Ricerca, divulgazione e comunicazione della scienza

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Ricerca, divulgazione e comunicazione della scienza
Ricerca, divulgazione e comunicazione della scienza Si parla sempre più spesso di società della conoscenza. Può essere quindi opportuno soffermarsi sull’importanza e sulle modalità della diffusione della conoscenza (scientifica) nella società. Per molto tempo gli scienziati hanno trascurato la diffusione dei risultati delle loro ricerche e delle loro idee presso un pubblico ampio e “generico”. La loro produzione è stata, con poche eccezioni, indirizzata soprattutto ai colleghi specializzati nelle loro stesse discipline, più che al grande pubblico di persone di cultura o semplicemente intellettualmente curiose e interessate. Scrivere per tutti di scienza, essere accessibili, spesso richiede un grosso sforzo, purtroppo considerato da molti una distrazione dalla ricerca e dai suoi ritmi serrati e competitivi, quasi una perdita di tempo. Ma è solamente volgarizzando la scienza, rendendola realmente e ampiamente accessibile che si gettano le basi perché il sapere, non rimanendo circoscritto a pochi, possa avere ricadute più ampie e diffondersi rapidamente nella società. Il rapporto della Royal Society sul Public Understanding of Science è del 1985. Da allora l’attenzione dedicata alla divulgazione scientifica è andata negli anni continuamente aumentando, sia per una presa di coscienza “sociale” da parte di molti ricercatori, che per la consapevolezza che la ricerca pubblica, pagata con le tasse di tutti, richiede, per continuare a essere finanziata, il sostegno convinto del contribuente. L’aumento dei costi della big science e l’inevitabile e sempre più serrata competizione tra grandi progetti anche in discipline diverse, rendono necessario che i governi, che sulle scelte strategiche e sulla disponibilità e impiego delle risorse hanno l’ultima parola, percepiscano che il contribuente sia soddisfatto degli investimenti, soprattutto quando sono dedicati ad alimentare la ricerca di base. E perché sia soddisfatto, il contribuente deve sentirsi partecipe delle scoperte e dei traguardi raggiunti, deve identificarsi con l’Ente che li ha ottenuti e sentirsi orgoglioso di far parte dello stesso “sistema” e di averlo sostenuto. Da questo punto di vista nessuno può fare un lavoro migliore di quello fatto dalla NASA con l’Hubble Space Telescope. Grazie ad una ineccepibile gestione scientifica ma soprattutto ad un notevole investimento di uomini e mezzi nella promozione e diffusione dei suoi risultati (e delle splendide immagini che ha ottenuto), La NASA e lo Space Telescope Science Institute hanno fatto sì che Hubble diventasse l’oggetto scientifico di maggior affezione dell’immaginario collettivo americano. A tal punto che l’opinione pubblica è insorta quando sembrava che non vi sarebbero stati più voli dello Shuttle dedicati alla sua manutenzione. Per le Università e gli Enti di Ricerca, ai compiti di ricerca e alta formazione si è quindi affiancato anche quello della divulgazione e comunicazione e del trasferimento tecnologico. Queste, divulgazione e trasferimento tecnologico, sono le due principali vie attraverso le quali la società beneficia dello sviluppo scientifico e della produzione di conoscenza. La divulgazione produce soprattutto cultura e partecipazione; il trasferimento tecnologico innovazione e benessere. Queste due vie sono strettamente legate tra loro. La cultura scientifica, infatti, non è un bene astratto – del tipo pane per lo spirito – è piuttosto una risorsa strategica per il futuro del Paese ed è alla base della sua capacità di innovare, produrre e competere nell’arena internazionale. La società della conoscenza richiede un continuo sviluppo scientifico, poichè in sua assenza non crescerebbe la cultura, non ci sarebbe progresso e non aumenterebbe il benessere, visto che è sul sapere scientifico che sempre più si costruisce lo sviluppo economico. Ecco quindi una grande attenzione verso l’utilizzo sociale delle tecnologie sviluppate per rispondere agli interrogativi scientifici più astratti. Così come dagli studi di elettrologia di Faraday e Franklin sono derivate le centrali elettriche e da quelli di ottica quantistica è scaturito il laser dalle mille applicazioni pratiche, mediche, musicali, ludiche, informatiche, così dagli studi sulla focalizzazione della radiazione X per scopi astronomici sono derivati gli scanner per la sicurezza aeroportuale e la capacità di ottenere radiografie per screening di massa con minori dosi ma altrettanta qualità di immagine. E anche lo sviluppo di nuovi materiali biocompatibili, come il carburo di silicio, per l’istallazione di protesi di lunga durata. Il tutto a beneficio dei pazienti. È facile continuare: i sensori di polvere più sensibili al mondo, sviluppati per poter analizzare la composizione della coda delle comete vengono messi a disposizione per il monitoraggio delle polveri sospese, del microparticolato e dell’inquinamento ambientale. E così via con esempi che toccano molti altri campi di ricerca a dimostrazione dei ritorni della ricerca di base che sempre porta a migliorare la qualità della vita quotidiana. Ecco quindi che gli Enti di ricerca, soprattutto quelli che si occupano di ricerca fondamentale, sono diventati estremamente attenti non solo a divulgare e comunicare i risultati delle loro ricerca – rendendo il pubblico partecipe dei loro successi – ma anche a dare seguito, ove appropriato e possibile, alle tecnologie sviluppate e addirittura a generare start-­‐up e spin-­‐off, per usare il gergo attuale. Tutto ciò può essere visto come un fare di necessità virtù. O come unire l’utile al dilettevole. Certo è che sempre più la ricerca si deve confrontare con la società e con il pubblico. Che legittimamente vuole essere messo a conoscenza dei risultati, delle ragioni, delle scelte, dei perché. Che vuole percepire il ritorno, tanto culturale quanto pratico, delle risorse che la società investe nella ricerca. Che giustamente vuole partecipare e non essere spettatore passivo della grande avventura della ricerca scientifica. In tutto questo c’è tuttavia un anello debole, senz’altro nel nostro paese e probabilmente anche altrove. È negli intermediari tra ricerca e società, tra risultati e spiegazioni, tra risposte e domande. L’anello debole, con poche notabili eccezioni, sono i media, con la loro continua ricerca di sensazionalismo, con la necessità delle notizie gridate, dello stupore, della continua necessità di rilanciare, incuranti del rigore intrinseco alla ricerca scientifica, insofferenti alla monotonia del metodo, alla necessità di verifiche, alla noia del “provando e riprovando”. Si innesta così una spirale al ribasso in cui si diseduca anziché educare, si disinforma anziché informare, attribuendo alla scienza soluzioni che non ha e creando frequentemente aspettative che andranno inevitabilmente disattese. Qualche titolo (sono consapevole che i titoli non li prepara chi scrive il “pezzo”; ma questa è un’altra pecca della carta stampata): “Scoperto il gene dell’intelligenza”, “Trovata la cura contro il cancro” (quante volte?), “Sulla Luna un super-­‐hotel a cinque stelle” con la stima che potrebbe essere realizzato tra il 2020 e il 2030, – e così via. Chi gestisce la terza missione e ne è responsabile? Chi fa scuola di divulgazione e di giornalismo scientifico? Chi combatte il pressapochismo? Gli Enti di ricerca hanno la possibilità di giocare un ruolo estremamente importante nella divulgazione della scienza e nella comunicazione dei risultati che via via ottengono. Hanno la possibilità e la responsabilità di diventare attori consapevoli della divulgazione scientifica, dotandosi di uffici di comunicazione e divulgazione, e di personale qualificato, così come hanno la possibilità e la responsabilità di formare questo personale, mantenendo un controllo scientifico sulla qualità e veridicità di quanto viene divulgato e comunicato. Organizzando stage e contribuendo non alla Scienza della Comunicazione, ma alla Comunicazione della Scienza. Ne avrebbero un utile ritorno, contribuendo ad una maggior alfabetizzazione scientifica e ad aumentare la consapevolezza sociale dell’importanza della ricerca scientifica. Tutto ciò richiede il riconoscimento dell’importanza della divulgazione e della comunicazione scientifica e il conseguente stanziamento di risorse adeguate, anche per superare una fase in cui la divulgazione è troppo frequentemente il ripiego di chi, per una ragione o per un’altra è appagato dai risultati raggiunti nella ricerca. In questo anno appena concluso, il mio Istituto, riferimento italiano per l’Anno Internazionale dell’Astronomia, ha partecipato ad un gigantesco esercizio di divulgazione nazionale, parte di un più ampio sforzo mondiale. È presto per tirarne le somme e valutarne l’impatto ma sarà senz’altro interessante e istruttivo farlo, anche nella prospettiva di continuare, oltre il 2009, a promuovere l’astronomia, la scienza più antica, nella scuola (dove non è materia curricolare) e nella società. Approfittiamo dunque del riordino degli Enti di Ricerca, almeno quelli vigilati dal MIUR, per attribuire loro, oltre alle responsabilità connesse con i loro attuali compiti istituzionali anche quelle relative alla divulgazione e comunicazione della scienza, con l’obbiettivo di contribuire alla crescita della cultura scientifica nella società. E anche su questa “missione” sottoponiamoli poi a valutazione. Tommaso Maccacaro Istituto Nazionale di Astrofisica