quello strano poliziotto solitario

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quello strano poliziotto solitario
Altri misteri
Il mostro di Firenze
Il quinto duplice omicidio
QUELLO STRANO POLIZIOTTO SOLITARIO
Il delitto viene scoperto quasi subito, la zona è infatti frequentata e vicinissima ad
una strada provinciale. Inoltre a Cerbaia, a pochi chilometri di distanza, quella sera è
festa, c'è la sagra dedicata alla Madonna.
Paolo Mainardi, nonostante i colpi alla testa, viene ritrovato ancora in vita.
Morirà alle otto di domenica mattina senza aver mai ripreso conoscenza. Ma si
sparge la voce che ha potuto parlare con il padre e rivelargli dei particolari
interessanti sull'identikit dell'omicida.
E così un'altra misteriosa telefonata entra in scena. Qualche giorno dopo il delitto,
il padre di Paolo viene raggiunto al telefono da una voce educata, senza inflessioni
dialettali. Un uomo che non si qualifica, ma vuole sapere con insistenza che cosa ha
detto il figlio in punto di morte. Se ha parlato di qualcuno, se ha riconosciuto il suo
assassino.
IL TESTIMONE
Esiste però un testimone importante che, quella sera, nelle ore precedenti il delitto, ha
visto qualcosa di molto interessante. E’ stato intervistato dal settimanale televisivo
Mixer e ha chiesto di conservare l'anonimato, ma il suo nome è comunque noto agli
inquirenti perché l'uomo, la mattina successiva al ritrovamento di Paolo Mainardi e
Antonella Migliorini, si è recato in Questura a dire quello che aveva visto. «Erano
circa le 22-22,15 del 19 giugno 1982, quindi un'ora e mezzo prima che venisse
commesso il quinto omicidio del Mostro di Firenze - racconta il testimone - A
Cerbaia c'era la festa della Madonna. Io uscii di casa insieme a mio genero e vidi
venire avanti dalla direzione di Firenze verso Baccaiano, cioè verso il luogo del
delitto, una macchina che procedeva molto lentamente. Mi colpì perché veniva
avanti pianissimo, e invece la strada era sgombra, niente persone, niente automobili.
Pareva in perlustrazione, sembrava che il guidatore cercasse qualcuno. Era una
macchina della polizia, e mi stupì il fatto che a bordo vi fosse una sola persona che
indossava una camicia celeste chiaro, come quella della divisa degli agenti.
Quando l'auto si venne a trovare alla mia altezza - ero appena sceso dal
marciapiede con l'intenzione di attraversare la strada - vidi che l'autista si irrigidiva
sullo sterzo, con una faccia irritata e stravolta, come se gli dispiacesse molto di
essere visto. Credo che fosse anche sorpreso di trovarsi così in luce: normalmente la
strada è buia, ma quella sera era illuminata a giorno dalle luminarie per la festa.
Notai anche che, dopo essere passato, piegava la testa per controllare sul
retrovisore se continuavo a guardarlo. Tant'è vero che dissi a mio genero: “Che ha
quello lì, perché è solo”».
Il racconto del testimone cade nel vuoto. Resta l'inquietante interrogativo: chi era il
poliziotto o l'uomo vestito da poliziotto che scrutava la strada cercando qualcuno
appena un'ora prima dell'omicidio ? Poteva essere lui il Mostro?
Non è da escludere che l'assassino usi dei travestimenti: se fosse in divisa si
comprenderebbe perché riesce sempre ad avvicinarsi alle auto delle sue vittime senza
destare in loro particolare preoccupazione.
Dopo il quinto omicidio, tutti parlano del serial killer di Firenze: le coppiette
smettono di appartarsi nelle campagne attorno alla città, vengono stampati degli
adesivi piazzati sugli alberi della campagna fiorentina con su scritto: «Occhio
ragazzi!». Alcuni giovani si autorganizzano per appartarsi in gruppi. Le indagini
continuano a scandagliare lo squallido sottobosco dei guardoni, ma senza risultati
significativi.
LA SCOPERTA DEL MARESCIALLO
E a questo punto che il maresciallo dei carabinieri di Signa, Francesco Fiore,
aiutato da un biglietto anonimo (forse un'imbeccata dello stesso Mostro?) scopre il
legame dei quattro duplici omicidi con il delitto del 1968, quello in cui vennero
uccisi Barbara Locci e il suo amante Antonio Lo Bianco. Fiore rispolvera il fascicolo
dell'omicidio dei due amanti, avvenuto in una località che si trovava sotto la sua
giurisdizione. Il caso vuole che i bossoli della pistola di quelll'omicidio siano ancora
dentro il fascicolo e non siano stati distrutti, come sarebbe dovuto avvenire per le
prove di un caso con sentenza definitiva.
Le verifiche degli esperti balistici sono inequivocabili: stessa arma, la micidiale
Beretta 22 modello Long Rifle, stesse cartucce, provenienti dalle stesse due
confezioni. Le vittime del Mostro di Firenze diventano così dieci, dieci delitti in
quattordici anni.
Una terrificante scia di sangue che purtroppo non è ancora destinata a concludersi.
Le voci e le chiacchiere sull'assassino delle coppiette, la psicosi collettiva, fanno una
loro prima vittima: il gestore del locale Il Cavallino Rosso, Giuseppe Filippi, si
uccide, tagliandosi la gola con un coltello. Affida a poche righe il motivo del suo
gesto. Era stanco di essere preso in giro dalla gente del suo paese per la sua
somiglianza con l'identikit dell'assassino.
FRANCESCO VINCI IN GALERA
Il 14 agosto 1982 viene catturato il sardo Francesco Vinci. E’ ricercato per altri
motivi, ma gli inquirenti sospettano che sia proprio lui l'omicida delle coppiette.
Vinci era già stato in carcere per alcuni mesi nel 1968, quando Stefano Mele, il
marito di Barbara Locci, autoaccusatosi dell'omicidio, lo aveva indicato come
mandante e complice. La notizia del suo nuovo arresto e del collegamento con i
delitti del Mostro viene resa nota nel novembre dell'82. Dato che la pistola del delitto
del '68, l'ormai tristemente famosa Beretta calibro 22, non è mai stata ritrovata,
l'omicidio Locci - Lo Bianco diventa la chiave di lettura per comprendere tutti gli
altri.
Gli investigatori affermano che Vinci era in libertà quando sono avvenuti i delitti. Ma
lui, il presunto assassino, non cede e continua a negare, dichiarandosi del tutto
estraneo ai fatti.
IL DELITTO DI SAMPIERI
Due mesi dopo l'assassinio Mainardi -Migliorini accade un fatto strano, forse legato
all'omicidio dell'anno precedente. Una conoscente di Susanna Cambi, vittima del
Mostro nell'ottobre del 1981 a Travalle di Calenzano, muore in circostanze
misteriose in Sicilia. Si chiama Elisabetta Ciabani, 22 anni, fiorentina, studentessa
al secondo anno di Architettura. Viene uccisa la domenica del 22 agosto 1982, tra le
8,30 e le 9,30. Il cadavere viene scoperto in un residence, La Baia Saracena, di
Sampieri a pochi chilometri da Scicli, sul litorale della provincia di Ragusa, dove la
ragazza stava trascorrendo una vacanza. Elisabetta è stata ritrovata nuda (il costume
era arrotolato accanto al suo corpo) in una pozza di sangue nella lavanderia che si
trova nell'attico del residence.
Il medico legale accerterà che la morte è stata causata da due coltellate, una al cuore
e l'altra al pube. Il coltello, con una lama lunga sedici centimetri, è stato affondato
interamente nel corpo della ragazza. Sul petto di Elisabetta era penetrato anche parte
del manico.
La studentessa era arrivata a Sampieri il 3 agosto assieme alla sorella Giovanna, 40
anni, e Silvano Rotolo, 52 anni, fidanzato di quest'ultima. Con loro si trovava anche
l'ottantaseienne mamma del Rotolo, Jolanda. Successivamente erano stati raggiunti
dalla figlia di primo letto di Rotolo, Lorena, di 29 anni.
Il 21 agosto, il giorno prima della morte di Elisabetta, Silvano, Giovanna e Lorena
partono per Palermo. Da qui la ragazza avrebbe dovuto raggiungere in aereo Pisa per
fare rientro a Firenze. Giovanna e Silvano invece sarebbero dovuti tornare in giornata
a Sampieri. Ma restano nel capoluogo siciliano. Rotolo a tarda sera telefona da
Palermo per avere notizie della mamma: «Tutto bene», aveva risposto Elisabetta.
Alla seconda telefonata di domenica mattina l'agghiacciante notizia: «Rientrate
subito a Sampieri, è successo qualcosa di grave».
Sin dall'inizio prende corpo l'ipotesi dei suicidio «anomalo», sostenuta
principalmente dalla perizia medico legale e dai primi commenti della gente.
Ma la tesi del suicidio non convince tutti e tra questi l'ex maresciallo Giovanni
Fontana, allora capo della polizia giudiziaria della Procura di Modica, competente
per territorio e che indagò per quattro anni sulla vicenda, recandosi anche a Firenze.
Fontana oggi ricorda così il fatto: «La ragazza fu rinvenuta supina con il coltello
conficcato nel petto. La ferita al basso ventre era comunque diversa dall'altra
causata da un coltello da cucina. La ferita al pube era come fosse stata provocata da
un bisturi. Il coltello da cucina che fu ritrovato non avrebbe potuto fare un taglio di
quel tipo, quasi chirurgico. E mi pare sin troppo strano che una che si dà una
coltellata al pube di quel tipo possa poi trovare la forza per darsene un'altra al
cuore, facendo penetrare nel suo corpo circa sedici centimetri di lama».
L'ex maresciallo aggiunge che «il medico legale accertò che la ragazza era vergine.
Abbiamo anche saputo - prosegue – che aveva quasi paura degli uomini, un
carattere chiuso, riservato, quasi scontroso, era taciturna. Si era fatta notare poco
anche all'Università».
E da Firenze il cognato della vittima Silvano Rotolo dice: «Quello che è certo è che
la ragazza non si è suicidata, come hanno voluto farci credere gli inquirenti siciliani.
Elisabetta probabilmente ha visto o ha saputo qualcosa che non doveva sapere.
Penso che si fosse portata da Firenze qualche suo pensiero... C’era qualcosa di
oscuro che noi non sapevamo».
Le due ragazze, Susanna ed Elisabetta, dunque si conoscevano, si frequentavano.
Una coincidenza? Oppure Susanna aveva avuto dei sospetti sul Mostro e si era
confidata con Elisabetta prima di essere uccisa?
Fonte: Francesco Bruno e Andrea Tornielli – Analisi di un mostro – Arbor, 1996