, dunque
A = {2, 4, 6}. Supposto che il dado non sia truccato, la probabilità di
A è:
1 1 1
1
p(A) = p(2) + p(4) + p(6) = + + = .
6 6 6
2
In altri termini, ci aspettiamo che lanciando il dado molte volte, il
numero di volte in cui esce una faccia pari sia all’incirca pari alla metà
del totale dei lanci (o nel 50% dei casi).
57
Capitolo 5
Poiché almeno uno degli eventi di Ω deve verificarsi, la probabilità di
Ω è 1:
p(Ω) = 1.
(1.2)
Ovvero, nella totalità dei casi (100% dei casi) si verifica uno degli eventi
nell’insieme Ω, il quale è appunto l’insieme di tutti gli eventi.
Se dunque denotiamo con a1 , a2 , . . . , an gli n elementi di Ω si ha che
n
X
i=1
p(ai ) = p(a1 ) + p(a2 ) + · · · + p(an ) = 1.
(1.3)
Queste prime considerazioni dal carattere elementare ci consentono già
di risolvere qualche problema che, a prima vista, non sembra del tutto
ovvio.
5.1.2. Esercizio risolto. Un dado è stato truccato in modo che la
probabilità di uscita di una faccia sia proporzionale al valore di tale
faccia. Che probabilità c’è che lanciando un tale dado esca una faccia
pari?
Soluzione. Chiamiamo x la probabilità che esca 1. Allora per come è
stato truccato il dado si ha che la probabilità p(k) che esca la k-esima
faccia è k·x. Qui ovviamente per semplicità scriviamo
p(k)
anziché
p(uscita della faccia k).
Per la formula (1.3) si deve avere
1 = p(1) + p(2) + · · · + p(6) = x + 2x + · · · + 6x = 21x.
Da questa formula ricaviamo che x = 1/21. Una volta scoperto ciò, il
resto è semplice routine: l’evento A cui siamo interessati è A = {2, 4, 6},
pertanto la sua probabilità è
4
6
12
2
+
+
=
21 21 21
21
e si noti che questa probabilità, per via del dado truccato, è maggiore
di 1/2.
p(A) = p(2) + p(4) + p(6) =
5.1.3. Esercizio. E’ più probabile che non si presenti il 6 lanciando
un dado non truccato, o lanciando il dado truccato?
58
Capitolo 5
5.2.
Definizione e prime proprietà
Abbandoniamo il discorso non del tutto rigoroso fatto sino ad ora e
diamo la definizione precisa di ciò che chiameremo probabilità.
5.2.1. Definizione. Sia Ω = {a1 , a2 , . . . , an } un insieme finito e non
vuoto. Una funzione di probabilità, o, più semplicemente, una
probabilità è una qualunque funzione p: Ω −→ [0, 1] tale che
n
X
p(ai ) = 1.
(2.1)
i=1
La coppia (Ω, p) si dirà spazio di probabilità finito.
5.2.2. Esempio. L’esempio di probabilità più facile è quello che si
ottiene supponendo gli elementi di Ω tutti equiprobabili, cioè tutti
ugualmente probabili: in tal caso la funzione p è costante e vale 1/n per
ogni elemento di Ω. Si pensi ad esempio al lancio del dado non truccato
(n = 6), al lancio di una moneta non truccata (n = 2), all’estrazione
di una carta da un mazzo (n = 40 o n = 52, a seconda del mazzo) e
simili.
In tali casi chiameremo spesso p probabilità a priori.
5.2.3. Definizione. Sia dato uno spazio di probabilità finito (Ω, p).
La funzione p determina una funzione, che chiameremo ancora p, definita
sull’insieme delle parti di Ω nel modo seguente.
p: P(Ω) −→ [0, 1],
p(A) =
X
p(a),
(2.2)
a∈A
dove, lo ricordiamo, [0, 1] = {x ∈ R : 0 ≤ x ≤ 1}.
5.2.4. Osservazione.
P Per chi avesse poca dimestichezza con il simbolo di sommatoria
ricordiamo che le due scritture
n
X
i=1
p(ai )
e
X
p(a)
a∈A
59
Capitolo 5
significano, rispettivamente, sommare una sola volta p(a1 ), p(a2 ), . . . ,
p(an ) (primo caso) e sommare una sola volta fra di loro tutti gli elementi
p(a) (qualunque sia la funzione p), dove a appartiene ad A (secondo
caso). Nel caso in cui A sia un insieme finito (cioè sempre in questi
Appunti) le due scritture denotano in realtà lo stesso numero, solo
che la seconda è spesso preferibile alla prima in quanto non bisogna
precisare prima come chiamiamo i vari elementi di A, numerandoli.
Ad esempio, se A = {5, 7, 8},
X
a2 = 52 + 72 + 82 = 25 + 49 + 64 = 138,
a∈{5,7,8}
e lo stesso numero è dato da
a1 = 7, a2 = 5 e a3 = 8.
P3
i=1 (ai )
2
, pur di aver posto, ad esempio,
Tornando sul selciato, osserviamo che nel caso della probabilità a priori
si ha sempre
|A|
p(A) =
,
|Ω|
per ogni sottoinsieme A di Ω. Infatti ogni elemento di A ha probabilità
1/|Ω| di uscire e quindi, sommando su tutti gli elementi di A, otteniamo
che p(A) è proprio la frazione |A|/|Ω|.
Probabilità dell’unione di due eventi. Direttamente dalla Formula (2.2) segue la seguente importante relazione: se A e B sono due
eventi inclusi in Ω e p è una probabilità, allora
p(A ∪ B) = p(A) + p(B) − p(A ∩ B).
Queste relazione sancisce un fatto intuitivamente ovvio: la probabilità
che si presenti un evento oppure un altro è uguale alla probabilità che
si presenti il primo, più la probabilità che si presenti il secondo, meno
la probabilità che si presentino entrambi.
Eventi incompatibili. Se due eventi A a B sono tali che A ∩ B = ∅,
allora si dice che tali eventi sono incompatibili.
L’estrazione di un Fante da un mazzo di carte (evento A) e l’estrazione
di un 5 (evento B) sono due eventi evidentemente incompatibili.
60
Capitolo 5
Evento B
Evento A
Spazio degli eventi
Figura 5.1: Due eventi A e B incompatibili.
Evento A
Evento A e B
Evento B
Spazio degli eventi
Figura 5.2: nello spazio degli eventi sono disegnati l’evento A e l’evento B.
A ∩ B rappresenta l’evento A e B, cioè il contemporaneo verificarsi sia di A,
sia di B. In questo caso A e B sono due eventi compatibili.
D’altro canto, l’uscita di un numero maggiore o uguale a 5 su un dado
(evento A) e l’uscita di un numero pari (evento B) non sono due eventi
incompatibili, dato che la loro intersezione è l’evento dell’uscita del 6.
Probabilità dell’evento complementare. Un’altra proprietà che
si evince dalla Formula (2.2) riguarda la probabilità dell’evento A c ,
ovvero dell’evento complementare di un certo evento A ⊆ Ω. Ebbene,
61
Capitolo 5
si ha
p(Ac ) = 1 − p(A).
In altri termini, la probabilità che esca l’evento A è pari a 1 meno la
probabilità che non esca A.
Evento Ac
Evento A
Spazio degli eventi
Figura 5.3: se A è un dato evento, allora l’evento Ac è l’evento: “non si verifica A”. Esso è ombreggiato in figura.
Riassumiamo le proprietà di ogni probabilità p in una tabella:
• p(Ω) = 1
• p(∅) = 0
• p(A ∪ B) = p(A) + p(B) − p(A ∩ B)
• p(Ac ) = 1 − p(A)
5.2.5. Esempio. Calcoliamo la probabilità che si peschi da un comune mazzo da 40 carte un Asso, oppure una carta di fiori.
In questo caso A è l’evento: “la carta pescata è un Asso”, mentre B
è: “la carta pescata è un fiori”. Si deve calcolare p(A ∪ B). In base
alla regola appena vista dobbiamo prendere la probabilità che la carta
sia un Asso (pari a 4/40) sommare la probabilità che tale carta sia di
fiori (pari a 10/40) e sottrarre la probabilità che essa sia e un Asso e
62
Capitolo 5
di fiori, ovvero la probabilità che essa sia l’Asso di fiori (pari a 1/40).
In definitiva si ha
p(Asso o fiori) =
4
10
1
13
+
−
=
= 32, 5%.
40 40 40
40
Se invece vogliamo calcolare la probabilità che la carta non sia né un
Asso, né una carta di fiori, allora possiamo certo procedere direttamente, oppure osservare che l’evento cui siamo ora interessati è il complementare di quello considerato poco sopra: infatti, se chiamiamo ancora con A e B gli eventi, rispettivamente, dell’uscita di un Asso e di un
fiori, allora noi stiamo cercando la probabilità dell’evento Ac ∩ B c . Ma
tale evento è, per la regola di De Morgan, uguale a (A ∪ B)c e da qui,
se già non s’era sospettato, leggiamo che l’evento è il complementare
dell’evento A ∪ B, di cui abbiamo prima calcolato la probabilità. La
probabilità cui ora siamo interessati è allora
p(né Asso, né fiori) = 1 −
27
13
=
= 67, 5%.
40
40
2 di fiori
3 di fiori
Asso di cuori
4 di fiori
Asso di picche
5 di fiori
6 di fiori
Asso di fiori
D di fiori
Asso di denari
7 di fiori
F di fiori
R di fiori
Evento A
Evento A e B
Evento B
Spazio degli eventi
Figura 5.4: Schema dell’Esempio 5.2.5.
5.2.6. Esempio. Lanciamo due dadi distinguibili e calcoliamo la probabilità a priori che esca una coppia di numeri pari.
63
Capitolo 5
In questo caso lo spazio Ω è dato dalle 36 coppie ordinate (a, b), con
1 ≤ a, b ≤ 6, già esibito nella (1.1). L’evento A che qui ci interessa è il
sottoinsieme di Ω i cui elementi siano coppie formate da numeri pari.
Ci sono evidentemente 9 elementi in queste condizioni (n1 = 3 scelte
per il primo numero e n2 = 3 scelte per il secondo: per il principio
(PM) ho 9 possibili coppie di numeri pari). Poiché i dadi non sono
truccati ogni coppia ha 1/36 di probabilità di uscire, pertanto
p(A) =
9
|A|
=
= 0, 25.
|Ω|
36
Quindi c’è il 25% di probabilità che lanciando due dadi distinguibili si
abbia una coppia di facce pari.
5.2.7. Esercizio risolto. Estraiamo senza reinserimento due carte da
un mazzo. Con quale probabilità almeno una delle due carte è un Asso?
Soluzione. Anzitutto dobbiamo chiarire chi è Ω: in questo esercizio
lo spazio degli eventi sarà quello delle possibili coppie ordinate di carte
estratte da un mazzo senza reinserimento. Dal Capitolo 4, dedicato ai
concetti basilari del calcolo combinatorio, sappiamo che ci sono esattamente D(40, 2) = 40·39 = 1 560 elementi in Ω. Poiché non ci è stato
detto nulla dobbiamo supporre che non ci siano trucchi e pertanto ogni
coppia ha probabilità p = 1/1 560 di essere estratta.
Ora occupiamoci dell’insieme degli eventi favorevoli, cioè dell’insieme A
delle coppie estratte senza reinserimento, di cui almeno una sia un Asso.
Anche qui dobbiamo scoprire la cardinalità di A, sfruttando gli strumenti del calcolo combinatorio.
Prima contiamo i casi in cui ci sono esattamente due Assi: essi sono
D(4, 3) = 12, poi sommiamo a questi i modi di estrarre un solo Asso:
abbiamo 2·4·36 = 288 modi possibili (n2 = 4 modi per scegliere un
Asso, n2 = 36 modi per scegliere una carta che non sia una Asso, tutto
per due in quanto l’Asso posso anche sceglierlo come seconda carta). In
definitiva i modi di estrarre due carte senza reinserimento con almeno
un Asso sono 288 + 12 = 300. Ora basta applicare la formula della
probabilità a priori e trovare che la probabilità di avere almeno un asso
è
|A|
300
p(A) =
=
≈ 19, 2%.
|Ω|
1 560
64
Capitolo 5
Possiamo anche procedere diversamente e ragionare cosı̀: l’evento cui
siamo interessati (cioè l’estrazione di almeno un Asso) è il complementare dell’evento: “non si estrae nessun Asso”. Calcoliamo la probabilità di questo evento. Ciò fatto, la probabilità che cerchiamo è,
in base alla probabilità dell’evento complementare, uguale a 1 meno la
probabilità appena trovata. Ora, la probabilità p(Ac ) di non estrarre
Assi è
1 260
36·35
=
p(Ac ) =
D(40, 2)
1 560
(36 modi per non pescare un Asso alla prima estrazione e 35 modi per
non estrarre un Asso alla seconda estrazione). Quindi, ritroviamo di
nuovo
1 260
300
p(A) = 1 −
=
≈ 19, 2%,
1 560
1 560
come ci si aspettava.
5.2.8. Esercizio. Si risolva lo stesso problema dell’esercizio precedente, con la differenza che qui si reinserisce la prima carta estratta
nel mazzo (e lo si mescola), prima della seconda estrazione.
5.2.9. Esercizio. In una stanza ci sono 3 coppie di persone sposate.
Scelte 4 persone a caso fra queste 6, che probabilità c’è di estrarre due
coppie sposate?
Che probabilità c’è di trovarne una sola sposata?
5.3.
Spazi prodotto
Veniamo alla definizione di spazio prodotto. Si tratta di un concetto
molto utile nelle applicazioni del calcolo della probabilità.
Supponiamo che gli esperimenti sui quali vogliamo esprimere un pronostico consistano ciascuno di r prove, che sono individualmente descritte
dagli spazi di probabilità (Ω1 , p1 ), (Ω2 , p2 ), . . . , (Ωr , pr ). Supponiamo
anche che l’esito di ciascuna di queste r prove non abbia alcuna influenza sull’esito delle altre.
65
Capitolo 5
L’insieme degli eventi del nostro esperimento è allora il prodotto cartesiano Ω1 × Ω2 × · · · × Ωr e la probabilità che mettiamo in maniera
canonica è la funzione prodotto
p(a1 , a2 , . . . , ar ) = p(a1 ) · p(a2 ) · · · · · p(ar )
Ad esempio, il nostro esperimento potrebbe essere il lancio di due dadi:
l’esito di ogni lancio è una coppia di facce e la faccia del primo dado
non influenza la faccia del secondo. Lo spazio degli eventi del lancio di
due dadi è allora
{1, 2, 3, 4, 5, 6} × {1, 2, 3, 4, 5, 6}.
Supponendo che i dadi non siano truccati, la probabilità che esca la
faccia (i, j) è allora data da
1
1 1
.
p(i, j) = · =
6 6
36
Oppure, il nostro esperimento potrebbe consistere nel lancio di un dado
e nell’estrazione di una carta da un mazzo da 40. Anche qui l’esito del
dado non influenza l’esito dell’estrazione della carta, pertanto possiamo
considerare come spazio degli eventi il prodotto cartesiano dei singoli
spazi degli eventi, cioè,
{1, 2, . . . , 6} × {1♥ , 2♥ , . . . , D♠ , R♠ }.
Ci sono in questo caso 6 · 40 = 240 elementi nello spazio degli eventi:
tutte le possibili coppie di un numero compreso tra 1 e 6 ed una carta
da gioco. La probabilità che si presenti una qualunque di tali coppie,
diciamo ad esempio (4, 5♦ ), è
1 1
1
p(4, 5♦ ) = ·
=
.
6 40
240
Ancora, potremmo pensare di lanciare un dado non truccato ed un dado
truccato, come quello dell’Esercizio 5.1.2. In tal caso lo spazio degli
eventi rimane il prodotto cartesiano dei singoli spazi, ovvero l’insieme
delle coppie ordinate (i, j), con 1 ≤ i, j ≤ 6. La proprietà che esca la
coppia (i, j) è
1 j
j
p(i, j) = ·
=
.
6 21
126
Insomma, lo spazio di probabilità che descrive il nostro esperimento è
il prodotto degli spazi delle prove individuali, che ora definiamo più
precisamente.
66
Capitolo 5
5.3.1. Definizione. Siano (Ω1 , p1 ) e (Ω2 , p2 ) due spazi di probabilità
finiti. Lo spazio prodotto è la coppia (Ω1 × Ω2 , p), dove p è la
funzione di probabilità definita cosı̀:
p(a, b) = p1 (a)·p2 (b),
(3.1)
per ogni (a, b) ∈ Ω1 × Ω2 .
La funzione p definita nella Formula (3.1) è effettivamente una funzione
di probabilità sullo spazio Ω1 × Ω2 : per verificarlo basta vedere che
p(Ω1 × Ω2 ) = 1. Ecco infatti la giustificazione: supponiamo che Ω1 =
{a1 , a2 , . . . , an } e Ω2 = {b1 , b2 , . . . , bm }. Allora
p(Ω1 × Ω2 ) =
=
X
i=1,...,n
j=1,...,m
n
X
p(ai , bj ) =
p1 (ai )
i=1
X
p1 (ai )p2 (bj )
i=1,...,n
j=1,...,m
m
X
p2 (bj ) = 1·1 = 1.
j=1
Con lo stesso spirito si possono definire spazi prodotto di tre o quattro fattori e, in generale, di un numero finito qualunque di spazi di
probabilità.
5.3.2. Definizione. Siano (Ω1 , p1 ), (Ω2 , p2 ), . . . , (Ωr , pr ) r spazi di
probabilità finiti. Lo spazio prodotto è la coppia (Ω1 × Ω2 × · · · ×
Ωr , p), dove p è la funzione di probabilità definita cosı̀:
p(a1 , a2 , . . . , ar ) = p1 (a1 )·p2 (a2 ) · · · · p(ar ),
(3.2)
per ogni (a1 , a2 , . . . , ar ) ∈ Ω1 × Ω2 × · · · × Ωr .
Riepilogando, lo spazio prodotto (Ω1 × Ω2 × · · · × Ωr , p) descrive i
possibili esiti di insiemi di r prove indipendenti, di cui una ha esiti
possibili in Ω1 , una in Ω2 , eccetera.
5.3.3. Esercizio risolto. Consideriamo lo spazio di probabilità (Ω, p 0 ),
associato al lancio di un dado non truccato.
67
Capitolo 5
Qual è la probabilità che lanciando due dadi si faccia 7 sommando le
due facce?
Soluzione. Consideriamo lo spazio prodotto (Ω × Ω, p), dove p è la
probabilità prodotto definita dalla Formula (3.1). Ora, i casi favorevoli
sono: (1, 6), (2, 5), (3, 4) ed i loro gemelli speculari (6, 1), (5, 2) e (4, 3).
Ognuno di questi eventi ha probabilità 1/36, poiché il gioco non è
truccato e quindi, per il principio delle probabilità a priori si ha che la
probabilità p che le facce abbiano somma 7 è data da
6
1
p=
= ≈ 16, 7%.
36
6
5.3.4. Osservazione. Si osservi che sommando le facce di due dadi
non truccati è proprio il numero 7 quello che appare con più frequenza:
infatti la probabilità di ottenere 6 (o 8) è uguale a 5/36 ≈ 13, 9%,
quella di ottenere 5 (oppure 9) è uguale a 4/36 ≈ 11, 1%, e via via
decrescendo. Il motivo sta nel fatto che vi sono ben 6 coppie la cui
somma degli elementi fa 7, mentre per gli altri numeri ci sono meno
coppie.
5.3.5. Esercizio risolto. Consideriamo lo spazio di probabilità (Ω, p 0 ),
associato al lancio del dado truccato descritto nell’Esempio 5.1.2.
Qual è la probabilità che lanciando due dadi truccati si faccia 7 sommando le due facce?
Soluzione. Consideriamo lo spazio prodotto (Ω × Ω, p), dove p è la
probabilità prodotto definita dalla Formula (3.1). Ora, i casi favorevoli
sono: (1, 6), (2, 5), (3, 4) ed i loro gemelli speculari (6, 1), (5, 2) e (4, 3).
Si ha
1 6
6
p(1, 6) = p(6, 1) =
·
=
;
21 21
441
2 5
10
p(2, 5) = p(5, 2) =
·
=
;
21 21
441
3 4
12
p(3, 4) = p(4, 3) =
·
=
.
21 21
441
Pertanto la probabilità p di un 7 con i dadi truccati è
6 + 10 + 12
56
p = 2·
=
≈ 12, 7%.
441
441
68
Capitolo 5
5.3.6. Esercizio. A differenza del gioco non truccato, qui non è più 7
il numero maggiormente probabile ottenuto sommando le facce dei due
dadi. Qual è invece il numero su cui sarebbe meglio scommettere?
5.3.7. Esercizio risolto. Come tanti altri giorni, Donna Giovanna
va alla spiaggia con i suoi amici Gino, Pino e Lino. L’acuto bagnino
Remo ha osservato da tempo che Donna Giovanna ha le sue preferenze
e la probabilità che si faccia spalmare la crema da Gino è il triplo di
quella di Rino, che a sua volta è la metà di quella di Lino. Oggi Donna
Giovanna, come sempre, si farà spalmare la crema tre volte.
Stabilire la probabilità che oggi se la faccia spalmare sempre da Gino
e quella che se la faccia spalmare almeno due volte da Gino.
Soluzione. Denotiamo con G l’evento “Donna Giovanna si fa spalmare
la crema da Gino”, con L e con R gli altri due eventi analoghi, ove i
protagonisti sono ora Lino, ora Rino.
Anzitutto abbiamo che


 p(G) = 3p(R)
p(R) = 12 p(L)


p(G) + p(R) + p(L) = 1.
L’ultima formula segue dall’identità fondamentale (2.1). Ora queste
tre informazioni bastano per scoprire quali sono queste probabilità,
infatti ricavando P (R) dalle prime due relazioni e sostituendo queste
due relazioni nell’ultima si trova che
3p(R) + p(R) + 2p(R) = 1,
ovvero
p(R) = 1/6.
Da qui ricaviamo poi tutte le altre: p(G) = 3p(R) = 1/2 e p(L) =
2p(R) = 1/3.
A questo punto il gioco è fatto: Donna Giovanna si fa spalmare tre
volte, dunque considereremo lo spazio prodotto {G, P, L} × {G, P, L} ×
{G, P, L}.
Nell’esercizio si chiede qual è la probabilità dell’evento (G, G, G). La
probabilità di tale evento è il prodotto delle probabilità dei singoli
eventi, pertanto
1 3
1
p(G, G, G) = p(G)p(G)p(G) =
= = 12, 5%.
2
8
69
Capitolo 5
La seconda parte dell’esercizio chiede quale probabilità c’è che Gino
spalmi la crema almeno due volte. Anche qui ragioniamo separatamente: la probabilità che gliela spalmi tre volte è stata appena calcolata. Rimane da calcolare la probabilità che gliela spalmi esattamente
due volte. I casi favorevoli sono in tal caso 2·C(3, 2) = 6, cioè
(G, G, R),
(G, R, G),
(G, G, L),
(G, L, G),
(R, G, G),
(L, G, G).
Gli eventi della colonna di sinistra hanno tutti probabilità pari a
(1/2)·(1/2)·(1/6) = 1/24,
mentre gli eventi della colonna di destra hanno tutti probabilità pari a
(1/2)·(1/2)·(1/3) = 1/12.
Pertanto la somma di tutte queste probabilità, assieme a quella di
spalmare la crema tre volte, dà il risultato voluto:
prob. di spalmare almeno due volte =
1
1
1
1
+3·
+3·
= = 50%.
8
24
12
2
Quindi su molte giornate passate in spiaggia Gino spalma almeno due
volte la crema a Donna Giovanna all’incirca nel 50% dei casi.
5.3.8. Esercizio risolto. Tre cavalli Athos, Belle e Caio disputano
tre gare consecutivamente. Athos ha sempre il doppio di probabilità di
vittoria di Belle e Belle ha sempre il doppio di probabilità di vincere
di Caio.
Calcolare la probabilità che Caio vinca due gare su tre e la probabilità
che Athos non ne vinca nemmeno una su tre.
Soluzione. Anche qui, per semplificare, denotiamo con A l’evento
“Athos vince”, con B e C, gli analoghi eventi, ora con gli altri due
70
Capitolo 5
cavalli, rispettivamente.
Dalle informazioni che ci vengono date e dall’identità (2.1) troviamo:


 p(A) = 2p(B)
p(B) = 2p(C)


p(A) + p(B) + p(C) = 1.
Esprimendo le prime due relazioni in funzione di p(B) e sostituendo
poi nell’ultima si trova
1
2
2p(B) + p(B) + p(B) = 1,
ovvero
p(B) = .
2
7
Da ciò ricaviamo che p(A) = 4/7 e p(C) = 1/7.
Ora, l’esercizio chiede la probabilità che Caio vinca due gare sue tre.
lo spazio di probabilità che consideriamo è il prodotto {A, B, C} ×
{A, B, C}×{A, B, C}, con la probabilità prodotto. Gli eventi favorevoli
sono
(C, C, A),
(C, C, B),
(C, A, C),
(C, B, C),
(A, C, C),
(B, C, C).
Ogni evento della colonna a sinistra ha probabilità pari a
(1/7)·(1/7)·(4/7) = 4/343,
mentre ogni evento della colonna a destra ha probabilità pari a
(1/7)·(1/7)·(2/7) = 2/343.
In totale Caio vince due volte con probabilità p pari a
4
2
18
+ 3·
=
= 5, 2%.
343
343
343
Nella seconda parte dell’esercizio si vuole sapere la probabilità che
Athos non vinca nemmeno una gara, ovvero si è interessati al numero
p(Ac , Ac , Ac ). Abbiamo:
p = 3·
p(Ac , Ac , Ac ) = p(Ac )p(Ac )p(Ac ) = (1 − p(A))(1 − p(A))(1 − p(A))
3 3 3
27
= · · =
≈ 7, 87%.
7 7 7
343
71
Capitolo 5
5.3.9. Esercizio. Si lancia una moneta quattro volte di fila. Si dica
qual è la probabilità che si abbia tre volte “Testa”.
5.3.10. Esercizio. Si abbia un lotto di 12 pezzi, di cui 4 difettosi.
Estraendone due a caso, si calcoli la probabilità di trovarne almeno
uno difettoso.
5.3.11. Esercizio. Una moneta viene tarata in modo che si presenti
Testa il doppio delle volte in cui si presenta Croce.
Determinare la probabilità che su tre lanci si abbia due volte Testa.
5.3.12. Esercizio. Due uomini e tre donne sono impegnati in un torneo di scacchi. Le persone delle stesso sesso hanno la stessa probabilità di vittoria, mentre gli uomini hanno probabilità doppia di vincere
rispetto alle donne.
Si calcoli la probabilità che una donna vinca il torneo.
5.3.13. Esercizio risolto. Reduci l’uno da una festa esagerata a casa
di Biancaneve e l’altro da una serata in osteria, Ciuccolo e Sbronzolo
si mettono alla guida avendo alzato un po’ troppo il gomito. I due
incoscienti sfrecciano sulla statale, altrimenti deserta, a fari spenti in
una notte senza luna, viaggiando in direzioni opposte l’uno verso l’altro.
Supponendo che Ciuccolo abbia una probabilità del 30% di trovarsi
sulla corsia opposta a quella di marcia e che tale probabilità sia del
40% per Sbronzolo, calcolare la probabilità che i due si scontrino l’uno
contro l’altro.
Soluzione. Sia ΩC = {Cm , Co }, ove Cm è l’evento: “Ciuccolo è sulla
sua corsia di marcia quando incrocia Sbronzolo” e Co è l’evento: “Ciuccolo è sulla corsia opposta alla sua quando incrocia Sbronzolo”. Su
ΩC definiamo la probabilità pC in questo modo: pC (Cm ) = 0, 7 e
pC (Co ) = 0, 3. Analogamente, sia ΩS = {Sm , So }, ove Sm è l’evento:
“Sbronzolo è sulla sua corsia di marcia quando incrocia Ciuccolo” e
So è l’evento: “Sbronzolo è sulla corsia opposta alla sua quando incrocia Ciuccolo”. Su ΩS definiamo la probabilità pS in questo modo:
pS (Sm ) = 0, 6 e pS (So ) = 0, 4.
Poiché i due viaggiano a fari spenti, non sia accorgono l’uno dell’avvicinarsi dell’altro e quindi dove si trova l’uno non ha influenza sulla
72
Capitolo 5
corsia in cui si trova l’altro al momento in cui si incrociano. Pertanto lo
spazio di probabilità che descrive la posizione di entrambi al momento
in cui si incrociano è proprio (ΩC , pC ) × (ΩS , pS ).
Non si ha impatto tra Ciuccolo e Sbronzolo se e solo se sono entrambi sulla propria corsia di marcia o sono entrambi su quella opposta. Quindi se (Ω1 × Ω2 , q) è lo spazio di probabilità prodotto, allora
la probabilità che non ci sia impatto è data da
q(Cm , Sm ) + q(Co , So ).
Ricordando la definizione della probabilità prodotto q si ha che
q(Cm , Sm ) + q(Co , So ) = pC (Cm )pS (Sm ) + pC (Co )pS (So )
= 0, 7 · 0, 6 + 0, 3 · 0, 4 = 0, 54 = 54%.
Quindi la probabilità che ci sia lo scontro è 1 − 0, 54 = 0, 46 = 46%.
Si noti che è poco plausibile che Ciuccolo e Sbronzolo possano ripetere
l’esperimento molte volte. L’interpretazione del risultato ottenuto è
pertanto questa: se N coppie di automobilisti dovessero trovarsi a
guidare nelle stesse condizioni di Ciuccolo e Sbronzolo (cioè, con le
stesse probabilità di cambiare corsia e senza vedersi), allora per N
molto grande, vi sarebbe impatto nel 46% dei casi.
5.3.14. Esercizio. Ci sono dieci carte numerate da 1 a 10. Estraiamo
a caso due carte fra queste dieci. Si vuole sapere che probabilità c’è
che la somma dei valori delle due carte sia dispari se:
a) le due carte vengono estratte contemporaneamente;
b) le due carte vengono estratte in successione senza reinserimento;
c) le due carte vengono estratte successivamente, ma reinserendo la
prima dopo la prima estrazione.
5.3.15. Esercizio risolto. Ci sono 6 coppie di persone una stanza.
Che probabilità c’è che, scegliendone due a caso, esse siano
a) sposate;
b) un uomo ed una donna.
Soluzione. Ci sono C(12, 2) = 66 modi di scegliere due persone in un
gruppo di 12.
73
Capitolo 5
a) Ci sono 6 casi favorevoli (corrispondenti alle 6 coppie di persone
sposate), pertanto la probabilità di pescare una coppia di sposi è
6
1
=
≈ 9, 1%.
66
11
b) I modi in cui posso scegliere due uomini sono C(6, 2); i modi in cui
posso scegliere due donne sono C(6, 2). Pertanto C(12, 2) − C(6, 2) −
C(6, 2) = 36 sono i modi in cui si pescano due individui di sesso diverso.
La probabilità di avere scelto un uomo ed una donna è allora
6
36
p=
=
≈ 54, 5%.
66
11
p=
5.3.16. Esercizio risolto. Ci sono 6 coppie di persone una stanza.
Che probabilità c’è che, scegliendone quattro a caso,
a) si trovi almeno una coppia di sposi,
b) si trovino due coppie di sposi;
c) non si trovi nessuna coppia.
Soluzione. Ci sono C(12, 4) = 495 modi di scegliere quattro persone
in un gruppo di 12.
a) i casi favorevoli sono C(6, 2) + 6 C(10, 2) − 5 = 255: il primo
addendo corrisponde ai modi di scelta di esattamente due coppie; il
secondo numero corrisponde alla scelta di quattro persone, di cui due
sono sposati, infatti una volta scelta la prima coppia (in 6 modi diversi),
rimangono 10 persone. Conto tutti i modi di scegliere due persone
fra 10 (e questi sono in numero C(10, 2)); poi a questo numero devo
però togliere il numero di casi in cui viene pescata una coppia sposata
(sono 5). Ecco spiegato il secondo addendo che compare nel numero
dei casi favorevoli.
Pertanto la probabilità di pescare almeno una coppia di sposi è
255
17
p=
=
≈ 51, 5%.
495
33
b) Abbiamo già risolto questo punto, incidentalmente, discutendo il
punto precedente: ci sono C(6, 2) = 15 casi favorevoli su C(12, 4) =
495. La probabilità di trovare due coppie è dunque
1
15
=
≈ 3, 0%.
p=
495
33
74
Capitolo 5
c) Potremmo ragionare in questo modo: la probabilità di non trovare
nessuna coppia fra le quattro persone scelte è uguale a 1 meno la probabilità di trovarne almeno due sposate, ovvero è 1 − 17/33 = 16/33 =
48, 5%, come abbiamo appurato nel punto a).
Oppure, possiamo ragionare direttamente. Come al solito i casi possibili sono C(12, 4) = 495, mentre per contare i casi favorevoli ragioniamo
cosı̀: la prima persona la scelgo in 12 modi, la seconda in 10 modi, in
quanto la scelgo tra 11 persone e non può essere sposata alla prima.
La terza persona la scelgo in 8 modi diversi in quanto la scelgo tra 10
persone, ma non posso sceglierla né sposata alla prima, né alla seconda.
Ora sono rimaste 9 persone. Tra queste devo sceglierne una che non
sia sposata a nessuno dei tre già scelti: ho solo 6 possibilità per farlo.
In definitiva ho 12·10·8·6 liste ordinate di possibili scelte di quattro
persone fra cui non ci sono coppie. Poiché l’ordine di scelta non deve
influire, divido tale numero per 4! e troviamo che i casi favorevoli sono
240. La probabilità richiesta è allora
p = 240/495 = 16/33 = 48, 5%,
come avevamo già scoperto.
5.3.17. Esercizio risolto. Gino e Pino si affrontano in duello alla
pistola. Gino colpisce il 70% delle volte, mentre Pino colpisce solo il
50% delle volte. Si decide di favorire Pino, il quale tira per primo; poi
spara Gino (se sopravvive al primo colpo), poi tocca di nuovo a Gino
(sempre che sia ancora tra noi) e cosı̀ via, fino ad un massimo di tre
volte.
Qual è la probabilità di Pino di sopravvivere?
Soluzione. Non ci occuperemo in questi Appunti, se non in questo
esercizio, di problemi come quello proposto. Tuttavia, è doveroso considerare almeno un esempio.
Si esamini con cura la Figura 5.5. I casi in cui Pino si salva sono questi:
1) Pino spara al primo turno e uccide subito Gino;
2) Pino manca, ma anche Gino manca al primo turno e quando tocca
a Pino di nuovo a sparare, egli uccide Gino;
3) Pino manca anche in questo caso, Gino manca di nuovo e Pino al
terzo turno uccide Gino;
75
Capitolo 5
P
1/2
7/10
P
1/2
3/10
1° Round
G
P,G
3° Round
P
1/2
7/10
G
P
1/2
1/2
3/10
P,G
7/10
G
1/2
2° Round
3/10
P,G
Figura 5.5: Grafico della situazione delineato nell’Esercizio 5.3.17.
4) Tutti mancano tutte le volte ed il duello finisce (fortunatamente)
senza vittime.
Per trovare la probabilità di sopravvivenza di Pino, basta allora sommare le varie probabilità dei casi sopra esposti, ovvero:
1 1 3 1 1 3 1 3 1 1 3 1 3 1 3
+ · · + · · · · + · · · · ·
2 2 10 2 2 10 2 10 2 2 10 2 10 2 10
3
9
27
1
+
+
= 59, 0%.
= +
2 40 800 8 000
p=
5.3.18. Osservazione. Il prodotto degli spazi di probabilità è una
descrizione appropriata di un processo dato da r prove solo quando
nessuna di queste prove influenza le altre. Per esempio se estraiamo r
carte da un mazzo da 40 senza reinserirle via via nel mazzo, lo spazio
di probabilità non è il prodotto di r copie dello spazio di un’estrazione
(come nel caso in cui si reinserisce di volta in volta la carta), ma si
tratta dello spazio (Ω(r) , p), dove Ω(r) è lo spazio i cui elementi sono le
disposizioni di 40 elementi a r a r e p è la funzione di probabilità che
vale su ogni evento elementare 1/D(40, r).
5.4.
Prove ripetute ed indipendenti
Come caso particolare delle considerazioni precedenti, supponiamo che
il nostro esperimento consista nella ripetizione di r prove indipendenti
e che queste siano descritte individualmente dal medesimo spazio di
76
Capitolo 5
probabilità (Ω, p).
Allora, come si è detto, lo spazio di probabilità che descrive il nostro
evento è il prodotto
(Ω, p) × (Ω, p) × · · · × (Ω, p)
|
{z
}
r volte
Se 1 ≤ k ≤ r e Ω = {a1 , a2 , . . . , an }, fissiamo un elemento aj ∈ Ω e
chiediamoci
Qual è la probabilità di ottenere k volte l’esito aj in r prove? (4.1)
(1) Ad esempio potremmo lanciare in aria una moneta 5 volte ed essere
interessati alla probabilità che venga Testa tre volte: qui r = 5,
k = 3, Ω = {T, C} e l’evento cui siamo interessati è l’uscita di T .
Lo spazio di probabilità prodotto per questo esempio è
Ω(5) = {T, C}5
e la probabilità prodotto p vale 1/25 su ogni evento elementare
(come, ad esempio, l’uscita di T T CT C).
(2) Oppure, potremmo lanciare un dado 6 volte ed essere interessati
alla probabilità che venga due volte la faccia 4: qui r = 6, k = 2,
Ω = {1, 2, 3, 4, 5, 6} e l’evento cui siamo interessati è l’uscita del 4.
Lo spazio di probabilità prodotto per questo esempio è
Ω(6) = {1, 2, 3, 4, 5, 6}6
e la probabilità prodotto p vale 1/66 su ogni evento elementare
(come, ad esempio, l’uscita di (1, 2, 1, 1, 3, 4)).
(3) Oppure, potremmo estrarre 4 carte in successione da un mazzo
da 40, reinserendo subito la carta ogni volta che la si estrae, e
potremmo essere interessati all’uscita di 4 Donne: qui r = 4, k = 4,
Ω = {1♥ , 2♥ , . . . , D♠ , R♠ } (tutte le carte del mazzo) e l’evento cui
siamo interessati è l’uscita di una donna.
Lo spazio di probabilità prodotto per questo esempio è dato da
Ω(4) = {1♥ , 2♥ , . . . , D♠ , R♠ }4
77
Capitolo 5
e la probabilità prodotto p vale 1/404 su ogni evento elementare
(come, ad esempio, l’uscita di (D♦ , D♦ , F♣ , 5♠ )).
(4) Ancora, l’esperimento potrebbe consistere nell’estrazione ordinata
di 10 persone da una popolazione di N individui data, con reinserimento della persona dopo ogni sorteggio e potremmo chiederci
quale sia la probabilità di ottenere 3 persone con i capelli rossi.
In questo caso r = 10, k = 3, Ω = {I1 , I2 , . . . , IN }, dove I1 , I2 ,
eccetera, denotano gli individui della popolazione considerata, e
l’evento cui siamo interessati è l’uscita di una persona dai capelli
rossi.
Lo spazio di probabilità prodotto per questo esempio è dato da
Ω(10) = {I1 , I2 , . . . , IN }10
e la probabilità prodotto p vale 1/N 10 su ogni evento elementare
(come, ad esempio, l’uscita della sequenza I5 I6 I8 I1 I1 I4 I8 I1 I1 I4 ).
Caso per caso, con l’aiuto del calcolo combinatorio, noi abbiamo
già gli strumenti per risolvere questi problemi. guardiamo solo a
titolo esemplificativo il caso (1): lo spazio degli eventi è dato da
tutte le sequenze di lunghezza 5 formate da T e C: esse sono,
come abbiamo osservato, 25 = 32. A noi interessano i casi in
cui viene Testa 3 volte, e questi sono in numero di C(5, 3) = 10,
precisamente (ma non ci sarebbe bisogno di elencarle!):
T T T CC,
CT CT T,
T T CT C
CCT T T
T T CCT
CT T T C
T CT CT,
T CT T C,
T CCT T
CT T CT
dunque la probabilità cercata è p = 10/32 = 31, 25%.
Se questo è vero, altrettanto vero è che esiste un modo unificato per
trattare tutti questi esempi e che ci condurrà ad un’unica formula in
grado di gestire tutti questi esempi sparsi.
Torniamo dunque al punto di vista generale: abbiamo un certo insieme
di eventi
Ω = {a1 , a2 , . . . , an }.
Ogni evento ai , i = 1, 2, . . . , n ha la sua brava probabilità p(ai ) di
presentarsi e tale probabilità dipende dal problema di volta in volta
78
Capitolo 5
considerato.
Fissiamo ora un elemento aj ∈ Ω, un numero naturale r ed un numero
naturale k, con 1 ≤ k ≤ r.
Ribadiamo che noi vogliamo dare una risposta alla domanda (4.1), cioè
vogliamo sapere con quale probabilità si ottiene l’esito aj esattamente
k volte in r prove.
Passo 1. Cominciamo con il chiederci con quale probabilità otteniamo aj solo alla prima prova, alla seconda prova, . . . , alla k-esima
prova. La probabilità che capiti alla prima prova è evidentemente
uguale a p(aj ). Poi deve uscira ancora alla seconda prova e ciò accade
con probabilità pari a p(aj ), si procede cosı̀ fino alla k-esima prova. Da
questo punto in avanto non vogliamo più che capiti l’evento aj , pertanto alla (k+1)-esima prova la probabilità che non capiti aj è 1−p(aj ),
la probabilità che non capiti alla (k + 2)-esima prova è ancora 1 − p(aj ),
e cosı̀ via, fino alla probabilità che non capiti all’r-esima prova, che è
sempre pari a 1 − p(aj ). Quindi la probabilità pk che l’evento aj capiti
solo per le prime k prove e basta è
pk = p(aj ) · · · · · p(aj ) · (1 − p(aj )) · (1 − p(aj )) · · · · · (1 − p(aj ))
|
{z
} |
{z
}
k volte
= p(aj )k 1 − p(aj )
r−k volte
r−1
.
Passo 2. Ora, a noi non era richiesto che l’evento aj capitasse proprio
le prime k prove. A noi bastava sapere che capitava solo k volte, ma
non necessariamente le prime k. Con i conti fatti, ad esempio, avremmo
scoperto che Testa capita, lanciando 5 volte una moneta con probabilità
(1/2)3 · (1/2)2 = 1/32 esattamente nelle prime tre posizioni, ma noi
vogliamo contare anche i casi in cui si, ad esempio, T CCT T : qui ancora
Testa capita tre volte ma non nelle prime tre prove.
Tuttavia ovviare a questo problema è questione di un attimo: una volta
capito qual è la probabilità pk che l’evento capiti nelle prime k posizioni,
trovare la probabilità che capiti k volte, ma non necessariamente nelle
prime k prove è facile, basta moltiplicare pk per C(r, k), cioè per il
numero di modi in cui si possono estrarre k prove dentro r prove.
Quindi abbiamo ottenuto la seguente utile
79
Capitolo 5
5.4.1. Proposizione. Sia (Ω, p) uno spazio di probabilità finito. Si
fissi un elemento a ∈ Ω e si scelgano due numeri naturali r e k con
1 ≤ k ≤ r.
Allora la probabilità di ottenere esattamente k volte l’esito a in r prove
ripetute ed indipendenti è uguale a
r−k
r
.
(4.2)
p(a)k 1 − p(a)
k
Senza particolari difficoltà si può generalizzare la proposizione precedente anche al caso in cui si sia interessati non alla probabilità di un
evento elementare a ∈ Ω, ma alla probabilità di un evento A ⊆ Ω,
come ad esempio l’uscita di una faccia pari lanciando un dado. Ecco
la proposizione corrispondente, del tutto analoga alla precedente:
5.4.2. Proposizione. Sia (Ω, p) uno spazio di probabilità finito. Si
fissi un evento A ⊆ Ω e si scelgano due numeri naturali r e k con
1 ≤ k ≤ r.
Allora la probabilità di ottenere esattamente k volte l’evento A in
r prove ripetute ed indipendenti è uguale a
r−k
r
p(A)k 1 − p(A)
.
(4.3)
k
Riprendiamo ora tutti gli esempi fatti ed usando la formula (4.2) o (4.3)
calcoliamo le probabilità richieste.
(1) r = 5, k = 3, Ω = {T, C} e p(T ) = 1/2. La probabilità di ottenere
tre volte Testa in cinque lanci è
1 3 1 2
2
10
5
3
·
=
,
p(T ) 1 − p(T ) = 10 ·
2
2
32
3
come avevamo già scoperto “a mano”.
(2) r = 6, k = 2, Ω = {1, 2, 3, 4, 5, 6} e p(4) = 1/6. La probabilità di
ottenere due volte il 4 in sei lanci è
1 2 5 4
4
6
9 375
2
p(4) 1 − p(4) = 15 ·
≈ 20, 1%.
·
=
2
6
6
46 656
80
Capitolo 5
(3) r = 4, k = 4, Ω = {1♥ , 2♥ , . . . , D♠ , R♠ } e A = {D♥ , D♦ , D♣ , D♠ }.
Si ha p(A) = 4/40 = 1/10. Grazie alla Formula (4.3) abbiamo che
la probabilità di pescare quattro donne in quattro estrazioni con
reinserimento è
1 4
0
4
1
4
.
·1=
p(A) 1 − p(A) = 1 ·
10
10 000
4
Per la verità questo è un caso veramente banale e sarebbe stato
meglio non ricorrere alla formula, ma in ogni caso si arriva sempre
allo stesso risultato.
(4) r = 10, k = 3, Ω = {I1 , I2 , . . . , IN }, dove I1 , I2 , eccetera, denotano
gli individui della popolazione considerata. L’evento R cui siamo
interessati è l’insieme delle persone dai capelli rossi e supponiamo
che p(R) = 1/4, cioè che un quarto della popolazione sia con i
capelli rossi.
Allora, grazie alla (4.3) la probabilità di trovare esattamente tre
persone con i capelli rossi in 10 estrazioni con reinserimento è
1 3 3 7
7
10
262 440
3
p(R) 1−p(R) = 120·
≈ 25, 03%.
·
=
3
4
4
1 048 576
5.4.3. Esercizio risolto. Una moneta è tarata in modo che venga
Testa il 75% delle volte. Qual è la probabilità che in 10 lanci si abbiano
4 Teste?
Soluzione. Applichiamo direttamente la Formula (4.2) con r = 10,
k = 4, p(T ) = 0, 75 e troviamo che la probabilità voluta è
6
10
p(T )4 1 − p(T ) = 210 · (0, 75)4 · (0, 25)6 ≈ 1, 62%.
4
5.4.4. Esercizio. Un esame di Elementi di Matematica, in una certa
università, consiste di un test a scelta multipla composto da 5 domande
e 4 possibili risposte per ogni domanda, fra cui ce n’è sempre una ed una
sola giusta. Uno studente si presenta all’esame senza avere studiato e
risponde a tutte le domanda in maniera del tutto casuale.
Si calcoli la probabilità che tale studente passi l’esame, sapendo che
per la sufficienza occorrono almeno tre risposte corrette.
81
Capitolo 5
5.5.
Probabilità condizionata
La probabilità di uscita di un dato evento può cambiare se abbiamo a
disposizione più informazioni: ad esempio la probabilità che esca un 2
su un dado (senza altre informazioni) è pari a 1/6 ≈ 16, 7%, mentre
se noi sapessimo che è uscito un numero pari, allora la probabilità che
esca il 2 diventa 1/3 ≈ 33%.
Questa intuizione è giustificabile con rigore, introducendo il concetto
di probabilità condizionata.
5.5.1. Definizione. Sia (Ω, p) uno spazio di probabilità finito e siano
A, B ⊆ Ω due eventi di Ω, con p(B) > 0.
Allora la probabilità che si verifichi l’evento A, sapendo che si è verificato l’evento B si chiama probabilità condizionata e si denota con
p(A|B).
Poniamo inoltre
p(A ∩ B)
p(A|B) =
,
(5.1)
p(B)
ovvero attribuiamo all’evento A|B (“A, sapendo B”) probabilità pari
a quella dell’evento “A e B”, divisa per la probabilità di B.
A
B
spazio degli eventi
Figura 5.6: La probabilità condizionata p(A|B) rappresenta, in un certo
senso la probabilità relativa di A rispetto allo spazio degli eventi ridotto B.
Nel caso si stia considerando uno spazio di eventi Ω in cui tutti gli
eventi sono equiprobabili (lancio di una o più monete non truccati,
82
Capitolo 5
oppure lancio di uno o più dadi non truccati, eccetera), allora si ha che
P (A|B) =
|A ∩ B|
,
|B|
dove, lo ricordiamo, |A| denota la cardinalità (cioè il numero degli
elementi) dell’insieme A.
Ad esempio, lanciamo due dadi è chiediamoci qual è la probabilità che
esca almeno un 2 (evento A), sapendo che la somma delle facce è 7
(evento B).
In questo caso, anche senza l’aiuto del concetto di probabilità condizionata, riusciamo a risolvere il problema. Elenchiamo infatti i casi
possibili. Essi sono:
(1, 6)
(2, 5)
(3, 4)
(6, 1)
(5, 2)
(4, 3)
mentre i casi favorevoli sono quelli sottolineati.
In definitiva la probabilità p che cerchiamo è, in base ai principi della
probabilità a priori,
1
2
p= = .
6
3
D’altro canto, volendo applicare la formula, scegliamo come spazio Ω
lo spazio delle coppie ordinate di numeri dall’1 al 6. In tal caso l’evento
A ∩ B ha probabilità è 2/36, infatti ci sono solo due coppie tra le 36
considerate tali che la somma dei loro elementi dia 7 e vi sia almeno
un 2. La probabilità dell’evento B è invece 6/36, in quanto vi sono sei
coppie tali che la somma dei propri elementi dia 7. Pertanto,
2
36
1
p(A ∩ B)
2
p(A|B) =
=
= = ,
p(B)
6
3
6
36
come avevamo già scoperto.
83
Capitolo 5
5.5.2. Esempio. Tizio, in visita presso la casa di conoscenti, non si
ricorda di che sesso siano i due figli della coppia che è andato a trovare.
Si ricorda però che hanno quattro anni di differenza.
Ad un certo punto entra nella stanza uno dei due figli, un ragazzo. Che
probabilità c’è che anche l’altro figlio sia un ragazzo se
a) l’altro figlio è più giovane;
b) non si sa nulla dell’altro figlio.
Questo problema, all’apparenza banale, è ingannevole: infatti si scoprirà che le due probabilità (relative ai casi a) e b)) sono diverse, contro
il senso comune che suggerirebbe che la probabilità sia sempre il 50%.
Le possibili alternative, ora che un elemento di sesso maschile ha fatto
la sua comparsa, sono:
mm,
mf,
f m.
dove le lettere m e f stanno, rispettivamente, per “maschio” e “femmina” e l’ordine di scrittura rispetta quello di nascita dei figli.
Se si sa che il secondo figlio è più giovane, allora chi è entrato nella
stanza è il primogenito, pertanto vi è il 50% di probabilità che anche
l’altro sia un maschio (si esclude infatti il terzo caso listato).
b) Se invece non si sa che chi è entrato nella stanza è più giovane
dell’altro figlio, allora i casi possibili sono tutti quelli elencati e la probabilità che l’altro figlio sia maschio è ora 1/3.
5.5.3. Esercizio. Estraiamo da un mazzo due carte in successione,
senza reinserimento. Qual è la probabilità che la seconda carta estratta
sia un Asso, sapendo che anche la prima è un Asso?
5.5.4. Esercizio. In un collegio il 25% degli studenti è stato bocciato
in matematica, il 15% è stato bocciato in chimica ed il 10% è stato
bocciato sia in matematica che in chimica. Si sceglie uno studente a
caso.
a) Sapendo che egli è stato bocciato in chimica, qual è la probabilità
che sia stato bocciato anche in matematica?
b) Sapendo che egli è stato bocciato in matematica, qual è la probabilità che sia stato bocciato anche in chimica?
84
Capitolo 5
In realtà, per molti aspetti è molto più utile liberare la formula (5.1)
dal denominatore e scrivere:
p(A ∩ B) = p(A|B)p(B).
(5.2)
Il motivo di questa scelta è il seguente: in molte applicazioni è molto
più facile calcolare P (A|B), piuttosto che P (A∩B). Si pensi, a titolo di
esempio, all’Esercizio 5.5.3 (di cui seguiamo le notazioni): la probabilità
p(A|B) che si peschi un Asso, sapendo che se n’è appena pescato uno
è evidentemente
3
1
=
,
39
13
infatti, una volta pescato un Asso, rimangono 39 carte e tre soli Assi
nel mazzo. Per contro, il calcolo di P (A ∩ B) è stato meno trasparente.
Usando la formula appena scritta troviamo invece subito:
p(A ∩ B) = p(A|B)p(B) =
5.6.
1 1
1
·
=
.
13 10
130
Teorema di moltiplicazione
Abbiamo visto che si ha la formula
p(A ∩ B) = p(A|B)p(B),
se A e B sono due eventi in uno spazio di probabilità (Ω, p).
Ebbene, questa formula, che discende subito dalla definizione di probabilità condizionata, può essere generalizzata per il calcolo di p(A 1 ∩
A2 ∩ · · · ∩ An ). L’utile formula che si trova è questa:
p(A1 ∩ · · · ∩ An ) = p(A1 )p(A2 |A1 ) · · · p(An |A1 ∩ A2 ∩ · · · ∩ An−1 ). (6.1)
Questa formula è nota come teorema di moltiplicazione per la
probabilità condizionata.
Vediamo qualche esempio in cui questa formula torna utile.
85
Capitolo 5
5.6.1. Esercizio risolto. Supponiamo che un lotto contenga 12 pezzi,
di cui 4 siano difettosi. Tre elementi vengono estratti in maniera casuale
dal mucchio. Quante probabilità ci sono che tutti i pezzi scelti non siano
difettosi?
Soluzione. Questo è un tipico caso in cui la formula (6.1) si rivela
utile. Denotiamo con A1 l’evento “il primo pezzo non è difettoso”, con
A2 l’evento “il secondo pezzo non è difettoso” e con A3 l’evento “il
terzo pezzo non è difettoso”. Ora, effettivamente, si tratta di calcolare
p(A1 ∩ A2 ∩ A3 ). La formula dice che
p(A1 ∩ A2 ∩ A3 ) = p(A1 )p(A2 |A1 )p(A3 |A1 ∩ A2 )
8 7 6
=
· ·
≈ 25, 4%.
12 11 10
Infatti, la probabilità di scegliere un pezzo non difettoso è 8/12. Il
secondo fattore denota la probabilità condizionata di scegliere il secondo pezzo non difettoso, sapendo che il primo non è difettoso, ed
allora tale probabilità è ovviamente 7/11, dato che c’è un pezzo in
meno fra cui scegliere. Del tutto similmente, il terzo fattore denota la
probabilità condizionata di scegliere un pezzo non difettoso, sapendo
che sia il primo che il secondo non sono pezzi difettosi. La probabilità
di questo evento è facile da calcolare: sono rimasti 6 pezzi non difettosi
fra 10, e dunque ecco che la probabilità è proprio 6/10.
5.6.2. Esercizio. Ad un uomo vengono distribuite cinque carte, una
dopo l’altra, da un mazzo da 40 carte. Qual è la probabilità che egli
riceva cinque carte di picche?
5.6.3. Esercizio. Un’urna contiene 7 palline rosse e 3 bianche. Tre
palline vengono estratte dall’urna, una dopo l’altra. Qual è la probabilità che le prime due siano rosse e la terza sia bianca?
5.6.4. Esercizio. Gli studenti di una classe sono scelti a caso, uno
dopo l’altro, per sostenere un esame. Determinare la probabilità p che
i maschi e le femmine della classe si alternino se
a) la classe consta di 4 maschi e 3 femmine;
b) la classe consta di 3 maschi e 3 femmine.
86
Capitolo 5
5.7.
Eventi indipendenti
Apriamo una piccola parentesi sulla nozione di indipendenza. Non
spenderemo molte parole al riguardo, nonostante la grande importanza
di questa nozione.
In poche parole, vorremmo dire che due eventi A e B di un certo spazio
di probabilità finito (Ω, p) sono indipendenti, quando il verificarsi di
uno dei due non ha influenza sulla probabilità dell’uscire del secondo.
Ad esempio, vorremo poter dire che l’uscita di Testa su un lancio della
moneta è indipendente dall’uscita dell’evento Croce ad un secondo lancio.
La probabilità che esca l’evento A, sapendo che è uscito l’evento B
è p(A|B). Se l’uscita di B non deve influenzare questa probabilità si
deve avere p(A|B) = p(A). Dato che p(A|B) = p(A ∩ B)/p(B) si trova
che se A e B non si influenzano, allora p(A ∩ B) = p(A) · p(B). Prendiamo proprio quest’ultima relazione che abbiamo trovato in maniera
euristica come definizione di indipendenza:
5.7.1. Definizione. Sia (Ω, p) uno spazio di probabilità finito. Siano
A e B due eventi inclusi in Ω. Allora se si ha che
p(A ∩ B) = p(A) · p(B),
(7.1)
gli eventi A e B sono detti eventi indipendenti (o semplicemente,
indipendenti).
5.7.2. Esempio. Lanciamo una moneta tre volte in aria e consideriamo i seguenti tre eventi:
A:
il primo lancio è Testa;
B:
C:
il secondo lancio è Testa;
esce Testa due volte consecutivamente.
Lo spazio Ω degli eventi è
T T T, T T C, T CT, CT T, CCT, CT C, T CC, CCC .
87
Capitolo 5
Abbiamo evidentemente:
1
1
1
p(A) = ,
p(B) = ,
p(C) = ,
2
2
4
1
1
1
p(A ∩ B) = ,
p(A ∩ C) = ,
p(B ∩ C) = .
4
8
4
Ora, come si può immaginare A e B sono due eventi indipendenti, dato
che p(A ∩ B) = p(A)p(B) = 1/4.
Cosa forse non del tutto ovvia fin dall’inizio, si ha anche che A e C sono
due eventi indipendenti, dato che p(A ∩ C) = p(A)p(C) = 1/8. Mentre
B e C non sono due eventi indipendenti, dato che p(B ∩ C) = 1/4,
mentre p(B)p(C) = 1/8.
5.7.3. Osservazione. Il più delle volte negli esercizi che esamineremo
l’indipendenza di due eventi sarà presa come un fatto intuitivamente
ovvio, utile per il susseguirsi dei conti. Ad esempio, se due tiratori A
e B sparassero ad un comune bersaglio un solo colpo e la probabilità
che A colpisca è del 40%, mentre la probabilità che B colpisca è del 30%,
allora la probabilità che entrambi colpiscano è uguale a 12% (prodotto
delle due probabilità), in quanto si suppone che i due eventi siano
indipendenti.
5.8.
Teorema della probabilità totale
Un altro risultato utile è dato nel seguente teorema, noto come Teorema della probabilità totale.
5.8.1. Teorema. Sia (Ω, p) uno spazio di probabilità finito e sia A =
{A1 , A2 , . . . , An } una partizione di Ω in insiemi di probabilità positiva.
Allora
p(B) = p(B|A1 )p(A1 ) + p(B|A2 )p(A2 ) + · · · + p(B|An )p(An ), (8.1)
per qualunque evento B ⊆ Ω.
5.8.2. Osservazione. Il teorema, detto in poche parole, dice che la
probabilità che succeda un certo evento B è uguale alla probabilità
che succeda l’evento B condizionato da A1 , per la probabilità di A1 ,
più la probabilità che succeda l’evento B condizionato da A2 , per la
probabilità di A1 , eccetera, fino ad An .
88
Capitolo 5
Un caso interessante in cui usare il teorema della probabilità totale si
ha quando la partizione di Ω è costituita da due soli eventi: A ed il suo
complementare Ac . Il tal caso, la formula (8.1) si semplifica e si ha:
p(B) = p(B|A)p(A) + p(B|Ac )p(Ac ),
per qualunque evento B.
5.8.3. Esercizio risolto. Si calcoli la probabilità che estraendo due
carte consecutivamente dal mazzo, la seconda sia un Asso.
Soluzione. La probabilità è 4/40, infatti che io prenda la seconda o la
quarantesima carta, la probabilità che quella sia un Asso non cambia,
dato che sulla prima carta estratta non si sa nulla.
Tuttavia, vediamo di riguadagnare questa probabilità usando il teorema della probabilità totale: scegliamo come evento Ai “la i-esima
carta è un Asso”, per i = 1, 2.
Allora noi vorremmo avere p(A2 ). Si ha:
p(A2 ) = p(A2 |A1 )p(A1 ) + p(A2 |Ac1 )p(Ac1 ).
La probabilità che la seconda carta sia un Asso, sapendo che la prima
è un Asso è pari a 3/39, mentre p(A1 ) è ovviamente 4/40 (probabilità
che estraendo una carta si abbia un Asso).
La probabilità che la seconda carta sia una Asso se la prima non è un
Asso è 4/39, mentre la probabilità p(Ac1 ) che la prima carta non sia
un Asso è uguale a 36/40. Allora
p(A2 ) =
3 4
4 36
4
· + ·
=
,
39 40 39 40
40
come ci si aspettava.
5.8.4. Esercizio risolto. Gli studenti di un corso sono per il 60%
maschi e per il 40% femmine. Ogni maschio ha il 50% di probabilità di
passare l’esame, mentre le ragazze hanno tutte probabilità pari a 80%
di superare l’esame.
Scelto uno studente a caso, si dica qual è la probabilità che questi passi
l’esame.
89
Capitolo 5
Soluzione. Chiariamo chi sono gli eventi significativi in questo problema:
S : lo studente scelto a caso supera l’esame;
M : lo studente scelto a caso è un maschio;
F : lo studente scelto a caso è una femmina.
poiché le femmine sono il 40% abbiamo che p(S) = 0, 4. Inoltre abbiamo che p(S|F ) = 0, 8, dal momento che la probabilità che uno studente
scelto a caso superi l’esame, sapendo che è una femmina, è pari all’80%.
Quindi, per il teorema della probabilità totale si ha che
p(S) = p(S|F )p(F ) + p(S|M )p(M ) = 0, 8 · 0, 4 + 0, 5 · 0, 6 = 62%.
5.8.5. Esercizio risolto. Tizio e Caio giocano a dadi in questo modo:
lanciando ognuno un dado, Tizio vince tutte le volte in cui il punteggio
lanciato da Caio è minore o uguale al suo.
Su un gran numero di lanci, qual è la frequenza di vittoria dello sfortunato Caio?
Soluzione. Se Tizio lancia k, allora Caio vince solo se riesce a fare l,
con l > k. Pertanto, all’uscita k del lancio di Tizio vi sono 6 − k casi
favorevoli di vittoria per il nostro Caio. Ad esempio se Tizio lanciasse
un 4, Caio potrebbe vincere solo lanciando un 5 o un 6, ovvero in
6 − 4 = 2 soli casi possibili. Qui la legge della probabilità totale cade
come il cacio sui maccheroni: denotiamo con V l’evento “Caio vince”,
e con D1 , D2 , . . . , D6 gli eventi “Tizio lancia un 1”, “Tizio lancia un
2”, eccetera, fino a “Tizio lancia un 6”. In queste notazioni abbiamo
allora
p(V ) = p(V |D1 )p(D1 ) + p(V |D2 )p(D2 ) + · · · + p(V |D6 )p(D6 ).
Ogni probabilità condizionata P (V |Dk ) vale (6 − k)/6, come abbiamo
già osservato, mentre la probabilità semplice p(Dk ) vale 1/6. Quindi,
5 1
4 1
1 1
0 1
15
p(V ) = · + · + · · · + · + ·
=
= 41, 7%.
6 36 6 36
6 36 6 36
36
5.8.6. Esercizio. Una moneta è stata truccata ed esce Testa il 75%
delle volte. Tizio e Caio giocano con questa moneta e decidono che
Caio vince se escono, con due lanci, due facce uguali, altrimenti vince
Tizio. Che probabilità ha Caio di vincere?
90
Capitolo 5
5.9.
Formula di Bayes
L’ultima formula che studiamo nell’ambito del calcolo delle probabilità
è la formula di Bayes. Essa, in un certo senso, è la formula inversa
della formula della probabilità totale: là si trovava la probabilità di un
certo evento A, sapendo le probabilità condizionate p(A|Ai ), relative
ad una certa partizione {A1 , A2 , . . . , An }. La formula di Bayes, invece,
fornisce la probabilità “reciproca” che si verifichi l’evento A i , sapendo
che si è verificato l’evento A, ovvero la probabilità p(Ai |A).
5.9.1. Teorema. [Bayes] Sia (Ω, p) uno spazio di probabilità finita.
Si fissi un evento B ⊆ Ω ed una partizione {A1 , A2 , . . . , An } di Ω, tale
che p(Ai ) > 0, per i = 1, 2, . . . , n.
Allora si ha che
p(Ai |B) =
p(B|Ai )p(Ai )
,
p(B|A1 )p(A1 ) + p(B|A2 )p(A2 ) + · · · + p(B|An )p(An )
per ogni i = 1, 2, . . . , n.
A2
A6
A1
A7
A4
A3
B
A5
spazio degli eventi
Figura 5.7: Gli insiemi Ai , i = 1, 2, . . . , 7 formano una partizione dello spazio degli eventi e B è un generico evento di Ω.
5.9.2. Osservazione. Si osservi che il denominatore della formula
appena scritta risulta uguale a P (B), grazie al teorema della probabilità
91
Capitolo 5
totale. Tuttavia, è molto conveniente tenere la formula scritta come
abbiamo fatto, dato che nelle applicazioni la probabilità p(B) non è
nota a priori.
Vediamo ora un esempio illustrativo, che mette in luce la differenza tra
la formula di moltiplicazione ed la formula di Bayes.
?
URNA 1
URNA 2
Figura 5.8: schema dell’esercizio seguente.
5.9.3. Esempio. Si abbiano due urne: l’urna 1 contiene 7 palline
bianche ed 4 palline rosse. L’urna 2 contiene 3 palline bianche e
10 palline rosse.
a) Scegliendo a caso un’urna, si estrae una pallina da quell’urna: qual
è la probabilità che questa pallina sia rossa?
b) Supponendo che estraendo da un’urna a caso venga sorteggiata una
pallina rossa, qual è la probabilità che tale pallina sia stata estratta
dall’urna 2?
La domanda a) è una tipica domanda cui si risponde usando il teorema
della probabilità totale, mentre alla seconda si risponde con la formula
di Bayes.
Per risolvere la prima questione denotiamo con U1 l’estrazione dalla
prima urna, con U2 l’evento dell’estrazione dall’urna 2 e con R l’estrazione di una pallina rossa. Usando la formula della probabilità totale
ricaviamo
81
4 1 10 1
· + · =
≈ 56, 6%.
p(R) = p(R|U1 )p(U1 ) + p(R|U2 )p(U2 ) =
11 2 13 2
143
92
Capitolo 5
Occupiamoci del punto b). Ora vogliamo trovare p(U2 |R), che si badi è
ben diverso da p(R|U2 )! Infatti, nel primo caso, si ha la probabilità di
estrarre una pallina rossa dall’urna numero 2, e questa probabilità è ben
nota; p(U2 |R) è invece la probabilità di estrarre una pallina dall’urna 2,
sapendo che questa pallina è rossa, ovvero, in italiano più fluente, la
probabilità che una pallina rossa estratta provenga dall’urna 2.
Abbiamo, dalla formula,
p(U2 |R) =
=
p(R|U2 )p(U2 )
p(R|U1 )p(U1 ) + p(R|U2 )p(U2 )
10 1
·
13 2
4 1 10 1
· + ·
11 2 13 2
=
110
≈ 67, 9%.
162
come si nota tale numero è diverso da p(R|U2 ) = 10/13 ≈ 76, 9%.
5.9.4. Esercizio risolto. Le macchine A B e C lavorano, rispettivamente, il 30%, il 50% ed il 20% dei pezzi prodotti in una fabbrica. A,
B e C producono un pezzo difettoso con probabilità, rispettivamente,
del 10%, del 15% e del 2%.
a) Scelto un pezzo a caso, con che percentuale esso è difettoso?
b) Scelto un pezzo a caso, e supponendo che questo sia difettoso, con
che probabilità esso proviene dalla macchina B?
Soluzione. a) Sia D l’evento: “il pezzo è difettoso” e siano A B e C gli
eventi: “il pezzo è stato prodotto da A, da B e da C”, rispettivamente.
Dalla legge della probabilità totale abbiamo che
p(D) = p(D|A)p(A) + p(D|B)p(B) + p(D|C)p(C)
= 0, 1 · 0, 3 + 0, 15 · 0, 5 + 0, 02 · 0, 2 = 10, 9%.
b) Per la formula di Bayes si ha che
p(B|D) =
p(D|B)p(B)
0, 15 · 0, 5
=
≈ 68, 8%.
p(D)
0, 109
93
Capitolo 5
5.10.
Esercizi di riepilogo
5.10.1. Esercizio risolto. In una stanza ci sono 6 coppie di persone
sposate. Si estraggono a caso 4 persone. Che probabilità c’è che si sia
scelta una coppia di persone sposate, sapendo che ci sono tre donne nel
gruppo?
1
2
3
6
4
5
Figura 5.9: Le sei coppie dell’Esercizio 5.10.1.
Soluzione. Sia C l’evento corrispondente all’estrazione di una sola
coppia nel gruppo delle quattro persone e sia D3 l’evento: “ci sono tre
donne nel gruppetto”.
Il problema chiede di trovare p(C|D3 ).
Usiamo pertanto la definizione della probabilità condizionata e troviamo:
p(C ∩ D3 )
p(C|D3 ) =
.
p(D3 )
Calcoliamoci ora con calma le due probabilità che compaiono a destra
nella formula e con ciò concluderemmo l’esercizio.
Cominciamo con p(C ∩ D3 ): si tratta di calcolare la probabilità di
pescare tre donne ed una coppia sposata dalle 12 persone in sala.
94
Capitolo 5
Ora, una coppia si sceglie in 6 modi diversi. Messa la coppia nel gruppetto delle quattro persone, dobbiamo ancora mettere due donne. Es-
sendo che ne sono rimaste 5 fra cui pescare, due donne le scelgo in 52
modi. Posto che 4 persone vengono scelte fra 12 in 12
4 modi, in tutto
abbiamo allora che
5
6·
2
60
p(C ∩ D3 ) = =
.
495
12
4
Ora calcoliamo p(D3 ), cioè la probabilità di avere 3 donne nel gruppetto
delle quattro persone sorteggiate. Le donne sono 6, quindi vi sono 63
modi di sorteggiarne 3. La quarta persona non deve essere una donna,
dunque posso sceglierla in 6 modi diversi (un uomo qualunque). In
definitiva abbiamo
6
6·
3
120
p(D3 ) = =
.
495
12
4
Ora abbiamo finalmente
60
495
1
= = 50%.
p(C|D3 ) =
2
120
495
5.10.2. Esercizio risolto. Consideriamo 10 urne numerate, da 0 a 9.
In ogni urna vi sono deposte 9 fra palline bianche e nere indistinguibili
al tatto nel seguente modo: nell’urna numero 0 ci sono solo 9 palline
bianche. Nel’urna numero 1 ci sono 8 palline bianche ed 1 pallina
nera. Nel’urna numero 2 ci sono 7 palline bianche e 2 nere; in generale
nell’urna numero k, con 0 ≤ k ≤ 9, ci sono k palline nere e 9 − k palline
bianche.
Qual è la probabilità che, scelta un’urna a caso ed estratta una pallina,
questa sia nera?
95
Capitolo 5
Soluzione. Chiamiamo Bk l’evento: “si estrae una pallina dalla kesima urna” e sia A l’evento: “è stata estratta una pallina nera”. Ora,
la formula della probabilità totale dà:
p(A) = p(A|B0 )p(B0 ) + p(A|B1 )P (B1 ) + · · · + p(A|B9 )p(B9 )
1 1
2 1
9 1
0 1
= · + · + · + ··· + ·
9 10 9 10 9 10
9 10
9·10 1
1
=
·
= = 50%.
2 900
2
Infatti p(A|Bk ) indica la probabilità di estrarre una pallina nera, sapendo che si pesca dall’urna numero k, e tale probabilità vale evidentemente k/9; invece p(Bk ) indica la probabilità con cui si decide di estrarre la pallina dall’urna numero k: poiché l’urna è scelta a caso e non
ci viene detto altro, dobbiamo ritenere che ogni urna sia sorteggiabile
con uguale probabilità e pertanto p(Bk ) = 1/10, per ogni 0 ≤ k ≤ 9.
5.10.3. Esercizio risolto. Ci sono due urne: una contiene 5 palline
bianche e 3 palline rosse, l’altra contiene 6 palline bianche ed una sola
pallina rossa. Si sceglie casualmente un’urna e poi si estrae una pallina da quell’urna. Sapendo che la pallina estratta è rossa, con quale
probabilità la pallina è stata estratta dalla seconda urna?
Soluzione. Denotiamo con U1 e con U2 gli eventi dell’estrazione di una
pallina, rispettivamente, dall’urna numero 1 e dall’urna numero 2. Poi
denotiamo con R l’evento: “estrazione di una pallina rossa”. Quello
che ci chiede l’esercizio è di determinare p(U2 |R). Per la formula di
Bayes abbiamo
p(U2 |R) =
p(R|U2 )p(U2 )
.
p(R|U1 )p(U1 ) + p(R|U2 )p(U2 )
Come si nota l’ultima espressione contiene solo quantità a noi note, e
pertanto riusciamo a calcolarla. Si ottiene allora
p(U2 |R) =
1 1
·
7 2
3 1 1 1
· + ·
8 2 7 2
=
8
= 27, 6%.
29
96
Capitolo 5
5.10.4. Esercizio risolto. Si consideri la stessa situazione proposta
dell’Esercizio 5.10.3, con la differenza che ora le due urne non sono
sorteggiabili con la stessa probabilità: precisamente, l’urna 2 è preferita
con probabilità del 60% all’urna numero 1.
Si chiede di determinare di nuovo la probabilità che, sapendo che è
stata estratta una pallina rossa, questa provenga dall’urna numero 2.
Soluzione. Si procede esattamente come prima e si arriva alla formula
p(U2 |R) =
p(R|U2 )p(U2 )
.
p(R|U1 )p(U1 ) + p(R|U2 )p(U2 )
Semplicemente, qui cambiano i numeri p(U1 ) e p(U2 ) che non sono più
uguali a 1/2. infatti dai dati dell’esercizio si ha che p(U1 ) = 4/10 e
P (U2 ) = 6/10. Sostituendo si trova
p(U2 |R) =
1 6
·
7 10
3 4
1 6
· + ·
8 10 7 10
=
4
= 36, 4%.
11
5.10.5. Esercizio. Da un mazzo di 40 carte si estraggono due carte
consecutivamente e poi si reinseriscono, mescolando bene. Dopo un
numero piuttosto grande di prove ci si rende conto che la probabilità
che esca una carta nera dopo aver estratto un Asso è del 30%. Si
può concludere con una certa sicurezza che il mazzo è truccato, senza
controllare direttamente?
5.10.6. Esercizio risolto. Tizio e Caio giocano a scacchi. Tizio vince
2 volte su 3 tutte le volte che Caio apre con il pedone di Re. In tutti gli
altri casi Tizio e Caio vincono alla pari. Ogni volta Caio decide come
aprire la partita scegliendo a caso fra le sue tre aperture preferite:
quella di cavallo di Re, quella di pedone di Re e quella di pedone di
Regina.
Qual è la probabilità di vittoria di Tizio ad ogni partita?
Soluzione. Siano C, PR e PD gli eventi delle tre aperture di Caio,
rispettivamente, con il cavallo, con il pedone di Re e con quello di
97
Capitolo 5
Regina. Allora, denotando con V l’evento della vittoria di Tizio, si ha
p(V ) = p(V |C)p(C) + p(V |PR )p(PR ) + p(V |PD )p(PD )
2 1 1 1 1 1
5
= · + · + · = = 55, 5%.
3 3 2 3 2 3
9
5.10.7. Esercizio. L’acuto parroco Remo ha osservato il seguente
fatto singolare: da tempi immemorabili la probabilità che l’eccentrica
zia Marta esca di casa la domenica è pari all’ 1%, però la probabilità
che la zia Marta esca di casa di domenica se piove è pari al 50%.
Il parroco Remo ha confidato tutto ciò per telefono ad un amico lontano, scherzandoci un po’ su, e questi, dopo averci pensato un po’, ha
esclamato: “da voi lı̀ la domenica piove mediamente non più di sette
volte all’anno!”.
Come ha fatto l’amico di Remo a fare quest’osservazioni cosı̀ apparentemente sorprendente?
5.10.8. Esercizio risolto. Supponiamo di sapere che la probabilità
che Tizio ha di starnutire ogni volta che c’è un po’ di polline nell’aria
sia del 72%. Supponiamo che la probabilità che vi sia polline nell’aria
sia del 20% e che la probabilità che Tizio starnutisca, in generale, sia
del 25%.
Se ora sentiamo Tizio starnutire, con che probabilità sappiamo esserci
polline nell’aria?
Soluzione. Si presti attenzione: se chiamiamo S l’evento: “Tizio starnutisce” e con P l’evento: “c’è polline nell’aria”, il problema ci fornisce
le probabilità P (S|P ), p(S) e p(P ). Il problema è ora ricavare p(P |S),
cioè la probabilità che ci sia polline sapendo che Tizio starnutisce e
non la probabilità che Tizio starnutisce, essendoci del polline, la quale
è nota dal problema! Per risolvere l’esercizio, basta usare la formula di
Bayes:
0, 2
p(P )
= 0, 72 ·
= 57, 6%.
p(P |S) = p(S|P ) ·
p(S)
0, 25
5.10.9. Esercizio risolto. Tizio si fa la doccia ogni mattina alle sette
con probabilità del 75%. Ogni volta che si fa la doccia canticchia la
98
Capitolo 5
canzone Hey Jude il 30% delle volte e canticchia Michelle le altre. Se
invece non si fa la doccia, inverte le preferenze e mentre si rade canta
Hey Jude l’80% delle volte e Michelle per le restanti.
Se una mattina sentiamo cantare Tizio:
Michelle ma belle, sont les mots qui vont très bien ensemble . . . ,
che probabilità c’è che Tizio si stia facendo la doccia?
Soluzione. Sia D l’evento: “Tizio si fa la doccia” e sia M l’evento:
“Tizio canta Michelle”. Noi sappiamo che
p(D) = 0, 75,
p(D c ) = 0, 25,
p(M |D) = 0, 7,
p(M |D c ) = 0, 2.
Noi dobbiamo trovare p(D|M ). Ora, abbiamo dalla formula di Bayes
p(D|M ) = p(M |D) ·
p(D)
.
p(M |D)p(D) + p(M |D c )p(Dc )
L’ultimo membro contiene solo informazioni che abbiamo e pertanto
riusciamo a calcolarlo: si ha pertanto
p(D|M ) = 0, 7 ·
0, 75
≈ 91, 3%.
0, 7 · 0, 75 + 0, 2 · 0, 25
5.10.10. Esercizio. Pino di solito arriva in stazione nell’esatto momento in cui deve prendere il treno, ma c’è il 10% di probabilità che
ogni giorno Pino arrivi 5 minuti in ritardo. Tuttavia, c’è anche il 15%
di probabilità che ogni giorno il treno che deve prendere Pino parta 5
minuti in ritardo.
Qual è la probabilità he Pino riesca a prendere il treno ogni giorno?
5.10.11. Esercizio risolto. Pino di solito arriva in stazione nell’esatto
momento in cui deve prendere il treno, ma c’è il 10% di probabilità che
ogni giorno Pino arrivi 5 minuti in ritardo. Tuttavia, c’è anche il 15%
di probabilità che ogni giorno il treno che deve prendere Pino parta
casualmente 5 minuti in ritardo o 5 in anticipo.
Qual è la probabilità he Pino riesca a prendere il treno ogni giorno?
99
Capitolo 5
Soluzione. Denotiamo con T l’evento: “Pino prende il treno” e con
R l’evento: “Pino ritarda”. Allora Pino riesce a prendere il treno con
probabilità p(T ) pari a
p(T ) = p(T |R)p(R) + p(T |Rc )P (Rc )
= (0, 15 · 0, 5) · 0, 1 + (1 − 0, 15 · 0, 5) · 0, 9 = 84%.
Ancora, abbiamo usato il teorema della probabilità totale: la probabilità che Pino prenda il treno, a condizione che Pino arrivi in ritardo è
quella che il treno ritardi, e questa è 0, 15 · 0, 5. La probabilità che Pino
prenda il treno, sapendo che Pino è arrivato in perfetto orario è che il
treno non sia già partito. Il treno è già partito con probabilità pari a
0, 15 · 0, 5, quindi la probabilità che non sia partito è 1 − 0, 15 · 0, 5.
5.10.12. Esercizio risolto. Si estraggono tre carte in successione da
un mazzo da 40. Qual è la probabilità che si peschino due figure?
Soluzione. Ci sono tre modi per poter estrarre due figure, a seconda
che la carta che non è una figura venga estratta al primo, al secondo
o al terzo colpo. Denotiamo con F1 l’evento: “la prima carta estratta
è una figura” con F2 l’evento: “la seconda carta estratta è una figura”
e con C l’evento: “la terza carta estratta non è una figura”. Per il
teorema di moltiplicazione delle probabilità si ha
p(F1 ∩ F2 ∩ C) = p(F1 )·p(F2 |F1 )·p(C|F1 ∩ F2 ) =
12 11 28
· ·
≈ 6, 2%.
40 39 38
Analogamente (e ridefinendo gli eventi F1 , F2 e C in modo opportuno),
p(C ∩ F1 ∩ F2 ) = p(C)·p(F1 |C)·p(F2 |C ∩ F1 ) =
28 12 11
· ·
≈ 6, 2%.
40 39 38
E anche
p(F1 ∩ C ∩ F2 ) ≈ 6, 2%.
Dunque, in definitiva, la probabilità di pescare due figure su tre carte
estratte è pari a circa il 18, 6%.
100
Capitolo 5
5.10.13. Esercizio risolto. Si estraggono tre carte in successione da
un mazzo da 40. Qual è la probabilità che si peschino due figure?
Soluzione. Ci sono tre modi per poter estrarre due figure, a seconda
che la carta che non è una figura venga estratta al primo, al secondo
o al terzo colpo. Denotiamo con F1 l’evento: “la prima carta estratta
è una figura” con F2 l’evento: “la seconda carta estratta è una figura”
e con C l’evento: “la terza carta estratta non è una figura”. Per il
teorema di moltiplicazione delle probabilità si ha
p(F1 ∩ F2 ∩ C) = p(F1 )·p(F2 |F1 )·p(C|F1 ∩ F2 ) =
12 11 28
· ·
≈ 6, 2%.
40 39 38
Analogamente,
p(C ∩ F1 ∩ F2 ) = p(C)·p(F1 |C)·p(F2 |C ∩ F1 ) =
28 12 11
· ·
≈ 6, 2%.
40 39 38
E anche
p(F1 ∩ C ∩ F2 ) ≈ 6, 2%.
Dunque, in definitiva, la probabilità di pescare due figure su tre carte
estratte è pari a circa il 18, 6%.
5.10.14. Esercizio risolto. Una data squadra di calcio S ha la probabilità del 60% di vincere il prossimo incontro. Se vince passa il turno.
Se perde, S si deve scontrare contro una squadra contro cui si stima
possa vincere con il 30% di probabilità. Se vince contro questa squadra,
allora passa il turno, altrimenti viene effettuato un sorteggio finale e
passa il turno una sola squadra su 4.
Qual è la probabilità di passare il turno per la nostra squadra?
Soluzione. Sia T l’evento: “S passa il turno”, P1 l’evento: “S vince la
prima partita”, P2 l’evento: “S perde la prima partita e vince seconda
partita”, S3 l’evento: “S perde il primo ed il secondo incontro e vince
il sorteggio”. Allora, T = P1 ∪ P2 ∪ S3 . I tre eventi sono incompatibili,
pertanto p(T ) è la somma delle tre probabilità:
p(T ) = p(P1 ) + p(P2 ) + p(S3 )
= 0, 6 + 0, 4 · 0, 3 + 0, 4 · 0, 7 · 0, 25 = 79%.
101
Capitolo 5
5.10.15. Esercizio. Un lotto di 12 pezzi contiene 5 esemplari difettosi. Scegliendo 3 pezzi a caso, qual è la probabilità che vi sia un pezzo
difettoso? E qual è la probabilità che ve ne sia almeno uno?
5.10.16. Esercizio risolto. In una classe il 60% degli studenti proviene da Topolinia, il 40% da Paperopoli. Chi proviene da Paperopoli
ha il 35% di probabilità di arrivare in ritardo la mattina, mentre chi
proviene da Topolinia solo il 10%.
Qual è la probabilità che ha uno studente scelto a caso di essere in
ritardo l’indomani?
Soluzione. Risolviamo il problema con il teorema della probabilità totale: sia R l’evento: “lo studente è in ritardo”, P l’evento: “lo studente
è di Paperopoli” e T l’evento: “lo studente è di Topolinia”. Allora
p(R) = p(R|P )p(P ) + p(R|T )p(T )
= 0, 35 · 0, 4 + 0, 1 · 0, 6 = 0, 14 + 0, 06 = 20%.
si osservi che il numero di studenti è ininfluente: siano essi 10, 100 o
1 000 le probabilità trovate non cambiano.
5.10.17. Esercizio risolto. Un’urna contiene 7 palline bianche, 5
palline rosse e 4 palline verdi. Si estraggono 5 palline senza reimbussolamento. Qual è la probabilità di avere 1 pallina bianca, 2 palline
rosse e 2 palline verdi?
Soluzione. Ci sono 71 modi per scegliere la pallina bianca, 52 modi
per scegliere le due rosse e 42 modi di scegliere quelle verdi. Cinque
palline si estraggono poi in 16
4 modi, pertanto la probabilità richiesta
è
7
5
4
·
·
1
2
2
7·10·6
≈ 9, 6%.
=
p=
4 368
16
5
Si può anche ragionare cosı̀: troviamo la probabilità che si abbia la
sequenza BRRV V (B = pallina bianca, R = pallina rossa, V = pallina
verde). Poi la probabilità totale sarà questa probabilità, per il numero
102
Capitolo 5
di modi in cui si può anagrammare la parola BRRV V .
Ora, la probabilità di trovare BRRV V è
1 680
7 5 4 4 3
· · · ·
=
.
16 15 14 13 12
524 160
Gli anagrammi di BRRV V sono 5!/(2·2) = 30, sicché la probabilità
totale cui siamo interessati è (ancora!)
p=
1 680
420
·30 =
≈ 9, 6%.
524 160
4 368
5.10.18. Esercizio risolto. Ci sono 6 coppie di persone sposate in
una stanza. Scegliendo 6 persone a caso, qual è la probabilità che vi
siano tra queste due coppie di persone sposate?
Soluzione. Due coppie sposate si scelgono in 42 = 6 modi diversi
fra le 4 coppie. Il quinto elemento posso sceglierlo in 8 modi diversi,
mentre il sesto elemento del gruppo posso sceglierlo in 6 modi diversi.
Dato che l’ordine di scelta non conta, le due persone non sposate posso
sceglierle in (6·8)/2 = 24 modi diversi. In tutto allora la probabilità di
avere due coppie sposate nel gruppetto è
p=
6·24
144
=
≈ 39, 1%.
495
12
4
5.10.19. Esercizio risolto. Si abbiano le carte di un mazzo da 52,
da 7 in su, fino all’Asso (dunque, in tutto, ci sono 32 carte). Qual è la
probabilità di avere un Poker servito (ricevendo 5 carte)?
Soluzione. I modi di ricevere 5 carte sono 32
5 = 201 376. Ci sono 8
modi per fare Poker: quattro 7,quattro 8, ecc., quattro Assi. I modi
per avere un dato Poker sono 54 = 5. In tutto allora la probabilità di
avere Poker servito è
p=
8·5
= 0, 02%.
201 376
Il che significa che ogni 10 000 partite si avranno mediamente 2 poker
serviti.
103
Capitolo 5
5.10.20. Esercizio. Tizio e Caio sparano ad un comune bersaglio due
volte a testa. La probabilità che ogni volta Tizio colpisca il bersaglio è
uguale a 1/4, mentre la probabilità di Caio è di 1/3.
a) Qual è la probabilità che il bersaglio venga colpito almeno una volta?
b) Se entrambi sparano una sola volta ed il bersaglio viene raggiunto
da un solo colpo, qual è la probabilità che sia stato Tizio a colpirlo?
5.10.21. Esercizio risolto. Consideriamo una griglia 3 × 3, come
mostrato in figura. Qual è la probabilità che disposte a caso 3 pedine,
queste siano allineate?
Figura 5.10: Griglia vuota (a sinistra) e griglia con una posizione ammissibile (e altre due tratteggiate).
Soluzione. Ci sono C(9, 3) = 84 modi differenti per piazzare 3 pedine
sulla griglia.
Vi sono solo 8 modi per disporle in maniera allineata: sulla prima, la
seconda o la terza colonna, sulla prima, la seconda o la terza fila, o
sulle due diagonali. In definita la probabilità richiesta è
p=
8
= 9, 5%.
84
5.10.22. Esercizio. Un tribunale condanna i colpevoli con probabilità pari a 0.8, mentre condanna un innocente con probabilità pari
a 0.05. Sapendo che tra gli imputati c’è il 90% di colpevoli, con quale
probabilità un imputato scelto a caso verrà condannato?
104
Capitolo 5
5.10.23. Esercizio. Un tribunale condanna i colpevoli con probabilità pari a 0.8, mentre condanna un innocente con probabilità pari
a 0.05. Sapendo che tra gli imputati c’è il 90% di colpevoli, con quale
probabilità un imputato condannato è davvero colpevole?
5.10.24. Esercizio. Un giocatore frequenta un tavolo da gioco a cui
si alternano due croupier gemelli, dei quali uno è onesto (la probabilità
di vincita in sua presenza è 1/2), mentre l’altro, barando, riduce la
probabilità di vincita del giocatore a r < 1/2.
Un giorno il giocatore perde. Qual è la probabilità che il croupier presente sia quello disonesto, sapendo che a priori le presenze dei gemelli
sono equiprobabili?
5.10.25. Esercizio. Si lancia una moneta 6 volte. Qual è la probabilità che venga Testa al 6o lancio, sapendo che si è avuto testa al 1o ?
5.10.26. Esercizio risolto. Consideriamo il seguente esempio, detto
dei test clinici.
Supponiamo che un certo test clinico venga eseguito per verificare la
presenza di una malattia. Diciamo che il test è positivo se dà esito
“esiste la malattia” e diciamo che il test è negativo se dà esito “non
esiste la malattia”. Il test si dice poi falso positivo se esso dà esito
positivo su un paziente in realtà sano e negativo nel caso in cui esso
dia esito negativo su di un paziente in verità malato.
E’ importante sapere quale sia il rischio di falso positivo del test (o di
falso negativo). Conveniamo di adottare le seguenti notazioni:
Mal = {individui malati};
San
= {individui sani};
Pos = {test positivo};
Neg = {test negativo}.
Ciò che sperimentalmente si può valutare è la probabilità p(Pos|Mal),
ovvero la probabilità che il test dia esito positivo su persone che (per
altra via) si sanno già essere ammalate. In altre parole tale probabilità
(o meglio, l’interpretazione di tale numero in termini frequentistici) dà
105
Capitolo 5
la sensibilità del test.
Per lo stesso motivo conosciamo da vie sperimentali il numero
p(Pos|San) = 1 − p(Neg|San).
Perché il test sia attendibile dobbiamo pretendere che almeno p(PosMal)
sia un numero molto vicino a 1 e che p(PosSan) sia un numero molto
vicino a 0.
Inoltre, sempre da analisi campionaria, siamo a conoscenza dei numeri p(Pos) e p(Mal). Il problema che ci si pone è ovviamente quello
di conoscere p(Mal|Pos), cioè la probabilità che ad esiti positivi corrispondano davvero pazienti ammalati.
Per la formula di Bayes ricaviamo:
p(Mal|Pos) =
p(Pos|Mal)p(Mal)
.
p(Pos|Mal)p(Mal) + p(Pos|San)p(San)
(10.1)
I dati effettivi che si hanno sono:
p(Mal)
p(San)
= 0, 000025;
= 1 − 0, 000025;
p(Pos|San)
=
0, 00001;
p(Pos|Mal)
=
0, 993.
Con questi dati inseriti nella formula (10.1), si trova:
p(Mal|Pos) =
(0, 993)·(0, 000025)
≈ 20%.
(0, 993)·(0, 000025) + (0, 00001)·(1 − 0, 000025)
Il risultato è piuttosto sorprendente: nonostante il test sia molto efficace sulle persone che si sanno essere sane e su quelle che si sanno essere
ammalate, quando viene usato su una persona scelta a caso, allora il
test è efficace solo 20 volte su 100.
Il motivo di questa incongruenza risiede nella relativa rarità della malattia: con i dati che abbiamo si ha infatti che si ammalano circa 25 persone ogni milione! Se si avesse invece p(Mal) = 0, 00025. allora si
otterrebbe p(Mal|Pos) ≈ 71%, mentre con p(Mal) = 0, 0025 si ottiene
un test abbastanza preciso: p(Mal|Pos) ≈ 96%.
106
6. CENNI SU EQUAZIONI
E DISEQUAZIONI
6.1.
Introduzione
Prima di addentrarci, nei capitoli successivi, nell’esposizione di alcuni fatti basilari dell’analisi matematica, spendiamo in questo capitolo qualche parola sulla risoluzione di alcuni tipi di equazioni e di
disequazioni.
In generale, il problema che si vuole affrontare è questo: si supponga
assegnata un’espressione f (x), con x appartenente ad un certo sottoinsieme A di R, tipicamente un intervallo. Allora risolvere l’equazione
f (x) = 0,
(1.1)
significa trovare tutti i possibili valori x̄ ∈ A tali per cui f (x̄) = 0.
Analogamente, risolvere le disequazioni
f (x) ≥ 0,
f (x) > 0,
f (x) ≤ 0,
f (x) < 0,
(1.2)
significa trovare tutti i possibili valori x̄ ∈ A tali per cui si abbia,
rispettivamente, f (x̄) ≥ 0, f (x̄) > 0, f (x̄) ≤ 0, f (x̄) < 0.
Se l’espressione di f è complicata non vi sono regole per la risoluzione
dell’equazione (1.1), né delle disequazioni (1.2). Noi qui consideriamo
solo alcuni casi semplici, in cui si può procedere con tranquillità.
6.2.
Equazioni e disequazioni di primo grado
Si consideri f (x) = ax + b, dove a 6= 0 e b sono due numeri reali
assegnati e x ∈ R. Allora l’equazione
ax + b = 0
(2.1)
107
Capitolo 6
ha per unica soluzione il numero x = −b/a.
Ad esempio, l’equazione 7x − 2 = 0 ha per soluzione x = 2/7.
La disequazione
ax + b ≥ 0
(2.2)
si risolve in maniera analoga: dapprima si ha ax ≥ −b e poi si dividono per a entrambi i membri, con l’accortezza di cambiare il verso del
predicato se a è negativo. Ad esempio, −3x + 2 ≥ 0 si risolve scrivendo
−3x ≥ −2 e poi, dividendo a destra ed a sinistra per −3, si trova
x ≤ 2/3, che è la soluzione cercata. Del tutto similmente si risolvono
le altre disequazioni considerate.
6.3.
Equazioni e disequazioni di secondo grado
Sia ora f (x) = ax2 + bx + c, dove a, b e c sono tre parametri reali
assegnati. Supponiamo che sia a 6= 0, altrimenti ricadiamo nel caso
esaminato nel paragrafo precedente.
L’equazione
ax2 + bx + c = 0
(3.1)
si risolve in questo modo: si calcola dapprima il cosiddetto discriminante dell’equazione, denotato con la lettera greca maiuscola ∆ (delta):
esso vale
∆ = b2 − 4ac.
(3.2)
Si possono presentare tre casi:
1. Nel caso in cui ∆ > 0, allora l’equazione (3.1) ha due soluzioni
distinte, date dalla nota formuletta
√
−b ± ∆
x=
2a
(3.3)
2. Nel caso in cui ∆ = 0, allora l’equazione (3.1) ha una sola soluzione
(oppure, come si usa dire un po’ folkloristicamente, due soluzioni
coincidenti), data da
b
(3.4)
x=− ,
2a
108
Capitolo 6
la quale coincide con la (3.3), dato che ∆ = 0.
3. Nel caso in cui ∆ < 0, allora l’equazione (3.1) non ammette
soluzioni, cioè risulta impossibile.
Ad esempio, risolviamo l’equazione
Abbiamo
3x2 − 2x − 1 = 0.
∆ = 4 + 12 = 16 > 0,
dunque l’equazione data ammette due soluzioni distinte. Esse sono
√
√
2 + 16
2 − 16
1
x1 =
=1
e
x2 =
=− .
6
6
3
Risolviamo ora l’equazione
Abbiamo
x2 − 18x + 81 = 0.
∆ = 324 − 324 = 0,
dunque l’equazione data ammette una sola soluzione. Essa è
18
= 9.
x=
2
In ultimo, esaminiamo il caso in cui non vi siano soluzioni. Un esempio
è dato da
x2 + x + 1 = 0.
In effetti
∆ = 1 − 4 = −3 < 0
e pertanto l’equazione data non ha soluzioni.
6.3.1. Osservazione. Una volta trovata una soluzione α di una data
equazione f (x) = 0, per verificare che essa sia davvero soluzione e che
non si è commesso alcun errore di conto, basta sostituire questo valore
alla variabile x e vedere che effettivamente f (α) = 0. Ad esempio 3 è
davvero una soluzione di x2 − 9 = 0, in quanto si ha 32 − 9 = 0.
Dunque, in generale, se non si è sicuri che i numeri trovati siano
soluzione, in quanto si teme di aver commesso qualche errore di conto,
basta prendere questi numeri, sostituirli alla variable x di f (x) e vedere
se f si annulla.
109
Capitolo 6
Consideriamo ancora il polinomio di secondo grado
ax2 + bx + c.
Se il suo discriminante ∆ è non negativo, allora esso ha due radici
x1 e x2 , eventualmente coincidenti. In tali condizioni si ha l’identità
fondamentale
ax2 + bx + c = a(x − x1 )(x − x2 ).
(3.5)
In altre parole, quando ∆ ≥ 0 ogni polinomio di secondo grado si può
scomporre come nella (3.5).
Ad esempio, si voglia scomporre il trinomio
6x2 − 5x + 1.
Dato che ∆ = 25 − 24 = 1 > 0 abbiamo due radici distinte. Esse sono
x1 = 1/2 e x2 = 1/3. Quindi, usando la (3.5) troviamo
6x2 − 5x + 1 = 6(x − 1/2)(x − 1/3).
Chi non credesse a questo, basta che svolga i conti al secondo membro
e vedrà che si ritrova con il trinomio al primo membro.
Vediamo il caso del trinomio x2 − 4x + 4: calcolando il discriminante
si trova ∆ = 0: le due soluzioni coincidenti sono x1 = x2 = 2, quindi il
trinomio dato si scompone come
x2 − 4x + 4 = (x − 2)(x − 2) = (x − 2)2 ,
cosa forse intuita fin dall’inizio e qui ritrovata seguendo la teoria.
Approdiamo ora alle disequazioni di secondo grado: esaminiamo dapprima il caso
ax2 + bx + c ≥ 0,
poi vedremo che gli altri casi sono analoghi. Il primo passo consiste nel
calcolare il ∆:
1. se ∆ < 0 la disequazione è sempre vera o sempre falsa: basta
provare un valore a caso di x per decidere, ad esempio x = 0;
2. se ∆ ≥ 0, allora si scompone il trinomio come indicato sopra e si
discute il segno dei singoli fattori. Poi si mette tutto in tabella e
si decide il segno del trinomio.
Il primo caso merita poca attenzione: vediamo solo due esempi.
110
Capitolo 6
6.3.2. Esempio. Si debba risolvere
x2 − x + 1 ≥ 0.
Come si accerta si ha ∆ < 0, pertanto la disequazione proposta è o
sempre vera o sempre falsa. Sostituiamo x = 0 e troviamo 1 ≥ 0. Dato
che arriviamo ad una disuguaglianza vera, allora la disequazione da cui
siamo partiti è vera per ogni x ∈ R.
6.3.3. Esempio. Risolviamo ora
−x2 − x − 1 ≥ 0.
Anche in questo caso il discriminante è negativo (si ha ∆ = −3). Quindi
la disequazione data è sempre vera o sempre falsa. Provando con x = 0
si trova −1 ≥ 0. dato che questa disuguaglianza è falsa, allora non c’è
nessuna x che renda vera la disequazione di partenza, la quale risulta
pertanto impossibile.
6.3.4. Esempio. Si risolva
x2 − 5x + 6 ≥ 0.
Si ha ∆ = 1 > 0. Scomponendo il trinomio secondo la (3.5) abbiamo
x2 − 5x + 6 = (x − 2)(x − 3).
Ora, il fattore (x − 3) è positivo per x ≥ 3, mentre (x − 2) è positivo
per x ≥ 2. Quindi, in definitiva, il trinomio ha il segno seguente:
2
+
3
-
+
Il segno è positivo per x ≤ 2 o
x ≥ 3 e negativo altrimenti. Dato
che a noi interessano gli intervalli
in cui esso è positivo, concludiamo
che la soluzione è x ≤ 2 o x ≥ 3.
6.3.5. Esempio. Si risolva
−6x2 + 5x − 1 ≥ 0.
111
Capitolo 6
Si ha ∆ = 1 > 0. Scomponendo il trinomio secondo la (3.5) abbiamo
−6x2 + 5x − 1 = −6(x − 1/2)(x − 1/3).
Ora, −6 è sempre negativo, x − 1/3 è positivo per x ≥ 1/3, mentre
x − 1/2 è positivo per x ≥ 1/2. Quindi, in definitiva, il trinomio ha il
segno seguente:
1/3
-
1/2
-
+
Il segno è positivo per 1/3 ≤ x ≤
1/2 e negativo altrimenti. Dato
che a noi interessa l’intervallo in
cui esso è positivo, concludiamo
che la soluzione della disequazione
di partenza è 1/3 ≤ x ≤ 1/2.
Ormai è chiaro come procedere nel caso generale: se si avesse
3x2 − 2x − 8 ≤ 0,
si può o moltiplicare per −1 ambo i membri ed arrivare a
−3x2 + 2x + 8 ≥ 0,
che sappiamo ormai risolvere, oppure procedere direttamente: si calcola
il discriminante e si trova che ∆ = 100 > 0 e le radici sono x1 = −4/3
e x2 = 2. Pertanto si ha
3x2 − 2x − 8 = 3(x + 4/3)(x − 2).
Guardiamo dove i fattori sono positivi per decidere il segno dell’intero
trinomio. Tralasciamo il fattore 3, in quanto è positivo e non altera il
segno del rimanente prodotto. Quindi, il trinomio ha il segno seguente:
- 4/3
+
2
-
+
è negativo per −4/3 ≤ x ≤ 2
e positivo altrimenti. A noi interessa l’intervallo in cui esso è
negativo, quindi la soluzione della
disequazione di partenza è −4/3 ≤
x ≤ 2.
112
Capitolo 6
6.4.
Equazioni e disequazioni di grado maggiore
Se il grado dell’equazione polinomiale che stiamo esaminando è maggiore di 2, allora non vi è più una formula risolutiva maneggevole.
L’unica speranza che c’è è che l’espressione considerata sia facilmente
scomponibile in fattori di grado minore. In tal caso si annullano i
singoli fattori e si trovano tutte le radici. Ecco qualche esempio.
6.4.1. Esempio. Risolvere l’equazione
x3 − 2x2 − 16x + 32 = 0.
Raccogliamo x2 tra i primi due addendi e −16 fra gli ultimi due e poi
mettiamo in evidenza il comune fattore x − 2 e troviamo in tal modo
x3 − 2x2 − 16x + 32 = x2 (x − 2) − 16(x − 2) = (x − 2)(x2 − 16).
Ora le radici dell’equazione si trovano risolvendo separatamente x−2 =
0 e x2 − 16 = 0. Le soluzioni sono allora x1 = 2, x2 = 4 e x3 = −4.
6.4.2. Esempio. Risolvere l’equazione
x4 − 1 = 0.
Dall’algebra elementare sappiamo che x4 − 1 = (x2 − 1)(x2 + 1). Pertanto le soluzioni dell’equazione di partenza sono l’unione delle soluzioni
delle due equazioni x2 − 1 = 0 e x2 + 1 = 0. La prima dà x1 = 1 e
x2 = −1, mentre la seconda non ha soluzioni. In totale le soluzioni
sono allora x = ±1.
Per le disequazioni il discorso procede del tutto analogamente: si cerca
di fattorizzare l’espressione data e poi se ne discute il segno.
6.4.3. Esempio. Risolvere la disequazione
x3 − 4x2 + x ≤ 0.
Il polinomio dato si scompone come
x(x2 − 4x + 1) ≤ 0.
113
Capitolo 6
A sua volta il trinomio di secondo grado si scompone, nel solito modo,
in due fattori di primo grado trovando dapprima√le radici dell’equazione
√
associata (che sono, nel nostro caso x1 = 2 + 3 e x2 = 2 − 3) e si
trova:
√
√
x(x − 2 + 3)(x − 2 − 3) ≤ 0.
Quindi, l’espressione x3 − 4x2 + x ha il segno seguente:
è negativa per √
x ≤ 0, positiva per
0 ≤ √x ≤ 2 − 3, negativa
per
√
2
+
3
e
positiva
2− 3 ≤ x ≤
√
per x ≥ 2 + 3. A noi interessa
trovare la zona in cui l’espressione
è negativa,
√
quindi la√soluzione della disequazione di partenza è x ≤ 0 o 2 − 3 ≤
x ≤ 2 + 3.
6.4.4. Esercizio. Si risolvano le seguenti equazioni:
a) x2 − 3x + 1 = 0; b) x3 − 4x2 = 0; c) x3 − 4x2 + x = 0;
d) x4 − 4x2 − 5 = 0.
6.4.5. Esercizio. Si risolvano le seguenti disequazioni: a) x 2 − 3x +
2 ≥ 0; b) x3 − 4x ≤ 0; c) x2 + 1 ≥ 0 d) x2 > 0.
6.5.
Equazioni e disequazioni razionali fratte
Nel caso in cui si debba risolvere un’equazione razionale fratta, cioè
un’equazione della forma
A(x)
= 0,
(5.1)
B(x)
dove A e B sono due polinomi, si procede semplicemente risolvendo
l’equazione A(x) = 0 e controllando, alla fine dei conti, che nessuna
soluzione trovata annulli anche il denominatore B, nel qual caso questa
soluzione va scartata.
Ad esempio, per risolvere l’equazione
x2 − 4
=0
x2 − 7x + 10
114
Capitolo 6
si procede cosı̀: si risolve dapprima
x2 − 4 = 0,
la quale ha per radici x = ±2. Poi si controlla che nessuna della due
soluzioni trovate annulli il denominatore. Prendendo x = −2 si ha che
il denominatore vale 4 + 14 + 10 6= 0, e dunque x = −2 è soluzione
dell’equazione fratta considerata. Mentre prendendo x = 2 il denominatore vale 4 − 14 + 10 = 0 e dunque 2 non è accettabile come soluzione
dell’equazione fratta, in quanto produce una forma indeterminata 0/0.
Sulle equazioni razionali fratte non c’è null’altro da aggiungere.
Ma anche nel caso delle disequazioni razionali fratte, a ben pensarci,
non vi è nulla di nuovo: se si ha davanti una disequazione della forma
A(x)
≥ 0,
B(x)
si scompongono A(x) e B(x) in fattori elementari, ottenendo
A1 (x)A2 (x) · · · An (x)
≥0
B1 (x)B2 (x) · · · Bm (x)
e poi si decide che segno ha la frazione mettendo in tabella i segni di
tutti i vari pezzettini.
Ecco un esempio in proposito.
6.5.1. Esempio. Risolvere la disequazione
x2 − 5x + 6
≥ 0.
x3 − 3x2 − 4x
Il numeratore si scompone in x2 − 5x + 6 = (x − 2)(x − 3). Il denominatore si scompone in x3 − 3x2 − 4x = x(x + 1)(x − 4), come
si accerta usando le tecniche viste nei paragrafi precedenti. Quindi la
disequazione da studiare è
(x − 2)(x − 3)
≥ 0.
x(x − 4)(x + 1)
115
Capitolo 6
La frazione ha pertanto il seguente segno:
è positivo per −1 < x <
0o2≤x≤3ox>4
e negativo altrimenti.
Dato che a noi interessano gli intervalli in cui
esso è positivo, concludiamo che la soluzione è
−1 < x < 0 o 2 ≤ x ≤ 3
+
+
+ o x > 4.
Si osservi che i valori che annullano il denominatore non possono essere
inclusi nella soluzione, per questo −1, 0 e 4 sono stati esclusi come
estremi degli intervalli, mentre 2 e 3 sono accettabili.
-1
0
2
3
4
6.5.2. Esempio. Consideriamo un ulteriore esempio, anche se ormai
l’idea di base dovrebbe essere chiara.
Si risolva la disequazione
x3 − 1
≤ 0.
x+1
Il numeratore si scompone, come si sa dall’algebra elementare, come
x3 − 1 = (x − 1)(x2 + x + 1). Sicché si deve discutere il segno di
(x − 1)(x2 + x + 1)
.
x+1
Il fattore x2 + x + 1 è sempre
positivo, mentre x − 1 è positivo
per x ≥ 1 e x + 1 è positivo per
x > −1. In definitiva, la frazione è
negativa per −1 < x ≤ 1.
6.6.
Equazioni e disequazioni irrazionali
Anche su questo punto non insisteremo molto. In generale un’equazione
(o una disequazione) è detta irrazionale quando compaiono delle espressioni sotto il segno di una radice di un qualche indice (radice quadrata,
116
Capitolo 6
cubica, ecc.). Noi ci occuperemo solo dei tre prototipi seguenti:
p
A(x) = B(x),
p
A(x) ≥ B(x),
o
p
A(x) ≤ B(x),
(6.1)
dove A(x) e B(x) sono espressioni semplici senza radicali (per lo più
polinomi).
Cominciamo con il caso dell’equazione. Si deve risolvere un’equazione
della forma
p
A(x) = B(x).
(6.2)
Le soluzioni di un’equazione di questo tipo si hanno risolvendo dapprima
l’equazione
A(x) = B 2 (x),
(6.3)
che si ottiene dalla (6.2) elevando al quadrato ambo i membri. Poi
si controlla che le soluzioni trovate risolvendo la (6.3) siano davvero
soluzioni dell’equazione (6.2), e si scartano quelle che eventualmente
non lo sono.
6.6.1. Esempio. Risolvere l’equazione
√
x − 1 = 2 − 2x.
(6.4)
Quadrando a destra ed a sinistra si trova:
x − 1 = 4 − 8x + 4x2 .
Mettendo a posto si ha l’equazione
4x2 − 9x + 5 = 0,
che ha per soluzioni x1 = 5/4 e x2 = 1.
Ora, x2 = 1 è davvero soluzione dell’equazione di partenza (6.4), in
quanto si trova, sostituendo 1 a x, 0 = 0. Invece, se si prende x1 = 5/4,
troviamo nella (6.4) 1/2 = −1/2, che è falsa. Pertanto 5/4 va scartata
e l’unica soluzione della (6.4) è x = 1.
117
Capitolo 6
6.6.2. Esempio. Risolvere l’equazione
p
1
x2 − 1 = (x + 1).
2
(6.5)
Quadrando a destra ed a sinistra si trova:
x2 − 1 =
1
1 2 1
x + x+ .
4
2
4
Mettendo a posto e poi risolvendo si trovano le due soluzioni x1 = 5/3
e x2 = −1.
Entrambi questi numeri verificano l’equazione di partenza (6.5) e quindi
sono entrambe soluzioni accettabili.
Passiamo ora la caso delle disequazioni, il quale merita più attenzione.
Nel caso in cui si debba risolvere la disequazione
p
A(x) ≤ B(x)
(6.6)
bisogna risolvere il sistema


 A(x) ≥ 0
B(x) ≥ 0


A(x) ≤ B 2 (x)
.
(6.7)
Ricordiamo che risolvere il sistema (6.7) significa considerare l’insieme
delle soluzioni comuni a tutte e tre le disequazioni scritte.
Il sistema scritto impone che ogni soluzione della disequazione A(x) ≤
B 2 (x) (che si ottiene quadrando a destra ed a sinistra nella (6.6)
renda positivo il radicando (altrimenti non avrebbe senso considerarla) e simultaneamente positivo il secondo membro della disequazione
(in quanto altrimenti la disequazione sarebbe falsa, dato che la radice
quadrata, quando esiste, è sempre positiva o nulla).
6.6.3. Esempio. Si risolva la disequazione
√
x − 1 ≤ 2 − x.
118
Capitolo 6
Il sistema da risolvere diviene

x − 1 ≥ 0
2−x≥0

x − 1 ≤ 4 − 4x + x2
,
ovvero,
x ≥ 1

x≤2
√

x ≤ 5−2 5 o x ≥
√
.
5+ 5
2
Il sistema è risolto
√ per
1 ≤ x ≤ (5 − 5)/2,
unico intervallo in cui
sono presenti tutte le
tre linee. Si presti attenzione: qui non stiamo cercando nessun
segno,
ma guardando dove siano valide simultaneamente le tre disequazioni
del sistema (6.7).
6.6.4. Esercizio. Si risolvano le disequazioni seguenti:
√
√
√
a) √x − 7 ≤ x − 3; b) x2 −√4 ≤ x/2; c) x2 − 5x + 6 ≤ x + 1;
d) x2 + x − 6 ≤ x − 1; e) x2 + x − 12 ≤ 2x − 1.
Passiamo ora alle disequazioni della forma
p
A(x) ≥ B(x).
(6.8)
In questo caso le soluzioni sono date da


 A(x) ≥ 0
B(x) ≥ 0


A(x) ≥ B 2 (x)
[
A(x) ≥ 0
B(x) ≤ 0
,
(6.9)
ovvero dall’unione delle soluzioni provenienti dai due sistemi. Il motivo
dell’aggiunta del secondo pezzo è questo: se per qualche x risultasse
positivo il radicando A(x), e negativo il secondo membro B(x), allora la
disuguaglianza è vera automaticamente, in quanto la radice è positiva
ed è certamente maggiore di una quantità negativa.
119
Capitolo 6
6.6.5. Esempio. Si risolva
√
x − 1 ≥ 2x − 3.
Ora, i sistemi (6.9) diventano
ovvero,

x − 1 ≥ 0
2x − 3 ≥ 0

x − 1 ≥ 4x2 − 12x + 9
x ≥ 1

x ≥ 3/2

5/4 ≤ x ≤ 2
[
[
x−1≥0
2x − 3 ≤ 0
x≥1
x ≤ 3/2
,
,
I sistemi risolti danno, rispettivamente,
Quindi la soluzione finale è l’unione dei due intervalli 3/2 ≤ x ≤ 2 e
1 ≤ x ≤ 3/2, cioè 1 ≤ x ≤ 2.
6.6.6. Osservazione. Può capitare che un sistema risulti incompatibile, cioè sia impossibile. Nel qual caso non ci si allarmi: significa
semplicemente che quel sistema non
√ ha soluzioni. Un esempio è dato
dalla semplicissima disequazione x ≥ x + 1: si provi che addirittura
in questo caso entrambi i sistemi (6.9) sono impossibili. In questo caso
allora la disequazione data non ha soluzione.
6.6.7. Esercizio risolto. Si risolvano le seguenti disequazioni:
√
√
√
a) √x2 − 16 ≥ x/2; √b) x2 + x + 1 ≥ x √
− 1; c) x + 1 ≥ x − 1;
d) x + 1 ≥ 8; e) x2 − 1 ≥ x − 1; f) x2 + 1 ≥ x2 − 1.
120
Capitolo 6
6.7.
Il valore assoluto
Il valore assoluto di un numero reale x, indicato con |x|, restituisce x,
se x è positivo, e dà −x, altrimenti. Ad esempio,
√ √
|4| = 4, |−3| = 3, |0| = 0, e − 2 = 2.
Il grafico della funzione valore assoluto è riportato qui sotto:
Figura 6.1: la funzione valore assoluto.
Come si nota il valore assoluto è una funzione sempre positiva e nulla
solo per x = 0. Inoltre si ha sempre |x|2 = x2 , fatto che riveste una
certa utilità, come vedremo. Con il valore assoluto si possono esaminare
alcune equazioni ed alcune disequazioni, quali, ad esempio,
|x − 2| = 2x − 3,
|x2 − 1| ≥ 1 − x,
|x − 2| ≤ x2 .
In tutti i casi il procedimento da utilizzare è questo: si considera
l’argomento del valore assoluto (ovvero, l’espressione compresa tra le
due sbarrette) e si guarda dove questa è positiva e dove questa è negativa. A questo punto si esaminano i due casi separatamente e si uniscono
le soluzioni alla fine.
121
Capitolo 6
6.7.1. Esempio. Si risolva
|x − 1| = x2 − 5x + 4.
L’argomento del valore assoluto è x − 1. A questo punto si esaminano
separatamente i due sistemi
[
x−1≤0
x−1≥0
.
−(x − 1) = x2 − 5x + 4
x − 1 = x2 − 5x + 4
Procedendo con i conti si trova
[
x≥1
x2 − 6x + 5 = 0
ovvero,
x≥1
x = 5, x = 1
[
x≤1
,
x2 − 4x + 3 = 0
x≤1
x = 1, x = 3
.
Quindi le due soluzioni sono x = 5 e x = 1.
Il vantaggio di questo metodo di “sdoppiamento” è che funziona sempre, indipendentemente da quanto siano complicate le espressioni coinvolte. Lo svantaggio è che si fa il doppio dei conti. In effetti in qualche
caso si può procedere diversamente. Nell’esempio appena visto, fattorizzando il secondo membro abbiamo
|x − 1| = (x − 1)(x − 4).
Quadrando a destra ed a sinistra troviamo
(x − 1)2 = (x − 1)2 (x − 4)2 .
Raccogliendo il comune fattore (x − 1)2 si ha
(x − 1)2 (x − 4)2 − 1 = 0,
le cui soluzioni sono x1 = 1, e le soluzioni di (x−4)2 = 1, ovvero x2 = 5
e x3 = 3. Prendendo tutte questi numeri e provandoli nell’equazione
122
Capitolo 6
di partenza si vede che x2 = 3 è da scartare, mentre gli altri, come già
sapevamo, sono soluzioni accettabili.
In definitiva, se con un qualche metodo algebrico si riesce a ridurre
un’equazione con i valori assoluti in un’espressione più semplice si può
procedere tranquillamente, con l’accortezza di provare alla fine se le
soluzioni cosı̀ trovate sono tutte accettabili.
Nel caso delle disequazioni consigliamo di attenersi al metodo di sdoppiamento in tutti i casi.
Ecco un esempio in proposito.
6.7.2. Esempio. Si risolva la disequazione
|x2 − 4| ≤ 2.
Si isola l’argomento del valore assoluto: x2 − 4 e si va a guardare dove
è positivo e dove negativo e poi si sdoppia la disequazione:
x2 − 4 ≥ 0
x2 − 4 ≤ 2
[
x2 − 4 ≤ 0
−(x2 − 4) ≤ 2
.
Procedendo con i conti si trova
x ≤ −2 o x ≥ 2
√
√
− 6≤x≤ 6
[
−2 ≤ x ≤ 2
√
√
x≤− 2ox≥ 2
.
Pertanto la soluzione della disequazione è
√
√
− 6≤x≤− 2 o
√
2≤x≤
√
6.
123
Capitolo 6
Figura 6.2: il grafico di y = |x2 − 4| e di y = 2. La soluzione del sistema è
graficamente data dalle ascisse grassettate: i punti del grafico della funzione
y = |x2 − 4| che hanno per ascissa i valori evidenziati stanno sotto alle ordinate dei punti associati al secondo grafico.
6.8.
Casi misti
Le situazioni esaminate nei Paragrafi 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, 6.6 e 6.7 si possono naturalmente combinare, dando luogo a equazioni e disequazioni
miste.
Ad esempio la disequazione
√
2x − 1 − |x|
≥0
x−1
presenta sia le caratteristiche delle disequazioni irrazionali viste nel
Paragrafo 6.6, sia quelle delle disequazioni con i valori assoluti esaminate nel Paragrafo 6.7, sia infine delle equazioni fratte prese in esame
nel Paragrafo 6.5. Ora, noi non ci soffermeremo su situazioni di questo
tipo, tuttavia dovrebbe essere chiaro allo studente come procedere: si
124
Capitolo 6
determina dapprima il segno del numeratore. Per questo si deve risolvere la disequazione
√
2x − 1 ≥ |x|.
Per risolvere questa bisogna usare il “principio di sdoppiamento” valido
per il valore assoluto e ci si ritrova a risolvere le due disequazioni
√
2x − 1 ≥ x
e
√
2x − 1 ≥ −x,
messe a sistema con x ≥ 0 e con x ≤ 0, rispettivamente. Queste sono
finalmente del tipo che sappiamo risolvere. Una volta appurato il segno
del numeratore si passa al segno del denominatore, che nel nostro caso
risulta di semplice discussione. Alla fine si mette tutto in tabella e si
trovano gli intervalli in cui il quoziente è positivo, come richiesto.
Si mediti su questo esempio: la soluzione che si dovrebbe trovare è
1/2 ≤ x < 1.
6.8.1. Esercizio. Si risolva l’equazione seguente
p
x2 − 1 = |x| − 1.
125
7. RUDIMENTI DI ANALISI
In questo capitolo ci occupiamo dei concetti basilari dell’Analisi.
In buona sostanza, riprenderemo i concetti esposti nel Capitolo 3 con
più sistematicità, concentrando ora l’attenzione sulle funzioni definite
in R (o in sottoinsiemi di R) e non in un generico dominio A.
La definizione di funzione è stata data in 3.1.1, poi abbiamo dato la
definizione di funzione iniettiva (in 3.2.1), suriettiva (in 3.2.2) e biettiva
(in 3.2.3). Una volta precisate queste nozioni abbiamo introdotto il
concetto di grafico di una funzione nella Definizione 3.3.1, nel caso in
cui dominio e codominio della funzione in questione siano entrambi R
ed abbiamo già usato concretamente la nozione di grafico nel capitolo
precedente.
Si è soliti rappresentare il grafico di una data funzione f nel piano
cartesiano: si tratta di un sistema costituito da due rette orientate
perpendicolari fra loro, come mostrato in figura.
Figura 7.1: il piano cartesiano
Le due rette prendono il nome di asse delle ascisse (la retta orizzontale) e di asse delle ordinate (la retta verticale). Il punto di intersezione dei due assi coordinati è detto origine. Ogni punto P del piano
126
Capitolo 7
è allora posto in corrispondenza biunivoca con una coppia di numeri
reali (a, b), che verranno dette coordinate di P , nel modo seguente:
si proietta P ortogonalmente sull’asse delle ascisse e sull’asse delle ordinate: a è allora la distanza con segno del primo punto dall’origine,
ed analogamente b è la distanza con segno della seconda proiezione
dall’origine. Il segno di queste distanze è da intendersi positivo se il
punto-proiezione segue O nel verso delle frecce e negativo altrimenti.
Data una funzione f : R → R se ne disegna il grafico nel piano cartesiano considerando i punti P = (x, f (x)), cioè i punti che hanno per
ascissa x ed ordinata f (x).
7.0.2. Osservazione. Puntualizziamo una volta per tutte il seguente
fatto: spesso, assegnata una data espressione f (x) si usa dire e scrivere
che risulta assegnata la funzione
y = f (x),
dove y ha l’ufficio di variabile dipendente (da x).
Ora, a stretto rigore questa affermazione non ha senso, visto che non è
precisato il dominio ed il codominio di f (o di y, se si vuole). Se questo
è vero, altrettanto vero è che in molti casi l’espressione f (x) è semplice
o addirittura elementare (ad esempio, un polinomio): in questi casi
si sottintende che la funzione è definita in R ed ha valori in R. Ad
esempio, diremo
“ la funzione y = x2 + 1 . . . ”
intendendo che dominio e codominio sono R, senza scriverlo esplicitamente.
7.1.
Operazioni sui grafici
Prima di addentrarci nello studio di alcune classi di funzioni, facciamo
qualche osservazione di carattere generale.
Supponiamo di avere una funzione f (x), definita per x ∈ R, come
sarà implicitamente assunto d’ora innanzi. Supponiamo anche di saper
127
Capitolo 7
disegnare, almeno qualitativamente, il grafico di f (x). L’aspetto che
ora trattiamo è il seguente: dalla mera conoscenza del grafico di f (x)
possiamo trarre informazioni sul grafico delle funzioni f (x − a), f (a·x),
f (x) + a e a·f (x), dove a è un numero fissato? In effetti ciò è possibile
ed anche relativamente semplice.
Prendiamo ad esempio la funzione disegnata nel grafico qui sotto e
chiamiamola f (x).
Cosa succede se vogliamo disegnare f (2x)? Ebbene l’effetto sul grafico
è quello di uno “schiacciamento” di un fattore 2, come mostra il disegno
sottostante
In effetti il grafico è “schiacciato” come mostrato dalle frecce.
Se invece volessimo disegnare il grafico di f (x/2), allora dovremmo
“dilatare” di un fattore 2 il grafico di f , come ora mostriamo:
128
Capitolo 7
Analogamente, la funzione 2·f (x) risulterà stirata verticalmente di un
fattore 2:
La funzione (1/2)·f (x) risulterà invece compressa verticalmente, sempre di un fattore 2:
Veniamo ora alle traslazioni: se consideriamo la funzione f (x − 2) otterremo una funzione con il grafico traslato a destra, rispetto a quello
originario:
129
Capitolo 7
Se invece consideriamo la funzione f (x+2) otterremo un grafico traslato
verso sinistra, rispetto a quello originario:
Le funzioni f (x) + 2 e f (x) − 2 hanno grafici traslati, rispettivamente,
verso l’alto e verso il basso di 2.
Vediamo ora cosa succede se disegniamo −f (x): ebbene tutti i valori delle ordinate cambiano segno, rispetto a quelli di f (x), pertanto
l’effetto sul grafico è quello di una simmetria rispetto all’asse delle
ascisse. Se invece consideriamo f (−x), allora si otterrà un grafico simmetrico a quello di f (x), rispetto all’asse delle ordinate:
130
Capitolo 7
In ultimo, vediamo cosa accade se vogliamo disegnare |f (x)|: a pensarci
si tratta di combinare quanto abbiamo già visto: se f (x) ≥ 0 allora
|f (x)| = f (x) e pertanto i grafici coincidono, se invece f (x) ≤ 0, allora
|f (x)| = −f (x), sicché il grafico per quelle x risulta rovesciato. In
definitiva il grafico del valore assoluto di una funzione “ribalta” tutte
le parti del grafico che originariamente erano negative verso l’alto:
Ora, naturalmente il ruolo del numero 2 è puramente esemplificativo,
e le considerazioni svolte si adattano a qualunque numero positivo a:
pertanto f (x − a) avrà grafico spostato verso destra di a e cosı̀ via.
Si possono avere anche casi in cui interviene più di una trasformazione:
ad esempio la funzione
f (2 − x)
si ottiene da f (x) in questo modo:
f (x)
→
f (x − 2)
→
f (−(x − 2)) = f (2 − x)
ed il suo grafico si ottiene quindi traslando quello di f a destra di
due unità e poi prendendo il simmetrico rispetto alla retta verticale
passante per il punto x = 2.
131
Capitolo 7
Riassumiamo il tutto in una tabella
Trasformazione
f (a·x), a > 1,
f (a·x), 0 < a < 1,
a·f (x),
a > 1,
a·f (x),
0 < a < 1,
Grafico risultante
schiacciato orizzontalmente di a
allungato orizzontalmente di a−1
allungato verticalmente di a
schiacciato verticalmente di a−1
f (x − a),
a > 0,
traslato verso destra di a
f (x + a),
a > 0,
traslato verso sinistra di a
f (x) − a,
a > 0,
traslato verso il basso di a
f (x) + a,
a > 0,
traslato verso l’alto di a
f (−x)
simmetrico rispetto all’asse delle y
−f (x)
simmetrico rispetto all’asse delle x
|f (x)|
le parti negative di f vengono ribaltate
7.2.
Le rette
Le funzioni più semplici che cominciamo a considerare sono quelle della
forma
y = mx + q,
(2.1)
dove m e q sono due parametri reali fissati: essi prendono il nome di
coefficiente angolare e di termine noto, rispettivamente.
Il grafico della funzione y = mx + q è una retta, come ci si rende conto
con un paio di esempi. Se prendiamo m = 0 si ottengono rette parallele
132
Capitolo 7
Figura 7.2: grafico della retta y = (1/2)x + 1
Figura 7.3: grafico della retta y = y0 : si tratta di una funzione costante.
all’asse x: esse hanno forma y = y0 e non c’è dipendenza da x: sono
funzioni costanti.
Nell’espressione y = mx + q il valore q rappresenta l’ordinata del punto
staccato dalla retta sull’asse y, mentre m, come il nome lascia presagire, ha a che fare con l’inclinazione della retta, rispetto all’asse delle
ascisse. L’intima relazione che c’è tra m e tale inclinazione non può
essere svelata qui, dato che non abbiamo gli strumenti adatti per farlo.
Un’idea dell’andamento tra l’inclinazione della retta ed il suo coefficiente angolare è dato dal grafico riportato qui sotto.
Diremo soltanto che maggiore è il valore di m (in valore assoluto) maggiore è l’inclinazione della retta sull’asse x. Non si tratta tuttavia di
una proporzionalità diretta: tanto è vero che se si raddoppia o si triplica
m non si raddoppia o triplica l’inclinazione di una data retta sull’asse
133
Capitolo 7
Figura 7.4: relazione tra l’inclinazione in gradi di una retta (sull’asse delle
x) ed il suo coefficiente angolare (sull’asse y). Si osservi che l’inclinazione di
45◦ corrisponde al coefficiente angolare 1, come deve essere e che se m > 6
allora la retta è già inclinata per più di 80◦ sull’asse x. Se la pedenza tende
a 90◦ , il coefficiente angolare associato cresce sempre più, tendendo a +∞.
Per i coefficienti angolari negativi vale un discorso analogo.
delle x (provare per credere con y = x e y = 2x). Al tendere di m
all’infinito, l’inclinazione della retta tende alla posizione verticale.
Il segno di m dice da che parte pende la retta: se esso è positivo la
retta passa dal III verso il I quadrante, mentre se esso è negativo ha
l’inclinazione rovesciata e va dal II al IV quadrante.
Figura 7.5: al crescere in valore assoluto del coefficiente angolare m le rette
y = mx sono sempre più pendenti.
134
Capitolo 7
Assegnati due punti distinti P = (x0 , y0 ) e Q = (x1 , y1 ), ci chiediamo
come trovare l’equazione della retta (univocamente determinata) che
passa per P e Q. Ebbene, se x0 6= x1 i due punti non risultano allineati
verticalmente, quindi l’equazione che cerchiamo è proprio una funzione.
Essa è
x − x0
y − y0
=
,
(2.2)
y1 − y 0
x1 − x 0
con la convenzione che se si avesse y1 = y0 , allora l’equazione è ottenuta
dall’annullarsi del numeratore y − y0 = 0 (e questo corrisponde al caso
della retta orizzontale).
Ad esempio, se P (2, 3) e Q = (1, 5) la retta che si cerca è
y−3
x−2
=
,
5−3
1−2
ovvero,
y = −2x + 7.
Si può anche procedere cosı̀ (ed anzi consigliamo questo approccio:
sempre nel caso in cui x0 6= x1 , si sa che l’equazione dovrà essere
senz’altro della forma y = mx+q, pertanto si sostituiscono ad y e ad x i
due valori y0 , y1 e x0 , x1 rispettivamente e si ottengono due equazioni in
m e q: risolvendo si determinano tali numeri e si conclude. Riprendendo
l’esempio appena trattato abbiamo, procedendo come detto ora:
3 = 2m + q
5=m+q
,
ovvero,
m = −2
q=7
,
sicché si ottiene nuovamente l’equazione y = −2x+7, già trovata sopra.
L’ultimo aspetto che menzioniamo sulle rette concerne la nozione di
parallelismo. In altri termini, date due rette r : y = m1 x + q1 e
s : y = m2 x+q2 , come possiamo sapere che r è parallela a s (in simboli,
rks) guardando le loro equazioni? La risposta è molto semplice:
Le due rette r ed s sono parallele se e solo se m1 = m2 ,
ovvero se e solo se esse hanno lo stesso coefficiente angolare.
135
Capitolo 7
7.2.1. Esercizio risolto. Trovare la retta parallela a r : y = 3x − 1
che passi per il punto P = (1, 2).
Soluzione. La retta che cerchiamo ha equazione y = 3x + q, in quanto
deve essere parallela a r. Rimane da trovare q. Per questo imponiamo
che la retta incognita passi per il punto P e troviamo
2 = 3 + q,
da cui si ha q = −1. La retta cercata è allora y = 3x − 1.
7.2.2. Esercizio. Si trovi la retta parallela a y = −2x − 3 e passante
per l’origine.
7.2.3. Esercizio. Si trovi la retta parallela a y = 2x − 1 e passante
per il punto P = (2, 6).
7.2.4. Esercizio. Si trovi la retta parallela a y = 2x − 1 e passante
per il punto P = (2, 3).
7.3.
Le parabole
Un’altra classe di funzioni semplici da studiare sono quelle della forma
y = ax2 + bx + c,
x ∈ R,
(3.1)
dove a, b e c sono tre parametri reali fissati. Nel caso i cui sia a = 0,
ricadiamo nel caso trattato nel paragrafo precedente. Pertanto supponiamo senz’altro che sia a 6= 0.
Il grafico della funzione (3.1) è detto parabola ed ha l’aspetto campaniforme come mostrato in figura.
Supponiamo di saper disegnare il grafico della parabola y = x2 e vediamo come il grafico di ogni altra parabola si riconduce a questo,
con opportune trasformazioni del suo grafico. Vediamo a cosa su un
caso particolare, senza perderci in formule più generali: supponiamo di
dover disegnare il grafico di x2 − 4x + 6. Si ha
x2 − 4x + 6 = x2 − 4x + 4 + 2 = (x − 2)2 + 4.
136
Capitolo 7
Figura 7.6: è disegnato il grafico della funzione y = x2 .
Di qui si vede che il grafico della funzione y = x2 − 4x + 6 si ottiene
da quello di y = x2 traslandolo a destra di due unità e verso l’alto di
quattro.
Per disegnare qualitativamente il grafico di un polinomio di secondo
grado ci si può allora ricondurre al grafico della funzione y = x2 , oppure, se ciò risulta complicato, si possono trovare le intersezioni del
grafico con gli assi e le coordinate del vertice. Il vertice ha ascissa
xV = −b/(2a), e l’ordinata si trova sostituendo xV nella (3.1).
In tal modo si ha la possibilità di tracciare il grafico della funzione data.
Ad esempio, consideriamo la funzione y = x2 − 4x − 6, abbiamo che le
intersezioni con l’asse delle x sono date dalle soluzioni del sistema
y = x2 − 4x − 6
y=0
2
Si ottiene
soluzioni
√ allora l’equazione x − 4x − 6 = 0, la quale ha √
x = 2√± 10. Le intersezioni sono allora date dai punto (2 − 10, 0) e
(2 + 10, 0). Il vertice della parabola ha ascissa xV = 2. L’ordinata si
trova semplicemente sostituendo xV nell’equazione e si trova yV = −10.
137
Capitolo 7
Figura 7.7: il grafico della parabola y = x2 − 4x − 6.
Con queste due informazioni si può disegnare approssimativamente il
grafico voluto:
7.4.
Logaritmi ed esponenziali
Si consideri un numero a > 0: tale numero sarà detto base. La
definizione del numero ax , per x ∈ R (esponente), si dà per tappe
(anche se incluso, il caso a = 1 è privo di interesse, in quanto si avrà
1x = 1, per ogni x ∈ R).
Dapprima si precisa cosa si intende per an , per n ∈ N. In tal caso non
vi è nulla da dire: an è il numero
a
| · a ·{z· · · · a}
n volte
e si pone a0 = 1.
Poi si passa alla definizione di ar , quando r è un numero razionale
positivo: in tal caso r = n/m, per n, m ∈ N e si pone
√
n
ar = a m = m an .
Poi si passa alla definizione di ar , dove r è un numero reale positivo qualunque per approssimazione. Su questo punto non insistiamo.
138
Capitolo 7
L’idea intuitiva è che ogni numero reale è approssimabile da numeri
razionali con margine di errore piccolo a piacimento: si fissa dunque
una successione q1 , q2 , q3 , . . . di numeri razionali che approssimano sempre meglio r.
√
Ad esempio, se r = 2, allora si può prendere q1 = 1, q2 = 1, 4,
q3 = 1, 41, q4 = 1, 414 e cosı̀ via. Allora si pone
ar = lim aqn ,
n→+∞
una volta chiarito che tale limite in effetti esiste e non dipende dalla
particolare successione scelta per approssimare r.
L’ultimo passo consiste nel definire ar , anche quando r è negativo. Ma
questo è semplice: se r è un numero reale negativo si pone
ar =
1
a−r
.
Ad esempio 2−2 = 1/22 = 1/4.
In tal modo — precisando meglio tutto quanto detto — si definisce
davvero la funzione x 7→ ax che prende il nome di funzione esponenziale. Noi, a parte quanto succintamente affermato, riterremo
comunque più o meno intuitiva (o già nota) la nozione di esponenziale. Ricordiamo solo brevemente le proprietà delle potenze che ognuno dovrebbe avere appreso alle scuole medie inferiori.
Nella tabella che segue supponiamo sempre che sia a, b > 0 e r, s ∈ R.
Operazione
Risultato
ar · a s
ar+s
ar · b r
(ar )
s
(ab)r
ars
I grafici qualitativi della funzione esponenziale con base a > 1 e con
base 0 < a < 1 sono illustrate nella figura seguente.
139
Capitolo 7
Figura 7.8: grafico qualitativo della funzione esponenziale y = ax . A sinistra è tracciato il grafico quando la base a è minore di 1, a destra quando
la base è maggiore di 1.
7.4.1. Osservazione. Dal grafico della funzione esponenziale emerge
che se la base è maggiore di uno, allora l’esponenziale cresce molto
rapidamente se x cresce, mentre tende a zero altrettanto velocemente
se x tende a −∞.
Ribadiamo che è possibile considerare l’esponenziale con base 1: la
funzione 1x è semplicemente la costante 1 ed eviteremo perciò di considerare questo caso nel seguito.
Se la base è minore di 1, allora le considerazioni fatte vanno invertite.
In ogni caso se la base a è minore di uno, possiamo sempre scrivere
ax = (1/a)−x e ci riconduciamo allo studio di un esponenziale con base
maggiore di uno: ad esempio (1/2)x = 2−x , per cui possiamo riferirci
soltanto al caso in cui la base è maggiore di 1.
7.4.2. Osservazione. Si noti che l’esponenziale, qualunque sia la sua
base, è sempre positivo e non si annulla mai.
Tra tutte le possibili basi che si considerano per gli esponenziali, in
matematica riveste un’importanza notevolissima quella che si ha scegliendo il numero e. Si tratta di un numero irrazionale, come π, che
vale 2, 7182 . . .
Pertanto l’esponenziale per antonomasia è la funzione x 7→ ex e quando
non diremo altro ci riferiremo sempre e solo a questa. Il motivo di
questa scelta è dettato da varie considerazioni. Noi ci limitiamo a
darne una: la funzione esponenziale (cioè quella che ha per base e) è
l’unica funzione tra tutti gli esponenziali y = ax che ha per tangente
nel punto P = (0, 1) una retta di coefficiente angolare 1, cioè inclinata
140
Capitolo 7
di 45◦ . Quando incontreremo le derivate ci accorgeremo che questa
considerazione avrà importanti conseguenze.
Figura 7.9: la funzione y = ex e la sua tangente nel punto P = (0, 1). Il
coefficiente angolare della tangente è 1, ovvero essa è parallela alla bisettrice
y = x.
Veniamo ora alla definizione di un’altra fondamentale funzione, la quale,
come apparirà ovvio, è l’inversa della funzione esponenziale.
7.4.3. Definizione. Sia assegnato un numero a > 0 e a 6= 1. Fissiamo
un numero reale x > 0. Allora il numero a cui si deve elevare a per
ottenere x è chiamato logaritmo in base a di x ed è denotato con
il simbolo loga x.
Dunque, per definizione stessa si ha, qualunque sia a > 0 e a 6= 1,
aloga x = x,
per ogni x > 0
(4.1)
loga ax = x,
per ogni x ∈ R.
(4.2)
e
Le due proprietà (4.1) e (4.2) rendono evidente che le due funzioni
x 7→ ax e y 7→ loga y sono l’una l’inversa dell’altra (pur di precisare con
un certo rigore i rispettivi codomini, ma non vogliamo essere pignoli).
7.4.4. Osservazione. Si presti molta attenzione: l’argomento di ogni
logaritmo deve essere positivo: non si può calcolare il logaritmo di un
numero negativo o nullo. Dunque, a differenza di y = ax , che è una
funzione definita per ogni x ∈ R, la funzione y = log a x è definita solo
per x > 0.
141
Capitolo 7
Ad esempio si ha
log2 8 = 3,
dal momento che il numero a cui si deve elevare 2 per ottenere 8 è 3:
23 = 8. Si ha, sempre a titolo esemplificativo,
log3
1
= −1,
3
log1/2 1 = 0,
log10 10 = 1
dato che 3−1 = 1/3, (1/2)0 = 1 e 101 = 10. In figura riportiamo il
grafico qualitativo della funzione x →
7 log a x, distinguendo i due casi
0 < a < 1 e a > 1.
Figura 7.10: il grafico della funzione y = log a x per 0 < a < 1 a sinistra e
per a > 1 a destra.
Direttamente dalle proprietà delle potenze seguono le seguenti due fondamentali proprietà dei logaritmi, valide per qualunque base a (sempre
con a > 0 e a 6= 1):
loga (xy) =
loga x + loga y
loga xr
=
r· loga x
loga x
=
− log a1 x
142
Capitolo 7
Tra tutte le possibili basi che si possono considerare per i logaritmi,
in matematica due scelte sono maggiormente preferite: la base che si
ottiene con a = e e quella che si ha per a = 10.
Nel primo caso si parla di logaritmo naturale ed al posto della
scrittura loge x si preferisce scrivere ln x; nel secondo caso non si dà un
nome particolare a log10 x, ma si omette il “10” dalla notazione e si
preferisce scrivere solo log x.
Quindi, ad esempio, si avrà log 100 = 2 e ln e = 1.
Si possono, al pari delle equazioni polinomiali, prendere in considerazione equazioni e disequazioni che coinvolgono esponenziali e logaritmi,
e dette pertanto esponenziali e logaritmiche.
Noi non ci addentreremo in uno studio sistematico dell’argomento. Con
qualche esempio cerchiamo di illustrare come procedere in alcuni casi
semplici.
7.4.5. Esempio. Si risolva l’equazione
3x
2
−1
= 27.
(4.3)
Poiché compare un esponenziale in base 3, conviene prendere il logaritmo in base 3 di entrambi i membri. Si ottiene l’equazione equivalente
log3 3x
2
−1
= log3 27.
Ora sfruttiamo la proprietà (4.2) ed otteniamo
x2 − 1 = 3.
Pertanto si ha l’equazione equivalente
x2 = 4,
la quale ha soluzione x = ±2. Queste sono le soluzioni dell’equazione
di partenza (4.3).
143
Capitolo 7
7.4.6. Esempio. Si risolva la disequazione
e|x|−1 ≤ 2.
Poiché compare un esponenziale in base e, conviene prendere il logaritmo naturale di entrambi i membri. Si ottiene la disequazione equivalente
ln e|x|−1 ≤ ln 2
Ora sfruttiamo la proprietà (4.2) ed otteniamo
|x| − 1 ≤ ln 2
Pertanto si ha la disequazione equivalente
|x| ≤ ln 2 + 1
la quale ha per soluzione, come sappiamo dal Capitolo 6, l’intervallo
− ln 2 − 1 ≤ x ≤ ln 2 + 1.
Insomma, la tecnica in presenza di equazioni e disequazioni esponenziali è questa: si prende il logaritmo della stessa base dell’esponenziale
presente e ci si riconduce ad un’equazione, od una disequazione, più
semplice.
L’unica accortezza che si deve avere è questa: nelle disequazioni se la
base degli esponenziali è minore di uno, allora o ci si riconduce a basi
maggiori di uno, oppure si prende direttamente il logaritmo con base
minore di 1, ma bisogna in tal caso invertire il verso dei predicati della
disequazione.
Ecco un esempio in cui questo accade:
7.4.7. Esempio. Si risolva la disequazione
1 x
2
≤ 5.
Primo metodo: si scrive (1/2)x = 2−x , e quindi si ha l’equazione equivalente
2−x ≤ 5,
144
Capitolo 7
in cui la base dell’esponenziale coinvolto è ora maggiore di 2. Al che si
procede come prima: si prende il logaritmo in base 2 e si trova
−x ≤ log2 5,
ovvero
x ≥ − log2 5.
Secondo metodo: si prende subito il logaritmo in base 1/2, ma si deve
invertire il verso del predicato “≤”, dato che 1/2 < 1. Si ha allora
x ≥ log 12 5.
Si noti che, in effetti, si è trovata la medesima soluzione in entrambi
i casi, dato che, per la terza proprietà dei logaritmi, si ha log 1/2 5 =
− log2 5.
7.4.8. Esempio. Si risolva la disequazione
ex + 1 ≤ 0.
Procedendo incautamente si troverebbe
ex ≤ −1
e quindi
x ≤ ln(−1).
Tuttavia questa è una sciocchezza, dato che non si può calcolare il
logaritmo di un numero negativo. In questo caso bisogna ragionare
direttamente: l’esponenziale è una funzione sempre positiva. Pertanto
ex + 1 è sempre maggiore di 1 e quindi non può certo essere negativa!
La risposta corretta è quindi che la disequazione proposta è impossibile
(come quando capita di risolvere x2 + 1 ≤ 0, per capirci).
La disequazione
ex + 1 ≥ 0
è invece verificata per ogni x ∈ R, per gli stessi motivi.
145
Capitolo 7
Nel caso di equazioni e disequazioni logaritmiche s procede in maniera
analoga: si cerca di eliminare la fastidiosa presenza del logaritmo usando l’identità (4.1) invece che la (4.2). Vediamo qualche esempio.
7.4.9. Esempio. Si risolva l’equazione
log3 (x2 − 5x + 4) = 1.
(4.4)
Poiché compare un logaritmo in base 3, conviene ridurre l’equazione
data in questo modo:
3log3 (x
2
−5x+4)
= 31 .
Per la (4.1) si ha allora
x2 − 5x + 4 = 3,
ovvero,
x2 − 5x + 1 = 0,
la quale, risolta come sappiamo
√
√ bene, ha per soluzioni x1 = (5 −
21)/2 ≈ 0, 2 e x2 = (5 + 21)/2 ≈ 4, 8. Ora, bisogna controllare se le due soluzioni cosı̀ trovate siano accettabili, ovvero non rendano l’argomento del logaritmo negativo. Se questo capita per una
qualche presunta soluzione, allora essa va scartata (come nel caso delle
equazioni irrazionali).
Nel nostro caso l’argomento del logaritmo è x2 − 5x + 4 ed esso è maggiore di zero per x < 1 o x > 4, come si può subito vedere. Pertanto
x1 va scartata e l’unica soluzione dell’equazione (4.4) è solo x2 .
7.4.10. Esempio. Si risolva la disequazione
log(x2 − 1) ≤ log 8.
Poiché compare un logaritmo in base 10, riduciamo la disequazione
data come segue:
2
10log(x −1) ≤ 10log 8 ,
trovando la disequazione
x2 − 1 ≤ 8,
ovvero,
x2 − 9 ≤ 0,
146
Capitolo 7
la quale ha per soluzione: −3 ≤ x ≤ 3.
Anche qui, dobbiamo ricordarci che non tutte le soluzioni trovate in
questo modo sono accettabili e dobbiamo prendere solo quelle che rendono positivo l’argomento del logaritmo. Essa vanno quindi messe a
sistema con x2 − 1 > 0. Questa disequazione ha per soluzione x < −1
o x > 1.
Quindi la soluzione della disequazione logaritmica data è
−3 ≤ x < −1 o 1 < x ≤ 3.
In definitiva, in maniera formale, se incontriamo una disequazione della
forma
loga A(x) ≤ B(x),
oppure,
loga A(x) ≥ B(x),
dove a > 1 (altrimenti si devono invertire i versi dei predicati, come
per gli esponenziali), la soluzione è data dalla soluzione del sistema
A(x) ≤ aB(x)
A(x) > 0
,
A(x) ≥ aB(x)
A(x) > 0
.
oppure, nel secondo caso,
Per le equazioni, invece che risolvere il sistema, consigliamo di trovare
le soluzioni e poi, alla fine, provare a mano se esse rendono positivo
l’argomento del logaritmo (ed allora vanno accettate come soluzioni
dell’equazione logaritmica di partenza) oppure lo rendono negativo o
nullo (e nel qual caso vanno scartate).
7.4.11. Esercizio. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni:
2
2
a) 10x −1 = 1; b) e6x−x = e; c) ex−1 ≤ 8;
d) (1/3)x ≥ 2; e) ln(16 − x2 ) ≤ ln 12; f) ln(|x| − 1) ≤ 3.
147
Capitolo 7
7.4.12. Esercizio risolto. Tizio deposita in banca 100 euro. Il capitale è soggetto ad un interesse (assai poco realistico) del 3% annuo. In
quanto tempo Tizio riesce a raddoppiare il capitale?
Soluzione. Dopo un anno Tizio ha maturato il 3% di interessi ed ha
quindi
3
3 100 +
euro.
·100 = 100 1 +
100
100
Dopo due anni Tizio avrà quello che aveva alla fine del primo anno, più
il 3% di questo:
3 3
3 2
3 ·100 1 +
+
= 100 1 +
100 1 +
100
100
100
100
euro.
Procedendo cosı̀, abbiamo che in generale, alla fine dell’k-esimo anno
Tizio avrà
103 k
3 k
100 1 +
= 100
euro.
100
100
In definitiva bisogna trovare k tale che
103 k
= 200.
103 k
= 2,
100
100
Semplificando per 100 si ha
100
e dunque
k = log103/100 2 ≈ 23, 45.
Quindi Tizio deve aspettare 24 anni per raddoppiare il proprio capitale
(soltanto grazie all’interesse fornito dalla banca).
7.4.13. Esercizio risolto. Caio vuole acquistare un’auto che costa
14 000 euro, ma dispone solo di 13 000 euro. La banca Lunar Credit gli
offre un tasso d’interesse del 5% annuo, mentre la banca Fool’s Credit
gli offre 150 euro di interesse fisso annuo.
A quale banca deve rivolgersi Tizio per raggiungere il più velocemente
148
Capitolo 7
possibile 14 000 euro? Quanti anni deve aspettare in questa banca
perché il capitale raggiunga i 14 000 euro necessari per l’acquisto dell’autovettura?
Soluzione. Se mettesse i suoi soldi nella banca Lunar Credit Tizio
avrebbe in n anni un capitale pari a
5 n
13 000 1 +
euro,
100
ovvero,
21 n
euro.
13 000
20
Nella banca Fool’s Credit Tizio ha dopo un anno
13 000 + 150 euro,
dopo due anni
13 000 + 2·150 euro,
e, andando avanti in questo modo, dopo n anni,
13 000 + n·150 euro.
Si tratta allora di risolvere nell’incognita n le due equazioni
21 n
13 000
= 14 000
e
13 000 + n·150 = 14 000
20
e vedere quale delle due soluzioni è più piccola.
La prima ha per soluzione
14
≈ 1, 52,
13
mentre la seconda ha per soluzione
n = log 21
20
1 000
≈ 6, 67.
150
Sicché a Tizio conviene rivolgersi alla Lunar Credit per l’acquisto ed
aspettare 2 anni. Si potrebbe anche pensare di farcela in meno tempo
adottando una soluzione mista, ovvero, mettere un po’ di capitale nella
prima banca ed un po’ nella seconda, tuttavia si può mostrare che non
si può mai aspettare meno di due anni, con i dati di questo problema.
n=
149
Capitolo 7
7.5.
I limiti
Il concetto di limite è senz’altro il fulcro dell’Analisi Matematica.
L’idea che sta alla base di tutto quanto diremo è questa: supponiamo
di avere una certa funzione f (x), definita, diciamo, in R. Immaginiamo
che questa espressione abbia un’interpretazione concreta, ad esempio,
rappresenti un capitale soggetto ad interesse accumulato in una banca
al tempo x, o la temperatura media della superficie solare nell’istante x,
o ancora, la forza cui è soggetta un palla di ferro a distanza x da una
calamita, e cosı̀ via.
In tutti questi casi è utile poter predire cosa accade per tempi grandi
(o distanze grandi). Ad esempio, potrebbe essere importante sapere
se in tempi grandi il capitale in banca supererà un dato ammontare, o
se per tempi grandi la temperatura superficiale del sole scenderà sotto
una soglia critica o, ancora, se per distanze grandi la forza di attrazione
sulla palla metallica tenderà a diminuire sempre più, oppure no e cosı̀
via.
Tutte queste questioni si sintetizzano cosı̀: quanto vale il limite, per x
tendente a +∞, di f (x)?
In simboli, vogliamo calcolare
lim f (x).
x→+∞
(5.1)
Ora, attribuire un senso alla (5.1) in maniera rigorosa esula dallo scopo
di questi Appunti. Il significato di cui investiremo qui la nozione di
limite sarà puramente intuitivo, ma questo basterà, assieme a qualche
regola data per vera, a risolvere una discreta fetta di problemi.
7.5.1. Definizione. Sia f (x) una funzione definita in un qualche intervallo della forma (a, +∞). Diremo che il numero reale L è il limite
di f (x), al tendere di x a +∞, e scriveremo
lim f (x) = L,
x→+∞
se f (x) si avvicina sempre più a L, quando x diventa man mano più
grande.
150
Capitolo 7
Diremo che f (x) tende a +∞, per x tendente a +∞, e scriveremo
lim f (x) = +∞,
x→+∞
se f (x) diventa sempre più grande, mano a mano che x diventa sempre
più grande.
Diremo infine che f (x) tende a −∞, per x tendente a +∞, e scriveremo
lim f (x) = −∞,
x→+∞
se f (x) diventa sempre più negativa, mano a mano che x diventa sempre
più grande.
Figura 7.11: esempio di grafici di tre funzioni che hanno limite 1, al tendere di x a +∞.
Ad esempio, possiamo senz’altro dire che
1
= 0,
x→+∞ x
lim
infatti, a mano a mano che x cresce, 1/x diventa sempre più piccolo e
si avvicina sempre più a 0.
Invece,
lim ex = +∞,
x→+∞
151
Capitolo 7
Figura 7.12: esempio di grafici di tre funzioni che hanno limite +∞, al tendere di x a +∞.
Figura 7.13: esempio di grafici di tre funzioni che hanno limite −∞, al tendere di x a +∞.
infatti, abbiamo detto a suo tempo che, al crescere di x, l’esponenziale
ex cresce (ed anche molto rapidamente) verso +∞.
Allo stesso modo di quanto detto nella Definizione 7.5.1 si possono dare
le definizioni (informali) di limx→−∞ f (x), prendendo in questo caso la
variabile x in un intervallo della forma (−∞, a). Ecco come:
7.5.2. Definizione. Sia f (x) una funzione definita in un qualche intervallo della forma (−∞, a). Diremo che il numero reale L è il limite
di f (x), al tendere di x a −∞, e scriveremo
lim f (x) = L,
x→−∞
se f (x) si avvicina sempre più a L, quando x diventa man mano più
negativa.
152
Capitolo 7
Diremo che f (x) tende a +∞, per x tendente a −∞, e scriveremo
lim f (x) = +∞,
x→+∞
se f (x) diventa sempre più grande, mano a mano che x diventa sempre
più negativa.
Diremo infine che f (x) tende a −∞, per x tendente a −∞, e scriveremo
lim f (x) = −∞,
x→−∞
se f (x) diventa sempre più negativa, mano a mano che x diventa sempre
più negativa.
Figura 7.14: esempio di grafici di tre funzioni che hanno limite 1, al tendere di x a −∞.
Figura 7.15: esempio di grafici di tre funzioni che hanno limite +∞, al tendere di x a −∞.
153
Capitolo 7
Figura 7.16: esempio di grafici di tre funzioni che hanno limite −∞, al tendere di x a −∞.
Ad esempio, si ha che
lim x2 = +∞,
x→−∞
lim x = −∞,
x→−∞
lim ex = 0.
x→−∞
Figura 7.17: f (x) non è definita per x = x0 . Se x si avvicina a x0 , a che
cosa tende f (x)?
Potrebbe anche darsi che una certa funzione f non sia definita in un
certo punto x0 . In tal caso potrebbe essere interessante sapere come si
comporta la funzione vicino a tale punto.
7.5.3. Definizione. Sia f (x) una funzione assegnata. Si fissi un punto
x0 tale per cui (x0 − δ, x0 ) ∪ (x0 , x0 + δ) appartenga al dominio di f ,
per un opportuno δ > 0.
Diremo allora che il numero reale L è il limite di f (x), per x tendente
a x0 , e scriveremo
lim f (x) = L,
x→x0
154
Capitolo 7
se f (x) si avvicina sempre più a L a mano a mano che x assume valori
sempre più vicini a x0 , senza mai essere uguale a x0 .
Diremo che il limite di f (x), per x tendente a x0 , è +∞ e scriveremo
lim f (x) = +∞,
x→x0
se f (x) cresce sempre di più, a mano a mano che x assume valori sempre
più vicini a x0 , senza mai essere uguale a x0 .
Similmente, diremo che il limite di f (x), per x tendente a x0 , è −∞ e
scriveremo
lim f (x) = −∞,
x→x0
se f (x) diviene sempre più negativo, a mano a mano che x assume
valori sempre più vicini a x0 , senza mai essere uguale a x0 .
Ad esempio,
lim (x2 − 1) = 24,
x→5
in quanto se x si avvicina sempre più a 5, allora x2 si avvicina sempre
più a 25 e quindi x2 − 1 si avvicina sempre di più a 24.
7.5.4. Osservazione. In questo caso, per trovare che limx→5 (x2 −
1) = 24, sarebbe bastato semplicemente sostituire a x il valore 5, anche
se questo è proibito in generale.
In ogni caso, la prima cosa che si dovrebbe cercare di fare è proprio
sostituire alla x dell’espressione il valore cui tende: se non si presentano
forme di indeterminazione (vedi sotto), ebbene il numero trovato è il
limite voluto, senza troppe complicazioni.
Come esempio in cui non si può semplicemente sostituire a x il valore
x0 si consideri il limite seguente:
x2 − 4
.
x→2 x − 2
lim
Sostituendo infatti come primo tentativo a x il valore 2 troviamo 0/0,
che è una forma indeterminata. Sotto vedremo che questo limite vale 4.
155
Capitolo 7
Vediamo ora un altro esempio
1
.
x→0 x2
lim
Sostituendo al posto di x il valore 0 si avrebbe 1/0, che non ha senso.
Eppure, se x si avvicina a zero allora x2 si avvicina sempre di più a
zero, rimanendo positivo, e quindi 1/x2 tende a +∞, cosicché
1
= +∞.
x→0 x2
lim
Figura 7.18: grafico di y = 1/x2 . Al tendere di x a 0 1/x2 tende a +∞.
Se invece consideriamo la funzione f (x) = 1/x, allora troviamo che il
limite per x → 0 non esiste: infatti se x tende a zero da destra, allora
la funzione sembra tendere a +∞, mentre se x tende a zero da sinistra,
allora la funzione tende a −∞. In definitiva la funzione non ha limite.
In casi come quello illustrato or ora è opportuno allora poter distinguere
tra limite destro e limite sinistro: in tal caso infatti potremmo
dire che 1/x ha limite destro uguale a +∞ e limite sinistro uguale a
−∞, pur non avendo globalmente limite, sempre per x → 0.
Ecco come precisare le cose.
156
Capitolo 7
Figura 7.19: grafico di y = 1/x. Al tendere di x a 0, 1/x non ha limite.
7.5.5. Definizione. Sia f (x) una funzione assegnata. Si fissi un punto
x0 tale per cui (x0 , x0 + δ) appartenga al dominio di f , per un opportuno δ > 0.
Diremo allora che il numero reale L è il limite destro di f (x), per x
tendente a x0 , e scriveremo
lim f (x) = L,
x→x+
0
se f (x) si avvicina sempre più a L a mano a mano che x assume valori
sempre più vicini a x0 , restando sempre strettamente maggiore di x0 .
Diremo che il limite destro di f (x), per x tendente a x0 , è +∞ e
scriveremo
lim+ f (x) = +∞,
x→x0
se f (x) cresce sempre di più, a mano a mano che x assume valori sempre
più vicini a x0 , restando sempre strettamente maggiore di x0 .
Similmente, diremo che il limite destro di f (x), per x tendente a x0 , è
−∞ e scriveremo
lim f (x) = −∞,
x→x+
0
157
Capitolo 7
se f (x) diviene sempre più negativo, a mano a mano che x assume
valori sempre più vicini a x0 , restando sempre strettamente maggiore
di x0 .
7.5.6. Osservazione. Se esiste il limite L (finito o meno), per x →
x0 , di f (x), allora evidentemente esistono sia il limite destro ed il limite
sinistro di f (x), per x → x0 e coincidono entrambi con L.
Il viceversa non è in generale vero: abbiamo visto che la funzione 1/x
ha limite destro e limite sinistro diversi, e quindi non può avere limite,
per x → 0.
Figura 7.20: La funzione considerata non ha limite, per x → x0 , però ha
limite destro uguale ad a e limite sinistro uguale a b.
Se la teoria dei limiti si preoccupasse solo di confermare che
1
= 0,
x→+∞ x
lim
(o espressioni similmente ovvie), francamente, non si vedrebbe nemmeno il bisogno di riservarle un posto cosı̀ preminente nel vasto mare
della Matematica. Il problema è che invece si incontrano assai spesso
forme, cosiddette, indeterminate, per le quali la semplice valutazione
ad occhio non basta per concludere quale sia il limite dell’espressione
che stiamo considerando e bisogna sviluppare una teoria più consistente.
Ad esempio, quanto vale
lim (x2 − 2x)
x→+∞
?
158
Capitolo 7
E’ ben vero che se x tende a +∞, allora x2 tende a +∞. Ma dal canto
suo anche 2x tende a +∞ ed il segno meno tra le due espressioni rende
oscuro il comportamento finale dell’espressione: sia x2 che 2x tendono
a diventare grandi, ma quando se ne calcola la differenza cosa accade?
Le due espressioni si compensano in qualche modo, cosı̀ che ne risulta
un limite finito (magari 0)?
Oppure, una delle due espressioni prevale sull’altra cosı̀ tanto da risultare il termine dominante dell’intera espressione ed il limite risultante
è lo stesso limite di questo pezzo, come se l’altro non esistesse?
Oppure ancora, può anche essere che il limite non esista affatto, pur
esistendo il limite dei singoli pezzetti. . .
Be’, forse in questo caso specifico tutti questi dubbi appaiono meno
eclatanti di quanto non siano, visto che a tutti, bene o male, appare
ovvio che x2 − 2x è una funzione il cui grafico è rappresentato da
una parabola con la concavità rivolta verso l’alto e quindi, almeno
graficamente, si ha la netta idea che il limite risultante sia +∞, dovuto
alla prevalenza di x2 su 2x.
Ma che dire di questo limite:
p
lim
x2 + x − x ?
x→+∞
Il primo addendo tende a +∞, ed anche il secondo. La loro differenza,
sorprendentemente, tende invece a 1/2, anche se per ora questa rimane
un’affermazione senza motivazione.
Insomma, quando capita di incappare in una forma di indeterminazione (o forma indeterminata, o forma d’indecisione) bisogna
avere a disposizione degli strumenti specifici per dirimere la questione
che non siano la semplice intuizione.
Le forme di indeterminazione sono:
∞ − ∞,
0·∞,
0
,
0
∞
,
∞
00 ,
∞0 ,
1∞ ,
anche se noi non ci occuperemo mai delle ultime tre. Citiamo solo un
celebre esempio fra quelle che non incontreremo mai più:
1 x
lim 1 +
x→+∞
x
159
Capitolo 7
è un caso di forma indeterminata del tipo 1∞ . Si dimostra che tale
limite è finito e vale e.
• Rapporto di polinomi. Si consideri il limite, per n, m ∈ N 0 ,
an xn + an−1 xn−1 + · · · + a1 x + a0
.
x→+∞ bm xn + bm−1 xn−1 + · · · + b1 x + b0
lim
(5.2)
Se n e m sono entrambi non nulli si ha una forma indeterminata del
tipo ∞/∞, altrimenti il limite si calcola facilmente.
In tutti i casi il limite considerato dipende dai gradi n e m come segue:
Se
Il Limite (5.2) vale
n<m
0
n>m
±∞
n=m
an /bm
Nel secondo caso il segno da scegliere per ∞ dipende da an : se esso è
positivo, allora si sceglie +∞, altrimenti si prende −∞.
In pratica, basta raccogliere al numeratore ed al denominatore la x
elevata all’esponente maggiore, semplificare e calcolare il limite della
nuova espressione, che non dà più problemi.
Ad esempio, se si deve calcolare il limite
2x2 − 1
x→+∞ x3 − x
lim
si sa dalla tabella che il risultato è 0, infatti raccogliendo x 2 e x3 al
denominatore si trova effettivamente
→0
z }| {
2
2
x (2 − 1/x2 )
2x − 1
2
= lim 3
= 0.
lim
= lim
2
3
x→+∞ x (1 − 1/x )
x→+∞ x − x
x→+∞ x
| {z }
→0
160
Capitolo 7
Quindi, riassumendo, nel rapporto di polinomi per calcolare il limite a
+∞ basta considerare il limite del rapporto dei due monomi di grado
massimo ed omettere gli altri pezzi.
La stessa considerazione vale per x → −∞:
2x3
2x
2x3 − 8x2 + 27
=
lim
= −∞.
= lim
2
2
x→−∞ 54x
x→−∞ 54
x→−∞
54x − 8
lim
• Rapporti più generali. Le considerazioni svolte per il punto precedente valgono anche più in generale. Ad esempio per risolvere il limite
√
3x + x + 1
√
lim
x→+∞ 2x2 + 3 x − 5
possiamo convertire tutte le radici con gli esponenti, ottenendo — equivalentemente —
3x + x1/2 + 1
lim
x→+∞ 2x2 + x1/3 − 5
e poi si procede come prima, isolando i termini di grado massimo sopra
e sotto:
3
x(3 + 1/x1/2 + 1/x)
= 0.
= lim
2
5/2
2
x→+∞ x (2 + 1/x
− 5/x ) x→+∞ 2x
lim
• Esponenziali. La regola di base è questa:
ex
lim
= +∞
x→+∞ xn
e
lim xm ex = 0,
x→−∞
∀ n, m ∈ N0 . (5.3)
Ovvero, l’esponenziale tende all’infinito più rapidamente di ogni potenza
(comunque grande) di x, per x → +∞, e tende a zero più rapidamente
di ogni potenza di 1/x, per x → −∞. La prima proprietà si usa anche
in maniera reciproca, e si ha
xn
= 0,
x→+∞ ex
lim
∀ n ∈ N0 .
(5.4)
161
Capitolo 7
Ad esempio, se si deve calcolare il limite
x + ex
x→+∞ x2 + 1
lim
si isola al numeratore ex ed al denominatore x2 e, usando la (5.4) due
volte (una volta con n = 1, una volta per n = 2), si ha
→0
z }| {
ex (1 + x/ex )
ex
x + ex
=
lim
=
lim
= 0.
lim
x→+∞ x2 (1 + 1/x2 )
x→+∞ x2
x→+∞ x2 + 1
• Logaritmi. La regola di base concernente il comportamento all’infinito e a zero dei logaritmi è questa:
ln x
=0
e
lim xδ ln x = 0,
∀ ε, δ > 0.
(5.5)
x→+∞ xε
x→0+
Ovvero, il logaritmo tende all’infinito più lentamente di ogni potenza
(comunque piccola) di x, per x → +∞ e tende a −∞ più lentamente
di ogni potenza di 1/x, per x → 0+ . La prima delle due formula si può
anche scrivere come
xε
lim
= +∞,
∀ ε > 0.
(5.6)
x→+∞ ln x
Ad esempio
lim
→0
z }| {
√
x + ln x
x(1 + ln x/x)
√ = lim
x = +∞.
lim √
= lim √
x→+∞
x→+∞
x−8
x(1 − 8/ x) x→+∞
Come altro esempio calcoliamo
lim (x − ln2 x).
x→+∞
Si ha
√ √
lim x(1 − ln2 x/x) = lim x 1 − (ln x/ x) · (ln x/ x) = +∞
x→+∞
x→+∞
| {z } | {z }
→0
→0
Si noti che invece che al posto del segno − ci fosse stato il segno +,
allora non ci sarebbe stato bisogno di far conti addizionali, dal momento
che non si ha indeterminazione: +∞ + ∞ è +∞.
162
Capitolo 7
7.5.7. Osservazione. Le stesse formule (5.5) valgono per tutti i logaritmi con base maggiore di uno (e non solo ln x) e, con ovvie modifiche,
per tutti quelli con base minore di uno.
• Radici. Esaminiamo il limite di cui si è parlato di sfuggita sopra:
lim
x→+∞
p
x2 + x − x .
Si presenta una forma di indeterminazione del tipo +∞ − ∞. In questi
casi, quando sono presenti radici quadrate, conviene moltiplicare e dividere l’espressione data per l’espressione che si ottiene invertendo il
segno in mezzo:
lim
x→+∞
√
p
x2 + x + x
x2 + x − x · √
x→+∞
x2 + x + x
x2 + x − x 2
x
= lim √
= lim √
x→+∞
x2 + x + x x→+∞ x2 + x + x
x
p
= lim
x→+∞ x
1 + 1/x + 1
1
1
= lim p
= .
x→+∞
2
1 + 1/x + 1
p
x2 + x − x = lim
L’unico trucco usato qui è quello segnalato. In tal modo abbiamo sfruttato il prodotto notevole (a+b)(a−b) = a2 −b2 , riuscendo ad eliminare
la radice al numeratore. Poi abbiamo agito come al solito, raccogliendo
la x con l’esponente maggiore sopra e sotto e semplificando.
In effetti, ad essere davvero pignoli dovevamo scrivere
p
√ p
p
p
x2 − x = x2 (1 − 1/x) = x2 1 − 1/x = |x| 1 − 1/x.
Tuttavia, dato che x → +∞, abbiamo rimosso le sbarrette del valore
assoluto, infatti x risulta essere certamente positiva, almeno dopo un
po’ e quindi |x| = x. Invece se x → −∞ (o meglio, se x < 0), allora
√
x2 = −x, si presti attenzione!
163
Capitolo 7
Ad esempio,
lim
√
x→−∞
p
p
|x| (1 − 1/x2 )
x2 (1 − 1/x2 )
= lim
x→−∞
x
x
p
p
−x 1 − 1/x2
= lim
= lim − 1 − 1/x2 = −1.
x→−∞
x→−∞
x
x2 − 1
= lim
x→−∞
x
Limiti per x → x0 . Sino ad ora ci siamo soffermati sul caso in cui
x → ±∞, tralasciando l’eventualità in cui x tenda ad un valore finito.
In effetti, questo è il caso più semplice. Se infatti si presenta indeterminazione, allora significa che si deve semplicemente semplificare
l’espressione in maniera algebrica, altrimenti il limite è facile.
Vediamo qualche esempio.
x−5
.
x→5 x2 − 7x + 10
lim
In effetti, se x → 5, numeratore e denominatore tendono a 0. Il denominatore si fattorizza in (x − 5)(x − 2), come ormai si sa bene. Grazie a
questa scomposizione si trova
x−5
x−5
1
1
=
lim
=
lim
=
.
x→5 x2 − 7x + 10
x→5 (x − 5)(x − 2)
x→5 x − 2
3
lim
Un altro esempio è questo:
x3 − 1
.
lim
x→1 x2 − 1
Si ha una forma indeterminata della forma 0/0. Scomponendo l’espressione troviamo:
(x − 1)(x2 + x + 1)
x2 + x + 1
3
lim
= lim
= .
x→1
x→1
(x + 1)(x − 1)
x+1
2
Vediamo ora qualche esercizio di riepilogo sui limiti.
164
Capitolo 7
7.5.8. Esercizio risolto. Calcolare il limite seguente:
√
x2 − 1 + x + 1
.
lim
x→+∞
7x − 2
Soluzione. Si ha una forma indeterminata del tipo ∞/∞. √
Raccogliamo
2
x nella radice al numeratore e troviamo (ricordando che x2 = |x|)
p
√
|x| 1 − 1/x2 + x + 1
x2 − 1 + x + 1
= lim
.
lim
x→+∞
x→+∞
7x − 2
7x − 2
Osservando che x → +∞ possiamo scrivere x al posto di |x|. Quindi
si vede che la potenza maggiore al numeratore è 1 e raccogliamo la x.
Al denominatore la cosa è palese. In definitiva si ha
p
√
|x| 1 − 1/x2 + x + 1
x2 − 1 + x + 1
lim
= lim
x→+∞
x→+∞
7x − 2
7x − 2
p
x 1 − 1/x2 + 1 + 1/x
= lim
x→+∞
x(7 − 2/x)
p
1 − 1/x2 + 1
2
= .
= lim
x→+∞
7
7
7.5.9. Esercizio risolto. Si calcoli il limite
√
x2 − 3 x
lim
x→−∞ ln(1 − x)
Soluzione. Il numeratore tende a +∞, ed anche il denominatore tende
a +∞. Si ha quindi una forma indeterminata.
Al numeratore rac√
2
2
2
3
cogliamo senz’altro x e troviamo x − x = x (1 − 1/x5/3 ). Per
quanto riguarda il denominatore abbiamo
ln(1 − x) = ln(−x(1 − 1/x)) = ln(−x) + ln(1 − 1/x) .
|
{z
}
→0
In definitiva abbiamo allora
√
x2 (1 − 1/x5/3 )
x2 − 3 x
= lim
lim
x→−∞ ln(−x) + ln(1 − 1/x)
x→−∞ ln(1 − x)
x2
= lim
= +∞,
x→−∞ ln(−x)
per la proprietà (5.6).
165
Capitolo 7
7.5.10. Esercizio risolto. Si calcoli il limite
lim (ex − 8 log x + 2)
x→7
Soluzione. Non vi è alcuna forma di indeterminazione. Si ha semplicemente
lim (ex − 8 log x + 2) = e7 − 8 log 7 + 2.
x→7
7.5.11. Esercizio risolto. Calcolare il limite
lim ln
x→+∞
x−1
.
x+7
Soluzione. L’argomento del logaritmo presenta una forma di indeterminazione della forma ∞/∞, tuttavia è semplicissimo vedere che
(x − 1)/(x + 7) tende a 1, per x → +∞: basta raccogliere e poi semplificare la x a numeratore e denominatore. Allora
lim ln
x→+∞
x−1
= ln 1 = 0.
x+7
Altri esempi del calcolo di limiti verranno affrontati nel capitolo dedicato allo studio qualitativo delle funzioni.
166
8. DERIVATE
La derivata è un concetto fondamentale in matematica e pervade,
nelle applicazioni che ne scendono, ogni ramo delle scienze, dalla fisica,
alla chimica, alla biologia e cosı̀ via.
Noi, ligi allo scopo che ci siamo prefissi per questi Appunti, non ci
avventureremo che in un’esposizione rapida e senza troppi approfondimenti sull’argomento. In particolare verrà tralasciata l’intima relazione
che intercorre tra il concetto di derivata e quello di limite e daremo il
concetto di derivata e delle regole di derivazione assiomaticamente.
8.1.
Regole di derivazione
Cominciamo con il precisare, un po’ vagamente, ciò di cui parleremo.
8.1.1. Definizione. Sia assegnata una funzione f (x) definita in R (o
in un intervallo). Allora derivare f (x) significa trovare — quando ciò
è possibile — un’altra funzione, denotata f 0 (x), usando certe regole,
dette regole di derivazione. La funzione f 0 (x) trovata in tal modo
si dice derivata o funzione derivata di f (x).
Dunque, assegnata una data funzione derivabile, cioè, tale per cui esiste
la sua derivata, y = f (x), ne sapremo calcolare tale derivata una volta
chiarite quali siano le regole di derivazione.
8.1.2. Osservazione. La derivata di una certa funzione y = f (x) si
denota anche con y 0 , y 0 (x), oppure con Df (x), o anche con la notazione,
dy
,
dx
o
df
.
dx
Tutti questi simboli denotano lo stesso oggetto: la funzione che si trova
partendo da f ed applicando le regole di derivazione. Si tratta poi di
scegliere quella di volta in volta più conveniente. Noi useremo sempre
la notazione y 0 o f 0 , eventualmente scrivendo y 0 (x) o f 0 (x) quando
vorremo puntare l’attenzione sulla dipendenza da x della derivata.
167
Capitolo 8
8.1.3. Osservazione. Non è detto che di ogni funzione si possa calcolare la derivata: ad esempio non esiste la derivata di y = |x| (ecco
perché questa funzione semplice non compare nella tabella sottostante).
Tuttavia noi considereremo solo funzioni per cui la derivata esiste e non
ci porremo mai il problema a monte della sua esistenza.
Si tratta ora di dare queste regole di derivazione. Eccole:
#
Funzione: f
Derivata: f 0
1.
costante
0
2.
xα ,
α ∈ R,
αxα−1
3.
ax ,
a > 0,
(ln a)·ax
ex
4.
5.
loga x,
ex
a > 0, a 6= 1
1
(ln a)·x
6.
ln x
1
x
7.
f (x) + g(x)
f 0 (x) + g 0 (x)
8.
α·f (x),
α ∈ R,
α·f 0 (x)
9.
f (x)·g(x)
f 0 (x)·g(x) + f (x)·g 0 (x)
10.
f (x)
g(x)
f 0 (x)·g(x) − f (x)·g 0 (x)
11.
1
f (x)
12.
g f (x)
1
f (x)
g 0 f (x) ·f 0 (x)
g 2 (x)
−
2
Queste regole consentono di derivare una vasta classe di funzioni. Si
osservi che esse sono sovrabbondanti: ad esempio la 1 segue dalla 2 e
168
Capitolo 8
dalla 8, la regola 4 è un caso particolare della 3, cosı̀ come la 6 è un caso
particolare della 5, e la 11 della 10. Tuttavia, per chiarezza abbiamo
preferito scrivere di più dello stretto necessario.
Ad esempio:
(3x2 + 1)0 = (3x2 ) + 10 = 3(x2 )0 + 0 = 3·2x = 6x,
dove abbiamo usato la regola 7 per derivare la somma di due funzioni,
la 1 che dice che tutte le costanti hanno derivata nulla, la 8 che dice
che le costanti moltiplicative escono dal segno di derivata ed infine la 2
che insegna come derivare le potenze. Vediamo altri esempi:
(x8x )0 = 1·8x + x·(8x )0 = 8x + (ln 8)·x8x ,
qui abbiamo usato la regola della derivazione del prodotto (la 9), la 2 e
la 3, rispettivamente per derivare x (la cui derivata è 1) e per derivate
8x , (la cui derivata è 8x ln 8).
La radice quadrata si deriva (usando la regola 2) cosı̀:
0
√ 0
1
1
1
x = x1/2 = x1/2−1 = x−1/2 = √ .
2
2
2 x
La derivata della radice cubica è
0
0
√
1
1
1
3
x = x1/3 = x1/3−1 = x−2/3 = √
.
3
3
3
3 x2
Altro esempio:
ln x 0
x
(ln x)0 ·x − (ln x)·(x)0
=
=
x2
1
x ·x
− (ln x)·1
1 − ln x
=
.
2
x
x2
Qui abbiamo usato la regola di derivazione dei quozienti (la 10), la 6 e
la 2.
Veniamo alle funzioni composte ed alla relativa regola di derivazione
(la 12), finora inutilizzata.
Ad esempio, volendo derivare la funzione
y = (x2 − x)3
169
Capitolo 8
ci rendiamo conto che essa è della forma g f (x) , dove g(t) = t3 e
f (x) = x2 − x. Allora, per la 12 si deve derivare g(t) e poi sostituire
a t l’espressione f (x) e poi moltiplicare il tutto per f 0 (x). Si ha:
f (x)
y 0 = (x2 − x)
3 0
z }| {
2
2
= 3(x − x) · (x2 − x)0 = 3(x2 − x)2 (2x − 1).
| {z }
g 0 (f (x))
Il tutto sta nel riconoscere chi è la funzione più esterna g in una data
espressione composta. Ad esempio per la funzione
y=
p
x2 − log x
√
√
si ha che g(t) = t e f (x) = x2 − log x. Quindi g 0 (t) = 1/(2 t), si
sostituisce a t l’intera espressione f (x) e poi si moltiplica tutto per
f 0 (x). Sicché,
p
0
1
·(x2 − log x)0
x2 − log x = p
2
2 x − log x
2x − 1
x ln 10
(2 ln 10)x2 − 1
p
= p
=
.
2 x2 − log x
(2 ln 10)x x2 − log x
y0 =
Per la funzione composta
y=e
√
x
abbiamo che g(t) = et , mentre f (x) =
0
y = e
√ 0
x
=e
√
x
,
√
x. Quindi,
√
e x
1
√
= √ .
·
2 x
2 x
Naturalmente si possono incapsulare più di due funzioni, una nell’altra.
In tal caso si procede a tappe. Ad esempio se dobbiamo derivare
y=
p
ln(x2 − x)
170
Capitolo 8
√
consideriamo g(t) = t e f (x) = ln(x2 − x). A sua volta f (x) è
composta: f (x) = h(l(x)), con h(t) = ln t e l(x) = x2 − x. Procedendo
con calma abbiamo:
y0 =
p
0
1
ln(x2 − x) = p
·(ln(x2 − x))0 .
2
2 ln(x − x)
Ora dobbiamo derivare ln(x2 − x) ed anche qui usiamo la regola della
derivazione delle funzioni composte:
ln(x2 − x)
0
=
1
1
2
0
·(x
−
x)
=
·(2x − 1).
x2 − x
x2 − x
Mettendo tutto assieme troviamo
p
0
1
ln(x2 − x) = p
·(ln(x2 − x))0
2
2 ln(x − x)
2x − 1
1
1
√
·(2x − 1) =
= p
· 2
.
2(x2 − x) x2 − x
2 ln(x2 − x) x − x
y0 =
Come si vede l’operazione di derivazione delle funzioni risulta un’applicazione meccanica delle regole e con un po’ di pratica si acquista
una certa manualità. Invitiamo pertanto lo studente a svolgere molte
derivate. Ecco qualche esercizio.
8.1.4. Esercizio. Si derivino le seguenti funzioni:
√
√
a) x2 − 6x − 1; b) (x2 − 6x − 1)2 ; c) x4 − 20; d) ln(6x − x);
2
x
e) ex −2x ; f) ee ; g) √
(x − 1)/(x + 1); h) e2x /(2x − 3);
i) eln x ; j) xx ; k) ln( x + 1); l) (x + 1)/x2 ;
√
√
1−x2
m) 3 x2 − 6x; n) e x ; o) x2 ex ; p) 3x + 1.
8.2.
Interpretazione geometrica della derivata
Data una funzione y = f (x) derivabile, si ha il seguente notevole risultato, che investe di nuova luce il concetto di derivata.
171
Capitolo 8
Figura 8.1: grafico di una funzione e retta tangente nel punto x = x0 .
8.2.1. Proposizione. Sia f (x) una funzione derivabile definita in R o
in un intervallo e sia x0 un punto appartenente al suo dominio. Allora
f 0 (x0 ) (se ha senso calcolarlo), ovvero la derivata di f calcolata nel
punto x0 , rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente al
grafico della funzione nel punto P = (x0 , f (x0 )).
Ad esempio, supponiamo di voler calcolare l’equazione della retta tangente al grafico della funzione y = x2 , nel suo punto di ascissa x0 = 3.
Allora il coefficiente angolare della retta che stiamo cercando si trova
dapprima derivando la funzione: y 0 (x) = 2x. Poi si sostituisce alla x il
valore di x0 , cioè 3: si trova allora y 0 (3) = 6. La retta che cerchiamo è
allora della forma
y = 6x + q,
e rimane da determinare q. Per questo imponiamo il passaggio della
retta per il punto P = (2, 9) (9 è f (x0 ), cioè 32 ). Troviamo
9 = 6·3 + q,
da cui
q = −9.
172
Capitolo 8
L’equazione voluta è quindi
y = 6x − 9.
Per gli amanti delle formule diamo l’espressione generale della retta
tangente, anche se nei casi concreti conviene procedere come abbiamo
illustrato.
L’equazione della retta tangente al grafico della funzione y = f (x) nel
suo punto di ascissa x0 è
y − f (x0 ) = f 0 (x0 )(x − x0 ).
(2.1)
Ad esempio, nel caso della funzione y = x2 si ha che nel generico punto
del suo grafico P = (x0 , x20 ) la tangente ha equazione
y − x20 = 2x0 (x − x0 ),
ovvero,
y = 2x0 ·x − x20 .
Infatti, sostituendo a x0 il valore 3 troviamo di nuovo y = 6x − 9, come
sapevamo già.
Figura 8.2:
cissa x0 = 3.
grafico di y = x2 e della retta tangente nel suo punto di as-
173
Capitolo 8
8.2.2. Esercizio risolto. Si determini la retta tangente al grafico
della funzione y = ex , nel suo punto di ascissa x = 0.
Soluzione. Il coefficiente angolare della retta cui si è interessati è
y 0 (0), ovvero 1, visto che (ex )0 = ex e e0 = 1. Pertanto, la retta
soluzione è del tipo
y = x + q.
Rimane da determinare q: per questo imponiamo che la retta passi per
il punto del grafico (0, e0 ), cioè per (0, 1). Si trova che q = 1 e quindi
la soluzione è data dalla retta y = x + 1.
Sbrigativamente, con la (2.1) (per x0 = 0) avremmo subito trovato
y − 1 = 1·(x − 0),
ovvero,
y = x + 1,
ritrovando lo stesso risultato ottenuto per altra via.
8.2.3. Osservazione. A suo tempo si era detto che la scelta di e come
base per gli esponenziali è conveniente. Un motivo fondamentale viene
dal fatto che (ex )0 = ex , il che, tra l’altro, implica che la tangente al suo
grafico nel punto (0, 1) è parallela alla bisettrice del I-III quadrante.
8.3.
Derivate e monotonia
La derivata f 0 di una funzione f è legata agli intervalli di monotonia
di f . Per chiarire di cosa si tratta, precisiamo la nozione di monotonia.
8.3.1. Definizione. Una funzione f (x) è crescente in un intervallo I
se per a < b si ha f (a) ≤ f (b), per ogni a e b appartenenti a I.
Analogamente, una funzione f (x) è decrescente se per a < b si ha
f (a) ≥ f (b), per ogni a e b appartenenti a I.
La proposizione fondamentale che lega monotonia e derivate è questa:
174
Capitolo 8
Figura 8.3: esempio di funzione crescente (a sinistra) e di funzione decrescente (a destra) in tutto l’intervallo (−∞, +∞).
Figura 8.4: Funzione crescente fino ad a, decrescente tra a e b e crescente
da b in avanti.
8.3.2. Proposizione. Sia f una funzione e f 0 la sua derivata. Allora
negli intervalli in cui f 0 ≥ 0 la funzione f è crescente, mentre negli
intervalli in cui f 0 ≤ 0 la funzione è decrescente.
8.3.3. Esempio. Ritroviamo un fatto noto: la funzione y = x2 ha per
derivata y 0 = 2x. Evidentemente y 0 > 0 per x > 0 e y 0 < 0 per x < 0.
Allora la funzione y = x2 risulta decrescente in (−∞, 0) e crescente in
(0+, ∞), come sappiamo.
3
0
2
8.3.4. Esempio. La funzione
√ − 1, al
√ y = x − x√ha derivata y = 3x
quale
√ è positiva per x < −1/ 3 o x > 1/ 3 e negativa −1/ 3 ≤ x ≤
1/ 3. Questa considerazione ci aiuta a disegnare il grafico di y, come
vedremo meglio nel capitolo successivo.
175
Figura 8.5: grafico della funzione y = x3 − x: si osservino gli intervalli di
monotonia, trovati derivando la funzione data.
9. Studio di funzioni
In questo capitolo ricorriamo a tutti gli strumenti esaminati sino
ad ora con lo scopo di poter disegnare il grafico di alcune funzioni non
troppo complicate.
Assegnata una funzione y = f (x) si dovrà essere in grado di disegnare
il grafico in maniera qualitativa. I quattro gradini fondamentali da
percorrere per raggiungere lo scopo sono le determinazioni di:
1.
2.
3.
4.
Dominio
Segno
Limiti
Derivata
1. Inizialmente si tratta di stabilire i punti x ∈ R per i quali è definita
la funzione y = f (x). Ad esempio y = 1/x non è definita per x = 0,
176
Capitolo 9
pertanto il dominio massimale in cui questa funzione è definita è R\{0}.
Oppure per y = ln(x−1), bisognerà imporre che sia x−1 > 0, trovando
in tal modo che il dominio della funzione è dato dall’intervallo (1, +∞).
Stabilire il dominio di una funzione è importante ed a questo punto è
già opportuno escludere vistosamente sul piano cartesiano i punti che
non possono appartenere al grafico della funzione.
Figura 9.1: esempio di dominio di una certa funzione: essa è definita per
x ≤ −6, −2 ≤ x < 1 e x > 2. Tutti i punti che non hanno ascissa in questo
range vengono esclusi dal grafico (quelli nella zona occupata dai mattoni).
I punti che più frequentemente capita di dover escludere sono questi:
•
Punti che annullano i denominatori;
•
Punti che che rendono negativo l’argomento delle radici di indice
√ √
pari ( , 4 , . . . );
•
Punti che che rendono negativo l’argomento dei logaritmi.
2. Ora bisogna capire che segno ha la funzione y = f (x) data, ovvero
dove il suo grafico sta sopra all’asse delle x e dove sta sotto. Si tratta
dunque di risolvere la disequazione
f (x) ≥ 0.
Negli intervalli in cui questa disequazione è verificata il grafico della
funzione è positivo, nei rimanenti esso è negativo. Pertanto, anche
qui, si possono escludere altre zone del piano, poiché se in un dato
intervallo f è positiva, allora non può mai scendere sotto l’asse delle x
177
Capitolo 9
(e si elimina allora tutta la zona sottostante), mentre se in un dato
intervallo la funzione è negativa, allora si elimina la parte soprastante,
tanto il grafico di f non potrà superare l’asse delle x in quel dato
intervallo.
Il tipo di disequazione da risolvere dipenderà ovviamente da come è
fatta f : potrebbe trattarsi di una disequazione di secondo grado, se ad
esempio f (x) = x2 − 3x − 1, oppure di una disequazione con le radici,
o con esponenziali e logaritmi o altro ancora. A questo tema abbiamo
dedicato interamente il Capitolo 6.
Figura 9.2: proseguiamo con l’esempio di prima: risolta la disuguaglianza
per il segno si scopre che f è negativa in (−∞, 6) e si esclude quindi la parte
sopra (zone in grigio). Tra −6 e −2 la funzione non è definita, poi essa è negatva fino a 0, positiva da 0 fino a 1, negativa tra 2 e 3 ed infine essa è positiva dal punto 3 in avanti.
3. Arrivati a questo punto si guardano i limiti della funzione. Se
è possibile si cercano i limiti per x → ±∞ (perché questo sia fattibile, la funzione deve essere definita almeno in una zona della forma
(−∞, −a) ∪ (a, +∞), altrimenti√uno o nessuno dei limiti può essere
calcolato). Ad esempio per y = x ha senso calcolare solo il limite per
x → +∞, visto che la funzione è definita solo per x ≥ 0.
Una volta visto cosa accade all’infinito bisogna guardare cosa capita
nei punti che si sono esclusi dal dominio (o negli estremi degli intervalli
esclusi) al punto 1, eventualmente calcolando limiti destri e sinistri.
Ad esempio per la funzione ln(x2 − 1), oltre ai limiti per x → ±∞, sarà
opportuno calcolare anche i limiti per x → 1+ e x → −1− (tra −1 e 1
la funzione non è definita!).
Si presti attenzione al seguente fatto: se lo studio del segno di f (x) è
178
Capitolo 9
stato fatto correttamente, allora non può capitare che un limite finisca
nella zona grigia. Ad esempio, riferendoci al disegno di sopra, non può
capitare che il limite per x → 2+ sia positivo, visto che la funzione non
può salire sopra l’asse delle x. Pertanto se facendo i conti saltasse fuori
un limite positivo o si è sbagliato il calcolo del limite o il segno della
funzione in quella zona.
Figura 9.3: proseguendo l’esempio, segnamo sul grafico i limiti della funzione: per x → −∞ il limite è −∞, per x → 1− il limite vale +∞, per x →
2+ il limite è 0 ed infine, per x → +∞ il limite trovato è 1.
3. In ultimo deriviamo la funzione data. Lo studio del segno della
derivata ci rivela gli intervalli di monotonia della funzione. Risolviamo
pertanto
f 0 (x) ≥ 0
e negli intervalli in cui la disuguaglianza è verificata si avrà che la
funzione f (x) è crescente, negli altri sarà decrescente. Arrivati a questo
punto si mettono assieme tutte le informazioni e si cerca di disegnare
il grafico qualitativo della funzione data.
9.1.
Esempi e commenti
Vediamo di applicare in un esempio concreto tutto l’apparato descritto
fino ad adesso.
179
Capitolo 9
Figura 9.4: derivando, in questo esempio, si vede che la funzione cresce fino
a −6, poi decresce da −1 fino a −1,8, poi riprende a crescere fino a 1. Da 2,
fino a 2, 6 la funzione decresce, da 2,6 fino 5 la funzione cresce. In ultimo, da
5 in avanti la funzione decresce.
9.1.1. Esercizio risolto. Studiare la funzione
√
x2 − 1
.
y=
x
Soluzione. 1. Per quanto riguarda il dominio vi sono due tipologie di problemi: da un canto dobbiamo imporre che l’argomento della
radice quadrata sia non negativo, altrimenti non è possibile calcolarne
la radice. In secondo luogo vi è un denominatore e dobbiamo quindi
imporre che esso non sia nullo. Pertanto dobbiamo prendere le x tali
per cui x2 − 1 ≥ 0 e tali che x 6= 0. La prima disuguaglianza vale per
x ≤ −1 o x ≥ 1. dato che queste x sono già diverse da 0, la condizione
x 6= 0 è sovrabbondante.
Riassumendo: il dominio è x ≤ −1 o x ≥ 1.
2. Il segno, per questa funzione, è semplice: la radice, quando esiste,
è sempre positiva; pertanto, a decidere il segno dell’intera frazione è
il denominatore, il quale ha una struttura semplicissima. Quindi la
funzione è positiva per x > 0, negativa per x > 0 e si annulla in ±1.
3. Gli unici due limiti cha ha senso calcolare sono limx→±∞ y(x). Entrambi danno una forma indeterminata del tipo ∞/∞. Cominciamo
con il primo:
p
p
√
|x| 1 − 1/x2
x 1 − 1/x2
x2 − 1
= lim
= lim
= 1.
lim
x→+∞
x→+∞
x→+∞
x
x
x
180
Capitolo 9
L’altro limite si calcola analogamente, restando attenzione al segno:
p
√
|x| 1 − 1/x2
x2 − 1
= lim
lim
x→−∞
x→−∞
x
x
p
−x 1 − 1/x2
= −1.
= lim
x→−∞
x
Pertanto la funzione ha un asintoto orizzontale destro (la retta y = 1
ed un asintoto orizzontale sinistro (la retta y = −1).
4. Veniamo al calcolo della derivata. Si trova, dopo un conto semplice,
√ 2
0
x −1
1
0
y =
.
= √
x
x2 x 2 − 1
La derivata è sempre positiva, pertanto la funzione risulta crescente in
(−∞, −1] e in [1, +∞).
Ecco il grafico finale.
Figura 9.5: grafico finale della funzione dell’Esercizio 9.1.1.
9.1.2. Esercizio risolto. Studiare la funzione
x−1
.
y= 2
x −x+1
Soluzione. 1.
vendo
Controlliamo dove si annulla il denominatore, risolx2 − x + 4 = 0.
181
Capitolo 9
Si ha ∆ = −15 < 0, pertanto il trinomio ha sempre lo stesso segno.
Si controlla subito che esso è sempre positivo. Pertanto, non essendoci
problemi al denominatore, il dominio della funzione è tutto R.
2. Anche il segno è semplice: grazie al punto precedente sappiamo
che il denominatore è sempre positivo. Il numeratore è positivo per
x − 1 > 0, cioè per x > 1; è negativo per x < 1 e si annulla in x = 1 e
questo è il comportamento dell’intera frazione.
3. Calcoliamo i due limiti limx→±∞ y(x). Si ha subito, in virtù delle
regole per i limiti di rapporti di polinomi,
x−1
= 0.
x→±∞ x2 − x + 1
lim
4. Calcoliamo la derivata della funzione data:
x − 1 0
x(2 − x)
y =
=
.
x2 − x + 1
(x2 − x + 1)2
0
Il denominatore è sempre positivo. Vediamo il numeratore:
x(2 − x) ≥ 0
Il segno si trova costruendo la solita
tabellina. Si vede che la derivata è
positiva per 0 ≤ x ≤ 2.
Pertanto, come indicano le freccine, la funzione è decrescente fino a 0,
poi cresce fino a 2 e poi decresce fino a +∞. Per x = 0 e x = 2 si ha
y 0 = 0. Il grafico è riportato in figura.
I punti in cui la derivata cambia di segno sono detti punti di massimo
e punti di minimo relativo, a seconda che la derivata passi da positiva a negativa o da negativa a positiva: in effetti, guardando il grafico
di questo esempio ci si rende conto del motivo. Nel nostro disegno essi
sono anche punti di massimo assoluto, ma in generale l’ordinata corrispondente a questi punti è solo localmente un massimo od un minimo
per la funzione.
182
Capitolo 9
Figura 9.6: grafico finale della funzione dell’Esercizio 9.1.2.
.
9.1.3. Esercizio risolto. Studiare la funzione
2
y = e−x .
Soluzione. 1. Il dominio è tutto R, dato che non vi sono problemi
di sorta nel valutare l’espressione data in ogni punto.
2. Il segno è semplicissimo: poiché la funzione ex è sempre positiva
e non si annulla mai, concludiamo che la nostra funzione è sempre
positiva e non si annulla mai.
3. Occorre studiare solo i limiti all’infinito e si ha facilmente:
2
lim e−x = 0.
x→±∞
4. La derivata della funzione vale
2 0
2
y 0 = e−x = −2xe−x .
Essa è positiva per x < 0, negativa per x ≥ 0. Pertanto, la funzione
cresce fino a 0, qui ha un massimo (che vale 1), e poi decresce fino
a +∞.
183
Capitolo 9
Figura 9.7: grafico della funzione dell’Esercizio 9.1.3: si osservi come
la funzione tenda rapidamente a zero, al tendere di |x| all’infinito. A questa
funzione (e a sue modificazioni), per l’importanza che riveste in probabilità e
statistica, viene dato un nome proprio: si chiama funzione gaussiana.
184
10. SOLUZIONI DI TUTTI
GLI ESERCIZI
Capitolo 1
1.1.1. E’ una proposizione falsa.
1.2.3. a) Significa che ogni numero ha un numero opposto. b) Sı̀, x = 0
verifica la relazione (ed è anche l’unico numero con questa proprietà).
1.3.2. E’ vera, anzi è sempre vera, indipendentemente dai valori di
verità di P e di Q. La proposizione esprime il fatto che negare che
valgano contemporaneamente due proposizioni equivale a dire che deve
valere almeno una delle due proposizioni negate.
Capitolo 2
2.3.7. Si ottiene A.
2.7.1. Sono i numeri {0, −1, −2, . . .}. Ci si era ricordati di 0?
2.7.2. a) A ∩ B = {5}; b) A ∪ B = R; c) A \ B = {x ∈ R : x > 5};
B \ A = {x ∈ R : x < 5}.
d)
Capitolo 3
3.2.8. La funzione f è sia iniettiva, sia suriettiva e pertanto essa è una
corrispondenza biunivoca.
3.5.4. Im(f ) = {x ∈ R : x ≥ −1}. Non è suriettiva, in quanto Im(f )
differisce dal codominio. La funzione non è invertibile, in quanto non
è suriettiva.
3.5.5. Im(f ) = {a, c}. Non è suriettiva, in quanto b e d non appartengono
a Im(f ). La funzione non è invertibile, in quanto non è suriettiva.
√
3.5.6. Risolviamo rispetto a x: x2 + 2x = y . Troviamo x = −1 + 1 + y .
La funzione trovata è definita dai reali positivi a valori nei reali positivi.
3.5.7. a) Sono 9; b) Sono 6.
3.5.8. No, una volta assegnate le immagini dei 5 elementi del dominio in
maniera univoca, rimane almeno un elemento scoperto nel codominio.
3.5.9. No, una volta assegnate 5 immagini distinte dei 5 elementi del dominio, il sesto elemento deve essere per forza associato ad un elemento
già coperto nel codominio.
3.5.10. Sı̀. Se essa è iniettiva significa che l’immagine di f ha almeno
k elementi. Ma allora l’immagine coincide con il codominio e concludiamo che essa è anche suriettiva. Se f è suriettiva ognuno dei k elementi
185
del codominio proviene da almeno un punto del dominio, e ciò è possibile se e solo se due punti qualunque del dominio non hanno la stessa
immagine, ovvero se e solo se f è iniettiva.
Capitolo 4
4.1.3. Vi sono n1 = 10 modi per posizionare la prima rotella, n2 = 10
modi per posizionare la seconda e n3 = 10 per posizionare la terza. In
tutto ci sono allora 10·10·10 = 1 000 combinazioni segrete.
4.1.4. Sono solo 105 = 100 000, il che significa che più persone hanno
lo stesso codice segreto (il quale da solo, evidentemente, non basta per
prelevare soldi, ma vi sono altri parametri identificativi in gioco che lo
rendono “unico”).
4.1.7. (1) Si hanno n1 = 4 modi per scegliere la prima lettera, n2 = 4
modi per scegliere la seconda e n3 = 4 modi per scegliere la terza. In
definitiva vi sono 4·4·4 = 64 parole di tre lettere possibili.
(2) Si hanno n1 = 4 modi per scegliere la prima lettera, n2 = 4 modi per
scegliere la seconda e n3 = 3 modi per scegliere la terza (non possiamo
prendere la d).
In definitiva vi sono 4·4·3 = 48 parole di tre lettere possibili, che non
terminano per d.
(3) Se due delle tre lettere sono b, rimane da scegliere la lettera mancante. Tale scelta può essere fatta in n2 = 3 modi.
Si tratta ora di dire in quanti modi posso scrivere due b in una parola
di tre lettere. Vi sono esattamente n1 = 3 modi per farlo: bb∗, b∗b e
∗bb, pertanto le parole contenenti due lettere b sono n1 ·n2 = 3·3 = 9.
(4) Si procede esattamente come prima, all’infuori del fatto che alle 9
parole che hanno due b di sopra bisogna aggiungere la parola bbb, che
prima non era stata ammessa.
Si hanno in definitiva 10 parole di tre lettere contenenti almeno due b.
4.2.6. Occorre calcolare D(7, 4). Infatti si contano tutte le liste di quattro sedie: si fa sedere la prima persona sulla prima sedia in lista, la
seconda sulla seconda e cosı̀ via. Si ha pertanto D(7, 4) = 7·6·5·4 = 840.
4.2.7. Si calcolano in modi possibili in cui le prime due sono uguali (e
la terza diversa). Poi i modi in cui la prima e l’ultima sono uguali (e
la seconda diversa), ed infine i modi in cui la seconda e la terza sono
uguali (e la prima diversa). Si somma tutto e si trova il numero voluto.
Ognuno di questi numeri vale 8·7 (8 modi per scegliere il colore delle
due biglie uguali, 7 modi per aggiungere la terza biglia). Il risultato è
allora 8·7·3 = 168.
4.2.8. Ci sono D(5, 2) = 20 modi di estrarre due palline rosse e ci sono
D(2, 2) = 2 modi per estrarre due palline verdi. In definitiva ci sono
20·2 = 40 modi per avere due palline rosse seguite da due palline verdi.
186
4.2.9. Ci sarebbero ora 52 = 25 modi per estrarre le palline rosse, e ci
sarebbero 22 = 4 modi per estrarre quelle verdi. Ci sarebbero quindi
25·4 = 100 modi possibili per avere due palline rosse seguite da due
verdi.
4.3.5. Vi sono D(5, 5) = 120 modi diversi per affiancarli.
4.3.6. Ci sono D(3, 3) modi di disporre le tre materie sullo scaffale:
Geografia, Storia, Matematica, oppure Matematica, Geografia, Storia,
ecc.
Per ognuno di questi modi posso permutare l’ordine interno dei libri di
una stessa materia. In definitiva ci sono D(3, 3)·D(5, 5)·D(3, 3)·D(4, 4) =
103 680 modi diversi di allineare tutti i libri, con il vincolo voluto.
4.3.7. Basta considerare tutti i possibili modi per mettere a posto 3+2 =
5 libri e togliere da questo numero i modi in cui i libri della stessa
materia siano affiancati, come abbiamo visto nell’Esercizio 4.3.6: ci
sono D(5, 5) = 120 modi per disporre cinque libri, senza nessun criterio.
Poi ci sono D(2, 2)·D(3, 3)·D(2, 2) = 24 modi di riporre i libri, tenendo
vicini i libri con la stessa materia.
Quindi ci sono 120 − 24 = 96 modi di mettere i libri in modo che non si
abbia vicinanza delle materie.
4.5.2. Si hanno sei simboli, fra cui 3 e 2 sono, rispettivamente, uguali
fra loro. Pertanto si hanno 6!/(3!2!) = 60 possibili segnali diversi.
4.7.4. Li contiamo: ce n’è uno senza elementi (l’insieme vuoto), ce ne
sono 6 con un solo elemento, ce ne sono C(6, 2) = 15 di due elementi,
C(6, 3) = 20 di tre, C(6, 4) = 15 di quattro, C(6, 5) = 6 di cinque ed infine
un solo sottoinsieme di 6 elementi (l’insieme stesso). In tutto ci sono:
1 + 6 + 15 + 20 + 15 + 6 + 1 = 64 sottoinsiemi.
4.7.7. Contiamo, procedendo come nell’Esercizio 4.7.6, quante sono le
parole con esattamente 4 a, quelle con esattamente 3 a e quelle con
esattamente 2 a. La somma di tali numeri sarà la risposta voluta.
La parola con 4 a è solo aaaa; quelle con 3 a sono in numero di C(4, 3)·3 =
12, mentre quelle con due a sappiamo essere C(4, 2)·32 = 54. In tutto ci
sono 1 + 12 + 54 = 67 parole di 4 lettere con almeno due a.
4.7.8. Ho n1 = 4 modi per scegliere due lettere uguali. Fissate queste
due lettere ho C(4, 2)·9 modi per scrivere le parole che hanno quelle due
lettere uguali, grazie agli esercizi svolti in precedenza. In tutto ci sono
allora 4·54 = 216 parole di quattro lettere con esattamente due lettere
uguali.
4.7.9. Ci sono C(20, 11) modi per farlo, ovvero C(20, 11) = 20!/(11!9!) =
167 960.
4.7.10. Ci sono C(7, 4) modi per scegliere 4 difensori tra i 7 possibili;
ci sono C(6, 3) modi per scegliere 3 centrocampisti tra i 6 possibili, ci
187
sono C(4, 3) modi per scegliere 3 attaccanti tra i 4 possibili ed in ultimo
ci sono C(3, 1) modi per scegliere 1 portiere tra i 3 possibili.
In tutto ci sono quindi C(7, 4)·C(6, 3)·C(4, 3)·C(3, 1) = 8 400 modi per
assemblare la squadra.
4.7.11. Sono C(4, 2) = 6: ogni strada corrisponde alla scelta di due città
diverse entro la lista di quattro nomi.
4.7.12. Il numero di strette di mano è C(10, 2) = 45, dato che ogni
stretta di mano può essere vista come la scelta di due persone distinte
in un gruppo di 10.
4.7.13. Ci sono C(8, 2) abbinamenti per le coppie (i poker non vengono considerati doppia coppia). Una volta scelto l’abbinamento, ad
esempio Re–Asso o 7–Fante, bisogna contare in quanti modi si può
avere doppia coppia quel quel dato abbinamento. Posso avere C(4, 2)
tipi di coppia di Re e C(4, 2) coppie di assi. Quindi in tutto ci sono
C(8, 2)·C(4, 2)·C(4, 2) = 28·6·6 = 1 008 doppie coppie possibili.
4.7.14. Vi sono otto tipi di tris (di 7, di 8, . . . , di Re e di Assi). Per
ognuno di questi tipi di tris devo contare le possibili combinazioni del
seme. Per ogni tipo di tris avrò C(4, 3) = 4 tris effettivi. In tutto ci
sono allora 8·4 = 32 tris possibili.
4.9.1. Scegliamo la coppia da far entrare nel gruppo in 6 modi diversi.
La cosa da capire è ora come scegliere la non-coppia (cioè le due persone non sposate fra di loro): fra le dieci persone ora rimaste scegliamo
il primo membro della non-coppia da far entrare nel gruppo e ciò può
essere fatto in 10 modi diversi. Poi, scegliamo la seconda persona della
non-coppia fra le nove persone rimaste: ciò può essere fatto in 8 modi diversi (non posso infatti scegliere il coniuge della prima persona scelta).
In tutto ci sono 10·8 modi per scegliere ordinatamente una non-coppia.
Dato che l’ordine con cui formo la non-coppia è indifferente, devo dividere 80 per 2! = 2 e trovo pertanto 40. Il numero complessivo di modi
per scegliere quattro persone, delle quali due sono sposate, fra 6 coppie
è dunque 6·40 = 240
4.9.2. Le quattro persone possono essere scelte cosı̀: prima si decide
da quali coppie provengono: ci sono C(6, 4) = 15 modi per fare questa
scelta. Una volta fatta questa scelta, basta decidere se, in ogni coppia,
si prende l’uomo o la donna. Tale scelta va fatta 4 volte, quindi si
hanno 24 possibili scelte dei sessi. In tutto, ci sono allora 15·16 = 240
modi per organizzare il gruppetto di quattro senza che vi siano coppie.
4.9.3. Perché la somma sia dispari una carta deve essere pari e l’altra
dispari. Vi sono allora 5·5 modi differenti di estrarre due carte con
somma dispari.
Per avere somma pari due le due carte devono essere o entrambe dispari,
o entrambe pari: ci sono quindi C(5, 2) + C(5, 2) = 20 modi per estrarre
188
due carte in modo che la loro somma sia pari.
Si osservi che la somma di tutti i modi in cui si pescano due carte con
somma dispari e tutti quelli in cui si pescano due carte con somma pari
deve restituire il numero complessivo delle delle possibili estrazioni di
due carte, ovvero C(10, 2) = 45. Infatti abbiamo 25+20 = 45, come deve
essere.
4.9.4. Ci sono 14 pezzi funzionanti e pertanto ci sono C(14, 2) = 91
modi di sceglierne due. Ci sono poi C(5, 2) = 10 modi per scegliere due
pezzi difettosi nel gruppo dei quattro pezzi malfunzionanti. In tutto ci
sono quindi 91·10 = 910 modi possibili per formare gruppetti da quattro
pezzi, di cui 2 siano guasti.
4.9.5. Vi sono |P(2,5,4) (11)| = 11!/(2!·5!·4!) = 6 930 modi possibili per
farlo.
4.9.6. La prima delle due persone “inseparabili” può occupare 7 posti,
poi la seconda si piazza dietro. Contando che possono anche scambiarsi
di posto, ci sono 14 modi per allocare queste due persone nella fila.
Ciò fatto, le rimanenti 6 persone si possono permutare in tutti i modi
possibili senza problemi. Allora ci sono in totale 14·6! modi possibili
per raggiungere lo scopo.
4.9.7. Posso scegliere C(13, 2) = 78 coppie di vertici diversi. Ora scarto
le coppie che contengono vertici consecutivi, queste sono ovviamente 13.
Dunque posso tracciare 78−13 = 65 diagonali, dato che ho una diagonale
per ogni coppia di vertici non consecutivi.
In generale, se un poligono regolare ha n ≥ 3 lati, allora posso tracciare
C(n, 2) − n = n(n − 3)/2 diagonali.
4.9.8. Tutti i modi possibili di collegare le case fra loro sono C(4, 2) = 6.
Dato che il collegamento tra B e D salta, ne rimangono 5.
4.9.9. O si siede un ragazzo per primo, oppure una ragazza. Una volta
scelto ciò, ci sono 4! modi sedersi dei ragazzi, potendosi permutare fra
loro, e 4! modi per sedersi delle ragazze, potendosi scambiare di posto
fra loro.
In definitiva ci sono 2·4!·4! = 1 152 possibilità.
4.9.10. Giacomo e Irene possono sedersi su 7 possibili coppie di sedie
adiacenti ed ogni volta possono scambiarsi di posto, Dunque Giacomo
e Irene hanno 14 modi per potersi sedere. Una volta seduti il modo di
alternarsi tra ragazzi e ragazze resta deciso e rimane solo ai 3 ragazzi
e alle 3 ragazze rimanenti la possibilità di permutarsi di posto fra loro.
Ci sono quindi 14·3!·3! = 504 modi possibili di sedersi, rispettando i
vincoli.
4.9.11. I modi in cui ragazzi si siedono alternandosi sono 1 152, per
quanto visto nell’Esercizio 4.9.9. I modi in cui ragazzi si siedono alter189
nandosi e Giacomo ed Irene siedono vicini sono 504, per quanto visto
nell’Esercizio 4.9.10.
Allora la differenza fra 1 152 e 504, cioè 648, indica il numero dei modi
in cui i ragazzi e le ragazze si possono sedere alternandosi, senza che
Giacomo ed Irene siano vicini.
4.9.12. a) La prima cifra può essere scelta in 3 modi diversi (precisamente 7, 8 e 9); la seconda cifra può essere scelta in 9 modi diversi,
dato che non si vogliono ripetizioni. L’ultima cifra può essere scelta in
8 modi diversi. Pertanto i numeri maggiori di 700 sono 3·9·8 = 216.
b) L’ultima cifra del numero in questione può essere scelta in 5 modi diversi (deve essere dispari). La seconda cifra può essere scelta in 9 modi
differenti. Fino ad ora abbiamo allora 9·5 = 45 code possibili per il nostro numero: ∗xy . Per 5 di questi numeri, precisamente quelli con forma
∗0y posso scegliere ∗ in otto modi differenti ed avrò allora in totale 40
numeri dispari della forma x0y . Per gli altri 40 numeri della forma ∗xy ,
con x 6= 0 posso scegliere la prima cifra in soli 7 modi differenti, infatti
non posso prendere né x, né y , né lo 0 come cifra iniziale del numero.
Pertanto abbiamo 7·40 = 280 numeri dispari che non abbiano lo zero in
seconda posizione. In tutto allora ci sono 40 + 280 = 320 numeri dispari
di tre cifre distinte.
c) Un numero è divisibile per cinque se e solo se termina per 0 o per
5. I numeri che terminano per 0 sono 8·9 = 72 (seconda cifra scelta in
9 modi e prima cifra in 8 modi differenti). I numeri che finiscono per
5 sono tutti quelli della forma ∗05 (e questi sono 8) oppure quelli della
forma ∗x5, con x 6= 0 e questi sono 7·8 = 56. In tutto i numeri divisibili
per 5 sono 72 + 8 + 56 = 136.
4.9.13. Ci sono C(5, 2) modi di scegliere le vocali distinte che entreranno
nella parola che vogliamo e ci sono C(16, 3) modi di scegliere le consonanti distinte che entreranno nella parola. Poi ci sono 5! modi di permutare tutte le lettere scelte. In definitiva ci sono C(5, 2)·C(16, 3)·5! =
672 000 parole di 5 lettere con 2 vocali e 3 consonanti distinte.
Capitolo 5
5.1.3. Denotiamo con p la probabilità del dado non truccato e con p0
la probabilità di uscita delle facce sul dado truccato.
Osserviamo innanzi tutto che l’evento “non viene il 6” equivale all’evento
“viene 1, oppure 2, oppure 3, . . . , oppure 5”.
Ciò detto, la probabilità che non venga 6 con il dado non truccato è
p(1) + · · · + p(5) = 5/6; la probabilità che non venga 6 sul dado truccato
uguale a p0 (1) + · · · + p0 (5) = 15/21 < 5/6, dunque è più probabile che
non venga 6 sul dado non truccato.
5.2.8. Lo spazio degli eventi Ω ha ora Dr (40, 2) = 402 elementi: tutte le
estrazioni ordinate di due carte con reinserimento.
190
I modi di estrarre due Assi sono ora 42 = 16, mentre i modi per avere
un solo asso sono 2·4·36 = 288. Quindi p = 304/1600 = 19%. Anche qui
possiamo ragionare sull’evento complementare: la probabilità di non
pescare Assi è (36·36)/1 600, infatti si hanno 36 modi per non pescare
un Asso alla prima estrazione e 36 modi per non pescare un Asso la
seconda. Allora la probabilità di sorteggiarne almeno uno è data da
1 − 362 /402 = 304/1 600 = 19%, come deve essere.
5.2.9. Possiamo procedere in due maniere. Primo metodo: contiamo
tutti i modi in cui si possono scegliere ordinatamente 4 persone fra
6. Il loro numero è D(6, 4) = 6·5·4·3 = 360. Ora contiamo in quanti
modi possiamo scegliere due coppie da mettere nel gruppo delle quattro
persone. Possiamo scegliere il primo individuo A in 6 modi diversi, poi
possiamo scegliere un secondo individuo B non sposato con A in 4
modi diversi, poi possiamo mettere nel gruppo il coniuge C(A) di A e
poi il coniuge C(B) di B e dunque in sequenza A, B, C(A), C(B). Però
possiamo anche mettere A, C(A), B, C(B), oppure A, B, C(B), C(A). In
tutto ci sono allora 6·4 + 6·4 + 6·4 = 72 modi diversi di mettere due
coppiette nel gruppo delle quattro persone, scelte con ordine. Allora la
probabilità richiesta è p = 72/360 = 1/5 = 20%.
Secondo metodo: contiamo in quanti modi si possono estrarre, senza
badare all’ordine, 4 persone da un gruppo di 6 persone. Tale numero
è C(6, 4) = 15. Poi contiamo in quanti modi si possono scegliere due
coppiette da un gruppo di 3: tale numero è evidentemente C(3, 2) = 3.
In definitiva la probabilità richiesta è pari a p = 3/15 = 1/5 = 20%.
Si osservi come il secondo metodo sia molto più rapido rispetto al
primo!
La seconda parte dell’esercizio sembra complicata, ma il fatto che le
coppie siano solo 3 facilita di molto il conto. Se ci si pensa, si osserva
infatti che se si pescano quattro persone, certamente almeno due fra
queste sono sposate fra loro. Pertanto l’evento “viene scelta una sola
coppia” è l’evento complementare di “vengono scelte due coppie”, la
cui probabilità è stata appena calcolata. Quindi la probabilità di avere
una sola coppia è 1 − 1/5 = 4/5 = 80%.
5.3.6. In mancanza di altri mezzi, facciamo semplicemente il conto. Si
trova che sommando le facce è il 9 che esce con probabilità maggiore:
si ha che esso esce con probabilità 76/441, all’incirca pari a 17, 2%.
5.3.9. Si ponga T uguale all’esito “esce Testa” e C uguale all’esito “esce
Croce”.
Se Ω denota lo spazio {T, C}, in questo problema si deve considerare
lo spazio prodotto Ω4 . Gli esiti favorevoli sono C(4, 3) = 4 (tutti gli
anagrammi di T T T C ). I casi possibili sono invece Dr (2, 4) = 24 = 16.
Dunque la probabilità richiesta è p = 4/16 = 1/4 = 25%. Si può anche
191
procedere in questo modo: una volta appurato che gli esiti favorevoli
sono 4: ognuno di tali esiti ha probabilità p = (1/2)·(1/2)·(1/2)·(1/2) =
1/16 di uscire. In definitiva, allora, la probabilità che si abbiano tre T
è ancora (come deve essere!) p = 4·(1/16) = 25%.
5.3.10. Ci sono D(12, 2) = 132 estrazioni ordinate di due pezzi dal mucchio dei 12. I due pezzi difettosi possono essere scelti in D(4, 2) = 12
modi, mentre un solo pezzo difettoso può essere scelto in 2·4·8 = 64
modi. Allora le estrazioni con almeno due pezzi difettosi sono 12 + 64 =
76. La probabilità voluta è quindi 76/132 ≈ 57, 6%.
5.3.11. Chiamiamo p(T ) la probabilità che esca Testa e con p(C) la
probabilità dell’uscita della Croce.
Le relazioni che abbiamo sono: p(T ) = 2p(C) e p(T ) + p(C) = 1. In tal
modo scopriamo che p(C) = 1/3 e p(T ) = 2/3. Ci sono C(3, 2) = 3 casi
favorevoli (tutti gli anagrammi di T T C ). Ognuno di questi casi ha probabilità di uscita pari a (2/3)·(2/3)·(1/3) = 4/27, pertanto la probabilità
cercata è (4/27)·3 = 4/9 ≈ 44, 4%.
5.3.12. Siano u1 e u2 gli eventi “vince il primo uomo” e, rispettivamente,
“vince il secondo uomo”. Analogamente, denotiamo con d1 , d2 e d3 gli
eventi della vittoria della prima donna, della seconda e della terza,
rispettivamente.
Dal problema sappiamo che p(u1 ) = p(u2 ), p(d1 ) = p(d2 ) = p(d3 ), p(u1 ) =
2p(d1 ) e p(u1 )+p(u2 )+p(d1 )+p(d2 )+p(d3 ) = 1. Troviamo allora 7p(d1 ) =
1, ovvero p(d1 ) = 1/7 ≈ 14, 3%.
5.3.14. a) Ci sono C(10, 2) = 45 modi di estrarre due carte contemporaneamente dal gruppo di 10. I casi favorevoli sono 5·5 = 25 (5 modi
perché una delle due sia dispari e 5 modi perché l’altra sia pari, unica
possibilità perché la somma dei due valori sia dispari). Quindi la probabilità di avere una somma dispari è 25/45 = 55, 5%. b) In questo caso
ci sono D(10, 2) = 90 estrazioni consecutive di due carte. I modi per
avere due carte con somma dispari sono 2·5·5 = 50 (prima pari e poi
dispari o prima dispari e poi pari). La probabilità voluta è ancora
50/90 = 55, 5%. c) vi sono ora 102 = 100 casi possibili e 2·5·5 casi favorevoli, come prima. La probabilità di avere somma dispari è ora pari
a 50/100 = 50%.
5.4.4. Calcoliamo la probabilità p(5) che lo studente risponda esattamente a tutte le domande. Usando la Formula (4.3) con k = 5 r = 5,
p(a) = 1/4 (l’evento che qui si prende in esame è la risposta esatta fra
quattro possibili), si ha: p(5) = 55 (1/4)5 (3/4)0 = 1/1 024.
Ora calcoliamo la probabilità p(4) che lo studente risponda esattamente
a 4 domande. Usando
la Formula (4.3) con k = 4 r = 5, p(a) = 1/4, si
5
4
ha che p(4) = 4 (1/4) (3/4)1 = 5·(1/256)·3/4 = 15/1 024.
Ora calcoliamo la probabilità p(3) che lo studente risponda esattamente
192
a 3 domande. Con k = 3 r = 5, p(a) = 1/4 si ha p(3) = 53 (1/4)3 (3/4)2 =
10·(1/64)·9/16 = 90/1 024.
In definitiva, lo studente passa l’esame con probabilità p pari a p =
p(5) + p(4) + p(3) = (1 + 15 + 90)/1 024 = 106/1 024 = 10, 3%. Dunque, su
un gran numero di studenti lazzaroni, circa il 10% di loro passa l’esame
senza studiare.
5.5.3. Dobbiamo calcolare p(A|B), dove A è l’evento: “la seconda carta
estratta è un Asso” e B è l’evento “la prima carta estratta è un asso”.
La formula (5.1) dice che la probabilità voluta è uguale a p(A ∩ B)/p(B),
cioè, è uguale a (C(4, 2)/C(40, 2))/(4/40) = 1/13. Infatti p(A ∩ B) è
la probabilità di estrarre due Assi e sappiamo che tale probabilità è
appunto C(4, 2)/C(40, 2) = (4·3)/(40·39) = 1/130. La probabilità di B è
poi semplicemente 4/40 = 1/10.
5.5.4. Denotiamo con M l’evento “lo studente è stato bocciato in matematica” e con C l’evento “lo studente è stato bocciato in chimica”. Dai dati del problema abbiamo che p(M ) = 0, 25, p(C) = 0, 15
e p(M ∩ C) = 0, 1.
a) Con le notazioni introdotte sopra dobbiamo cercare p(M |C). La
formula della probabilità condizionata ci dice che p(M |C) = p(M ∩
C)/p(C) = 0, 1/0, 15 ≈ 66, 6%.
a) Con le notazioni introdotte sopra dobbiamo cercare ora p(C|M ).
La formula della probabilità condizionata ci dice che p(C|M ) = p(C ∩
M )/p(M ) = 0, 1/0, 25 = 40%.
5.6.2. Usiamo il teorema di moltiplicazione: la probabilità che la prima
carta sia di picche è 10/40. La probabilità che la seconda sia di picche,
sapendo che la prima è un picche, è 9/39. Si procede in tal modo,
fino alla quinta carta, la cui probabilità di essere di picche, sapendo
che lo sono le quattro precedenti, è 6/36. La probabilità complessiva
di ricevere 5 carte di picche è quindi pari a (10/40)·(9/39) · · · (6/36) =
0, 04%.
5.6.3. La probabilità che cerchiamo è (7/10)·(6/9)·(3/8) = 17, 5%, per il
principio di moltiplicazione.
5.6.4. Sia M l’evento “viene scelto un maschio” e F l’evento “viene
scelto una femmina”. a) Perché possano alternarsi, il primo studente
ad essere scelto deve essere un maschio. La probabilità che venga scelto
un maschio è p(M ) = 4/7. Poi deve essere scelta una femmina (sapendo
che è stato scelto una maschio) e la probabilità è p(F |M ) = 3/6. La
probabilità che il terzo sia un maschio, sapendo che il primo è un maschio ed il secondo studente è una femmina, è 3/5. Segue, analogamente, una ragazza con probabilità 2/4, un ragazzo con probabilità
2/3, una ragazza con probabilità 1/2, ed in ultimo un ragazzo con
probabilità 1. In definitiva la probabilità che gli studenti si alternino è
193
(4/7)·(3/6)·(3/5)·(2/4)·(2/3)·(1/2)·1 = 144/5 040 ≈ 0, 28%.
b) La probabilità che cerchiamo è la somma della probabilità che si
alternino se il primo studente scelto è un maschio e la probabilità che
si alternino, sapendo che il primo studente scelto è una femmina.
La prima probabilità è (3/6)·(3/5)·(2/4)·(2/3)·(1/2)·1 = 5%. La seconda
probabilità è ancora (3/6)·(3/5)·(2/4)·(2/3)·(1/2)·1 = 5%, in quanto c’è
lo stesso numero di ragazzi e ragazze. La probabilità complessiva è
dunque pari al 10%.
5.8.6. Denotiamo con V l’evento della vincita di Caio e C e T gli eventi
di uscita di Testa e, rispettivamente, Croce al primo lancio. Allora
si ha che p(V ) = p(V |T )p(T ) + p(V |C)p(C) = (3/4)·(3/4) + (1/4)·(1/4) =
10/16 = 62, 5%.
5.10.5. Sı̀, se il mazzo fosse regolare la probabilità che di estrarre una
carta nera (evento N ) dopo aver estratto un Asso (evento A) dovrebbe
essere del 50%, infatti p(N |A) = (p(A ∩ N )/(p(A)) = (2/40)/(4/40) =
1/2 = 50%. Se dopo molti esperimenti la probabilità non si accosta a
tale numero, bisogna dubitare della regolarità del mazzo.
5.10.7. Ecco il motivo di questa osservazione, che alla fin fine, tanto
sorprendente non è. Denotiamo con E l’evento: “di domenica la zia
Marta esce di casa” e con P l’evento: “di domenica piove”. Ora dal
problema sappiamo che p(E|P ) = 0, 5 e p(E) = 0, 01. La formula della
probabilità totale dice che p(E) = p(E|P )p(P ) + p(E|P c )p(P c ), quindi
0, 01 = 0, 5 · p(P ) + c, dove c è una costante positiva (o nulla) di cui
non sappiamo niente. Dalla relazione appena scritta deduciamo allora
che p(P ) ≤ 00,,01
5 = 2%. Ora questa informazione non è molto precisa,
in quanto non sappiamo ancora chi è p(P ), però sappiamo che è una
probabilità minore del 2%, e quindi piuttosto bassa. In effetti 2/100 =
7, 2/360 ed ecco perché l’amico ha dedotto che mediamente solo per
sette domeniche all’anno si ha pioggia.
5.10.10. Denotiamo con T l’evento: “Pino prende il treno” e con R
l’evento: “Pino ritarda”. Allora Pino riesce a prendere il treno con
probabilità p(T ) pari a p(T ) = p(T |R)p(R) + p(T |R c )P (Rc ) = 0, 15 · 0, 1 +
1 · 0, 9 = 91, 5%. Qui abbiamo usato il teorema della probabilità totale,
rispetto alla partizione {Rp , Rpc }. Se Pino ritarda l’unica speranza è che
pure il treno ritardi (e questo è il primo addendo), mentre se Pino è in
orario, il treno può fare quello che vuole, tanto Pino lo prende sempre.
5.10.15. Ci sono tre modi per avere un pezzo difettoso in un gruppo di
tre oggetti: precisamente, scegliendolo al primo, al secondo o al terzo
colpo. Ognuno di questi modi è equiprobabile, quindi basta calcolare
la probabilità di prenderlo subito, e moltiplicare il risultato per 3: chiamiamo con D l’evento: “il primo pezzo scelto è difettoso”, con N1 e
N2 , rispettivamente, gli eventi dell’estrazione del secondo e del terzo
194
pezzo non difettosi. Allora abbiamo p = p(D)p(N1 |D)p(N2 |D ∩ N2 ) =
(5/12)·(7/11)·(6/10) = 210/1 320 = 15, 9%, Si controlli che effettivamente
anche le altre probabilità di scegliere un pezzo difettoso al secondo ed
al terzo colpo sono tutte uguali a 210/1 320. In definitiva la probabilità
voluta è p = 3·15, 9% = 47, 7%.
5.10.20. Si T l’evento: “Tizio colpisce il bersaglio” e sia C l’evento:
“Caio colpisce il bersaglio”. Lo spazio degli eventi di Tizio è Ω T =
{T, T c }2 , con la probabilità prodotto p, quello di Caio è ΩC = {C, C c }2 ,
con la probabilità prodotto q . Allora l’esperimento in questione può essere descritto dallo spazio ΩT ×ΩC , munito della probabilità prodotto u.
a) Il bersaglio viene colpito almeno una volta se e solo se non capita
l’evento (T c T c , C c C c ) (cioè quando tutti mancano tutte le volte il bersaglio). La probabilità di tale evento è
u(T c T c , C c C c ) = p(T c T c )q(C c C c ) = (3/4)·(3/4)·(2/3)·(2/3) = 1/4,
pertanto la probabilità che il bersaglio venga colpito almeno una volta
è pari a 1 − 1/4 = 3/4.
b) Sia ora u la probabilità sullo spazio {T, T c } × {C, C c }. La probabilità
che il bersaglio venga colpito una sola volta è uguale alla probabilità
u(B) che si verifichi l’evento B = {T C c , T c C}, il quale ha probabilità
uguale a (1/4)·(2/3) + (3/4)·(1/3) = 5/12. L’evento: “Tizio colpisce
il bersaglio è C = {T C c , T C}. Noi siamo interessato alla probabilità
u(C|B). Per definizione stessa di probabilità condizionata essa vale
u(C ∩ B)/u(B) = ((1/4)·(2/3))/(5/12) = 2/5 = 40%.
5.10.22. Designamo con A l’evento: “l’imputato scelto è condannato”,
con C l’evento: “l’imputato è colpevole” e con con I l’evento: “l’imputato è innocente”. Per il teorema della probabilità totale si ha p(A) =
p(A|C)p(C) + p(A|I)p(I) = 0, 8·0, 9 + 0, 05·0, 1 = 72, 5%.
5.10.23. Designamo con A l’evento: “l’imputato scelto è condannato”,
con C l’evento: “l’imputato è colpevole” e con con I l’evento: “l’imputato è innocente”. Per il teorema di Bayes si ha
p(C|A) = (p(A|C)p(C))/(p(A|C)p(C) + p(A|I)p(I)) = (0, 8·0, 9)/(0, 8·0, 9 +
0, 05·0, 1) ≈ 99, 3%. Si osservi che la probabilità, prima della sentenza,
che una persona sia colpevole è del 90%, mentre una volta condannata,
la probabilità che questa una persona sia colpevole diventa il 99, 3%. Il
motivo è che il tribunale è in grado si distinguere i colpevoli dagli innocenti con una buona probabilità (0, 05). Se il tribunale non sbagliasse
mai, un condannato sarebbe certamente colpevole!
5.10.24. Sia Co l’evento: “è presente il croupier onesto”, sia Cd l’evento:
“è presente il croupier disonesto” e con P l’evento: “il giocatore perde”.
Si vuole avere p(Cd |P ). Per la regola di Bayes si ha
p(Cd |P ) = p(P |Cd )p(Cd )/(p(P |Cd )p(Cd ) + p(P |Co )p(Co )). Sostituendo,
troviamo p(Cd |P ) = (1−r)·(1/2)/((1−r)·(1/2)+1/2·1/2) = 2(1−r)/(3−2r).
195
Si noti che nel peggiore dei casi, cioè quando il croupier disonesto fa
perdere sempre il giocatore (ovvero r = 0), allora in caso di perdita,
la probabilità di avere di fronte il croupier disonesto è 2/3. Invece, se
r = 1/2, ovvero se il croupier disonesto si ravvedesse e facesse vincere
il giocatore il 50% delle volte, allora la probabilità, in caso di perdita,
di trovarsi innanzi al croupier disonesto diventa 1/2, come deve essere.
5.10.25. Si cerca p(T6 |T1 ), dove abbiamo indicato con Ti l’evento: “viene
testa nell’i-esimo lancio”.
Per definizione di probabilità condizionata si ha p(T6 |T1 ) = p(T6 ∩
T1 )/p(T1 ) = (24 /26 )/(25 /26 ) = 1/2. Si noti che anche supponendo che
per i primi 5 lanci si venuta Testa, la probabilità che venga Testa al
6o lancio rimane sempre 1/2 (si otterrebbe ancora (1/26 )/(2/26 ) = 1/2),
nonostante psicologicamente, uno sia portato a pensare che dopo molti
lanci in cui compare Testa, in quello successivo la probabilità che appaia Croce sia, chissà perché, maggiore.
Capitolo 6
√
√
6.4.4. a) x1,2 = 3/2± 5/2; b) x1 = 4, x2 = 0; c) x1,2 = 2± 3, x3 = 0; d)
Questa è più difficile: si risolve ponendo y = x2 ; si trova un’equazione
di secondo grado in y , con soluzioni y√1 = −1 e y2 = 5. Ricordando che
x2 = y si trova x2 = 5, da cui x1,2 = ± 5, mentre x2 = −1 non ammette
√
soluzioni. Quindi le soluzioni dell’equazione data sono x1,2 = ± 5.
6.4.5. a) x ≤ 1 o x ≥ 2; b) x ≤ −2 o 0 ≤ x ≤ 2; c) vera per ogni x; d)
vera per ogni x 6= 0.
√
6.6.4. a) x ≥ 7; b) 2 ≤ x ≤ 4 3/3; c) 5/7 ≤ x ≤ 2 o x ≥ 3; d)
2 ≤ x ≤ 7/3; e) x ≥ 3.
√
6.6.7. a) −4 ≤ x ≤ 8 3/3; b) vera per ogni
x; c)√−1 ≤ x ≤ 3; d) x ≥ 63
√
(ovviamente!); e) x ≤ −1 o x ≥ 1; f) − 3 ≤ x ≤ 3.
6.8.1. x1 = −1, x2 = 1.
Capitolo 7
7.2.2. y = −2x.
7.2.3. y = 2x + 2.
7.2.4. y = 2x − 1 (è la retta stessa!)
√
7.4.11. a) x = ±1; b) x = 3 ± 2 2; c) x ≤ ln 8 + 1; d) x ≤ − log3 2; e)
−4 < x − 2 o 2 ≤ x < 4; f) −e3 − 1 ≤ x < −1 o 1 < x ≤ e3 + 1.
Capitolo 8
196
√
√
8.1.4. a) 2x−6; b) 2(x2 −6x−1)·(2x−6); c) 2x3 /( x4 − 20); d) (12 x−
√
2
x
1)/(2x(6 x−1)); e) 2(x−1)ex −2x ; f) ee +x ; g) 2/(x+1)2 ; h) 4e2x (x−
2)/(2x − 3)2 ; i) 1 (ovviamente, dato che eln x = x !); j) Scriviamo xx =
√ √
ex ln x e poi si deriva. Si trova xx (ln x + 1); k) 1/(2 x( x + 1)); l) −(x +
p
3
(x2 − 6x)2 ); n) −e1/x−x (x2 + 1)/x2 ; o) ex (x2 +
2)/x3 ; m) (2x − 6)/(3
√
x
2x); p) 3 ln 3/(2 3x + 1).
Capitolo 9
197
INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
i
1
1.1
1.2
1.3
IL LINGUAGGIO DELLA MATEMATICA . . . . . . .
Proposizioni, variabili e predicati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I quantificatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I connettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
1
3
4
2
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
GLI INSIEMI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Definizioni e prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Relazioni insiemistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Operazioni tra insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Contare gli elementi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Partizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prodotto cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Insiemi numerici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10
10
12
14
20
20
21
24
3
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
LE FUNZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Definizione ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Funzioni iniettive, suriettive e biettive . . . . . . . . . . . .
Il grafico di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Immagine di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Funzione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
27
28
33
34
35
4
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8
NOZIONI DI CALCOLO COMBINATORIO . . . . .
Il Principio di Moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Disposizioni semplici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Permutazioni semplici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il fattoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Permutazioni con ripetizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Disposizioni con ripetizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Combinazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Partizioni ordinate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
39
41
43
44
46
46
48
50
4.9 Esercizi riassuntivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
53
5
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
5.6
5.7
5.8
5.9
5.10
PROBABILITA’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Breve introduzione informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Definizione e prime proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Spazi prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Prove ripetute ed indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Probabilità condizionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Teorema di moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Eventi indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Teorema della probabilità totale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Formula di Bayes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esercizi di riepilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
56
56
58
65
76
81
85
86
88
90
93
6
6.1
6.2
6.3
6.4
6.5
6.6
6.7
6.8
CENNI SU EQUAZIONI E DISEQUAZIONI . . .
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Equazioni e disequazioni di primo grado . . . . . . . . .
Equazioni e disequazioni di secondo grado . . . . . .
Equazioni e disequazioni di grado maggiore . . . . . .
Equazioni e disequazioni razionali fratte . . . . . . . .
Equazioni e disequazioni irrazionali . . . . . . . . . . . . . . . .
Il valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Casi misti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
107
107
107
108
112
114
116
120
123
7
7.1
7.2
7.3
7.4
7.5
RUDIMENTI DI ANALISI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Operazioni sui grafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le rette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le parabole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Logaritmi ed esponenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
126
127
132
136
138
149
8
8.1
8.2
8.3
DERIVATE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Regole di derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Interpretazione geometrica della derivata . . . . .
Derivate e monotonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
167
167
171
174
9 Studio di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.1 Esempi e commenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
176
179
10 SOLUZIONI DI TUTTI GLI ESERCIZI . . . . . . . . . .
185
APPUNTI
DEL CORSO
DI
ELEMENTI
DI
MATEMATICA
CdL SOCIOLOGIA