Lager centri di sterminio e luoghi di internamento

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Lager centri di sterminio e luoghi di internamento
Luoghi
Costituisce un'introduzione alla conoscenza dei campi di concentramento nazisti con un riferimento
agli altri campi delle potenze dell'Asse (Italia e Giappone) e della Francia di Vichy. La sezione non
vuole essere esaustiva del complesso universo concentrazionario nazista e fascista apparso nelle
contrade dell'Europa e dell'Asia nel corso della Seconda guerra mondiale. Basti pensare che una
rilevazione ancora non definitiva dei campi e dei luoghi di detenzione, afflizione, lavoro coatto, per
prigionieri di guerra, e altre categorie di prigionieri, compresi i politici e i razziali, ne segnala solo
in Europa quasi 7.000 (tra campi principali e dipendenze). Circa alla loro denominazione e
classificazione si va dalle Hausen (Case di correzione, o di punizione, o della fame dove vengono
rinchiusi i prigionieri condannati a morire d'inedia), agli Anstalten (stabilimenti di detenzione, di
pena ecc.); dai Ghettos (i vari ghetti dell'Europa dell'Est) alle Gefängnisse (prigioni); per arrivare
ai Lager (i campi di concentramento, che erano suddivisi in più di cinquanta categorie: dai campi
di lavoro, ai campi di transito, ai campi di punizione e afflizione, ai campi per prigionieri di
guerra, divisi a seconda del grado, ai centri di sterminio ecc.)
La nostra proposta, per quanto riguarda l'universo concentrazionario nazista si riferisce ai lager
maggiori e si limita a proporre una suddivisione che serve a orientare il lettore:
a) Campi di concentramento che univano il loro scopo punitivo e afflittivo con il lavoro coatto;
Bergen Belsen, Buchenwald, Dachau, Dora, Flossenbürg, Mauthausen, Neuengamme, Stutthof,
Ravensbrück, Sachsenhausen
b) Centri di sterminio: Belzec, Chelmno, Sobibor, Treblinka
c) Campi di lavoro, punitivi e centri di sterminio: Auschwitz e Majdanek
d) Ghetti, Terezin
e) Campi di concentramento del fascismo italiano (1940 - 1943): quadro generale e scheda su
Ferramonti di Tarsia e Arbe (Rab).
f) Campi di concentramento e transito in territorio italiano, attivi dopo l'8 settembre 1943: quadro
generale e scheda su Fossoli, Gries Bolzano, Risiera di San Sabba.
g) Campi di internamento in Giappone
h) Campi di concentramento in Francia
Bibliografia essenziale sui luoghi
G. Schwarz, Die nationalsozialistichen Lager, Francoforte, Fisher 1996
H. Herbert, K. Orth, C. Dieckmann, Die nationalsozialistichen Konzentrationslager, Göttingen,
Wallstein 1998.
K. Orth, Die Konzentrationslager-SS, Göttingen, Wallstein 2000.
A. J. Kaminski, I campi di concentramento dal 1896 a oggi, Torino, Bollati Boringhieri 1997
J. Kotek, P. Rigoulot, Il secolo dei campi, Milano, Mondadori 2001.
G. Ottolenghi, La mappa dell'inferno, Varese Sugarco 1993
Vedi anche: Deportazioni e spostamenti di popolazioni, Programma di eutanasia, Resistenza nei
lager, Sistema concentrazionario, Soluzione finale, Sonderkommando, Sterminio.
Campi di concentramento nazisti
Bergen Belsen
Nel settembre del 1940, a Bergen-Belsen, una città tedesca a cento chilometri sud-ovest di
Amburgo e a sessantacinque chilometri a nord-est di Hannover, viene creato un campo di
internamento per prigionieri di guerra, destinato a seicento soldati belgi e francesi, che sono trattati
secondo le norme del diritto internazionale. I prigionieri di guerra russi, che giungono al campo a
partire dal mese di luglio del 1941, invece, vengono sottoposti a un duro regime di afflizioni; tanto
che già nel novembre del 1942 almeno 18.000 russi hanno trovato la morte per fame, freddo, ed
epidemie di tifo. Il campo per prigionieri di guerra successivamente vedrà l'arrivo di altri militari e
tra essi, polacchi, francesi e italiani. Oggi i morti di questo settore del campo sono stimati tra i
30.000 e i 50.000.
In seguito, Bergen-Belsen assume una struttura molto più complessa e in continua trasformazione.
Nell'aprile del 1943, Himmler chiede di dare vita, nella stessa località, a un lager per circa diecimila
ebrei, tra i quali inserire anche quelli che a causa della loro nazionalità straniera sono sfuggiti alle
deportazioni e per questo possono essere scambiati con tedeschi prigionieri degli Alleati (il nome di
Bergen-Belsen appare per la prima volta in un documento SS in data 27 aprile 1943). Il capitano SS
Adolf Haas riceve l'incarico del comando del campo, e procede a fare costruire un crematorio e a
isolare sei blocchi riservati ai prigionieri ebrei, provenienti per lo più dall'Olanda, destinati a essere
scambiati (Sternlager); vicino a questo settore, ma separato da filo spinato, sorgono i blocchi
riservati agli ebrei muniti di passaporto di Paesi neutrali - Spagna, Portogallo, Argentina, Turchia (Neutralenlager). Circa verso la metà del 1943, giungono al campo 2.500 ebrei polacchi, internati in
un terzo settore e sottoposti a un trattamento molto duro (Sonderlager). In seguito verranno inviati
ad Auschwitz. Nel luglio del 1944 viene predisposto un quarto settore destinato a quasi 1.700 ebrei
ungheresi che Himmler si propone di liberare in cambio di una forte cifra negoziata con alcune
organizzazioni ebraiche internazionali (Ungarnlager). Un quinto settore di prigionieri destinati al
lavoro pesante (anche non ebrei) completa la struttura del campo (Häftlingslager).
Ma già a partire dal marzo del 1944, Bergen-Belsen sembra destinato, almeno sulla carta a ricevere
detenuti non più in grado di lavorare e ammalati (da qui la sua ulteriore denominazione di Ruhe
oder Erhholungslager (campo di riposo o di convalescenza), nel quale tuttavia i livelli di mortalità
non sono dissimili da quelli degli altri lager. Il comandante del campo viene sostituito con l'SS Josef
Kramer, uno specialista, entrato in servizio a Dachau nel 1934 e proveniente da AuschwitzBirkenau.
Nell'ottobre-novembre del 1944, il lager subisce una nuova trasformazione e viene denominato
Durchgangslager (campo di transito) e si prepara a ricevere gli internati di altri lager, evacuati
perché siti in prossimità dell'avanzata delle truppe alleate. In questa occasione arrivano prigionieri
ebrei e non ebrei in grande quantità.
Infine, nel gennaio 1945, viene aperto un grande campo per donne (nei locali dell'ex ospedale
militare per prigionieri di guerra) che va ad aggiungersi al cosiddetto «piccolo settore» femminile
nel quale, fin dall'agosto del 1944 erano state trasferite da Auschwitz-Birkenau Anne e Margot
Frank (che vi trovano la morte nel marzo/aprile 1945).
A Bergen-Belsen lo scambio dei prigionieri resterà comunque un fatto limitato. Nel giugno del
1944, 222 ebrei possono raggiungere la Palestina e nel gennaio 1945 136 ebrei verranno trasferiti in
Svizzera. A questi si aggiungano 1.683 ebrei ungheresi e poche altre centinaia di internati nel
settore destinato ai neutrali, che ottengono la libertà o vengono inviati in luoghi di detenzione con
maggiori possibilità di sopravvivenza. Il resto dei prigionieri è costretta al lavoro e patisce dure
condizioni di vita.
Quando le truppe alleate si avvicinano al campo, le SS cominciano a fare scomparire le migliaia di
cadaveri che ingombrano baracche e strade, obbligando i detenuti ancora capaci di lavorare a
scavare enormi fosse comuni. E tuttavia i soldati britannici, entrando nel lager il 15 aprile del 1945,
vi trovano migliaia di cadaveri ammassati e non sepolti.
Il numero totale dei detenuti passati da Bergen-Belsen, nel periodo dall'aprile del 1943 alla
liberazione, viene calcolato oggi in 125.000 unità (la cifra non include coloro che non vennero
immatricolati). Tra essi: donne, uomini e bambini; internati politici, razziali, asociali, detenuti di
diritto comune. In maggioranza ebrei formalmente destinati a essere scambiati, ma anche zingari
(circa 3000 i bambini con età inferiore ai quindici anni). Il numero dei morti viene stimato in 50.000
vittime, delle quali circa 13.000 (o 14.000 secondo altre fonti), nonostante le cure prestate, muore
nel corso delle prime dodici settimane che seguono la liberazione. Se a questo numero sommiamo la
cifra stimata dei morti nel settore per prigionieri di guerra (periodo iniziale, 1940 - 43), le vittime di
Bergen-Belsen si possono calcolare tra le 80.000 e le 100.000.
Bibliografia
Eberhard Kolb, Bergen-Belsen. Von «Aufhenthaltslager» zum Konzentrationslager 1940 - 1945,
Vandenhoeck, Göttingen 1985.
Fassina P.G., Problèmes de l'étude du camp de Bergen-Belsen, in «Revue d'histoire de la Deuxième
Guerre mondiale, n. 45, gennaio 1962, Paris, Puf.
Rahe Thomas, Bergen-Belsen, in La déportation, le système concentrationnaire nazi, Paris, La
Découverte/Sodis 1995.
Levy-Hass Hanna, Diario di Bergen-Belsen, La Nuova Italia, Firenze 1972.
Buchenwald
(Sino al 28 luglio la denominazione del campo è Kl Ettersberg, dal nome dell’altura poco distante).
Costruito nell’estate del 1937 a nove chilometri a nord ovest di Weimar (Germania). Un primo
accenno al progetto del campo, nei documenti SS, risale alla data 28 luglio 1937, anche se già Eicke
e il Gauleiter della Turingia Sauckel ne parlano il 20 maggio del 1936, in vista di un trasferimento
in questa zona di circa 3.000 deportati da Lichtenburg. In realtà, i preliminari per l'effettiva
realizzazione del campo hanno inizio con la nomina a comandante del SS-Obersturmbannführer
Karl Koch (già attivo a Sachsenhausen) che rimarrà al suo posto a Buchenwald fino al settembre del
1941, quando verrà sostituito dal SS-Standartenführer Hermann Pister che ne resterà alla guida fino
alla liberazione. I primi internati (delinquenti abituali, asociali e politici di nazionalità tedesca)
arrivano da Sachsenhausen il 15 luglio del 1937, con il compito di costruire il lager, la cui capienza
è prevista per un massimo di seimila internati.
Già alla fine dell’anno, sono registrati 2.561 detenuti che salgono a 7.723 nel luglio del 1938, così
suddivisi: asociali 60%, politici 21%, criminali 14% e testimoni di Geova 5%. Dopo l’invio al
campo di oltre 2000 austriaci provenienti da Dachau e di quasi 10.000 ebrei tedeschi, il numero
complessivo dei prigionieri di Buchenwald sale a quasi 20.000. Con il successivo arrivo di
numerosi polacchi ed ebrei viennesi (settembre – ottobre 1939) viene eretta provvisoriamente una
tendopoli in prossimità della piazza dell’appello, dove i prigionieri in maggior parte sono lasciati
morire di fame e freddo.
Nel settembre del 1940 la fabbrica di proprietà SS, DAW, entra in possesso di alcuni stabili nei
pressi del campo e comincia la produzione di armi con l’apporto di manodopera internata. Pochi
mesi dopo, nel luglio del 1941, nell’ambito del progetto speciale «14f13», un programma di
eliminazione a mezzo eutanasia, sono avviati a selezione gli internati da trasferire ai centri speciali,
per essere gassati. Tra i primi prigionieri inviati a Bernburg (in totale 571), 468 sono ebrei.
A fine estate e in autunno, vengono internati a Buchenwald quasi 8.400 ufficiali dell’Armata rossa e
fin da subito sono sottoposti a sistematica eliminazione a mezzo fucilazione alla nuca, da parte di
una squadra speciale SS, chiamata «Kommando 99».
Dall’inizio del 1943 e sino alla fine del 1944, il lager diventa luogo per esperimenti medici sui
prigionieri (circa un migliaio ne sono implicati), effettuati su istruzioni dell’Istituto di igiene SS con
sede a Berlino.
L’utilizzo dei deportati come manodopera coatta da destinare alle industrie di guerra (da
Buchenwald dipenderanno oltre cento sottocampi), porta il numero degli internati, nel dicembre del
1944, a più di 63.000, numero cui si devono aggiungere circa 24.000 donne deportate nel lager a
partire dal giugno dello stesso anno.
Con i primi giorni del 1945, al campo di Buchenwald si intensificano gli arrivi dei trasporti
provenienti da altri lager dell’Europa dell’est, in via di chiusura e liquidazione a causa della disfatta
nazista e dell’avanzata dell’Armata rossa. Tra il 17 e il 22 gennaio, giungono più di 9.000 ebrei tra i
quali diverse centinaia di bambini che verranno rinchiusi nel blocco 66 (Kinderblock 66).
Alla fine di marzo, Buchenwald conta 106.000 internati ed è il più grosso campo di concentramento
ancora in funzione. La sua liberazione è tuttavia imminente. Tra il 6 e il 10 di aprile 1945 vengono
evacuati più di 25.000 internati (in prevalenza ebrei, polacchi, cechi e prigionieri di guerra russi). Il
giorno seguente (l’11 aprile), il grosso della guarnigione nazista abbandona il campo che nel
pomeriggio viene liberato dalle truppe americane. I prigionieri ancora internati sono circa 21.000.
Sulla base delle ricerche recenti e della documentazione disponibile, si può affermare che gli
internati a Buchenwald siano stati tra i 240.000 e i 250.000. Di questi, 34.375 sono registrati come
deceduti sebbene la stima reale dei morti si collochi oggi su una cifra maggiore, che varia tra i
50.000 e i 60.000 e che comprende 9.000 esecuzioni e 13.500 decessi avvenuti nel corso
dell'evacuazione dell'aprile 1945. La cifra stimata dei deportati italiani a Buchenwald oggi si aggira
sulle 3.300 unità. Di questi, al momento della liberazione del campo, ne sono ancora in vita 178. In
realtà, molti italiani arrivati a Buchenwald vengono successivamente trasferiti in altri lager e il
numero effettivo dei morti nel campo si avvicina a un migliaio.
I primi italiani che vengono internati provengono dalla Francia, e in particolare dal campo di
transito di Compiègne dove sono detenuti in qualità di antifascisti. In seguito, dal 24 giugno 1944
(giorno della partenza del primo trasporto) al 19 novembre, i trasporti dall’Italia (quasi tutti
provenienti da Trieste) sono quindici. Quanto agli ebrei, tra il totale dei morti stimati, sono circa
11.000.
La presenza a Buchenwald di molti internati politici (in prevalenza comunisti e socialisti) rende
possibile la costituzione di un organismo clandestino di resistenza che riesce a guadagnare spazio
non appena il controllo dei posti chiave riservati ai detenuti passa dai delinquenti comuni ai
triangoli rossi. Tuttavia solo nell’estate 1943 si darà vita all’Internationales Lagerkomitee, con a
capo un comunista tedesco, Walter Bartel, e con scopi di mutua assistenza e soccorso, di sabotaggio
e di difesa dei detenuti. Del comitato, farà parte anche l’italiano Domenico Ciufoli, internato a
Buchenwald dal 19 gennaio 1944. Dieci mesi dopo, nasce anche il Comitato nazionale italiano di
solidarietà che ha lo scopo di allargare la rete si soccorso e di mutua assistenza; lo coordinano il
comunista Ferdinando Zidar e il cattolico Fausto Pecorari. Tuttavia, il problema più grave della
resistenza interna sarà quello della difesa degli internati al momento della liquidazione del campo,
quando le truppe alleate si avvicineranno. Per questo viene costituito un Organismo militare di
resistenza (Militärische Organisation IMO) che nel 1945 può contare su 900 uomini suddivisi in
194 gruppi e su un armamento costituito da un centinaio di bottiglie incendiarie, una mitragliatrice e
una ottantina di fucili. Tra le personalità di spicco morte a Buchenwald: la principessa Mafalda di
Savoia, il capo del partito comunista tedesco E. Thälmann, il deputato socialdemocratico R.
Breitscheid (catturato in Francia)
Dopo la liberazione, il campo di Buchenwald, sotto controllo sovietico, dall’agosto del 1945 a tutto
il 1950 viene adibito a campo di detenzione per funzionari civili nazisti. A Buchenwald non erano
in funzione camere a gas e tuttavia erano frequenti maltrattamenti e torture che sono la causa
dell'alta mortalità nel campo. Meritano di essere ricordate due figure di spicco: il famigerato Martin
Sommer che operava nel bunker della torura e la moglie del comandante, Ilse Koch, una delle più
temute aguzzine. Tra i principali responsabili di crimini commessi nel lager, Karl Koch è stato
giustiziato nell'aprile del 1945 dalle stesse SS per il suo comportamento depravato; H. Pister,
condannato a morte nel 1947 da un tribunale statunitense è morto in carcere prima di essere
giustiziato.
Dal 1959, Buchenwald è sede di un museo, rinnovato nel 1997.
Bibliografia
R. Antelme, La specie umana, Torino 1997, Einaudi.
A. Berti, Viaggio nel pianeta nazista: Trieste, Buchenwald, Longestein, Milano 1989, Angeli.
E. Kogon, L’Etat SS, Paris 1993, Seuil.
D. Rousset, L’universo concentrazionario, Milano 1997, Baldini & Castoldi.
Comitato internazionale di Buchenwald (a cura), Buchenwald Hahnunh und VerplichtungDokumente un Berichte, Berlin 1961, Berlin Kongress.
Harry Stein, Buchenwald, in La déportation, le système concentrationnaire nazi, (a cura di F.
Bedarida, L. Gervereau), Nanterre Cedex 1995, La Découverte/Sodis.
Dachau
È il primo lager aperto in Germania dopo l'avvento al potere del nazismo. Il 20 marzo del 1933,
Himmler, in qualità di Reichführer delle SS e di capo della polizia politica bavarese, ne annuncia
l'apertura in una conferenza stampa, affermando che il campo ha una capienza di cinquemila posti e
che vi saranno rinchiusi «i funzionari comunisti e, se necessario, i marxisti e tutti coloro che
metteranno in pericolo la sicurezza del Reich». Lo scopo dichiarato fin dall'inizio è quello di non
«rimettere mai più in libertà» i nemici della Germania.
Il campo ha sede in una vecchia fabbrica di munizioni della prima guerra, nei pressi della città di
Dachau, a circa venti chilometri da Monaco. Il giorno dell'apertura, vi viene trasferito il primo
nucleo di internati, circa 200 (in maggioranza comunisti), provenienti dal carcere di Stadelheim
(Monaco) e dalla fortezza di Landsberg.
Dachau diventa ben presto il modello di tutti i campi di concentramento nazisti (i Kl di detenzione e
afflizione, e i Kl di lavoro coatto - Sistema concentrazionario*), in particolare quando Himmler, a
partire dall'aprile del 1933, lo sottrae al controllo della polizia bavarese per destinarlo alla
competenza delle SS. Fin da subito, la fama di Dachau supera i confini della Germania: il 3 gennaio
del 1934, il quotidiano «Manchester Guardian» pubblica un lungo articolo di notizie e informazioni
sulla vita nel lager, denunciando sevizie, pestaggi, uccisioni arbitrarie cui vengono sottoposti i
detenuti. La prassi dei primi eccidi, spesso giustificati con la scusa dei tentativi di fuga, diventa
metodica, soprattutto sotto la guida del comandante del lager Theodor Eicke che nel maggio del
1933 prende il posto di Hilmar Wäckerle, dopo che la magistratura di Monaco cerca di fare luce sui
primi crimini. Theodor Eicke sistematizza e teorizza il regime terroristico del campo,
preoccupandosi soprattutto di istituire unità di sorveglianza dotate di una mentalità senza scrupoli.
Ispettore generale dei Kl dal luglio del 1933, Eicke, dopo avere avuto una parte di primo piano nella
soppressione di Rhom e dei capi SA rinchiusi a Dachau, diventa creatore di quei corpi speciali
destinati alla sorveglianza dei lager, che, a partire dal 1936, vengono denominati: «SS teste di
morto». Scuola di addestramento per i futuri guardiani dei campi nazisti, Dachau diviene anche il
laboratorio per la formazione dei responsabili di molti altri luoghi di detenzione e sterminio del
sistema concentrazionario nazista.
Lo sviluppo del lager segue diverse fasi con la costruzione nel 1937 del nuovo campo (aperto solo
nel 1939), che ne determina un ampliamento e l'assunzione della struttura architettonica standard
dei Kl: quindici baracche di legno destinate ciascuna a un minimo di 180 internati, il bunker, gli
edifici per le attività economiche e amministrative, i servizi, la piazza dell'appello, il triplice recinto
di filo spinato con la corrente elettrica, il fossato e il muro esterno, sormontato da sette torri di
guardia. Previsto per rinchiudere cinquemila detenuti, si dimostra assai presto al di sotto delle
esigenze del regime. Dopo la «Notte dei cristalli» (novembre 1938) e la deportazione sistematica
degli ebrei tedeschi, si trova a dovere fare i conti con diecimila internati. Il patto di alleanza con
l'Austria (Anschluss) che ha come conseguenza l'arrivo di nuovi deportati (per i quali si aprirà
successivamente il lager di Mauthausen*) e l'invasione della Polonia, che vede l'afflusso di
prigionieri polacchi, compresi molti esponenti del clero, turbano l'equilibrio iniziale del lager.
Inoltre, la guerra incide sul campo sia per l'afflusso di deportati civili, sia per l'arrivo, dopo il 1941,
di prigionieri russi, al punto che si rende necessario creare un campo di transito, fuori dalle mura di
cinta del Kl, per i cosiddetti Ostarbeiter.
Nel frattempo cresce l'interesse dell'industria per la manodopera schiava (Bmw, officine
aeronautiche Messerschmitt, Krauss-Maffei ecc.), ma i deportati vengono impiegati anche in lavori
ferroviari e stradali, per lo sgombero di macerie e altri lavori in Baviera. Dachau rinchiude tra gli
altri personalità del regime nazista cadute in disgrazia e uomini politici dei paesi occupati, come il
Presidente del consiglio francese Leon Blum o l'ex cancelliere austriaco Schuschning.
Nel lager, qualsiasi infrazione, anche minima, viene sottoposta a sanzione. Tra le più frequenti
punizioni: privazione del cibo, stazionamento in piedi per ore nella piazza dell'appello, lavoro
supplementare, esercizi punitivi paramilitari, trasferimento nella compagnia disciplinare, frustate,
carcerazione nel bunker, flagellazione, morte per inedia, impiccagione o fucilazione, senza contare
una vasta gamma di torture.
A Dachau hanno luogo vari esperimenti medici sui detenuti e riguardano per lo più: la resistenza
degli uomini alle altitudini elevate fino a ventimila metri e oltre, con l'utilizzo di una camera barica;
le prove di congelamento che comporta l'esposizione dei detenuti prescelti a temperature molto al di
sotto dello 0°; studi sulla malaria che implicano esperimenti su centinaia di internati con tentativi di
cura, per lo più inefficaci; potabilità dell'acqua del mare attraverso sistemi che cercano di renderla
bevibile ecc. Gli esperimenti sono strategici per le varie armi delle forze armate tedesche
(aeronautica, esercito, marina) e causano la morta di migliaia di internati, tra atroci sofferenze.
Nel 1944 il campo rinchiude 35.000 internati, mentre altri 40.000 prigionieri sono occupati negli
oltre 180 kommando di lavoro esterni.
Gli ultimi mesi di vita del lager sono segnati da forti epidemie di tifo e da una decisa organizzazione
di resistenza. Promossa dai comunisti e dai socialdemocratici tedeschi, dà vita a un comitato
internazionale che realizza atti di sabotaggio, per esempio alla fabbriaca Bmw di Allach, ma anche
azioni di solidarietà e di difesa dei detenuti più deboli, con raccolta di documentazione su crimini.
Del comitato italiano fanno parte, tra gli altri, Giovanni Melodia.
Gli internati di tutte le nazionalità rinchiusi a Dachau risultano 206.206, compresi i 7.000 italiani
(anche se oggi si comincia a parlare di 250.000 detenuti tra i quali 44.000 non registrati). Essi
appartengono a ventisette nazionalità diverse.
Il lager è luogo di eccidi e selezioni per le destinazioni più diverse. Nel 1942, per fare un solo
esempio, vengono inviati alla camera a gas del Castello di Hartheim (a Linz, in Austria) 3.166
malati di mente. Anche il numero dei prigionieri di guerra sovietici uccisi è imprecisato. Verrà
costruita una camera a gas che non entrerà mai in funzione, mentre il forno crematorio va a pieno
regime, a testimonianza della elevata mortalità. dovuta ai maltrattamenti e alle torture, alla fame e
alle epidemie, agli esperimenti medici e al lavoro coatto. Oggi si parla di 76.000 morti nel lager.
Dachau viene liberato dalle truppe americane il 29 aprile del 1945. Al momento dell'ingresso dei
liberatori, vi sono reclusi ancora 32.335 internati, dei quali 3.147 moriranno nelle settimane
successive.
In seguito saranno condannati a morte una quarantina di SS del lager. Theodor Eicke, invece, muore
nel 1943 sul fronte russo.
Dal 1965, il campo è sede di un museo, organizzato dal Comitato internazionale dei detenuti, che
consente la visita di ciò che rimane del lager, la consultazione di materiali d'archivio, di studi e di
filmati sulla vita quotidiana nel campo e sul sistema concentrazionario nazista.
Bibliografia
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International de Dachau.
E. Kupfer-Koberwitz, Dachauer Tagebuch, Frankfurt am Main 1960, Workwerk.
G. Melodia, Di là da quel cancello, Milano 1988, Mursia.
G. Melodia, Non dimenticare Dachau, Milano 1993, Mursia.
A: Mitscherlich, F. Mielke, Medicina disumana, Milano 1967, Feltrinelli.
H. G. Ricardi, Schule der Gewalt. Das Konzentrationslager Dachau, München 1983, Beck.
L. Sterpellone, Le cavie dei lager, Milano 1978, Mursia.
M. Ruby, Le livre del la déportation, Paris 1995, Laffont.
Dora
Situato tra le città di Ellrich e Nordhausen sul fianco della collina di Kohnstein, nasce come campo
di lavoro forzato, aggregato al lager di Buchenwald, nell'agosto del 1943. A seguito dei raid aerei
alleati, Hitler prende la decisione di continuare a produrre armamenti sotto terra. Sarà l'impresa
industriale Mittelwerk (con la partecipazione diretta di Speer) a essere incaricata dei lavori (da qui
la denominazione Mittelbau per indicare le costruzioni intorno a Dora). Su proposta di Himmler
vengono scelte le gallerie sotterranee (già esistenti come deposito della Wehrmacht dal 1936),
percorribili con un sistema vagonetti su rotaie per il trasporto di materiali. Tuttavia la fabbricazione
delle armi segrete tedesche (missili V2) richiede l'ampliamento delle gallerie, espletato dai deportati
in condizioni di lavoro disumano e con grandi difficoltà geologiche. Lo sterminio di vite che vi si
verifica è uno dei tanti esempi di eliminazione di detenuti a mezzo lavoro forzato, poiché a Dora
l'obiettivo primario non è l'annientamento per scopi razziali, ma lo sfruttamento radicale delle
possibilità di produzione dei prigionieri.
All'inizio alla Mittelwerk viene attribuita una produzione di 1800 razzi al mese, ridotta
successivamente a 900 (obiettivo per altro mai raggiunto.
I primi 107 internati arrivano a Dora il 28 agosto 1943 e in questa fase la loro vita si svolge
interamente nei tunnel, mentre all'esterno vengono costruiti uffici e alloggiamenti delle guardie e
dell'amministrazione della fabbrica.
Nell'inverno 1943-44 la condizione dei prigionieri costretti giorno e notte nelle gallerie si rivela
catastrofica, con alti tassi di malattia (in particolare tubercolosi) e mortalità. Le esigenze delle
produzione, spingono così a spostare all'esterno cinquantasei baracche alloggio per internati (inizia
così la seconda fase del lager).
Nei primi mesi del 1944, l'alta mortalità spinge alla costruzione di un forno crematorio (in
precedenza i cadaveri venivano spediti a Buchenwald) - da gennaio funzionerà un crematorio
mobile e dal mese di marzo, l'impianto sarà stabile).
Il trasferimento nelle gallerie di altri impianti industriali per la produzione di guerra (quelli delle
officine aeronautiche Junkers di Dessau) produce una proliferazione di sottocampi satelliti in tutta
l'area meridionale della regione dell'Harz. Proprio questo ampliamento massiccio del lager di lavoro
coatto porta Dora-Mittelbau a essere campo autonomo da Buchenwald (ottobre 1944). Secondo le
ricerche più aggiornate, i campi satelliti di Dora vanno da trentadue a quaranta.
Le testimonianze dei sopravvissuti concordano nel sottolineare come le condizioni di vita al campo
fossero estremamente dure: cibo e acqua insufficienti, ritmo di lavoro e di trasporto del materiale
con i vagonetti infernale, impossibilità di dormire nelle poche ore di riposo, guardiani SS e kapò
brutali (l'uso della frusta continuo e violento è costante per sferzare i detenuti a ritmi di lavoro
sostenuti). La durata del lavoro in questo regime di terrore e di totale insalubrità, parte da un
minimo di dodici ore giornaliere. Secondo una registrazione risalente al 1° novembre 1944, a quella
data i detenuti al campo risultano 37.471 (di cui 13.758 nel campo principale di Dora) in
maggioranza russi, e poi polacchi, francesi, tedeschi, belgi, zingari, ebrei, ungheresi, cechi e italiani
(500 alla data citata di cui 275 a Dora). In realtà il numero complessivo degli internati nel
complesso concentrazionario di Dora-Mittelbau si aggira intorno a 60.000, con un numero di
decessi pari a 20.000 (altre fonti recenti portano questo dato a 26.500. Nel memoriale del campo,
una lapide ricorda il sacrificio di sei italiani che si sono ribellati ai loro aguzzini e che sono assurti a
simbolo della resistenza nei lager. Si tratta di Giovanni Scola (mat. 0278), Ernesto Moz (0279),
Emmine Blanchet (0276), Elisio Flamatti (0456), Giuseppe Bacanelli (0457) e Carlo Massoni
(0458).
Tra il 3 e il 4 aprile del 1945 comincia l'evacuazione del campo che viene raggiunto l'11 aprile da
una divisione americana. Primo comandante del campo è l'ufficiale SS Otto Förschner che viene
rimpiazzato, nel febbraio del 1945, da Karl-Richard Baer (proveniente da Auschwitz).
Nel dopoguerra, il processo contro i crimini commessi a Dora si tiene a Dachau il 7 agosto del 1947
contro diciannove responsabili, quattordici dei quali SS. Mancano comunque in questo processo, la
cui documentazione viene raccolta da ufficiali americani fin dal 27 aprile del 1945, e da un giovane
avvocato polacco detenuto a Dora, Wincenty Hein, i maggiori responsabili. Vent'anni dopo, tre SS
di servizio a Dora vengono processati a Essen (tra il 17 novembre 1967 e l'8 maggio 1970) davanti
a un tribunale tedesco che commina loro pene detentive.
Bibliografia
Sellier A., Histoire du campe de Dora, La Découverte, Parigi 1998
Borneman M., Aktiver und passiver Widerstand, in Kz Dora und im Mittelwerk, Westkreuz-Verlag,
Berlino/Bonn 1994.
Kogon E., L'Etat SS, Seuil, Parigi 1993
The Buchenwald Report, Westview Press, Boulder 1995.
Sofsky W., L'ordine del terrore, Laterza, Bari 1995
Flossenbürg
Costruito nei pressi di Oberpfalz, nelle vicinanze della piccola città di Flössenburg, in Alta Baviera,
a pochi chilometri dalla frontiera cecoslovacca, fin da subito si caratterizza come Arbeitslager
(campo di lavoro forzato) nel quadro del sistema delle imprese SS. La sua localizzazione è infatti
legata anche alla presenza in zona di cave di pietra. Il 3 maggio del 1938 arriva il primo trasporto di
un centinaio di detenuti provenienti da Dachau. Ne seguiranno altri, dai campi di Buchenwald e
Sachsenhausen e a fine dicembre gli internati sono già 1.500. Quasi tutti portano il triangolo verde
dei criminali comuni. Come a Dachau (e successivamente ad Auschwitz) il cancello d'ingresso al
campo porta la scritta Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi). Il lager comprende una cava di
pietra della DEST (Deutshe Erd-und Steinwerke), impresa di costruzioni SS; una fabbrica della
Messerschmitt (costruzioni aeronautiche); ma fornisce lavoro forzato anche ad altre industri
tedesche e boeme tra le quali la Siemens, la Auto-Union, la Osram ecc. Il noleggio di ciascun
prigioniero ai privati rende alle SS da 4 a 8 marchi al giorno.
L'arrivo progressivo al campo di migliaia di prigionieri consente l'espansione delle attività di lavoro
coatto fino alla costituzione di quasi un centinaio di campi esterni, la maggior parte dei quali è
destinata alla produzione di guerra con vere e proprie fabbriche sotterranee di armamenti e
munizioni.
Alla fine del 1944 nel sistema di campi che fanno capo a Flossenbürg si contano 29.000 internati
uomini e 11.000 donne; una popolazione destinata ad aumentare molto in fretta a causa dello
smantellamento di grandi lager dell'Est con il conseguente trasferimento di migliaia di deportati.
Nei primi mesi del 1945, per esempio, da Gross-Rosen giungono diciassette trasporti per un totale
di 11.583 detenuti e qualche tempo dopo, il 14 aprile, il registro del campo segnala la presenza di
quasi 46.000 prigionieri, tra i quali 16.000 donne.
Le pessime condizioni di vita al campo, l'annientamento mediante lavoro, le epidemie, la fame e il
freddo producono un alto tasso di mortalità tra gli internati. Tra i 115.000 detenuti del lager (la cifra
esclude i non immatricolati, con i quali si ritiene che il numero complessivo salga a 200.000) il
numero dei decessi supera, secondo le stime più recenti, le 70.000 unità (altre fonti riducono il
numero dei decessi a 30.000).
Al comando del campo si succedono diversi ufficiali SS: Jacob Weiseborn (che si toglie la vita nel
suo alloggio il 20 gennaio 1939); Karl Künstler, in carica fino all'agosto del 1942; Egon Zill e, a
partire dall'aprile del 1943, Max Koegel che proviene dalla direzione del campo di sterminio di
Majdanek. Le SS di servizio al lager, passano da un numero iniziale di 45 sorveglianti, a 4.500 (tra
cui più di cinquecento donne).
A Flossenbürg hanno luogo esperimenti medici di tipo chirurgico (dr. Schmitz), ma il lager viene
utilizzato anche come luogo per l'esecuzione di massa di deportati, in particolare polacchi e russi,
prigionieri di guerra e non, in numero imprecisato. Nel lager vengono anche giustiziati alcuni degli
esponenti più in vista del complotto antihitleriano del 20 luglio del 1944.
Il 16 aprile del 1945 ha inizio l'evacuazione del campo, con il trasferimento degli internati a
Dachau. Il 20, giorno dell'abbandono definitivo del lager, quasi quindicimila detenuti vengono
costretti a marce forzate (le cosiddette «marce della morte» durante le quali si calcola che perdono
la vita quasi seimila prigionieri.
Il campo viene raggiunto da reparti di fanteria dell'esercito americano la mattina del 23 aprile 1945.
Al suo interno si trovano ancora 1.527 internati.
Oggi si calcola che circa 10.000 detenuti, a partire dal 1940, fossero ebrei di varia nazionalità. Tra
gli altri prigionieri si contano in maggioranza polacchi e sovietici, seguono ungheresi, francesi,
tedeschi e italiani. Questi ultimi giungono a Flossenbürg con cinque trasporti, a partire dall'autunno
del 1943 e il loro numero accertato è di 2.610 unità (ma il dato reale è certamente superiore a
questo), dei quali oltre mille perdono la vita.
Delle strutture del vecchio campo, resta molto poco. Una baracca, adibita a suo tempo a prigione e
il crematorio restano a simbolo di tanto dolore.
Bibliografia
Siegert Toni., 30.000 Tote mahnen, Weiden, Verlag Taubald'sche Buchhandlung 1984.
Cantaluppi G., Flossenbürg, ricordi di un generale deportato, Milano Mursia 1995.
Rusich De Moscati S., Il mio diario. Flossenbürg 40301, Firenze, Ecp 1992.
Selbmann F., Die longe Nacht, Mitteldeutscher, Halle 1961.
Ruby M., Le livre de la déportation, Paris, Laffont 1995, p. 130-144.
Mauthausen
Posto a sette chilometri dal villaggio omonimo, sopra una collina che domina il Danubio, il lager
viene costruito nell'estate del 1938, da una squadra di lavoro composta da trecento internati
provenienti da Dachau, e in prossimità di una grande cava di granito, che dovrà produrre materiale
edile per la DEST, la società di costruzioni tedesca delle SS. Poco lontano, a trenta chilometri, la
città di Linz che parteciperà al progetto eutanasia, ospitando nel castello di Harteim* una squadra di
specialisti dello sterminio di massa (tra il 1940-41).
Qualche mese dopo, il 18 ottobre del 1938 arriva il primo convoglio di deportati (trecento criminali
comuni provenienti da Dachau). Destinato in origine ad austriaci e tedeschi «asociali» e politici, il 9
marzo del 1940 riceve il primo convoglio di stranieri (448 polacchi). All'inizio della guerra e nei
messi immediatamente successivi, quando i lavori della struttura principale del campo sono
ultimati, il numero dei detenuti si avvicina ai 3.000 e tra essi oltre un migliaio di zingari provenienti
dal Burgenland, provincia orientale dell'Austria. In seguito il numero degli internati crescerà a
dismisura, fino a raggiungere i 230.000 immatricolati (ai quali andrebbero aggiunti migliaia di
detenuti n0n registrati).
La storia del campo può essere articolata in quattro diverse fasi.
La prima va dall'8 agosto 1938 fino alla tarda estate del 1939 (corrisponde al primo anno di vita del
lager). In questo periodo i prigionieri lavorano nelle cave, tracciano le strade di accesso e
costruiscono edifici per la custodia e la sorveglianza, comprese le venti baracche per i detenuti e la
quarantena (lager I).
La seconda fase va dallo scoppio della guerra al giugno del 1943, periodo in cui il lager conosce
una grande espansione e una altrettanto grande diversificazione della popolazione reclusa, che
proviene da Polonia, Cecoslovacchia, Unione sovietica, Olanda, Belgio, Lussemburgo e Francia.
Durante questo periodo, aumentano le malattie e i maltrattamenti e tra i detenuti si registra un alto
tasso di mortalità. Si aggiunge il settore II con quattro baracche e officine e il settore III destinato ai
prigionieri di guerra russi (e dal marzo del 1943 ai detenuti ammalati).
L'espansione esterna del campo trova luogo in un villaggio a quattro chilometri dove sorge il
Nebenlager di Gusen (inverno 1939-40), con condizioni di lavoro estremamente primitive, per lo
sfruttamento di cave di granito.
L'alta mortalità del campo induce nel maggio del 1940 all'apertura di un forno crematorio, mentre
tra il 1941 e il 1942 si fa ricorso alle installazione a gas del castello di Harteim, per eliminare una
parte dei prigionieri. Altri metodi di eliminazione: la «fuga», vale a dire la fucilazione alle spalle dei
detenuti spinti dalle guardie contro i reticolati; il volo nelle cave o l'annegamento dei prigionieri
nelle sale adibite a doccia (metodo perfezionato a Gusen). Successivamente, nel marzo del 1942, in
una baracca appositamente sigillata vengono gassati i primi 150 prigionieri di guerra sovietici
(Gusen). Nei seguenti giorni di aprile, nella camera a gas costruita a Mauthausen viene fatto il
primo collaudo, e il 9 maggio vengono eliminati più di duecento prigionieri di guerra sovietici (la
camera a gas consentiva l'eliminazione di circa settanta prigionieri per volta). Si calcola oggi che
alla fine di aprile del 1945 le vittime del gas a Mauthausen siano circa quattromila.
Insieme a queste due installazioni a gas, tra la metà del 1942 e il 1943 funziona anche un camion a
gas che fa la spola tra Gusen e Mauthausen (con trenta vittime per viaggio). I morti con questo
metodo sono circa 2.800.
La terza fase della storia del lager, corrisponde al periodo in cui il fabbisogno di manodopera
internata spinge a un uso più «razionale» della popolazione del campo. A cominciare dal giugno del
1943 Mauthausen e Gusen si estendono fino a comprendere una vasta rete di quarantanove campi
satelliti (tra i più importanti Ebensee e Melk) che lavorano per l'industria bellica dei maggiori centri
industriali austriaci (Linz, Steyr, St. Valentin, Wiener Neustadt e Vienna). Nella primavera del 1944
giungono al campo anche migliaia di ebrei, provenienti per lo più da Auschwitz o da Plasznow. In
magggioranza vennero internati in un campo satellite e impiegati nelle costruzione di tunnel
sotterranei da usare come officine per l'industria degli armamenti. Qui, le condizioni di lavoro erano
molto dure e trasformavano un uomo sano in un relitto in pochi giorni.
La quarta fase va dall'autunno del 1944 al maggio del 1945, mese della liberazione. Il periodo è
caratterizzato da numerose azioni omicide di massa e da violenze compiute frequentemente sotto lo
sguardo di ampi settori della popolazione civile dei dintorni, a volte anche con la loro complicità.
In tutto, il numero degli ebrei che morirono a Mauthausen e campi annessi è di 38.906, un terzo
delle vittime dell'intero complesso che con una stima approssimativa per difetto raggiunge la cifra
totale di 119.000.
Il primo comandante del campo è l'ufficiale SS Albert Sauer che ricopre l'incarico fino al 17
febbraio 1939. Viene sostituito da Franz Ziereis che resterà fino alla liberazione. Il corpo delle
guardie di sorveglianza appartiene alle SS «Testa di morto» e solo nel 1944 si aggiungono militari
provenienti dalle forze armate tedesche (Aeronautica, marina ecc.) mentre nel 1945 arrivano alcuni
riservisti e appartenenti al corpo dei pompieri. Complessivamente, le unità di sorveglianza furono
quasi seimila. Secondo l'ordinanza di Reinhard Heydrich, del 1° gennaio 1941, il campo di
Mauthausen viene classificato nella terza categoria, quella più restrittiva e rigida che non prevede la
possibilità della riabilitazione del detenuto. Il lavoro più duro è quello svolto nella cava con una
scalinata di 186 gradini, simbolo stesso dell'orrore nella memorialistica dei sopravvissuti.
Nel campo vengono concentrati detenuti civili e militari, di varie nazionalità europee, tra cui
minorenni (a partire dall'autunno del 1940) e donne (dall'aprile del 1942. I primi deportati italiani vi
giungono nell'autunno del 1943 e si calcola che complessivamente furono 8.362, dei quali più del
cinquanta per cento (4.670) non faranno ritorno.
Proprio la presenza nel complesso di Mautahusen di internati politici favorisce la nascita di nuclei
di resistenza che operano con estrema difficoltà (resistenza nei lager*); e nel marzo del 1945 si
costituisce un Comitato internazionale sotto la direzione del comunista austriaco Heinrich
Dürmayer, proveniente da Auschwitz. Tra gli altri anche l'italiano Giuliano Paietta farà parte
dell'organismo clandestino di resistenza.
Nell'immediato dopoguerra, a Dachau, viene celebrato da un tribunale americano il più importante
processo a carico del personale SS del campo di Mauthausen. Ai sessantuno imputati, tra cui
l'ufficiale medico Eduarrd Krebsback e il vice comandante, vengono comminate cinquantotto
condanne a morte e tre ergastoli. Un secondo processo ha luogo a Klagenfurt, dove un tribunale
franco-inglese giudica una dozzina di SS e Kapo.
Nel 1949 il campo base di Mauthausen viene dichiarato monumento nazionale dal governo
austriaco. Dal 1970 è in funzione anche un museo e un centro di documentazione del campo.
Bibliografia
Fabréguet M., Mauthausen, Champion, paris 1999.
Horwitz G. J., All'ombra della morte, Marsilio, Venezia 1994
Marsalek, Mauthausen, La Pietra, Milano 1977.
Pappalettera V. Tu passerai per il camino, Mursia, Milano 1965
Caleffi P., Si fa presto a dire fame, Mursia, Milano 1988
Il Revier di Mauthausen (conversazioni con G. Calore), Edizioni dell'Orso, Alessandria 1992
Freund F., Kz Zement Ebensee, (a cura di I. Tibaldi), L'artigiana, Torino 1990
Carpi A., Diario di Gusen, Einaudi, Torino 1993
Neuengamme
Situato a sud est del grande porto di Amburgo, sulla riva destra del fiume Elbe (in un clima umido,
freddo e malsano) il 13 dicembre del 1938 riceve i primi internati, provenienti da Sachsenhausen, di
cui, per il momento è un Aussenkommando (un campo esterno, satellite). Nell'area, una vecchia
fabbrica di mattonelle che utilizza l'argilla del luogo. Il lavoro forzato, alle dipendenze della DEST
delle SS ne riduce i costi, aumentandone la produzione. Il nome viene scelto per distinguere il luogo
dal villaggio vicino di Altengamme. Il 4 giugno del 1939, il lager diventa autonomo e viene
collocato nella classe due, cui appartengono, in linea di principio, tutti quei campi di
concentramento destinati alla rieducazione dei prigionieri. Tra la fine del 1940 e il 1945, il lager
non cessa di ampliarsi e vede un proliferare continuo di comandi esterni (che saranno più di
sessanta - secondo la ricostruzione di Pierre Brunet, settantacinque di cui cinquantotto di uomini e
diciassette di donne). Oltre alla fabbrica di mattonelle, al suo interno funzionano una falegnameria e
officine per la fabbricazione di munizioni (DAW, Vereinigte Metallwerke) e di orologi (Messap).
Inoltre il lager fornisce manodopera alle fabbriche del Nord ovest della Germania (Amburgo,
Brema, Hannover), addette alla produzione bellica in genere. Comandanti del campo sono
rispettivamente l'ufficiale SS Martin Weiss - dall'aprile 1940 al settembre 1942- e l'SS Max Pauly
(nel dopo guerra condannato a morte da un tribunale inglese e giustiziato). A partire dal 1941 la
popolazione del lager, in seguito alla guerra di aggressione della Germania, comincia a modificarsi,
con l'arrivo di internati non tedeschi. Per collocazione geografica, il maggior numero di prigionieri
proviene dall'Olanda, dal Belgio e dalla Francia (mentre l'organizzazione dei kapo rimane in
prevalenza nelle mani dei detenuti comuni tedeschi. Le dure condizioni di lavoro e di vita, e lo
scatenarsi di una grave epidemia di tifo (inverno 1941-42) portano i decessi giornalieri a circa
centoventi. Ben presto al lager giungono anche prigionieri di guerra sovietici, zingari ed ebrei (circa
13.000). Tra i gruppi nazionali si trovano anche ucraini (più di diecimila), polacchi (quasi
ventimila) per un totale almeno 100.000 deportati (tra cui quasi ventimila donne), non inclusi coloro
che non saranno immatricolati. Tra questi un gran numero di prigionieri di guerra (per lo più
sovietici) che vengono portati a Neuengamme dalla Gestapo di Amburgo per essere giustiziati. A
partire dal settembre del 1942 viene predisposto un apposito bunker da destinare a camera a gas
(con Zyklon B) che servirà ad assassinare quasi cinquecento prigionieri di guerra russi provenienti
dal campo di Fallingbostel. Nel 1944, il 14 di ottobre, vengono portati al campo, in segno di
rappresaglia tutti gli abitanti maschi della cittadina olandese di Putten: 589 uomini dei quali ne
sopravviveranno solo 37. Tra i deportati, in numero limitato anche danesi e norvegesi, rilasciati per
intervento diretto della Croce rossa svedese. Tra le cause della mortalità, oltre alle epidemie, la
fame, le torture, le esecuzioni, le gassazioni e il lavoro coatto, una notevole quantità di esperimenti
medici (inoculazione della tubercolosi) nei quali vengono coinvolti anche almeno venti bambini
ebrei.
Il 19 aprile del 1945 comincia l'evacuazione del campo; una parte dei detenuti vengono trasferiti
verso Sanbostel, mentre altri sette -. ottomila internati vengono caricati su vagoni ferroviari diretti a
Lubecca. L'indomani dell'arrivo nella città, avviene il loro caricamento su alcuni piroscafi (il Cap
Arcona, l'Athen, il Thielbeck, il Deutschland). Imbarcati per ignota destinazione, i prigionieri
affonderanno con le imbarcazioni il 3 maggio del 1945, sotto il fuoco di una squadriglia di caccia
bombardieriinglesi. Dei circa settemila prigionieri delle stive, solo 150 si salveranno (la
commissione d'inchiesta britannica non ha comunque stabilito quanti fossero in realtà i deportati
sulle imbarcazioni ed è credibile che il loro numero si avvicinasse, come sostengono alcuni
testimoni ai 12-14.000). Le stime più recenti portano a 55.000 il totale delle vittime del lager.
Bibliografia
Brunet Pierre, Le Martyrs de Neuengamme, Parigi, Tallandier 1975
Les jours de notre mémoire (1940-1945), Parigi, La Pensée Universelle 1975.
Schwarz H., Bibliographie der Konzentrationslager Neuengamme, s.l., Selbstverlag 1964.
Glienke F., Neuengamme, Amburgo, Freuedenskreis Verlag 1971.
Le camp de concentration de Neuengamme et ses commandos extérieurs. Guide. Parigi, Amicale de
Neuengamme 1967.
Kaienburg H., Vernichtung durch Arbeit. Der Fall Neuengamme, Bonn 1990
Stutthof
Costruito nella Prussia orientale, sulla baia di Danzica in una regione particolarmente insalubre (a
due chilometri dal mare Baltico) funziona dapprima come luogo di detenzione per polacchi
antinazisti (dal 2 settembre 1939) e in seguito come vero e proprio lager di lavoro coatto a partire
dal 13 gennaio del 1942.
Costruito sul modello degli altri campi, forma un quadrilatero di novecento metri di larghezza e di
un chilometro di lunghezza. In seguito a vari ampliamenti la sua superficie supererà i centoventi
ettari. Nel gennaio del 1945 comprenderà tre settori: il vecchio campo, il campo nuovo e il
complesso «speciale».
Nella parte vecchia del lager si trovano il crematorio, la camera a gas (in funzione dal giugno del
1944 con Zyklon B), il Revier, i laboratori, i blocchi per internati e le costruzioni del comandante e
dell'amministrazione; il campo nuovo assai più ampio, comporta quaranta blocchi per internati di
cui dieci riservati ai laboratori, dieci ai prigionieri ebrei (dal 21 gennaio 1942 verranno aggiunti altri
dieci blocchi che costituiscono il settore femminile); il complesso «speciale», completamente
chiuso da mura e filo spinato elettrificato, comprende tre blocchi per detenuti in isolamento.
All'esterno del campo, sono alloggiati: la guarnigione delle SS (conta circa cinquecento elementi) la
scuola di polizia ucraina e le abitazioni dei civili, responsabili delle attività economiche. I
comandanti del campo sono gli ufficiali SS Max Pauly e Paul Werner Koppe
I deportati di Stutthof sono per il novanta per cento politici e per il dieci per cento criminali comuni
tedeschi. Gli ebrei costituiscono un gruppo a parte. Inoltre sono reclusi anche i cosiddetti
Ehrenhäftlinge (prigionieri d'onore), vale a dire intellettuali lituani e lettoni anti nazisti..
Quanto alla nazionalità dei detenuti: per tutto il 1942 il novanta per cento è rappresentato da
polacchi; in seguito il numero dei sovietici è crescente fino a raggiungere il venti per cento. Solo a
partire dal luglio del 1944, gli ebrei rappresentano la maggioranza assoluta con il settanta per cento
di tutti gli internati. Quanto alle squadre di lavoro, sono impiegate all'interno (laboratori di scarpe,
elettrici, di armamenti e pezzi di ricambio per l'aviazione) e all'esterno in Pomerania e Prussia
orientale per lavori pesanti agricoli e forestali; nei cantieri navali di Danzica, Elbing e Gdingen,
nella raffineria di benzina sintetica di Politz e nelle installazioni ferroviarie di Köninsberg. A
Stutthof si muore di fame, di torture e violenze, di malattia, di lavoro (molti prigionieri vengono
anche fucilati sommariamente) e, negli ultimi mesi, nella camera a gas (un locale di venticinque
metri quadrati e che serve per sterminare cento internati per volta (l'uso del gas verrà interrotto nel
novembre del 1944 per ordine di Himmler). Altri metodi di uccisione sono rappresentati dalle
impiccagioni frequenti e dagli omicidi medici, mediante inieizioni di fenolo nel cuore. Il numero
totale degli internati rinchiusi nel campo, nei vari periodi, oggi è valutato intorno a 120.000 (esclusi
i non immatricolati), mentre il numero dei decessi varia dagli 85.000 ai 100.000. Occorre
sottolineare in proposito l'alta percentuale di morti che avvicina Stutthof (lager ancora poco
studiato) a un campo di sterminio (alcuni storici mettono in evidenza la sua trasformazione in lager
di sterminio a partire dal 1944).
Il 25 gennaio 1945 inizia l'evacuazione del campo, a piedi, in un marcia forzata, nella neve e senza
cibo, verso la Pomerania. Quando il 9 maggio, i sovietici arrivano sul posto, trovano ancora 385
internati per lo più ammalati e moribondi.
Il campo oggi è sede di un museo.
Bibliografia
Ruby M., Le livre de la déportation, Laffont, Parigi 1995
Herbert U., Orth K., Diekmann C., Die nationalsozialistischen Konzentrationslager, Wallstein,
Göttingen 1998.
Dunin-Wasowicz K., Oboz koncentracyjny Stutthof, Varsavia, PIW 1966
Skutnik T., Stutthof, Varsavia, Historischer Informator 1979.
Pickholtz-Barnitsch O., The evacuation of the Stutthof concentration camp, «Yad Washem Bull, n.
17 1965.
Ravensbrück
Costruito nella Germania orientale, a ottanta chilometri da Berlino, nei pressi della cittadina di
Fürstenberg, è passato alla storia come «l'inferno delle donne». Posto nelle vicinanze di un lago e di
una vasta area paludosa e forestale, a causa del clima rigido e insalubre, la zona viene chiamata la
«piccola Siberia del Mecklemburgo». Verso la fine del 1938, cinquecento prigionieri del lager di
Sachsenhausen sono trasferiti in loco per costruire il nuovo campo, destinato alle donne. Il 13
maggio 1939 vi sono trasferite le prime detenute (in maggioranza tedesche e austriache) dal lager
provvisorio di Lichtenburg (esistente dal 1937). In precedenza e, sin dal novembre del 1933, nei
pressi di Hannover - a Moringen - era attivo un luogo di detenzione femminile con meno di cento
prigioniere (politiche, comuni, testimoni di Geova, donne accusate di reati contro la purezza della
razza, emigrate rientrate in Germania e antinaziste) Da Moringen, nel 1938, le detenute vengono
trasferite a Lichtenburg, lager che al momento dello scioglimento conta 1415 ingressi di prigioniere,
in buona parte appartenenti ai testimoni di Geova. Sebbene i comandanti del campo siano ufficiali
SS (il primo Max Koegel che si suiciderà dopo l'arresto; il secondo che lo sostituisce nell'estate del
1942, Fritz Suhren, condannato a morte da un tribunale francese e giustiziato) la guarnigione è
composta da centocinquanta guardiane (Aufseherinnen) alle dipendenze di un'Oberaufseherin.
Inoltre, Ravensbrück diventa scuola di addestramento per sorveglianti donne di Kl (si calcola che
tra il 1942 e il 1945 vi siano state formate più di 3.500 ausiliarie).
Seguendo la cronologia ricostruita da Germaine Tillon, nel 1939 arrivano al campo 440 zingare e da
quello stesso anno, dopo l'inizio della guerra, alle tedesche e alle austriache si aggiungono detenute
polacche, sovietiche, francesi, ebree di varie nazionalità, belghe, ceche, iugoslave e, dopo l'8
settembre del 1943, italiane, oltre a una percentuale intorno al 2 per cento delle internate di altre
nazionalità. Nel complesso le donne passate dal campo sono 132.000 (escluse le non
immatricolate), mentre la stima delle vittime varia da 60.000 a 90.000 (le italiane deportate, a
tutt'oggi risultano essere seicento, dato che allunga la lista esposta al museo del campo ferma a 322
ingressi). Occorre comunque rilevare che studi recenti, ancora in corso, attestano la cifra delle
vittime accertate intorno a un dato che non supera 30.000 unità (anche se non tiene conto delle
donne morte non registrate e delle donne morte o assassinate nel corso delle marce di evacuazione).
Tra il gennaio e il febbraio del 1945, il lager riceve molte migliaia di donne provenienti da
Auschwitz.
La già elevata mortalità per condizioni igieniche, lavoro coatto, torture ed esperimenti medici, fame,
epidemie, aumenta anche a causa delle pessime condizioni fisiche delle nuove internate.
L'obbligo di lavoro che si estende per otto ore al giorno, a partire dal 1942 raggiunge anche le
dodici ore giornaliere, quando l'impiego della manodopera femminile del campo diventa sempre più
massiccio: le donne vengono impiegate nella fabbricazione di uniformi per le SS ma anche per la
fornitura di tute per i Kl e nella riparazione dei vestiti provenienti da altri lager (in particolare da
Auschwitz); ma oltre che nella sartoria, sono utilizzate in lavori pesanti, quali il trasporto di
materiali edilizi, i opere agricole e in laboratori elettrici.
Nelle vicinanze del campo la presenza di molte industrie legate alla produzione di guerra (tra cui
fabbriche di munizioni, o di pezzi meccanici per aerei ecc.) porta a uno sfruttamento intensivo il
lavoro delle detenute nelle squadre esterne al lager.
Accanto e separato dal campo femminile viene aperto (nella primavera del 1941) un settore
maschile dove a partire dal gennaio del 1945 comincia a funzionare una rudimentale camera a gas con Zyklon B -. Una seconda installazione verrà terminata nel marzo del 1945, e chiamata «nuova
lavanderia». Vi trova attuazione il programma eutanasia, realizzato in particolare dal dottor
Meneke, con 5-6000 vittime.
Nei pressi di Ravensbrück funzionava dal 1942 un piccolo lager di detenzione per giovani tedesche
(il campo di Uckemark a un chilometro e mezzo di distanza). Tra la fine del 1944 e il gennaio del
1945 viene liquidato e utilizzato come sottocampo annesso al lager principale per lo sterminio e
l'eliminazione delle donne più anziane, ammalate e inadatte al lavoro. In questo luogo dove
vengono deportate più di 8000 internate, le condizione di vita sono catastrofiche.
La situazione del lager, nel suo complesso, precipita negli ultimi mesi, quando in una nota del
comando del campo, indirizzata il 15 gennaio del 1945 al WVHA si parta di 46070 donne detenute
e di 7468 uomini presenti nel campo annesso.
Parallelamente a questa evoluzione che rende più drammatiche le condizioni di vita nel campo, la
Croce rossa svedese, per mediazione del conte Bernadotte e Heinrich Himmler intessono una serie
di negoziazioni che portano alla liberazione di 7500 donne, prima della chiusura definitiva del lager
(si tratta di prigioniere scandinave, francesi, belghe e infine polacche).
All'interno del campo funziona anche una rete di reciproco soccorso clandestina, formatasi verso la
fine del 1944 per iniziativa di internate ceche, tedesche e francesi.
Il 27 febbraio cominciano le prime evacuazioni (direzione Mauthausen) che proseguono fino al 29
aprile, giorno in cui le ultime SS lasciano i loro posti di guardia con circa 3500 detenute superstiti
che rimangono in attesa dei liberatori (le truppe dell'Armata rossa) che giungono in loco il 30 aprile.
Il Kl trasformato nel dopoguerra in campo militare per l'armata rossa, diventa in seguito museo.
Dell'originaria struttura del campo rimane assai poco: si sono conservati il muro di cinta, il
crematorio, la prigione, mentre delle baracche originarie sono visibili solo i perimetri. Una lapide
commemorativa e un memorial sono dedicati alle deportate e ai deportati italiani.
Bibliografia
Beccaria Rolfi L., Bruzzone A. M., Le donne di Ravensbrück, Einaudi, Torino 1978.
Beccaria Rolfi L., L'esile filo della memoria, Einaudi, Torino 1996
Buber-Neuman M., Prigioniera di Stalin e di Hitler, Il Mulino, Bologna 1994.
Massariello Arata M., Il ponte dei corvi. Diario di una deportata a Ravensbrück, Angeli, Milano
1979.
Noce T., ... ma domani farà giorno, Cultura nuova, Milano 1952.
Tillon G., Ravensbrück, Seuil, Parigi 1988.
Massariello G., Massariello P., Si allunga ancora la lista di Ravensbrück, in «Triangolo rosso» n. 3,
1996, Aned Milano.
Sachsenhausen
All'inizio, il 20 marzo 1933, viene aperto il lager di Oranienburg, che giocherà un ruolo
fondamentale nella reclusione e persecuzione dell'opposizione politica al regime. Tra i numerosi
parlamentari socialisti e comunisti tedeschi, viene internato anche Gerhart Seger, deputato
socialdemocratico che riuscirà a evadere il 4 dicembre del 1933, dando alle stampe, a Praga, solo un
anno dopo, un libro che denuncia i crimini dei nazisti e delle SA nel campo. Oranienburg è un lager
della prima generazione (come Dachau) destinato in particolare alla persecuzione dei nemici del
Reich.
Sarà Sachsenhausen, la cui costruzione inizia il 12 luglio del 1936 nei pressi della città di
Oranienburg a circa trenta chilometri a nord di Berlino, sul fiume Havel, a sostituire il campo
vecchio e a diventare uno dei lager modello del nuovo sistema concentrazionario. Strutturato come
un grande triangolo equilatero, alla cui base si trova il portale d'ingresso, il lager diventerà
gradualmente il più grande della Germania settentrionale (dagli iniziali 18 ettari di ampiezza
raggiungerà presto 388 ettari complessivi, compresi gli edifici industriali e i quartieri per le SS). Sul
portale d'ingresso la scritta «Arbeit macht frei», e intorno un muro di cinta alto due metri e settanta,
nove torri di guardia e filo spinato attraversato da corrente ad alta tensione.
I gruppi nazionali di maggior rilievo dei detenuti del lager sul totale degli effettivi sono: i sovietici
con 42.000 internati di cui 18.000 prigionieri di guerra; i polacchi con 27.000 internati, i tedeschi
(10.000), i francesi (8.900). I tedeschi comprendono politici e asociali. Tra i prigionieri ci sono
anche zingari ed ebrei in prevalenza tedeschi. Nonostante le carenze della documentazione
disponibile, si può stabilire che il numero totale degli internati nel lager (non inclusi i non registrati)
sia di 200.000 unità, con un crescendo che va dai 2300 detenuti nel 1937 ai 28.000 nel dicembre del
1942 fino ai 56.624 nel gennaio del 1945. Quanto alle vittime si calcola che il loro numero sia tra
84.000 e 100.000 unità.
Il lager di Sachsenahusen oltre a essere uno dei più grandi campi di concentramento diventa anche
una sorta di città delle SS con grandi baracche e abitazioni, depositi e uffici, in quanto sede centrale
dell'Ispettorato di tutti i Kl, comandato da Theodor Eicke, ex responsabile del lager di Dachau.
Alcuni detenuti assassinati nel lager e vestiti con l'uniforme dell'esercito polacco, saranno
abbandonati nei pressi della stazione radio di Glewitz, vicina alla frontiera, il 31 agosto 1939, per
dimostrare l'attacco polacco alla Germania e giustificare l'entrata in guerra. Sempre a
Sachsenhausen, vengono sperimentati i primi camion a gas (autunno 1941) e funzionerà la
tipografia dove vengono falsificati dollari e sterline per alimentare una guerra parallela e segreta
contro gli alleati. Vi lavorano alcuni internati nei blocchi 18 e 19 (a partire dal 1942) sotto stretta
sorveglianza SS. Inoltre, all'interno del perimetro del lager l'SS Otto Skorzeny comanda uno
speciale gruppo di sabotaggio che prepara azioni segrete, tra le quali la liberazione di Mussolini il
13 agosto del 1943.
La fame, permanente e ossessiva, la fatica, le angherie e le torture della vita quotidiana nel lager, le
sevizie e le punizioni, le epidemie di tifo, le impiccagioni e fucilazioni e, a partire dal marzo 1943 le
uccisioni mediante il gas, uniti a efferati esperimenti medici (per esempio quelli riguardanti
proiettili avvelenati, o l'uso di nuovi farmaci contro il tifo, la tubercolosi e l'epatite, compreso un
unguento contro le ustioni al fosforo che veniva applicato solo dopo avere praticato ferite gravi ai
detenuti) costituiscono nell'insieme le cause dell'elevata mortalità nel campo (molti sopravvissuti
parlano di pene corporali molto dure tra cui il cosiddetto Sachsengruss: il fare flessioni per ore e ore
con le braccia incrociate dietro la testa). Le celle di punizione e di isolamento, nelle quali viene
rinchiuso tra gli altri Martin Niemöller e in cui vengono uccisi molti politici, e soprattutto la
compagnia di punizione (i cui componenti venivano costretti a marciare per cinquanta chilometri al
giorno con zaini pieni di sabbia del peso di quindici chilogrammi) costituiscono altre modalità di
assassinio degli internati.
Quanto al lavoro coatto, sono attivi più di sessanta commando o sottocampi che forniscono
manodopera alle industrie della Germania del Nord tra le quali l'AEG, la Siemens, la IG Farben, la
Krupp e industrie per la fabbricazione delle maschere anti gas e di armamenti.
Le squadre di lavoro interno sono addette invece al recupero di scarpe, abiti e articoli tessili
provenienti da Auschwitz e da altri campi, ma anche alle lavorazioni industriali e alle fabbriche di
armamenti delle SS.
Durante l'ultimo inverno di guerra, vengono immatricolate nel lager alcune donne (utilizzate per le
industrie degli armamenti già dalla primavera). Provenienti per lo più da Ravensbrück, vengono
isolate in un sottocampo esterno che raggiungerà le 10.000 presenze.
I comandanti che si succedono sono molti e tutti appartenenti alle SS: Karl Otto Koch, Herman
Baranowski, Hans Loritz, Walter Eisfeld, Rudolf Höss. Anton Kaindl.
Dal dicembre del 1944, in concomitanza con l'avanzata delle truppe alleate, cominciano una serie di
eccidi di massa che vedono tra le vittime in prima fila i sovietici.
Nel campo funziona una organizzazione clandestina di resistenza e l'11 ottobre del 1944 ventuno
prigionieri tedeschi e tre francesi vengono fucilati per atti di sabotaggio (che venivano progettati in
particolare contro la produzione di armamenti).
L'incalzare dell'avanzata delle truppe sovietiche costringe le SS a decidere per l'evacuazione del
campo tra il 20 e il 21 aprile del 1945, con marce forzate dei detenuti verso il mare Baltico e una
lunga scia di morti (l'evacuazione riguarda più di 30.000 uomini e 5.000 donne).
L'indomani, il 22 aprile, quando arrivano le prime avanguardie dell'armata rossa, rimangono al
campo circa 3.000 uomini e 2.000 donne, in gran parte ammalati.
Gli archivi dell'Ispettorato generale dei Kl, trasferiti a Flossenbürg a partire dal febbraio del 1945,
verranno bruciati in aprile poco prima della liberazione di quel lager.
A partire dal 12 agosto del 1945, il lager diventa campo speciale n. 7 e viene utilizzato
dall'amministrazione militare sovietica in Germania come luogo di detenzione dei criminali di
guerra nazisti e successivamente degli oppositori al regime sovietico.
Il 23 aprile del 1961, la Repubblica democratica tedesca inaugura ufficialmente un museo della
memoria comprendente un insieme di scultura, un obelisco di quaranta metri di altezza e una mostra
permanente che si trova nei locali della ex sede dell'ispettorato generale. Nel 1990 viene inaugurata
una mostra sul campo di detenzione sovietico n. 7.
Bibliografia
Amicale di Oranienburg-Sachsenhausen, Sachso, Parigi, Plon 1982.
Schwarz H., Bibliographie des Konzentrationslager Sachsenhausen, Selbstverlag, 1965, s.l.
Sachsenhausen Dokumente, Aussagen, Berlino 1982, VEB Deutsche Verlag des Wisenschaften.
Bourdet C., L'aventure incertaine, Parigi, Stock 1975
Sachsenhausen, Berlino 1962, Kongress Verlag.
Ruby M., Le livre de la déportation, Parigi, Laffont 1995
Centri di sterminio
Belzec
Centro di sterminio situato nella parte sud-orientale del Distrikt Lublin (distretto di Lublino), in
prossimità del villaggio polacco di BełŜec, funzionante dal marzo 1942 sino alla primavera del
1943. Ufficialmente denominato “SS-Sonderkommando Belzec” (o anche “Dienstelle Belzec der
Waffen-SS”, Distaccamento delle Wafffen-SS), BełŜec costituì la prima struttura dotata di impianti
di gassazione fissi (camere a gas).
Nel quadro della cosiddetta “Aktion Reinhard” – nome di copertura con cui viene indicata
l’operazione che avrebbe portato alla eliminazione fisica dei milioni di ebrei residenti nel
Generalgouvernement (Governatorato generale che, dopo l’invasione tedesca del settembre 1939 e
l’aggressione all’Unione Sovietica del giugno 1941, costituisce il territorio non annesso della
Polonia) – a partire dall’autunno 1941 vengono organizzati sotto le dipendenze dell’SS-und
Polizeiführer del distretto di Lublino Odilo Globocnik i centri in cui deve avere corso il processo di
sterminio (Belzeec, Sobibór, Treblinka). Successivamente, in data 19 luglio 1942, un ordine del SSReichsführer Heinrich Himmler fissa nel 31 dicembre 1942 il termine delle deportazioni dal
Governatorato generale verso i centri di sterminio.
Il sito di Belzec, scelto in prossimità della linea ferroviaria Lublin-Lvov (Leopoli), a circa
quattrocento metri dalla stazione, e che includealcune trincee anti-carro realizzate nel 1940, è
circoscritto in un rettangolo dalle dimensioni modeste di 275 x 265 metri. La sua costruzione, che
prende avvio l’1 novembre 1941 sotto la direzione dell’SS-Zentralbauverwaltung (Amministrazione
centrale delle SS per le costruzioni) e si protrae fino al febbraio 1942, è inizialmente condotta da
una ventina di operai polacchi residenti nel comune (utilizzati sino alla fine di dicembre), per essere
terminata da manodopera ebraica specializzata, trasferita dai ghetti esistenti nelle vicinanze di
Belzec. Il centro è suddiviso in due settori: il Lager I, situato nella parte nord-occidentale dell’area e
servito da una rampa ferroviaria su cui possono sostare da 12 a 15 vagoni, ospita, oltre agli
alloggiamenti per il personale di sorveglianza e per gli ebrei dei diversi Kommando impiegati con
funzioni specifiche (come carpentieri, sarti, calzolai, barbieri), due baracche destinate alla
svestizione e al deposito dei vestiti e dei bagagli dei nuovi deportati; il Lager II, recintato e isolato
dal primo, è situato nella parte orientale e destinato alle operazioni di sterminio. Comprende una
costruzione di 8x12 metri realizzata in legno e con doppie pareti riempite di sabbia, in cui trovano
posto tre camere a gas di eguale superficie e le grandi fosse comuni, oltre alla baracca in cui
vengono alloggiati gli ebrei destinati al Sonderkommando. Un corridoio, largo due metri e lungo
una settantina, interamente bordato da filo spinato e, per una sua parte, da assi (chiamato “der
Schlauch”, il tubo), unisce lo spogliatoio con la baracca delle camere a gas e costituisce il
camminamento che gli ebrei sono obbligati a percorrere per essere assassinati. Nel suo complesso,
la struttura così disposta serve anche da modello per gli altri centri di sterminio.
Alcune centinaia di deportati ebrei, trasferiti a Belzec negli ultimi giorni del febbraio 1942, insieme
ai prigionieri che hanno preso parte ai lavori di costruzione del centro di sterminio, sono le prime
vittime e servono alla “messa a punto” dell’impianto di gassazione. Per questi primi “esperimenti”
viene utilizzato monossido di carbonio contenuto in recipienti, mentre successivamente si
perfeziona l’uso dello stesso gas letale, ricorrendo agli scarichi di un grosso motore diesel,
convogliati all’interno dei locali utilizzati come camere a gas. Il sistema di omicidio di massa
introdotto nel centro di Belzec entra in funzione a metà marzo. In accordo con il piano sistematico
di sterminio disposto in seno all’”Aktion Reinhard”, le prime vittime, appartenenti alla comunità
ebraica di Lublino e dei ghetti del distretto, vengono condotte a Belzec tra il 17 marzo e il 14 aprile
(complessivamente 43.000 persone). Sul finire del mese di marzo inizia anche la deportazione degli
ebrei dei ghetti del distretto di Lvov in Galizia orientale (circa 30.000 persone). Dopo quattro
settimane di intensa attività, sono stati uccisi quasi 75.000 ebrei. I trasporti subiscono
un’interruzione nel mese di aprile e nelle prime settimane del mese successivo, per riprendere verso
la fine di maggio e l’inizio di giugno con l’arrivo di alcuni convogli dai ghetti nei pressi di Zamosc
(fine maggio) e dei primi convogli di deportati dai ghetti di Cracovia (1-6 giugno) e del suo distretto
(11-19 giugno). In questo secondo periodo vengono assassinati circa 18.000 ebrei. Poiché il piano
di sterminio ha messo in evidenza l’insufficienza delle strutture in funzione, tra i mesi di giugno e
luglio viene progettato il rifacimento delle camere a gas, al fine di aumentarne la capacità
distruttiva: l’originaria costruzione in legno viene sostituita da un edificio in cemento di 24 metri di
lunghezza per 10 di larghezza, capace di sei camere a gas che possono contenere sino a
millecinquecento persone. Approntate le nuove camere a gas, nella seconda settimana di luglio
riprendono le azioni omicide. Tra il 7 luglio e il 15 novembre 1942 vengono deportati dal distretto
di Cracovia 140.000 ebrei e, sino alla metà di dicembre, 240.000 dal distretto di Lvov; 8000 dal
distretto di Radom, 25.600 dalla parte meridionale del distretto di Lublino. Vengono assassinati a
Belzec anche diverse migliaia di ebrei tedeschi, austriaci e slovacchi, oltre a un numero non
precisato di Sinti e Rom, precedentemente deportati dai paesi di origine nei ghetti le cui popolazioni
sono poi destinate al centro di sterminio. Contestualmente all’interruzione dell’arrivo dei trasporti a
Belzec, dando corso all’ordine proveniente da Lublino, tra i mesi di dicembre 1942 e di aprile 1943
sono aperte le fosse comuni e bruciati in roghi a cielo aperto i resti dei corpi delle vittime,
utilizzando per questa operazione un Kommando di circa 600 ebrei, che al termine sarebbero stati
trasferiti nel centro di sterminio, ancora funzionante, di Sobibór e ivi soppressi. Agli inizi del marzo
1943, nel corso della visita di Heinrich Himmler a Sobibór e Treblinka e al quartiere generale
dell’”Aktion Reinhard” di Lublino, constatata dalla direzione nazista la quasi totale eliminazione
della popolazione ebraica del Governatorato viene disposta la chiusura dei centri di sterminio. Lo
smantellamento del centro di Belzec, che mira a modificare radicalmente l’aspetto del sito, prende
avvio dopo che sono completate le operazioni di cancellazione delle tracce dei crimini commessi e
si protrae sino al mese di luglio 1943. Sul terreno spianato, con l’autunno vengono piantati alberi e
costruita una fattoria. Complessivamente, nei distinti periodi in cui è in attività l’apparato dello
sterminio di Belzec, si stima in circa 600.000 il numero delle vittime, che per la maggior parte
appartenenti alla popolazione ebraica dei distretti di Lvov, Lublino e Cracovia.
Nei centri dell’”Aktion Reinhard” opera sotto la direzione dell’SS Globocnik un ristretto gruppo di
specialisti nazisti (meno di un centinaio di componenti), formatosi in seno al Programma eutanasia*
(gestito dalla Cancelleria del Führer e indicato con la sigla T4, aveva condotto la soppressione fisica
dei cittadini del Reich – malati cronici, malati mentali – giudicati “indegni” di vivere) e inviato a
Lublino tra l’ottobre 1941 e i primi mesi dell’anno successivo. Le funzioni di sorveglianza sono
affidate a guardie ucraine, formate nel campo d’addestramento aperto a Trawniki per l’occasione.
Dai 90 ai 120 “Trawniki-Männer” (uomini di Trawniki) vengono assegnati a ciascuno dei centri di
sterminio. Il comando del centro di Belzec, che nelle prime settimane di costruzione è affidato al
SS-Oberscharführer Josef Oberhauser, dalla metà del dicembre 1942 passa in mano al Polizeihauptmann und SS-Hauptsturmführer Christian Wirt, che ha il compito di organizzare il sistema
con cui condurre l’impresa omicida. Wirth, che qualche settimana dopo l’entrata in funzione
dell’apparato della distruzione abbandona il centro, vi fa ritorno nella metà del maggio 1942 per
sovrintendere al potenziamento delle camere a gas; nel mese di agosto viene sostituito nella
direzione dal SS-Obersturmführer Gottlieb Hering, per assumere la direzione dell’ispettorato dei
centri dell’operazione Reinhard.
Lo schema seguito nei centri di eutanasia fornisce certamente a Wirth le basi su cui fondare il
processo di distruzione; dopo i primi esperimenti omicidi, Wirth si convince che l’utilizzo dei gas di
scarico di un comune motore avrebbe consentito di condurre l’operazione di sterminio senza dover
dipendere da fornitori esterni. Le operazioni devono essere condotte nella maggiore calma. Il
centro, nel suo complesso, deve inoltre suggerire un’idea rassicurante. Le SS annunciano alle
vittime che avrebbero dovuto spogliarsi per prendere un bagno e disinfettarsi, prime di essere
trasferite in un campo di lavoro. Gli uomini vengono separati dalle donne e dai bambini e devono
procedere per primi verso le camere a gas. La reale destinazione della costruzione che ospita i
deportati è mascherata all’esterno dalla presenza decorativa di fiori e piante. La scritta “Bade und
Inhalationsräume” (Bagni e locali d’inalazione), che si può leggere sulla facciata, lascia intendere
che si tratti di uno degli edifici del campo di transito, come veniva detto. Successivamente
all’ordine impartito il 16 agosto 1942, prima di essere fatte entrare nelle camere a gas alle donne
vengono tagliati i capelli, che sarebbero stati utilizzati come materia prima. Belzec, come gli altri
centri di sterminio, non è un campo di concentramento. Le vittime non vengono immatricolate e la
loro permanenza, prima di essere assassinate, dura qualche ora. Solo qualche centinaio di ebrei, a
loro volta destinati alla eliminazione, è tenuto in vita. In parte reclusi nel Lager I, in parte nel settore
destinato allo sterminio, inquadrati nelle varie squadre di lavoro garantiscono la quotidiana attività
del centro di sterminio: dalla raccolta dei bagagli dei nuovi arrivati alla rimozione dei corpi dopo le
gassazioni, alla estrazione delle protesi d’oro dei cadaveri, sino al loro interramento nelle fosse
comuni. Belzec ha un tasso di distruzione di vite umane estremamente elevato e sono rari i suoi
sopravissuti. Da quanto si conosce, meno di una decina di ebrei riescono a salvarsi grazie al fatto di
essere riusciti a evadere. Di costoro, due certamente sono vivi alla fine delle ostilità: Chaim
Hirszman e Rudolf Reder. Quest’ultimo, che rimase a Belzec dall’agosto al novembre 1942, ha
lasciato l’unica testimonianza oculare, da parte ebraica, sul centro di sterminio (Belzec, Krakow,
Centralna Lydowska Komisja Historyczna, 1946). Altrettanto eccezionali sono le dichiarazioni su
Belzec, rese nel 1945 dall’ufficiale delle SS Kurt Gerstein, imprigionato in un carcere in territorio
francese; che in qualità di responsabile dell’ufficio disinfezione delle Waffen SS aveva visitato
nell’agosto 1942 le istallazioni (al riguardo, si veda Saul Friedländer, Kurt Gerstein o l’ambiguità
del bene, Milano, Feltrinelli, 1967).
Solo alcuni dei nazisti responsabili dei crimini commessi a Belzec, e sopravvissuti alla fine della
guerra, verranno giudicati. Il processo principale, che si tiene a Monaco di Baviera dal 18 al 21
gennaio 1965, condanna Josef Oberhauser a quattro anni e mezzo di carcere. Due altri processi,
tenutisi a Kiev nel 1962-63 e nel 1965, vedono imputati alcuni degli ucraini che hanno avuto
funzioni di sorveglianza a Belzec e negli altri centri di sterminio e si concludono con diverse
sentenze alla pena capitale.
L’area occupata dal centro di sterminio è oggi recintata e costituisce un sito memoriale. Al suo
interno, diversi monumenti e cippi indicano al visitatore le strutture un tempo esistenti. Nel 19971998 un gruppo di lavoro polacco ha condotto una campagna di scavi, tesa a rintracciare il numero e
l’esatta dislocazione delle fosse comuni (parte della relazione conclusiva è disponibile su Internet
all’indirizzo
http://www.nizkor.org/ftp.cgi/camps/aktion.reinhard/belzec/Archeological_Report/ftp.py?camps/akt
ion.reinhard/belzec/Archeological_Report> [19 settembre 2001])
Bibliografia
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Juden, vol. I, München, Piper, 1995, pp. 175-180
Yitzhak Arad, ““Operation Reinhard”: Extermination Camps of Belzec, Sobibor, Treblinka” in Yad
Vashem Studies, XVI, 1984, pp. 205-240
Ibid., Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Bloomington and
Indianapolis, Indiana University Press, 1987
Florent Brayard, “Comment écrire l’histoire sans archives? Un regard sur l’historiographie du camp
d’extermination d Belzec” in Le Génocide des Juifs entre procès et histoire 1943-2000, a cura di
Florent Brayard, Bruxelles, Éditions Complexe, 2000, pp. 135-188
Konnilyn G. Feig, Hitlers Death Camps. The Sanity of Madness, New York/London, Holmes &
Meier Publishers, 1979
Eugen Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl (a cura di), Nationalsozialistische
Massentötungen durch Giftfas, Franfurt am Main, S. Fischer Verlag 1983
Adalbert Rückerl (a cura di), NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse. Belzec,
Sobibor, Treblinka, München, DTV, 1977
Michel Tregenza, “Belzec Deathcamp” in Wiener Librery Bulletin, 30, 1979, pp. 8-25
Ibid, Report on the Archeological Investigation at the Site of the Former NAZI Extermination
Camp in Belzec, Poland, 1997-98, Lublin, 1998
(Carlo Saletti)
Chelmno
L'idea di procedere allo sterminio degli ebrei rinchiusi nel ghetto di Lodz*, viene presa in
considerazione dai nazisti sin dalla metà del luglio del 1941. A sessanta chilometri dalla città
industriale polacca, sulla linea ferroviaria Lodz-Poznan, si decide di utilizzare alcuni edifici già
esistenti, compreso un vecchio castello, siti nel villaggio di Chelmno (ribattezzato Kulmhof in
tedesco) per dare vita al primo centro di sterminio. Il progetto prende corpo già nell'ottobre, ma è in
data 8 dicembre 1941 che arriva il primo convoglio di ebrei e che ha inizio lo sterminio sistematico
di massa, con l'utilizzo di tre camion a gas, che funzionano con il monossido di carbonio. Il sistema
era già stato sperimentato nel corso dell'operazione eutanasia e risparmiava agli uomini delle SS i
traumi delle fucilazioni di massa. I deportati venivano introdotti nel castello, avviati al bagno e alla
disinfezione, mentre in realtà a gruppi di 50 o 70 erano caricati con forza sui Gaswagen che
percorrendo la strada dal castello al bosco poco distante trasformavano le povere vittime in
cadaveri, scaricati nelle fosse comuni da lavoratori ebrei. In seguito, nell'estate del 1942 alle fosse
comuni e ai grandi falò all'aperto, si sostituisce la procedura dell'incenerimento con forni crematori,
per accelerare la combustione dei cadaveri. Chelmno è fin da subito un luogo di mero sterminio,
anche se accanto al luogo di sterminio viene costruito un campo cintato per ospitare i detenuti del
kommando incaricati di procedere alla cremazione dei corpi e al recupero degli effetti personali
delle vittime (da 500 a 1000 ebrei a seconda del periodo).
Tra il gennaio e il maggio del 1942, si calcola che le vittime non siano meno di 55.000, mentre nel
settembre dello stesso anno se ne aggiungono altre 20.000 con ebrei provenienti dal Reich,
dall'Austria, dalla Cecoslovacchia e dalla Francia. L'attività del campo si interrompe nella
primavera del 1943 (l'11 aprile), per riprendere il funzionamento tra il giugno del 1944 e il gennaio
1945 in seguito alla decisione di liquidare definitivamente il ghetto di Lodz. La Guarnigione del
campo nopn supera i 150 effettivi, in prevalenza SS, comandati da Herbert Lange e, a partire dal
marzo del 1942 da Hans Bothmann. Nell'ottobre del 1944, comincia lo smantellamento del campo,
con lo scopo di eliminarne ogni traccia, ma la guarnigione lo abbandona definitivamente il 18
gennaio 1945, dopo avere provveduto a uccidere gli ultimi deportati del kommando di lavoro.
Rimarranno in vita due soli superstiti dello sterminio: Michael Podclebnik e Simon Srebnik che a
quel tempo era un ragazzo di tredici anni. Oggi è possibile solo parzialmente valutare il numero
degli ebrei sterminati a Chelmno. Il processo contro Lange e una parte dei suoi uomini tenuto
davanti alla Corte di Assise di Bonn tra il 1962 e il 1963 ha permesso di precisare che nel lager di
sterminio sono state uccise (tra il dicembre 1941 e l'aprile 1943) non meno di 145.500 ebrei; mentre
7.176 sarebbero le vittime della seconda fase (dall'aprile del 1943 al 18 gennaio 1945), in totale
152.676. Questa cifra è dimostrabile, ma il tribunale ha precisato che riflette solo in parte la realtà
del campo. Secondo un'accurata indagine polacca, a Chelmno morirono più di 340.000 ebrei, oltre a
circa 5.000 zingari e a più di 1000 prigionieri di guerra sovietici.
Bibliografia
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Claude Lanzmann, Shoah, Milano Bompiani 2000.
Marcel Ruby, Le livre del la déportation, Laffont, Paris 1995
Sobibor
Campo di sterminio, la cui costruzione ha inizio nel marzo del 1942, all'interno dell'Azione
Reinahrd. Il sito è scelto da Odilo Globocnik (SS-Brigadenführer responsabile dell'operazione), nei
pressi della stazione del villaggio di Sobibor, in una regione poco popolata dell'area di Lublino. La
superficie del campo è modesta: 58 ettari. Ma baracche in legno e blocchi in muratura per
prigionieri sono inutili perché fin da subito lo scopo è lo sterminio di massa immediato dei
deportati. All'interno del campo sorgono una ventina di alloggi per l'amministrazione e la
guarnigione, accanto alle costruzioni necessarie per lo sterminio. Responsabile del campo, nella
fase della costruzione, è l'ufficiale SS Richard Thomalla, cui succede sino all'autunno del 1942
Franz Stangl (che a quella data viene trasferito a Treblinka); l'ultimo comandante Franz Reichleitner
rimarrà fino allo smantellamento del lager (metà novembre 1943) e verrà inviato in Istria dove sarà
ucciso dai partigiani (oggi la sua salma si trova in Italia nel cimitero tedesco di Costermano). L'SS
Christian Wirth, all'inizio di agosto del 1942, verrà a sua volta nominato supervisore dell'Azione
Reinhard e dei tre campi implicati (Belzec, Sobibor e Treblinka).
I lavori di costruzione sono eseguiti da imprese locali che utilizzano manodopera ebrea coatta dei
villaggi vicini, sostituita in seguito da ebrei selezionati all'arrivo per il lavoro di ampliamento e
funzionamento del lager. Un binario a scartamento ridotto collega la stazione ferroviaria di Sobibor
alla banchina del lager lunga 400 metri. Intorno, oltre al filo spinato e a un fossato pieno d'acqua,
terreni minati. Il campo è suddiviso in quattro settori: il primo contiene baracche e alloggi per i
deportati selezionati per il lavoro coatto e per il funzionamento del lager (sostituiti periodicamente
da altri deportati e inviati al gas): il secondo settore accoglie i locali dell'amministrazione e i
depositi dove vengono raccolti gli effetti personali delle vittime, i loro oggetti di valore, l'oro ecc.
Da lì, un sentiero stretto di 150 metri, costeggiato da filo spinato porta al terzo settore, nel quale si
trovano le installazioni dello sterminio: tre camere a gas, le fosse comuni e due baracche che
ospitano le guardie e i detenuti ebrei del Sonderkommando* addetto ai cadaveri e alla cremazione.
Più a sud, il settore quattro, mai terminato, che probabilmente era destinato a deposito di munizioni.
La guarnigione è composta da una ventina di SS e da ausiliari ucraini il cui numero varia da 60 a
120, formati nel campo di Trawniki e addetti a tutte le operazioni di sterminio, al comando di Erich
Lachmann, sostituito nell'autunno del 1942 dall'SS Kurt Bolender.
Nel corso del primo periodo le tre camere a gas si trovano in una costruzione in muratura e
misurano ciascuna 4 metri quadrati. Sono dotate di due porte: una da cui entrano le vittime, l'altra
dalla quale vengono estratti i cadaveri. Le tre camere a gas consentono di uccidere 250 ebrei alla
volta, mediante l'uso di monossido di carbonio, prodotto da un motore a scoppio. Nell'aprile del
1942, in seguito a un'ispezione di Christian Wirth, il motore viene sostituito con un altro più potente
capace di uccidere nell'arco di dieci, quindici minuti.
In base alla documentazione disponibile, si distinguono due periodi nell'attività di Sobibor. Nel
corso del primo, il genocidio di massa dura tre mesi, con inizio nel maggio e fine nel luglio del
1942. I cadaveri sono sepolti in fosse comuni della profondità di 4 o 5 metri, lunghe 30 e larghe 15.
Il secondo periodo va dall'ottobre 1942 all'ottobre 1943. L'interruzione segue una visita di Himmler
che decide di ampliare la capienza delle camere a gas per accelerare lo sterminio di tutti gli ebrei del
Governatorato generale. Le prime tre camere a gas vengono abbattute e al loro posto se ne
costruiscono altre cinque più capienti: 12 metri per 4. Poiché ciascuna può agevolmente contenere
80 ebrei, è possibile procedere all'uccisione di 400 e più vittime alla volta (il numero cresce in
ragione della presenza di bambini). In questo secondo periodo viene presa la decisione di cremare i
cadaveri, per cancellare ogni traccia del massacro. A questo scopo vengono anche riaperte, su
ordine di Himmler (primavera del 1942) le fosse comuni. Questa operazione denominata «azione
speciale 1005» è affidata all'SS Paul Blobel (già comandante dell'Einsatzgruppe C, una unità mobile
di massacro al seguito dell'esercito tedesco in Urss, e responsabile di innumerevoli crimini) che
sceglie di costruire allo scopo grandi falò all'aperto.
Le prime vittime di Sobibor sono un gruppo di 150 ebrei di Wlodawa. Alla fine del secondo
periodo, la stima delle vittime supera le 200.000 unità per quanto riguarda gli ebrei, ai quali si deve
aggiungere altri 50.000 morti tra politici, asociali, oppositori al regime e prigionieri di guerra
sovietici. Le vittime del primo periodo provengono in prevalenza da Lublino, ma anche dai Paesi
Bassi, dalla Francia e dal Belgio; le vittime periodo successivo, provengono dalla Slovacchia, dal
Reich e dal Protettorato, da Wilno e Minsk, oltre un convoglio di bambini non ebrei provenienti da
Zamojszcyzna nel febbraio 1943.
Gli ebrei e i detenuti risparmiati allo sterminio per assicurare il funzionamento del campo, dopo
avere avuto notizia della rivolta di Treblinka (2 agosto 1943), decidono un piano di insurrezione e
lo affidano al comando di Alexander Petcherski, detto Sacha. Il 14 ottobre del 1943 scoppia
l'insurrezione cui partecipano 300 ebrei del Sonderkommando e altri prigionieri sovietici (secondo
un'altra fonte gli ebrei sono 600, le donne 80 e i prigionieri di guerra sovietici un numero
imprecisato). Dei circa 200 evasi che riescono a raggiungere la foresta, una trentina sfuggono alla
caccia dei nazisti e riusciranno a testimoniare.
L'episodio della rivolta spinge Himmler a decidere per la distruzione del campo, affidata alla
Wehrmacht che trasformerà l'area (come è accaduto a Belzec) in un terreno agricolo con alberi di
pino, per nascondere le tracce dello sterminio. Nel mese di novembre del 1943 tutto è finito.
Bibliografia
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Sobibor, Treblinka, Chelmno, Deutscher Taschenbuch-Verlag, Monaco 1977.
Treblinka
A circa quattro chilometri a nord ovest del piccolo villaggio e della stazione ferroviaria omonima, in
una regione assai poco popolata, nelle vicinanze di Malkina era stato costruito un campo di lavoro
forzato (Arbeitslager) già nel 1941 (Treblinka I). La scelta di istallarvi un campo di sterminio,
sfruttando la linea ferroviaria in diretto collegamento con Varsavia, e la zona boschiva, rientra nel
piano dell' Operazione Reinhard (nome in codice attribuito al programma di sterminio degli ebrei
del centro della Polonia).
La costruzione di Treblinka II prende avvio agli inizi di giugno del 1942 e si conclude il 22 luglio
dello stesso anno, con progetto affidato a imprese tedesche che utilizzano come manodopera i
detenuti di Treblinka I e degli ebrei portati sul posto da città e paesi vicini.
Oltre alle costruzioni necessarie e alle camere a gas, si procede alla posa di una apposita linea
ferroviaria che collega il campo alla stazione vicina. Inoltre, vengono fin da subito scavate enormi
fosse per essere utilizzate come tombe comuni.
Il campo di sterminio ha la forma di un rettangolo (di 400 metri per 600), suddiviso in tre parti: la
zona di abitazione, la zona di arrivo e ricezione dei deportati e infine la zona destinata alle
operazioni di sterminio.
La zona con le abitazioni ospita i tedeschi e gli ucraini addetti al funzionamento del lager, ma in
parte è destinata anche agli ebrei che vi lavorano come carpentieri, calzolai e sarti; circa mille
deportati utilizzati anche nel processo di sterminio e che costituiscono il cosiddetto
Sonderkommando*.
La zona di arrivo o ricezione dei deportati, oltre alla banchina ferroviaria, comprende un'area di
internamento, costituita da due baraccamenti nei quali i nuovi arrivati sono obbligati a spogliarsi di
ogni abito e proprietà. Vicino alla banchina ferroviaria, un grande magazzino funge da deposito dei
beni confiscati alle vittime.
L'area destinata allo sterminio è situata nella parte sud est del lager, con una superficie di 200 metri
per 250, completamente chiusa e separata dal resto del campo. In questa zona si trova una grossa
costruzione in mattoni con al suo interno tre camere a gas, ciascuna delle quali misura 4 metri per 4.
Una rimessa adiacente ospita il motore diesel che produce monossido di carbonio. Il gas viene
introdotto a mezzo tubi che si collegano con installazioni collocate sul soffitto delle tre camere a
gas, e simili a docce. A centocinquanta metri, le grandi fosse comuni.
Un cunicolo stretto e ben protetto conduce dalla zona di ricezione dei deportati alla zona di
sterminio.
Il primo comandante del campo è l'ufficiale SS Imfried Eberl, sostituito dall'agosto del 1942 da
Franz Stangl, già comandante a Sobibor*. Dall'agosto al novembre del 1943, mese in cui il campo
di sterminio cessa ogni attività, il comandante sarà Kurt Franz. Il personale tedesco SS conta da 20
a 30 addetti, con funzioni amministrative ed è affiancato da circa 120 ucraini a guardia del lager e
destinati in parte alle operazioni di sterminio. Taluni di loro sono «tedeschi etnici» (vale a dire di
origine tedesca anche se di nazionalità diversa) che allo scoppio della guerra erano residenti in Urss.
Nel settembre del 1942, il comando del lager decide di accelerare le operazioni di sterminio e per
raggiungere lo scopo destina in permanenza un numero di prigionieri ebrei alle mansioni connesse
al funzionamento delle camere a gas. Tra questi «prescelti» al terribile lavoro, una cinquantina di
donne, in parte impiegate anche in cucina.
La pratica dello sterminio applicata nel lager di Treblinka segue l'esperienza che i nazisti hanno
realizzato nei lager di Belzec* e Sobibor*. I treni che arrivano, in genere sono composti da
cinquanta o sessanta vagoni (per un totale di sei-settemila ebrei). Dapprima sono fatti fermare alla
stazione del villaggio; poi una ventina di vagoni alla volta viene spinta all'interno del campo.
Arrivati alla banchina ferroviaria interna, le porte blindate dei venti vagoni vengono aperte e gli
ebrei sono fatti scendere, circondati da un cordone di guardie ucraine armate. Un ufficiale SS dice ai
prigionieri che si trovano in un campo di transito e che sono destinati ad altri campi di lavoro; per
ragioni igieniche saranno sottoposti a doccia e disinfestazione, per cui devono entrare in buon
ordine nei locali vicini per spogliarsi. Ogni vestito o proprietà verrà conservata con cura fino alla
restituzione. In seguito, gli ebrei nudi vengono spinti di corsa fino alla zona di sterminio.
A partire dall'autunno del 1942, per le donne si decide il taglio dei capelli, in un apposito locale a
fianco del magazzino.
Una volta all'interno delle camere a gas, si provvede ad accendere il motore diesel e la morte delle
vittime sopravviene in meno di trenta minuti.
All'inizio servono circa tre o quattro ore per liquidare un intero convoglio, ma con il passare del
tempo, gli aguzzini di Treblinka riducono i tempi dell'intera operazione a meno di due ore.
Il gruppo di due o trecento detenuti ebrei destinato alle operazioni di sterminio- Sonderkommando*
- (trascinamento dei cadaveri dalla camera a gas alla fossa comune, pulizia della camera a gas ecc.),
quando viene introdotta la pratica dell'incenerimento dei corpi (primavera 1943) con lo scopo di
fare scomparire ogni traccia, avrà il compito di disseppellire i cadaveri e di cremarli su grandi falò.
Ben presto i nazisti si accorgono che le camere a gas di Treblinka non consentono di accelerare le
procedure dello sterminio e prendono la decisione di costruirne altre: tra la fine del mese di agosto e
il mese di ottobre del 1942, ne vengono predisposte altre dieci, fino a raggiungere una superficie
totale di 320 metri quadrati.
L'apertura di quello che viene chiamato Lazarett (l'infermeria) costituisce una ulteriore tappa nel
processo di sterminio. All'arrivo di un convoglio, gli ebrei infermi o i bambini vengono diretti
all'infermeria, dove un gruppo di SS e di guardie ucraine li uccidono con un colpo alla nuca.
Il programma di sterminio di massa a Treblinka prende avvio il 23 luglio del 1942 con l'arrivo di un
primo convoglio di ebrei dal ghetto di Varsavia. Quando il lager viene smantellato, nell'autunno del
1943, le vittime hanno raggiunto la cifra vertiginosa di 750.000, tutti ebrei di Varsavia, Radom,
Byalistok, Lublino, del Reich e di Terezin, tra i quali si contano circa 2000 zingari.
Le azioni di resistenza che si sono verificate a Treblinka possono essere così classificate:
- tentativi di evasione dai treni e dal lager, soprattutto ne primi mesi del suo funzionamento, quando
il sistema di sicurezza non era ancora completato;
- forme di resistenza individuale contro SS e ucraini che a volte rimangono feriti o uccisi.
L'azione più massiccia di resistenza resta comunque la rivolta del 2 agosto 1943, cui segue il
tentativo di fuga di settecento internati, dei quali solo una settantina riescono a sopravvivere. La
maggior parte delle costruzioni del campo , a eccezione delle camere a gas, sono in legno e
prendono fuoco. Tra i prigionieri che non riescono a fuggire, alcuni vengono assassinati subito altri
saranno utilizzati nella demolizione del lager e vengono uccisi una volta terminato il lavoro. Il
terreno viene spianato e si piantano alberi. In luogo del campo di sterminio, resta una fattoria,
abitata da una famiglia di ucraini.
Nel dopoguerra, a Dusseldorf, vengono istruiti due processi contro le SS. Il primo, che avrà luogo
tra il 12 ottobre del 1964 e il 24 agosto 1965, vedrà dieci imputati tra cui uno dei comandanti del
campo, Kurt Franz. Solo quattro sono condannati all'ergastolo, mentre gli altri riceveranno pene
detentive non superiori ai vent'anni. Il secondo processo avrà come unico imputato Franz Stagl (13
maggio, 22 dicembre 1970) e si concluderà con una sentenza di ergastolo.
Negli anni tra il 1959 e il 1964, Treblinka viene trasformato in monumento nazionale polacco. Sul
luogo del campo, vengono erette centinaia di pietre tombali sulle quali è inciso il nome dei paesi e
dei luoghi di provenienza delle vittime.
Bibliografia
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śydowski Instytut Historyczny, 1992
Campi di concentramento e sterminio
Auschwitz
Nei primi giorni di gennaio 1940, Richard Glücks, ispettore generale dei campi di concentramento,
invia a Oswiecim, cittadina polacca nel territorio dell’Alta Slesia confinante con il Governatorato
generale, denominata Auschwitz in lingua tedesca, una commissione guidata da Walter Eisfeld,
direttore del Lager di custodia preventiva di Sachsenhausen (in Germania). La commissione fa
un’accurata ispezione dei locali della vecchia caserma e afferma che sono adatti per un campo di
concentramento.
Glücks affida i lavori a Höss che giunge a Oswiecim (Auschwitz) il 30 aprile, con cinque SS e con
l’incarico di dirigere l’opera di adattamento e ristrutturazione dell’intero complesso edilizio.
Il primo atto del nuovo responsabile del campo è quello di disporre l’evacuazione di 1.200 abitanti
delle case situate nelle vicinanze, perché il terreno diventa zona militare, mentre per la
ristrutturazione il borgomastro del luogo gli fornisce 300 ebrei in lavoro coatto, dall’inizio di
maggio a metà giugno (furono i primi ebrei, per lo più polacchi, che varcarono il cancello di
Auschwitz, costretti a un duro lavoro).
Il 20 maggio 1940, il Rapportführer [sottufficiale di collegamento] Gerhard Palitzsch, conduce ad
Auschwitz 30 delinquenti comuni di nazionalità tedesca, scelti per ordine di Höss, fra gli internati di
Sachsenshausen, e destinati alla funzione di sorveglianti. A loro vengono assegnati i numeri dall’1
al 30 e furono alloggiati nel Blocco 1. Saranno gli aguzzini delle SS e svolgeranno azione di
comando e di controllo sulle squadre di lavoro e sui detenuti, tenendo sempre un comportamento
crudele.
Il 29 maggio, giunge ad Auschwitz un gruppo di uomini, già detenuti nel famigerato lager di
Dachau (situato in Germania, nei pressi di Monaco) per costituire la cosiddetta squadra esterna
(Aussenkommando), incaricata della recinzione del campo. Un prigioniero polacco ne è il kapo,
mentre il resto del gruppo è costituito da 39 giovani ginnasiali, in maggioranza provenienti dalla
città di Lódz.
In meno di due mesi il nuovo lager nazista in terra polacca è pronto a ricevere i primi prigionieri.
Sul cancello in ferro battuto, la scritta «Arbeit mach frei» [Il lavoro rende liberi], quasi certamente,
voluta da Höss per emulare il motto che accoglie le squadre di lavoro e gli internati del campo di
Dachau. Un modo quasi sadico di esaltare la vita operosa dei campi nazisti, dove morirono per
lavoro centinaia di migliaia di uomini e donne, sfruttati fino all’estremo.
Il 14 giugno 1940, arrivano ad Auschwitz dalla prigione polacca di Tarnow i primi 728 detenuti e
vengono registrati con i numeri dal 31 al 758. Per tutto il periodo di quarantena sono rinchiusi
nell’edificio dell’ex tabacchificio di stato, vicino al raccordo ferroviario e separato dagli altri
blocchi da una recinzione di filo spinato. Il tenente delle SS Karl Fritzsch, proveniente dal lager di
Dachau e primo direttore di Auschwitz, li accoglie con un discorso in cui, tra l’altro, afferma: «Non
siete venuti in un sanatorio, ma in un campo di concentramento tedesco, da cui non si esce che per il
camino del crematorio».
Nel frattempo si procede a evacuare la zona intorno al campo e vengono abbattute 123 case dei
dintorni, per facilitare la caccia agli eventuali evasi. Gli sfrattati, vengono inviati al lavoro coatto
nei Sudeti e molte case non demolite sono assegnate alle famiglie degli ufficiali e dei sottufficiali
SS.
L’ultimo atto di questo inizio di funzionamento del lager che prefigura in modo esplicito il suo
futuro assetto, è costituito dalla prima visita ad Auchwitz del comandante supremo delle SS
Himmler, il quale dopo una minuziosa ispezione (lo accompagnano diversi dignitari nazisti e
personalità di spicco della I.G. Farbenindustrie), ordina:
a) di ampliare il campo base, perché possa ospitare 30.000 internati;
b) di costruire nell’area del villaggio di Brzezinka (in tedesco Birkenau), una volta rase al
suolo le abitazioni, un campo di vaste dimensioni per 100.000 prigionieri di guerra (sarà il futuro
campo di sterminio per ebrei);
c) di fornire 10.000 operai detenuti al consorzio industriale della I.G. Farben per la
costruzione nella zona del centro abitato di Dwory di un complesso industriale (dove sorgerà
Monowitz, il terzo grande campo del sistema Auschwitz);
d) infine, di potenziare lo sfruttamento del terreno e ampliare produttività e dimensioni delle
industrie e delle officine artigianali che lavorano per l’economia di guerra con manodopera di
internati (cominciano a prendere corpo i 40 e oltre sottocampi di lavoro aggregati ad Auschwitz).
La struttura organizzativa del complesso concentrazionario di Auschwitz è identica a quella di tutti i
lager nazisti, ed è costituita da cinque dipartimenti (fino al 1942), contrassegnati da numeri romani.
Con la riorganizzazione dell’Ufficio centrale economico e amministrativo delle SS (WVHA) che
per ordine di Himmler il 3 marzo 1942 incorpora l’ispettorato dei campi, si costituisce un sesto
dipartimento, per l’assistenza e l’addestramento delle truppe.
Il dipartimento I. È il comando del campo (Kommandantur). La figura prima nella persona del
Lagerkommandant, è Rudolf Franz Ferdinand Höss, che svolge questa funzione fino al novembre
del 1943, quando assume la carica di direttore dell’Ufficio centrale SS-WVHA, DI (Ispettorato dei
campi di concentramento). Höss torna ad Auschwitz dal maggio al luglio de 1944 per organizzare e
dirigere l’eliminazione degli oltre 400.000 ebrei ungheresi. L’11 novembre del 1943, è sostituito da
Arthur Liebehnschel che dispone la divisione del campo in tre unità: Auschwitz I, campo principale
o base (Stammlager); Auschwitz II - Birkenau (campo di sterminio Vernichtunglager); Auschwitz
III - Monowitz e sottocampi (Aussenlager). Dal maggio del 1944 e fino alla liquidazione del lager
la carica di comandante è ricoperta da Richard Baer.
Il dipartimento II. È in pratica una cellula periferica della Sipo e del SD, le due unità di polizia
di stato e di partito, fuse nel 1939, nell’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, l’RSHA. I poteri
di questo dipartimento sono enormi. Tutte le SS che appartengono alla polizia (RSHA) partecipano
alle azioni di sterminio, dalla consegna degli elenchi dei convogli, fino alla dispersione delle ceneri
o dei resti. Molti prigionieri che hanno scritto memorie sulla vita nel lager, ricordano spesso i nomi
dei più brutali responsabili della sezione politica. Tra essi, Wilhelm Boger, Josef Houstek-Erber,
Walter Quakernack, Gerhard Lachmann.
Il dipartimento III. È costituito dalla direzione del campo e, ad Auschwitz, a causa delle
dimensioni del complesso concentrazionario, a partire dal 1942, si articola in una sezione IIIa, che
si occupa del collocamento al lavoro degli internati (molte industrie private occuparono la
manodopera del campo: tra esse la I.G. Farben, la Bayer, la DAW di proprietà SS, la Weichel Metal
Union, il calzaturificio Bata ecc. L’operaio schiavo rappresenta infatti un ottimo guadagno, perché
costa il 50 per cento in meno di un operaio normale).
L’SS-Lagerführer ha due assistenti, un ufficio con addetti, molti sottufficiali di colleamento (SSRapportführer) con i rispettivi assistenti ai quali spetta il compito di controllare il numero dei
prigionieri durante gli appelli, controllare la loro sistemazione ed eseguire le condanne (la carica
corrispondente, nel campo femminile, è ricoperta da donne, SS-Rapportfürerin). La carica più bassa
della catena gerarchica del comando del campo è costituita dal SS-Blockführer, il capoblocco che
sorveglia i detenuti nei locali adibiti ad abitazione (con il corrispettivo femminile di SSBlockführerin). Alla linea di vigilanza, controllo e repressione SS corrisponde una struttura parallela
costituita da internati.
È importante ricordare che negli anni dal 1940 al 1945 l’ampiezza crescente del complesso
concentrazionario di Auschwitz determina l’esigenza di individuare dei responsabili di campo (in
particolare dopo la partenza di Höss, o per settori come quello femminile e i sottocampi aggregati
alle imprese SS o private).
Il dipartimento IV. Ha il compito di gestire economicamente tutto il campo.
Il dipartimento V. Costituisce il servizio sanitario interno al lager, nato dall’esclusiva
preoccupazione di tutelare la salute del personale SS. Ben presto l’unità sanitaria sarà addetta a
esperimenti medici e allo sterminio; in seguito quando funzionerà Birkenau, i medici saranno i
primi responsabili delle selezioni che destinavano alla camera a gas centinaia di migliaia di ebrei.
Il dipartimento è articolato in alcune divisioni mediche: medicina generale, stomatologia (che si
occupa anche dei denti in oro e metallo prezioso che vengono estratti ai cadaveri degli internati),
farmacia che custodisce fra l’altro i depositi dello Zyklon B (da cui dipendono medici e infermieri
SS addestrati alla manipolazione di sostanze velenose e che operano nelle camere a gas e nei servizi
di disinfestazione del lager). La sezione è diretta da un ufficiale medico SS coadiuvato da altri
medici e infermieri SS e da personale sanitario reclutato tra gli internati. Tra i nomi più noti di
coloro che operano in questa sezione spiccano quello di Eduard Wirths (che la dirige dal 1942 al
1945, nel periodo di maggiore intensità dello sterminio) e quello di Josef Mengele, addetto in
particolare alle selezioni e agli esperimenti medici su donne e bambini.
Dipartimento VI. Nato nel 1942 e destinato all’addestramento del personale SS del lager. Lo
dirige fin dall’inizio Kurt Knittel. Il battaglione delle sentinelle SS di stanza nel lager è composto da
14 compagnie di cui una cinofila e una con funzioni di addestramento. Nel Novembre del 1943,
quando il campo viene diviso in tre diversi tronconi, il battaglione delle sentinelle SS è ripartito con
i suoi vari reparti in ognuno dei tre sottocampi e passato alla responsabilità dei rispettivi
Lagerführer. Complessivamente al campo si avvicendano circa 7000 SS, con la seguente scansione
periodica: nel 1940 la guarnigione conta 700 SS; nel giugno del 1942 il numero sale a 2000 SS,
nell’aprile del 1944 a 2950 SS e nell’agosto del 1944 a 3.342 SS. La punta massima di personale è
raggiunta durante i giorni della liquidazione e dell’evacuazione del lager 4.481 SS e 71 sorveglianti.
In generale il principio organizzativo impone una SS ogni 3.040 internati.
Interessante rilevare anche la fede religiosa delle SS in servizio al campo: il 42% si dichiarava
cattolico, il 36,5% protestante e il resto ateo o di religioni diverse.
Il 17 e il 18 luglio del 1942, Himmler ispeziona di nuovo il complesso di Auschwitz (campo base,
aziende e lavori in corso) e in quell’occasione ordina a Höss di affrettare i lavori a Birkenau, scelto
come luogo di sterminio degli ebrei d’Europa (Soluzione finale*). Fra il marzo e il giugno del 1943
a Birkenau vengono costruiti quattro grandi crematori con le camere a gas (in precedenza, sempre a
Birkenau erano in funzione due camere a gas più piccole, il bunker I o cascina rossa e il bunker II o
cascina bianca, funzionanti dal luglio 1942). Non si sa esattamente in che giorno ha inizio lo
sterminio di massa degli ebrei. Trasporti poco numerosi vengono gassati nel bunker I a partire
dall’autunno del 1941. Sappiamo, invece, che lo Zyklon B, dopo una serie di prove condotte sui
prigionieri di guerra russi e sui politici polacchi, nell’agosto del 1941, il 3 settembre viene
impiegato su larga scala nei sotterranei del Blocco 11 del campo base. A farne le spese sono 600
prigionieri sovietici e 250 internati infermi (il crematorio I del campo base è in funzione dal
settembre 1940 e solo successivamente, per ragioni di efficienza, il suo obitorio viene trasformato in
camera a gas, la prima che funziona nel complesso concentrazionario di Auschwitz).
I deportati e le vittime del complesso concentrazionario di Auschwitz devono essere divisi in due
grandi raggruppamenti: a) il gruppo di internati registrati e dotati di un numero di matricola; b) il
gruppo, di gran lunga maggiore, delle vittime che non vengono mai registrate, perché gassate o
fucilate subito dopo il loro arrivo al campo (con pochi altri non registrati, trasferiti immediatamente
in altri campi).
Il numero degli internati registrati, nonostante i documenti siano stati distrutti in molta parte, è stato
ricostruito con precisione: totale complessivo 400 207 unità, tra i quali 205 000 ebrei destinati al
lavoro, 130 000 - 140 000 polacchi, 21 000 zingari, 12 000 prigionieri di guerra russi e circa 25 000
internati di altre nazionalità (principalmente, ucraini, cechi, bielorussi, francesi, austriaci).
Assai più alto il numero degli ebrei destinati allo sterminio e non registrati. In base ai documenti di
trasporto ritrovati e ai rapporti sulla selezione dei singoli convogli, inviati ai superiori SS dal Lager
(se ne sono conservati tre) si può affermare che ad Auschwitz-Birkenau vengono deportati come
minimo 1.100.000 ebrei, così suddivisi: 438.000 dall’Ungheria, 300.000 dalla Polonia, 69.000 dalla
Francia, 60.000 dall’Olanda, 55.000 dalla Grecia, 46.000 dalla Boemia e dalla Moravia, 23.000
dalla Germania e dall’Austria, 27.000 dalla Slovacchia, 25.000 dal Belgio, 10 000 dalla Jugoslavia,
7.500 dall’Italia, 690 dalla Norvegia, 34.000 da campi di concentramento e da zone imprecisate.
Dunque se a questa cifra complessiva togliamo gli ebrei registrati per il lavoro, selezionati sulla
banchina d’arrivo dei treni, possiamo affermare che vengono gassati o assassinati 900.000 ebrei. In
seguito alle condizioni di vita e di lavoro, che con il tempo peggiorano, ne muoiono altri 95.000
circa tra quelli registrati, il che porta la cifra degli ebrei morti ad Auschwitz intorno al 1.000.000
(inclusi anche i morti nelle marce di evacuazione degli ultimi giorni (tra il 17 e il 27 gennaio 1945).
Se consideriamo, poi che tra il 1940 e il 1945, 188.000 internati registrati e 25.000 non registrati
vengono tradotti in altri campi, che circa 1.500 sono rilasciati, 500 riescono a fuggire e intorno agli
8.000 sopravvivono fino alla liberazione di Auschwitz e dei suoi circa 40 sottocampi, raggiungiamo
una cifra complessiva delle vittime non inferiore a 1.417.595 (su un totale complessivo di internati
stimato oggi in 1.613.455 unità, tra cui 220.000 tra adolescenti e bambini in maggioranza ebrei,
11.000 bambini e ragazzi del campo di famiglie zingare. Il giorno della liberazione, i detenuti
ancora in vita di età inferiore ai quattordici anni sono 400, per lo più ammalati e debilitati dalla
fame, dal lavoro e dagli esperimenti medici).
Con l’arrivo massiccio degli ebrei e l’avvio del progetto di sterminio, dopo la conferenza di Wansee
del gennaio 1942, le condizioni di vita degli internati peggiorano. Fame, epidemie,
sovraffollamento, sevizie e persecuzioni colpirono soprattutto quelle migliaia di ebrei internati a
Birkenau e selezionati sulla banchina ferroviaria (in modo sistematico a partire dal luglio del 1942)
per essere destinati al lavoro, prima di andare alla camera a gas (circa un venticinque per cento per
ogni convoglio). Birkenau è costituito da sette sottocampi: il lager delle donne, il lager di
quarantena, il campo dei Cechi, il lager degli uomini, quello per famiglie zingare, l’infermeria
centrale, le latrine, le camere a gas e i forni crematori. Le baracche in legno o in muratura, erano
state costruite per contenere 500 o 600 internati al massimo, mentre a volte ne ospitano il doppio,
stipati in giacigli a castello, in cui si dorme in quattro o in sei persone per piano, coricati sul fianco.
La diarrea imperversa, quotidianamente come la fame e il pavimento delle baracche, come i giacigli
sono spesso coperti di sterco umano. Come Majdanek (nei pressi di Lublino), Auschwitz ha la
doppia funzione di campo di lavoro coatto e di campo di sterminio. Così, gli ebrei destinati alla
soluzione finale, ma giudicati adatti al lavoro, entrano nel campo di concentramento, per essere
eliminati dopo un breve periodo (in media tre mesi) in cui vengono spremuti come schiavi. Gli ebrei
immatricolati, con il numero di matricola tatuato sul braccio sinistro, sono sottoposti
periodicamente alle selezioni, come accade per altro agli zingari, per essere mandati alle camere a
gas se giudicati «inadatti al lavoro». Tra loro i medici SS selezionano anche uomini, donne e
bambini per gli esperimenti medici, così sintetizzabili: sterilizzazione a mezzo raggi X o a mezzo
asportazione delle ovaie e dei testicoli (Dr. Schumann); esperimenti ematologici o batteriologici
(Dr. Weber); prove sui detenuti di campioni di streptococchi (Dr. Munch); esperimenti sul tifo (Dr.
Delmotte); esperimenti sul nanismo, sul gigantismo e sui gemelli (Dr. Mengele); cancro dell’utero
(Dr. Wirth); asportazione ovaie e dell’utero (Dr. Wirth); sterilizzazione a mezzo iniezioni
sclerotizzanti delle tube (Dr. Clauberg); esperimenti farmacologici e di tossicità (laboratori Bayer);
amputazioni (dr. Koenig); esperimenti di dermatologia (dr. Rodhe) ecc. Ad Auschwitz venivano
praticati esperienti sui nuovi vaccini e studi sui tempi di guarigioni dopo incidenti o ferite gravi che
venivano provocati artificialmente sui detenuti prescelti.
Una squadra speciale (Sonderkommando*) composta in prevalenza di ebrei, ai quali viene imposto
il compito, è incaricata dei lavori necessari per il funzionamento dei crematori e delle camere a gas
(taglio dei capelli, estrazione dei cadaveri, recupero dei denti d’oro, incenerimento ecc. Alcuni di
loro hanno lasciato resoconti scritti su quanto avveniva all’interno delle macchine dello sterminio, e
hanno organizzato una rivolta nella quale, il 7 luglio del 1944, riescono a far saltare il crematorio IV
e a uccidere 3 SS. Questo atto di resistenza che porta alla morte di oltre 450 uomini della squadra
speciale, non è l’unico. Nel campo base si costituisce un nucleo di resistenza formato da comunisti e
ufficiali polacchi. Insieme ad alcuni prigionieri di guerra sovietici, danno vita a un comitato
internazionale di resistenza, diretto da comunisti austriaci e un socialista polacco. Anche a
Monowitz si forma un gruppo di resistenza interna formato da ebrei comunisti. Tra le forme di
resistenza praticate, si annovera: diffusione clandestina di attività culturale, politica e religiosa; atti
di solidarietà, compreso la distribuzione di cibo e di medicine; azioni di documentazione sullo
sterminio e sugli internati non registrati; sabotaggio interno delle industrie private e naziste; rivolte
spontanee o organizzate (come quella del squadra disciplinare o del Sonderkommando); evasioni;
interventi per fare assegnare gli incarichi di kapo ai politici; resistenza spirituale, vale a dire azioni
per mantenere alta, a ogni costo, la dignità umana del deportato (Resistenza nei lager*).
Il 27 gennaio 1945 le SS fanno saltare l’ultimo crematorio rimasto in funzione a Birkenau e il
campo viene liberato dalla Sessantesima Armata dell’esercito sovietico. I liberatori trovano
nell’area del campo (Auschwitz e campi annessi) circa 9 000 internati, ancora vivi dopo l’ultima
massiccia evacuazione che ha comportato marce della morte per oltre 56 000 prigionieri. Alla fine,
la Croce Rossa conterà 4 880 sopravvissuti.
Il complesso concentrazionario di Auschwitz costituisce la più gigantesca impresa criminale della
storia dell’umanità. Per questa ragione, oggi è il simbolo dello sterminio nazista e della ferocia del
regime di Hitler. Il comandante Höss viene impiccato nell’area del campo il 16 aprile 1947. Altri
processi si sono succeduti da allora contro medici, SS, guardiani e kapo, e coinvolgono solo 788
nazisti responsabili in vario modo, molti dei quali non scontano un solo giorno di prigione.
Oggi il campo è sede di un Museo Statale che consente la visita del campo base e di Birkenau.
Inoltre, nel campo di Auschwitz è attivo un gruppo di ricercatori che ha raccolto, negli anni, una
grossa documentazione sulla vita del lager.
Bibliografia
A. Lasik, F. Piper, Auschwitz 1940 - 1945. Studien zur Geschichte des Konzentrations-und
Vernichtungslager Auschwitz, 5 tomi, Oswiecim 1999, Verlag Auschwitz-Birkenau.
H. Langbein, Der Auschwitz-Prozes. Eine Dokumentation, 2 tomi, Frankfurt am Main 1995, Verlag
Neue Kritik.
H. Langbein, Uomini ad Auschwitz, Milano 1984, Mursia.
F. Sessi, Auschwitz 1940-1945. L'orrore quotidiano di un campo di sterminio, Milano 1999,
Rizzoli.
J. C. Pressac, Le macchine dello sterminio, Milano 1995, Feltrinelli.
O. Friedrich, Auschwitz, storia del lager 1940-1945, Milano 1994, Baldini & Castoldi.
P. Levi, Opere, Torino 1997, Einaudi.
Destinazione Auschwitz, (a cura di M. Pezzetti e L. Picciotto), Milano 2001, Proedi.
La voce dei sommersi (a cura di C. Saletti), Venezia 1999, Marsilio
R. Vrba, Je me suis évadé d'Auschwitz, Paris 1988, Ramsay.
l. Poliakov, Auscwitz, Paris 1964, Julliard.
Majdanek
Situato a due chilometri da Lublino, fino al maggio del 1942 è un lager destinato in parte ai
prigionieri di guerra sovietici e in parte ad accogliere polacchi (in maggior parte contadini) espulsi
dai territori destinati a essere colonizzati da insediamenti tedeschi. Ufficialmente il suo nome è «Kl
Lublino», ma gli abitanti del luogo lo chiamano «Majdanek» dal nome del villaggio più vicino. Le
SS ne individuano il luogo di costruzione fin dal 1940. Il progetto iniziale si ispira a Dachau, ma
con maggiori ambizioni. Si prevede infatti la costruzione di più di cinquecento blocchi, su un'area di
oltre 270 ettari, per imprigionare sino a duecentocinquanta mila prigionieri. I lavori di costruzione
cominciano nel corso dell'agosto 1941 e durano fino al maggio del 1942, periodo in cui sono
consegnati i primi blocchi per internare più di quarantamila prigionieri, oltre agli edifici di servizio
e al perimetro cintato ed elettrificato. In questa fase il lager è suddiviso in cinque sezioni separate
tra loro da una doppia barriera di filo spinato ad alta tensione. Nella prima, si trovano i blocchi
dell'infermeria per uomini che in seguito ospiteranno donne e bambini; nella seconda, i prigionieri
di guerra sovietici; nella terza e nella quarta, detenuti di diverse nazionalità; nella quinta donne e
bambini (più tardi il settore sarà convertito in infermeria per uomini). Una sesta sezione dovrebbe
essere destinata ai magazzini e alle officine, e sarà allestita nel 1944: troppo tardi per essere
utilizzata. Al campo principale erano aggregati quattro sottocampi di lavoro, uno dei quali a
Varsavia e due nella città di Lublino. Tra l'aprile e il maggio del 1942, con l'arrivo di numerosi
gruppi di ebrei, dalla Boemia e dalla Slovacchia, entrano in funzione tre camere a gas provvisorie,
in cui viene utilizzato lo Zyklon B. In seguito gli impianti di gassazione vengono ampliati e
comprendono sette camere a gas con annessi diversi forni crematori.
Come campo di concentramento ospiterà deportati di cinquanta nazionalità e di ogni categoria,
compresi i prigionieri di guerra, tra i quali, dopo l'8 settembre del 1943 un numero imprecisato di
militari italiani. i due gruppi maggiormente rappresentati sono i polacchi, in gran parte ebrei, e i
russi. Ma vi vengono deportati anche ebrei della Boemia, della Moravia, Slovacchi, greci, francesi,
della città di Lublino ecc.
Previsto per un massimo di 35.000 internati, arriverà fino a contenerne 40.000
contemporaneamente. Il numero delle vittime viene calcolato per difetto in 247.000 dei quali
secondo le stime di oggi da 50.000 (Hilberg) a 200.000 ebrei (Bedarida) vi trovarono la morte
immediatamente dopo l'arrivo. Stime più recenti ipotizzano un numero di vittime ben più alto tra
l'ottobre del 1941 e il luglio del 1944, pari a 400.000 morti.
Il 23 luglio del 1944, le SS abbandonano il lager di Majdanek. In precedenza avevano evacuato
verso Auschwitz 17.000 sopravvissuti. Quando l'Armata rossa, dopo avere liberato Lublino,
raggiunge il lager, vi trova una decina di prigionieri di guerra sovietici. Molti edifici erano stati
distrutti, ma l'immenso crematorio è intatto. Così come enormi magazzini pieni di vestiti, scarpe,
occhiali, valige ecc. appartenuti alle vittime delle SS. Tra i principali responsabili, i diversi
comandanti del lager: Karl Otto Koch, Max Kögel, Hermann Florstedt, Martin Weiss, Arthur
Liebenhenschel, Anton Thuman, ai quali si aggiungono i medici del campo, i responsabili del
crematorio e tutta la guarnigione, composta di SS e di ausiliari della Kampfpolizei che avevano in
dotazione 200 cani lupo addestrati alla guardia e all'attacco. Contro i pochi sorveglianti arrestati dai
sovietici verrà istruito il primo processo per crimini di guerra, alla fine del 1944 a Lublino.
Attualmente il campo è sede di un memoriale e di un Museo (Majdanki Muzeum) che comprende
un'esposizione permanente e una sala di proiezione.
Bibliografia
Jòzef Marszalek, Majdanek. Konzentrationslager Lublin, Varsavia, Interpress Verlag 1984
Marcel Ruby, Le livre del la déportation, Parigi, Laffont 1995
Majdanek, Varsavia, Kaw ed. 1980 (in lingua tedesca).
Simonov Konstantin, Majdanek, camp d'extermination, compte-rendu d'enquete, Parigi, Ed.
Sociales, 1952.
Ghetti
Il sistema dei ghetti per ebrei
È nel corso degli anni che vanno dal 1939 al 1941 che i nazisti attuano un programma di
«emigrazione forzata» degli ebrei verso Est (vale a dire in quella parte della Polonia che viene
denominata Governatorato generale), che trova la sua attuazione con la istituzione dei ghetti. Stessa
cosa accade per i cosiddetti «territori incorporati» vale a dire quelle zone d’Europa che devono
costituire la Grande Germania.
Il primo ghetto è quello di Lodz, aperto nell’aprile - maggio del 1940, che raggiunge i 200 000
abitanti in un area di 4,14 chilometri quadrati e una media di circa 6 abitanti per vano. Nel
novembre del 1940, viene istituito il ghetto di Varsavia il più grosso d’Europa, con 470.000 –
540.000 ebrei rinchiusi in una superficie di 3,36 chilometri quadrati con una densità di persone per
vano variabile da 7 a 12. Altri ghetti di minore ampiezza sono quelli di Cracovia (marzo 1941),
Lublino (aprile 1941), Radom, Czestochowa, Kielce (maggio giugno 1941), Lwow, Bialystok e
altri ghetti di minori dimensioni che vengono ad aggiungersi nel 1942 (per esempio Plock).
Sebbene la creazione di questi quartieri ebraici chiusi non obbedisca ad alcun ordine preciso e
nemmeno a un piano generale, essa si attua in tutte le città con modalità simili. «Gli ebrei - veniva
ordinato - come regola generale non devono uscire dal ghetto... I tedeschi e i polacchi, per contro
non devono entrare nel ghetto». Una volta effettuati i trasferimenti, i tedeschi circondano il
quartiere ebraico con un recinto guardato a vista da distaccamenti della Polizia d’ordine. Fin da
subito il più grave problema dei ghetti è la fame (infatti i tedeschi non prevedono per gli ebrei
rinchiusi grandi apporti di calorie: da 186 al giorno fino a un massimo di 800 - 900); l’altro grave
problema è rappresentato dalle malattie come il tifo e lo scorbuto, che seminano migliaia di vittime.
Prima che comincino le deportazioni di massa, dai ghetti ai campi di sterminio (il ghetto infatti è
visto fin da subito come soluzione provvisoria) molti ebrei sono già morti: 83.000 a Varsavia,
45.000 a Lodz. Nei ghetti più ancora che nei campi di concentramento e sterminio, i bambini e i
ragazzi rappresentano la popolazione ebraica più esposta alle malattie, alle torture e alla morte. Un
ghetto «speciale» è quello di Terezin (*) che nei suoi tre anni di vita accoglie 140 000 ebrei.
Doveva essere un ghetto modello, da mostrare all’opinione pubblica mondiale, per contrastare le
voci sui crimini in corso nei territori occupati dai nazisti e in realtà sarà come tutti gli altri un luogo
di sofferenza e morte.
Complessivamente, gli ebrei che perdono la vita nei ghetti o a causa di privazioni e malattie in
quartieri ebraici di varia natura sono stimati in 800.000.
Ghetto di Varsavia Il 15 novembre 1940, i nazisti ordinano la chiusura del quartiere ebraico, uno
spazio corrispondente al venti per cento circa della superficie della città e nel quale viene stipato più
del trenta per cento della popolazione residente di origine ebraica. Secondo Emmanuel Ringelblum,
storico e archivista del ghetto (che oltre a dirigere l'Organizzazione del soccorso sociale ebraico JDC - fonda il gruppo di documentazione clandestina, gli Oneg Shabbat con i quali dà vita al più
grosso archivio storico della comunità ebraica rinchiusa), già allora la razione alimentare media
giornaliera è in grado di fornire, a ciascun abitante rinchiuso nel ghetto, poco meno di 800 calorie al
giorno ed è per lo più costituita da patate, pane nero e surrogati di grassi. Una razione destinata ad
affamare in poco tempo la maggioranza degli ebrei, rinchiusi in situazione di miseria, e a portarli
alla morte.
Qualche tempo dopo, in un rapporto di un ufficiale tedesco si scrive che«il quartiere residenziale
ebraico di Varsavia copre una superficie di 403 ettari»; mentre lo Judenrat (Consiglio della
Comunità ebraica imposto dai nazisti), cui era stato chiesto di condurre a termine un censimento,
stima la popolazione rinchiusa in quell'area tra le 394.000 e le 450.000 unità presenti (l'imprecisione
è legata al veloce spostamento dei molti senzatetto che corrono di strada in strada alla ricerca di
cibo e di un riparo.
«Con i dati statistici forniti dallo Judenrat, e sottraendo dal nostro calcolo l'area cimiteriale e gli
spazi disabitati, la densità di popolazione risulta essere di 1.108 abitanti per ettaro di territorio,
ovvero 110.800 abitanti per chilometro quadrato. I dati riguardanti la città di Varsavia oltre il muro
di cinta, danno invece una densità di 14.000 persone per Km quadrato, in tutti i distretti della città e
di 38.000 persone per Km quadrato nei quartieri a maggiore densità di popolazione. Inoltre»
prosegue il rapporto dell'ufficiale tedesco «il quartiere residenziale degli ebrei contiene circa 27.000
appartamenti, ciascuno con una media di due vani e mezzo. Di conseguenza, la media degli
occupanti è di circa 15 abitanti per appartamento, vale a dire 6 o 7 per vano [...] Il muro è alto 3
metri; un altro metro in aggiunta è costituito da filo spinato. Infine è garantita una costante
sorveglianza di pattuglie di poliziotti a cavallo e motorizzati».
Nel ghetto, nonostante le pessime condizioni di vita, la fame, l'affollamento e le malattie, vive una
comunità che cerca a ogni costo di sopravvivere, organizzando scuole clandestine, cucine all'aperto,
orfanotrofi, centri di mutuo soccorso, centri di soccorso sanitario, caffè, teatri, musica e spettacoli.
E nonostante la presenza costante dei nazisti che impongono allo Judenrat le loro regole d'ordine
(Adam Czerniakow, presidente dello Judenrat si suicida per non contribuire alla deportazione dei
suoi fratelli), anche attraverso una polizia ebraica molto collaborativa; nonostante la corruzione di
coloro che sperano, affamando o opprimendo i loro fratelli di salvare la pelle, la vita scorre come in
una città e, spesso, nelle memorie degli abitanti, si riesce a dimenticare la sofferenza e le condizioni
estreme in cui si è costretti a vivere e a morire.
Tre anni dopo, il 16 maggio del 1943, il ghetto di Varsavia viene raso la suolo dalle truppe del
generale Stroop, seppure l'Organizzazione ebraica di combattimento (Z.O.B., costituitasi
ufficialmente il 28 luglio del 1942 allo scopo di resistere in armi alla deportazione e alla
distruzione) costringa i nazisti a una strenua battaglia porta a porta, che fin dall'inizio, lo si sapeva,
non avrebbe ottenuto altro che ritardare la morte dei 60.000 ebrei ancora presenti nell'area del
«piccolo ghetto». 300.000 di loro, progressivamente, dal luglio del 1942, in convogli di ferroviari
per bestiame, vengono gassati nel campo di sterminio di Treblinka (*). Gli altri, dei circa 450.000
stimati, sono morti di fame e di stenti, di freddo e di violenze, nelle prigioni istituite nel ghetto (in
via Paviak per esempio) o sulla strada. «Stamattina - scrive nel suo diario Mary Berg, in data 27
febbraio 1942 - mentre andavo a scuola ho intravisto avvicinandomi all'angolo delle vie
Krochmalna e Grzybowska, la sua figura famigliare (si tratta di una sentinella che tutti conoscono
con il nome di Frenkestein) occupata a torturare un povero conducente di risciò, colpevole di avere
spinto il suo carretto un centimetro più vicino al cancello di quanto consentito dai regolamenti. Il
disgraziato giaceva sul marciapiede in una pozza di sangue. Un liquido giallastro gli usciva dalla
bocca. Una nuova vittima del sadismo tedesco.» Come racconta Mazor, ex deportato del ghetto e
autore di un libro ormai classico sulla vita del quartiere ebraico, anche le malattie e il tifo
petecchiale fanno migliai di vittime, senza che sia possibile un intervento medico per fermare il
contagio o curare gli ammalati. vecchi, donne, bambini, ragazzi completamente inermi; scienziati
illustri, medici, intellettuali, capi religiosi; gente di ogni età e condizione sociale, muoiono senza
lasciare la minima traccia del loro passaggio su questa terra. Così accade anche a Janusz Korczak
(*), medico e pedagogo, direttore della Casa degli orfani che la mattina del 6 agosto del 1942, viene
visto per l'ultima volta in via Sienna con i suoi bambini e alcuni collaboratori dell'Istituto, dirigersi
verso l'Umschalgplatz (la piazza del concentramento) da dove partono i treni dei deportati. Secondo
una recente testimonianza, il mesto corteo composto di circa 200 piccoli orfani viene caricato su un
convoglio diretto a Treblinka, alle ore 16 dello stesso giorno, e raggiunge il centro di sterminio nel
corso della notte. I bambini e gli adulti che non muoiono durante il viaggio, vengono fucilati il 7
agosto per ordine di Christian Wirth.
L'azione di resistenza armata contro i nazisti dell'Organizzazione ebraica di combattimento, le
centinaia di attività di muto soccorso e di resistenza agli ordini dei nazisti che coinvolgono parte
della popolazione dei ghetti, così come la raccolta di archivi e la scrittura di diari e memorie
costituiscono una forza d'urto esistenziale e vitalistica contro la violenza distruttrice dei carnefici,
che riscatta oggi le pesanti responsabilità di una minoranza di ebrei, appartenenti al corpo di polizia
ebraica o agli Judenrat e che spesso hanno collaborato con i nazisti contro i propri fratelli. Per loro,
spesso giudicati pesantemente dagli storici o dai pochi superstiti, valga la riflessione di Manzoni: «I
soverchiatori, i provocatori, tutti coloro che in qualunque modo, fanno torto altrui [nel nostro caso i
nazisti], sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano
l'animo degli offesi.»
La vicenda del ghetto di Varsavia e più in generale dei ghetti in territorio polacco mette in rilievo
anche l'atteggiamento collaborativo della maggioranza della popolazione polacca, tanto che si può
affermare che l'antisemitismo è assai radicato in Polonia già prima dell'arrivo dei tedeschi. Lo
ricorda anche una poesia dello scrittore Milosz, che racconta dell'indifferenza della popolazione
polacca di fronte alla rivolta degli ebrei contro le truppe naziste e delle risa e dei giochi, mentre
oltre il muro si alzano le fiamme e il fumo della distruzione: «Il vento dalle case in fiamme /
portava neri aquiloni... / La gente in corsa sulle giostre / acchiappava i fiocchi nell'aria. / Gonfiava
le gonne alle ragazze / quel vento dalla case in fiamme, / rideva allegra la folla.»
Bibliografia
A. Czerniakow, Diario 1939- 1942. Il dramma del ghetto di Varsavia, Roma, Città Nuova 1989
I. Gutman, Storia del ghetto di Varsavia, Firenze, Giuntina, 1996
R. Hilberg, L'Insurrection du ghetto de Varsovie, Parigi, Complexe 1994.
M. Mazor, La città scomparsa, Venezia, Marsilio 1992
E. Ringelblum, Sepolti a Varsavia, Milano, Mondadori 1962
M. Berg, Il ghetto di Varsavia, Torino, Einaudi 1991
Il diario di David Sierakowiak, Torino, Einaudi 1997.
G. Corni, I ghetti di Hitler, Bologna, Il Mulino 2001.
A. Nirenstajn, Ricorda cosa ti ha fatto Amalek, Torino, Einaudi 1958.
J. Baranowski, The Lodz ghetto, 1940 - 1944, Lodz, ed. Bilbo 1999.
N. Lapierre, Le silence del la memoire, Parigi, Le livre di poche 2001.
H. Seidman, Du fond de l'abime, Parigi, Plon 1998.
T. Pankiewicz, La pharmacie du ghetto de Cracovie, Parigi, Actes Sud - Solin 1998.
C. Perechodnick, Sono un assassino? Autodifesa di un poliziotto ebreo, Milano, Feltrinelli 1996.
J. J. Heydecker, Il ghetto di Varsavia. Cento foto scattate da un soldato tedesco nel 1941, Firenze,
Giuntina 2000.
Terezin
È un complesso costituito (con funzioni e in tempi diversi) da una prigione fortificata (la piccola
fortezza) e da una città ghetto fortificata (la grande fortezza) a poco più di un chilometro dalla
prigione, che si trova a circa sessanta chilometri da Praga.
La piccola fortezza Nel marzo del 1939 l'occupazione da parte dei nazisti dei territori della
Cecoslovacchia è ormai completata e l'apertura di un nuovo penitenziario fortificato sembra più che
mai necessaria per contrastare le varie forme di resistenza interna. Il progetto viene avviato nel
marzo del 1940 e portato a compimento nel giugno dello stesso anno. Comandante della piccola
fortezza, per tutto il periodo del funzionamento, è l'ufficiale SS Heinrich Jöckel, noto per la sua
crudeltà e per avere ordinato ed eseguito direttamente maltrattamenti e torture. Tra il 1940 e il 1945
dalla piccola fortezza di Terezin passano 32.000 detenuti; tra essi, 5000 donne e più di 1500 ebrei,
arrestati per motivi di resistenza o per avere violato le leggi antiebraiche. Nella prigione i detenuti
sono in maggioranza di popolazione ceca e slovacca, ma vi saranno internati circa 2500 prigionieri
di altre nazionalità (sovietici, polacchi, tedeschi, inglesi e francesi). A partire dal secondo semestre
del 1943 l'affollamento dei prigionieri e il tasso di mortalità aumentano, in concomitanza con il
peggioramento delle condizioni di igiene, la qualità del cibo e dell'alloggio e la fatica del lavoro
coatto. Sulla base della documentazione disponibile, si può affermare che i morti accertati
all'interno della piccola fortezza sono circa 2.600. Il penitenziario di Terezin è in realtà un luogo di
transito verso altri centri di reclusione o i lager del sistema nazista; più del venti per cento dei
detenuti verranno condotti davanti a tribunali nazisti (con 466 casi accertati di condanne a morte),
un altro venti per cento finirà nei lager di Buchenwald, Mauthausen, Flossenbürg e Auschwitz.
Molti altri convogli di prigionieri saranno infine smistati nelle prigioni di Dresda, Bautzen,
Zwickau, Bayreuth, Waldheim, Straubing, Ebrach e Berlino.
Nel 1945 la piccola fortezza di Terezin risulta particolarmente sovraffollata e ciò causa il
peggioramento delle condizioni di detenzione e il diffondersi di epidemie. Dall'aprile al maggio, il
tifo causa più di mille vittime (tra essi il poeta francese Robert Desnos).
La fortezza viene liberata dalle truppe del primo fronte ucraino nella notte dell'8 maggio 1945, ma
sarà necessario più di un mese per considerare sotto controllo le epidemie e curare i prigionieri
ancora in vita.
Oggi è sede di un museo che consente al visitatore di prendere contatto con i luoghi di detenzione e
con mostre permanenti documentarie che testimoniano il martirio del popolo ceco e slovacco sotto
il nazismo.
La grande fortezza La città fortificata di Terezin, fondata nella seconda metà del XVIII secolo
dall'imperatore d'Austria Giuseppe II diventa, a partire dalla fine del 1941, un centro per il
concentramento di tutti gli ebrei del Protettorato di Boemia e Moravia. Fino al maggio del 1942 vi
vengono trasferiti 28.900 ebrei, pari a un terzo della popolazione ebraica delle due regioni. In
seguito a partire dal mese di giugno, come previsto dalla Conferenza di Wansee del 20 gennaio
1942, cominciano i trasferimenti a Terezin di quegli ebrei del Reich, che appartengono alle
categorie «privilegiate» (gli anziani di età superiore ai sessantacinque anni, gli invalidi, i decorati
della prima guerra mondiale e, in seguito, le personalità eminenti). La grande fortezza di Terezin
diventa un vero e proprio ghetto, insieme meta coatta di ebrei e luogo di transito per una parte di
popolazione ebraica diretta negli altri ghetti della regione baltica e polacca. Dall'ottobre del 1942 e
fino al settembre del 1944, 44.000 ebrei provenienti da Terezin saranno destinati al cosiddetto
campo per famiglie ebraiche di Auschwitz-Birkenau (Theresientädter Familienlager)
L'originaria città fortificata, che si estende su una superficie di poco più di 115 chilometri quadrati,
con oltre duecento edifici adibiti ad alloggi privati e commerciali e undici caserme, viene
sgomberata nella primavera del 1942 (gli abitanti, agli inizi degli anni quaranta, sono poco più di
tremila cinquecento). Fino ad allora, i primi ebrei reclusi nel ghetto di Terezin sono concentrati
nelle caserme. In seguito, tutta la città è adibita a ghetto e la circolazione all'interno delle sue mura è
«libera». Le porte d'ingresso, i bastioni, le torri di guardia e il fossato che la circondano consentono
un controllo completo della popolazione reclusa. Ben presto tutti gli edifici vengono numerati e
assegnati a una specifica destinazione (per esempio il blocco 19 viene destinato ai bambini e ai
neonati; il blocco 18, alle donne; il blocco 22 diventa l'alloggio dei prigionieri anziani e degli
alienati mentali ecc.), mentre si provvede alla costruzione di un forno crematorio. A partire dalla
fine del 1943, nel ghetto cominciano opere di abbellimento (di strade, edifici, negozi e arredi urbani
ecc.) con le quali i nazisti intendono mascherare la realtà e mostrare al mondo un «modello di
insediamento ebraico», che sfati le notizie di maltrattamenti e torture nei confronti degli ebrei
d'Europa rinchiusi nei ghetti. Una delegazione della Croce rossa internazionale entrerà nel ghetto il
23 giugno del 1944 e farà una relazione positiva su quanto visto. Il regime produce anche un
documentario di propaganda dal titolo «Il Führer regala agli ebrei una città». In realtà, le condizioni
di vita a Terezin sono terribili. Dai 30.000 ai 40.000 deportati ebrei vivono in edifici fatiscenti, con
cibo insufficiente e pessime condizioni igieniche, che unite al sovraffollamento, già nel 1942,
portano il tasso di mortalità al cinquanta per cento. Proprio nel settembre del 1942 si registra la
punta massima di prigionieri (58.497 secondo i registri tedeschi). L'amministrazione e il
funzionamento della città ebraica è affidata a un consiglio ebraico, sul modello di quelli insediati
negli altri ghetti all'Est, e a un anziano che ricopre l'incarico di presidente. La carica sarà ricoperta
sino al gennaio del 1943 da Jakob Edelstein, originario di Praga, in seguito da Paul Eppstein ebreo
di Berlino, e infine dal rabbino viennese Benjamin Murmelstein, unico sopravvissuto dei tre.
Edelstein viene infatti deportato e ucciso ad Auschwitz il 6 giugno 1944, mentre Eppstein verrà
assassinato nel settembre dello stesso anno all'interno della piccola Fortezza.
Affidato alla competenza del locale comando delle SS, il ghetto sarà guidato da tre diversi
comandanti: Siegfried Seidl che rimarrà fino al giugno del 1943 (condannato a morte dopo la
guerra); Anton Burger che resterà in carica fino al febbraio 1944 (e nel dopoguerra sfuggirà alla
cattura); e infine, Karl Rahm, giustiziato alla fine del conflitto.
L'elevato numero di intellettuali, artisti, scrittori, poeti, musicisti, attori raccolti nel ghetto di
Terezin dà vita a forme di resistenza spirituale ed esistenziali che restano una forte testimonianza
contro la distruzione nazista del popolo ebraico. Il ghetto avrà una biblioteca, scuole di formazione,
un gruppo teatrale, scuole di pittura e di musica. Molti musicisti noti al grande pubblico,
proseguono nel ghetto la loro attività: tra essi Pavel Haas. Hans Krasa, Gideon Klein e Victor
Ullman, di cui si ricorda in particolare l'opera «L'imperatore di Atlantide».
Dalla nascita del ghetto e fino al 20 aprile del 1945, si calcola che siano stati deportati a Terezin
(per i tedeschi Theresienstadt) circa 140.000 ebrei tra uomini, donne e bambini, dalle regioni
boeme, tedesche, austriache, olandesi, danesi, slovacche e ungheresi.
Inoltre, negli ultimi giorni di guerra, dai campi di concentramento polacchi, raggiunti dalle armate
alleate, si calcola che vengono condotti a Terezin più di 13.000 prigionieri, in grande maggioranza
gravemente ammalati. Con il loro arrivo a Terezin si diffonde una grave epidemia di tifo. Nel ghetto
di Terezin, nella primavera del 1944 giungeranno anche una settantina di ebrei italiani, provenienti
da altri lager.
I prigionieri deportati dal ghetto nei campi di sterminio della Polonia sono più di 86.000 (di cui solo
4.000 sopravvivono), mentre 33.000 ebrei muoiono tra le mura della «città modello».
Il 9 maggio 1945, giorno della liberazione, si contano 16.852 sopravvissuti, tra i quali molti
moriranno ancora per malattia e fame, nonostante le cure prestate dai medici delle truppe ucraine.
Tra tutti i prigionieri del ghetto, il mondo oggi ricorda i bambini ebrei, dei quali ci restano molti
disegni, divenuti simbolo, tra gli altri, della tragedia del popolo ebraico e dello spirito di resistenza
contro l'oppressore nazista.
Oggi nella città fortificata due blocchi (caseggiati) sono trasformati in museo, mentre in un altro
locale, vicino all'area dei grandi giardini pubblici, dall'ottobre 1991 è aperta una esposizione
permanente sulle atrocità compiute dai nazisti a Terezin. Vi è documentata la storia del ghetto
insieme agli aspetti della vita quotidiana degli ebrei prigionieri. In questa sezione del museo ebraico
di Terezin si possono vedere molte delle opere d'arte create da adulti e bambini durante la
detenzione. Una mostra stabile è allestita anche nei locali del crematorio.
Bibliografia
Benesova M., Piccola fortezza di Terezin 1940-45, Praga, Vychodoceska tiskarna 1966.
C. Lanzmann, Un vivo che passa, in Shoah, Milano, Bompiani 2000.
Murmelstein B., Terezin, il ghetto modello di Eichman, Bologna Cappelli 1961.
R. Klüger, Vivere ancora. Storia di una giovinezza, Torino Eianudi 1995.
Elias R., La speranza mi ha tenuto in vita, Firenze Giunti 1988.
Theresienstädten studien un Documente, 5 voll. Praga, ed. Academia 1995-99
Campi di concentramento del fascismo italiano (1940-1943)
L'internamento o il confino di polizia, per ragioni di pubblica sicurezza (combattere e rendere
inermi gli oppositori e i disfattisti) o facendo ricorso alle leggi di guerra (RR:DD 566 del 10 giugno
1940) che colpiscono i cittadini stranieri giudicati «pericolosi», nell'Italia fascista è di competenza
del ministero dell'Interno. Deportati e confinati, nelle piccole isole o in «campi» e località
dell'interno della penisola, scontano, a volte fianco a fianco la loro pena. Questi campi, hanno assai
poco in comune, almeno fino all'8 settembre 1943, con i lager tedeschi e tuttavia la vita dei
deportati è sottoposta a disagi e sofferenze. I campi di internamento italiani sottoposti all'autorità
civile, concentrati per lo più nelle regioni centro meridionali (con l'unica eccezione della provincia
di Parma), tra il giugno del 1940 e l'agosto del 1943 sono una cinquantina. Per lo più sono
localizzati sulla terraferma o su piccole isole (per es. Ustica, Lipari, Ponza), in ragione della stimata
pericolosità politica del detenuto che così potrà essere inviato in un luogo più controllato o al
cosidetto internamento «libero». I luoghi di internamento, in genere edifici preesistenti (fattorie, ex
conventi, scuole in disuso, ville, abitazioni ecc.) non possono trovarsi nelle vicinanze di grandi città
o di centri ritenuti di importanza militare, e questo secondo la convinzione che talune zone
dell'Italia sarebbero state scarsamente interessate dalla guerra. «La condizione di internamento
determinava la perdita delle libertà individuali, l'allontanamento dai propri cari e la sottomissione
dell'individuo a un estenuante sistema di controlli e di restrizioni» (Capogreco). In particolare la
condizione degli internati di nazionalità italiana è quasi sempre peggiore di quella degli stranieri,
salvo che questi ultimi non siano ebrei provenienti da stati che praticano politiche antisemite o
jugoslavi che non godono degli aiuti della Croce rossa.
Nei campi di internamento di grosse dimensioni, i detenuti non possono uscire dai confini del
campo se non per motivi particolari (ricoveri in ospedale, acquisti, collettivi, cure mediche ecc.) e
comunque scortati dai carabinieri. Nei campi di piccole dimensioni, invece la vita scorre in modo
del tutto simile a quella consentita nei luoghi di internamento «libero», con vincoli e divieti più
ridotti. In ogni caso, gli internati devono presentarsi al controllo due volte al giorno e non possono
intrattenere rapporti con la popolazione del luogo. Le regioni che ospitano il maggior numero di
questi campi sono l'Abruzzo, il Molise e le Marche. Altri se ne possono trovare in Toscana, Lazio,
Umbria, Campania, Lucania, Calabria, Puglia e in alcune isole della Sicilia. Due campi con la
possibilità di ospitare duecento persone si trovano in provincia di Parma. Il maggiore di questi
luoghi di internamenti è il campo di Ferramonti (*) nel territorio comunale di Tarsia (provincia di
Cosenza), che ampliato a più riprese, può ospitare duemila internati.
Nel complesso, secondo gli studi di Spartaco Capogreco, il numero complessivo degli internati in
questi campi del ministero degli interni è intorno alle 8.500 unità.
Un'altra tipologia di campi, è quella che dipende dalle autorità militari, nei territori occupati della
Jugoslavia, dove la deportazione e le misure repressive contro i civili sono una regola del sistema di
occupazione. Tra razzie, eccidi e operazioni di pulizia etnica, l'esercito fascista italiano combatte la
sua battaglia contro i ribelli per una colonizzazione completa della zona, dove sono previsti
reinsediamenti italiani e deportazioni di popolazioni autoctone da rieducare per il lavoro coatto. Il 3
maggio 1941 si opera l'annessione all'Italia della provincia di Lubiana e già nel febbraio del 1942
cominciano le deportazioni di popolazione, estendendo in seguito la misura di sicurezza a donne,
bambini e anziani. In un primo tempo, gli sloveni vengono deportati (quando non sono uccisi sul
posto per rappresaglia) a Cighino di Tolmino e a Tribussa (provincia di Gorizia); in seguito si
comincia a utilizzare allo scopo il campo n. 89 per prigionieri di guerra di Gonars (Udine). Già il 1°
aprile, tra civili e militari, gli internati a Gonars sono 1878; qualche mese dopo, il 1° luglio,
risultano internati 6.000 lubianesi.
L'estate del 1942 vede fiorire altri campi per civili e militari nelle caserme di Monigo di treviso e di
Chiesanuova di Padova che accolgono oltre settimila civili deportati. E tuttavia il campo che
rappresenta il centro dello «sgombero» della popolazione slovena è allestito a partire dal luglio del
1942 sull'isola di Rab (Arbe in italiano*) nel mare adriatico. Il campo, considerato un luogo di
eliminazione di massa da molta parte degli storici locali, può ospitare fino a diecimila internati. Da
ottobre a gennaio, per fame, freddo, malattie e altro perdono la vita circa 1.500 deportati.
Altri campi per civili jugoslavi sono aperti a Renicci di Anghiari (Arezzo) con capacità di
cinquemila posti, in provincia di Gorizia, di Perugia (Colfiorito di Foligno per 1.000 posti), di
Trieste (a Visco per 4.000 posti) e in provincia di Savona (Cairo Montenotte, per circa 2.000 posti;
a questi vanno aggiunti campi di lavoro per internati jugoslavi, attivi in provincia di Perugia, Sassari
e Gorizia.
In Dalmazia, i prefetti fascisti fanno costruire campi ci concentramento locali, tra i quali, nel giugno
del 1942 quello sull'isola di Molat 8in italiano Melada) dove perderanno la vita circa mille internati.
In Montenegro, oltre a essere sottoposti a razzie, rappresaglie, saccheggi e uccisioni, i locali
vengono deportati in campi sul territorio italiano o istituiti sul posto come quelli di Bar, Prevlaka e
Mamula, oppure quelli di Kros, Kukes e German in territorio albanese. L'internamento è una misura
di polizia frequente anche in Macedonia occidentale incorporata nella «Grande Albania». Oltre che
nel campo allestito a Durazzo (in cui le condizioni di vita sono particolarmente dure, funziona
anche il campo di Shijak dove sono deportati i soldati albanesi che hanno abbandonato le forze
italiane, passando con i locali. Il numero degli internati civili sloveni, secondo studi recenti (Ferenc
e Capogreco) viene stimato intorno alle 25.000 unità, mentre per tutti i territori occupati, la
commissione di indagine jugoslava sui crimini di guerra segnala 140.000 internati nel complesso
dei territori di occupazione italiana.
Ferramonti, campo di concentramento Entra in funzione il 20 giugno 1940, con una superficie
complessiva di 16 ettari, in concomitanza con l'ingresso in guerra dell'Italia. Viene previsto dal
Ministero degli Interni come campo per ebrei stranieri residenti nel suolo italiano, in particolare se
«appartenenti a stati nemici» o entrati «con inganni o mezzi illeciti». L'internamento dovrebbe
riguardare poco più di 3.800 persone, bollate come «elementi indesiderabili imbevuti di odio contro
i regimi totalitari». Sebbene la direzione generale di Sanità definisca il luogo del campo malsano, in
quanto zona di diffusione della malaria, l'inizio delle operazioni di trasferimento avrà seguito
comunque, per una capienza di oltre duemila posti. Posto sotto il comando del commissario di
pubblica sicurezza Paolo Salvaterra, (e in seguito di Leopoldo Pelosio e Mario Fraticelli) il campo
passerà dai 700 internati dell'inizio agli oltre 1500 internati dell'agosto del 1943 (e si segnala come
il più grande concentramento di ebrei di tutta l'Italia fascista). Come scrive lo storico Spartaco
Capogreco che per primo si è occupato della storia del campo: «a Ferramonti la vita degli internati
non è facile e lo stato di prigionia è reso ben evidente dai tre appelli giornalieri, dal filo spinato e
dalle garitte, dalla cui cima i militi sorvegliano i movimenti dei prigionieri.» Comunque, il
comportamento delle guardie e delle autorità che hanno il controllo del campo è corretto e
tollerante: gli internati non sono sottoposti al lavoro coatto e non si registrano punizioni con
violenze sommarie. I morti per malattia, in tre anni di funzionamento del campo, sono trentasette,
mentre quattro morti sono causati da un bombardamento degli alleati (il 27 agosto del 1943) che
scambiano le baracche come basi militari. All'alba del 14 settembre del 1943, il campo di
Ferramonti viene raggiunto dalla VII armata britannica e liberato (due mesi prima, il Ministero
dell'Interno aveva previsto l'invio degli internati a Bolzano*). Oggi il sito del campo è sede di una
Fondazione.
Arbe Il 7 luglio del 1942, le autorità militari informano il Comando dell'XI Corpo d'armata di
Lubiana che è stato predisposto il campo di concentramento di Rab (Arbe), un'isola fra il golfo di
Kampor e quello di Sant'Eufemia, pronto ad accogliere sotto le tende seimila deportati. Scopo del
campo è l'internamento del maggior numero di sloveni possibile per evacuare completamente la
Provincia italiana di Lubiana. Luogo freddo e sassoso, il luogo viene suddiviso in quattro settori: il
campo III a sinistra della strada che veniva dalla città di Rab è destinato alle donne; il campo II agli
ebrei (internati qui tra il 20 maggio e il 10 luglio del 1943, in circa 2.700). Sulla destra della strada,
il comando del campo e il settore I, vale a dire il campo principale, ampliato verso la collina con il
settore IV in cui ci sono, tra l'altro, depositi, autorimesse, magazzini e uffici. Il settore V, così
denominato dagli internati, è il cimitero del campo. La sorveglianza del campo era garantita da
carabinieri e soldati dell'esercito regolare, mentre il comando è affidato al tenente colonnello dei
carabinieri Vincenzo Cuiulli, definito da molti un fanatico fascista e un sadico. Nelle visite di
controllo al campo ha sempre con sé la frusta e se ne serve volentieri. Anche i soldati italiani di
servizio al campo lo considerano brutale e gli attribuiscono il soprannome di «serpente». All'inizio
gli internati sono costretti anche al lavoro coatto per completare la costruzione del luogo. Nello
spazio cintato e sorvegliato di Rab, negli ultimi giorni del 1942 vengono deportati bambini, donne,
vecchi, ragazzi e ammalati, privati di tutto, costretti a passare la maggior parte del tempo sotto
piccole tende che non riparano né dal caldo torrido, né dal freddo. Secondo le testimonianze dei
sopravvissuti, i deportati destinati a Rab, prima di giungere al campo dovevano camminare per otto
chilometri anche se ammalati o indeboliti dalla fame e dalla stanchezza, o dalla sete. Le donne
inoltre, vengono umiliate perché costrette a spogliarsi al cospetto dei sorveglianti e rasate in tutto il
corpo. Altre torture e vessazioni riguardano i bagni all'aperto nel periodo invernale, la paglia piena
di parassiti e cimici nelle tende per dormire, la pioggia che entra nelle tende non impermeabili, il
fango che attanaglia il campo nel periodo invernale e autunnale, i pidocchi, la fame e le malattie per
le quali non è prevista cura adeguata. Molti carabinieri di guardia al campo, inoltre bastonano gli
internati e li legano a un palo per due o tre ore, per ragioni di disciplina. In simili condizioni, gli
internati cominciano a morire in massa fin dalla metà di gennaio del 1943. Secondo i dati ufficiali
(il registro dei morti del campo), a Rab perdono la vita almeno 1.200 civili su un movimento di
internati che raggiunge le 15.000 persone. Il campo è fin dal 1942 un luogo di permanenza e di
transito verso altri campi per internati civili sloveni dell'Italia. Il campo viene liberato l'11 settembre
del 1943 dai partigiani del Comitato di liberazione nazionale, al comando di Henrik Zdesar della
compagnia del I battaglione d'assalto.
Bibliografia
S. Capogreco, Per una storia dell'internamento civile nell'Italia fascista 1939-1945, in Storia e
memoria (a cura di A. L: Carlotti, Milano Vita e Pensiero, 1996.
S. Capogreco, I campi del duce, Torino Einaudi 2002.
T. Ferenc, La provincia italiana di Lubiana, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di
liberazione 1994
T. Ferenc, Rab, Arbe, Arbissima, Lubiana, Istituto di storia moderna 2000.
T. Ferenc, Si ammazza troppo poco, Lubiana, Istituto di storia moderna 1999.
F. Potocnick, Il campo di sterminio fascista, l'isola di Rab, Torino, Anpi 1979.
S. Capogreco, Ferramonti, Firenze, Giuntina 1987.
K. Voigt, Rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, vol. II, Firenze La nuova Italia 1996
Campi di concentramento e transito in territorio italiano, attivi dopo l’8 settembre 1943.
Nel periodo che va dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, quando l'Italia è occupata dai tedeschi, e
il governo fascista è rappresentato dalla Rsi (* Il fascismo e la Rsi), dall'Italia o dai territori che
fanno parte del Regno, partono centoventitre trasporti di deportati. Le principali destinazioni sono
cinque: Auschwitz (che ne riceve trentadue), Mauthausen (che ne riceve ventuno) e Dachau (dove
giungono trentasette trasporti), Buchenwald (con quindici trasporti) e Ravensbrück (con otto).
Bergen Belsen e Flossenbürg sono raggiunti rispettivamente da cinque convogli. Per quanto
riguarda le località di partenza, la maggiore quantità dei convogli si forma a Trieste (settanta) che è
sede del campo di concentramento della Risiera di San Sabba (*); segue Bolzano, sede del campo di
transito nel sobborgo di Gries (*) (con tredici trasporti); e Fossoli (*) di Carpi (con sette trasporti.
Dopo i rastrellamenti e le prime deportazioni frutto di azioni a carattere locale, nelle ultime
settimane del 1943 si registra una svolta con la radicalizzazione da parte della Rsi della sua politica
antisemita, avviata dal fascismo con le leggi razziste del 1938. Contestualmente all'apertura di
luoghi di reclusione e di raccolta degli ebrei in ogni provincia, viene istituito il campo di raccolta di
Fossoli in provincia di Modena. In seguito, la rottura della linea Gustav da parte delle forze alleate e
la loro avanzata nell'Italia centrale, con il conseguente ripiegamento dei tedeschi sulla linea Gotica,
rende troppo esposto il campo di Fossoli che viene chiuso e sostituito con il campo nel sobborgo di
Gries nella città di Bolzano. Quanto al lager della Risiera di San Sabba, è aperto dai tedeschi
nell'ottobre del 1943, a un mese esatto dall'occupazione della città da parte della Wehrmacht.
I tre campi rientrano, per altro, nella politica di occupazione del territorio italiano da parte delle
truppe tedesche, in parte condivisa con la Rsi. Del resto, in precedenza, «in forme meno totali della
Germania nazista, l'Italia fascista ha condiviso la pratica della guerra di aggressione,
dell'intransigenza razziale, soprattutto contro le popolazioni slave della vicina penisola balcanica,
obiettivo diretto dell'espansione italiana.» (Collotti). Dopo l'armistizio dell'8 di settembre del 1943,
la maggior parte del territorio italiano (a eccezione della parte meridionale a sudi di Napoli già
raggiunta dalle forze alleate) ricade sotto l'occupazione delle truppe tedesche. Proprio per difendere
il territorio italiano «palmo a palmo» i tedeschi lo dividono in zone operative, quelle adiacenti alle
linee del fronte, e quelle delle aree costiere del Tirreno e dell'Adriatico. La nascita della Rsi rende
più complicata la situazione amministrativa del territorio, sottoposto a due livelli di ordinamenti; e
tuttavia il governo fascista repubblicano assume per la Germania il ruolo di un'organizzazione
collaborazionista capace di mediare gli ordini con le esigenze e la cultura delle popolazioni locali
(anche se come abbiamo visto le autorità della Rsi sono in grado di perseguire scopi propri.
L'autonomia dell'esecutivo italiano è ancora più limitata nelle Zone di operazione delle Prealpi
(Alpenvolrland) e del Litorale Adriatico (Adriatisches Küstenland), incorporati nel Reich tedesco.
Se poi si tiene conto, come scrive Enzo Collotti, «che molte unità militari o dei comandanti che
prestano servizio in Italia provengono da esperienze compiute sul fronte orientale» (sterminio,
eccidi di massa, razzie, rappresaglie ecc., in una parola guerra di sterminio) «non è difficile
comprendere come le pratiche di guerra acquisite in altri settori tendano a diffondersi anche nel
teatro italiano». In sostanza, è chiaro oggi come il carattere oppressivo dell'occupazione non sia una
risposta diretta alla reazione di ribellione manifestata dalla popolazione e dalle azioni partigiane. Si
verificano infatti forme di violenza che sono parte del bagaglio di esperienza abituale degli
occupanti. Eccidi, stragi, rappresaglie, razzie, deportazioni di lavoratori coatti, e deportazioni di
politici e di ebrei coinvolgono centinaia di migliaia, forse milioni di individui che anche in Italia
fanno l'esperienza della guerra di sterminio condotta in Europa dai tedeschi (*Stragi, rappresaglie).
Fossoli
Il campo di Fossoli trae la sua origine dal decreto del Comando della zona militare di
Bologna, del 30 maggio 1942, con il quale vengono occupati per scopi militari i terreni comunali
compresi tra la strada dei Grilli e il canale della Francesa, a pochi chilometri da Carpi, in provincia
di Modena. I lavori di costruzione vengono autorizzati il 18 giugno, dal Ministero della Guerra e il
21 luglio successivo, con l’arrivo di 1800 prigionieri di guerra catturati in Africa (inglesi, australiani
e neozelandesi) il campo prende a funzionare come Campo per Prigionieri di guerra n. 73, in
gestione alle autorità militari italiane. Inizialmente costituito da tende, ben presto, a partire dalla
metà di novembre, viene dotato di baracche in muratura, nella parte di via dei Grilli, in seguito
denominata Campo Vecchio o campo n. 1. L’anno successivo, un’altra serie di lavori trasforma la
parte di campo di via Remesina, che verrà denominata Campo Nuovo. Comandante è il colonnello
Giuseppe Ferraresi e nell’estate del 1943 il campo ospita tra i 4 500 e i 5000 prigionieri di guerra.
Il campo in questa fase è circondato da una doppia recinzione di filo spinato, alta due metri, da
torrette e garitte ogni cinquanta metri e, di notte, è illuminato da potenti riflettori. Alcune delle
baracche destinate agli internati si classificano come edifici a corridoio di m. 32 x 6 e contengono
letti a castello con pagliericci; altre baracche in muratura, nel Campo Nuovo si differenziano per la
dimensione (m. 47 x 11,50 oppure m. 57 x 11,50) e per la presenza all’interno di latrine e lavatoi.
Ogni baracca contiene da 250 a 320 internati.
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943, i tedeschi circondano il Campo di Fossoli, considerato un
centro strategico per la sua vicinanza con la linea ferroviaria diretta al Brennero. Il comando del
campo viene smantellato e arrestato e i prigionieri deportati nei lager tedeschi.
L’ordine di polizia n. 5 del 30 novembre 1943, della Repubblica Sociale Italiana (Ministero degli
Interni) dà disposizione di arrestare e riunire gli ebrei in campi di concentramento provinciali, in
attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati.
Il campo per prigionieri di guerra di Fossoli, viene così scelto tra tutti come il più idoneo al caso e
riaperto ufficialmente il 5 dicembre 1943, al comando del capitano Giuseppe Laudani della Polizia
di Sicurezza della Rsi. Per l’occasione viene riattivato il settore del Campo Nuovo, gestito dalla
Prefettura di Modena (l’internamento degli ebrei era già cominciato). Qualche mese dopo, nel
febbraio del 1944, le autorità naziste assumono la direzione del campo e gli italiani della Rsi sono
costretti a trasferirsi al Campo vecchio con i soli prigionieri politici.
Il settore denominato Campo Nuovo risulta gestito interamente dai nazisti che lo trasformano in un
campo di internamento e transito di deportati politici e razziali dall’Italia ai campi dell’Est Europa.
Da quel momento il Campo di Fossoli è diviso in due settori: il Campo Vecchio, sotto
l’amministrazione della Prefettura di Modena, con prigionieri della Rsi, non soggetti a deportazione
in Germania (partigiani, politici, civili di nazioni nemiche, genitori di renitenti alla leva, detenuti
comuni, ecc.); il Campo Nuovo (Durchgangslager) sotto il comando della Polizia di sicurezza con
sede a Verona e gestito da SS al comando di Karl Titho e di Hans Haage, che rinchiude prigionieri
ebrei e razziali e politici destinati alla deportazione. I prigionieri che si trovano internati nel Campo
Nuovo vengono rigorosamente isolati. Visite e colloqui sono autorizzati con difficoltà, malgrado il
regolamento, e si verificano problemi per i pacchi e per la corrispondenza. I tedeschi ostacolano
anche i servizi religiosi. Nel settore ebraico, transitano per il campo di Fossoli la maggior parte
degli ebrei catturati in Italia, nonché altri internati appartenenti a razze inferiori e i misti. Come nei
lager nazisti, uomini e donne sono separati e i prigionieri portano un contrassegno (triangolo giallo,
ebrei; triangolo rosso, politici; azzurro per gli stranieri ecc.). Il campo di transito rimane attivo fino
all’agosto del 1944, ma i trasferimenti verso i lager nazisti di sterminio o di lavoro coatto
cominciano già nel febbraio 1944 (il 19 febbraio, prima partenza, dalla stazione di Carpi, di 150
internati destinati a Bergen Belsen; il 22 febbraio nuovo convoglio di 700 internati destinati ad
Auschwitz). Tra i deportati ci sono anche molti bambini e ragazzi, ma anche neonati di pochi mesi.
Analizzando la documentazione fino ad ora emersa si possono indicare queste cifre: 2.440 (o 2.458)
deportati per motivi razziali; e 2.465 (o 2.483) deportati per motivi politici.
Nel settore ebraico vi si trovano otto baracche con una capienza massima di 256 prigionieri, mentre
nel settore politico i detenuti vengono ammassati in sette baracche molto più capienti, ma pur
sempre insufficienti. Ogni giorno, le SS infliggono ai prigionieri maltrattamenti e vessazioni, ma
l’episodio più feroce ha luogo il 12 luglio del 1944, quando per rappresaglia vengono assassinati
sessantasette internati tra ebrei e politici.
Nel luglio del 1944, le autorità tedesche occupano parte del Campo Vecchio, liberando alcuni
detenuti e inviandone altri in Germania, come lavoratori volontari. L’ultimo convoglio parte il 2
agosto del 1944, diretto a vari Lager nazisti.
L’evolversi delle vicende belliche induce il comando nazista di Verona a trasferire il campo di
transito a Gries*, un sobborgo più sicuro nei pressi di Bolzano.
Dal 6 agosto e fino al 29 novembre il campo funziona come luogo di raccolta della manodopera da
inviare in Germania, e in seguito viene trasferito per breve tempo nel comune di Gonzaga, in
provincia di Mantova.
Dopo la liberazione, dall’autunno del 1945 il Campo Nuovo diventa un centro di raccolta di
profughi stranieri, in attesa di identificazione e di essere liberati. Dalla metà di maggio del 1947 il
sacerdote carpigiano Zeno Saltini lo utilizza per dare vita a una città della fratellanza che ospita
bambini orfani di guerra e abbandonati. Nomadelfia rimane nel sito del campo fino al 1952.
Oggi il campo è sede di una fondazione e di un museo che ha dato il via a lavori di restauro
archeologico del sito.
Gries - Bolzano
L'istituzione del campo di concentramento, denominato Polizeillisches
Durchgangslager, nel sobborgo di Gries, risale ai primi giorni del luglio del 1944, mentre la sua
attività di reclusione, transito e smistamento comincia alla fine del mese con l'arrivo dei prigionieri
evacuati da Fossoli (*). Il lager sorge lungo l'attuale via Resia, all'interno di un complesso di
cappannoni, costruiti nel 1941 dal Genio militare e adibiti a deposito. Ha forma rettangolare e
occupa 17.500 metri quadri. L'area delle baracche è circondata da un muro sul quale sono fissati
rotoli di filo spinato, e su ciascuno dei quattro angoli di cinta è costruita una torretta di guardia,
all'interno della quale vigila un soldato SS con mitragliatrice. la guarnigione del campo è costituita
da elementi di diverse nazionalità, arruolati nel corpo sudtirolesi, ucraini, italiani e tedeschi. Oltre
alla piazza dell'appello, all'interno del campo c'è un'area di 4.500 metri quadri costituita da quattro
baracche laboratorio: di falegnameria, sartoria, tipografia e meccanica. Si calcola che nel lager di
Bolzano siano transitati almeno 11.116 prigionieri, destinati ai campi di concentramento nazisti. Di
questi, circa 3500 sono rilasciati il 3 maggio 1945, giorno della chiusura del campo I prigionieri
sono costituiti da ebrei e politici, uomini e donne, provenienti a partire dall’estate del 1944 dalle
maggiori carceri dell’Italia del Nord. Varcata la soglia del lager, il detenuto viene iscritto nei
registri del campo e classificato come per i lager tedeschi secondo un numero di serie e un triangolo
colorato che indica lo statuto dell’internato: ebreo, politico, asociale ecc. Alcuni testimoni
affermano che per gli ebrei e gli zingari esiste un registro di immatricolazione separato, per questo
non è possibile a tutt’oggi ipotizzare quanti siano stati gli internati razziali, vale a dite detenuti per
cause non politiche. La stima più credibile è che non abbiano superato il dieci per cento di tutti gli
internatii. I bambini rinchiusi a Bolzano non sono più di venticinque e le donne non più di
milleduecento; bambini e donne occupano un’unica baracca. Tra di esse numerose partigiane ma
anche donne ostaggio, vale a dire trattenute al campo in quanto parenti di partigiani. Subito dopo
l’immatricolazione, il detenuto viene trasferito in una baracca con un pagliericcio e due coperte. Il
periodo di detenzione nel campo di Bolzano varia da pochi giorni a mesi.
Nell’ottobre del 1944, a pochi mesi dall’apertura, il campo è ampliato e sono aggiunti nuovi
baraccamenti dalla lettera G alla M; inoltre si costruiscono le celle per i politici e i razziali ritenuti
pericolosi. In tal modo il campo, all’origine previsto per un massimo di millecinquecento internati,
arriva a contenerne anche quattromila. La giornata dei reclusi si svolge generalmente secondo
questo schema: sveglia alle cinque con colazione e pulizia personale; alle 6 appello sulla piazza
centrale del campo, collocata tra le baracche A B C, l’infermeria e la prigione; dalle 7 alle 16,30
lavoro all’interno dei laboratori del campo o all’esterno nei campi satellite (localizzati secondo i
ricordi dei sopravvissuti in varie zone dell’Alto Adige: Dobbiaco, Merano, Vipìteno, Colle Isarco
Val Sarentino Cerosa Val Senales), o ancora nello sgombero di macerie, sulle linee ferroviarie a
riparare i binari o a disinnescare bombe. Alle 17 è previsto il rancio della sera e un’ora dopo il
secondo appello della giornata. Alle 20 il rientro nei blocchi e alle ventuno l’obbligo del silenzio.
Sempre secondo le testimonianze di alcuni detenuti sopravvissuti, il vitto distribuito dalle autorità
del campo consiste in due minestre di verdura con pochi grassi o poca carne, 250 grammi di pane.
Due guardie SS ucraine Michael Seifert e Otto Sain, che pare non abbiano ancora diciotto anni sono
particolarmente crudeli: “Il loro passatempo era quello di martoriare in tutte le maniere e senza
alcuna ragione i prigionieri. Persino di notte entravano nelle celle di cui avevano le chiavi e
bastonavano a sangue i nostri compagni”. Anche la parte femminile ha una torturatrice: la
cosiddetta “Tigre”, vale a dire EIsa Lächert, di origini prussiane, sempre armata di pistola e di
frustino che usa con estrema facilità. Le guardie SS, inoltre, dispongono di cani addestrati ad
azzannare i prigionieri e che vengono lasciati liberi in particolare di notte, per impedire i contatti tra
le baracche. La struttura gerarchica si fonda su due linee parallele di comando: quella SS e quella
degli internati. Il lager di Bolzano dipende dall’SS-Gruppenfùhrer Harster (di stanza a Verona), che
nomina il tenente SS Titho alla carica di comandante. Responsabile della disciplina è il sergente SS
Hans Haage, mentre il comando del lavoro coatto è nelle mani del sergente Joseph Koenig. Quanto
alla linea gerarchica degli internati, capo del campo è l’austriaco Hans Majeski, capo della
disciplina Pietro Pennacchio, e delle squadre di lavoro Hans Herbert Werner. Ciascuna baracca ha
poi un capobaracca eletto autonomamente che riferisce direttamente al capocampo. Nel periodo che
sì colloca tra l’ottobre del 1944 e il febbraio del 1945 si segnala la partenza di sette convogli con
destinazione Auschwitz-Birkenau (24 ottobre 1944), Flossenbürg Mauthausen e Ravensbriick. Il 1°
febbraio 1945 parte l'ultimo convoglio diretto al campo di Mauthausen, che tre giorni dopo arriva a
Linz, da dove i prigionieri proseguono a piedi fino al lager. Dai documenti risulta, ancora, che
almeno quattordici prigionieri muoiono al campo in seguito a sevizie e torture, ventitre soldati
italiani vi sono fucilati con ventitre paracadutisti americani. La situazione sanitaria del campo è
assai precaria. Alla denutrizione dovuta alla alimentazione di base, si aggiungono gli inconvenienti
provocati dai pidocchi che infestano le baracche e dalle infezioni, cui i medici internati non riescono
a porre rimedio. Sono frequenti già nel primo periodo di detenzione, tifo, epatite, dissenteria,
difterite, tubercolosi ecc.
All'interno del campo gli internati danno vita a una organizzazione clandestina che si ramifica in
due tronconi: uno che riproduce la struttura del Cln (Comitato di liberazione nazionale) e uno a
carattere assistenziale che svolge attività di collegamento con le organizzazioni di resistenza esterne
al lager. La sera del 28 aprile del 1945, cominciano le trattative tra la Croce rossa e il comando SS
per liberare tutti i prigionieri. Così tra il 29 e il 30 aprile quasi tutti gli internati vengono liberati dal
comandante del campo e a scaglioni accompagnati ad alcuni chilometri di distanza. Gli ultimi
internati, temendo per la propria sorte, si liberano da soli senza il permesso delle SS. Il 20 novembre
del 2000, il tribunale militare di Verona ha dato il via a un processo per crimini di guerra contro
l'SS ucraino Michael Seifert, attualmente residente in Canada (Vancouver). Al termine del processo
gli è stata comminata la pena dell'ergastolo, ed è stata richiesta la sua estradizione.
Risiera di San Sabba Campo di detenzione di polizia (Polizeihaftlager), di smistamento e transito
dei prigionieri verso i lager della Germania e della Polonia, o per l'invio al lavoro coatto nella
regione (il Litorale Adriatico) o in Germania, viene aperto nell'ottobre del 1943, nella sede di un
vecchio edificio per la pilatura del riso, nel rione di Trieste, San Sabba. Già nello stesso periodo
giunge in città, agli ordini dell'ufficiale SS Odilo Lotario Globocnick, l'Einsatzkommando Reinhard,
la squadra speciale responsabile dello sterminio di milioni di ebrei, chiamato a liquidare con
intransigenza ogni resistenza contro il nazismo. Il compito di questo e di simili reparti tedeschi è
legato all'ideologia della guerra totale di sterminio, strettamente legata al progetto di dominazione
razziale dell'Europa. La squadra è composta da circa cento uomini tra i quali alcuni specialisti del
genocidio: Christian Wirth, «il selvaggio», uno dei quadri responsabili del progetto T4 eutanasia e
al lavoro come ufficiale del comando in più campi di sterminio, Franz Reichleitner e Franz Stangl
che hanno già operato nello sterminio degli ebrei a Treblinka o Sobibor ecc. Comandante
dell'Einsatzkommando Reinhard è Dietrich Allers, mentre comandante della Risiera è Joseph
Oberhauser. Nel campo sono giunti anche un gruppo di ucraini al seguito delle SS e che addetti ai
massacri e alle torture, sotto la direzione di Otto Stadie «il boia della Risiera». In uno degli edifici
interni viene collocato l'alloggio dei prigionieri, mentre gli altri edifici interni ed esterni servono da
magazzino dei bene razziati agli ebrei. Nel cortile, un forno crematorio, al posto del vecchio
essicatoio e una serie di 17 celle (di 2 metri per 1,20) destinate ai politici, ai partigiani e ai militari,
in vista della tortura e dell'uccisione. Ben presto la Risiera diventa campo di eliminazione e nel
breve periodo del suo funzionamento si calcola che le vittime (a esclusione degli ebrei) siano non
meno di 2.000 (altre fonti italiane e jugoslave parlano di 3-4.000) eliminate sul posto grazie al forno
crematorio. Le tecniche di sterminio usate vanno dall'uso del gas di scarico di autofurgoni, in cui
vengono rinchiusi i prigionieri, al colpo di mazza alla nuca, allo sgozzamento. raramente vengono
eseguite fucilazioni. Gran parte degli ebrei imprigionati nel campo, vengono invece trasferiti ad
Auschwitz, ad esclusione degli intrasportabili che sono eliminati sul luogo.
L'uso della tortura è abituale (corrente elettrica, mutilazioni, frusta, bastonature) e la possibilità di
sopravvivenza nel campo è minima perché non esistono laboratori o zone di produzione annesse, se
non per piccoli interventi artigianali ad uso delle SS presenti. A San Sabba perdono la vita anche
alcuni esponenti del Cln triestino, delle brigate partigiane Garibaldi e Osoppo. Con ogni probabilità,
la maggior parte dei deportati della Risiera è di nazionalità slovena e croata; gli italiani provengono
invece in prevalenza da Trieste, Gorizia e l'Istria. Quanto al numero dei deportati, si calcola che
dall'ottobre del 1943 al 30 aprile del 1945 (nella notte tra il 29 e il 30 le SS prima di fuggire fanno
saltare il forno crematorio) siano non inferiori a 10.000 (talune fonti propongono la cifra di 15.000).
Nel 1976 si celebra il processo a carico dei nazisti responsabili dei crimini commessi in Risiera,
grazie alla sollecitazione dell'Istituto di storia per il movimento di liberazione del Friuli Venezia
Giulia e di alcuni giudici tedeschi. Imputato davanti ai giudici sarà solo Joseph Oberhauser,
condannato all'ergastolo in contumacia dalla Corte d'Assise di Trieste, senza che questo gli
impedisca di continuare la sua attività di birraio a Monaco di Baviera.
Oggi la Risiera di San Sabba è monumento nazionale.
Bibliografia
E. Collotti, Arbeit Macht Frei. Storia e memoria della deportazione, ed. Comune di Carpi, Carpi
1985;
G. Leoni (a cura di), Trentacinque progetti per Fossoli, Electa, Venezia 1990;
Spostamenti di popolazione e deportazione in Europa, Cappelli, Bologna 1987;
T. Matta (a cura di), Un percorso della memoria, Electa, Venezia 1996;
L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria, Mursia, Milano 1991.
I. Happacher, Il lager di Bolzano, con appendice documentaria, Saturnia, Trento 1979.
L'ombra nel buio. Il lager di Bolzano, Comune di Bolzano, Archivio storico, Bolzano 1996.
F. Fölkel, La Risiera di San Sabba, Milano, Rizzoli 2000.
E. Collotti, Il litorale Adriatico nel Nuovo ordine europeo, Milano, Vangelista 1974
C. Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia, Milano, Angeli 2001.
A. Scalpelli (a cura di), San Sabba, Istruttoria e processo per il lager della Risiera, Trieste, Aned Ed. Lint 1995
E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della resistenza, Torino Einaudi, vol. I Storia e geografia
della Liberazione, Torino 2000; vol. II Luoghi, formazioni, protagonisti, Torino 2001
Campi di internamento in Giappone
Nel corso della guerra, i giapponesi catturano molti soldati alleati, in quantità assai superiori alle
loro previsioni. Di conseguenza, decidono di rinchiuderli in campi di concentramento, e di
organizzare squadre di lavoro coatto per contribuire allo sforzo bellico e fiaccare ogni resistenza del
nemico prigioniero. Americani e filippini subiscono pesanti perdite nel corso di una marcia forzata,
di sette giorni sotto il sole tropicale, dalla penisola del Bataan al campo di O'Donnel, nella provincia
di Tarlac: 120 chilometri, senza acqua e senza cibo, in cui muoiono quasi 18.000 uomini. In quello
stesso campo, la morte era spesso causata da malaria, malnutrizione, dissenteria, torture e
fucilazione. Tra il 18 aprile e il 31 dicembre del 1942, nel campo muoiono più di 26.000 prigionieri
filippini e più di 1.500 americani.
Stessa sorte è riservata all'ultima guarnigione che rimane nell'isola fortezza di Corregidor che si
arrende il 9 maggio. I sopravvissuti, circa 13.000 tra filippini e americani, privati di ogni cura e
medicamento, picchiati e torturati dai giapponesi, vengono costretti al lavoro forzato, per facilitare
la partenza dei soldati nipponici verso un nuovo fronte. nel vecchio quartiere spagnolo di Manila,
c'era il forte di Santiago, centro di internamento e tortura, chiamato in seguito il «Dachau delle
Filippine», per durezza dei sorveglianti e condizioni di vita dei prigionieri. In complesso, dei
332.000 soldati prigionieri dei giapponesi, rinchiusi in campi e luoghi di detenzione e tortura, ne
muoiono quasi 98.000 (il tasso di mortalità più alto è raggiunto dagli olandesi e dagli indo-olandesi;
supera il 51 per cento dei prigionieri).
Inoltre, l'occupazione di un certo numero di Paesi e zone geografiche da parte delle armate
giapponesi è stata accompagnata dall'internamento di parte della popolazione civile occidentale e da
vere e proprie azioni di sterminio, come il massacro di Nanchino. Quanto agli internati civili il loro
numero non è ancora stato definito con esattezza, se non per alcune popolazioni: 150.000 olandesi e
indo-olandesi, 20.000 britannici, quasi 14.000 americani, più di 90.000 filippini e altre decine di
migliaia di uomini, donne e bambini tra canadesi, australiani, francesi, neozelandesi ecc. Il tasso di
mortalità supera il 15 per cento, mentre le condizioni di vita sono difficili, per igiene, alimentazione
scarse e vessazioni cui vengono spesso sottoposti i detenuti. Il regime e la disciplina sono militari,
con appelli di lunga durata, perquisizioni improvvise, utilizzo delle donne nei bordelli dei soldati
giapponesi. Altre sofferenze vengono inflitte con la ginnastica obbligatoria, la separazione delle
famiglie, delle madri dai bambini che finiscono in campi per ragazzi ecc. Molti uomini e giovani,
infine sono costretti a un duro lavoro coatto, manutenzione delle stazioni e dei palazzi, lavori
agricoli, opere di terrazzamento e di sepoltura dei morti ecc. Alla fine della guerra, la Croce rossa
internazionale è riuscita a censire 23 campi di questa natura, ma il numero esatto è ancora
impossibile da determinare con certezza, in particolare per quei campi che non hanno sopravvissuti.
Molti detenuti civili e militari vengono inoltre trasportati da un luogo all'altro dell'impero
giapponese mediante navi cargo, che possono essere paragonate alle navi cariche di schiavi del
XVII e del XVIII secolo. I prigionieri vi sono ammassati gli uni contro gli altri, senza la possibilità
di movimento o di sedersi, in condizioni di calore insopportabile e di igiene inesistenti. Inoltre,
poiché le navi non erano segnalate come mezzi di trasporto per prigionieri, secondo le convenzioni
di guerra, erano fatte oggetto di bombardamenti da parte degli alleati. Il tasso di mortalità di questi
cargo, raggiungeva di frequente il 75 o l'80 per cento dei trasportati. Il trattamento disumano inferto
ai civili e ai prigionieri di guerra dai giapponesi non ha avuto ancora il giusto riconoscimento da
parte delle autorità dello Stato nipponico. L'opinione diffusa secondo cui le bombe di Hiroshima e
Nagasaki avrebbero cancellato ogni colpa e ogni crimine commesso nel corso della guerra consente
al Giappone, ancora oggi, di non riconoscere alle vittime dei campi dell'estremo oriente un minimo
di risarcimenti.
Bibliografia
J. R. Pritchard, Les camps japonais, in La déportation, le système concentrationnaire nazi (a cura di
F. Bedarida), Parigi, La Decouvert/Sodis 1995
J. Kotek, P. Ricoulot, Il secolo dei campi, Milano, Mondadori 2001
A. Wieviorka, Les procès de Nuremberg et de Tokio, Bruxelles, Ed. Complexe 1996
Campi di concentramento in Francia
Nel corso degli anni Trenta, con la salita al potere del nazismo in Germania e di altri regimi
autoritari in Europa, l'afflusso di manodopera e di intellettuali stranieri in terra francese comincia a
diventare massiccio e, per i leader dell'ideologia xenofoba, assai preoccupante. Proprio con il
sostegno di un Parlamento eletto dal Fronte popolare, nel 1938, il presidente del Consiglio Edouard
Daladier promulga i decreti legge per porre freno all'immigrazione di stranieri. Essi potranno anche
essere internati nel campo di Rieucros, comune di Mende, nel Lozère, se «sospettati di minare la
sicurezza della nazione». Così, la Francia, terra di massiccia immigrazione dall'Europa (nel 1934 gli
stranieri sul suolo francese sono più di tre milioni), prevede già prima dell'entrata in guerra, dei
luoghi di raccolta (campi di internamento) per stranieri, nel contesto di un inasprimento della sua
politica contro l'immigrazione, in parte legata alla crisi sociale ed economica, in parte al farsi strada
di idee xenofobe. L'estrema destra francese lancia un grido d'allarme contro «l'invasione meticcia»,
tanto che numerosi ebrei rifugiati affermano con ironia che la bandiera francese porta inscritto il
motto «Libertà, Uguaglianza e Carta d'Identità...», mentre la sinistra si trova a fare fronte a una
massiccia immigrazione senza essere riuscita a elaborare una politica seria in proposito.
Nei primi mesi del 1939, la vittoria della destra spagnola, porta in Francia, una massa di immigrati
che vengono «accolti» in cinque campi situati presso la frontiera nel dipartimento dei Pirenei
orientali: Argelès, Saint Cyprien, Barcarès, Arles-sur-Tech e Prats-de-Mollo. Alla data del 10 marzo
del 1939, Jean Ybarnegaray, futuro ministro della Famiglia nel governo di Vichy, ne stima il
numero complessivo intorno ai 226.000. Il 15 marzo dello stesso anno, nella zona dei Bassi Pirenei
si apre il campo di Gurs, previsto per 18.000 internati. Allo sguardo dello storico di oggi, questi
campi di internamento sembrano più campi di accoglienza che non campi di concentramento, e
tuttavia alla stato francese mancavano i mezzi adeguati per fare fronte a una situazione di
emergenza che provocava forti disagi negli «ospiti». E tuttavia, le vessazioni e le punizioni non
erano la norma.
Il 18 novembre del 1939 un nuovo decreto legge dispone che gli individui pericolosi «per la difesa
nazionale e per la sicurezza pubblica» possano essere allontanati dai luoghi di residenza e internati
con decisione amministrativa (e non più dell'autorità giudiziaria). Il provvedimento riguarda non
solo gli stranieri ma anche i francesi. Successivamente, nel dicembre del 1939, una circolare
ministeriale prevede le condizioni per la liberazione dai campi. Per gli uomini tra i venti e i
quarant'anni la libertà è legata a un impegno di cinque anni nella Legione straniera; il mese
successivo, anche l'ingaggio nelle Compagnie di lavoratori stranieri (CTE) al servizio delle forze
armate per la difesa della nazione consente a molti di lasciare i luoghi di residenza coatta. A questa
data, nei campi di internamento francese rimangono solo poche migliaia di «ospiti».
In questa prima fase, ogni dipartimento possiede i propri campi e luoghi di internamento che sul
territorio francese sono complessivamente più di un centinaio (compresi alcuni stadi attrezzati per
l'occasione come il Velodromo d'Inverno - noto come Vel d'Hiv - di Parigi, in cui vennero rinchiuse
12.000 donne di origine austriaca, poi trasferite a Gurs).
Nel giugno del 1940, la Francia conosce la più grande disfatta della sua storia. Alla firma
dell'armistizio, i tedeschi hanno fatto quasi due milioni di prigionieri tra i soldati delle forze armate
e occupano i tre quinti del territorio della nazione. La zona libera (la parte meridionale della
Francia) vede insediarsi a Vichy un nuovo governo che si caratterizza subito per una politica
repressiva nei confronti delle forze «anti-francesi», vale a dire i comunisti, gli stranieri, gli
oppositori in genere e gli ebrei, in base alla legislazione antisemita promulgata dal governo del
nuovo stato francese. I sei campi principali di internamento sono così individuati: Le Vernet, campo
repressivo; Gurs, campo semi repressivo; Bram Argelès e Saint Cyprien, campi di accoglienza; Les
Milles campo per stranieri in attesa di emigrazione. Altri campi come Rieucros e Agde rinchiudono
insieme una popolazione eterogenea di «indesiderabili», tra i quali molti ebrei. Il campo di Drancy
che nell'autunno del 1940 dopo l'armistizio rinchiude dei prigionieri di guerra, solo a partire
dall'estate del 1941 diventerà il «campo degli ebrei». Tutti i campi, ad eccezione di Compiègne, a
nord di Parigi e di Struthof nell'Alsazia, si trovano sotto la diretta gestione dell'amministrazione
francese (Drancy passerà sotto la direzione dell'occupante nel 1943). In breve, a parte gli zingari (a
partire dall'autunno del 1940) e gli ebrei (dalla primavera del 1941), in questa prima fase,
l'internamento nei campi è sotto la gestione francese e rappresenta un obiettivo marginale del
sistema repressivo tedesco che non influenza la legislazione relativa e le regole della gestione. Il
console tedesco in Francia, Rudolf Schleier, in un rapporto a Berlino del mese di marzo 1941
scrive, rassicurato: «Il governo francese [di Vichy] si è anche fatto carico dell'invio di ebrei stranieri
nei campi di concentramento della zona non occupata. Fino ad ora, 45.000 ebrei sono stati internati
in questo modo. Gli ebrei francesi ne seguiranno il destino più tardi... Simili provvedimenti
dovranno riguardare anche la zona occupata, non appena i campi saranno predisposti.» Proprio nel
maggio del 1941, vengono aperti due campi per ebrei stranieri in zona occupata: Pithiviers e
Beaune-la-Rolande e vengono sottoposti alla sorveglianza di polizia francese. Tre razzie successive,
operate sotto la direzione tedesca, porteranno all'internamento di altre migliaia di ebrei stranieri
anche a Drancy.
I campi dipendenti dal ministero degli Interni e dalle prefetture dipartimentali, nell'autunno del
1941, saranno sottomessi all'autorità centrale di un Ispettorato generale dei campi del governo di
Vichy.
Gli internati, in maggioranza ebrei, vivono all'interno dei campi tra mille difficoltà, igieniche e
alimentari, e in balia del tempo (caldo eccessivo nei mesi estivi, freddo in autunno e in inverno). La
malattia più diffusa è la gastro-enterite, con conseguente disidratazione e dimagramento e
indebolimento dell'organismo. Molte sono le organizzazioni di soccorso; nella zona Nord, la Croce
rossa e dalla fine del 1941 l'Unione generale degli israeliti di Francia (UGIF), autorizzate dai
tedeschi; nella zona sud, molte più organizzazioni umanitarie e religiose che attenuano di disagi
dell'internamento. Complessivamente la mortalità totale degli internati tra il luglio del 1940 e
l'agosto del 1944 non supera le 3000 persone e viene considerata dagli storici un fenomeno rilevante
ma limitato dal punto di vista statistico.
A partire dall'estate del 1942, i tedeschi si propongono due diversi obiettivi, circa la popolazione
internata nei campi francesi: da un lato, trasformare i campi che rinchiudono ebrei, zingari e razziali
in genere in campi di transito, per l'attuazione della soluzione finale del problema ebraico in
Francia; dall'altro, i campi devono servire da riserva di manodopera per l'organizzazione Todt o per
il lavoro volontario in Germania. In ogni caso, la sicurezza si pone come obiettivo primario ed esige
l'immediata deportazione nei lager tedeschi dei detenuti politici.
In questo quadro nuovo, il governo di Vichy accetta di partecipare alla realizzazione di questi
obiettivi. L'uomo guida di questa nuova politica sarà Pierre Laval, chiamato al potere nell'aprile del
1942. La sua intenzione è quella di ricavare uno spazio politico per la nuova Francia all'interno
della grande vittoria tedesca sull'Europa. Il suo antisemitismo non assume i toni xenofobi
dell'amministrazione Petain, ma rientra negli obiettivi geopolitici del nuovo ordine europeo. Al
tempo stesso, Vichy accetta di cogestire lo sfruttamento della manodopera coatta. Hanno inizio così
le deportazioni di «politici» verso i lager tedeschi, ma il grosso della deportazione riguarda gli
ebrei. Sui 330.000 ebrei francesi e stranieri che vivono in Francia all'indomani dell'armistizio,
76.000 sono stati deportati, vale a dire quasi uno su quattro (di cui solo 2.500 sono tornati). Tra
questi, circa 11.000 ebrei che si trovano nella zona sud, prima dell'11 novembre 1942, vengono
consegnati ai tedeschi dal governo di Vichy.
Il dramma della deportazione dei politici rischia in Francia di passare in secondo piano di fronte alla
massiccia deportazione di ebrei, in prevalenza partiti da Drancy, ma anche dai campi di Cmpiègne,
Pithiviers e Beaune-la-Rolande. Il 30 agosto del 1942, Pierre Bousquet, responsabile della polizia di
Vichy, richiama all'ordine i suoi prefetti con un telegramma in cui chiede di «intensificare le
operazioni di polizia in corso con tutto io personale disponibile. Ricorrere a razzie, visite
domiciliari, verifiche d'identità» in funzione dell'arresto e dell'internamento di ebrei.
Se il numero degli ebrei deportati è stato stabilito dalle puntuali ricerche di Serge Klarsfeld e può
considerarsi definitivo, non così per la deportazione di politici e «non razziali» stimata oggi intorno
a 100.000 unità.
Bibliografia
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calendrier de la persécution des Juifs de France, juliet 1940 - aout 1942; vol. III Le calendrier de
la persécution des Juifs de France, septembre 1942 - aout 1944; vol. IV, Le mémorial des enfants
juifs deportés de France.
A. Wieviorka, Déportation et genocide, Parigi, Plon 1992.
J. Kotek, P. Rigoulot, Il secolo dei campi, Milano, Mondadori 2001.