Tertium non datur - Scienze e Ricerche
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Tertium non datur - Scienze e Ricerche
ISSN 2283-5873 Scienze e Ricerche SR SUPPLEMENTO AL N. 5 - MARZO 2015 Essere donna e fare ricerca in Italia Essere donna e fare ricerca in Italia Sommario 7 ELISABETTA STRICKLAND Essere donna e fare scienza in Italia: un’impresa difficile pag. 5 pag. 7 DAVIDE BARBA E MARIANGELA D’AMBROSIO Donne e ricerca: “fare” genere nell’ambito scientifico ALESSANDRA MAZZEO 23 Tertium non datur pag. 13 DANIELA GRIGNOLI Donne in ricerca pag. 18 ROSA MARIA FANELLI, ANGELA DI NOCERA La presenza delle donne nel settore europeo della ricerca scientifica e tecnologica pag. 21 STEFANO OSSICINI Marie Curie, Hertha Ayrton e le altre. Donne e scienziate pag. 25 VINCENZO VILLANI Marie-Sophie Germain: matematica e fisica romantica dell’800 pag. 37 ANNA TOSCANO Il gabbiano ha preso il volo. Valentina V. Tereshkova - Samantha Cristoforetti. Una conquista lunga cinquantuno anni pag. 39 GABRIELLA BERNARDI Pino e le sue astronome pag. 45 PATRIZIA TORRICELLI Donne, e le parole per parlarne 63 pag. 47 AGOSTINA LATINO Genesi e analisi della Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica pag. 50 PAOLA MAGNANO, ANNA PAOLILLO, GIUSEPPE SANTISI Autostima e autoefficacia, identità di genere e soddisfazione lavorativa. Implicazioni per la scelta di carriera pag. 61 DOMENICO CARBONE Cos’è la politica? Opinioni a confronto tra le donne elette nei comuni italiani pag. 68 LUCIA PIETRONI Rosa vs Blu. I Gender Studies e la cultura del design 72 pag. 76 GIULIANA GUAZZARONI La realtà aumentata nell’arte: una scelta di genere è mettersi in gioco e performare pag. 86 CHIARA D’AURIA La donna cinese nel Nuovo Millennio pag. 92 SILVIA CAMILOTTI Saperi e sapori d’altrove: le scrittrici (si) raccontano pag. 103 LAURA MOSCHINI Con occhi di donna: Margaret Fuller e la Repubblica Romana (1847-49), Un’analisi di genere nel giornalismo del XIX secolo Supplemento al n. 5, marzo 2015 pag. 107 3 SUPPL. N. 5 - MARZO 2015 ISSN 2283-5873 Scienze e Ricerche Supplemento al n. 5, marzo 2015 Coordinamento • Scienze matematiche, fisiche e naturali: Vincenzo Brandolini, Claudio Cassardo, Alessandra Celletti, Alberto Facchini, Savino Longo, Paola Magnaghi-Delfino, Giuseppe Morello, Annamaria Muoio, Andrea Natali, Marcello Pelillo, Marco Rigoli, Carmela Saturnino, Roberto Scandone, Franco Taggi, Benedetto Tirozzi, Pietro Ursino • Scienze biologiche e della salute: Riccardo N. Barbagallo, Cesario Bellantuono, Antonio Brunetti, Davide Festi, Maurizio Giuliani, Caterina La Porta, Alessandra Mazzeo, Antonio Miceli, Letizia Polito, Marco Zaffanello, Nicola Zambrano • Scienze dell’ingegneria e dell’architettura: Orazio Carpenzano, Federico Cheli, Massimo Guarnieri, Giuliana Guazzaroni, Giovanna La Fianza, Angela Giovanna Leuzzi, Luciano Mescia, Maria Ines Pascariello, Vincenzo Sapienza, Maria Grazia Turco, Silvano Vergura • Scienze dell’uomo, filosofiche, storiche e letterarie: Enrico Acquaro, Angelo Ariemma, Carlo Beltrame, Marta Bertolaso, Sergio Bonetti, Emanuele Ferrari, Antonio Lucio Giannone, Domenico Ienna, Rosa Lombardi, Gianna Marrone, Stefania Giulia Mazzone, Antonella Nuzzaci, Claudio Palumbo, Francesco Randazzo, Luca Refrigeri, Franco Riva, Mariagrazia Russo, Domenico Russo, Domenico Tafuri, Alessandro Teatini, Patrizia Torricelli, Agnese Visconti • Scienze giuridiche, economiche e sociali: Giovanni Borriello, Marco Cilento, Luigi Colaianni, Riccardo Gallo, Agostina Latino, Elisa Pintus, Erica Varese, Alberto Virgilio, Maria Rosaria Viviano Abbonamenti in formato elettronico (pdf HD a colori): • annuale (12 numeri + supplementi): 37,00 euro • semestrale (6 numeri + supplementi): 19,00 euro Supplemento per ricevere anche la rivista in versione cartacea (HD copertina a colori, interno in b/n): • annuale (12 numeri): 59,00 euro • semestrale (6 numeri): 30,00 euro Un numero in formato elettronico: 6,00 euro Un numero in formato cartaceo: 9,00 euro Il versamento può essere effettuato: •con carta di credito, utilizzando il servizio PayPal accessibile dal sito: www.scienze-ricerche.it • versamento sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze e Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma (specificare la causale) • bonifico sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze e Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma IBAN: IT 97 W 07601 03200 001024651307 4 La pubblicazione di articoli su Scienze e Ricerche è aperta a tutti. I contributi, a meno che l’autore non ritenga di inibire tale possibilità, vengono pubblicati anche online sul sito www.scienze-ricerche.it, in modalità open access, cioè a libera lettura. La rivista ospita essenzialmente due tipologie di contributi: • interventi, analisi e articoli di divulgazione scientifica (solitamente in italiano). • ricerche e articoli scientifici (in italiano, in inglese o in altre lingue). Gli articoli scientifici seguono le regole della peer review. La direzione editoriale non è obbligata a motivare l’eventuale rifiuto opposto alla pubblicazione di articoli, ricerche, contributi o interventi. Non è previsto l’invio di copie omaggio agli autori. Scienze e Ricerche è anche una pubblicazione peer reviewed. Le ricerche e gli articoli scientifici inviati per la pubblicazione sono sottoposti a una procedura di revisione paritaria che prevede il giudizio in forma anonima di almeno due “blind referees”. 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Chiunque può richiedere di far parte del collegio dei referees di Scienze e Ricerche allegando alla richiesta il proprio curriculum, comprensivo della data di nascita, e l’indicazione del settore scientifico-disciplinare di propria particolare competenza. Scienze e Ricerche sede legale: Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 19/2015 del 2/2/2015 Gestione editoriale: Agra Editrice Srl, Roma Tipografia: Andersen Spa, Boca Direttore responsabile: Giancarlo Dosi www.scienze-ricerche.it SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Essere donna e fare scienza in Italia: un’impresa difficile ELISABETTA STRICKLAND Università degli Studi di Roma Tor Vergata S i discute tanto sull’eguaglianza di genere in tutti gli ambiti della vita sociale e professionale, quindi non meraviglia che anche nella ricerca scientifica si cerchi di analizzare cosa è stato fatto e cosa si può fare ancora per superare la barriera costituita dagli stereotipi ed i pregiudizi ereditati da una storia difficile per le donne nella cultura e nella vita civile del nostro paese. E’ necessario infatti ricordare che le scuole pubbliche sono state aperte alle donne solo nel 1874, tanto che intorno al 1900 sono aumentate vistosamente le iscrizioni femminili alle scuole di ogni grado e quindi anche alle università. Ma prima di questo importante giro di boa, l’educazione nelle famiglie era affidata ad insegnanti pagati privatamente, dando sempre la precedenza o addirittura l’esclusiva ai maschi. Oggi le donne rappresentano circa la metà dei laureati in area scientifica nel nostro paese, ma solo un terzo dei ricercatori effettivi e un quinto dei professori di prima fascia nelle università. Sono inoltre in numero esiguo nelle posizioni apicali, sia nelle università che negli enti di ricerca. Il fatto che in passato si sia cercato di tenerle lontano da un centro di potere così importante come il mondo della scienza ha fatto leva su una presunta inferiorità intellettuale della donna, postulata ma ovviamente mai dimostrata. Assodato quindi che le donne già da tempo mostrano di essere in grado di ottenere risultati rilevanti in campo scientifico, sarebbe ora necessario intervenire sulla formazione dei futuri scienziati, occupandosi non solo degli aspetti tecnici, ma anche dei fattori psicologici; con un atteggiamento più positivo nei confronti di sè stesse e dei loro programmi di realizzazione è fatale che le donne possano sostenere più facilmente la competizione maschile. Quindi le politiche di genere non dovrebbero essere imperniate solo sulle seppur utili misure necessarie per conciliare lavoro ed impegni familiari, ma devono anche permettere di lasciare alle spalle alcune visioni tradizionali della carriera; questo è quanto si è rilevato in modo preciso nel corso di un ciclo di seminari organizzati dal Comitato Unico di Garanzia di Ateneo all’inizio di quest’anno all’Università ‘Tor Vergata” a Roma, dedicati al “Work-life balance”, il termine attuale per il problema della conciliazione. Come è noto, le donne tendono a partecipare più attivamente alla ricerca nei primi anni della carriera, mentre con l’avanzare dell’età le ambizioni professionali lasciano spesso il posto a priorità di tipo familiare. E’ proprio la difficoltà nel conciliare l’attività lavorativa con gli impegni familiari ad 5 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO essere percepita dalla maggior parte dei ricercatori come uno dei principali ostacoli alla parità di genere nel settore scientifico. Un secondo ostacolo riguarda invece il già citato atteggiamento autodiscriminatorio delle donne nei confronti del loro ruolo professionale. Più della metà infatti sembra ritenere di non essere in grado di raggiungere le posizioni di maggiore responsabilità, in quanto meno disposte degli uomini a combattere per la propria carriera. E’ quindi vitale superare alcune visioni tradizionali della carriera e della suddivisione dei ruoli. Per fare un esempio concreto, i criteri di reclutamento e incentivazione della carriera dovrebbero riconoscere anche caratteristiche come l’attitudine ad interagire con i propri colleghi, a contribuire alla crescita dei propri collaboratori e a condividere conoscenze ed informazioni, nonchè a premiare un approccio alla ricerca aperto e interdisciplinare, incoraggiando un atteggiamento collaborativo piuttosto che competitivo. E’ fondamentale inoltre combattere la convinzione diffusa che le carriere scientifiche non abbiano la ricaduta sociale che offrono altre tipologie di studi, convinzione smentita dalle indagini statistiche sulla condizione occupazionale dei laureati, secondo le quali il loro grado di occupazione nelle scienze di base a cinque anni dalla laurea risulta essere molto alta, salendo ulteriormente per chi è in possesso di un dottorato di ricerca. Naturalmente questi dati vanno visti in modo globale, cioè il mercato del lavoro va esteso oltre i confini del proprio paese. E’ pertanto falso che questi titoli di studio non siano adeguatamente spendibili sul mercato del lavoro. Anche dal punto di vista della remunerazione, risulta che il salario medio dei laureati in chimica, fisica, biologia e matematica è inferiore solo a quello dei laureati nell’area medica e di ingegneria, mentre è confrontabile con quelli dell’area economica-statistica e politico-sociale. Per avere un’idea di come le cose stiano comunque cambiando, basta guardare a quanto è successo nel 2014. Tre eminenti signore hanno sfatato ogni leggenda volta a screditare il potenziale femminile nella ricerca scientifica, precisamente Mariam Mirzakhani, matematica, vincitrice della 6 prima Fields Medal attribuita ad una donna, Samantha Critoforetti, ingegnera, prima donna italiana lanciata nello spazio ed attualmente a bordo della stazione spaziale internazionale e Fabiola Gianotti, fisica, prima donna nominata Direttore Generale del CERN di Ginevra. Si tratta ovviamente di tre figure femminili notevolissime. Maryam, di origine iraniana, ha una cattedra all’Università di Stanford, guadagnata a soli 29 anni per importanti contributi in geometria iperbolica, teoria ergodica e geometria simplettica. Samantha è aviatrice e astronauta, prima donna italiana negli equipaggi dell’ Agenzia Spaziale Europea, coetanea di Maryam e laureata in ingegneria meccanica all’ Università Tecnica di Monaco, successivamente ammessa all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli con conseguente laurea in scienze areonautiche presso la Università Federico II di Napoli ed infine specializzata negli Stati Uniti presso l’Euro-Nato Joint Jet Pilot Training di Wichita Falls in Texas. Infine la fisica Fabiola Gianotti, che dopo la scoperta della prima particella compatibile con il bosone di Higgs nel luglio 2012, si è guadagnata vari titoli accademici ed una copertina su Time Magazine. L’anno appena trascorso è quindi stato semplicemente straordinario per le scienziate italiane e non, un anno in cui per la prima volta si è avvertita in modo palpabile un’aria nuova nel mondo delle scienze che fino ad ora sembrava impossibile respirare. In conclusione bisogna insistere e combattere, l’assenza delle donne dai luoghi di potere è estremamente importante come dato negativo: incidere sui meccanismi decisionali, individuare nella trasparenza delle procedure il criterio principale per sottoporre alla verifica della collettività scientifica le tante nomine che disegnano il panorama delle massime istituzioni scientifiche è uno dei principali punti critici del sistema di ricerca italiano. La certezza di una valutazione oggettiva delle proprie qualità e dell’esistenza di una effettiva parità nella scienza è senza dubbio il modo per superare questo ostacolo. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Donne e ricerca: “fare” genere nell’ambito scientifico DAVIDE BARBA E MARIANGELA D’AMBROSIO Università degli Studi del Molise La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l’universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare l’insegnamento calato dall’alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede. Le mie favole, Margherita Hack LE DISPARITÀ TRA UOMO E DONNA NEL MONDO R DELLE SCIENZE 1 iferire ancora una volta di disparità di genere sembrerebbe ripetitivo e privo di un qualche interesse culturale, se non fosse che il problema sta proprio in un’assenza: questo tema è sottaciuto nei programmi culturali che attengono allo sviluppo scientifico, e non è sufficientemente pesato nell’analisi delle condizioni che allontanano le donne dai traguardi meritati nell’ambito della produzione scientifica nazionale e internazionale. L’assenza produce il doppio effetto di un peggioramento delle condizioni generali di accesso della componente femminile negli spazi di ricerca, sostenuti dalle politiche pubbliche, e la perdita di migliori e ulteriori occasioni per riflettere su questo “difetto di genere” della ricerca scientifica. Un primo sguardo, che sarà trattato più dettagliatamente in seguito, afferma che l’ambiente che dovrebbe considerarsi per sua “natura” più aperto a ricevere contributi significativi senza opporre alcuna distinzione o discriminante di genere, quello universitario, applica con costanza una distinzione di genere che pone “ai margini” della ricerca scientifica l’offerta culturale al femminile. Il resoconto di questa inaspettata evidenza, è offerto da un’ampia ricerca statistica che ha valutato 5,4 milioni di ricerche pubblicate da autori di diversi paesi tra il 2008 e il 2012. In questo lavoro di Vincent Lari1 Davide Barba ha scritto il primo e terzo paragrafo, Mariangela D’Ambrosio il secondo e il quarto. vière, dell’Università di Montreal in Canada, realizzata insieme a un nucleo di ricercatori dell’Università dell’Indiana a Bloomington2, si dimostra il paradosso che, a fronte di una presenza femminile consistente, e in alcuni casi addirittura superiore a quella maschile, la produzione scientifica sottoposta a valutazione esperta, dei ricercatori di sesso maschile, è superiore di molto a quella dei ricercatori dell’altro sesso. Questo dato è confermato anche dal numero di citazioni e, soprattutto dagli articoli scientifici con coautori, il cui primo nome è quello di un uomo. In più, in questo studio si è dimostrato che anche quando le donne hanno una posizione dominante nell’elaborazione di una ricerca scientifica, che trova il suo sbocco in un articolo sottoposto a valutazione esperta, queste - nell’ambito della comunità scientifica di appartenenza – ricevono un numero di citazioni minore di quelle ricevute dai colleghi maschi, e accedono in percentuale no2 Larivière V., Ni C., Gingras Y., Cronin B., Sugimoto R. C., Global gender disparities in science, in Nature, 12, 2013. Lo studio si riferisce, nello specifico, agli articoli scientifici pubblicati tra il 2008 e il 2012 circa 5.483.841 di pubblicazioni. Rispetto alla parità di genere, questa aumenta solo nei paesi con una minore produzione scientifica. Sono nove gli Stati in cui più donne che uomini firmano le ricerche scientifiche pubblicate, tra cui Macedonia, Lettonia, Sri Lanka, Ucraina e Bosnia-Erzegovina. 7 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO tevolmente ridotta a forme di collaborazioni internazionali. Risulta però interessante il dato che conferma la presenza delle donne in aree disciplinari come le scienze sociali, educazione e infermieristica, lì dove le hard science sono ancora monopolio prevalente degli uomini. UNO SGUARDO DI CONFINE: ISTRUZIONE E RICERCA Donne e ricerca scientifica: un binomio non sempre privo di ostacoli, dimostrato dalle tante criticità che segnano i percorsi delle donne nei sistemi della ricerca scientifica e dell’innovazione. Ambiti questi ultimi che costituiscono elementi di discussione sui quali concentrarsi in modo urgente ed incisivo, soprattutto nelle attuali condizioni di crisi economico-finanziaria. La necessità di rilanciare lo sviluppo e la competitività dell’Europa e dell’Italia, infatti, non possono prescindere dall’incremento della partecipazione delle donne, in particolare, in tali settori.3 Sebbene le donne rappresentino una quota considerevole all’interno dei percorsi accademici, continuano a persistere per loro delle resistenze che si esplicano nella difficoltà di raggiungere posizioni apicali, in particolar modo della ricerca scientifica. Anche secondo l’ultima edizione disponibile dell’indagine She figures4 pubblicata dalla Commissione Europea nel 2013, le donne in Europa rappresentano soltanto il 33% dei ricercatori europei, il 20% dei professori ordinari e il 15,5% dei direttori delle istituzioni nel settore dell’istruzione superiore.5 In generale, le donne rappresentano circa il 40% dei ricercatori nel settore dell’istruzione superiore, il 40% nel settore delle amministrazioni pubbliche e il 19% nelle imprese. Mentre in tutti i settori il loro numero ha conosciuto una crescita più rapida rispetto ai loro colleghi maschi6, le ricercatrici incontrano ancora difficoltà nel raggiungere incarichi decisionali, con una media di una sola donna ogni due uomini nei comitati scientifici e di gestione in tutta l’UE.7 3 Convegno nazionale, SCIENZA, GENERE E SOCIETÀ: A CHE PUNTO SIAMO? PROSPETTIVE DI GENERE IN UNA SCIENZA CHE SI EVOLVE, Trento, 12 - 14 novembre 2014 intervento a cura di Ada Russo e Alessandro Rizzo – Isfol. 4 She Figures 2012 è la quarta pubblicazione di una serie chiave di indicatori essenziali per comprendere la situazione delle donne nella scienza e nella ricerca. Nel corso del tempo l’elenco degli indicatori utilizzati per descrivere la partecipazione delle donne a tutti i livelli e in tutte le discipline scientifiche si è evoluto considerando l’istruzione superiore, il mercato del lavoro, comprendendo l’equilibrio lavoro/vita familiare; e questo non solo nei 27 paesi dell’UE, ma anche in Croazia, nell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, in Islanda, Israele, Norvegia, Svizzera e Turchia. She figures è prodotto dalla Commissione europea (Direzione generale per la ricerca e l›innovazione e Eurostat) in collaborazione con i corrispondenti statistici del gruppo di Helsinki «Donne e scienza». 5 Eurostat, She Figures, Gender in Research and Innovation, Directorate-General for Research and Innovation Directorate B — European Research, AreaUnit B.6 — Ethics and Gender, Bruxelles, 2012 6 Un aumento del 5,1% all’anno per le donne contro un aumento del 3,3% per gli uomini dal 2002 al 2009. 7 Eurostat, She Figures, Gender in Research and Innovation, Directorate-General for Research and Innovation Directorate B — European Re8 She figures documenta inoltre che, sebbene la percentuale di studentesse universitarie (55%) e laureate (59%) abbia superato quella degli uomini nel 2012, questi ultimi sono in numero superiore tra gli studenti di dottorato e i dottori di ricerca (le donne sono, rispettivamente, il 49% e il 46%). La condizione italiana sembrerebbe confermare il trend. Infatti, l’ultimo report sui laureati divisi per genere di AlmaLaurea 2012 testimonia che il 60,3% dei laureati sono donne, che le stesse si laureano a 26,7 anni contro i 27,3 dei ragazzi; che impiegano meno tempo (4,7anni contro 4,9 anni); che si laureano di più in corso (40,3% contro 36,9%) e che ottengono voti più alti (104,1 contro 101,4).8 Al 31.12.2013, sul totale dei docenti di ruolo in tutti gli Atenei Italiani ben 34.156 erano di sesso maschile contro i 19.290 di genere femminile.9 Ad esempio, nell’ateneo molisano, in tutti i settori disciplinari al 31.12.2013, risultavano 57 professori ordinari contro 4 di genere femminile; 92 professori associati contro 46 professoresse, ed infine risultavano essere ricercatori 38 maschi e 31 donne.10 Dall’indagine Europea Iris emerge, inoltre, che le giovani italiane iniziano la loro carriera di studio con un giudizio molto alto ottenuto alla maturità (87/100mi in media).11 In aggiunta, nella scala della carriera universitaria, che più rappresenta la condizione di difficoltà femminile in ambito accademico, le donne rappresentano il 44% dei ricercatori con un dottorato nei primi gradi della carriera e soltanto il 20% dei ricercatori nei gradi più alti. L’insufficiente rappresentanza delle donne risulta ancora più evidente in campi specifici quali la scienza e l’ingegneria12 e nonostante la percentuale di ricercatrici in Europa sia in aumento, la loro presenza nelle discipline e carriere scientifiche rimane ancora insufficiente. RICERCA E “VALUTAZIONI” DI GENERE Continuerebbe ad esistere di fatto una differenza significativa, anche se leggermente indebolita, fra uomo e donna nell’ambito della ricerca che si rivela già a partire dalle scelte educative, alla quale si accompagna una dissomiglianza ulteriore a livello di percorsi di carriera successivi.13 search, AreaUnit B.6 — Ethics and Gender, Bruxelles, 2012 8 AlmaLaurea, Noè C., (a cura di), Genere e Scelte Formative, 2012 9 Banca dati on line dei docenti di ruolo (Ordinari, Associati e Ricercatori). Fonte MIUR al 31.12.2013 10 Banca dati on line dei docenti di ruolo Numero Totale dei docenti di ruolo per Ateneo e Qualifica – Campobasso Unimol) Fonte MIUR al 31.12.2013. 11 Ibidem. 12 Commissione Europea, COMUNICATO STAMPA, Bruxelles, 5 aprile 2013 13 Negli ultimi decenni la tradizionale concezione del maschile e del femminile come tratti ascritti degli individui ha subito un notevole indebolimento, sotto la spinta del pensiero costruttivista e della sua visione del genere come prodotto sociale. E’ rivolta più attenzione al modo in cui uomini e donne “fanno genere” e contribuiscono alla costruzione della propria identità dando luogo ad un processo di reciproco posizionamento. In Butler J., Gender Trouble, Routledge, London, 2004. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Il “Bibliometrics: Global gender disparities in science” del 2014, il primo studio globale ed interdisciplinare dedicato alla disparità di genere proprio nei settori tecno-scientifici, ha rilevato attraverso il Web of Science Database che più del 70% delle firme degli oltre 5 milioni di articoli analizzati fosse di genere maschile, contro il 30% delle donne14 e che per ogni pubblicazione scientifica che ha una donna come primo autore, ce ne sono due che hanno un uomo come prima firma.15 A tal proposito, Paludi e Strayer hanno studiato come il medesimo articolo scientifico venisse valutato diversamente a seconda che si trattasse di autori donne o uomini16 tanto che l’articolo accademico attribuito a dottori di genere maschile veniva valutato più positivamente. Trix e Psenka, hanno anche dimostrato come le lettere di referenza per i dottorandi si differenziassero significativamente rispetto al sesso: per i maschi le lettere risultavano essere più lunghe, dettagliate ed incentrate sull’eccellenza, mentre per le donne esse risultavano oltre che più brevi anche fondate sulla descrizione di capacità relazionali e sull’impegno dimostrato.17 L’Eurostat già nel 2012 confermava, sempre nella ricerca She Figures, Gender in Research and Innovation, che in Italia solo il 56,3% delle donne era inserito nel mondo della ricerca contro il 63,7% rappresentato dagli uomini.18 Anche sulla scelta di studiare all’estero influirebbero motivi legati al genere: più accentuata per gli uomini: 16,6% rispetto al 9,6% per le donne.19 In tutti gli ambiti disciplinari, anche in quelli caratterizzati da una maggiore presenza femminile, la propensione degli uomini alla mobilità verso l’estero è maggiore di quella delle donne.20 Le differenze d’istruzione devono essere lette anche pensando alle diverse aspirazioni occupazionali e al valore attribuito al lavoro: i giovani uomini sembrerebbero interessati di più alle possibilità di guadagno, di carriera e al prestigio 14 Larivière V., Ni C., Gingras Y., Cronin B., Sugimoto R. C., Global gender disparities in science, cit. 15 In linea con gli studi internazionali, Palomba studiando le differenze di genere al CNR, ha riscontato una diretta relazione tra produttività e posizione accademica, riscontrando differenze maggiori al top della scala di carriera. In Palomba R., (a cura di), Figlie di Minerva. Primo rapporto sulle carriere femminili negli enti pubblici di ricerca italiani, Franco Angeli, Milano, 2000. 16 Paludi M. A., Strayer L. A., What’s in an Author’s name? Differential evaluation of Performance as a Function’s of Author’s name, in Sex Roles, 12, 1985, pp. 353 - 361 17 Trix F., Psenka C., Exploring the color of glass: letters of recommendation for female and male medical faculty, in Discourse Soc., 14, 2003, p. 191 18 Eurostat, She Figures, Gender in Research and Innovation, Directorate-General for Research and Innovation Directorate B — European Research, AreaUnit B.6 — Ethics and Gender, Bruxelles, 2012 19 L’area disciplinare del dottorato differenzia la propensione dei dottori alla mobilità verso l’estero. Migrano soprattutto i dottori di ricerca nelle Scienze fisiche (31,5%) e nelle Scienze matematiche o informatiche (22,4%), molto meno quelli che hanno conseguito un dottorato in Scienze giuridiche (7,5%) o in Scienze agrarie e veterinarie (8,1%). Ibidem, p. 8 20 Ad esempio, tra i dottori di ricerca in Scienze biologiche, con la più elevata presenza femminile (65,8%), si trova all’estero il 10,6% delle donne a fronte del 18,7% degli uomini. Ibidem, p.9 dell’occupazione mentre le donne sarebbero più attente alle opportunità sociali e altruistiche connesse al lavoro.21 Il discorso, tuttavia, riprende il concetto di interiorizzazione delle aspettative sociali relative al ruolo giocato nel contesto societario e agli stereotipi di genere: parte di queste preferenze sembrerebbero derivare proprio dai processi culturali dominanti22, già a partire dal contesto scolastico ed educativo. E’ il cosiddetto problema del “curriculum nascosto” che indirizzerebbe le donne verso ruoli stereotipati, condizionando e compromettendo le reali preferenze e aspettative.23 Il genere supportato e approvato all’interno di un assetto sociale ed istituzionale così definito, viene di fatto creato quotidianamente attraverso una serie di interazioni che tendono a definire e ridefinire gli incarichi professionali in termini di ruolo sociale e di ruolo di genere.24 Gli stessi Gender Studies hanno sottolineato l’essenza del genere inteso come non qualcosa “che si ha o che si è” quanto piuttosto come “quello che si fa”.25 Alla luce di quest’analisi, urge una riflessione socio-antropologica ed istituzionale che analizzi e promuova l’inserimento reale della componente femminile nei percorsi di ricerca scientifica. In termini generali, l’incoraggiamento alla presenza femminile nelle scienze viene per lo più analizzato attraverso tre prospettive teoriche: la prima di tipo economico che richiama il concetto di massimizzazione del talento e delle capacità del genere femminile nel sistema istituzionale; la seconda delle pari opportunità che si concentra sulle dinamiche di disuguaglianza ossia di possibilità di accesso e di garanzie nel sistema lavorativo;26 ed infine il tema della “diversità” 21 Daymont T., Andrisani P., Job preferences, College Major, and the Gender gap in earnings in “Journal of Human Resources”, 19, 3, 1984, pp. 408 - 428. 22 Hansen M., Social and economic inequality in the educational career: Do the effect of social background characteristics decline? in “European Sociology Review”, 13,3, 1997, pp. 305 - 321. 23 Eccles J., Hoffman L., Sex Differences in Preparation for Occupational Roles, in H. Stevenson & Siegal (a cura di), Child Development and Social Policy, University of Chicago Press, 1984, pp. 367 - 420 24 Si veda, a tal proposito, la differenza fra ruolo sociale e ruolo di genere. Il ruolo sociale è l’insieme dei modelli di comportamento attesi, degli obblighi e delle aspettative che convergono su un individuo. Il ruolo di genere va inteso, invece, come l’insieme di quei modelli che includono comportamenti, doveri, responsabilità e aspettative connessi alla condizione maschile e femminile e oggetto di aspettative sociali a cui uomini e donne sono chiamati a conformarsi (doppia dimensione del ruolo: aspettativa e normativa). Inoltre, il ruolo di genere richiama i comportamenti verbali e non che servono a definire socialmente il genere di appartenenza. Ruspini E., Identità di genere, Carocci, Roma, 2009, p. 22 25 Si veda il concetto di Candace West e Don Zimmerman (1987) secondo cui il genere è una routine, una realizzazione sistematica e ricorrente ed il “fare genere” un insieme di attività a livello sociale. Ancora il concetto di genere come “atto performativo” ovvero qualcosa che si fa, e che facendo si riproduce nel tempo. In Butler J., Performative Acts and Gender Constitution: An Essay in Phenomenology and Feminist Theory, Theatre Journal, 40/4, 1988, pp. 519 - 531 26 Si pensi alla Carta per le donne, come programma di lavoro stratetico per migliorare le condizioni lavorative del genere femminile in UE - Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015 come programma di lavoro stratetico per migliorare le condizioni lavorative del genere femminile in UE. Inoltre, La Commissione europea ha avviato, lo scorso ottobre, la 9 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO secondo cui le donne sarebbero portatrici di cambiamenti significativi nella ricerca scientifica.27 Alle donne sono riconosciute, infatti, pensiero divergente, capacità multitasking, creatività, problem solving, risorse spendibili nel percorso innovativo d’indagine. Purtroppo, però, esistono alcune criticità di fondo tra le quali: la presunta idea di gender blindness of science, cioè la “cecità nei confronti del genere all’interno dell’ambito scientifico” che si traduce in un’attività eliminatoria della consapevolezza di genere e che diventa vero e proprio esercizio di controllo da parte di strutture culturali e organizzative (soprattutto per mezzo di pratiche che spersonalizzano e oggettivizzano);28 la tesi del pipeline29 (o l’effetto coorte), secondo cui il problema risiederebbe nella scarsa quantità di donne che preferiscono accedere ai percorsi formativi in ambito scientifico e tecnologico.30 Questa condizione sembrerebbe aggravata dal cosiddetto chilly climate per cui le donne incontrerebbero un clima gelido all’interno degli ambienti legati alla ricerca accademica – scientifica: non si tratterebbe di comportamenti discriminatori quanto di meccanismi apparentemente neutri che sono agiti a favore degli uomini.31 Da uno studio dell’ISTAT del 2014, condotto sull’inserimento professionale dei dottori di ricerca in Italia (che hanno conseguito il titolo nel 2008 e 2010 in una Università italiana), emerge una più elevata occupazione tra i dottori delle Scienze matematiche e informatiche e dell’Ingegneria industriale e dell’informazione (oltre il 97% lavora a sei anni dal dottorato e oltre il 95% a quattro anni); risulta più bassa, campagna triennale “Science: it’s a girl thing” per incoraggiare le ragazze ad accostarsi allo studio di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. 27 Jasanoff S., Markle G. E., Petersen J. C., Pinch T. (eds.), Handbook of Science and Technology Studies, Sage Publications, Thousand Oaks, 1995. 28 Maddock S., Parkin D., Gender Cultures: Women’s choices and strategies at work, “Women in Management Review”, 8, 2, 1993, pp. 3-9. 29 Termine coniato da Sue Berryman nel 1983. Solo però con l’articolo di Joe Alper sulla rivista Science, acquista notorietà e credibilità scientifica. 30 Si veda la percezione del rischio nel genere femminile: per le donne alcuni lavori e professioni sembrerebbero più pericolose ed impegnative rispetto ad altre. Es: Ingegneri Edili; chimici. 31 Cherubini A. M., Colella P., Mangia C., (a cura di), Empowerment e orientamento di genere nella scienza. Dalla teoria alle buone pratiche, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 22 10 invece, tra i dottori delle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (intorno all’88% in media).32 RICERCA SCIENTIFICA E BISOGNO DI PARITÀ Anche nelle decisioni delle donne che hanno ottenuto lauree in materie scientifiche si avvertirebbe, comunque, una “inautenticità di genere” che le porterebbe sempre più ad abbandonare i settori della ricerca scientifica.33 Riguardo l’occupazione, tra le donne il lavoro a termine è molto più diffuso che tra gli uomini, con una differenza di circa dieci punti percentuali. Nella coorte di dottori del 2008 ha un lavoro a termine il 48,6% delle donne occupate, rispetto al 38,5% degli uomini; nella generale crescita del lavoro precario il distacco di genere si mantiene nella coorte del 2010: 57,6% di donne, rispetto al 48,4% di uomini.34 Sempre secondo la metafora del leaky pipeline35 (“tubo che perde”), esistono pratiche discriminatorie all’interno di tutto il percorso di carriera, anche nelle fasi iniziali nel raggiungimento di posizioni apicali. Infatti, nel tubo che perde “gocciolano via” e vengono perdute costantemente le risorse umane femminili, con una diminuzione continua della probabilità di arrivare al top management.36 Diversi gli elementi critici che influenzano il processo lavorativo accademico: mancanza di supporto all’inizio della carriera (mentoring inesistente); rischio di non riuscire a rimanere nelle carriere 32 Le aree disciplinari associate ai redditi più alti sono le Scienze mediche, Scienze fisiche, Ingegneria industriale e dell’informazione, Scienze economiche e statistiche e Scienze giuridiche: a sei anni dal conseguimento del titolo il reddito netto mediano mensile supera i 1.900 euro. Più contenuti (in media tra 1.400 e 1.450 euro) sono invece i redditi dei dottori in Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico artistiche e in Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche. ISTAT, L’inserimento professionale dei dottori di ricerca, Anno 2014 33 Faulkner W., Nuts and Bolts and People: Gender-Troubled Engineering Identities, in Social Studies of Science, 37(3), 2007. 34 Una quota complessivamente modesta, pari al 14,3% degli occupati, lavora con regime orario part-time (il 19,5% delle donne e il 9,3% degli uomini). Ibidem. 35 Si vedano: Berryman, 1983; Alper, 1993; Svinth, 2006 36 Esiste quindi una segregazione di tipo non solo orizzontale legata allo stereotipo ma anche verticale collegata alla difficoltà di raggiungere posizioni scientificamente rilevanti. In Guglielmi S., Falcinelli D., (A cura di), Donne al lavoro in R&ST. I percorsi, le aspettative e gli ostacoli per le donne impegnate nella ricerca. Un’analisi qualitativa, 2010, p. 19 - 20 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA scientifiche nel momento in cui si decide di avere un figlio; rischio di disinvestire a causa delle aspettative non soddisfatte di carriera; rischio di isolamento ed esclusione a fine carriera.37 Un elemento utile per comprendere la natura del tipo di lavoro svolto ed il conseguente livello raggiunto, seguendo la differenza di genere, è rappresentato dalla possibilità per i dottori di svolgere attività di ricerca e sviluppo nell’ambito dell’attività lavorativa: nel 2010 solo il 38,2% di donne contro il 42,5% dei maschi riusciva a conciliare ricerca e lavoro.38 Dal rapporto ISTAT, inoltre, si evince anche che la soddisfazione generale delle donne rispetto all’attività lavorativa intrapresa dopo il conseguimento del titolo di dottore di ricerca nel nostro Paese, risulta influenzata da elementi negativi quali il grado di autonomia e le mansioni svolte, la possibilità di carriera e la sicurezza del lavoro.39 Lo confermano i dati: le donne ricercatrici hanno sistematicamente redditi da lavoro più bassi degli uomini, anche per una maggiore propensione a regimi orari ridotti. Il 19,5% delle lavoratrici ha un lavoro part-time, rispetto al 9,1% dei lavoratori mentre il numero medio di ore lavorate settimanalmente è pari a 35,5 per le donne, a 40 per gli uomini. L’area delle Scienze mediche è quella in cui si registrano le maggiori disuguaglianze di genere con differenziali che, per la coorte del 2008, vedono il reddito netto mediano mensile degli uomini superare quello delle donne di 660 euro.40 Esisterebbero anche quelle che Reskin definisce “code occupazionali” ossia alle donne è permesso di accedere a posizioni manageriali o ad avere ruoli di responsabilità solo quando, a parità di qualifiche e competenze, i colleghi maschi sono già occupati in posizioni di rilievo o promossi.41 La Kanter riteneva tali meccanismi insiti nella società stessa che opera sul genere femminile una pressione di tipo occupazionale che interviene nella scelta dei percorsi formativi e di carriera,42 unita ad una scarsità di politiche sociali effettivamente inclusive per le donne. In particolare, nella realizzazione del differenziale di potere fra uomo - donna esisterebbe un sistema di cooptazione attraverso il quale nelle organizzazioni si tenderebbe all’omologazione e a promuovere la riproduzione “omosociale” (homosociability): i dirigenti uomini, cercando dei propri 37 Ibidem, p. 21 38 La quota è più bassa tra le donne: 3 su 10 sono impegnate in attività lavorative per nulla connesse alla ricerca. 39 Il divario più elevato si riscontra rispetto alla possibilità di carriera offerta alle donne (in una scala da 0 a 10 le donne esprimono un punteggio medio pari a 5,1, gli uomini un punteggio pari a 5,6) e alla stabilità e sicurezza del posto di lavoro (5, per le donne e 6,1 per gli uomini). ISTAT, L’inserimento professionale dei dottori di ricerca, Anno 2014, pp.5-7 40 ISTAT, L’inserimento professionale dei dottori di ricerca, Anno 2014, p.7 41 Reskin B., Scientific Productivity, Sex and Location in the Institution of Science, in American Journal of Sociology, 83, 1978. Reskin B., Bringing the Men Back in Sex Differentiation and the Devaluation, of Women’s Work, Gender&Society 2(1), pp. 58-81, 1988 42 Kanter R. M., Men and women of the corporation, Basic Books, New York, 1977. simili, faciliterebbero e sponsorizzerebbero l’ingresso di uomini nel gruppo compatto del management.43 A ciò si aggiunge l’ormai nota metafora del glass ceiling (soffitto di cristallo) immagine popolare per riferirsi alle barriere invisibili che le donne incontrano nel fare carriera. Tali barriere funzionano da sbarramento a dispetto di competenze e performance e si accompagnano ai cosiddetti gender schema44 e agli stereotipi di genere.45 Sembrerebbe che le organizzazioni, non solo quelle scientifiche, abbiano un carattere gendered in quanto attuerebbero sia una segregazione orizzontale che verticale che si esprimerebbe in termini di penalizzazioni quali: l’isolamento e la funzione totemica delle poche donne ai vertici; la marginalità e l’esclusione dai processi decisionali.46 Altresì, alla donna sembrerebbe assegnato tutto il lavoro di cura e della presa in carico dell’intero sistema famiglia, non solo di quello legato alla maternità. Tale attribuzione asimmetrica delle responsabilità familiari, mal si combinerebbe con i tempi lavorativi a causa della carenza di misure conciliative quali l’offerta pubblica di servizi, l’organizzazione dei tempi e degli orari, delle politiche sociali in generale. Questi dati e questi orientamenti, sembrerebbero confermare la teoria dell’accumulazione dei vantaggi e degli svantaggi secondo la quale il soffitto di vetro appare il risultato di piccole condizioni sfavorevoli che si sommano e che creano, nel tempo, uno svantaggio significativo nell’intera vita professionale delle donne.47 Per questi motivi, si ritiene che le donne debbano e possano ottimizzare le proprie potenzialità indirizzandole verso la difesa della propria passione e della propria motivazione, 43 Questo concetto richiama il fenomeno dell’old boys network che limita l’accesso delle donne ai gruppi di ricerca a causa di accordi taciti tra uomini ricercatori. 44 Il gender schema è quel frame cognitivo (positivo, negativo o neutrale) necessario, senza il quale non saremmo in grado di mettere insieme le infinite informazioni a cui accediamo quotidianamente e senza il quale non potremmo formulare alcuna generalizzazione o dare senso al mondo sociale. Gli schemi più rilevanti, nella percezione della competenza professionale di uomini e donne, sono gli schemi di ruolo: quelli associati, per esempio, alle figure dell’avvocato, del professore, del padre, della donna. Come la lista suggerisce alcuni ruoli sono professionali (avvocato, professore), altri si riferiscono al ruolo familiare (padre); altri ancora si riferiscono al ruolo che un individuo gioca nella società nel suo complesso (la donna). Ma la scienza è maschile? Uno studio di Sonnert e Holton del 1995, ha evidenziato come su 699 donne e uomini scienziati con percorsi di successo, più della metà degli intervistati pensavano che le donne facessero scienza diversamente: l’essere inclini al lavoro più ampio e sintetico; avere un approccio più cauto e meticoloso; prestare maggiore attenzione ai dettagli e scegliere differenti aree di ricerca. In Guglielmi S., Falcinelli D., (A cura di), Donne al lavoro in R&ST. I percorsi, le aspettative e gli ostacoli per le donne impegnate nella ricerca. Un’analisi qualitativa, 2010 45 Interessanti sono anche le teorizzazioni di Robert K. Merton intorno all’Effetto San Matteo (1968) e all’ Effetto Matilda di Margaret Rossiter (1995). Entrambe si rifanno al mancato riconoscimento del contributo delle donne alla scienza. 46 In Guglielmi S., Falcinelli D., (A cura di), Donne al lavoro in R&ST. I percorsi, le aspettative e gli ostacoli per le donne impegnate nella ricerca. Un’analisi qualitativa, 2010, p. 23 47 Merton Robert K., The Matthew Effect in Science, in: Science, 159, 1968. Merton Robert K., The Sociology of Science. Theoretical and Empirical Investigations, Chicago University Press, Chicago, 1973 11 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO riconoscendosi la possibilità auto legittima e il diritto-dovere di cambiare l’ordine delle cose. Specularmente, si dovrebbe intervenire sulla creazione di una reale rete di supporto istituzionale alle ricercatrici; su trasformazioni organizzative e politiche in relazione ai percorsi di carriera delle donne; sull’attuazione di politiche di pari e vere opportunità; sugli interventi di promozione del cambiamento culturale. In particolare, si dovrebbero favorire tempi di lavoro coerenti con le esigenze di cura/famiglia; attuare misure di sostegno alla mobilità e all’internazionalizzazione delle donne; promuovere e creare consulenza per il career-development; eliminare e decostruire gli stereotipi e gli schemi di genere operanti nelle organizzazioni; sensibilizzare, formare e promuovere il diversity management. BIBLIOGRAFIA AlmaLaurea, Noè C., (a cura di), Genere e Scelte Formative, 2012 Besozzi E., Società, Cultura, Educazione. 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Tali sono le attività culturali e sociali, oltre che quelle di valorizzazione economica della conoscenza legate all’industrializzazione, all’internazionalizzazione delle imprese e all’occupazione, che generano ricadute economiche in grado di spalmare generosamente progresso, sviluppo e benessere sociale. Nell’attuale panorama accademico nazionale, la definizione dei criteri per la valutazione della Terza Missione è un argomento ostico, sul quale il dibattito è necessario, ma insidioso. Nell’intento di circoscriverne gli ambiti, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) si è adoperata per districare il ginepraio interpretativo già dal 2013, in un workshop il cui documento di lavoro [1] è stato redatto nell’intento di “contribuire al percorso con il quale la legge prevede la pubblicazione, ogni due anni, del Rapporto sullo stato delle università e della ricerca”, aprendo un “percorso di confronto … allo scopo di giungere a definizioni condivise e affidabili degli indicatori”. Il documento procede specificando che “per terza missione si deve intendere l’insieme delle attività con le quali le università entrano in interazione diretta con la società, fornendo un contributo che accompagna le missioni tradizionali di insegnamento e di ricerca. Esistono molte modalità con cui la terza missione prende forma ... È utile tuttavia condividere una prima distinzione tra: a) terza missione di valorizzazione economica della conoscenza; b) terza missione culturale e sociale ”. Rispetto al significato attribuito alla valorizzazione economica della conoscenza, l’obiettivo della Terza Missione è inteso come “crescita economica attraverso la trasformazione della conoscenza prodotta dalla ricerca in conoscenza utile ai fini produttivi”, prendendo “atto che la conoscenza prodotta dalla ricerca richiede ulteriori attività di contestualizzazione e applicazione prima di dispiegare potenziali effetti virtuosi sul sistema economico”. Rispetto al significato culturale e sociale, l’obiettivo della Terza Missione è inteso come produzione “di beni pubblici che aumentano il benessere della società, … a contenuto culturale (eventi e beni culturali, gestione di poli museali, scavi archeologici, divulgazione scientifica), sociale (salute pubblica, attività a beneficio della comunità, consulenze tecnico/professionali fornite in equipe), educativo (educazione degli adulti, life long learning, formazione continua) o di consapevolezza civile (dibattiti e controversie pubbliche, expertise scientifica) … per la fruizione dei quali non è pre13 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO visto il pagamento di un prezzo o, in ogni caso, di un prezzo di mercato”. La recente pubblicazione online del documento La valutazione della terza missione nelle università italiane - Manuale per la valutazione [2], il cui testo è posto in consultazione pubblica fino al 15 marzo 2015, data entro la quale viene data l’opportunità di inviare commenti e proposte di integrazione o modifiche, riporta esplicitamente che “la valutazione della terza missione è un processo graduale, che richiederà alcuni anni per la messa a regime”. I gruppi di lavoro che, a livello europeo, sono stati incaricati di definire i criteri e i parametri per la valutazione della Terza Missione universitaria hanno ravvisato analoga complessità delle interazioni da considerare e la necessità di studio approfondito e diacronico, giungendo per ora all’elaborazione del Green Paper e dei relativi corollari [3-7], pur se l’approccio, almeno al più facilmente quantificabile trasferimento tecnologico (TT) inteso come valorizzazione economica della conoscenza, è stato avviato per tempo. L’Unione Europea, infatti, si è impegnata attivamente nella soluzione di quello che si era profilato, alla fine del secondo millennio, come il paradosso europeo, ossia la ridotta capacità, rispetto agli Stati Uniti e al Giappone, di trasformare le conoscenze scientifiche in nuovi prodotti e processi capaci di favorire l’incremento dell’occupazione e lo sviluppo industriale ed economico, predisponendo parte del cammino che la Terza Missione oggi è chiamata a compiere puntualmente e sulla cui efficacia l’università sarà valutata. · Nel 1995, su decisione della Commissione Europea, fu creata la rete dei centri di collegamento per l’innovazione, l’Innovation Relay Centres Network, con l’obiettivo di realizzare una piattaforma europea che facilitasse l’applicazione industriale dell’innovazione basata sulla ricerca. · La strategia elaborata nella sessione straordinaria del Consiglio Europeo, tenuta a Lisbona nel marzo 2000, aveva fissato l’obiettivo di fare dell’Unione Europea la più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010 e individuava i temi della conoscenza come portanti per l’innovazione e l’imprenditorialità, il welfare, l’inclusione sociale, il lavoro. · The Oslo Agenda for Entrepreneurship Education in Europe, 2006 [8], la Risoluzione 2011/C 161 E/15 del Parlamento Europeo del 20 maggio 2010 sul dialogo universitàimprese Un nuovo partenariato per la modernizzazione delle università in Europa, la Relazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni del 2014 Research and innovation as source of renewed growth [9] e il Report 2013 sullo Stato dell’Unione dell’Innovazione [10] sollecitano, tra l’altro, azioni mirate ad aumentare il numero di ricercatori e a facilitarne l’acquisizione di competenze manageriali, anche attraverso l’attivazione di corsi specifici sin dalle scuole di grado inferiore, nell’intento di stimolarne la specializzazione nel TT e l’inclinazione all’imprenditorialità 14 e all’interlocuzione con le imprese. · La Raccomandazione 2008/416/CE relativa alla gestione della proprietà intellettuale nelle attività di trasferimento delle conoscenze e al codice di buone pratiche destinato alle università e ad altri organismi pubblici di ricerca [11] auspicava, già nel 2008, tempestive azioni mirate alla concessione di incentivi e riconoscimenti economici e di carriera ai ricercatori universitari dediti al trasferimento tecnologico, finalizzato all’incremento delle attività imprenditoriali direttamente derivate dalla ricerca universitaria. · Il programma Horizon-2020 (H2020), infine, pone una forte enfasi sul concetto di innovazione, inteso come necessità di portare sul mercato prodotti, servizi, processi nuovi o migliorati, attraverso la formulazione di proposte di successo imprescindibilmente basate sull’adozione di metodologie tipiche delle realtà aziendali, come per Innovative Action, SMEs Instrument, Fast Track, ERA-NET per la ricerca traslazionale e Innovative Medicines Initiative (IMI) supportata, preferenzialmente, dalla collaborazione con le grandi industrie farmaceutiche aderenti all’European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA). La proprietà intellettuale (o Intellectual Property, indicata universalmente con l’acronimo IP) e il relativo TT assumono, nei progetti da presentare nell’ambito di H2020, una grande importanza, testimoniata sia nella Guide to IP in H2020 [12], che da azioni quali Healt2Market, finanziata direttamente dalla Commissione Europea allo scopo di fornire i necessari servizi connessi al TT, per la trasposizione dei risultati conseguiti con le attività di ricerca in risultati commercializzabili. In Italia, il percorso tracciato dall’Unione Europea per consentire di porre le basi di una forte capacità innovativa dell’università non è stato pedissequamente seguito e molte delle indicazioni suggerite non hanno trovato un efficace riscontro applicativo. Attualmente, l’Innovation Union Scoreboard 2014 [13] pone l’Italia tra gli innovatori moderati, intesi come gli Stati membri dove la performance di innovazione è inferiore del 50%-90% rispetto alla media europea, e i ricercatori italiani accusano scarsa capacità di accedere ai fondi europei stanziati per la ricerca, in particolare nel settore Health, Demographic Change and Wellbeing - come sottolinea la professoressa Angela Santoni, rappresentante per l’Italia nel comitato H2020 [14] - sempre più spesso e più tenacemente collegati alla capacità di inserire nei progetti l’innovazione tecnologica industrializzabile. Benoît Battistelli, Presidente dell’European Patent Office (EPO), nella presentazione del rapporto annuale EPO del 26 febbraio scorso [15], sottolinea come il ruolo dei settori industriali ad alto contenuto di tecnologie protette da brevetti costituisca una solida base per l’economia della conoscenza nella UE ed esprime soddisfazione per il record di deposito di domande del 2014: 274.174 richieste, delle quali il 35 % proveniente da Stati membri della UE, con un incremento SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA del 3,1% rispetto all’anno precedente e una crescita continua per il quinto anno consecutivo; una forte presenza di richieste nel settore delle tecnologie mediche, con 11.124 domande e un incremento del 3,2%; la maggiore crescita (+ 12,1%) registrata nel settore delle biotecnologie; il 6% delle domande presentate, circa 16.450, proveniente dalle università europee. Come conseguenza della mole di documenti da processare, L’EPO continua a riformare le procedure interne perseguendo il miglioramento della qualità e dell’efficienza dei servizi offerti, tanto che è stato il primo patent office ad ottenere la certificazione ISO 9001. La riforma più importante sarà l’approvazione del Brevetto Unico Europeo, ormai nella fase finale. L’Italia non è allineata ai risultati dell’EPO: il numero di domande di brevetto italiane presentate nel 2014 è aumentato dello 0,5%, facendo registrare il primo incremento dal 2010; resta in undicesima posizione nella UE per numero di domande depositate e diciannovesima per numero di domande in rapporto al numero di abitanti; registra un calo del 3,3% del numero di brevetti concessi rispetto al 2013, con 2.274 brevetti contro i 4.728 ottenuti dalla Francia e i 13.086 della Germania, che pur mostrando un calo paragonabile, hanno numeri molto più importanti; è ancora esclusa dalla procedura del Brevetto Unico Europeo [16]. L’ANVUR è molto cauta nell’interpretazione dei dati relativi ai brevetti e ritiene “necessario assicurare una definizione comprensiva del concetto di trasferimento tecnologico, non limitandolo alle attività di brevettazione e di imprenditorialità accademica, ma estendendolo alle molteplici attività attraverso le quali la conoscenza originale prodotta dalle università … viene trasformata e resa disponibile alla società e al sistema economico”. Il citato Manuale non prende una posizione netta rispetto all’importanza dell’IP sottesa al trasferimento tecnologico, lasciandola su un piano non preminente nel novero delle attività di Terza Missione e indica che nel “caso dei brevetti, l’unità di osservazione è la “famiglia brevettuale”, definita come l’insieme della documentazione relativa ad un’unica invenzione per la quale siano state depositate domande di brevetto presso più uffici nazionali ed internazionali. I confini della documentazione sono dati da riferimenti comuni o collegati ad un documento “prioritario”, identificabile con la prima domanda depositata in ordine cronologico”. Sarebbe utile valutare, invece, i progressi compiuti dall’università nel lungo iter necessario per il conseguimento e il mantenimento in forza dei titoli di proprietà intellettuale ed evidenziare le differenze tra le procedure poste in essere dalle varie strutture sottoposte a valutazione. La differenziazione delle procedure potrebbe essere abbozzata sulla base di alcune considerzioni: - la domanda di primo deposito generalmente non è una pubblicazione, ovvero non è resa accessibile al pubblico per evitare che, in caso di mancata concessione del brevetto, il suo contenuto possa essere liberamente utilizzato da terzi; - le domande di entrata in fase nazionale non costituiscono garanzia di concessione di brevetto; - in analogia con la pubblicazione di articoli su riviste internazionali, che spesso riguardano un unico filone di ricerca sviluppato dal ricercatore con pubblicazioni che ne completano il quadro nel tempo, così le famiglie di brevetti comprendono alcune pubblicazioni che costituiscono un ampliamento della valenza dell’invenzione e dovrebbero rientrare nel novero dei prodotti di IP da rilevare ai fini della valutazione; - l’attuazione dell’invenzione è un criterio imprescindibile per il mantenimento dell’esclusività delle produzioni connesse al brevetto, quindi va controllata nel tempo per verificare che non siano stati elisi i diritti derivanti dai titoli di proprietà intellettuale; - le fasi che scandiscono l’attività brevettuale sono: 15 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO ·l’emissione dell’International Search Report - Written Opinion con parere favorevole alla concessione di brevetto; ·la pubblicazione dei brevetti concessi nei singoli Paesi; ·la pubblicazione delle note relative al termine del periodo di opposizione, da parte di terzi, ai brevetti concessi; ·l’attuazione dell’invenzione oggetto dei brevetti concessi, eseguita entro i termini fissati dal Codice della Proprietà Industriale. Sarebbe opportuno, conseguentemente, rilevare separatamente le pubblicazioni di seguito indicate, ciascuna da collocare nel relativo periodo sottoposto a valutazione: a) la prima pubblicazione che risulti corredata da un rapporto che esprime giudizio positivo per la brevettazione, alternativamente rappresentata da: - pubblicazione della prima domanda di deposito, corredata dal Rapporto di Ricerca con Opinione Scritta trasmesso dal Ministero dello Sviluppo Economico - Ufficio Italiano Brevetti e Marchi sulla base della documentazione fornita dall’European Patent Office; -pubblicazione WIPO/PCT, corredata dall’International Search Report – Written Opinion trasmessi dall’International Searching Authority del Patent Cooperation Treaty (PCT), generalmente rielaborata sulla base delle obiezioni eventualmente riportate nel primo Rapporto di Ricerca; b)almeno uno dei brevetti pubblicati all’atto della con16 cessione, rielaborati sulla base delle modifiche richieste dai singoli patent office e in particolare dall’EPO e dall’United States Patent and Trademark Office, che richiedono intenso e lungo lavoro di revisione, da concordare con gli esaminatori, che risulta in differenze dei brevetti concessi, riscontrabili nei testi, nelle rivendicazioni e spesso anche nei titoli; c) almeno una pubblicazione relativa alla notifica del termine del periodo di opposizione, da parte di terzi, al brevetto concesso; d)almeno una pubblicazione cartacea o online di catalogo commerciale contenente uno o più prodotti protetti dal brevetto, che attesti l’attuazione dell’invenzione. Il documento ANVUR procede specificando che, nell’ambito del TT, vi è la necessità di raggiungere un buon equilibrio negli interessi, a volte conflittuali, tra pubblico e privato. Esso specifica che la “buona gestione della valorizzazione richiede il riconoscimento esplicito della diversità … rispetto all’università … di soggetti privati orientati al profitto, le cui logiche strategiche e operative sono diverse da quelle del settore pubblico … Per questa ragione una buona valorizzazione della ricerca suppone la messa in campo di regolamenti interni e schemi di collaborazione esterni che regolino dettagliatamente i confini e le sovrapposizioni tra interesse pubblico e interesse privato, allo scopo di consentire ad ogni soggetto di collaborare senza rinunciare alle proprie specificità”. In modo analogo, il Green Paper raccomanda una gestione “generosa” del portafoglio di IP, che non va intesa nella finalità di generazione di profitto per l’università, ma piuttosto nel senso dell’utilità per la società. È esplicito che SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA l’università, a fronte di tale “generosa” gestione, vedrà il riconoscimento di una quota premiale, ritenuta necessaria per favorire l’adozione e il consolidamento di questa ulteriore direzione in cui muovere le attività accademiche sottoposte a meccanismi di valutazione. Una parallela valutazione di merito non è stata adottata per i ricercatori. Nelle aree disciplinari 1-9, il merito scientifico, almeno per le finalità strettamente connesse al reclutamento, alla progressione di carriera universitaria e all’incentivazione prevista dalla L240/2010, è valutato su base bibliometrica e ciò induce a finalizzare la ricerca universitaria alla diffusione dei risultati nell’ambito della comunità scientifica internazionale. La terza possibilità, ovvero il diritto del personale universitario dedito alla ricerca ad assumere un ruolo attivo e gratificante nella concretizzazione della Terza Missione relativa al TT, ad oggi non è stata offerta, tertium non datur. La premialità - intesa come finanziamento della ricerca e come titolo valutabile ai fini delle progressioni di carriera e dell’incentivazione - sarebbe importante non solo per accertarsi di lavorare nella direzione realmente avallata dalle istituzioni, ma soprattutto per porsi con la dovuta autorevolezza nell’indirizzare la ricerca verso i nuovi traguardi stabiliti, tamponando la radicalizzazione del protagonismo vantato dalle professionalità che operano a latere del ricercatore e che, pur essendo indispensabili, non configurano le peculiarità tecnico-scientifiche dei risultati, inducendo un arretramento della posizione dei ricercatori nella prospettiva manageriale auspicata dalla UE. Il suddetto Manuale, a tale proposito, sottolinea che “l’esperienza suggerisce che il trasferimento tecnologico che non coinvolge attivamente i ricercatori è destinato al fallimento … la valorizzazione non può essere realizzata dai ricercatori senza il supporto di personale tecnico-amministrativo di elevata professionalizzazione e senza la sistematica interazione con soggetti esterni. L’esperienza internazionale suggerisce che tra ricercatori e strutture di ateneo per la valorizzazione si viene a creare una relazione dialettica, non una subordinazione … la struttura tecnico-amministrativa non si deve porre come una sovrastruttura burocratica, ma come una struttura di servizio e facilitazione”. Negli Stati Uniti le donne sostengono tenacemente le attività di TT, impegnandosi a stimolare la correlazione tra accademia e imprenditoria. Sono attive in organizzazioni che aiutano l’upgrade nelle carriere scientifiche, l’assunzione di ruoli manageriali nelle connesse attività imprenditoriali e l’assunzione di cariche di prestigio all’interno delle aziende. Sono supportate da blog, prodotti editoriali, associazioni come Women in Bio (WIB) [17], Women Lead [18], Leading Women [19]. Le associate si intersecano in procedure di mentoring, dove ognuna può essere sponsorizzata da una donna che ha già raggiunto livelli più elevati di carriera e, a sua volta, è mentore di un’associata più giovane che guida sapientemente, trasferendole le competenze acquisite e sensibilizzandola sulle insidie fronteggiate nelle esperienze vissute. LINK 1. http://anvur-miur.cineca.it/eventi/index.php/showevento/28 2. http://www.anvur.org/attachments/article/26/M~.pdf 3. http://www.e3mproject.eu/docs/Green%20paper-p.pdf 4. http://www.e3mproject.eu/docs/Delphi-E3M-project.pdf 5. http://www.e3mproject.eu/docs/State-art-method-ranking-HE-act.pdf 6. http://www.e3mproject.eu/docs/Three-dim-third-mission-act.pdf 7. http://www.e3mproject.eu/docs/Concep-Framework-Third-Mission-Indicator.pdf 8. http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/files/support_measures/training_education/doc/oslo_agenda_final_en.pdf 9. http://ec.europa.eu/research/innovation-union/pdf/state-of-the-union/2013/research-and-innovation-as-sources-ofrenewed-growth-com-2014-339-final.pdf#view=fit&pagemode=none 10. http://ec.europa.eu/research/innovation-union/pdf/state-of-the-union/2013/state_of_the_innovation_union_ report_2013.pdf#view=fit&pagemode=none 11. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32008H0416&from=IT 12. https://www.iprhelpdesk.eu/sites/default/files/documents/EU_IPR_Guide-to-IP-H2020.pdf 13. http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/files/ius/ius-2014_en.pdf 14. http://www.apre.it/ricerca-europea/horizon-2020/rappresentanti-comitato-h2020/ 15. http://www.epo.org/about-us/annual-reports-statistics/annual-report/2014/foreword.html 16. http://www.epo.org/about-us/annual-reports-statistics/annual-report/2014.html 17. http://www.womeninbio.org/ 18. http://www.womenleadinc.com/landingpage/ 19. http://www.leadingwomen.biz/ 17 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Donne in ricerca DANIELA GRIGNOLI Dipartimento di Economia, Gestione, Società e Istituzioni, Università degli Studi del Molise I 1. LA PARITÀ NELLE SOCIETÀ EVOLUTE l “corso della storia dell’umanità” discende da una socialità tra gli esseri umani che non conosce disuguaglianze, né discriminazioni, si origina dalle società simbolo di inclusione sociale sia per l’elevata estensione dell’uguaglianza, e sia per l’organizzazione del lavoro articolata su una forma di divisione tra i sessi. Nel corso del tempo, queste forme di socialità umana sono, in un primo momento, abbandonate a favore di organizzazioni societarie fondate su un sistema di disuguaglianze e di esclusione sociale che “raggiungono il massimo con le grandi civiltà agricole” e, in seguito, recuperate, con l’affermazione di forme di convivenza sociale più evolute (Saporiti, 2004). Quest’ultime società che si propongono come fine ultimo quello di conseguire l’uguaglianza tra le donne e gli uomini, nonché le pari opportunità nella loro complessità1 anche attraverso la promozione dei programmi di sviluppo del genere umano non sempre conseguono nella pratica i risultati attesi. A tal proposito, Amartya Sen sottolinea come il mondo contemporaneo con il suo processo evolutivo, nonostante promuova una grande quantità di programmi di sviluppo e “viva un aumento senza precedenti dell’opulenza globale, di contro nega libertà elementari a un numero immenso di esseri umani” (2000). In particolare, questa sua posizione è corroborata dalle evidenze empiriche esistenti, in forme societarie sviluppate riguardo all’esclusione o alla limitazione politica, civile e sociale che vivono alcuni attori sociali o intere categorie, tra le quali le donne. In particolare, le società più sono evolute e più avvertono 1 Questo è almeno il disegno del “Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite”. 18 la spinta ad implementare le pratiche per il processo di inclusione civile, politico e sociale di tutti gli individui; processo che resta, ancora oggi, conflittuale, difficoltoso e lungo2, nella fattispecie, per le donne che ancora non godono delle condizioni di parità con l’uomo in tutti i campi3. 2 Tra gli strumenti giuridici a disposizione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in particolare nei confronti della donna si ricorda la Convenzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1979 entrata in vigore nel 1981. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “discriminazione nei confronti della donna” concerne ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo, di compromettere o distruggere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, da parte delle donne, quale che sia il loro stato matrimoniale, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo, su base di parità tra l’uomo e la donna. 3 Dichiarazione dei governi partecipanti alla IV Conferenza sulle donne, Pechino, 4-15 settembre 1995; adottata da quasi 149 governi e approvata con riserva da 40 paesi a maggioranza cattolica o islamica. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA 2. QUANDO CAMBIA LA VITA DELLE DONNE IN ITALIA In Italia, il problema della disuguaglianza fra i sessi è diventato oggetto di dibattito pubblico solo dopo che le donne sono diventate cittadine a pieno titolo, ossia solo dopo la caduta del regime autoritario. Inoltre, i diritti civili delle donne sono stati per lungo tempo “sospesi”. Infatti, prima degli anni settanta, si assumeva che le donne, con il loro ruolo esclusivamente domestico, avessero lo stesso status del marito o del padre. Dal 1970 in poi, la vita delle donne cambia profondamente, anche grazie alle leggi sul divorzio (1970), sulla riforma del diritto di famiglia (1975), sull’istituzione dei consultori familiari (1976), sulla parità di trattamento tra uomini e donne (1977) e sull’aborto (1978). Il processo formale del diritto di eguaglianza è continuo fino ad arrivare alla Legge dell’8 marzo 2000, in cui appare manifesta la scelta politica legislativa tendente a favorire concretamente l’eguaglianza nella condivisione dei compiti e delle responsabilità tra i coniugi nella cura dei figli e nella gestione degli impegni familiari (Grignoli, Mancini 2006). In tal modo, si riconosce l’importanza del ruolo sociale della maternità, si acquisisce la consapevolezza di non poter discriminare la donna per il suo ruolo di genitrice e si richiede una suddivisione di responsabilità tra uomini e donne che deve condurre ad una reale parità tra uomo e donna all’interno della società, così da sopprimere ogni manifestazione di discriminazione4. Di qui, la storia recente della società italiana appare più dinamica e complessa e la tutela, nonché la promozione formale dei nuovi diritti politici, civili e sociali conduce all’inclusione sostanziale delle donne in tutte le sfere della vita. In particolare, queste donne dispongono di “pari opportunità” politiche, civili e sociali anche e, soprattutto, grazie al quadro normativo che ha profondamente mutato il corso della loro vita (a livello nazionale, la Costituzione italiana riconosce l’eguaglianza tra uomini e donne - art. 3 della costituzione -, e tale parità viene riconosciuta anche a livello salariale - art. 37 - e di accesso a tutte le carriere - art. 51; a livello internazionale, la carta delle Nazioni Unite già nel suo preambolo riconosce l’eguaglianza dei sessi come diritto fondamentale). Inoltre, è anche da ricordare la strategia (2010-2015) a livello europeo per la parità tra donne e uomini. “Questa strategia deve contribuire a migliorare la posizione delle donne nel mercato del lavoro, nella società e nelle posizioni decisionali, tanto nell’Unione europea quanto nel resto del mondo”5. 4 Cfr. la “Dichiarazione sull’eliminazione della discriminazione nei confronti della donna”. 5 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 21 settembre 2010, Strategia per la parità tra donne e uomini 20102015 [COM(2010) 491 def. - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale]. Nel corso dell’ultimo decennio, anche se il tasso di occupazione delle donne è aumentato in maniera significativa questo deve continuare ad aumentare per conseguire l’obiettivo fissato dalla Strategia Europea 2020 (tasso di occupazione femminile del 75%). Inoltre, è necessario continuare a migliorare la qualità dei posti di lavoro e delle politiche di conciliazione della vita privata e di quella professionale, nonché sostenere la “parità nel processo decisionale” attraverso anche un monitoraggio dei progressi conseguiti, in particolare nel settore della ricerca. Per questo motivo, la Commissione Europea ha avviato una strategia per promuovere la ricerca scientifica delle donne (“Gruppo di Helsinki donne e scienza”, 1999) attraverso il conseguimento di specifici obiettivi, quali l’aumento del numero di donne impegnante nel mondo della scienza, la riduzione della segregazione sia orizzontale (concentrazione di donne in alcuni settori o discipline) che verticale (tendenza delle donne ad occupare le posizioni più basse nella gerarchia); l’eliminazione delle differenze salariali e la garanzia di giustizia e di equità. Nonostante questi programmi e i successi nei percorsi di alta formazione, ancora oggi, la situazione delle donne nel lavoro di ricerca è analoga alla condizione della donna in generale. Cosicché la donna “in ricerca”, quando non rinuncia del tutto al suo lavoro scientifico, solitamente si ferma ai gradini più bassi dei percorsi di carriera. Questo dato è sicuramente poco confortante per il soggetto interessato che si sente depotenziato, per la famiglia che ha investito senza cosiddetto tasso di ritorno e per la società che non vede restituirsi quanto potrebbe sia in termini economici che da un punto di vista della qualità della ricerca. La Commissione Europea per la Scienza e la Ricerca elabora una relazione dal titolo She figures6 e i dati elaborati e presentati nella Relazione del 2006 rilevano che nell’Unione Europea solo il 29% dei ricercatori sono donne; e solo 15% delle donne consegue le posizioni apicali nelle carriere accademiche; questa asimettria di genere è ancora più evidente nel settore dell’ingegneria. Questa tendenza negativa è confermata da un modello per l’avanzamento di carriera delle donne basato sulla cosiddetta segregazione verticale, ossia nelle posizioni più basse dell’organigramma accademico si rileva una buona presenza femminile, nelle posizioni più alte tale presenza si impoverisce. Infatti, le donne sono il 44% dei ricercatori e solo il 18% dei professori ordinari. Tuttavia un forte segnale positivo, nel periodo tra il 2002 e il 2006, è dato dall’aumento del tasso delle donne ricercatrici che cresce a un ritmo più sostenuto rispetto a quello dei colleghi maschi. Infatti, per le donne si rileva un aumento percentuale pari a a del 6,3, mentre per gli uomini l’aumento percentuale è 3,7%. 6 Commissione Europea, Rapporto She Figures 2009, Statistics and Indicators on Gender Equality in Science. 19 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Questo permette di asserire che le donne stanno cercando di diventare cittadine con un potere di azione politico, civile e sociale capace di sintetizzare nuove partecipazioni per il progresso integrato della società, dopo aver vissuto in prima persona, direttamente o subendolo, tutto il processo di ri-costruzione sociale del femminile e del maschile, che ha prodotto profondi mutamenti nelle nuove forme di socialità tra i due sessi, mettendone in discussione il vecchio modello della rigida divisione dei ruoli. In sintesi, l’integrazione delle donne alla vita politica, civile e sociale ha una valenza positiva per la società in quanto riduce la disuguaglianza sociale subìta dalle donne; si costituisce come una delle variabili generali del mutamento del sistema politico, civile e sociale ed è necessaria allo sviluppo globale di un Paese. 3. LA SOCIETÀ DEL GENERE UMANO FONDATA SUL LAVORO La prospettiva delineata avvicina i ruoli femminili e maschili e, nella fattispecie, i maschi e le donne in quanto uguali come essere umani dovrebbero liberarsi dal determinismo maschi-femmine ed individuare e vivere un differente modello societario, ossia la società del genere umano. Questa concezione della società permette di superare la questione del considerarsi, e, ancor di più, dell’affermarsi maschi o femmine, favorisce l’integrazione dei generi, e apre alla molteplicità di esperienze che nel vivere concreto è possibile conoscere e che di fatto stabiliscono legami e relazioni lungo altre dimensioni. In questo modello di società, i maschi non devono essere più il punto di partenza, il principale soggetto attivo nella storia, ma un individuo tra gli altri che può condurci ad interrogarci su cosa significhi oggi essere un cittadino libero in una società sviluppata. Partendo da questo interrogativo una prospettiva utile è data dal ragionare sulla relazione tra la donna e il sistema della ricerca scientifica e sulle sue trasformazioni. La conquista delle posizioni femminili nella sfera pubblica e della ricerca scientifica contribuisce a estendere il processo di inclusione sociale femminile tout court, consolidando quel percorso di empowerment che permette a tutte le donne di accedere alle varie libertà sostanziali7. 7 Per ulteriori approfondimenti si veda John Stuart Mill, Saggio sulla libertà, (1859), trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1981; La soggezione delle donne, (1869), trad. it. Era Nuova, Ellera Umbra (PG), 1998. 20 BIBLIOGRAFIA Boserup E. (1981), Il lavoro delle donne: la divisione sessuale del lavoro nello sviluppo economico, Einaudi, Torino Cherubini A. M., Colella P., Mangia C., (a cura di), Empowerment e orientamento di genere nella scienza. Dalla teoria alle buone pratiche, Franco Angeli, Milano, 2011 D’Ambrosio M. L., Mallen M., Effetto D., Se la leadership è al femminile. Storie speciali di donne normali, Franco Angeli Editore, Milano, 2011 Eurostat, She Figures, Gender in Research and Innovation, Directorate-General for Research and Innovation Directorate B — European Research, Area Unit B.6 — Ethics and Gender, Bruxelles, 2012 Grignoli D., Mancini A. (2006), Per la creazione di un sistema di indicatori per lo sviluppo locale. La partecipazione sociale femminile, in Battisti (a cura di) Battisti F.M. (a cura di) (2006), Identità e sviluppo locale, Lulu Press, New York. Grignoli D. (2007), Percorsi di inclusione femminile per lo sviluppo locale. Un case study in Molise, in (a cura di) Federici M.C. e E. Minardi, Quadro e cornice, Franco Angeli, Milano Grignoli D. (2007), La società e il suo “genere”, in (a cura di) Grignoli D. e A. Mancini, Percorsi di sviluppo nelle società locali, Soveria Mannelli, Rubbettino Grignoli D (2013), Donne. Nuove misure dello sviluppo, in (a cura di) Novi Chavarria E. e I. Zilli, Culture di genere in unimol, Pubblicazione dell’Università dell’Università degli Studi del Molise, Campobasso ISTAT, L’inserimento professionale dei dottori di ricerca, Anno 2014 Ruspini E., Identità di genere, Carocci, Roma, 2009 Saporiti (2004), Macrosociologia, Soveria Mannelli, Rubbettino, Sen A. (1992), Risorse valori e sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino Sen A. (2000), Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano Zajczyk F., Borlini B., Crosta F., La sfida delle giovani donne. I numeri di un percorso ad ostacoli, Franco Angeli Editore, Milano, 2011 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA La presenza delle donne nel settore europeo della ricerca scientifica e tecnologica ROSA MARIA FANELLI, ANGELA DI NOCERA Dipartimento di Economia, Gestione, Società e Istituzioni dell’Università degli Studi del Molise N 1. INTRODUZIONE ei settori della ricerca scientifica e tecnologica, come è noto, la presenza femminile è meno rilevante rispetto agli altri settori economici e sociali. Tale carenza comporta un sottoutilizzo di molti talenti e di conseguenza un minor arricchimento quantitativo e qualitativo della ricerca scientifica in Europa. Una presa di coscienza di tale mancanza si è avuta durante i lavori della Conferenza: “Donne e Scienza”, organizzata congiuntamente dalla Commissione e dal Parlamento Europeo, che si è tenuta a Bruxelles il 28 e 29 aprile del 1998. In tale occasione scienziati e politici, oltre a mettere in luce l’esigenza di intensificare gli sforzi al fine di aumentare la presenza femminile nella ricerca europea, si sono prefissati di raggiungere due obiettivi fondamentali: • stimolare il dibattito e lo scambio di esperienze tra gli Stati Membri su tale questione, per ottimizzare l’efficacia degli sforzi intrapresi a tutti i livelli di governo; • sviluppare un approccio coerente inteso a promuovere le donne nelle attività di ricerca finanziate dall’Unione europea, suscettibile di aumentare in modo significativo la partecipazione delle donne per tutta la durata del Quinto programma comunitario di ricerca. In tale ottica, la Commissione prevede una partecipazione delle donne nella misura del 40% alle borse “Marie Curie”, alle assemblee consultive e ai Comitati di valutazione. Allo stato attuale però nel settore Ricerca e Sviluppo (R&S) le donne rappresentano appena il 35% degli occupati e le ricercatrici un terzo del totale (Fig. 1). Nell’ambito dei Paesi europei solo la Lituania e la Lettonia, dove un ricercatore su due è di sesso femminile, sembrano aver raggiunto, in termini quantitativi, una buona condizione di pari opportunità. Per converso, negli altri Paesi europei la distanza di gene- re nel campo della scienza è ancora rilevante e difficilmente potrà essere colmata nel breve periodo. Nel mondo della scienza, come del resto negli altri settori di attività, il soffitto di cristallo, che frena l’ascesa delle donne, verso posizioni apicali e di leadership è ancora ben ancorato. Uno sguardo ai percorsi accademici ne rappresenta una testimonianza. Nelle Università, infatti, tra i professori di prima fascia, le donne, anche se in aumento, costituiscono una percentuale che oscilla, da Paese a Paese, tra il 10 e il 30%. I picchi si hanno in corrispondenza dei settori delle scienze umanistiche e sociali. Oltre che nei percorsi accademici, la presenza femminile è alquanto limitata anche nei Comitati Scientifici e negli Organi che dirigono le Istituzioni Universitarie. Anche qui esistono rilevanti differenze tra i Paesi dell’Unione Europea. In Svezia ad esempio circa la metà dei componenti dei Consigli di Amministrazione delle Università è donna, in Italia la stessa percentuale scende al 17%. Tale percentuale 21 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Fig. 1 – Incidenza percentuale delle donne sul totale dei ricercatori nei paesi europei. Fonte: Elaborazione su dati Eurostat, 2009 Figura 2 – Presenza delle donne in comitati scientifici Fonte: Commissione Europea, 2012 colloca l’Italia agli ultimi posti nella graduatoria dei Paesi Europei seguita solo dalla Repubblica Ceca, dalla Slovacchia e dal Lussemburgo (Fig. 2). Anche la distribuzione di risorse finanziarie, previste dai Programmi Quadro di Ricerca europei, a sostegno di progetti coordinati e/o che vedono un coinvolgimento attivo delle donne mette in luce alcune differenze di genere. La quota di fondi da distribuire per tale finalità, infatti, è lontano dall’obiettivo del 40% fissato dalla Commissione Europea. In ambito europeo si riscontrano poi delle differenze in merito ai comportamenti e agli strumenti adottati dai diversi 22 Stati Membri per raggiungere gli obiettivi di cui sopra. Nei Paesi nordici, come ad esempio in Germania, nel periodo 1996-2000, sono stati destinati 720 milioni di marchi tedeschi (pari a 368 milioni di EURO) a borse che consentono alle donne di acquisire le qualifiche necessarie per poter ottenere cattedre di insegnamento. In Danimarca, il programma FREJA (Femala Researchers in Joint Action) dispone di un bilancio di 78 milioni di corone danesi (10,5 milioni di EURO) su quattro anni per finanziare i progetti di ricerca condotti da giovani donne dotate di qualifiche molto elevate. In Svezia si sono create 32 cattedre universitarie, 73 posti di assistenti di ricerca e 120 borse di post-dottorato da poter attribuire ad esponenti del sesso femminile, mentre in Finlandia sono state decise quote (pari al 40%) per la composizione di tutti i Comitati e Assemblee equivalenti, compresi i quattro Consigli Na- zionali della Ricerca. Nei Paesi Bassi, poi, il governo ha nominato agenti incaricati di attuare la parità delle opportunità nelle università, mentre nelle scuole secondarie è stata condotta una campagna di sensibilizzazione per incoraggiare le giovani donne ad optare per gli indirizzi scientifici. In Italia, il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica ha creato un «Gruppo di lavoro su culture delle differenze e studi delle donne nella Istituzione universitaria». In Francia, Irlanda e Lussemburgo sono state adottate differenti misure a livello di percorsi educativi, per incoraggia- SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA re le giovani donne ad intraprendere la carriera scientifica. Il Regno Unito ha creato un’unità di sviluppo in seno al Dipartimento dell’Industria e Commercio, che lavora in cooperazione con il Ministero dell’Istruzione ed il Consiglio della ricerca. In Germania, nell’ambito del Ministero Federale dell’Istruzione è stata creata un’unità intitolata «Le donne nei settori dell’istruzione e della ricerca». In Italia, al Consiglio Nazionale delle Ricercche (CNR) è stata creata nel 1998 una Commissione «pari opportunità». Nella maggior parte degli Stati membri si osserva una crescita dell’importanza degli studi e delle ricerche di genere (“gender research”). In base all’approccio utilizzato dal Quinto Programma Quadro (1998-2002) la promozione della ricerca deve avvenire su tre livelli: da parte delle donne, per e sulle donne. Nel primo caso si devono promuovere le donne in quanto ricercatrici, nel secondo caso si deve effettuare un maggior controllo nella fase di elaborazione dei progetti di ricerca e della dimensione di genere in tutti i settori coinvolti nella ricerca e, infine nel terzo caso deve essere considerato il contributo e il ruolo delle donne nella ricerca. 2. DONNA E RICERCA SCIENTIFICA IN EUROPA L’Unione Europea, con il nuovo programma Horizon 2020, individua nel superamento delle diseguaglianze di genere una questione strategica per la crescita economica e per il miglioramento della competitività del sistema europeo. Le attività di ricerca e l’accesso alle tecnologie dell’informazione devono costituire, quindi, irrinunciabili motori per lo sviluppo europeo. A tal fine bisogna eliminare le asimmetrie che ancora limitano la presenza femminile nel settore della ricerca scientifica e tecnologica. Tali asimmetrie possono essere ascritte sostanzialmente sia a problemi di segregazione orizzontale rispetto alle scelte formative e ai settori di impiego che di segregazione verticale: quali gender pay-gap e conciliazione vita-lavoro. A partire dal secolo scorso, nella maggior parte dei paesi industrializzati e, quindi, anche in Italia si è assistito ad una crescita della scolarizzazione femminile. Nelle attuali generazioni, infatti, le donne hanno tassi di accesso all’Università e di laurea superiori a quelli degli uomini (Triventi, 2010). Alcuni studi internazionali hanno però messo in luce che la parità nell’accesso all’istruzione universitaria non ha generato una riduzione delle disuguaglianze di genere in altri aspetti della carriera universitaria e occupazionale (Jacobs, 1995; Charles e Bradley 2002; Gerber e Shaefer, 2004). Anche se le ragazze si iscrivono all’Università in misura maggiore rispetto ai ragazzi, di solito le stesse frequentano i settori di studio meno remunerativi con una più bassa probabilità di proseguire la carriera accademica. Inoltre a parità di tasso di istruzione se le donne riescono ad entrare nel mercato del lavoro, rispetto ai loro colleghi uomini, ricevano in media uno stipendio inferiore e hanno progressioni di carriera più lente (Cobalti e Schizzerotto 1994; Reyneri, 2005; Gerber e Cheung, 2008). A questo punto sorge una domanda spontanea: Come si può liberare il capitale umano femminile? Forse promuovendo l’accesso delle donne nell’ambito della ricerca scientifica e tecnologica? Per rispondere a tale domanda bisogna analizzare la presenza femminile nelle scienze sotto tre principali punti di vista: economico, di pari opportunità e della diversità. Nella prospettiva economica l’assenza della donna può essere interpretata come uno spreco di metà dei talenti a disposizione, in quella delle pari opportunità come una mancanza di uguaglianza nella possibilità di accesso, mentre per l’ultima le donne sarebbero portatrici di diversità da valorizzare e il loro ingresso nella ricerca scientifica potrebbe apportare dei cambiamenti significativi (Jasanoff, Markle; 1995). La mancanza di un riconoscimento della dimensione di genere nella scienza e la sua influenza sui contenuti e sui metodi genera un forte e crescente impatto negativo nella qualità della ricerca, nelle politiche della ricerca e nell’utilizzo dei risultati scientifici in termini economici e sociali (Prages, 2009). L’interesse dell’Unione Europea intorno al tema del ruolo della donna in questo settore è cresciuto notevolmente fin dal 1999, quando la Commissione pubblicò una Comunicazione dal titolo “Donne e scienza - Mobilitare le donne per arricchire la ricerca europea”, rivolta a promuovere la parità di genere e, per cominciare, favorire una maggior partecipazione delle ricercatrici al Quinto Programma Quadro. Ogni Direzione Generale (DG) della Commissione ha promosso iniziative per favorire la parità di genere nei settori di competenza; in questa ottica la DG Ricerca ha posto un grande impegno nel monitorare attentamente la presenza femminile nei progetti finanziati dai Programmi Quadro. Il Parlamento Europeo, d’altro canto, in una Risoluzione adottata il 21 maggio 2008 ha proposto altre misure che possano valorizzare il ruolo della donna: • nuovi criteri di formazione delle commissioni di valutazione che impongano una composizione equilibrata sotto il profilo della rappresentanza di genere; • introduzione di criteri di valutazione dei progetti di ricerca che tengano in particolare considerazione la presenza femminile nelle unità proponenti; • criteri di valutazione del personale e dell’attività di ricerca che superino quelli basati sul numero delle pubblicazioni, considerando altre capacità, quali quella di costituire equipe di ricerca e formare giovani di talento; • risorse finanziarie destinate specificamente al sostegno di progetti proposti da donne che tipicamente accedono con maggior difficoltà ai finanziamenti per la ricerca; • misure volte a incoraggiare le donne a seguire percorsi di studio ad indirizzo scientifico-tecnologico. Si ritiene fondamentale, infine, favorire un cambiamento culturale rimuovendo gli stereotipi che influenzano la percezione della scienza, che si formano nei bambini fin dai loro primi anni di scuola, e coltivando l’interesse per la conoscenza e la tecnologia soprattutto nelle ragazze. Tutto questo difficilmente avverrà in assenza di azioni positive volte ad incoraggiare le donne ad intraprendere un percorso di studio e lavoro nel mondo della scienza, proponendo 23 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO modelli di ruolo, favorendo la formazione di reti di studiose, implementando strategie efficaci per incentivare studentesse e ricercatrici a candidarsi per borse di studio e incarichi scientifici o per favorire il reinserimento professionale dopo interruzioni di carriera (Commissione Europea, Direzione Generale Ricerca, 2001). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Agodi C., Paciello L., (2007): Da “donne e scienza” a “donne, discriminazione, precarietà”: fenomenologia, strumenti e pratiche di genere. Contributo presentato in occasione del Convegno “L’isola che non c’è. Pratiche di genere nella pubblica amministrazione tra carriere, conciliazione e nuove precarietà”, Trento, 25-26 ottobre 2007. Charles M., Bradley K., (2002): “Equal but Separate? A Cross-National Study of Sex Segregation in Higher Education”, American Sociological Review, 67, pp. 573-599. Cobalti A., Schizzerotto A., (1994): “La mobilità sociale in Italia”, Il Mulino, Bologna. Commissione Europea, 1999, Comunicazione della Commissione al Parlamento, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale al Comitato delle Regioni, Donne e scienza. Mobilitare le donne per arricchire la ricerca europea, COM(1999), 76 def. 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Osborn M., Rees T., Bosh M., Ebeling H., Hemann C., Hilden J., Mc Laren A., Palomba R., Peltonen L., Vela C., Weis D., Wold A., Mason J., Wenneras C., Politiche Scientifiche nell’Unione Europea. (2009): Promuovere l’eccellenza attraverso l’uguaglianza di genere. Una relazione del gruppo ETAN su donne e scienza. Parlamento Europeo. Risoluzione del Parlamento Europeo del 21 maggio 2008 su donne e scienza. 2009/C 279 E/08 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri= OJ:C:2009:279E:0040:0044:IT:PDF Progetto Prages, (2009):”Guidelines of Gender Equality in Science Reyneri E., (2005): “Sociologia del mercato del lavoro I. Il mercato del lavoro tra famiglia e welfare”, il Mulino, Bologna. Triventi M., (2010): “Something Changes, Something not. The relation between Gender and Field of Study in Italy”, Italian Journal of Sociology of Education, Vol. 5 n° 2, pp. 47-80. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Marie Curie, Hertha Ayrton e le altre. Donne e scienziate STEFANO OSSICINI Dipartimento di Scienze e Metodi dell’Ingegneria e Centro Interdipartimentale En&Tech, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia È il 7 novembre 1911, le agenzie di stam- Institution di Londra. Prima donna a ottenere il premio Nopa di tutto il mondo rilanciano l’annuncio bel, nel 1903. Prima donna docente alla Sorbona nel 1906. dell’Accademia delle Scienze di Svezia: Prima donna a essere accolta nell’ Accademia Francese di Marie Sklodowska-Curie (1867-1934) è stata insignita del suo secondo premio Nobel, questa volta per la chimica. Premio Nobel che segue quello del 1903, per la fisica, ottenuto assieme al marito Pierre Curie (1859-1906) e a Henri Becquerel (1852-1908). Marie è la/il prima/o scienziata/o a ricevere un secondo premio Nobel. A tutt’oggi è l’unica/o ricercatrice/ore ad aver ottenuto due premi Nobel in due discipline scientifiche diverse, fisica e chimica. Gli altri pluripremiati sono lo statunitense John Bardeen (1908-1991) due volte premio Nobel per la fisica, nel 1956 per la scoperta del transistor e nel 1973 per la spiegazione della superconduttività; l’inglese Frederick Sanger (1918-2013) due volte premio Nobel per la chimica, nel 1958 per lo studio della struttura dell’insulina, e, nel 1980 per i suoi studi sul DNA e lo RNA; infine Linus Pauling (1901-1994), premio Nobel per la chimica nel 1954 per le sue ricerche sul legame chimico e premio Nobel per la pace, nel 1962, per la sua battaglia contro la proliferazione delle armi nucleari. Marie Curie è abituata ad arrivare per prima [1]. Prima alla laurea in fisica alla Sorbona di Parigi nel 1893, prima al concorso per l’insegnamento della fisica nel 1896, prima donna a ottenere il dottorato in fisica in Francia nel 1903. Della commissione per la sua tesi di dottorato facevano parte due futuri premi Nobel, Gabriel Lippmann Marie Curie (1845-1921), premio per la fisica 1908 per lo sviluppo della fotografia a colori, e Henri Moissan (1852-1907), pre- Medicina nel 1922. E dopo la morte, prima donna sepolta, mio per la chimica nel 1906 per aver isolato il fluoro e per per i suoi meriti scientifici, nel Panthéon a Parigi, nel 1995. l’invenzione del forno a arco elettrico. La commissione concluse i suoi lavori giudicando le scoperte presentate come Risultati non da poco, basti pensare che ad oggi sono solo il più grande contributo scientifico mai fatto in una tesi di 47 (di cui 18 a partire dal 2000, e ben 5 nel solo 2009) le dottorato. Prima donna a essere ricevuta, nel 1903, alla Royal donne che hanno ricevuto il premio Nobel, a fronte di circa 25 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO 800 uomini. In fisica le donne premiate, in oltre un secolo, sono solo 2 (su un totale di 199 laureati): Marie Curie e la tedesca Marie Goeppert-Mayer (1906-1972), nel 1963, per gli studi sulla struttura del nucleo atomico. In chimica 4 (su 169 laureati): di nuovo Marie Curie, sua figlia Irène JoliotCurie (1897-1956), nel 1935, per la scoperta della radioattività artificiale, Dorothy Crowfoot-Hodgkin (1910-1994), nel 1964, per la determinazione attraverso i raggi x della struttura delle biomolecole, Ada Yonath (1939-...), nel 2009, per gli studi sulla struttura e la funzione dei ribosomi. In medicina in tutto 11 (su 207 laureati) , fra cui Rita Levi-Montalcini (1909-2012), nel 1986, per la scoperta dei fattori di crescita. Una sola per l’economia (su 75 laureati), Elinor Ostrom, nel 2009, per gli studi sulla “governance”. 13 per la letteratura (su 111 laureati), compresa Grazia Deledda (1871-1936), nel 1926, e 16 (su 127 laureati) per la pace. Oltretutto, questa volta, il premio Nobel del 1911 è solo e tutto suo, di Marie. Nel 1903 il premio ottenuto per la fisica era stato condiviso con il marito Pierre Curie e con Henri Becquerel, per la scoperta e le ricerche sulla radioattività. E molti, sia in Francia, che all’estero, l’avevano considerata come una mera appendice del marito, un’assistente e nulla di più. In una lettera del 1903, indirizzata a Stoccolma e firmata da diversi membri dell’Accademia delle scienze di Francia, solo Henri Becquerel e Pierre Curie erano stati proposti per il Nobel di quell’anno. Fu Gösta Mittag-Leffler (1846-1927), famoso matematico e membro dell’Accademia reale svedese, che considerava profondamente ingiusta quella scelta, ad avvertire Pierre Curie che il nome di Marie non era stato menzionato per il premio. Nell’agosto 1903 Pierre rispose evidenziando in dettaglio il contributo di Marie e proponendo un riconoscimento contemporaneo. Mittag-Leffler approfittò del fatto che Marie era stata proposta da altri l’anno prima e così si arrivò al riconoscimento anche per lei [2]. Eppure riguardo al ruolo dei due Curie, la storia era andata esattamente all’opposto. Henri Becquerel, nel marzo 1896, aveva osservato l’emissione di radiazione ionizzante da parte di certi sali di uranio. Raggiunto all’inizio del 1896 dalla notizia della scoperta dei raggi x da parte del tedesco Wilhelm Röntgen (1845-1923), futuro primo premio Nobel per la fisica nel 1901, Becquerel si mise ad indagare se i materiali fosforescenti, materiali che, esposti per qualche tempo ad una sorgente luminosa, emettono una debole luce dopo che la sorgente è stata eliminata, fossero in grado di produrre oltre alla luce anche raggi x [3]. Prese allora una scheggia di sol26 fato di uranio e potassio, fosforescente una volta esposta alla luce solare, e la pose su di una lastra fotografica avvolta in strati di carta nera. Sviluppata, la lastra mostrò la forma della scheggia fosforescente. Un effetto paragonabile a quello dei raggi x. Ma ecco che, il 26 febbraio 1896, il caso intervenne. Becquerel preparò il sale di uranio e la lastra fotografica, ma il tempo era incerto e lasciò il tutto in un cassetto. Il sole non si fece vedere per alcuni giorni, ed il 1 marzo Becquerel sviluppò lo stesso la lastra fotografica sicuro di trovare al più una debole traccia della scheggia. Con sorpresa, invece, la forma della scheggia era particolarmente intensa. Era la scoperta della radioattività. Ed era stata proprio Marie a scegliere, nel 1897, come tema della sua tesi di dottorato la scoperta di Becquerel. Era stata lei a intuire l’esistenza di altri materiali radioattivi, diversi dall’uranio, intuizione che portò alla scoperta del polonio e del radio. Era stata lei a scegliere il nome di radioattività per questi fenomeni. Pierre era intervenuto solo successivamente, quando si era reso necessario utilizzare un metodo fine, quantitativo, per la misura dell’intensità della radioattività [4]. La scelta era caduta sugli strumenti basati sull’effetto piezoelettrico (quell’effetto per cui alcuni cristalli sono in grado di generare una differenza di potenziale elettrico quando sono soggetti ad una deformazione meccanica), effetto e strumenti scoperti e costruiti, a partire dal 1880, da Pierre a da suo fratello Jacques Curie (1856-1941) [5,6]. Per cui il premio Nobel ad entrambi i coniugi Curie fu una decisione sacrosanta [7-10]. Anche se molti continuavano a vedere in Pierre il vero artefice e in Marie un semplice aiuto. Ancora nel 1909, Hertha Ayrton, una fisica inglese di cui parleremo più a lungo nel seguito, stanca di leggere continuamente sui giornali inglesi il solo nome di Pierre quale scopritore del radio, mandò una lettera alla Westminster Gazette: “Si sa che è molto difficile eliminare gli errori, ma sembra che l’errore che attribuisce ad un uomo i meriti di una donna abbia più vite di un gatto”. Nel 1906 Pierre era morto, investito da una carrozza trainata da cavalli. Marie aveva preso il suo posto di professore alla Sorbona ed era riuscita a isolare per la prima volta, nel 1910, il radio nella sua forma pura, metallica. Un’impresa ragguardevole, che accanto alla precisa determinazione del numero atomico del radio stesso, allo studio dei suoi composti, alla scoperta del polonio, al lavoro per la scelta e la determinazione di un’unità di misura per la radioattività (su proposta di Marie, nel 1909, a tale unità fu dato il nome di curie, in onore di Pierre) [11] le era valso questo secondo SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA premio, ora privo di ombre. Ma neanche questa volta Marie poté godersi il riconoscimento senza angustie. Dopo la morte di Pierre, Marie aveva passato un periodo terribile di depressione [12]. Tornata a vivere nella casa natale di Pierre a Sceaux, alle porte di Parigi, le erano state di grande conforto e aiuto per il ritorno al lavoro e alla normalità la vicinanza e il sostegno del suocero Eugéne Cuire (1827-1910), medico, che era stato sulle barricate durante la rivoluzione del 1848 e che assieme ai figli adolescenti aveva trasformato la sua casa in un’infermeria nelle tragiche giornate della Comune di Parigi del maggio 1871. Nonno Eugéne divenne, anche, una figura fondamentale per la prima figlia di Marie, Irène [13]. In quegli anni Marie, Mé per le figlie, mise in piedi un interessante esperimento di educazione alternativa organizzando una scuola per le sue figlie e i figli e le figlie dei suoi amici [14]. I Perrin: Jean Baptiste Perrin (1870-1942) professore alla Sorbona, futuro premio Nobel per la fisica nel 1926 per i suoi studi sulla struttura atomica della materia, e sua moglie Henriette Duportal (1869-1938), nota scrittrice e, assieme alle sue sorelle, una delle prime donne in Francia a raggiungere la laurea. I Langevin: Paul Langevin (1872-1946) professore di fisica al Collegio di Francia, allievo di Pierre e suo successore al Collegio, un’autorità nel campo delle proprietà magnetiche della materia, e sua moglie Emma Jeanne Desfosses (18741970) . Henri Mouton (1869-1935) chimico-fisico e biologo dell’Istituto Pasteur, scopritore insieme a Cotton dell’effetto Cotton-Mouton sulla doppia rifrazione della luce in un liquido in presenza di un campo magnetico trasverso. Gli Chavannes, famiglia protestante: Edouard Chavannes (1865-1918), considerato il più grande sinologo del suo tempo e sua moglie Alice Dor (1866-1927), poetessa. Il celebre scultore Jean Magrou (1869-1945) e sua moglie Jeanne Rixens, nipote del pittore André Rixens (1846-1925). E infine gli Hadamard, famiglia di origine ebraica: Jacques Salomon Hadamard (1865-1963), presidente della Società Matematica di Francia, uno dei grandi matematici del secolo scorso, forte sostenitore della causa sionista, e sua moglie Louise-Anna Trénel (1858-1960), figlia del Direttore della Scuola rabbinica di Francia. In questa scuola, denominata la Società degli Scienziati per l’Insegnamento Sperimentale, Marie insegnava fisica, Jean Perrin chimica, Paul Langevin matematica, Henri Mouton scienze, Henriette Duportal storia e francese, Alice Dior inglese, tedesco e geografia e Jean Magrou disegno e belle arti. Molto peso veniva dato alle attività pratiche, di laboratorio, alle attività artistiche e a quelle sportive, e soprattutto all’eguaglianza fra maschi e femmine. Come ricorderà anni dopo Irène Curie, probabilmente lei è stata la prima cittadina in Francia a mettere gli sci ai piedi. Un’altra allieva di quella scuola, l’adolescente, era nata nel 1894, Isabelle Chavannes, futura ingegnere chimico industriale, di cui rimangono gli appunti, scoperti pochi anni or sono, relativi proprio alle lezioni, in quella scuola, di Marie Curie [14], ricorda che una volta Marie pose loro il seguente quesito “Come fareste per mantener caldo il liquido contenuto in questo recipiente?”. Fra gli studenti Francis Perrin (1901-1992) futuro fisico, Jean Langevin (1899-1990), anche lui diventerà un fisico, Pierre (1894-1916) e Etienne (18991916) Hadamard, entrambi moriranno in guerra a Verdun, Irène Curie, le star della scuola, propongono soluzioni ingegnose: circondare il recipiente di lana, isolarlo con metodi raffinati, etc.., Marie sorride e dice: “Ebbene, io comincerei col mettere un coperchio”. Questa serenità non dura però molto. A fine 1910 Marie viene candidata all’Accademia delle scienze di Francia, l’Accademia dei cosiddetti Immortali, in sostituzione del chimico-fisico Dèsiré Gernez (1834-1910), deceduto. E’ vero, sarebbe la prima donna a far parte dell’Accademia, ma è già premio Nobel e professoressa alla Sorbona. Non sembrano esserci ostacoli. Ma il 16 Novembre 1910 la notizia della sua candidatura diventa pubblica con un articolo del quotidiano Le Figaro. E subito si scatena una campagna di stampa diffamatoria. Molti amici della cerchia di Marie erano noti per le loro posizioni progressiste e cosmopolite. Ad esempio Emile Borel (1871-1956), figlio di un pastore protestante, matematico, specialista di teoria delle funzioni, membro dell’Accademia delle scienze e sua moglie Marguerite Appel (1883-1969), scrittrice nota sotto lo pseudonimo di Camille Marbo, e figlia di Paul Appel (1855-1930) matematico e preside della Facoltà di scienze della Sorbona. In vecchiaia Marguerite pubblicò il libro di memorie “Á travers deux siécles: souvenirs et rencontres”, una miniera di informazioni sugli anni difficili della Curie [15]. Assieme i due Borel avevano fondato il periodico mensile “Revue du mois”, che si occupava di letteratura, arte, teatro, scienza e politica. Era su quella rivista che era apparso il necrologio scritto da Marie per Pierre [12]. Fra le altre amiche di Marie, una figura notevole era quella di Loïe Fuller (1862-1928), statunitense, pioniera della danza moderna, apertamente omosessuale, che aveva lavorato con i fratelli Lumière [16]. La Fuller aveva brevettato numerosi apparati illuminotecnici che facevano uso di luce elettrica, anche prodotta mediante particolari gel chimici [17]. Aveva addirittura pensato di utilizzare per i suoi abiti di scena la luminescenza prodotta dal radio della Curie. Fra l’altro Loïe Fuller era membro della Società astronomica di Francia. Ma gli amici della Curie erano, soprattutto, noti per la loro attività durante l’affare Dreyfus, e per essere stati, fin dalla fondazione, membri influenti della Lega per i Diritti dell’Uomo. Alfred Dreyfus (1859-1935), ufficiale alsaziano di origine ebraica, ingiustamente accusato di spionaggio a favore della Germania nel 1895, era stato prima condannato ai lavori forzati, poi graziato nel 1899 dal presidente della repubblica e infine riabilitato pienamente nel 1906. In suo favore ci fu una mobilitazione degli intellettuali progressisti culminata nella famosa lettera di Emile Zola (1840-1902), “J’Accuse”, al presidente della repubblica, pubblicata sull’Aurore. 27 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Nonostante la completa dimostrazione dell’innocenza di Dreyfus, il caso restò per decenni uno spartiacque fra destra e sinistra in Francia. Ancora nel 1908 durante la cerimonia della inumazione delle ceneri di Zola al Panthéon, Alfred Dreyfus subì un attentato in cui rimase ferito. E’ la stampa di destra francese, con in testa il quotidiano antisemita e ultranazionalista L’Action Francaise, diretto da Leon Daudet (1867-1942), figlio dello scrittore Alphonse Daudet (1840-1897), a menare le danze contro la candidatura di Marie all’Accademia. Non solo vengono ritirate fuori le accuse a Marie di aver rubato la scena al marito Pierre, ma la si accusa, lei di famiglia cattolica, che però non aveva voluto far battezzare le figlie, di essere, invece, di origine ebrea. Su Le Figaro esce un lungo saggio, intitolato “Il travestito verde” (verde era il colore dell’abito degli accademici) della scrittrice Marie de Régnier (1875-1963) che accusa la Curie di tradire l’eterno ideale femminino: le donne sono fatte solo per l’amore, la devozione e non per l’ambizione [18]. Viene scelto un candidato da opporre alla Curie, il fisico Edouard Branly (1844-1940), uno dei pionieri delle radiocomunicazioni. I nazionalisti francesi non avevano ancora digerito il fatto che il Nobel del 1909 per la fisica era stato dato solamente all’italiano Guglielmo Marconi (1874-1937) e al tedesco Ferdinand Braun (1850-1918). Branly era cattolico e aveva lasciato la Sorbona per l’Università Cattolica. Divenne, suo malgrado, il campione della destra. Su L’Action Francaise comparve un articolo di Daudet intitolato “Dreyfus contro Branly” [19]. Notare la finezza, la Curie non veniva neanche nominata, ma la sua candidatura veniva tacciata come femminista e eccentrica, frutto di quel covo di intellettuali, ebrei e ugonotti che era la Sorbona. La votazione dell’Accademia avvenne il 23 gennaio 1911, occorreva una maggioranza di 30 voti. Alla prima votazione Branly ottenne 29 voti, la Curie 28 e il fisico Marcel Brilluoin (1854-1948) uno. Alla seconda Branly ne ottenne 30, la Curie rimase a 28. Branly aveva vinto. Marie non entrerà mai a far parte dell’Accademia delle Scienze, non vorrà neanche più essere candidata e da allora non pubblicherà più i suoi lavori sulle riviste scientifiche dell’Accademia. Per vedere una donna membro di questo istituto bisognerà attendere fino al 1962. Ma questo è solo un piccolo assaggio di quello che la Curie dovrà affrontare nell’anno del suo secondo Nobel. A partire dalla cooperativa di insegnamento, organizzata per le ragazze e i ragazzi dei suoi amici, era nata una forte amicizia tra Marie e Paul Langevin, amicizia che lentamente si era trasformata in una storia di amore. Nel 1910 i due avevano affittato un piccolo appartamento vicino alla Sorbona, dove solevano passare i momenti liberi assieme. Paul Langevin aveva una difficile situazione familiare; sposato con quattro figli, il suo matrimonio era stato un continuo di litigi spesso violenti e di discussioni feroci. La famiglia della moglie gli rimproverava sia le sue tendenze progressiste che il suo magro stipendio di professore. Accettando un lavoro nell’industria avrebbe potuto guadagnare ben di più [20,21]. 28 La moglie di Langevin, Jeanne, sospettando qualcosa, era riuscita con l’aiuto della sorella a intercettare una lettera di Paul a Marie. Poco dopo, nella primavera del 1911, uno strano furto era avvenuto nell’appartamento dei due a Parigi e diverse lettere di Paul e Marie erano state trafugate. Ne nacque un complicato scontro fra le varie parti, Jeanne arrivò a minacciare apertamente di morte Marie [2,22]. Lo scontro venne mediato da Jean Perrin e dal cognato di Jeanne, Henri Bourgeois (1864-1946), editore del giornale conservatore Le Petit Journal. Pare che ci furono anche ingenti versamenti di denaro. Alla fine si giunse, comunque, ad un accordo: Paul e Marie non si sarebbero più visti, mentre Jeanne rinunciava alla pubblicazione delle lettere, che rimanevano però in suo possesso. Nei primi giorni di novembre del 1911 si svolse a Bruxelles la prima delle famose conferenze Solvay. Ernest Solvay (1838-1921), di formazione chimico-fisico, era un imprenditore di successo. Assieme al fratello Alfred Solvay (1840-1894) aveva sviluppato un processo industriale per la produzione di carbonato di sodio. Le sue industrie si espansero rapidamente in tutto il mondo, rendendolo ricchissimo. Solvay, di ideali socialisti, introdusse, in anticipo sulle legislazioni, un sistema pensionistico per i lavoratori nel 1878, istituì l’orario lavorativo di 8 ore nel 1897 e nel 1913 concederà le ferie pagate. La passione per la scienza era rimasta una sua costante e dopo una discussione con il chimico tedesco Walther Nernst (1864-1941), che sarà premio Nobel per la chimica nel 1920, si decise a organizzare una conferenza scientifica sui temi allora scottanti della nuova fisica e della nuova chimica. Quella del 1911, dal titolo Radiazioni e Quanti, preseduta da Hendrik Lorentz (1853-1928), premio Nobel per la fisica del 1902, fu la prima di una serie di prestigiose conferenze che durano tuttora [23]. Di quella conferenza ci resta una famosa foto che vede assieme, all’Hotel Metropol di Bruxelles, i 24 partecipanti, fra cui ben 10 premi Nobel presenti e futuri, tra i quali Max Planck (1858-1947), Albert Einstein (1879-1955) e Ernest Rutherford (1871-1937). La delegazione francese era composta da Jean Perrin, Henry Poincarè (1854-1912), Marcel Brilluoin, Paul Langevin e Marie Curie. Inutile dire che quest’ultima era la sola donna presente. Forse Jeanne Langevin avrà visto questa conferenza come una rottura del patto firmato nei mesi precedenti, fatto sta che il 4 novembre 1911 un articolo apparve sul quotidiano dal titolo “Una storia di amore: madame Curie e il professor Langevin”. Nell’articolo si parlava della scomparsa da Parigi sia di Madame Curie che di Langevin, e quest’ultimo veniva accusato di aver abbandonato la moglie e i quattro figli per seguire Marie. La storia venne ripresa e alimentata da diversi giornali. La replica di Marie, affidata al periodico Le Temps, fu immediata. La vicenda della fuga era una pura invenzione, una vera follia. In quei giorni, lei era stata a Bruxelles per partecipare ad una conferenza importante assieme ad una ventina dei migliori scienziati del mondo. Henri Poincarè, SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Emil Borel, Jean Perrin e il fratello di Pierre Curie, Jacques, intervennero sulla stampa in suo favore. L’interesse sembrò quindi scemare e nel frattempo, come abbiamo visto, il 7 novembre, l’Accademia delle Scienze di Svezia annunciava il secondo premio Nobel a Marie. Interessante è che l’Accademia svedese stessa, allarmata dal clamore, aveva contattato diverse volte l’ambasciatore di Svezia a Parigi onde rimanere informata sugli sviluppi della vicenda, venendone rassicurata. Questa volta, però, contrariamente al 1903, l’interesse dei giornali francesi per il premio non fu particolarmente vivo, la notizia fu spesso relegata nelle pagine interne. Contemporaneamente si lanciarono sulla affare Curie-Langevin sia il Petit Journal che soprattutto, ancora una volta, Leon Daudet con il suo famigerato l’Action. Ne nacque, così, una replica fortemente ampliata della campagna dell’anno precedente, quella relativa alla nomina di Marie all’Accademia delle Scienze. Gli attacchi alla Curie diventarono feroci, sia su l’Action che su L’Intransigeant. Marie venne accusata di essere una sorta di vedova nera, per giunta straniera e probabilmente ebrea, che rubava il marito ad una povera donna francese e toglieva il padre ai suoi quattro figli. Una donna fredda e calcolatrice, una intellettuale emancipata, ostile al culto della famiglia, che aveva fondato la sua fama sul lavoro del marito morto, di cui ora disonorava la memoria. Di più, si arrivò ad insinuare che la storia tra Marie e Paul era nata quando Pierre era ancora in vita e che quest’ultimo, disperato per il tradimento della moglie e dell’amico, si era suicidato. Questo era il vero motivo del suo incidente del 1906! Su l’Excelsior comparve perfino una studio morfologico di Marie, accompagnato da disegni che la ritraevano in forma parossistica. Immagini simili fra non molto compariranno sulle peggiori pubblicazioni razziste, annunciando un triste futuro. Di nuovo si lanciarono accuse contro la presunta lobby massonico-ebraico-tedesca-ugonotta, attiva nelle Università, pronta a difendere una straniera contro una francese. Il 23 novembre venne raggiunto il culmine. La rivista L’Oeuvre diretta da Gustave Téry (1870-1928), che era stato in gioventù un libero pensatore estremista e che all’inizio del secolo si era trasformato in un acceso nazionalista, un fondamentalista cattolico violentemente antisemita, pubblicò presunte copie di alcune delle lettere di Marie e Paul, quelle trafugate nello strano furto della primavera precedente, lettere che dimostravano il legame tra i due. Naturalmente gli estratti venivano accompagnati dalle solite accuse e dal grido “la Francia siamo noi” e non questa accolita di cosmopoliti senza dio, senza patria, senza famiglia e dreyfusardi. Quel giorno stesso una folla rumoreggiante si raccolse attorno alla casa dei Curie a Sceaux, alle porte di Parigi. Marie Curie e la sua famiglia erano ormai assediate al grido “Abbasso la straniera, ladra di mariti! Tornatene in Polonia!” Sassi vennero lanciati contro le finestre. Occorreva fare qualcosa [2,22]. La pubblicazione delle lettere di Marie aveva prodotto dei cambiamenti anche in alcuni dei suoi amici e colleghi, evidentemente non pronti ad accettare la sua storia d’amore. Altri, i Perrin, i Borel, Jacques Curie, Loïe Fuller rimasero, invece, al suo fianco. E sono i Borel, questa volta, a prendere il timone in mano. Marguerite Borel e Andrè-Louis Debierne (1874-1949), chimico, da sempre collaboratore dei Curie, che nel 1899 aveva scoperto l’attinio e nel 1910 assieme a Marie aveva isolato il radio metallico, si precipitano a Sceaux per affrontare la teppaglia e per proteggere Marie e Eve Curie (19042007), la più piccola delle sue due figlie. Lo stesso Debierne si reca poi alla scuola frequentata dalla figlia maggiore Iréne per sottrarla al clamore. Emil Borel prepara per tutte loro una stanza in un suo appartamento alla Scuola Normale, di cui è il Direttore. Qui Marie trova finalmente riparo. La situazione diventa complicata e incandescente. Il ministro della pubblica istruzione convoca Borel e gli ingiunge di far sloggiare la Curie da un appartamento che appartiene all’Università, un’istituzione che lei, con la sua presenza, sta screditando. Il ministro minaccia di rimuovere Borel dal suo incarico, Borel non indietreggia di un passo. Terrà le Curie a casa sua finché sarà necessario ed è pronto a presentare le proprie dimissioni e quelle di altri docenti della Sorbona e a farne un caso pubblico se il ministro insiste. Borel non verrà rimosso e Marie rimarrà in quella casa alla Sorbona. Marguerite Borel è convocata da suo padre, Paul Appel, preside della facoltà di scienze della Sorbona, che aveva sostenuto Marie nella sua battaglia per l’Accademia, ma che oggi chiede alla figlia di non immischiarsi in questo affare e le rivela che si sta pensando di chiedere a Marie di lasciare la Francia e proseguire il suo lavoro in Polonia. Marguerite è furibonda, e risponde al padre “Se tu giocherai un ruolo qualsiasi in questo idiota movimento nazionalista, se insisterai con la richiesta che la Curie debba abbandonare la Francia, giuro che non mi rivedrai mai più”. Del trasferimento forzato della Curie in Polonia non se ne farà più niente [15]. Per il momento Marie è salva, grazie al coraggio civile di pochi. Durante i giorni nei quali Marie rimarrà dai Borel molte cose succedono. I suoi amici intervengono a più riprese. Jacques Curie manda una lettera aperta ai giornali in sua difesa, piena di dignità e buon senso. Il matematico Paul Painlevè trasforma la sua conferenza all’Associazione degli studenti universitari in una apologia di Marie. Altri, come Loïe Fuller, vanno ostentatamente a visitarla. Ma, mentre sugli altri periodici la storia sembra perdere peso, l’Oeuvre continua nella sua campagna, annunciando, fra l’altro, che Jeanne Langevin ha denunciato per abbandono del tetto coniugale Paul, e che Paul e Marie sono stati convocati in tribunale per il 9 dicembre. In teoria, il giorno dopo, il 10 dicembre, Marie dovrebbe essere a Stoccolma per ricevere il premio Nobel. Gli eventi sembrano precipitare di nuovo. Paul Langevin sfida a duello Gustave Téry. Il duello avviene il 26 novembre, al mattino, nel bosco di Vincennes, ma nessuno dei due spara, ci si limita solo a puntare le armi. Lo stesso giorno una viva descrizione del mancato duello compare su diversi quotidiani di Parigi. La notizia fa il giro del 29 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO mondo e raggiunge anche la Svezia. Svante Arrhenius (1859-1923), chimico svedese, premio Nobel per la chimica nel 1903 e membro del comitato per il Nobel, scrive a Marie dicendole che per lui e molti colleghi è preferibile che lei non si faccia vedere il 10 dicembre alla premiazione e che qualora l’Accademia avesse creduto all’autenticità delle lettere non le avrebbe conferito il premio [2]. Marie Curie è profondamente addolorata e distrutta, scrive a Gösta Mittag-Leffler, che ancora una volta è dalla sua parte, e si consiglia con lui sul da farsi. Infine spedisce una lunga lettera a Arrhenius rivendicando la validità del suo lavoro scientifico, chiedendo rispetto per la sua vita privata e annunciando che sarà a Stoccolma, pronta a ricevere il premio. La lettera termina con la frase: “In tutta questa vicenda penso di non aver nulla da rimproverarmi, se non di aver trascurato i miei interessi.” [24]. Così Marie sarà a Stoccolma, accompagnata dalla figlia Irène e dalla sorella Bronia, e riceverà dalle mani del re di Svezia il suo secondo premio Nobel. Il discorso di accettazione del premio sarà privo di paure e pieno di rivendicazioni dei suoi meriti. Ma lo stress è stato troppo, appena tornata in Francia la Curie avrà un crollo psicofisico e dovrà essere ricoverata in ospedale [25]. Nel frattempo, il 9 dicembre, Paul Langevin e Jeanne si separano e nella causa di separazione non viene fatta alcuna menzione di Marie Curie. Paul e Marie rimarranno buoni amici per il resto della loro vita, ma la loro storia d’amore è irrimediabilmente finita. Il 1912 sarà l’anno del recupero e della guarigione, opera soprattutto di Hertha Ayrton, la fisica inglese amica di Marie, che la invita a trascorrere con le figlie un lungo periodo in Inghilterra, in incognito, lontano dai riflettori e dalla stampa francese. Un lungo soggirono che coinciderà con il punto più alto del movimento delle suffragette, di cui Hertha Ayrton è una delle espeonenti più importanti e la sua casa un punto di riferimento. Hertha Ayrton ha molti punti in comune con Marie Curie e ha avuto anch’essa una vita piena di difficoltà e scontri affrontate con un piglio molto battagliero [26]. Anche lei, scienziata sposata con uno scienziato, quando William Ramsay (1852-1916), chimico scozzese, premio Nobel per la chimica nel 1904, se ne uscì con la battuta che il merito delle donne scienziato era dovuto agli uomini coautori dei loro articoli, rispose con grande spirito che, guarda caso, anche Sir William Ramsay aveva sempre pubblicato lavori assieme a dei collaboratori maschi. Hertha Ayrton (1854-1923), alla nascita Phoebe Sarah Marks, adottò il nome Hertha da adolescente prendendo spunto da un poema popolare dell’epoca che attaccava le convenzioni religiose. Rimase per tutta la vita un’agnostica, comunque sempre orgogliosa della sua origine ebraica. Avendo presto perso il padre, un orologiaio che era dovuto fuggire dalla Polonia, cominciò giovanissima a lavorare per potersi mantenere agli studi e per aiutare la madre a mantenere la numerosa famiglia, otto fra fratelli e sorelle. 30 Hertha fu sempre incoraggiata nei suoi intendimenti dalla madre, dalla scrittrice George Eliot (1819-1880) che la prese a modello per il personaggio di Mirah nel suo romanzo Daniel Deronda, e da Barbara Leigh-Smith Bodichon (18271891) che l’appoggiarono anche finanziariamente. Barbara Bodichon era una delle più note militanti del movimento per il voto alle donne. Nel 1857 aveva scritto il libro Women and Work e nel 1866 aveva fondato il primo comitato per il suffragio femminile. La Bodichon contribuì pure alla nascita del primo collegio femminile a Cambridge, il Girton College, fondato nel 1873, che solo nell’aprile 1948 verrà, per un numero ristretto di donne, aggregato all’Università di Cambridge, mentre il suo pieno riconoscimento ci sarà infine nel 1972 [27]. Hertha riuscì ad essere ammessa al Girton College nel 1876, dove si diplomò in matematica. A quel tempo non era permesso alle donne conseguire una laurea. La Ayrton lavorò allora come insegnante iscrivendosi in seguito, nel 1884, al Collegio Tecnico di Finsbury. Qui costruì uno sfigmomanometro e inventò uno strumento per la divisione esatta delle linee [28]. Nel 1885 sposò William Edward Ayrton (1847-1908), professore di fisica e ingegnere elettrico, politicamente progressista, vedovo e con una piccola figlia a carico, Edith Ayrton (1879-1945), la quale divenne scrittrice e sposò Israel Zangwill (1864-1926), anche lui scrittore e noto esponente del movimento sionista. William e Hertha ebbero una figlia, Barbara Bodichon Ayrton (1886-1950). Entrambe le ragazze, Barbara e Edith, giocheranno un ruolo importante nel movimento di emancipazione delle donne, nella battaglia delle suffragette. Nel 1893 Hertha riprese i suoi studi e le sue ricerche scrivendo diverse lavori sulla lampada ad arco, che confluirono in un libro molto diffuso, pubblicato nel 1902 [29]. Nel 1899 ricevette, per le sue pubblicazioni, un premio dall’Istituto degli Ingegneri Elettrici (IEE) e ne divenne nello stesso anno il primo membro donna. All’epoca l’istituto contava ben 3300 membri. Fu anche la prima donna a tenere un seminario di fronte alla Royal Society nel 1904. Royal Society che l’insignì, nel 1906, della prestigiosa medaglia Hughes, ma che, nel 1902, le aveva rifiutato l’affiliazione in quanto donna maritata. Occorrerà aspettare il 1946 per avere la prima donna membro della Royal Society [27,30]. Nei primi anni del novecento Hertha passò ad occuparsi di problemi di idrodinamica e dinamica dei materiali discreti [31]. E’ sua una notevolissima monografia, oggi riscoperta e apprezzata, sulle ondulazioni, le increspature e il movimento della sabbia, ricca di ingegnosi esperimenti, svolti costruendo appositi strumenti [32]. Fu tale lavoro a portarla a Parigi per una presentazione dove ebbe modo di riincontrare Marie Curie, conosciuta a Londra nel 1903, di cui era diventata grande amica. La sua attività scientifica, così come la sua amicizia con Marie, durò tutta la vita, fino alla sua morte nel 1923. Hertha Ayrton si era da sempre impegnata in battaglie sociali, soprattutto in favore dell’emancipazione delle donne e SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA fu sempre pronta ad agire in prima persona. Già nel 1876 si tà, impreparate, per motivi di salute. Fu il primo di una lunera iscritta alla Società centrale per il suffragio alle donne. ga serie di scioperi della fame; negli anni se ne conteranno Fece poi parte della Unione nazionale delle società per il suf- diverse centinaia. Nel settembre 1909 il governo, temendo fragio alle donne (NWSS) partecipando a diversi congressi, le conseguenze degli scioperi della fame, varò una nuova moltissime manifestazioni e comizi, anche come oratrice. legge, che imponeva la nutrizione forzata delle prigioniere L’11 dicembre del 1906 era presente al famoso banchetto al con mezzi violenti e degradanti, utilizzando imbuti e tubi inSavoy Hotel di Londra organizzato dalla NWSS per festeg- seriti a forza in bocca, nel naso, nel retto delle prigioniere. I giare la liberazione delle femministe imprigionate per le loro resoconti e le immagini di tali trattamenti crearono ancora maggiore malcontento ed un’enorme indignazione [35]. proteste. Nel 1907 la Ayrton passò alla più radicale WSPU (Unione sociale e Il 18 novembre del 1910, a 56 politica delle donne), fondata da anni, Hertha Ayrton era in piazza Emmeline Pankhurst (1858-1928) con altre 300 attiviste a circondare e dalle sue figlie Christabel (1880il parlamento che aveva rifiutato 1958), Sylvia (1882-1960) e Adela di discutere l’ennesima proposta di (1885-1961) Pankhurst, divenendare la possibilità del voto ad un done una importante sostenitrice certo numero di donne. Quel giorno passerà alla storia come “Black economica e una militante attiva, Friday”, il venerdì nero. I poliziotti, assieme alle figlie Barbara e Edith assieme ad una vera e propria teppa, Zangwill. Nel 1909 si espresse, si scatenarono in numerose violencome molte, in favore del passaggio ze, anche sessuali, contro le dimoa metodi più radicali, vista l’inutilità stranti. Molte donne furono picchiadelle proteste portate avanti fino ad te e brutalizzate, due morirono nei allora e le sempre maggiori violenze esercitate dalle autorità e dagli giorni successivi e vi furono più di cento arresti, e conseguenti scioperi avversari politici sulle suffragette [33,34]. della fame. Le femministe cominciarono a Allora il governo inglese adottò un’altra strategia. Con una leginterrompere i comizi politici, a gettare sassi contro le finestre del parlage, passata alla storia con il nome mento, contro Downing Street e poi di “Disposizione del Gatto e del Topo” (Cat and Mouse Act), fu decontro le vetrine delle sedi dei quotiHertha Marks Ayrton (portrait by Dalal-N) ciso che, non appena le condizioni diani, di grandi magazzini e negozi. delle scioperanti fossero state gravi, Venne dato inizio ad una campagna di disubbidienza civile; manifesti e graffiti cominciarono ad per evitare una morte in carcere e la relativa enorme risonanapparire sui muri delle città, si scrivevano slogan con il gesso za, esse venissero rilasciate, per dover poi rientrare in prisui marciapiedi, le multe non venivano pagate e ci furono gione non appena risanate. Da parte delle suffragette furono danneggiamenti della corrispondenza, mediante versamento organizzati dei luoghi sicuri, uno di questi era l’appartamendi acidi nelle buche postali. Ne seguì un altissimo numero di to di Hertha Ayrton, dove le prigioniere appena rilasciate venivano curate, adeguatamente rifocillate e rimesse in piedi arresti, condanne e imprigionamenti. Il 22 giugno del 1909 Marion Wallace-Dunlop (1864- e fu creata una rete clandestina in patria e all’estero per far 1942), un’artista, attivista della WSPU, stampò con inchio- scappare chi voleva, o doveva, fuori dall’Inghilterra. stro indelebile (scelse il viola come simbolo di dignità) un Di fronte alla sordità e alla violenza del potere la lotta delle manifesto di protesta su una parete della sala di St. Stephen suffragette divenne sempre più dura. Centinaia di militanti fia Westminster, allora l’entrata principale del Parlamento. nirono in carcere, a decine fecero ripetuti scioperi della fame, Il manifesto riportava l’annuncio di una manifestazione di spesso rovinandosi la salute e pagando enormi prezzi [36]. Una di queste fu proprio Barbara Ayrton, la figlia di Hermassa in Parliament Square per il 29 giugno, durante la quale vennero arrestate 108 suffragette, e riproduceva un pas- tha, che aveva studiato chimica e fisiologia al London Colsaggio, sul diritto alla protesta, del Bill of Rigths del 1689, lege e che nel 1906 si era iscritta alla WSPU di cui era didichiarazione che rappresenta di fatto il fondamento della ventata una delle migliori organizzatrici. Fu fra le ispiratrici costituzione inglese. Questa dichiarazione era stata ratificata della grande campagna del 1910, durante la quale ci furono enormi manifestazioni in tutto il paese con decine e decine di proprio in quella sala. Imprigionata per quell’atto, Marion iniziò il 5 luglio uno migliaia di persone. Nel marzo 1912 Barbara venne arrestata, sciopero della fame per chiedere che alle suffragette fosse insieme a varie altre militanti, per aver distrutto, a sassate, riconosciuto il ruolo di prigioniere politiche. Dopo giorni di delle vetrine in Regent Street, durante un vero e proprio raid astensione dal cibo, il 9 luglio, venne rilasciata dalle autori- organizzato nel West End londinese, che vide fra l’altro la 31 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO devastazione dei magazzini Harrods. Barbara fu imprigionata ad Holloway, il duro carcere londinese, dove partecipò ad uno sciopero della fame. Sempre sostenuta dalla madre Hertha, Barbara, nel 1913, fu costretta a fuggire in Francia. Lì rimase per diversi mesi (chissà? Forse sarà stata ospite della Curie), nel pieno di una campagna sempre più militante [37]. Le attiviste del movimento, infatti, non solo continuavano a rompere finestre e vetrine, a interrompere cerimonie e comizi, a pedinare e disturbare gli uomini politici avversi al suffragio e talvolta a distruggerne le automobili, ma, dopo la morte di una di loro, Emily Davison (1872-1913), che per protesta aveva tentato di interrompere il Derby ad Epsom ed era stata travolta da un cavallo di proprietà del re Giorgio V (1865-1936), in molte cominciarono una vera e propria campagna di incendi dolosi. Diverse case, edifici pubblici, chiese, stazioni, sedi di giornali, uffici postali, club e ritrovi sportivi vennero dati alle fiamme [38]. Non tutte, fra cui Sylvia e Adela Pankhurst e le Ayrton, furono d’accordo con questo ulteriore inasprimento, e abbandonarono la WSPU. In particolare Hertha, Barbara e Edith Ayrton, nel 1914, fondarono una nuova organizzazione, le United Suffragists, movimento teso ad una collaborazione con il mondo operaio, di cui Barbara Ayrton fu il primo segretario. Sulle Ayrton, sulle Curie, sul movimento femminista, su tutti si abbatté nell’agosto del 1914 la stupida e terribile prima guerra mondiale, in cui milioni di europei, intere generazioni, andarono al macello. Nulla più rimase uguale. Emmeline e Christabel Pankhurst divennero rapidamente delle scatenate nazionaliste. Christabel tornò in settembre a Londra da un lungo esilio per impegnarsi a fondo in una nuova campagna, questa volta in favore della guerra. Il movimento femminista scemò e il giornale The Suffragette vide il suo nome mutato in Britannia. Sylvia e Adela Pankhurst si schierarono, invece, con il fronte pacifista. Hertha e Marie reagirono, da scienziate, a loro modo. La prima, Hertha, inventando, a partire dalle sue ricerche di fluidodinamica, un sistema di ventilazione per liberare le trincee dai gas [39]. La seconda, Marie, grazie alle sue grandi capacità organizzative, mettendo in piedi, con la figlia Irène, un sistema di ambulanze dotate di macchine per i raggi x portatili, alimentate da una dinamo collegata al motore. Il primo mezzo di questo tipo al mondo. Impararono a guidarle loro stesse. Queste ambulanze saranno attive su molti fronti, anche su quello italiano, contribuendo così a salvare molte vite. Oltre 150 donne verranno istruite dalle due Curie all’utilizzo dei raggi x [12]. Barbara Ayrton-Gould lavorò per mantenere vivi gli ideali femministi e, dopo la guerra, entrò nel partito laburista, dove fu per più di venti anni membro, poi vicepresidente e presidente del comitato esecutivo. Più volte candidata al parlamento, sarà deputata dal 1945 al 1950. Solo alla fine della guerra, nel 1918, un limitato numero di donne, le nubili con un certo reddito al di sopra dei 30 anni, poté accedere al voto in Gran Bretagna. Il suffragio univer32 sale per tutti i maggiori e le maggiori di 21 anni fu introdotto nel 1928. In Francia e in Italia il suffragio per le donne arrivò solo dopo la resistenza e la fine della seconda guerra mondiale, nel 1945 e 1946. In Svizzera nel 1971. Per ritrovare un movimento femminista dell’ampiezza e diffusione di quello dei primi anni del Novecento occorrerà aspettare gli anni ‘60 e ‘70. Se è pur vero che Marie Curie è sempre stata restia a prendere apertamente posizioni impegnate e che la gran parte dei suoi interventi pubblici è sempre e solo stata a favore della scienza e della ricerca, la figlia Irène ci ricorda che in lei esisteva “un femminismo intransigente, una rivolta contro lo stato sociale presente, un desiderio passionale di veder realizzata la pace e la comprensione tra i popoli”. Non a caso le uniche prese di posizione “politiche” di Marie Curie sono state quella a favore delle femministe imprigionate in Inghilterra, apponendo la sua firma ad un appello del 1912 su richiesta di Hertha Ayrton e un intervento, su insistenza di Irène, in favore di Sacco e Vanzetti, contro la pena di morte a loro inflitta negli anni ‘20. Notevole è stata anche l’attività di Marie Curie nell’istituto da lei fondato. Qui, durante la sua direzione, furono attivi ricercatori di 15 diverse nazionalità, di differenti credi politici e religioni. In particolare un numero non indifferente di scienziate, oltre cinquanta, a partire dalla figlia Irène, ha lavorato presso il laboratorio di Marie Curie, sempre disponibile ad assumere ricercatrici di talento. Nel 1931, ad esempio, su 37 ricercatori impegnati presso l’Istitut du Radium, ben 12 erano donne, una percentuale rimarchevole, non solo per quell’epoca. Per molte di queste ricercatrici la permanenza presso l’Istituto Curie fu l’avvio e/o il trampolino di lancio della loro carriera scientifica. Di seguito alcuni esempi, che mostrano sia la grande personalità che la forza morale e l’impegno civile di molte delle ricercatrici passate dall’Istituto Curie, e anche l’insieme dei risultati ottenuti e la rete di collaborazioni e amicizie nate nel lavoro comune [40-44]. Harriet Brooks-Pitcher (1876-1933) fu la prima fisica nucleare canadese. Prima donna a ricevere un master alla McGill University di Montreal sotto la supervisione di Ernest Rutherford. Dopo aver passato un periodo al Cavendish Laboratory di Cambridge, lavorò all’inizio del secolo sotto la guida di Marie Curie a Parigi. Qui si occupò del rinculo radioattivo e del decadimento dell’attinio. Nel 1904 ottenne un posto al Barnard College, affiliato alla Columbia University di New York. Nel 1907 si sposò e fu costretta a lasciare l’università, condizione allora obbligatoria per le donne maritate. Ellen Gleditsch (1879-1968), chimica norvegese, lavorò fra il 1907 e il 1912 all’Istituto di Marie intorno all’ipotesi di William Ramsay sulla trasmutazione del rame in litio. Riuscì a confutare brillantemente questa tesi in una pubblicazione congiunta con Marie. La Gleditsch, in quanto donna, non aveva potuto frequentare l’università in Norvegia, riuscendo solo ad ottenere un titolo non accademico in chimica. Lavorando presso la Curie ottenne nel 1911 la laurea SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA in scienze alla Sorbona. Superando altre difficoltà connesse al suo genere, fu rifiutata per questa ragione da Theodor Lyman (1874-1954) ad Harvard, divenne una ricercatrice molto nota. Annoverata fra i migliori radiochimici del mondo fu autrice di diversi libri sulla radioattività, di un libro di testo di chimica inorganica e di una biografia del fondatore della chimica Antoine Lavoisier (1743-1794). Nel 1917 fu la seconda donna a essere eletta all’Accademia delle Scienze di Oslo. Tornò più volte come visitatrice all’Istituto Curie intessendo una fitta rete di amicizie e collaborazioni internazionali e portando con sé due giovani ricercatrici norvegesi Randi Holwech (1890-1967), nel 1919-1920, e Sonja Dedichen (1902-1998), nel 1924-1925. Solo nel 1929 riuscì a ottenere una posizione permanente all’Università di Oslo, seconda donna professoressa in Norvegia, dove rimase fino alla pensione. Dopo la presa del potere da parte di Hitler in Germania e l’annessione dell’Austria agì in prima persona, organizzando l’espatrio e nuove possibilità di impiego per diversi ricercatori e ricercatrici ebrei e oppositori del regime. Durante la seconda guerra mondiale, già oltre i sessanta anni, fu particolarmente attiva nella resistenza norvegese all’occupazione nazista. Per lungo tempo fu anche leader della Federazione Internazionale delle Donne Universitarie e membro del comitato di controllo internazionale delle armi nucleari dell’UNESCO. Nel 1962, a 83 anni, divenne la prima donna a ricevere un dottorato “ad honorem” dalla Sorbona di Parigi. Lucie Blanquies (1883-?), francese, lavorò nel laboratorio di Marie tra il 1908 e il 1910, scrivendo una serie di articoli sui raggi α prodotti da differenti sostanze radioattive e sui prodotti di decadimento della serie dell’attinio. Eva Ramstedt (1879-1974), fisica svedese, studiò e pubblicò diversi lavori insieme alla Curie, fra il 1910 e il 1911, sul radon, il gas emanazione del radio, e fu successivamente ricercatrice per molti anni presso l’istituto Nobel di Stoccolma, guidato da Svante Arrhenius. Dopo il suo soggiorno a Parigi collaborò a lungo con Ellen Gleditsch, assieme alla quale scrisse diverse pubblicazioni e libri, fra cui il primo libro di testo scandinavo sulla radioattività. Ricoprì dagli anni ’20 fino al pensionamento, nel 1945, il ruolo di professoressa all’Università e al Teacher Training College di Stoccolma. Attiva, anche lei, a lungo nella Federazione Internazionale delle Donne Universitarie, ne divenne vice presidente dal 1922 al 1930 e presidente del comitato internazionale dal 1920 al 1945. May Sybil Leslie (1887-1937), chimica inglese, nel periodo 1909-1911 lavorò, con una borsa di studio, dalla Curie allo studio del torio, studio che continuò poi nei laboratori di Ernest Rutherford a Manchester. Durante la prima guerra mondiale lavorò in fabbrica, quale responsabile della produzione industriale di acido nitrico. Alla fine della guerra venne licenziata per far posto ai suoi colleghi maschi tornati dal fronte. La Leslie scrisse molti articoli e diversi libri di testo e divenne infine, nel 1928, professoressa all’Università di Leeds. La Leslie, la Gleditsch e la Ramstedt rimasero in contatto per tutta la loro vita scientifica, pubblicando anche dei libri assieme e tenendo in vita un’ampia rete di collabo- razioni. Margarethe von Wrangell (1877-1932), nata a Mosca, studiò a Lipsia e ottenne un dottorato a Tübingen nel 1909 in chimica. Lavorò a Londra da William Ramsay e in seguito a Parigi da Marie Curie. Successivamente cambiò il suo campo di studi dalla radiochimica alla chimica agraria, interessandosi di fosfati e dirigendo dal 1912 una stazione di ricerca a Tallin in Estonia. In seguito alla rivoluzione bolscevica emigrò in Germania dove lavorò per un periodo al Kaiser-Wilhem Institut di fisica-chimica a Berlino, collaborando con Fritz Haber (1868-1934), premio Nobel per la chimica del 1918 per la sintesi dell’ammoniaca. Nel 1923 la Wrangel divenne professoressa presso l’Hochschule di Hohenheim, vicino Stoccarda, dove diresse fino alla morte l’Istituto per la nutrizione delle piante. Jadwiga Szmidt (1889-1940), fisica polacca, studiò alla Sorbona e lavorò nel laboratorio di Marie nel 1911. Collaborò con la Gleditsch e la Leslie, lavorando poi a lungo, anche lei, presso il laboratorio di Ernest Rutherford a Manchester. Dopo la prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica divenne ricercatrice dell’Istituto Radiologico del nuovo Politecnico di San Petersburg/Leningrado collaborando con Abram Joffe (1880-1960), dove rimase fino alla morte. Irèn Götz (1889-1941), ungherese, attiva a Parigi dal 1911 al 1913, dove si occupò di studi sul radon, ottenne un dottorato “ad honorem” dall’Università di Budapest nel 1912. Nel 1919 fu nominata dal governo rivoluzionario ungherese professoressa di chimica teorica all’Università di Budapest, la prima donna ordinario in Ungheria. Costretta a fuggire, pochi mesi dopo, dal nuovo governo controrivoluzionario di destra, la Götz lavorò dal 1922 al 1928 all’Università di Cluj in Romania, per poi trasferirsi in Germania a Berlino fino al 1931. Infine emigrò definitivamente in Unione Sovietica dove divenne Direttrice dell’Istituto per le Ricerche sull’Azoto di Mosca. Qui morì di tifo nel 1941, allo scoppio della seconda guerra mondiale. Suzanne Veil (1886-1956) , francese, entrò nel laboratorio di Curie nel 1912 per ottenere il dottorato in chimica. Nel 1924 ottenne il premio Cahours dell’Accademia di scienze. Nel 1930 divenne capo laboratorio alla Scuola pratica di alti studi di Parigi. Nel 1940, dopo l’occupazione del nord della Francia, si trasferì a Grenoble alla Facoltà di scienze, per poi tornare a Parigi alla fine della guerra. Madeline Monin-Molinier (1898-1976), fisica francese, ricercatrice all’Istitut du Radium dal 1917 al 1921. Titolare di una borsa di studio della Carnegie Foundation. Elizabeth Rona (1891-1981) nata a Budapest, qui ottenne il dottorato in chimica e fisica nel 1912 , per poi lavorare nel laboratorio di Kasimir Fajans (1887-1975) all’Università Tecnica di Karlsruhe. Tornata in Ungheria fu costretta a fuggire dopo la controrivoluzione del 1919. Passò prima un periodo a Berlino da Lise Meitner (1878-1968) e Otto Hahn (1879-1968), premio Nobel per la chimica 1944, e poi fu attiva nell’istituto di Marie Curie, collaborando con lei e Irène. Lavorò poi a lungo all’Istituto del Radio di Vienna con Stefan Mayer (1872-1949) fino al 1938, quando l’Austria fu 33 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO annessa alla Germania. Meyer fu costretto a dimettersi ed Elizabeth dovette emigrare e per un certo tempo fu ricercatrice all’Università di Oslo nel gruppo di Ellen Gleditsch, che aveva conosciuto a Parigi. Rona emigrò poi, nel 1941, negli Stati Uniti dove lavorò, fra l’altro, nei Laboratori nazionali di Oak Ridge. Attiva in numerosissime collaborazioni internazionali, fu una grande esperta nella separazione delle sostanze radioattive, in particolare del polonio, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Polonium Woman”. Dopo essersi cominciata ad occupare di oceanografia, nel 1965 si trasferì all’Istituto di Scienze Marine dell’Università di Miami dove rimase fino al pensionamento nel 1972. Marthe Klein (1885-1953) , francese, fu collaboratrice di Marie Curie dal 1919 al 1921 negli studi relativi all’utilizzo dei raggi x nella diagnostica clinica. Si occupò durante la prima guerra mondiale della formazione delle infermiere al fronte all’utilizzo dei raggi x. In seguito sposò Pierre-Ernest Weiss (1865-1940) fisico, esperto di magnetismo, seguendolo a Strasburgo. Renée Galabert (1884-1956), francese, cominciò a lavorare presso l’Istituto di Marie Curie nel 1919. Nel 1923 assunse la direzione del Servizio di Misure dell’Istituto, dove rimase fino al 1934. Sonia Slobodkine-Cotelle (1897-1945), chimica di origine polacca, si laureò alla Sorbona e lavorò per parecchi anni nell’Istituto Curie, a partire dal 1919. Di lei rimangono molte pubblicazioni, la maggior parte dedicate alla determinazione delle vite medie delle sostanze radioattive. Fu per diversi anni attiva nel Servizio misure dell’istituto. Nel 1927 si ammalò gravemente dopo aver inavvertitamente ingerito del polonio. Il suo caso fu uno dei primi a sollevare un forte interesse per le conseguenze sanitarie dell’uso delle sostanze radioattive. La gran parte dei collaboratori di Marie Curie, compresa Marie stessa, la figlia Irène e il genero Frédéric Joliot (1900-1958), moriranno a causa dell’esposizione alle radiazioni. Alicjia Dorabialska (1897-1975), polacca, nata nella zona allora occupata dal regime zarista, si laureò a Mosca in fisica-chimica e, nel 1918, ottenne una posizione al Dipartimento di Chimica Fisica dell’Università di Varsavia, dove completò nel 1922 il dottorato. Alicjia incontrò Marie Curie durante un soggiorno di quest’ultima in Polonia nella primavera del 1925. Marie la invitò a passare un periodo nel suo Istituto. Qui lavorò nel 1925-1926, e poi nel 1929, interessandosi soprattutto del determinazione accurata delle variazioni di calore che avvengono nelle trasmutazioni radioattive, un problema che rimase al centro della sua attenzione negli anni seguenti. Nel 1934 divenne professoressa di chimica fisica presso la Università di Leopoli. La sua nomina, in quanto donna, sollevò un’accesa discussione. Qui scelse come sua assistente Ruth Bakken, che aveva studiato con Ellen Gleditsch a Oslo. Nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, entrò a far parte attiva della resistenza, organizzando fra l’altro diverse università clandestine. Gli studi superiori erano stati proibiti dall’autorità tedesca occupante. Nel 1945, terminata la guerra, divenne professoressa 34 di chimica al Politecnico di Varsavia e infine Direttrice del Dipartimento di Chimica Fisica del Politecnico di Lodz, fino alla sua pensione nel 1968. Morì a Varsavia nel 1975. Jeanne Samuel-Lattes (1888-1979), chimica francese, attiva all’Istituto Curie dal 1921 al 1928, si interessò particolarmente degli effetti biologici delle radiazioni inventando una tecnica per individuare le sostanze radioattive iniettate. Nel 1927 ottenne il dottorato alla Sorbona per le sue ricerche per lavorare poi presso l’Istituto Henri Poincaré di Parigi. Stefania Maracineanu (1882-1944), fisica rumena; negli anni ‘20 studiò, presso l’Istitut du Radium della Curie, la vita media del polonio e sviluppò un metodo per la determinazione dell’intensità delle particelle alfa. Qui ottenne, nel 1924, il dottorato. Dal 1925 al 1930 fu ricercatrice presso l’Osservatorio Astronomico di Parigi. Fu poi attiva in patria con posizioni dirigenziali, occupandosi anche di tematiche legate all’ambiente e al clima. Eliane Montel (1898-1992), chimica francese, che lavorò nell’Istituto di Marie nel biennio 1928-1929 pubblicando ricerche sulla penetrazione del polonio nel piombo. La Montel riuscì nell’impresa di citare in una sua pubblicazione lavori di sole donne. Divenne professoressa alla Scuola Normale di Sevres. Mathilde Wertenstein, polacca, attiva nel campo delle proprietà elettrochimiche degli elementi radioattivi; lavorò negli anni ‘10 e poi ebbe una borsa di studio negli anni ‘20 presso l’Istituto della Curie. Divenne infine ricercatrice presso il Laboratorio radiologico della società scientifica di Varsavia. Catherine Chamiè (1888-1950) nata a Odessa in Russia, per studiare all’Università fu costretta a emigrare a Ginevra dove ottenne un dottorato in fisica nel 1913, occupandosi delle proprietà magnetiche della materia. Tornata a lavorare ad Odessa, un pogrom contro la comunità francese della città, nel 1919, la costrinse a fuggire con tutta la famiglia in occidente. Dopo un breve periodo passato in Svizzera, arrivò a Parigi dove lavorò come insegnante per sostenere la famiglia. Nel 1921 fece domanda per entrare nell’Istituto Curie, Marie l’assunse il 15 aprile del 1921. Catherine finì per rimanerci fino al suo pensionamento nel 1949, diventandone una figura particolarmente importante, anche dal punto di vista amministrativo. Scoprì, fra l’altro, l’effetto Chamiè, una particolare tecnica di esposizione fotografica delle sostanze radioattive che permetteva di discriminare fra quelle solubili e quelle insolubili. Si occupò della classificazione di materiali radioattivi e scrisse diversi lavori in collaborazione con Marie Curie, con Irène Curie e Ellen Gleditsch. La Chamiè pubblicò anche due libri di psicologia nel 1937 e nel 1950. Antonia Eliszabeth Korvezee (1899-1978), chimica olandese, ottenne il dottorato in chimica nel 1930 all’Università di Delft, in Olanda, e lavorò per diversi anni, a partire dal 1929, nell’Institut du Radium dando importanti contributi in chimica teorica e fisica nucleare. Dopo grandi difficoltà, dovute al fatto di essere donna, riuscì infine a divenire, nel 1953, ordinario di chimica teorica presso l’Università Tecnica di Delft, la prima donna professoressa in questa Università. Per ricordarla dal 1989 è nato il premio “Antonia SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Korvezee Equal Opportunities” Branca Edmée Marques (1899-1976), chimica portoghese, partì per Parigi nel 1931 rimanendovi vari anni, lavorando alla separazione dell’attinio dai minerali di terre rare e ottenendo il dottorato alla Sorbona sotto la direzione delle due Curie. Tornata in Portogallo divenne direttrice del primo Centro di Ricerche in Radiochimica della Università di Lisbona, dove ottenne una cattedra nel 1966. Marietta Blau (1894-1970), fisica austriaca, ottenne il dottorato nel 1919 e lavorò per molti anni, non pagata, all’Istituto per la Ricerca sul Radio di Vienna. Una borsa di studio della Federazione delle Donne Universitarie le permise di lavorare a Göttingen e nel 1932-1933 e poi nel 1938 presso l’istituto di Marie Curie. La Blau inventò un metodo fotografico per la determinazione della traiettoria delle particelle, in seguito molto utilizzato, ottenendo il premio dell’Accademia delle Scienze di Austria nel 1937, insieme alla sua collaboratrice Hertha Wambacher. Costretta ad abbandonare l’Austria nel 1938, in quanto ebrea, dopo l’occupazione tedesca, Marietta Blau prima fu accolta in Norvegia da Ellen Gleditsch e poi fu aiutata da Einstein a trovare una posizione in Messico e successivamente negli Stati Uniti prima a Brookhaven e poi all’Università di Miami. Nel 1960 ritornò in Austria, lavorando di nuovo, ancora non pagata, all’Istituto per la Ricerca sul Radio di Vienna collaborando agli esperimenti al CERN di Ginevra. La Blau è stata proposta diverse volte per il premio Nobel per la fisica, in particolare da Erwin Schrödinger (1887-1961), uno dei padri della moderna meccanica quantistica, premio Nobel per la fisica nel 1933. Alice Prebil (1907-1987), nata a Karlovac in Jugoslavia, fu attiva nel laboratorio di Marie Curie fra il 1932 e il 1934, collaborando in particolare con Iréne Curie sulla radioattività artificiale. Lavorò anche presso il Radium Institute di Berna in Svizzera e l’Istituto Superiore di Sanità di Roma dove collaborò con il direttore Domenico Marotta (1886-1974). Sposò negli anni trenta Philip Leigh-Smith (1892-1967), diplomatico e scrittore, nipote di Benjamin Leigh-Smith (1828-1913), famoso esploratore artico e fratello di Barbara Bodichon, la mentore di Hertha Ayrton. Divenuta inglese, Alice continuò la sua carriera scientifica in Gran Bretagna. Hélène Emmanuel-Zavizziano, di origine greca. Arrivò negli anni ‘30 all’istituto di Marie e pubblicò diversi e significativi lavori sul protoattinio. E infine Marguerite Perey (1909-1975) che lavorò all’Institut du Radium per venti anni. Non avendo mezzi economici per frequentare l’università la Perey era diventata un tecnico chimico. Marie Curie la prese nel 1929 come sua assistente e ne curò la formazione. Nel 1939 la Perey scoprì un nuovo elemento chimico, l’ultimo che mancava nella tabella periodica, a cui diede il nome di francio in onore della Francia, così come la Curie aveva chiamato polonio, il primo elemento da lei scoperto, in onore della Polonia. Ottenuto un dottorato in scienze nel 1946, la Perey, nel 1949, divenne professoressa di chimica nucleare all’Università di Strasburgo e infine, nel 1962, divenne la prima donna eletta all’Acca- demia delle Scienze di Francia, quella posizione che era stata negata sia a Marie nel 1911 che a Irène Curie negli anni ‘50. A differenza della madre, Irène si era ostentatamente candidata per ben tre volte, facendone ogni volta un caso pubblico. Non solo la vita di Marie Curie è stata particolare, anche quella della sua famiglia ha avuto tratti fuori dalla normalità. Ai premi Nobel di Marie e di suo marito Pierre del 1903 per la fisica e di Marie nel 1911 per la chimica, vanno aggiunti quelli della figlia Irène e di suo marito Frédéric Joliot per la chimica nel 1935. Nel 1936, Irène fu anche sottosegretaria alla ricerca scientifica per il governo popolare di Leon Blum. In quella coalizione, per la prima volta in Francia, furono presenti donne con responsabilità di governo. Lei e soprattutto il marito, assieme a Paul Langevin, furono poi fra le figure più significative della resistenza francese nei lunghi anni della occupazione nazista, durante i quali l’Istituto Curie fu posto sotto controllo. Nel 1946 quando fu fondata la CEA (Commissione per l’Energia Atomica) Frédéric ne sarà il direttore e Irène uno dei commissari. Sotto la guida di Frédéric Joliot-Curie, nel 1948, fu costruito il primo reattore nucleare francese. Nei primi anni 50 entrambi i Curie-Joliot furono fatti dimettere dalle loro posizioni nella CEA per le loro simpatie di sinistra. In una sorta di specchiamento della vicenda Marie-Pierre, fu Frédéric, questa volta, a succedere, alla morte di Irène nel 1956, a sua moglie alla cattedra di fisica nucleare. L’altra figlia di Marie, Eve Curie, ha attraversato tutto il secolo, diventando un’apprezzata concertista e scrittrice. Fuggita dalla Francia dopo l’occupazione tedesca del 1940 si impegnò da Londra nella guerra al nazifascismo. Coeditrice del quotidiano Paris Presse dal 1945 al 1949, fu nominata nel 1952 consigliere speciale del segretario generale dell’ONU. Nel 1954 sposò Henry Richardson-Labouisse (1904-1987), diplomatico degli Stati Uniti, che fu per 15 anni direttore dell’UNICEF, ritirando, così, di persona il premio Nobel per la pace conferito all’UNICEF nel 1965. Eve Curie fu anche la prima biografa di Marie. Il suo libro, Madame Curie, pubblicato nel 1937, contribuì fortemente alla creazione del mito di Marie, angelo del laboratorio, musa della ricerca e genio ossessivo. Il libro, più volte trasposto in film e sceneggiati, rappresentò la canonizzazione della figura pubblica di Marie. Nulla in questa biografia veniva detto sulla storia d’amore fra Marie e Paul Langevin e sullo scandalo conseguente. Ma, ironia e, talvolta, tenerezza della Storia, una nipote di Marie, Hélène Langevin-Joliot (1927-), figlia di Irène e Frèdèric Joliot, anche lei fisica nucleare, fra le prime donne a dirigere un laboratorio del CNRS francese e particolarmente attiva nella battaglia per un sempre maggior riconoscimento del ruolo delle donne nell’attività scientifica, conobbe sui banchi dell’università e poi sposò Michel Langevin (19261985), anche lui fisico e nipote di Paul Langevin, chiudendo in qualche modo il cerchio dolce e maledetto, esploso nel 1911. 35 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO BIBLIOGRAFIA [1] U. Amaldi, “Il testamento intellettuale e morale di Marie Curie”, la cà granda 48, 21 (2007). [2] S. 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Adloff, “Les carnets de laboratoire de Pierre et Marie Curie et la note presentée par Marie Curie á l’Académie des sciences le 26 décembre 1898 et la découverte du radium”, Comptes Rendu Série IIc 1, 801 (1998). [10] P. Molinié e S. Boudia, “Une application méconnue et pourtant célébre de l’électrostatique: les travaux de Marie Curie, de la découverte du radium á la métrologie de la radioactivité”, Journal of Electrostatics 64, 461 (2006). [11] B. M. Coursey, R. Collé e J. S. Coursey, “Standards of radium-226: from Marie Curie to the International Committee for Radionuclide Metrology”, Applied Radiation and Isotopes 93, 1137 (1881). [12] M. Curie, “Pierre Curie. With Autobiographical Notes”, Dover, New York 2012. [13] L.-P. Jacquemond, “Iréne Joliot-Curie Biographie”, Odile Jacob, Paris 2014. [14] I. Chavannes, “Lezioni di Marie Curie - La fisica elementare per tutti”, Dedalo, Bari 2004. [15] C. 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SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Marie-Sophie Germain: matematica e fisica romantica dell’800 VINCENZO VILLANI Dipartimento di Scienze, Università della Basilicata N el 1809 Ernst Chladni (1756-1827, fisico tedesco) pubblicò dei risultati sorprendenti, le cosiddette figure di Chladni: queste si formano facendo vibrare una lastra sottile ricoperta di sabbia fine. Gli esperimenti erano effettuati spargendo su di una lastra di vetro della sabbia e facendola vibrare, ‘suonandola’ con un archetto; la sabbia salta via ‘danzando’ dalle zone in vibrazione e si accumula lungo le ‘linee nodali’, cioè i luoghi dei punti che restano immobili durante le vibrazioni. Rapidamente la membrana si ricopre di figure fantastiche in cui i nodi formano schemi geometrici complessi e simmetrici. Il risultato dipende dalla forma della superficie, dalla frequenza di vibrazione e dalla posizione dei sostegni. Nel 1808 Chladni aveva presentato i suoi esperimenti a Parigi all’Accademia delle Scienze: l’esito fu tanto affascinante che fu invitato a ripeterli al cospetto di Napoleone che ammirato propose all’Accademia di conferire una medaglia d’oro da un chilo a chi sarebbe riuscito ad elaborare una teoria capace di spiegare le figure. Il concorso fu bandito nel 1809 con il termine di due anni con l’obiettivo di elaborare la teoria dei modi normali di vibrazione di una membrana elastica: è questo un tema che rimane di grande importanza teorica e tecnologica in special modo nella scienza dei materiali. Mademoiselle Sophie Germain a quel tempo aveva trentatre anni e fino allora si era occupata di teoria dei numeri primi e dell’ultimo teorema di Fermat in una fitta corrispondenza col grande matematico tedesco Carl Friedrich Gauss (17771855) comunicando in incognito sotto il nome di AntoineAugust Le Blanc! Come è ben noto, anche nella Francia post-rivoluzionaria la partecipazione delle donne alla vita sociale era piena di barriere e pregiudizi e le università e le accademie del tutto precluse. Sophie intraprese una lotta impari e dolorosa contro questo stato di cose raggiungendo risultati illustri ma restando sempre discriminata dal mondo della scienza dell’800. Marie-Sophie nacque a Parigi nel 1776 in una famiglia benestante della borghesia liberale e colta. Studiò da autodidatta quanti più libri di matematica poté nella ricca biblioteca paterna. In questo suo ‘strano’ interesse fu osteggiata dai genitori, riducendosi a studiare, nelle notti d’inverno, avvolta nelle coperte, al lume di una candela e con l’inchiostra che gelava nel calamaio, per non farsi scoprire…Infine i suoi cedettero e la sostennero nella sua vocazione per tutta la vita, troncata prematuramente nel 1831 per un cancro al seno. La sua fu una vita romantica, fatta di slanci eroici verso i problemi fisico-matematici più ardui del tempo. Sophie afferrò al volo l’opportunità offerta dal concorso sulle figure di Chladni e per più di un decennio si occupò di teoria dell’elasticità, competendo e collaborando con ma37 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO matematico, tanto geniale quanto tematici e fisici illustri come La‘velenoso’. Poisson spiegò le vigrange, Poisson e Fourier, orgobrazioni della superficie elastica gliosa di cimentarsi alla frontiera applicando il modello newtoniadella scienza dell’800. no: la membrana consiste di parPer affrontare la teoria delle vibrazioni Marie-Sophie intraticelle interagenti mediante forze prese lo studio della Mécanique attrattive e repulsive proporzionali Analytique di Lagrange ed i saggi alla variazione delle distanze intermolecolari. Sotto ipotesi strindi Euler sulle barre elastiche: nel genti, alle condizioni di equilibrio 1757 Euler aveva risolto il problema della deformazione di una tradel sistema ricavò l’equazione ve e nel 1767 esplorato la teoria di Lagrange-Germain. Nel 1814 della deformazione e vibrazione Poisson pubblicò il suo lavoro sulle superfici elastiche: come accadi una lamina, usando i risultati per studiare le vibrazioni delle demico non poteva concorrere al campane. Egli aveva stabilito che premio, ma molti fisici ritennero la forza elastica di una barra è che il meccanismo fisico alla base proporzionale alla curvatura della delle figure di Chladni fosse spieMarie-Sophie Germain gato. barra stessa ed aveva modellato la Nel 1815 Sophie pubblicò il termembrana con un reticolo ortogonale di linee flessibili derivando un’equazione differenziale zo saggio sull’elasticità: ‘Ho rimpianto fortemente di non esalle derivate parziali. sere stata a conoscenza della memoria di Poisson. Ho perso Sophie adottò la teoria di Euler: in ogni punto di una su- molto tempo per me prezioso in attesa della pubblicazione.’ perficie è possibile definire un insieme di curvature ottenute Ella attacca il metodo ab-initio di Poisson, fondato su entidall’intersezioni con piani perpendicolari. Quindi, la forza tà e forze ipotetiche, difendendo il suo approccio fenomeelastica è proporzionale alla somma delle curvature, somma nologico: la forza elastica in un punto è proporzionale alla che viene ridotta a quella delle curvature minima e massima somma di tutte le curvature della superficie in quel punto. dette principali. In questo modo l’energia elastica della su- Questa somma si riduce a quella delle curvature principali perficie è proporzionale all’integrale della somma delle cur- e l’equazione è derivata dall’integrale delle curvature prinvature principali e da questo è possibile derivare l’equazione cipali. Restava indimostrato il postulato di base che la dedifferenziale in condizioni d’equilibrio. formazione fosse necessariamente proporzionale alla forza Nell’ottobre 1811, la data di chiusura della concorso, sola- applicata. Con questa riserva i giudici conferirono il premio mente il lavoro di Mlle. Sophie Germain era stato presentato. alla Germain che, forse offesa, non partecipò alla cerimonia Tuttavia, non ottenne il premio, la motivazione fu che le sue di premiazione. La comunità scientifica non gli aveva dimoipotesi non erano state ricavate da principi fisici fondamen- strato il rispetto dovuto: Poisson evitò di discutere i risultati tali: oggi diremmo, la sua era una teoria fenomenologica che con lei ignorandola pubblicamente. non partiva dalle entità prime interagenti. Lagrange, che faIl morale di Sophie fu risollevato dall’amicizia sincera con ceva parte della giuria, scoprì nella sua analisi alcuni errori, li Jean-Baptiste-Joseph Fourier (1768-1830, che ricordiamo corresse e derivò un’equazione soddisfacente per descrivere per la teoria della conduzione del calore, per la serie e la le figure di Chladni: trasformata omonima). Grazie a Fourier prese a frequentare le sedute dell’Accademia: prima donna a parteciparvi a pieno titolo. A partire dal 1820 riprese a studiare la teoria dei numeri col matematico Adrien-Marie Legendre (1752-1833) tuttavia, nel 1830 Gauss non riuscì a convincere l’Università dove N2 è una costante. di Gottinga a conferirle la laurea honoris causa. Sophie morì alla giovane età di cinquantacinque anni. NeNel 1811 l’Accademia prorogò i termini del concorso e di gli ultimi anni scrisse un saggio filosofico rimasto incompiunuovo la Germain fu l’unico concorrente: nel secondo lavoro to: ‘Considérations générales sur les Sciences et les Lettedimostrò che l’equazione di Lagrange-Germain spiegava le res’ (1833) in cui mostra la profondità e sensibilità del suo figure di Chladni in alcuni casi semplici tuttavia, non riuscì pensiero: l’Universo ha un carattere profondamente unitario, ad escogitare una derivazione dell’equazione da principi pri- pieno di analogie seguendo le quali lo spirito ci guida alla mi: anche questa volta non ottenne il premio ma una men- scoperta dei fenomeni e delle leggi. zione onorevole. Quanto pesò sul giudizio il fatto di essere una donna? A questo punto, la strada era aperta ed il problema fu ripreso da Siméon-Denis Poisson (1781-1840): il grande fisico38 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Il Gabbiano ha preso il volo. Valentina V. Tereshkova - Samantha Cristoforetti. Una conquista lunga cinquantuno anni ANNA TOSCANO The things we thought that we should do We other things have done But those peculiar industries Have never been begun The Lands we thought that we should seek When large enough to run By Speculation ceded To Speculation’s Son The Heaven, in which we hoped to pause When Discipline was done Untenable to Logic But possibly the one Emily Dickinson, J1293 (1874) Q uesto breve saggio di storia della scienza vuole essere un contributo alla riflessione intorno al dibattito, ancora purtroppo tutto da affrontare, sull’eguaglianza di genere nella vita scientifica italiana e non solo, sebbene il 2014 abbia registrato per la scienza al femminile tre emblematici traguardi1, dei quali due italiani: Fabiola Gianotti, fisico, prima donna nominata Direttore Generale del CERN di Ginevra, Maryam Mirzakhani, matematico, vincitrice della prima Fields Medal attribuita ad una donna e Samantha Cristoforetti, ingegnere, che a cinquantuno anni di distanza da Valentina Tereshkova, prima donna cosmonauta, è la prima donna italiana ad essere stata lanciata nello spazio il 23 novembre 2014 dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakhstan, ed a restare in orbita, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale con la missione “Futura”, Expedition 42-43, fino a maggio 2015. Oggetto di questo breve saggio è proprio il racconto dell’intervallo di 51 anni che separa le due missioni spaziali al femminile, quella di Valentina e l’impresa di Samantha, ricostruito anche con l’ausilio dei documenti tratti da alcune fonti giornalistiche italiane, intese come strumenti essenziali 1 E. Strickland, Essere donna e fare scienza in Italia: un’impresa difficile, in “Scienze-e-Ricerche”, n. 5, Marzo 2015, pp. 5-6 per il contributo dato alla costruzione, nell’immaginario collettivo, dell’identità di genere. «Si chiama Valentina! [...] Dopo il primo uomo, Gagarin, da oggi anche la prima donna si è staccata dalla Terra per volare nel cosmo: è una donna sovietica, una semplice ragazza di 26 anni, figlia di contadini divenuti operai e, in passato, operaia lei stessa. Il suo nome, destinato ad entrare nella storia accanto a quello di tutti i grandi pionieri ed esploratori, è Valentina Tereshkova. La sua astronave, la «Vostok 6», si è alzata dal cosmodromo di Baikonur, oggi alle 12,30 (ora di Mosca), ed è entrata in una orbita molto vicina a quella su cui già vola da due giorni Valeri Bykovski, il quinto astronauta sovietico […] È stata la televisione sovietica a dare per prima il sensazionale annuncio. Erano a Mosca le 14,01. Cominciava in quel momento uno dei collegamenti televisivi col cosmo che si ripetono molto di frequente in questi giorni. Ma all’improvviso, sullo schermo, invece del volto ormai familiare ed un po’ ironico di Bykovski, è apparso, chiuso nel casco, l’ovale più delicato di un viso femminile. In quello stesso momento l’annunciatore pronunciava trionfalmente il nuovo nome: Valentina 39 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Tereshkova. Il volto, leggermente contratto, della donna si è aperto in un bel sorriso. Valentina ha alzato una mano agitandola in segno di saluto. Le trasmissioni si sono poi ripetute più volte, a breve distanza, nel corso delle due ore seguenti. Una scossa di autentica commozione ha elettrizzato da quell’istante tutto il Paese. A Mosca la folla domenicale del centro si è riversata spontaneamente verso la Piazza Rossa. La giornata di oggi potrà stare nella grande storia della ragione, del progresso e dell’eroismo umano, alla pari con quell’altra giornata di due anni fa che vide Gagarin avventurarsi per primo sulla via delle stelle: lo stesso cammino per la prima volta è percorso da una donna […]»2 «Una donna ha raggiunto il cosmonauta nello spazio Da ieri sono in orbita due Vostok sovietici. È Valentina Tereskova [sic], di 26 anni, sottotenente. Di famiglia contadina, in tenera età rimase orfana del padre, ucciso in guerra. Sino al 1960 lavorò come operaia tessile, poi si diplomò e divenne paracadutista. Mezz’ora dopo il lancio, la sua astronave si è notevolmente avvicinata a quella di Bykovski con il quale è collegata attraverso la radio […] L’Urss segna un nuovo spettacolare punto a suo vantaggio nella gara spaziale: ieri alle 12,30 dal cosmodromo di Baikonur nella steppa del Kasakstan [sic], è stata lanciata la prima donna cosmonauta il cui vascello spaziale, “Vostok VI”, s’è inserito in un’orbita parallela e vicinissima a quella che già da 72 ore descrive la “Vostok V” pilotata dal tenente colonnello Bykovski. La prima donna del cosmo si chiama Valentina Vladimirovna Tereskova [sic], ha 26 anni, è sottotenente. La sua cifra di volo è “Gabbiano” (“Nibbio” è la cifra di Bykovski) […] L’annuncio è avvenuto con una procedura del tutto insolita. Qualche minuto prima delle due è apparsa all’improvviso, senza preannuncio, sul video delle televisioni sovietiche, l’immagine di un cosmonauta in volo dentro la capsula. Sulle prime, pareva trattarsi di una delle innumerevoli immagini di Bykovski trasmesse in questi giorni in presa diretta dal cosmo. D’un tratto però la voce dello speaker ha annunciato: “Quella che vedete è una donna”. Quando infatti l’immagine si è fatta più nitida, si è visto chiaramente che il cosmonauta era una donna dal viso largo, tipicamente russo; sorrideva […] Quando la prima sconvolgente immagine si è di colpo dissolta, la voce solenne dello speaker ha annunciato: “Quella che avete visto è la prima donna, una donna sovietica, lanciata nel cosmo. Alle ore 12,30 ora di Mosca è stata messa in orbita la nave satellite [sic] “Vostok VI” guidata, per la prima volta nel mondo, da una cosmonauta, la compagna Tereskova [sic] Valentina Vladimirovna. Lo scopo di questo lancio è la continuazione dello studio delle 2 Giuseppe Boffa dalla redazione di Mosca, 16 giugno 1963, in “L’Unità” del 17 giugno 1963, p. 1 40 reazioni dell’organismo umano al volo spaziale; in modo particolare saranno analizzati, con uno studio comparativo, i comportamenti di un organismo maschile e di uno femminile posti in condizione analoghe di volo cosmico [..]»3 «Appuntamento nello spazio. Perché una donna Molti dati stanno ad indicare una maggiore resistenza dell’organismo femminile rispetto a quello maschile. Dopo aver avuto, con Yuri Gagarin, il primo violatore dello Valentina Tereskova 3 Enzo Bettiza corrispondente da Mosca, in “Stampa sera”, edizione del Lunedì, del 17 – 18 giugno 1963, p. 1 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA spazio extra-terrestre, l’Unione Sovietica può vantare oggi la prima donna cosmonauta del mondo. Il che, si badi bene, non ha per nulla il significato di una esibizione spettacolare, non deve essere inteso, cioè, come un fatto di curiosità, ma come una tappa che si inserisce logicamente nella vicenda affascinante della astronautica. In altre parole, come una fase necessaria della ricerca scientifica in questo campo.»4 Era il 16 giugno 1963, a Roma tutto era pronto per il Conclave che avrebbe dovuto eleggere il successore di Giovanni XXIII, e l’Unione Sovietica, dopo aver portato nel 1961 Jurij Gagarin, il primo essere umano, al di fuori dall’atmosfera terrestre, stabiliva un altro significativo primato nelle scienze spaziali. Cinquantuno anni fa la stampa italiana, con diversi accenti sul genere del cosmonauta, così raccontava il volo di Чайка (Čajka), ovvero del ‘Gabbiano’, nome in codice assegnato a Valentina Tereshkova5 a bordo del modulo spaziale “Vostok 6”, col quale divenne la prima donna a conquistare lo spazio. Valentina Tereshkova percorse 48 orbite in 2 giorni - 22 ore - 50 min, superando nei tempi di permanenza nello spazio gli astronauti americani. La missione di Čajka, non fu però una passeggiata. Lo raccontò diversi decenni dopo la stessa cosmonauta; ma nonostante le difficoltà ed i diversi problemi tecnici, la sua missione fu salutata come un totale successo. Al suo ritorno Valentina fu premiata e portata in trionfo come un’eroina. In suo onore fu coniata una moneta, stampati francobolli; ad una valle lunare fu assegnato il suo nome. 4 Gaetano Lisi in “L’Unità” del 17 giugno 1963, p. 3 5 (6 marzo 1937) Come scriveva la stampa italiana a due giorni dal lancio: «Tutto il mondo ha visto nel volo di Valja una tappa dell’emancipazione»6, benché alcune testate preferivano, per alcuni versi, sottolineare con prudenza «quel che di più o di diverso significhi la presenza d’una donna nello spazio dopo una decina di predecessori maschi […] non è tema che vogliamo per ora toccare»7. Eppure l’eco suscitata in tutto il mondo dall’«arditissima impresa spaziale sovietica» fu amplissima. E le reazioni le più diverse, sia sui mezzi di informazione che da parte delle personalità più in vista di ogni paese. L’impresa della Tereshkova segnava due importanti tappe nel raggiungimento di una parità di genere per le donne: da un lato sanciva la consapevolezza che il diritto allo studio fosse il presupposto necessario all’uguaglianza anche di genere e dall’altro che la ricerca scientifica costituisse uno dei mezzi fondamentali per il suo conseguimento. Valentina assurgeva a modello: figlia di contadini, orfana di guerra, operaia, studentessa serale, quindi perito tessile, paracadutista, fra gli astronauti e le astronaute, Tereshkova arrivò con quella che chiameremo la seconda leva. Non faceva parte infatti del gruppo che per primo cominciò gli addestramenti. Quando Gagarin compì il suo volo, Valentina lavorava ancora nella fabbrica di Jaroslav. Fu proprio l’impresa del primo cosmonauta ad indurla a presentare a sua volta domanda. E quando questa fu accolta, ella si distinse nelle durissime prove che fanno parte della preparazione psicofisica al volo extra atmosferico, rivelandosi per alcuni 6 L’Unità” del 18 giugno 1963, p. 4 7 Didimo, Il volo del gabbiano, in “Stampa sera”, edizione del Lunedì, del 17 – 18 giugno 1963, p. 1 41 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO «Per l’impresa di Valentina entusiasmo delle donne a Roma Valentina è diventata subito popolare tra le donne romane. Nelle fabbriche, negli uffici, nei mercatini delle borgate e negli ambienti più diversi giovani e anziane hanno parlato ieri della prima cosmonauta della storia come di una vecchia conoscenza; nessuna nascondeva la propria soddisfazione. Le operaie della “Leo” all’uscita dalla fabbrica, aspettando l’autobus, si sono passate di mano in mano alcune copie dei giornali della sera con i titoli a caratteri cubitali sull’impresa dei due cosmonauti sovietici. “In fabbrica facciamo tutto quello che fanno gli uomini – ha detto una delle più giovani - Non c’e nulla di strano quindi se anche noi andiamo nello spazio”. Tutte hanno voluto esprimere la loro opinione sul volo di Valentina […] Angelica Desideri, operaia, Tiburtino III: “In vita mia ho sempre lavorato e ho sempre saputo che le donne possono fare tutto quello che fanno gli uomini; ma ora Valentina lo farà sapere a tutto il mondo”»8. «Elena Terzolo, operaia e dirigente della Commissione interna della “Michelin” di Torino […] “Come donna e come operaia della “Michelin” interpretando anche il pensiero delle mie compagne di lavoro, penso che questa impresa meravigliosa di cui è protagonista una donna, non potrà che confermare una volta di più il coraggio e la capacita delle donne […]. Valga questa impresa a scuotere anche in una certa mentalità relativa a quei ceti conservatori che solo a parole sostengono la parità dei diritti delle donne, ma talvolta nel costume familiare o ancor peggio nei salari in fabbrica fanno fin troppo nette distinzioni di sesso»9. Tanto si leggeva sulla stampa italiana in quei giorni, che riportava tra le reazioni internazionali a quell’impresa, le unanimi proteste degli ambienti femminili per l’esclusione delle donne statunitensi dai programmi spaziali NASA. aspetti più idonea dei colleghi uomini. L’idea di addestrare donne cosmonauta venne lanciata sin dal 1961, poco dopo lo storico volo di Jurij Gagarin. Poiché vi erano poche donne pilota, la ricerca fu estesa selezionando anche paracadutiste, questo ultimo aspetto in linea con le competenze richieste dalle modalità di rientro dal volo. Tra le 58 candidate, il 16 febbraio 1962 venne ufficializzata la scelta di cinque donne che formarono la seconda unità di cosmonauti dell’Unione Sovietica, indicata come gruppo donne cosmonauta: Zhanna Yorkina Tatyana Kuznetsova Valentina Ponomaryova Irina Solovyova Valentina Vladimirovna Tereshkova 42 «“No Comment della Nasa” Washington, Lunedì mattina. Un portavoce della “Nasa”, O.B. Lloyd jr., ha dichiarato che la “Nasa” stessa non commenterà il volo della prima cosmonauta sovietica fin quando non siano conosciuti l’obiettivo e l’esito della prova. Ha aggiunto che gli Stati Uniti non pensano, per ora di includere donne nei programmi di esplorazione spaziale. È noto che diverse aviatrici americane hanno protestato per la loro esclusione dai programmi spaziali»10. «[…] Il volo della cosmonauta sovietica ha suscitato anche negli Stati Uniti molta emozione e molti commenti. Gli scienziati e i tecnici della Nasa hanno disposizione di non fare commenti in pubblico sugli esperimenti sovietici, in via privata però molti di essi hanno avuto parole di 8 “L’Unità” del 18 giugno 1963, p. 4 9 “L’Unità” del 18 giugno 1963, p. 4 10 “La Stampa” del 17 giugno 1963, p. 3 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA ammirazione per l’impresa sovietica e in particolare per il volo simultaneo di due navi spaziali in orbite così vicine. Uno di questi scienziati ha rilevato la differenza dei criteri seguiti negli Stati Uniti per la selezione degli astronauti dicendo: “Molti dirigenti negli Stati Uniti hanno detto che nessuna donna è stata selezionata per i voli nel cosmo poiché nessuna ha la necessaria esperienza di pilota collaudatore […]” Il senatore democratico Mike Mansfield […] ha aggiunto che gli Stati Samantha Cristoforetti Uniti avrebbero dovuto considerare la possibilità di addestrare anche delle donne per i voli spaziali. In concreto perche questo non è stato fatto? Lo spiega il generale Leighton Davis, comandante del centro sperimentale missilistico di Cape Canaveral. Il progetto spaziale americano - egli ha detto - non prevede l’utilizzazione di donne nei voli spaziali perché gli astronauti vengono scelti esclusivamente fra militari che abbiano al loro attivo almeno mille ore di volo su aerei a reazione. “Tale fatto - ha aggiunto il generale – elimina di per sé le donne in possesso degli altri requisiti»11. Gli Stati Uniti dovranno aspettare vent’anni per vedere nel 1983 Sally Ride12 la loro prima donna tra le stelle, terza astronauta in assoluto dopo Svetlana Savitskaya13. Sebbene, come è ben noto14 esistesse dal 1961 il programma di ricerca “Mercury 13”, svolto sotto copertura di segreto militare, partendo dalle ricerche compiute da William Randolph Lovelace II, medico specialista responsabile dei protocolli di selezione degli astronauti per conto della NASA, che prevedeva l’addestramento di equipaggio femminile. Venticinque donne furono sottoposte alle stesse tre fasi di test iniziale proposte agli aspiranti astronauti di sesso maschile (performance fisica, performance psicologica, simulazione di volo ad alta quota e di volo spaziale, standards degli stati di coscienza sotto stress). Analizzando i dati, la commissione medica registrò un primo repertorio di informazioni, alcune delle quali segnalavano una maggiore predisposizione dell’organismo femminile agli stress da volo 11 “L’Unità” del 18 giugno 1963, p. 4 12 (26 maggio 1951- 23 luglio 2012). Fisico – Challenger, 18 giugno 1983, 14gg 7h 46m 13 (8 agosto 1948). Ingegnere di volo – Salyut 7 -19 agosto1982, 19gg 17h 06m. Prima donna a compiere EVA (Attività ExtraVeicolare) 25 luglio 1984, 3h 35m 14 Martha Ackmann, Mercury 13. La vera storia di tredici donne e del sogno di volare nello spazio, tr. it a cura di Cristina Ingiardi, Springer Italia, 2011 spaziale. Tredici aspiranti superarono la selezione e costituirono l’equipaggio “Mercury 13”: Geraldyn ‘Jerrie’ Cobb, Bernice ‘Bea’ Steadman, Janey Hart, Geraldine ‘Jerri’ Sloan Truhill, Rhea Allison Woltman, Sarah Lee Goerlick Ratley, Jan e Marion Dietrich, Myrtie Cagle, Irene Leverton, Jene Nora Jessen, Jean Hixson, Wally Funk. Benché altamente qualificate (Geraldyn ‘Jerrie’ Cobb possedeva al suo attivo diecimila ore di volo, il doppio di John Glenn quando diventò il primo astronauta americano in orbita), il programma “Mercury 13” fu cancellato prima ancora che potessero completarsi le fasi finali del test per le aspiranti, da svolgersi presso il centro di addestramento dei Top Gun della Naval Air Station in Florida. L’accesso delle donne alle accademie militari, e quindi all’alta formazione ed agli addestramenti per il volo spaziale, verrà concesso dal Governo Statunitense solo a partire dal 1980. Dovranno trascorrere 51 anni perché un’italiana potesse raggiungere l’importante obiettivo scientifico e di genere di una missione spaziale, preceduta, nelle tappe più importanti, dalle colleghe Helen Sharman, di nazionalità britannica, prima astronauta europea15 e Liu Yang16, primo cosmonauta donna cinese. La missione della prima donna cosmonauta italiana Samantha Cristoforetti17, in orbita attualmente a bordo dell’ISS, 15 (30 maggio 1963). Chimico, la prima astronauta britannica ed europea ad andare in orbita con permanenza a bordo della stazione orbitante sovietico/russa MIR, 18 maggio 1991, con 7gg 21h 13m 16 (6 ottobre 1978). Pilota, esperta in voli di squadriglia, Capitano Maggiore dell’Aeronautica Militare Cinese, Shenzhou 9, 13 giugno 2012, 13 gg. 17 Nata a Milano il 26 aprile 1977, Samantha Cristoforetti è uno dei sei astronauti ESA classe 2009, gli Shenanigans Diploma di Liceo Scientifico a Trento 43 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO in virtù dei supporti offerti dai social network si configura non solo come un repertorio di ricerche scientifiche, ma anche come un modello sperimentale, iniziato con la missione di Paolo Nespoli MagISStra, di comunicazione e coinvolgimento diretto del mondo della ricerca estrema con i settori della società civile, in particolare delle fasce giovanili e del mondo della scuola18. La sua preparazione alla missione ha visto il coinvolgimento dei mass media e documentari destinati alla fruizione di un vasto pubblico, che hanno registrato le varie fasi dell’addestramento, sono visibili sulla piattaforma YouTube19. Così come è possibile interagire con i suoi addestratori ESA20. Samantha è costantemente connessa in rete tramite la 2001 - Laurea Università Tecnica di Monaco di Baviera in ingegneria meccanica, con una specializzazione in propulsione spaziale e strutture leggere Ha frequentato l’École Nationale Supérieure de l’Aéronautique et de l’Espace di Toulouse (F) e la Mendeleev University of Chemical Technologies di Mosca, dove ha redatto la sua tesi di Master in propellenti solidi per razzi Diploma di scienze aeronautiche all’Università Federico II di Napoli 2005 – diploma Accademia di Pozzuoli dell’Aeronautica Italiana, dove durante la sua permanenza presta servizio come “class leader” Spada d’Onore per il miglior raggiungimento accademico 2005/2006 - Sheppard Air Force Base Texas, USA 2007 - 212^ Squadrone, 61^ Stormo Addestramento al Volo – Galatina (corso base di combattimento aereo) 2008 - 101^ Squadrone, 32^ Stormo Bomber di base - Foggia (addestramento operazionale di conversione per il velivolo di attacco da guerra AM-X) Qualifica - pilota da guerra addestramento scuola di volo Euro-NATO Joint Jet Pilot Training 132^ Squadrone - 51^ Stormo Bomber, di stanza a Istrana Capitano dell’Aeronautica Italiana Ha accumulato più di 500 ore di volo su sei tipi di aerei militari, compresi gli SF-260, T-37, T-38, MB-339A, MB-339CD, AM-X. Ha ricevuto il titolo di volo di ‘Best Wingman’ durante l’addestramento con il T-38. Competenze linguistiche Russo Inglese Tedesco settembre 2009 – selezione ESA novembre 2010 - addestramento base – astronauti 2011 - Reserve Astronaut Addestramento ISS EVA SOYUZ “sedile di sinistra”, ovvero ruolo di primo ingegnere di volo Luglio 2012 - missione Futura dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) a bordo della Stazione Spaziale Internazionale Lancio 23 novembre 2014 dal cosmodromo di Baikonur, Kazakhstan, insieme agli astronauti Terry Virts (NASA) e Anton Shkaplerov (Roscosmos). Si tratta della seconda missione di lunga durata dell’ASI sulla Stazione Spaziale Internazionale, ottava missione di lunga durata per un astronauta ESA. 18 http://avamposto42.esa.int/futura/ https://twitter.com/Avamposto42 https://www.facebook.com/Avamposto42 http://www.astronautinews.it/tag/logbook/ http://www.isaa.it/2014/06/isaa-per-avamposto42-il-sito-della-missionefutura/ 19 https://www.youtube.com/playlist?list=PLbyvawxScNbshQN7ZDLE aAW3WO-2sLzb_ 20 https://www.youtube.com/user/ESA 44 piattaforma dell’ESA “Avamposto42“, per la quale redige dal luglio 2013, quando mancavano 500 giorni al lancio, un Diario di Bordo, attraverso il quale è possibile esplorare il suo percorso formativo; i suoi profili Twitter, G+ e Flickr completano l’offerta di informazioni garantendo un ulteriore accesso social alla ricerca scientifica, in questo caso spaziale, presente nel panorama contemporaneo21. Questo ultimo aspetto marca ulteriormente gli orizzonti dei saperi, sempre più puntati verso una modalità di condivisione e di diffusione orizzontale, in linea con le peculiarità dei codici dei new personal devices che favoriscono l’eguaglianza non solo di genere. E ciò in stridente contrasto con i diktat della Finanza internazionale che impongono agli Stati politiche economiche lesive del diritto all’accesso alla conoscenza per tutti i soggetti. I cinquantuno anni trascorsi fra le due missioni spaziali di Valentina e Samantha raccontano che ancora molta è la strada da percorrere. «Galileo: […] Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal coraggio. Essa tratta il sapere, che è un prodotto del dubbio; e col procacciare sapere a tutti su ogni cosa, tende a destare il dubbio in tutti. Ora, la gran parte della popolazione è tenuta dai suoi prìncipi, dai suoi proprietari di terre, dai suoi preti, in una nebbia madreperlacea di superstizioni e di antiche sentenze, che occulta le malefatte di costoro […] Finché l’umanità continuerà a brancolare nella sua nebbia millenaria di superstizioni e millenarie sentenze, finché sarà troppo ignorante per sviluppare le sue proprie energie, non sarà nemmeno capace di sviluppare le energie della natura che le vengono svelate […] Non credo che la scienza possa porsi altro scopo che quello di alleviare le fatiche dell’esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all’intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà che fonte di nuovi triboli per l’uomo […] Nella mia vita di scienziato ho avuto una fortuna senza pari: quella di vedere l’astronomia dilagare nelle pubbliche piazze. In circostanze così straordinarie, la fermezza di un uomo poteva produrre grandissimi rivolgimenti. Se io avessi resistito, i naturalisti avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile a ciò che per i medici è il giuramento di Ippocrate: il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo vantaggio dell’umanità. Così stando le cose, il massimo in cui si può sperare è una progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo […]» Bertold Brecht, Vita di Galileo, (1938), tr. it. di E. Castellani, Torino, Einaudi, 1963 21 http://avamposto42.esa.int/diario-di-bordo/ https://twitter.com/astrosamantha https://plus.google.com/+SamanthaCristoforetti/posts SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Pino e le sue astronome GABRIELLA BERNARDI Una ricerca fra gli archivi storici dell’Osservatorio Astronomico di Pino Torinese per scoprire i primi nomi delle astronome che vi lavorarono. S ulla collina di Torino, dall’inizio dello scorso secolo, sorge l’Osservatorio Astronomico della città, che lasciò la sede in pieno centro città per evitare che le luci urbane interferissero con le osservazioni notturne. Avendolo frequentato in diverse occasioni, dalla tesi di laurea e come borsista, ed essendomi confrontata con diverse astronome, attraversando i corridoi delle palazzine liberty, mi sono sempre domandata da quando la presenza femminile è entrata a farne parte ufficialmente. L’antica biblioteca mi ha fornito materiale per approfondire questa curiosità e da qui ne è scaturita un’ insolita ricerca che porta in epoche passate. I registri ci dicono che Padre Boccardi fu direttore del Regio Osservatorio di Torino dal 1903 al 1923. Fu lui l’artefice dell’ammodernamento spostando questo centro di ricerca dall’antica sede posta sui tetti di Palazzo Madama, al centro di Piazza Castello in pieno centro città, nell’attuale sede sulla collina di Pino Torinese. Gli annuari riportano i suoi scritti ed un suo dubbio in particolare mi colpisce: “Il nuovo regolamento pel personale degli Osservatori Astronomici” dal quale si legge che: “ sarebbe prudente mettere come assistente di cattedra, per esempio di Geometria descrittiva e corrispondente disegno, una giovinetta in mezzo a 180 studenti?” nel caso in cui un posto fosse stato vinto da una donna. Sotto la sua direzione, forse si presentò questo problema dato che risultano ben otto donne che si avvicendarono inizialmente come “Assistenti Volontarie” e la maggior parte proveniva dalla facoltà di scienze con tanto di laurea. L’elenco riportato fornisce questa lista: la dottoressa Luisa Viriglio, collaboratrice dal 1904 al 1906, la dottoressa Ernesta Fasciotti, collaboratrice dal 1905 al 1906, la dottoressa Giovanna Greggi, collaboratrice dal 1911 al 1912 e nel 1913 risulta come Secondo Assistente mentre nel 1927 è Ordinario di Matematica e Fisica presso l’Istituto Tecnico di Mondovì ed emerge pure un lavoro di argomento matematico pubblicato negli Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti nel 1911-12, la dottoressa Teresa Castelli collaboratrice dal 1914 al 1918, poi la dottoressa Tiziana Comi, collaboratrice nel 1914 per quattro anni e socia della Società Urania dove tenne applaudite conferenze divulgative di argomento astronomico, la dottoressa Jeannette Mongini collaboratrice nel 1919-1920 e dimissionaria dalla carica di assistente il venticinque novembre del 1920 e ancora Corinna Gualfredo collaboratrice nel 1916 fino al 1921 e dall’Agosto del 1916 con il ruolo di Assistente di ruolo. E’ pure presente negli archivi un suo lavoro sulla determinazione delle costanti del piccolo cerchio meridiano, dove la prefazione del direttore Boccardi è curiosa perché parlando di lei utilizza la terza persona maschile. Entrò anche a far parte del comitato di redazione della rivista Urania e di lei il Boccardi scrive: “Sig. Gualfredo, che dal 1915 in poi aveva concorso largamente alle osservazioni, specialmente in I° verticale, si è ritirata dalle osservazioni alla fine di settem45 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO bre, In tal modo viene a mancare all’Osservatorio un aiuto efficace, intelligente e non retribuito” . Chiarificatrice questa ultima affermazione, ma l’elenco continua con Carla Greggi aiuto tecnico nel 1912 fino al 1920 e in un lavoro di Corinna Gualfredo viene definita calcolatrice, nome che a quel tempo definiva le persone, di solito di sesso femminile che si occupavano dei noiosissimi calcoli astronomici a mano, sostituite in seguito dalle effettive macchine calcolatrici. Proseguendo nei registri noto la presenza di Lina Graneris che scrisse un lavoro sulle Perturbazioni della cometa PonsWinnecke nelle opposizioni del 1921 e del 1927 , dopo di che bisogna attendere tempi più recenti per ritrovare presenza femminile, infatti, la dottoressa Demichelis del Laboratorio di Fisica del Politecnico di Torino collaborò nel 1942 fino al 1946 effettuando diagrammi microfotometrici adatti allo studio delle tracce di una stella variabile, la dottoressa Ernesta Tedeschi, collaboratrice dal primo dicembre 1943 al trenta novembre del 1946, si laureò nel 1942-43 con una tesi sullo Studio delle variazioni luminose della stella AK Herculis e loro interpretazione nell’ipotesi della sua duplicità, alla quale subentrò Enrichetta Lagutaine laureatasi nel 194546 46 con una tesi sull’Esame critico della teoria di Russel per la determinazione delle orbite dei sistemi binari fotometrici, assunta il primo dicembre del 1946 per un solo anno presso l’Osservatorio di Torino in qualità di incaricata di studi e ricerche ed infine compare il nome di Teresina Tamburini. Dai registri il suo incarico ufficiale era il riordino della biblioteca dopo l’occupazione e venne assunta in osservatorio nel 1966. Oggi la situazione è ben differente, il personale presente annovera quasi il 50% di presenza femminile a tutti i livelli, ed anni fa il ruolo di direttore è stato affidato ad una donna. Chissà cosa scriverebbe Padre Boccardi sul regolamento! SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2014 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Donne. E le parole per parlarne PATRIZIA TORRICELLI Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne, Università degli Studi di Messina L e parole con cui si parla delle cose sono importanti per almeno due ragioni. La prima, è che esse rivelano la mentalità di chi ne parla. Quindi, ci avvertono che bisogna tener conto di ciò che dicono per conoscerla. La seconda è che, per la stessa ragione, ci ammoniscono di non prender troppo sul serio ciò che dicono, perché ogni mentalità è frutto di una cultura e la cultura è figlia solo degli uomini, del loro pensiero e della storia. Parliamo della prima ragione d’importanza. Le parole sono segni usati per comunicare. Esse assolvono questo compito usando una dinamica semiotica per la quale una serie di suoni – tecnicamente detta significante - provoca nella mente l’insorgenza di un’immagine del mondo esperito, detta idea, e racchiusa linguisticamente in quello che si chiama normalmente un significato. Perciò, le parole – opportunamente lette, usando le tecniche della linguistica - ci rivelano qual è l’idea delle cose riferite che i parlanti hanno in mente quando le usano per parlare del mondo in cui vivono. La somma delle idee che si hanno in mente costituisce – schematizzando un po’ l’esposizione - quella che si chiama una mentalità: ossia, l’immagine del mondo che è nella testa di ognuno di noi, con le regole di comportamento indi- viduale e collettivo che ne derivano – e che costituiscono i cosiddetti valori in cui crediamo e dai quali ci facciamo quotidianamente condizionare l’esistenza trasformandoli in stereotipi di pensiero. Vediamo, allora, di capire quale mentalità traspare dalla somma di parole con le cui immagini si declina oggi l’idea di un mondo femminile e qual è la loro storia, a ritroso nel tempo, poiché le nostre parole, prima di essere italiane erano latine - e indoeuropee prima ancora - e da queste ideologie storiche le nostre, moderne, sono nate e si sono sviluppate, cambiandole o conservandole. Femminicidio, usata a emblema di una tragica situazione dei nostri giorni – alla quale le cronache ci hanno tristemente abituato nonostante i numerosi appelli di civiltà - è parola dotta, coniata su l’it. femmina aggiunto al lat. caedo secondo una prassi derivativa usuale in italiano, sul modello di omicidio, uxoricidio e significa “uccisione di donne”. A dire il vero dovrebbe significare “uccisione di femmine”, ma l’accezione sarebbe inesatta per il genere d’immagine mentale che femmina e donna, rispettivamente, richiamano oggi. L’italiano femmina infatti è la continuazione del latino femina. In latino la parola evoca una qualità imprescindibile dell’essere femminile - che è il seno per l’allattamento - per47 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO ché essa appartiene formalmente alla stessa serie lessicale di fecundus, detto di ciò che è ben nutrito, e di filius, il cui significato etimologico è “colui che viene allattato”. La stessa forma, nel gr. antico, aveva il significato di “nutrice” oltre a quello generico di essere femminile. Questo era l’aspetto della donna che risaltava, fra le immagini mentali suscitate dalla parola, sia per gli antichi Greci che per i Romani, quando parlavano della donna usando tale termine. In italiano femmina e femminile hanno perso memoria lessicale dell’antica idea di nutrimento al seno, ma conservano un’accezione legata al genere specifico opposto a quello maschile. La donna diventa femmina quando sono messi in risalto i suoi attributi di sesso. È questo l’ascendente immaginifico che determina le implicazioni sessuali di ogni genere – anche negative, come in certi ambiti religiosi medievali, per i conflitti della tentazione - poi assunte dalla parola in conformità alla rappresentazione ideale della sessualità, maschile e femminile, che si è sviluppata durante i secoli della nostra storia. Il francese, per esempio, ha fatto del latino femina la sua parola per donna: femme, che non cela alcun pudore o reticenza espressiva nei confronti degli attributi femminili della donna rispetto all’uomo. Indice di un trascorso linguistico che ha seguito altri cammini culturali, oggi appena visibili nella parola, diventata un termine generico del francese comune. Diversa la dimensione di donna. La sua forma linguistica ci mostra che essa è la versione italiana del lat. domina. La parola, in latino, è stata coniata prendendo spunto da domus che significa “casa”. L’immagine evocata è dunque quella della padrona di casa che affianca in veste femminile il dominus maschile. La manzoniana Donna Prassede esemplifica perfettamente la continuazione di questa immaginazione di ruolo più che di persona. Nel tempo, naturalmente, la parola si è prestata ad altre accezioni complementari. Ma la sua originaria dimensione ideale è dimostrata dal fatto che deve, in questi casi, essere accompagnata da specifiche apposizioni: donna di servizio, donna di malaffare, donna di strada, primadonna. Anche madonna (mea domina) fa trasparire, la stessa idea di rispetto, declinata nel senso di donna d’alta condizione, sia in versione laica – come le madonne fiorentine del Duegento – che in versione religiosa, come Signora del cielo già nella stessa epoca. Il francese madame ne è la versione in questa lingua. Così come rammenta una simile immagine di donna il greco antico damar che usa lo stesso etimo di “casa”, detta in gr. domos, per indicare la padrona della casa, in questo caso la sposa legittima rispetto alle concubine: ossia le donne che dividevano il letto del padrone, dal lat. cum-cubare. Le altre mogli, insomma, nell’accezione moderna di poligamia. Moglie, è il termine per indicare la consorte di un uomo, la sua sposa. Figura femminile per eccellenza, evidentemente, se già in latino il termine mulier era l’appellativo stesso 48 per donna, così chiamata, appunto, genericamente; mentre la condizione sociale e legale della moglie era espressa da uxor parola che non ha continuato a esistere in italiano se non nei latinismi dotti: uxoricidio, o more uxorio. Nel mondo ideale latino mulier è il contrario femminile di vir - che significa “uomo” - ma che non si è replicato in italiano se non nell’aggettivo virile con le stesse connotazioni d’immagine. Mentre uomo continua il latino homo il quale a sua volta continua l’i.e. *hom- che ha la stessa etimologia del lat. humus il cui significato è “terra”. Così, l’uomo è concepito, fin dalla cultura indoeuropea della preistoria, come “il terrestre” o “colui che sta sulla terra”. Un’idea forse primigenia dell’uomo fra gli esseri viventi, se pensiamo al racconto biblico della creazione del mondo e dell’argilla con cui questo rappresentante della nostra specie è stato fatto. Ma torniamo alla moglie e al latino mulier che la parola italiana ripete, implicandone le accezioni sessuali ma relegandole in un ambiente domestico e nella dimensione sociale della legalità. Scegliendo per la “moglie” la parola latina che indicava la donna in senso lato, l’italiano dimostra di aver inconsapevolmente obbedito a un dettato culturale storico che ha fatto della moglie la figura femminile più rappresentativa, la donna accreditata dalla nostra società, quindi la donna per definizione rispetto a ogni altra. Compagna, oggi simbolo di un femminismo gratificante, era nel lat. tardo cum-panem, e si applicava a chi “condivideva il pane” con qualcuno, accontentandosi di un poco, compensato forse dai sentimenti. Il pane non s’intravede più e sono rimasti sottintesi solo i sentimenti, nella parola moderna. Sposa, coniuge, consorte sono termini meno consueti. Risentono della loro origine latina e della provenienza dal diritto romano. Sposa è la voce italiana di lat. sponsa che è sostantivo del verbo spondeo “impegnarsi, promettere”. Per i Romani la nostra sposa era piuttosto la fidanzata, la promessa sposa. Oggi, dalla parola traspare l’immagine di una donna nel periodo delle nozze. Coniuge è, come il lat. coniux, sostantivo derivato dal verbo coniungo “congiungo” che ha dato forma linguistica all’idea di congiunto/i per parentela e coniuge per matrimonio. Consorte viene dal lat. cum-sortem, che significava “colei che condivide lo stesso patrimonio” perché per i Romani fra la sorte e le risorse non c’era molta differenza. Una curiosità: Etaira, cioè un’etera, era Aspasia per Pericle nell’Atene del V secolo a.C. definita da una parola che è la variante al femminile di etairos, il cui significato era “compagno d’armi, amico”. Donna colta, influente, Aspasia esercitava una professione che nel mondo classico era praticata sia da ragazzi che da fanciulle e perfettamente tollerata. Perciò “compagna, amica” con termini perfettamente in linea con la visione del mondo che tale cultura possedeva. Equiparando la battaglia e l’amore, evidentemente, una coincidenza plausibile in una società, quella greca classica, che con la guerra si cimentava frequentemente. 48 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2014 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Signora, è oggi un termine che esprime deferenza generica. La sua immagine mentale è quasi irriconoscibile nella moderna espressione di cortesia formale che la parola è diventata. All’origine, infatti, l’idea che veniva in mente ai parlanti era di una persona anziana cui si doveva rispetto per l’età e l’esperienza: senior “anziano” è il termine latino da cui deriva la forma al femminile seniora poi signora. Quali viaggi nella storia la parola abbia fatto per arrivare fino a noi carica di un’immagine così diversa – la Francia dei baroni medievali o la Spagna del Cinquecento con la sua opulenza verbale pre-barocca – poco conta qui. La signora di oggi è una donna di alta condizione sociale, educata e raffinata e, nello stesso tempo, è qualunque persona di genere femminile verso cui si voglia usare semplicemente un appellativo di cortesia, segno di buona educazione. Ogni altra connotazione si è persa. Curiosamente, il Senato della Repubblica, con i suoi limiti di età impliciti nell’etimologia della parola, derivata dal lat. Senior - così come il Senato Romano antico - oggi rispecchia ancora nel suo nome l’antica immagine che la parola signora sottintende per la sua origine. Ma presto l’idea resterà solo nella storia linguistica del termine, celata dietro una semplice etichetta. Madre, è l’unica parola presente in tutte le lingue indoeuropee rimasta immutata o quasi nella forma linguistica fin dalle più lontane origini. Testimonianza di una cultura che si perde nella preistoria dell’umanità per via d’un ruolo genetico insostituibile in natura, qualunque sia il posto che la società poi assegna alla figura della madre e qualunque sia l’immagine materna che ogni figlio ha concepito dentro di sé. Donne, mogli, madonne, signore o femmine, le raffigurazioni delle donne trasmesse dalle parole appartengono a un variegato universo d’immagini che le culture hanno elaborato, nel corso della storia, sul loro essere - o meglio, sul loro apparire - siccome donne, nella società. Immagini che sono diventate le idee attraverso il cui filtro mentale ci accostiamo alla loro conoscenza. Idee che rappresentano, insieme alle parole da cui sono espresse, la nostra comune mentalità al riguardo. Torniamo allora, brevemente al discorso d’inizio, per riflettere sulla mentalità e sulla lingua che la esprime con i significanti e i significati delle parole, aggiungendo, ora, solo un piccolo particolare. Fra il significante e l’idea – quindi fra il significante e il significato che tale idea rappresenta - non c’è alcuna motivazione reciproca, nessun legame vero. Le parole che usiamo per parlare del mondo reale non sono affatto imposte dal mondo reale di cui parlano. La mela non si chiama così perché il suo colore è identico alla m, il suo sapore alla e, i suoi semi alla l e la polpa alla a o viceversa. Tant’è vero che gli inglesi chiamano lo stesso frutto apple, i francesi la chiamano pomme e i tedeschi apfel. La mela si chiama così solo perché così è stata denominata quando la sua immagine ha dovuto trovar posto nel sistema d’idee già posseduto dagli uomini che le hanno dato il nome. I quali, per farlo coerentemente a tali idee – cioè per rispondere alla domanda: che cos’è - hanno dovuto pensare a quali di esse assomigliasse di più e hanno dovuto cercare il materiale linguistico per rappresentarla fra quello già impiegato, e riusarlo, così che fosse più semplice riconoscere subito che cos’era la cosa nuova, dal loro punto di vista. Ecco perché la cosiddetta etimologia – ricerca dell’origine delle parole, che abbiamo sommariamente esemplificato con i termini citati - ci racconta questo percorso di scoperta delle cose da parte degli uomini restituendoci le tracce lasciate nella lingua. Ma è solo una scoperta mentale, guidata e controllata dalle idee che già si possiedono, cioè dalla cultura che abbiamo appreso e della quale abbiamo imparato a condividere il punto di vista. Dunque, tutti i significati, palesi o reconditi, sono idee che la nostra cultura ci ha messo in mente, e la loro realtà è solo apparente, perché è solo una realtà supposta essere tale da una cultura che la immagina in questa maniera, adottando il proprio punto di vista. E arriviamo, così, alla seconda ragione d’importanza delle parole: il loro ammonimento a non prenderle troppo sul serio. La mentalità è – lo abbiamo già detto - una serie d’idee, diventate reali per la mente umana e affidate alle parole: innocenti, queste ultime, rispetto alla realtà - di cui sono segni assolutamente arbitrari e inconsapevoli - colpevoli rispetto alla cultura. Perché finché esistono e continuano a essere usate, rispettando esattamente le idee che le hanno autorizzate, continuano a esercitare sui parlanti il loro potere coercitivo che ne condiziona i comportamenti mostrando loro immagini della realtà che sembrano vere, mentre non lo sono, probabilmente, nell’ontologia del mondo. Ma l’immaginario che evocano richiama una gamma di altre immagini complementari – con altre parole a loro sostegno – la cui pressione emotiva, se le parole sono vissute come una verità senza rimedio, può provocare derive individuali e sociali incontrollabili. Come, appunto, il femminicidio: l’uccisione della femminilità sessualmente implicita nell’idea di donna dotata di un seno, comunque tale idea sia vissuta nell’immaginario maschile e nella storia. Occorre, allora, sapere esattamente che cosa sono le parole, per renderle innocue. Esse sono parvenze foniche d’idee che nascono solo dalla mente degli esseri umani e soltanto qui, nella loro mente, esistono. Figlie della storia, del pensiero, della cultura. Perciò affidate all’intelligenza umana che della storia, del pensiero e della cultura è la sola artefice. E affidate al suo costante esercizio, in modo che ci possano in futuro parlare di un mondo sempre umanamente e culturalmente migliore. 49 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Genesi e analisi della Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica AGOSTINA LATINO Università degli Studi di Camerino F INTRODUZIONE in dal 1999, l’Assemblea generale delle Nazioni unite (NU), con la risoluzione n. 54/134, ha proclamato il 25 novembre “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. La data è stata scelta in ricordo del brutale assassinio delle sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa) avvenuto nel 1960 nella Repubblica Dominicana, sotto la feroce dittatura di Trujillo. Le tre sorelle, soprannominate “las mariposas”, le farfalle, per la loro bellezza e vivacità, il 25 novembre 1960, furono catturate, torturate, uccise e gettate con la loro auto in un precipizio, al fine di simulare una morte accidentale, da agenti segreti del servizio di informazione militare, mentre si recavano a visitare i loro mariti in prigione per motivi politici. Il fenomeno della violenza nei confronti delle donne è una vera e propria pandemia che non conosce confini poiché investe indistintamente tutto il mondo, sia pure con declinazioni e tassi di incidenza diversi. La violenza nei confronti delle donne è un tema risalente nel tempo1. In queste brevi note, dopo aver individuato le forme più diffuse di violenza nei confronti delle donne, cercheremo di ricostruire le tappe degli strumenti adottati sotto l’egida delle Nazioni unite e nei quadri regionali, per analizzare più specificamente la Convenzione di Istanbul, ossia la 1 In tema si veda B. RUDOLF, A. ERIKSSON, Women’s Rights under International Human Rights Treaties. Issues on Rape, Domestic Slavery, Abortion and Domestic Violence, in International Journal of Constitutional Law, 2007, p. 507 ss., e A. DEL VECCHIO, La tutela dei diritti delle donne nelle convenzioni internazionali, in T. VASSALLI DI DACHENHAUSEN (a cura di), Atti del Convegno in memoria di Luigi Sico: il contributo di Luigi Sico agli studi di diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea, Napoli, 2011, p. 315 ss.7 50 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011, aperta alla firma l’11 maggio 2011, entrata in vigore il 1° agosto 20142. 1. FORME DI VIOLENZA NEI CONFRONTI DELLE DONNE La violenza nei confronti delle donne assume diverse forme, alcune più frequenti di altre, nei diversi Paesi del mondo. Peraltro, un comune denominatore che può essere rilevato nella più gran parte dei casi è la povertà, posto che, secondo i dati NU più del 70% degli individui che vive al di sotto della soglia di povertà è di sesso femminile. Il dilagare della 2 Il testo della Convenzione si legge in: http://www.conventions.coe.int/ Treaty/ITA/Treaties/Html/210.htm SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA violenza nei confronti delle donne è favorito altresì da normative interne poiché alcuni ordinamenti adottano misure discriminatorie che impediscono la piena parità di diritti fra uomini e donne. Le modalità più diffuse di violenza nei confronti delle donne sono riconducibili principalmente a cinque schemi: violenza domestica, pedofilia, tratta, mutilazioni genitali, stupro di guerra. Sotto il primo profilo, può innanzitutto ricordarsi come secondo una ricerca condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization - WHO)3, il 70% delle donne vittime di omicidi sono state uccise dai loro partners maschili. L’ampiezza di questa forma di violenza è del tutto trasversale: colpisce infatti anche i Paesi più evoluti in termini di organizzazione sociale e di garanzia dei diritti individuali. La violenza domestica può assumere diverse forme: comprende violenza fisica, sessuale, psicologica, minacce, intimidazioni, persecuzioni, coercizioni, divieti, segregazione, umiliazioni, violenza economica (come negazione di disponibilità finanziarie, dell’acquisto di vestiario o altro, del cibo, di cure mediche e perfino appropriazione del reddito). I dati, in crescita preoccupante in tutti i Paesi occidentali, non fotografano la totalità dei casi, poiché esiste un sommerso (che secondo alcuni analisti statistici rappresentano la maggior parte) di casi non denunciati dalla vittima, per paura di ripercussioni o per vergogna4. Sotto il secondo profilo, la pedofilia, ossia le molestie sessuali nei confronti di bambine e adolescenti, si registrano dati agghiaccianti per dimensioni. Uno studio dell’United Nations Children’s Fund (UNICEF)5, che ha analizzato tanto Paesi sviluppati che Paesi in via di sviluppo, indica che tra l’1 e il 21% delle donne ha denunciato di essere stata abusata sessualmente prima del 15° anno di età, nella maggior parte dei casi da membri maschi della famiglia. In particolare, lo studio rileva che una percentuale variante tra il 7 e il 36% delle donne e il 3 e il 29% degli uomini afferma d’esser stata vittima di abusi sessuali durante l’infanzia, e, a seconda del Paese analizzato, il tasso di abusi tra le bambine è da una volta e mezzo a tre volte superiore a quello dei bambini, abusi che, nella maggior parte dei casi, avvengono in ambito familiare. Secondo uno studio condotto negli USA, l’83% delle alunne delle classi dall’8° all’11° livello (tra i 12 e i 15 anni) che frequentano le scuole pubbliche, subiscono qualche forma di molestia sessuale6. 3 World Health Organization, Global and Regional Estimates of Violence against Women, http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/85239/1/9789241564625_eng.pdf 4 Per esempio, uno studio basato su interviste somministrate a 42mila donne dei 28 Paesi membri dell’Unione europea ha rilevato che solo il 14% delle vittime ha denunciato alle forze dell’ordine le violenze subite dal proprio partner: Violence against Women: an EU-Wide Survey, European Union, 2014, Foreword, p. 3. 5 Hidden in Plain Sight: A Statistical Analysis of Violence against Children (UNICEF) http://www.unicef.org/publications/files/Hidden_in_ plain_sight_statistical_analysis_Summary_EN_2_Sept_2014.pdf 6 American Association of University Women, Hostile Hallways: Bullying, Teasing, and Sexual Harassment in School, Washington, DC, 2001, p. 4. Questo studio è citato in In-depth Study on All Forms of Violence Sotto il terzo profilo, la tratta, ci si riferisce al reclutamento e al trasferimento di una persona a fini di sfruttamento (prevalentemente prostituzione). È una declinazione moderna della schiavitù, che è ovviamente, in sé, una violazione dei diritti umani, ma ne implica inevitabilmente altri, quali maltrattamenti, torture, segregazione, malnutrizione, mancanza di cure mediche, fino a giungere, talvolta alla perdita della vita. A livello mondiale, le vittime della tratta di esseri umani sono stimate a due milioni e mezzo all’anno. L’ottanta per cento di loro sono donne e ragazze. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Lavoro (International Labour Organization – ILO), sono circa 1,2 milioni i minori di 18 anni vittime di tratta nel mondo7. Sotto il terzo profilo, le mutilazioni genitali femminili (MGF), parziali o totali, sono pratiche diffuse soprattutto in buona parte dell’Africa (Somalia, Gibuti, Sudan, Etiopia, Somalia e alcune regioni e/o gruppi di popolazione del Kenya, Nigeria, Mali, Mauritania), in alcuni Paesi del Medio Oriente (Egitto, Oman, Emirati Arabi Uniti) e in qualche zona o comunità dell’Asia (India, Indonesia, Malesia e Sri Lanka). Il fenomeno riguarda anche l’Europa relativamente ai migranti provenienti da zone in cui questa pratica è perpetrata. Secondo l’UNICEF le MGF riguardano ogni anno circa tre milioni di bambine o ragazze e sono oggi circa 140 milioni le donne che l’hanno subita8. Sotto il quarto profilo, lo stupro di guerra, ossia lo stupro di massa di donne da parte delle truppe che hanno invaso un Paese, o, in una guerra interna, da parte di una fazione in lotta contro le donne dell’altra, assume talvolta i connotati della pulizia etnica, poiché la nascita di figli “misti” è una forma di umiliazione su un popolo, che non si vuole solamente vincere militarmente e depredare, ma anche violentare attraverso le sue donne da cui nascono figli dei vincitori. Come esempi di prassi basta ricordare che durante la guerra in Bosnia, dal 1992 al 1995, si stima che siano state violentate 50.000 donne; mentre durante la guerra civile in Ruanda nel 1994 fra Hutu e Tutsi (nel corso della quale fu ucciso circa un milione di Tutsi) furono violentate da 250.000 a 500.000 donne della etnia soccombente, di cui più del 67% ha contratto l’AIDS9. 2. LA TUTELA DELLE DONNE NEGLI STRUMENTI INTERNAZIONALI L’Organizzazione delle NU, fin dalla sua nascita, pur riconoscendo l’unitarietà dei diritti umani, ha preso atto delle peculiarità proprie della tutela delle donne, e, a tal fine, il Consiglio di sicurezza (CdS), con la risoluzione 11(II) del 21 giugno 1946, ha istituito la Commissione sullo Status delle against Women: Report of the Secretary-General, UN General Assembly, 2006A/61/122/Add.1, New York, 2006, p. 42. 7 International Labour Organization, ILO Global Estimate of Forced Labour: Results and Methodology, Geneva, 2012, p. 14. 8 UNICEF, Female Genital Mutilation/Cutting: What might the future hold, http://www.unicef.org/media/files/FGM-C_Report_7_15_Final_ LR.pdf 9 http://www.amnesty.org/en/library/asset/AFR47/007/2004/en/53d74ceb-d5f7-11dd-bb24-1fb85fe8fa05/afr470072004en.pdf, p. 2 51 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Donne (Commission on the Status of Women - CSW), con il mandato di preparare raccomandazioni e rapporti indirizzati al Consiglio Economico e Sociale (Economic and Social Council - ECOSOC) sul tema della promozione dei diritti delle donne in ambito politico, economico, civile, sociale ed educativo. Nei primi vent’anni di attività, la Commissione si è dedicata principalmente alla negoziazione di trattati internazionali miranti a modificare le legislazioni discriminatorie ancora in vigore nella maggior parte dei Paesi; ma fin dai primi anni ‘50 ha prestato particolare attenzione ad alcune specifiche fattispecie di violenza di genere, quali ad esempio le mutilazioni genitali e altre pratiche tradizionali che minacciassero l’integrità fisica e psichica di donne e ragazze. L’impulso propulsivo per la promozione della tutela delle donne è dato dalla I Conferenza Mondiale sulla condizione della donna di Città del Messico (1975), in concomitanza con l’Anno Internazionale delle Donne, che lancia il Decennio delle Nazioni Unite per le Donne (1976-1985). Il frutto più rilevante di questo decennio è sicuramente la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women – CEDAW)10, adottata il 18 dicembre 1979 dall’Assemblea generale delle NU, che costituisce un vero e proprio bill of rights dei diritti delle donne. In verità nella CEDAW non si fa mai esplicito riferimento alla violenza di genere come fenomeno specifico, ma si disciplinano fattispecie particolari di violenza, quali, ad esempio, i matrimoni forzati (art.16) e lo sfruttamento sessuale (art. 6). La CEDAW è entrata in vigore il 3 settembre 1981, dopo poco più di due anni dalla sua firma, in tempi record quindi rispetto agli altri Trattati in tema di diritti della persona umana. Questo successo è però mitigato dal gran numero di riserve e dichiarazioni interpretative che ne attenuano la portata precettiva. La Convenzione, articolata in un preambolo e 30 articoli, è stata ratificata da 188 Stati, fra cui non figurano Stati Uniti, Città del Vaticano, Iran, Nauru, Palau, Somalia, Sudan, Tonga. I pilastri principali della Convenzione, di stampo prettamente emancipatorio, sono quattro: in primo luogo, sono definite le forme di discriminazioni nei confronti delle donne; in secondo luogo, si impone agli Stati parte di astenersi da azioni discriminanti in base al sesso; in terzo luogo, si ingiunge agli Stati parte di adottare provvedimenti per raggiungere l’uguaglianza uomo-donna in tutti i settori (peraltro è previsto che possano essere disposte misure ineguali da applicare temporaneamente, miranti a realizzare l’eguaglianza de facto uomo-donna); in quarto luogo, infine, si garantisce alla donna parità di diritti nella vita pubblica e politica, nell’acquisizione di cittadinanza diversa da quella di nascita, nell’istruzione, nella vita professionale, nel sistema sanitario, nel diritto matrimoniale e in quello di famiglia. La Convenzione, all’art. 17 - Parte V, prevede l’istituzione di un “Comitato per l’eliminazione della discriminazione nei confronti della donna” che ha il compito di sorvegliare lo stato 10 Il testo della CEDAW si legge in: http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CEDAW.aspx 52 di applicazione delle norme da parte degli Stati contraenti. Il Comitato è composto da 23 membri eletti a scrutinio segreto su una lista di candidati designati dagli Stati parte, che hanno l’obbligo di presentare, al Comitato, almeno ogni 4 anni, un rapporto in cui sono illustrate le azioni compiute dallo Stato in questione per dare applicazione alle norme in essa contenute ma anche i fattori e le difficoltà che influiscono sul grado di applicazione degli obblighi previsti dalla presente Convenzione. La presentazione dei rapporti (motu proprio da parte degli Stati contraenti o su invito del Comitato) è “a porte aperte”; il Comitato, inoltre, riceve informazioni in via informale dalle organizzazioni non governative (ONG) le quali possono anche assistere alle sedute del Comitato. Successivamente, a quasi 20 anni dall’entrata in vigore della CEDAW, il 15 ottobre 1999, l’Assemblea generale (AG) delle NU ha adottato un Protocollo facoltativo, entrato in vigore fra gli Stati ratificanti il 22 dicembre 2000, che ha allineato la Convenzione ai principali testi internazionali in materia di diritti umani e ha fornito più chiare possibilità di ricorso in caso di violazioni. Il Protocollo infatti definisce due diverse procedure di intervento: da un lato, una procedura di denuncia, utilizzabile sia da singole donne che da gruppi di donne per denunciare al Comitato i casi di violazione delle norme stabilite dalla Convenzione; sia una procedura d’indagine, che conferisce al Comitato il potere di condurre indagini sui casi di violazioni gravi o sistematiche dei diritti umani delle donne nei Paesi che hanno sottoscritto il Protocollo facoltativo. Va peraltro ricordato che il Comitato non ha un vero e proprio potere sanzionatorio nei confronti degli Strati parte: l’eventuale riscontro di comportamenti non collimanti con quanto prescritto nella CEDAW comporta solamente un rapporto dal valore di soft law iscrivibile alla moral suasion. Nel 1985, nel quadro della III Conferenza Mondiale delle Donne (Nairobi) è stato approvato un Piano d’Azione nel quale si prende atto che la violenza nei confronti delle donne non è un problema da confinarsi un ambito eminentemente privato ma, al contrario, è una questione pubblica che - come tale - richiede un approccio proattivo tanto a livello statale quanto a livello internazionale. Ciò ha portato, nel giugno del 1993, alla votazione unanime dei rappresentanti dei 171 Stati presenti alla Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani a Vienna, di una Dichiarazione e di un Programma d’Azione per la promozione e la tutela dei diritti umani nel mondo, ponendo l’accento sulla “importanza di lavorare per l’eliminazione della violenza contro le donne nella vita pubblica e privata, per l’eliminazione di tutte le forme di molestie sessuali, sfruttamento e tratta delle donne, per l’eliminazione di pregiudizi di genere nell’amministrazione della giustizia e per lo sradicamento di ogni conflitto che possa insorgere tra i diritti delle donne e gli effetti dannosi di certe pratiche tradizionali o abituali, di pregiudizi culturali ed estremismi religiosi” (art. 38). Con la risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993, adottata per consensus (ossia in modo unanime per mancanza di obiezioni senza la necessità di ricorrere al voto palese e nominale), l’Assemblea Generale delle NU ha promulgato la Dichiarazione sull’eli- SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA minazione della violenza contro le donne. Il documento contempla la definizione più diffusa di violenza contro le donne: ai sensi dell’art. 1, «l’espressione “violenza contro le donne” significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»; l’art. 2 prosegue affermando che «la violenza contro le donne dovrà comprendere, ma non limitarsi alla violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, incluse le percosse, l’abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non maritale e la violenza legata allo sfruttamento; alla violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all’interno della comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l’abuso sessuale, la molestia sessuale e l’intimidazione sul posto di lavoro, negli istituti educativi e altrove, il traffico delle donne e la prostituzione forzata; alla violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o condotta dallo Stato, ovunque essa accada». La violenza sessuale assurge ai vertici dell’agenda mondiale quando, nel corso della guerra nella ex Iugoslavia11 e nel Rwanda12, assume proporzioni di fenomeno di massa: lo stupro viene adoperato come sistemica tattica di guerra, sicché tanto lo Statuto del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia - ICTY), istituito con ris. 827/25.05.1993 del CdS delle NU, quanto lo Statuto del Tribunale per il Rwanda (International Criminal Tribunal for Rwanda – ICTR), istituito con ris. 955/8.11.1994 del CdS delle NU, includono nella propria competenza ratione materiae (anche) crimini quali stupro e violenze sessuali (rispettivamente, all’art.5 e 11 Come già ricordato, si stima che durante la guerra in Bosnia Erzegovina circa 50.000 donne sono state violentate. La maggioranza delle vittime delle violenze erano donne musulmane stuprate dai soldati serbi, al fine di obbligare il gruppo etnico oggetto delle violenze ad andarsene dalla regione. Addirittura, è stata documentata l’esistenza di “campi di stupro” creati deliberatamente per ingravidare le donne musulmane e croate tenute prigioniere. Viene documentato inoltre che spesso le donne erano tenute in prigionia fino all’ultima fase della gravidanza, al fine di “creare” una nuova generazione serba (posto che l’etnia si erediti in linea paterna). Del pari, durante la guerra del Kosovo, migliaia di donne kosovare-albanesi sono state vittima di violenze sessuali. Cfr. Human Rights News Bosnia: Landmark Verdicts for Rape, Torture and Sexual Enslavement, 2.22.2001. 12 Nel rapporto del 1996 il Relatore Speciale delle Nazioni Unite in Rwanda, Rene Degni-Segui, affermò che «lo stupro era la regola e la sua assenza l’eccezione». Il rapporto afferma inoltre che «lo stupro era sistematico ed era usato come ”arma” dai perpetratori del massacro». Un rapporto del 2000 del Gruppo Internazionale di Personalità Eminenti dell’Organizzazione dell’Unità Africana concluse che «possiamo essere certi che tutte le donne che sopravvissero al genocidio furono vittime dirette di stupro o altre violenze sessuali o furono profondamente sconvolte da essi». Il Relatore Speciale in Rwanda stimò nel rapporto del 1996 che tra 2.000 e 5.000 gravidanze furono il risultato degli stupri di guerra, e che tra 250.000 e 500.000 donne e ragazze ruandesi furono violentate. Va ricordato che il Rwanda è una società patrilineare e che quindi i bambini prendono l’etnia del padre, il che sottolinea il carattere genocidario dello stupro di massa. Cfr. Anne-Marie de Brouwer, Supranational Criminal Prosecution of Sexual Violence, Intersentia, 2005, p. 10 ss. all’art. 3). Va ricordato che già la IV Convenzione di Ginevra del 1949, riguardante la protezione dei civili in tempo di guerra, menziona esplicitamente, all’art.27, fra le fattispecie criminali punibili, lo stupro e la prostituzione forzata, ma queste erano considerate condotte criminali solo in quanto azioni tese a ledere il pudore della donna: negli Statuti ICTY e ICTR lo stupro è riconosciuto quale crimine contro l’umanità, alla stregua di fattispecie come assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione, incarcerazione, tortura e persecuzione per motivi politici, razziali o religiosi, quindi come comportamento dotato di una rilevanza penale autonoma nella cornice del diritto internazionale umanitario. L’esperienza dei Tribunali ad hoc e della Piattaforma d’Azione adottata dalla IV Conferenza mondiale sulle donne di Pechino (1995), in cui, al punto 11, si sottolinea come «gravi violazioni dei diritti fondamentali delle donne avvengono soprattutto nei periodi di conflitto armato, e producono omicidi, torture, stupri sistematici, gravidanze forzate e aborti forzati, in particolare nelle strategie di “pulizia etnica”», viene fatta propria dalla Corte Penale Internazionale (International Criminal Court - CPI). Nello Statuto della CPI, firmato il 17 luglio 1998, entrato in vigore nel 2002 in esito al deposito del sessantesimo strumento di ratifica, si dispone, all’art. 7.g, che sono crimine contro l’umanità «stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità»; e, all’art.8.2.XXII, che è crimine di guerra «stuprare, ridurre in schiavitù sessuale, costringere alla prostituzione o alla gravidanza, imporre la sterilizzazione e commettere qualsiasi altra forma di violenza sessuale costituente violazione grave delle Convenzioni di Ginevra». L’approccio olistico caratterizza l’azione attuale di contrasto alla violenza nei confronti delle donne degli ultimi anni. A questa nuova visione integrata si deve l’istituzione di UN Women (Entità delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne - United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women - UN Women) sotto l’egida delle NU. UN Women, creata in virtù della ris. 64/289 del 2 luglio del 2010, adottata all’unanimità dall’AG delle NU, nasce dalla fusione di quattro organismi preesistenti: la Divisione per l’Avanzamento delle Donne (Division for the Advancement of Women - DAW), l’Istituto Internazionale di Ricerca e Formazione per l’Avanzamento delle Donne (International Research and Training Institute for the Advancement of Women - INSTRAW), l’Ufficio del Consigliere Speciale sulle Questioni di Genere e l’Avanzamento delle Donne (Office of the Special Adviser on Gender Issues and Advancement of Women - OSAGI) e il Fondo delle Nazioni Unite per lo Sviluppo delle Donne (United Nations Development Fund for Women - UNIFEM). UN Women ha il duplice scopo, da un lato, di supportare gli organismi intergovernativi, a cominciare dalla CSW, per l’elaborazione di politiche, guidelines e norme internazionali; dall’altro, aiutare Stati membri delle NU a implementare gli standards formulati, anche attraverso supporti tecnici e finanziari. La panoplia delle varie iniziative, lanciate e/o gestite da 53 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO UN Women per contrastare la violenza nei confronti delle donne è variegata e complessa. Si possono ricordare quali esempi UNiTE to End Violence Against Women, la campagna ideata dal Segretario Generale delle NU nel 2008, volta a sollecitare gli Stati ad adottare e perfezionare le proprie norme nazionali per contrastare il fenomeno della violenza di genere; Say NO – UNiTE to End Violence Against Women, la piattaforma di mobilitazione sociale per la lotta contro la violenza di genere, lanciata nel novembre del 2009 da UN Women e impegnata in azioni di advocacy e sensibilizzazione sul tema; COMMIT, lanciata nel novembre 2012 da UN Women, con lo scopo precipuo di sensibilizzare i leaders politici; l’UN Trust Fund to End Violence Against Women (UN Trust Fund), meccanismo di finanziamento istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 50/166 nel 1996 e gestito da UN Women, che coopera con organizzazioni non governative e i governi dei Paesi delle Nazioni Unite in primo luogo per prevenire la violenza contro donne e ragazze da parte di gruppi particolarmente a rischio, come adolescenti e donne appartenenti a minoranze indigene o etniche; in secondo luogo per espandere l’accesso delle donne vittime di violenza a servizi, quali l’assistenza legale, la consulenza psicosociale, l’assistenza sanitaria; infine per rafforzare l’attuazione delle leggi, delle politiche e dei piani d’azione sulla violenza di genere, attraverso la raccolta e l’analisi dei dati, al fine di consentire a fornitori di servizi e istituzioni di diventare più efficaci, trasparenti e responsabili. 3. LA TUTELA DELLE DONNE NEL QUADRO REGIONALE Parallelamente all’azione condotta a livello globale da parte delle Nazioni unite per contrastare il fenomeno della violenza di genere, si registra la tendenza alla cd regionalizzazione dell’approccio al problema. Molteplici strumenti e convenzioni internazionali, a partire dalla seconda metà degli anni ‘90, sono state infatti adottate in un’ottica, per così dire, glocale, in cui il globale ed il locale, visti come i due lati della stessa medaglia, possono offrire risposte più adeguate, più efficaci e più efficienti perché calibrate ad hoc avuto riguardo alle peculiarità proprie di un contesto, geografico, culturale, sociale, etnico, etc. È così che il 9 giugno 1994 l’Assemblea generale dell’Organizzazione degli Stati Americani a Belém do Pará, (Brasile) ha adottato la Convenzione inter-americana sulla prevenzione, punizione e sradicamento della violenza contro le donne13, entrata in vigore il 5 marzo 1995 di cui sono Stati parti a 32 Paesi del continente americano14. In questo Trattato, ai sensi dell’art. 8, gli Stati parti concordano nell’intraprendere progressivamente misure specifiche, compresi programmi, allo scopo di modificare modelli culturali e sociali 13 Il testo della Convenzione si legge in http://www.oas.org/juridico/english/treaties/a-61.html 14 L. P. MEJÍA GUERRERO, La Comisión interamericana de mujeres y la Convención de Belém do Parà, in Revista interamericana y europea de derechos humanos, 2012, p. 189 ss. 54 di comportamento di uomini e donne, compreso lo sviluppo di programmi educativi formali e non formali appropriati ad ogni livello di istruzione, per contrastare i pregiudizi, le consuetudini e tutte le altre prassi basate sull’idea dell’inferiorità o superiorità dell’uno o dell’altro sesso o su ruoli stereotipati per uomini e donne che legittimano o esasperano la violenza contro le donne. Si impegnano a promuovere l’educazione e la formazione di tutte le persone coinvolte nell’amministrazione della giustizia, nella polizia e di tutti gli altri funzionari che si occupano del rispetto della legge, nonché di tutto il personale che attua politiche per la prevenzione, la punizione e lo sradicamento della violenza contro le donne. Gli Stati parte stabiliscono di fornire servizi specializzati adeguati per le donne che hanno subito violenza, attraverso operatori pubblici e privati, compresi rifugi, servizi di consulenza per tutti membri della famiglia se del caso, nonché di cura e custodia per i bambini coinvolti; promuovere e sostenere programmi di educazione a livello governativo o privato finalizzati a sensibilizzare il pubblico riguardo al problema della violenza contro le donne e alle sue soluzioni; incoraggiare i media a sviluppare linee-guida adeguate al fine di contribuire allo sradicamento della violenza contro le donne in tutte le sue forme e rafforzare il rispetto per la dignità delle donne; assicurare la ricerca e la raccolta di statistiche e di informazioni pertinenti circa le cause, le conseguenze e la frequenza delle violenze contro le donne, allo scopo di valutare l’effettività delle misure di prevenzione, sanzione e sradicamento della violenza contro le donne adottate e formulare e attuare gli opportuni cambiamento. Va ricordato altresì che, ex art. 9, rispetto all’adozione delle misure su indicate, gli Stati Parti si obbligano a prendere in particolare considerazione la vulnerabilità alla violenza delle donne in ragione, tra l’altro, della loro razza o origine etnica, della loro condizione di migranti, rifugiate o sfollate. Simile considerazione deve essere prestata alle donne oggetto di violenza durante la gravidanza o alle donne disabili, di minore età, anziane, svantaggiate sul piano socio-economico, coinvolte in conflitti armati o private della libertà. Il tallone di Achille di questa Convenzione è la mancata previsione di strumenti concreti di garanzia, che possano fungere sia da deterrente verso atteggiamenti violenti e discriminatori nei confronti delle donne, sia da vera e propria sanzione nei confronti dei Paesi parti che vengano meno a quanto statuito, limitandosi a prevedere, all’articolo 12, la possibilità di presentare petizioni individuali15. Dal canto suo, l’Unione africana ha adottato nel 2003 un Protocollo Addizionale alla Carta africana dei Diritti dell’Uomo, a Maputo in Mozambico,16 che, pur non essendo esclusivamente dedicato al tema della violenza di genere, è da ricordare in queste brevi note in quanto, il Protocollo di 15 Salvo quanto si dirà nota 29 infra. 16 Il testo del Protocollo si legge in: http://www.au.int/en/content/protocol-african-charter-human-and-peoples-rights-rights-women-africa. In dottrina si veda F. QUILLÈRE-MAJZOUB, Le protocole à la Charte africaine des droits de l’homme et des peuples relatif aux droits de la femme en Afrique: un projet trop ambitieux?, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, 2008, p. 127 ss. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Maputo contempla una vasta gamma di diritti della donna: l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione, il diritto alla dignità, alla vita, all’integrità e alla sicurezza fisica della sua persona, la protezione in occasione dei conflitti armati, il diritto all’istruzione e alla formazione, i diritti economici e alla dignità sociale, come pure i diritti alla salute e quelli riproduttivi. Va ricordato l’art. 4, in virtù del quale qualsiasi donna ha diritto al rispetto della sua vita, della sua integrità fisica ed alla sicurezza della sua persona. Ogni tipo di sfruttamento, di punizione e di trattamento inumano o di degrado deve essere vietato. A tal fine gli Stati Membri si impegnano ad adottare misure idonee ed effettive per: adottare e rafforzare le leggi che proibiscono qualsiasi violenza nei confronti delle donne, compresi i rapporti sessuali non desiderati o forzati, che abbiano luogo in privato o in pubblico; adottare qualsiasi altra misura legislativa, amministrativa, sociale, economica e altra per prevenire, reprimere e sradicare qualsiasi forma di violenza nei confronti delle donne; identificare le cause e le conseguenze delle violenze contro le donne e adottare misure idonee per prevenirle ed eliminarle; promuovere attivamente l’istruzione alla pace attraverso programmi d’insegnamento e di comunicazione sociale con l’obiettivo di sradicare gli elementi contenuti nelle credenze e gli atteggiamenti tradizionali e culturali, le pratiche e gli stereotipi che legittimano e inaspriscono la persistenza e la tolleranza della violenza nei confronti delle donne; reprimere gli autori della violenza nei confronti delle donne e realizzare programmi in previsione della loro riabilitazione; organizzare meccanismi e servizi accessibili per garantire l’informazio- ne, la riabilitazione e la compensazione effettiva delle donne vittime delle violenze; prevenire e condannare il traffico di donne, perseguire gli autori di questo traffico e proteggere le donne più esposte questo rischio; proibire ogni esperimento medico o scientifico sulle donne senza il loro consenso con cognizione di causa; stanziare risorse di bilancio adeguate per l’attuazione e lo svolgimento di azioni mirate a prevenire e sradicare le violenze contro le donne; assicurarsi che, nei Paesi in cui esiste ancora, la pena di morte non sia applicata nei confronti della donna incinta o che allatta; assicurarsi che le donne e gli uomini usufruiscano di un accesso uguale alle procedure di determinazione dello statuto di profughi e che le donne rifugiate usufruiscano della tutela totale e delle prestazioni garantite nei termini del diritto internazionale dei profughi, ivi compreso il rilascio di documenti d’identità ed altri documenti. Inoltre, l’articolo 5 del Protocollo di Maputo prevede espressamente la condanna e il divieto di qualsiasi tipo di mutilazione genitale femminili, statuendo che gli Stati membri proibiscono e condannano tutte le forme di pratiche nocive che ledono negativamente i diritti umani delle donne e che sono contrarie alle norme internazionali, impegnandosi ad adottare tutte le misure legislative e non per sradicare queste pratiche. Per quel che concerne il vecchio continente, il tema di violenza di genere è stato regolamentato (poco, in verità) nel quadro tanto dell’Unione europea, quanto del Consiglio d’Europa. L’Unione europea ha avuto un approccio al tema alquanto a macchia di leopardo: si possono ricordare la Risoluzione 2005/2215 del Parlamento europeo sulla situazione 55 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO delle donne nelle aree di guerra e sul loro ruolo nei processi di ricostruzione nei paesi in situazione di post-conflitto; il programma STOP, attivo sin dal 1997, e il successivo e più incisivo programma DAFNE, che hanno sostenuto l’azione della cd società civile e delle organizzazioni non governative impegnate nella lotta alla violenza nei confronti delle donne in tutte le sue manifestazioni, e nell’assistenza alle vittime; la Risoluzione (2012/2922(RSP) adottata il 6 febbraio 2013 che affronta il problema della violenza di genere in un’ottica ampia, non solo limitata alle situazioni di conflitto, partendo dalla constatazione che la violenza contro le donne persiste in tutti i Paesi del mondo come la violazione più diffusa dei diritti umani. Soprattutto va menzionata l’introduzione, con la Direttiva 2011/99/EU approvata da Parlamento e Consiglio, dell’EPO, ovvero l’Ordine di Protezione Europeo, in virtù del quale l’autorità giudiziaria di uno Stato membro, che abbia predisposto per un suo cittadino un ordine di protezione nei confronti di un terzo che attenta alla sua vita o alla sua integrità psicologica o fisica, quindi anche (soprattutto?) in ipotesi di violenza domestica, stalking, minacce, può estendere la tutela prestata alla vittima in modo tale che la protezione garantita dal Paese originario (issuing State) valga anche in un altro Stato membro in cui il cittadino venga a trovarsi (executing State). Il regolamento del luglio 2013 ha esteso l’applicazione dell’EPO dalle sole questioni criminali a quelle civili, assicurando così una sorta di tutela senza frontiere posto che le vittime di violenza domestica possono fare ora affidamento su ordini di restrizione validi a livello dell’Unione nel suo intero territorio17. Un approccio più sistematico è quello che contraddistingue l’azione del Consiglio d’Europa. In verità, la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU) del 1950, contiene solo poche clausole espressamente dirette alla tutela dei diritti delle donne, in particolare sul diritto matrimoniale e su un generale divieto di discriminazione18. Peraltro, in anni recenti, il Consiglio d’Europa si è contraddistinto per un’azione strutturata in tema di violenza di genere che prende le mosse 17 L’Ordine di protezione europeo è stato introdotto nell’ordinamento italiano col decreto legislativo 11.02.2015 n° 9, G.U. 23.02.2015, con un po’ di ritardo quindi, rispetto alla dead line per il recepimento della direttiva fissata all’11 gennaio 2015. L’art. 4 del decreto introduce, all’interno dell’art. 282-quater c.p.p., un nuovo comma 1-bis mediante il quale si prevede che la persona offesa sia informata della possibilità di richiedere l’emissione di un ordine di protezione europeo, quest’ultimo decretato dal giudice che dispone una delle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis c.p.p. (Allontanamento dalla casa familiare) e 282-ter c.p.p. (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa). In questi casi il giudice provvede «su richiesta della persona protetta che dichiari di soggiornare o risiedere all’interno di uno Stato membro ovvero che manifesti l’intenzione di risiedere o soggiornare in altro Stato membro». 18 In effetti, la tutela delle donne ha beneficiato di un’interpretazione evolutiva degli artt. 2, 3, 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali che ha posto in essere la Corte di Strasburgo: A. VIVIANI, La violenza contro le donne nell’interpretazione della Corte di Strasburgo, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, p. 412 ss., e B. ANCEL, Les violences conjugales saisies par le droit européen: évolution ou révolution?, in Revue trimestrielle de droit européen, 2013, p. 701 ss 56 dalla Raccomandazione Rec(2002)5 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla protezione delle donne dalla violenza adottata nel 2002. Ai sensi della Raccomandazione il termine “violenza contro le donne” designa qualsiasi azione di violenza fondata sull’appartenenza sessuale che comporta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio danni o sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia di mettere in atto simili azioni, la costrizione, la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata. Questa definizione si applica, ma non è circoscritta, alle seguenti azioni: violenza perpetrata all’interno della famiglia o delle mura domestiche e in particolare le aggressioni di natura fisica o psichica, gli abusi di tipo emotivo o psicologico, lo stupro e l’abuso sessuale, l’incesto, lo stupro fra coniugi, partner abituali, partner occasionali o conviventi, i crimini commessi in nome dell’onore, la mutilazione degli organi genitali o sessuali femminili, così come le altre pratiche tradizionali dannose per le donne, quali i matrimoni forzati; violenza perpetrata nella comunità in generale e in particolare lo stupro, gli abusi, le molestie sessuali e le intimidazioni sul luogo di lavoro, nelle istituzioni o in altri luoghi, la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale; violenza perpetrata o tollerata dallo Stato o dagli agenti della forza pubblica; la violazione dei diritti fondamentali delle donne in situazione di conflitto armato, in particolare la presa di ostaggi, la deportazione, lo stupro sistematico, la schiavitù sessuale, la gravidanza forzata e la tratta ai fini di sfruttamento sessuale ed economico. Una definizione così sfaccettata offre poche vie di fuga, maglie così strette sono in grado di imbrigliare azioni anche non sfacciatamente ascrivibili alla violenza di genere: ma è uno strumento di soft law e, come tale, non comporta obblighi per gli Stati cui è rivolta, poiché il suo valore è eminentemente esortativo. Vero è che la Raccomandazione ha costituito sia la base per una campagna multilivello (intergovernativo, parlamentare e locale) fra i Paesi membri del Consiglio d’Europa; sia il trampolino di lancio per la Convenzione di Istanbul. Sotto il primo profilo, in base al Piano d’azione adottato a conclusione del Terzo Vertice dei Capi di Stato e di governo degli Stati membri del Consiglio d’Europa, a partire dal 2006 è stata condotta una campagna suddivisa in quattro grandi filoni - misure politiche e legali, supporto e protezione per le vittime, raccolta di dati e azioni di informazione - volta a sensibilizzare l’opinione pubblica e indurre gli Stati a conformarsi a quanto disposto nella Raccomandazione, attraverso l’adozione di misure efficaci e efficienti. Sotto il secondo profilo, in esito al Rapporto finale della Task Force istituita per sostenere e gestire tale campagna,19 Rapporto che raccomandava l’adozione da parte del Consiglio d’Europa di uno strumento complessivo giuridicamente vincolante in materia di diritti umani, al fine di prevenire e 19 Final Activity Report, Task Force to Combat Violence against Women, September 2008, http://www.coe.int/t/dg2/equality/domesticviolencecampaign/Source/Final_Activity_Report.pdf SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA combattere ogni forma di violenza sulle donne, il Comitato dei Ministri ha istituito nel dicembre 2008 un gruppo di esperti (Comitato Ad Hoc per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica - CAHVIO) con lo scopo specifico di redigere un draft di trattato in tema di contrasto alla violenza di genere. Il CAHVIO ha presentato nel giugno 2009 un Interim Report, in cui erano esposti contenuti e metodologia della bozza proposta. Dopo la sua approvazione, il documento ha costituito la base di una serie di incontri fra il CAHVIO, delegati degli Stati membri e rappresentanti della cd società civile, che hanno avuto luogo tra febbraio e dicembre 2010. Infine, il testo è stato approvato e trasmesso al Comitato dei Ministri per essere portato all’attenzione dell’Assemblea Parlamentare, nel marzo 2011. Il Comitato dei Ministri ha quindi adottato il testo il 7 aprile 2011 sicché la Convenzione è stata aperta alla firma in occasione della Conferenza ministeriale di Istanbul l’11 maggio 2011. 4. LA CONVENZIONE DI ISTANBUL La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica è stata adottata quindi dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed è stata aperta alla firma l’11 maggio 2011 in occasione della 121ma sessione del Comitato dei Ministri a Istanbul. Il deposito degli strumenti di ratifica di Andorra e Danimarca, avvenuto rispettivamente il 22 e 23 aprile 2014, ha consentito alla Convenzione di entrare in vigore lo scorso 1° agosto, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 75, par. 3.20 La Convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione (Canada, Giappone, Messico, Santa Sede, Stati Uniti) e dell’Unione Europea21. 20 L’art. 75, par. 3, della Convenzione individua l’entrata in vigore di quest’ultima nel primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dopo la data in cui dieci firmatari, di cui almeno otto Stati membri del Consiglio d’Europa, abbiano espresso il loro consenso ad essere vincolati. Nell’ordine, hanno ratificato: Turchia (1.3.2012), Albania (4.2.2013), Portogallo (5.2.2013), Montenegro (22.4.2013), Italia (10.9.2013), Bosnia Erzegovina (7.11.2013), Austria (14.11.2013), Serbia (21.11.2013), Spagna (10.4.2014), Andorra (22.4.2014), Danimarca (23.4.2014), Svezia (1.7.2014), Francia (4.7.2014), Malta (29.7.2014), Monaco (7.10.2014), Slovenia (5.2.2015). In particolare, l’Italia ha firmato la Convenzione di Istanbul il 27 settembre 2011; la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità la ratifica della Convenzione il 28 maggio 2013 e il Senato, sempre all’unanimità, il 19 giugno 2013, sicché con legge n. 77 del 27 giugno 2013, il Parlamento ha poi autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare tale Convenzione e ne ha contestualmente emesso l’ordine di esecuzione. Secondo quanto prescritto dall’art. 75, par. 2, della Convenzione, lo strumento di ratifica italiano è stato quindi depositato presso il Segretariato generale del Consiglio d’Europa il 10 settembre 2013. 21 Sarebbe interessante, ma non è consentito dallo spazio a disposizione di queste brevi note, l’indagine della ancora in fieri adesione dell’Unione europea alla Convenzione di Istanbul, in quanto si tratterebbe del secondo caso di prassi (finora l’Unione è parte solamente di un unico trattato sui diritti umani, ossia la Convenzione delle Nazioni Unite sulle persone disabili). L’opportunità di perfezionare la propria partecipazione alla Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione è evidente laddove si pensi al fatto che ciò consentirebbe di prevenire criticità che altrimenti deriverebbero La Convenzione contiene 81 articoli divisi in 12 capitoli, la cui struttura riposa su quattro pilastri, che potremmo definire delle “4P”: prevenzione, protezione, procedure, politiche integrate. Sotto il primo profilo, la Convenzione sottolinea come, nel contrasto alla violenza di genere, la prevenzione sia di primaria importanza. A tal fine, gli Stati e i governi che hanno ratificato la Convenzione sono ora obbligati ad adottare le seguenti misure: formare il personale che è a stretto contatto con le vittime; adottare regolarmente campagne di sensibilizzazione; includere nel materiale pedagogico argomenti quali la parità tra i sessi e la risoluzione non violenta dei conflitti nelle relazioni interpersonali; predisporre programmi terapeutici per gli autori di violenza domestica e per i delinquenti sessuali; lavorare strettamente con le organizzazioni non governative; coinvolgere i media e il settore privato affinché siano eliminati gli stereotipi di genere e sia promosso il mutuo rispetto. Sotto il secondo profilo, rileva la protezione che, in occasione di episodi di violenza, dev’essere garantita alle vittime e ai testimoni. Ciò comporta l’intervento e la tutela da parte delle forze di polizia e dei servizi d’aiuto specializzati. Le azioni concrete che la Convenzione indica per rispondere con efficacia a questa esigenza sono molteplici, fra cui ricordiamo: dare alle forze di polizia il potere di allontanare l’autore di violenza domestica dal suo domicilio, poiché in caso di pericolo immediato, la polizia deve poter garantire la sicurezza della vittima; assicurare alle vittime l’accesso a informazioni utili, in modo che le stesse possano comprendere facilmente i servizi e gli aiuti che sono a loro disposizione; distribuire sul territorio dei luoghi protetti accessibili e in numero sufficiente; fornire un’assistenza telefonica specializzata e gratuita a livello nazionale per 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana; creare dei centri di crisi facilmente accessibili per le vittime di stupro e violenza sessuale; tali centri dovranno fornire assistenza e consulenza medica immediata e assicurare assistenza medico-legale; tener presente che non è sufficiente porre in essere delle strutture di protezione e dei servizi di aiuto e assistenza, ma è anche necessario garantire che le vittime siano informate dei loro diritti e che le stesse sappiano dove e come ottenere aiuto. Sotto il terzo profilo, le procedure da seguire in caso di violenza di genere, la Convenzione di Istanbul ne definisce e qualifica penalmente diverse forme. Ciò implica che gli Stati parte devono, se del caso, introdurre nel loro sistema nazionale nuove figure di reato, tra cui: la violenza psicologica e dal c.d. double standard, spesso praticato in materia di diritti della persona umana. L’Unione, infatti, è solita chiedere agli Stati aspiranti membri o associati di garantire i diritti garantiti da trattati internazionali di cui essa non è però parte contraente. In effetti, solitamente si tratta di accordi sui diritti umani non aperti all’adesione dell’Unione. Nel caso di specie, l’Unione è invece abilitata a partecipare alla Convenzione di Istanbul e, pertanto, se essa per prima non agisse in questa direzione, potrebbe poi trovarsi in difficoltà nel richiedere il rispetto dei diritti garantiti da quella stessa Convenzione agli Stati. Si veda in dottrina S. PEERS, Should the EU Ratify the Istanbul Convention on Violence against Women?, 23 aprile 2014, eulawanalysis.blogspot.it. 57 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO psichica, la violenza sessuale e lo stupro, la persecuzione, le mutilazioni genitali femminili, il matrimonio forzato, l’interruzione di gravidanza e la sterilizzazione forzate22. Ancora, gli Stati aderenti dovranno fare in modo che attenuanti o le giustificazioni che collegano la violenza commessa a fattori culturali o a tradizioni legate all’onore, siano eliminate. La tipizzazione di queste figurae criminis comporta che gli Stati dovranno adottare una serie di misure affinché vi siano indagini effettive per ogni denuncia di violenza. Le autorità inquirenti e le forze di polizia dovranno rispondere alle richieste di aiuto, raccogliere le prove e valutare il rischio di violenza per proteggere adeguatamente la vittima, garantendo altresì che i diritti delle vittime siano rispettati in tutti gli stadi della procedura e che sia a loro evitata ogni forma di vittimizzazione secondaria. Sotto il quarto profilo, la Convenzione sottolinea l’importanza di politiche integrate alla luce della considerazione che una sola autorità statale non sarebbe in grado di fronteggiare efficacemente la violenza nei confronti delle donne e alla violenza domestica. Per dare una risposta efficace a questo tipo di violenze, è indispensabile un’azione concertata da parte di numerosi soggetti coinvolti, sicché la Convenzione chiede agli Stati di porre in essere delle politiche globali e coordinate che coinvolgano gli organismi pubblici, 22 Per esempio, per quel che concerne il nostro ordinamento, è ipotizzabile che debba essere emendato l’art. 18 della legge n. 194 del 22 maggio 1978 in cui si parla di aborto “cagionato” o “provocato”, senza mai usare l’espressione “aborto forzato”, inserita invece nell’art. 39, lett. a), della Convenzione di Istanbul. Ai sensi del rapporto esplicativo allegato alla Convenzione, questa seconda locuzione sembra assumere un’accezione diversa, e ben più grave, rispetto alle fattispecie disciplinata dalla legge italiana. 58 le organizzazioni non governative, i parlamenti e le autorità nazionali, regionali e locali. L’idea è quella di istituire un sistema integrato top-down, attraverso la formulazione di un piano di intervento nazionale che individui missione e ruolo di ciascun stakeholder coinvolto nel contrasto alla violenza di genere. Il sistema delle 4P si completa con un meccanismo di controllo, destinato a valutare in che misura le disposizioni della Convenzione sono applicate a livello di ciascun Stato parte. Tale meccanismo si basa su due organismi, il Gruppo di esperti per la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Group of Experts on Violence - GREVIO), costituito da esperti indipendenti, e il Comitato delle Parti, organo politico composto da rappresentanti ufficiali degli Stati che hanno ratificato la Convenzione. Il Comitato delle Parti elegge i membri del GREVIO e trasmette agli Stati aderenti raccomandazioni aventi a oggetto le misure necessarie per eseguire le indicazioni del GREVIO. Il GREVIO è deputato a ricevere ed esaminare le relazioni periodiche degli Stati parte e di organizzazioni non governative, istituzioni nazionali per i diritti umani e rappresentanti della società civile e, su queste basi, valuta le misure adottate dagli Stati per dare attuazione alla Convenzione. Il GREVIO può inoltre effettuare delle ispezioni in loco ad hoc per valutare e indagare su una specifica questione. In esito a tale procedura di controllo, il GREVIO può adottare dei Rapporti in cui indicare conclusioni in grado di aiutare il singolo Stato contraente a migliorare l’applicazione e il rispetto della Convenzione. Alla pubblicazione del Rapporto del GREVIO possono seguire Raccomandazioni formulate dal Comitato delle Parti, ma tali Raccomandazioni non sono obbligatorie, né nell’essere formulate, né nel loro contenuto. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA 5. OSSERVAZIONI CRITICHE E CONCLUSIVE La Convenzione di Istanbul rappresenta sicuramente un punto di riferimento a livello internazionale per quanto riguarda la lotta alla violenza contro le donne, secondo le parole del Vice Direttore Esecutivo di UN Women, John Hendra, nel corso di un evento nella giornata di apertura della 56ma sessione della CSW nel 201223, come pure una pietra miliare del sistema di tutela dei diritti umani, come dichiarato dal Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Anne Brasseur24. Peraltro, non bisogna sottacere alcune criticità che si vogliono brevemente evidenziare in queste osservazioni conclusive. In primo luogo, sotto il profilo ratione materiae, la Convenzione patisce di una serie di riserve25, che hanno avuto come prodromi tentativi di ridurre la portata, attraverso un’applicazione restrittiva, della violenza di genere. Per esempio, Federazione Russa e Santa Sede hanno proposto di escludere la violenza contro lesbiche, bisessuali e transgender dall’ambito di applicazione del trattato (sancita nell’art 4). Il Regno Unito si è opposto alla penalizzazione del matrimonio forzato, sancita dalla Convenzione nell’art. 37 e ha altresì proposto l’esclusione dall’ambito di applicazione delle violenze perpetrate nel corso di conflitti armati e il non inserimento della violenza contro le donne tra le violazioni dei diritti umani (sancita nell’art.3), nonostante si tratti, in entrambi i casi, di estensioni ormai unanimemente recepite nei più recenti strumenti internazionali adottati in materia, alcuni dei quali abbiamo espressamente visto nei paragrafi precedenti di queste brevi note26. Il nostro Paese ha avuto un atteggiamento alquanto ambiguo, quanto all’estensione delle garanzie. In effetti, in occasione del primo disegno di legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, presentato dal Governo nel gennaio 2013, il Rappresentante italiano permanente presso il Consiglio d’Europa ha depositato una dichiarazione interpretativa in lingua inglese del seguente tenore:«Italy declares that it will apply the Convention in conformity with the principles and provisions of the Italian Constitution» ossia l’Italia applicherà la Convenzione nel rispetto dei princìpi e delle previsioni costituzionali. Questa dichiarazione, posta in essere quale escamotage per aggirare il divieto di riserve sancito dalla Convenzione, salvo che 23 http://www.unwomen.org/en/news/stories/2012/2/un-women-supports-the-council-of-europe-s-convention-againstdomestic-violence 24 http://assembly.coe.int/nw/xml/News/News-View-EN.asp?newsid=5313&lang=2&cat=135 25 Il testo completo delle riserve e delle dichiarazioni interpretative si legge in: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ListeDeclarations. asp?NT=210&CM=1&DF=&CL=ITA&VL=1 26 In verità, anzi, dalla ricostruzione storica qui proposta, sembra che dalla Convenzione CEDAW, starting point degli strumenti internazionali vincolanti aventi a oggetto la tutela delle donne, dall’impianto concettuale di stampo prevalentemente emancipatorio, sia proprio attraverso gli interventi emergenziali su “donne nei conflitti” attuati nel contesto di scenari di guerra a partire dagli anni ‘90, che si sia approdati alla consapevolezza che la questione della violenza di genere ha una valenza politica a livello globale. per clausole espressamente indicate27, sembra riconducibile al carattere troppo ampio e incerto attribuito da talune norme convenzionali alla nozione di “genere”, ritenuta quindi potenzialmente incompatibile con l’ordinamento italiano28. Soprattutto alla luce della dizione dell’art. 3, lett. c), secondo cui con tale nozione deve intendersi «the socially constructed roles, behaviours, activities and attributes that a given society considers appropriate for women and men» («con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini»), la dichiarazione è stata posta in essere al fine di restringere l’applicazione dell’accordo, dai confini troppo ampi e fumosi, probabilmente a detrimento dei transessuali29. Tuttavia, anche a seguito delle elezioni politiche del febbraio 2013, è stata presentata una nuova proposta di legge di ratifica non contenente alcun cenno alla dichiarazione interpretativa in parola. Questa seconda proposta è stata poi adottata, consentendo la promulgazione della legge di ratifica e il ritiro, il 12 settembre 2013 (ovvero due giorni dopo il deposito dello strumento di ratifica), della dichiarazione interpretativa italiana ex art. 78, par. 4, della Convenzione, il che, se alla luce delle considerazioni critiche appena esposte va salutato con plauso, pur nondimeno dà contezza e visibilità 27 L’art. 78 sancisce che: «1. Non è ammessa alcuna riserva alle disposizioni della presente Convenzione, salvo quelle previste ai successivi paragrafi 2 e 3; 2. Ogni Stato o l’Unione europea può, al momento della firma o del deposito del proprio strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, mediante dichiarazione inviata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, precisare che si riserva il diritto di non applicare o di applicare solo in particolari casi o circostanze le disposizioni enunciate nei seguenti articoli: art. 30.2 (risarcimento); art. 44. 1, 3,4 (giurisdizione); art. 55,1 esaminato insieme all’art.35 per quanto riguarda i reati minori (Procedimenti d’ufficio ed ex parte); art. 58 esaminato insieme agli art. 37, 38 e 39 (prescrizione); Art. 59 (status di residente). 3. Ogni Stato o l’Unione europea può, al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione, mediante dichiarazione inviata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, precisare che si riserva il diritto di prevedere sanzioni non penali, invece di imporre sanzioni penali, per i comportamenti di cui agli articoli 33 (violenza psicologica) e 34 (violenza fisica). 4. Ogni Parte può ritirare in tutto o in parte una riserva mediante notifica indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d’Europa. Il ritiro avrà effetto a partire dalla data del suo ricevimento da parte del Segretario Generale». 28 Il documento, Disegno di legge n. 3654 dell’8 gennaio 2013, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, p. 7, presentato dall’allora Ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, e dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero, si legge online sul sito ufficiale del Senato della Repubblica: www.senato.it 29 Ciò lascia perplessi alla luce di due considerazioni, una di matrice interna e una di stampo internazionalistico. Sotto il primo profilo, l’art. 3.1 della nostra Costituzione sancisce il principio di uguaglianza formale, in virtù della quale si vieta espressamente che possano essere previsti trattamenti differenziati a causa di uno dei motivi da essa elencati, tra cui anche il divieto di discriminazioni per motivi di sesso, che si riflette anche sulla posizione dei transessuali e degli omosessuali. Sotto il secondo profilo, benché la dizione letterale della denominazione ufficiale della Convenzione di Istanbul mira espressamente a salvaguardare (principalmente) le donne, il suo scopo è quello di incoraggiare gli Stati parti ad agire a tutela di ogni vittima di violenza domestica (art. 2, par. 2), evidentemente senza alcuna contrapposizione di sesso. 59 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO di atteggiamenti poco lineari del nostro Governo. Sempre nel quadro dei limiti riscontrabili nella Convenzione, va sottolineato come alcuni Stati firmatari abbiano presentato proposte miranti a cancellare il principio della “dovuta diligenza” da parte degli Stati nel prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime di atti di violenza (art 5), o a indebolire il previsto obbligo da parte degli Stati di favorire e agire da mediatori nelle eventuali azioni individuali o collettive condotte nell’ambito dei meccanismi regionali e internazionali di denuncia delle violenze (art 21). In tal senso si è espressa la Federazione Russa, mentre il Regno Unito ha avanzato proposte volte a limitare le misure attive finalizzate a favorire la formulazione di politiche e linee guida di concerto con i media, proponendo invece un generico incoraggiamento ai media per indurli a modificare politiche e strategie comunicative (art 17). Queste proposte, in parte rifiutate, hanno come conseguenza un infausto rallentamento nel processo di ratifica da parte di tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Ancora, può evidenziarsi un terzo nodo critico riguarda le procedure di monitoraggio e garanzia stabilite dalla Convenzione, sia per proposte di emendamento - presentate in particolare dalla Federazione Russa - relative alla pubblicazione di rapporti e missioni in loco da parte del GREVIO (art. 68) e alle riserve (previste in merito ad alcuni articoli specifici della Convenzione) che devono essere precisate dalle parti contraenti al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica, esponendo i motivi (art. 79); sia perché il meccanismo di controllo illustrato supra ha due evidenti limiti. Il primo è quello di non essere aperto a ricorsi di singoli. Infatti, la Convenzione non attribuisce né al GREVIO né al Comitato delle Parti competenza a ricevere comunicazioni individuali o interstatali riguardanti l’eventuale violazione delle sue disposizioni30. Il secondo riguarda le Raccomandazioni del Comitato delle Parti sia perché, come detto, l’adozione delle raccomandazioni non è obbligatoria, sia perché dipendono dalla volontà di un organismo composto da Stati e non da personalità indipendenti. Infine un quarto gruppo di criticità riguarda la tutela, nel quadro della Convenzione, delle donne migranti o rifugiate: in particolare, il previsto impegno da parte degli Stati membri a prendere misure legislative o di altro tipo allo scopo di garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell’articolo 1 A (2) della Convenzione relativa allo 30 Sotto questo profilo quindi offre minori garanzie degli analoghi strumenti interamericano ed africano. La Convenzione di Belém do Parà, infatti, stabilisce che individui e organizzazioni non governative possono inoltrare petizioni alla Commissione interamericana dei diritti dell’uomo (art. 12); inoltre, agli Stati e alla Commissione interamericana per le donne è riconosciuta la possibilità di adire in via consultiva anche la Corte interamericana per questioni attinenti l’interpretazione della Convenzione (art. 11). Il Protocollo di Maputo predispone un sistema di rapporti periodici da inviare alla Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, il che si affianca alla possibilità che di casi concernenti violazioni dei diritti da esso garantiti venga investita la Corte africana a fronte dell’ampia competenza ratione materiae che ad essa è conferita dagli artt. 3 e 7 del suo Statuto. 60 Status dei Rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare (art 60). La Federazione Russa ha contestato tale previsione e ha proposto un emendamento contemplante una lista esaustiva di particolari crimini che, se accolta, avrebbe avuto il probabile effetto di limitare ulteriormente le forme di violenza che permettano alle donne di godere in maniera piena del diritto di asilo. Rispetto al diritto di non refoulement, previsto dall’art. 61, è stato proposto dal Regno Unito, e non accolto, un emendamento mirante a limitare tale diritto ai soli casi in cui fosse ravvisabile e verificabile un “reale pericolo” per le richiedenti asilo. L’Italia ha proposto un’aggiunta al paragrafo 4 dell’art. 59, allo scopo di subordinare il diritto di residenza delle vittime di matrimonio coatto all’avvenuto scioglimento o annullamento del matrimonio che ha determinato la decadenza di tale diritto: è evidente come ciò comporti il rischio di negare un intervento efficace e pronto nella protezione delle donne soggette a matrimoni forzati dato lo iato temporale fra l’avvio della procedura di annullamento e divorzio e l’esito finale. In linea generale, dall’analisi delle disposizioni della Convenzione emerge sì un approccio olistico al problema della violenza nei confronti delle donne che però evidenzia una sostanziale ottica emergenziale, posto che non ci sia il necessario spazio dedicato a considerazioni relative all’importanza che i fattori socioeconomici e culturali hanno nel determinare il fenomeno, salvo poche norme specificamente indirizzate alla lotta ai fattori culturali alla base della discriminazione e della violenza. In secondo luogo, la violenza nei confronti delle donne è nella Convenzione, per così dire, “normalizzata”: ossia viene resa un paradigma interpretativo nell’ambito non solo delle relazioni tra i generi, ma di tutte le relazioni di diversità nei confronti di soggetti vulnerabili (anziani, bambini, migranti) particolarmente esposti alla violenza domestica, il che oltre a differenziarsi dal tradizionale approccio dei movimenti di emancipazione e liberazione femminile, va in parte a detrimento della specificità e unicità della discriminazione di genere. Da questa “normalizzazione” deriva l’ulteriore conseguenza di non condividere l’impianto emancipatorio proprio della CEDAW che nelle differenze di genere vede ostacoli da rimuovere e/o superare, ma, al contrario, li acquisisce quali dati di fatto, ciò che potrebbe determinare nella prassi una minore attenzione ai fattori di prevenzione, dando prevalenza alla tutela delle vittime e al perseguimento di coloro che commettono violenza. Queste considerazioni critiche non devono essere intese nel senso di sminuire la portata della Convenzione di Istanbul ma solo ribadire l’assunto espresso mirabilmente da Friedrich Hacker «la violenza è semplice; le alternative alla violenza sono complesse». SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Autostima e autoefficacia, identità di genere e soddisfazione lavorativa. Implicazioni per la scelta di carriera PAOLA MAGNANO1, ANNA PAOLILLO2, GIUSEPPE SANTISI3 1. Facoltà di Scienze dell’Uomo e della Società, Università degli Studi di Enna Kore 2. Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Filosofia, Università degli Studi di Verona 3. Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Catania L’ PREMESSA uguaglianza tra uomini e donne sembra un obiettivo già raggiunto nelle società occidentali, in quanto sancito a livello normativo e sostenuto dalle politiche pubbliche per le pari oppor- tunità. Sul piano della riflessione teorica in ambito psicologicoorganizzativo, in tempi relativamente recenti il costrutto di genere ha trovato una sua articolazione negli studi organizzativi, ponendosi in continuità con la riflessione dei cosiddetti gender and women studies (Martini, Piccardo, 2009); l’ingresso massiccio delle donne nelle organizzazioni lavorative, infatti, ha mutato l’equilibrio associato alla netta separazione tra mondo produttivo, professionale, in cui gravitavano prevalentemente gli uomini e mondo riproduttivo, familiare, appannaggio quasi esclusivo delle donne (Saraceno, 2006). Tuttavia, basta guardare al mondo del lavoro per rendersi conto che le donne continuano a non godere di effettive condizioni di parità: fenomeni quali la discriminazione fra sessi (nel senso della penalizzazione nelle opportunità di crescita professionale, nella retribuzione, nella selezione in ingresso) in ambito professionale, o la segregazione occupazionale (che relega le donne in segmenti professionali che offrono scarsa visibilità, scarso riconoscimento economico e sociale e poche opportunità di carriera, quali, ad es. le professioni di cura e servizio) sono ancora molto diffusi (Kmec, 2005; Bagilhole, Cross, 2006). I ruoli familiari non ancora paritari, la rottura dei confini tra sfera professionale e familiare, pongono la questione della doppia presenza (Balbo, 1982; Margola, 2005), che indica la contemporanea ed alterna presenza delle donne nella famiglia e nella professione, con il paradosso e la difficoltà di “esserci”, allo stesso tempo, in contesti diversi, regolati da logiche differenti. Il problema della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro diventa, negli ultimi anni, un tema di grande interesse per gli studi psicologici in relazione ai significativi cambiamenti della forza lavoro (Rothbard, Dumas, 2006), legati non soltanto alla maggiore partecipazione delle donne al lavoro, ma anche all’aumento delle coppie in cui entrambi i partner hanno un’occupazione retribuita (Ghislieri, Colombo, Piccardo, 2010). I contributi di ricerca presenti in letteratura sul tema del conflitto tra lavoro e «resto della vita» (MacDermid, 2005) ci mostrano un ampio range di campioni coinvolti nelle ricerche (militari, neomadri, infermieri, forze dell’ordine) provenienti da differenti aree geografiche (Australia, Canada, Cina, Finlandia, Hong Kong, Norvegia, solo per citarne alcune). Colpisce, nella rassegna di MacDermid, l’assenza di ricerche sistematiche condotte in Italia, ad eccezione, probabilmente, del recente studio promosso dalla Rete Nazionale delle Consigliere di Parità e condotto dagli Psicologi del Lavoro accademici italiani avente ad oggetto la costruzione dell’identità e le vessazioni sui luoghi di lavoro nelle lavoratrici atipiche italiane (Rete nazionale degli Psicologi del lavoro accademici, 2010). CENNI TEORICI SULLE QUESTIONI DI FONDO LEGATE AL GENERE Il genere è la dimensione che più di ogni altra caratterizza l’individuo. È una variabile insieme psicologica e socioculturale che deriva dal meccanismo di interrelazione individuo-società e che riflette, da un lato, l’influenza del contesto culturale nella strutturazione e nello sviluppo della personalità e, dall’altro, i profondi cambiamenti che a riguardo caratterizzano la società contemporanea. Il concetto di sex-gender system (Rubin, 1975) può essere definito come “l’insieme dei processi, adattamenti, modalità di comportamento e di rapporti, con i quali ogni società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell’attività umana e organizza la divisione dei compiti tra gli uomini e le donne, differenziandoli gli uni dalle altre: creando, appunto, «il genere»” (Piccone Stella, Saraceno, 1999, p. 7). 61 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Nella spiegazione delle differenze e delle caratteristiche legate al genere, alcune prospettive centrano l’attenzione sulle differenze biologiche focalizzandosi di volta in volta su fattori genetici, ormonali ed evolutivi. Le recenti teorizzazioni di Baron-Cohen (2003) spiegano il differente orientamento alla realtà di maschi e femmine attribuendo al cervello maschile l’utilizzo prevalente di un approccio esplorativo e l’attenzione prevalente ai sistemi e al cervello femminile l’attenzione ai fenomeni emotivi e sociali (Buss, 1995) e la prevalenza di un orientamento empatico, tendente ad identificare stati mentali altrui e rispondere con appropriate emozioni (Di Nuovo, 2004). “Le dimensioni e la forma del nostro corpo, i processi somatici e le abilità fisiche contribuiscono certamente a modellare e a produrre la nostra esperienza psichica in quanto condizionano il nostro approccio alla realtà fisica e sociale” (Burr, 2000, p. 48). Nella prospettiva socioculturale, le caratteristiche di genere si riferiscono al significato sociale che le differenze sessuali assumono in un determinato contesto sociale e quindi alle aspettative relative ai comportamenti associati a maschi e femmine. Si tratta di elementi che variano a seconda delle regole sociali e del processo di interiorizzazione, quindi da individuo a individuo e, pertanto, comportano notevole variabilità, nell’adozione dei ruoli di genere, anche all’interno di uno stesso gruppo sociale. I processi di socializzazione definiscono e attribuiscono a donne e uomini i ruoli di genere nella famiglia, nella società, nelle organizzazioni del lavoro. In questa prospettiva il genere è frutto di una costruzione sociale e culturale, non di una ineluttabilità biologica (Gherardi, 1998; Monaci, 1997). Secondo la teoria dell’apprendimento sociale (Bandura, 1977), l’acquisizione di certi comportamenti avviene per osservazione o per imitazione di modelli, per cui la prestazione di un bambino o di una bambina rispetto ad un compito assegnato è influenzata dalla percezione del compito come appropriato al proprio genere o all’altro (Di Nuovo, 2004). Da ciò i bambini sviluppano l’idea che esistono comportamenti adatti al loro sesso e tendono a metterli in atto (Mischel, 1966; Burr, 2000). “In chiave più strettamente sociologica, confrontarsi con una prospettiva di genere implica mettere a fuoco i modi e le forme in cui le relazioni di potere tra i due sessi si definiscono e si trasformano nel corso del tempo all’interno delle istituzioni e nella vita quotidiana. Insieme richiede un’analisi del rapporto tra tali trasformazioni e i «discorsi sociali» sulle differenze di sesso” (Buzzi e al., 2002, p. 229). L’adozione di un unico punto di vista, nella spiegazione delle differenze legate al genere, tuttavia, accentua il rischio di produrre spiegazioni deterministiche e riduzionistiche che non aiutano a capire la complessità dei fenomeni in grado di influenzare le caratteristiche psicosociali dell’uomo e della donna e le differenze (cognitive, emotive e comportamentali) che l’evidenza empirica continua a confermare. Nessuno studioso, oggi, può infatti pensare – come sostiene Di Nuovo (2004) – che vi siano influenze unicamente biologiche o unicamente sociali sullo sviluppo dell’identità di una persona, e 62 quindi anche della sua identità di genere sessuale. L’identità di genere, gender identities nella letteratura anglosassone, è pertanto un costrutto multidimensionale, che ha una componente biologica, cognitiva e sociale ma anche culturale ed educativa. Una prospettiva interazionista che si sforza di considerare la relazione tra aspetti biologici ed ambientali è quella che meglio può cogliere la complessità dei fenomeni collegati alle differenze di genere. Si tratta di superare impostazioni che storicamente hanno avuto la responsabilità di sancire le differenze giustificando e avallando in molti casi le discriminazioni e l’immodificabilità di alcuni fenomeni; al contrario una più profonda comprensione delle problematiche di genere può consentire lo sviluppo di nuove sensibilità rispetto ai condizionamenti culturali e sociali e l’individuazione di strategie di cambiamento. GLI STUDI DI GENERE IN AMBITO ORGANIZZATIVO Secondo la ricostruzione di Martini e Piccardo (2009), gli studi di genere in ambito organizzativo sono stati caratterizzati da alcuni momenti distintivi: 1. disinteresse nei confronti della tematica, in ambiente organizzativo; 2. presa di coscienza delle discriminazioni nei confronti delle donne nei contesti lavorativi; 3. superamento della dicotomia uomo-donna sottesa alla struttura organizzativa. La prima non può certo definirsi una vera e propria fase; fino agli anni ’60 del secolo scorso, di fatto il tema delle differenze di genere nel lavoro e delle relazioni tra uomini e donne era una «non-issue» (Monaci, 1997, p. 45). Le donne erano entrate nei contesti organizzativi solo da poco tempo, ne rappresentavano un’eccezione, ricoprivano ruoli secondari, non si poneva neanche il problema che potessero assumere posizioni manageriali e si adeguavano ad ambienti organizzativi pensati per gli uomini e costruiti secondo logiche maschili. L’interesse verso la presenza delle donne nelle organizzazioni si attiva quando – negli anni ‘70/80 del XX secolo – la presenza femminile negli ambienti di lavoro aumenta considerevolmente. Tuttavia, all’aumento dell’impegno delle donne nelle organizzazioni non corrisponde, parallelamente, l’accesso a posizioni di responsabilità. È la fase dell’acquisizione di consapevolezza rispetto a discriminazioni verticali (in cui viene ostacolato il raggiungimento dei più alti livelli nella carriera) e orizzontali (in cui si relegano le donne a certi tipi di professioni, soprattutto nell’ambito dei servizi, che richiedono prevalentemente competenze relazionali e di cura) (Santisi, 2004; Santisi, Patanè, Ramaci, 2010). Le prospettive teoriche di ambito psicologico si sono concentrate sui processi alla base delle aspirazioni e aspettative occupazionali di donne e uomini e sulla natura e il contenuto proprio degli stereotipi di genere che attraversano la società e le organizzazioni; accanto alle aspirazioni occupazionali che ciascuno si forma sulla base dei propri interessi, valori e altre dimensioni legate all’orientamento (Di Nuovo, 2000, 2003; Soresi e Nota, 2000; Castelli, Venini, 1996), si creano SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA delle aspettative maggiormente connotate per genere (Monaci, 1997), influenzate sia dalle esperienze di socializzazione ai ruoli sessuali, sia dalla distribuzione attuale dei due sessi nelle categorie occupazionali (Martini, Piccardo, 2009). L’approccio post-moderno o prospettiva della frammentazione (Martin, Meyerson, 1997) postula la coesistenza di logiche e approcci differenti nei contesti sociali e culturali, che non necessariamente devono essere ricondotti ad un disegno univoco. Più specificamente, viene messa in discussione la dicotomia maschile-femminile che, in una logica tipicamente maschile, permea il lavoro nelle organizzazioni; attraverso, cioè, una decostruzione dei significati e delle norme impliciti e condivisi nelle strutture organizzative, si arriva ad una ri-costruzione di una nuova cultura sociale e organizzativa caratterizzata dalle infinite sfumature del significato dell’identità di uomo o donna (Hatch, 1999; Monaci, 1997; Martini, Piccardo, 2009). Elemento essenziale diventa, pertanto, la «riflessività» (Hatch, 2002; Martin, 2006), sulle azioni che si compiono, sulle ragioni che le muovono e sulle intenzioni che le dirigono. Ridgeway e Correll (2004) sottolineano come spesso la discriminazione nei contesti organizzativi è frutto della non-riflessività, del fatto che donne e uomini agiscono in base a stereotipi di genere, di cui non si ha consapevolezza. Da questo punto di vista, “il riconoscimento degli assunti impliciti che guidano la costruzione della cultura sociale e organizzativa condivisa, mettendo in discussione l’esistenza di una concezione unitaria, apre la possibilità di accogliere le molteplici prospettive esistenti, integrandole tra loro: si può, in questo modo, sviluppare una cultura non escludente né discriminante nei confronti di chi differisce dalla norma” (Martini, Piccardo, 2009, p. 117). LA RICERCA: OBIETTIVI, STRUMENTI, CAMPIONE L’indagine è finalizzata all’esplorazione della relazione esistente tra autostima, General Self-Efficacy, senso di autoefficacia emotiva e condizione occupazionale, per capire se e quanto l’incertezza che caratterizza l’odierno clima lavorativo incida su tali dimensioni identitarie. Si è indagato, inoltre, sulla percezione circa il ruolo femminile all’interno del mercato del lavoro e, in particolare, si è voluta analizzare la presenza di eventuali differenze circa la rappresentazione del rapporto uomo-lavoro e donna-lavoro. Ulteriori ambiti di approfondimento sono stati: le percezioni circa il ruolo del genere di appartenenza nelle scelte di carriera e la soddisfazione lavorativa. Gli strumenti utilizzati per gli scopi della ricerca sono: - Rosenberg Self-Esteem Scale (Rosenberg, 1965, nella versione italiana di Prezza, Trombaccia e Armento, 1997), la quale indaga l’autostima globale attraverso dieci item valutati su una scala Likert a quattro punti, da 1 (fortemente in disaccordo) a 4 (fortemente d’accordo); - Scala di Autoefficacia Percepita Emotiva nella Gestione delle Emozioni Negative – APEN (Caprara, 2001) la quale indaga le convinzioni relative alle proprie capacità di governare le emozioni negative attraverso otto item valutati su scala Likert a cinque livelli, da 1 (per niente capace) a 5 (del tutto capace); - Scala di Autoefficacia Percepita Emotiva nell’Espressione delle Emozioni Positive – APEP (Caprara, 2001), la quale valuta la capacità del soggetto di esprimere efficacemente le emozioni positive attraverso sette item valutati su scala Likert a cinque livelli, da 1 (per niente capace) a 5 (del tutto capace); - General Self- Efficacy Scale di Schwarzer (Jerusalem e Schwarzer, 1981, nella sua versione italiana di Sibilia, Schwarzer e Jerusalem, 1995), la quale valuta attraverso dieci item il senso generale di auto-efficacia e prevede per l’indicazione della risposta il riferimento ad una scala Likert a cinque punti, da 1 (massimo disaccordo) a 5 (massimo accordo); - Questionario costruito ad hoc per rilevare le percezioni dei ruoli lavorativi legati al genere, le influenze di genere sulle scelte di carriera e la soddisfazione lavorativa, valutate con scala Likert a 5 livelli. Il campione è costituito da 300 soggetti, di età compresa tra 30 e 45 anni, pareggiati per genere (34% maschi – N=102; 66% femmine – N=198), titolo di studio (37% licenza media – N=112; 50% diploma – N=149; 13% laurea – N=39), stato civile (43% celibi/nubili – N=129; 33% coniugati/conviventi – N=100; 24% separati/divorziati – N=71) e per condizione lavorativa (50% occupati – N=150; 50% disoccupati – N=150). DESCRIZIONE DEI RISULTATI Differenze per genere Un primo tipo di confronto è quello effettuato suddividendo il campione in base al genere. I risultati statisticamente significativi (test t, p<.05) sono riportati come segue: - Le femmine del campione possiedono livelli di autostima più elevati (M = 18.46) rispetto ai maschi (M = 17.05); - Per quanto riguarda il questionario relativo alle influenze di genere sul ruolo lavorativo le donne del campione esprimono un grado significativamente più elevato di accordo con gli item “Per l’uomo è importante realizzarsi prevalentemente nella vita professionale” (M = 4.41), “Per la donna è importante realizzarsi prevalentemente nella vita professionale” (M = 4.13), e “Per la donna è importante realizzarsi prevalentemente nella vita familiare” (M = 4.44) rispetto ai maschi del campione (M = 4.10, M = 3.74, M = 4.09). - Infine per quanto riguarda il questionario relativo alle influenze di genere nelle scelte di carriera sono sempre le donne a ritenere che l’essere donna implichi maggiori responsabilità riguardo alla cura della casa e della famiglia. Differenze per stato civile Un secondo tipo di confronto è quello effettuato suddividendo il campione in base allo stato civile. I risultati statisticamente significativi (ANOVA, p<.05) sono riportati come segue: - I coniugati/conviventi ritengono maggiormente che l’es63 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Fig. 1 - Differenze tra punteggi medi per il genere (t test, p<.05) Nota: “Per l’uomo è importante realizzarsi prevalentemente nella vita professionale” (UOMOPROF), “Per la donna è importante realizzarsi prevalentemente nella vita professionale” (DONNA-PROF), “Essere donna implica maggiori responsabilità riguardo alla cura della casa e della famiglia”. (CURA). titoli di studio più elevati (laureati M = 40.56, diplomati M = 37.04, licenza media M = 36.93). Differenze per condizione occupazionale Un’ulteriore analisi è stata effettuata applicando confrontando (test t, p<.05) il campione in base alla variabile situazione occupazionale. L’unico risultato significativo emerge in relazione alla percezione dei ruoli lavorativi legati al genere: gli occupati infatti ritengono in misura maggiore che “per l’uomo sia importante realizzarsi prevalentemente dal punto di vista professionale” (M = 4.42) rispetto ai non occupati (M = 4.20). Differenze per professione Un successivo confronto è stato effettuato tra i punteggi medi riportati dal campione suddiviso per categorie professionali. I risultati statisticamente significativi (ANOVA, p<.05) sono riportati di seguito: - I liberi professionisti risultano possedere un’autostima più elevata (M = 18.63), seguiti da impiegati (M = 17.40), insegnanti (M = 16.92), altre professioni – che comprendono casalinga, disoccupato/a, studente, operatrice call/center (M = 16.82) e operai/tecnici (M = 16.13). - La categoria degli operai/tecniNota: “Essere donna implica maggiori difficoltà nel trovare lavoro”. (DIFFICOLTA’ LAVORO). ci ritiene maggiormente che i ruoli “Essere donna implica maggiori responsabilità riguardo al sostentamento della famiglia”. familiari debbano essere nettamen(RESPONSABILITA’).“Essere donna implica maggiori responsabilità riguardo alla cura della casa e della famiglia”. (CURA). te differenziati tra uomo e donna (M = 3.33), seguiti da impiegati (M = 3.11), liberi professionisti (M = sere donna renda più difficile trovare lavoro (M = 3.15), se- 2.90), altre professioni (M = 2.89) e insegnanti (M = 2.10). guiti dai separati/divorziati (M = 2.88) e infine dai celibi/ - La categoria altre professioni ritiene maggiormente che nubili (M = 2.71). l’essere donna implichi più responsabilità riguardo la cura - I separati e divorziati reputano maggiormente che l’es- della casa e della famiglia (M = 4.53), seguiti da liberi prosere donna implichi più responsabilità riguardo al sostenta- fessionisti (M = 4.22), impiegati (M = 3.73), operai/tecnici mento della famiglia (M = 3.90) e alla cura della casa e della (M = 3.70) e insegnanti (M = 3.59). - Gli insegnanti ritengono maggiormente che la propria atfamiglia (M = 4.19), seguiti dai coniugati/conviventi (M = tività lavorativa sia coerente con il percorso formativo svolto 3.65, M = 3.98) e dai celibi/nubili (M = 3.41, M = 3.69). (M = 4.04), seguiti da liberi professionisti (M = 3.13), impieDifferenze per titolo di studio gati (M = 2.97), altre professioni (M = 2.71) e operai/tecnici Successivamente mediante l’analisi della varianza (ANO- (M = 2.53). VA, p<.05) è stato possibile analizzare i punteggi medi attri- Sarebbero infine i liberi professionisti a ritenere maggiorbuiti a tutte le variabili indagate da parte del campione sud- mente che la propria attività lavorativa sia riconosciuta dal diviso in base al titolo di studio. L’unico risultato statistica- punto di vista professionale (M = 4.13), seguiti da insegnanti mente significativo (p<.05) riguarda il senso di autoefficacia (M = 3.08), altre professioni (M = 3.07), operai/tecnici (M = generale, il quale tende ad aumentare in corrispondenza di 2.92) e impiegati (M = 2.80). Fig. 2 - Differenze tra punteggi medi per stato civile (t test, p<.05 64 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Fig. 3 - Differenze tra punteggi per titolo di studio (ANOVA, p<.05) Fig. 4 - Differenze tra punteggi medi per condizione occupazionale (t test, p<.05) positivamente con le credenze di efficacia circa l’espressione delle emozioni positive (r = 0.12). - L’item “Quanto l’essere donna può condizionare le scelte formative” del questionario circa le influenze di genere sulle scelte di carriera, correla negativamente con il senso di autoefficacia generale (r = -0.13) e il senso di autoefficacia relativo alla gestione delle emozioni negative (r = -0.15). - L’item n. 7 del questionario circa le influenze di genere sulle scelte di carriera (“Ritiene che l’essere donna possa essere di ostacolo alla realizzazione delle proprie aspirazioni professionali”), correla negativamente con l’autostima posseduta (r = -0.15) e con le credenze di efficacia nell’espressione delle emozioni positive (r = -0.13). DISCUSSIONE Relazioni tra variabili Per verificare il collegamento tra autostima, autoefficacia (generale ed emotiva), identità di genere e soddisfazione lavorativa è stata effettuata un’analisi delle correlazioni semplici esistenti tra i punteggi delle variabili sopra elencate, ottenendo i seguenti risultati (r di Pearson, p<.05): - Il riconoscimento dal punto di vista professionale dell’attività lavorativa svolta (item n. 5 del questionario sulla soddisfazione lavorativa), correla positivamente con il senso di autoefficacia generale (r = 0.21). - L’item “Per l’uomo è importante realizzarsi prevalentemente nella vita familiare” del questionario sulla percezione dei ruoli lavorativi legati al genere correla positivamente con il senso di autoefficacia generale (r = 0.12) e quello relativo all’espressione delle emozioni positive (r = 0.11). - L’item “Per la donna è importante realizzarsi prevalentemente nella vita familiare” del questionario sulla percezione dei ruoli lavorativi legati al genere correla negativamente con il senso di autoefficacia percepita nella gestione delle emozioni negative (r = -0.14). - L’item n. 7 del questionario sulla percezione dei ruoli lavorativi legati al genere (“Per la donna è importante realizzarsi prevalentemente nella vita professionale”) correla Considerando le dimensioni psicologiche esplorate dalla ricerca, risultati interessanti si rilevano per quanto concerne la variabile genere del campione: i dati sopra esposti mostrano una migliore valutazione di sé per le donne, la quale si potrebbe spiegare facendo riferimento a un’idea ormai diffusa secondo cui queste ricercano la loro realizzazione non solo nel contesto familiare ma anche professionalmente, mostrando così una certa propensione a voler conciliare i due ambiti di vita. Tuttavia, in contrapposizione con quanto appena menzionato, i dati evidenziano anche il permanere di un atteggiamento meno visibile e manifestato proprio dalla parte femminile del campione, che porta a sostenere una netta e tradizionale differenziazione dei ruoli legati al genere, per cui l’uomo sarebbe maggiormente interessato a realizzarsi nel campo lavorativo, mentre alla donna spetterebbe un carico maggiore di responsabilità riguardo la cura della casa e della famiglia, come se a livelli di autostima più elevati, e a conseguenti ambizioni di più ampio raggio, facesse da contraltare la consapevolezza che le responsabilità domestiche rimangono comunque più pressanti per le donne, ponendo dei limiti alla loro realizzazione in altri settori. Andando alle differenze per stato civile si nota come l’evento della separazione o del divorzio incida sulla percezione del ruolo familiare, favorendo l’attribuzione di una maggiore responsabilità alla donna nella cura dei figli anche dopo la separazione (troviamo un esempio socialmente riconosciuto di ciò nell’affidamento materno che ancora oggi 65 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO viene giuridicamente privilegiato nel nostro Paese rispetto a quello paterno). Relativamente alle differenze riscontrate sulla base del livello di istruzione possiamo ipotizzare che l’aver affrontato percorsi di studio sempre più elevati e complessi porti con sé lo sviluppo di una certa consapevolezza circa le proprie capacità di gestione e fronteggiamento degli eventi, che potrebbe spiegare il maggiore senso di autoefficacia in corrispondenza di titoli di studio più elevati. Per quanto concerne le differenze per categorie professionali, si è riscontrato che gli operai/tecnici possiedono l’autostima più bassa e ritengono meno che la propria attività lavorativa sia coerente con il percorso formativo svolto rispetto al resto del campione. Essi inoltre ritengono maggiormente che i ruoli familiari debbano essere nettamente differenziati tra uomo e donna. Al contrario gli insegnanti reputano in misura maggiore che la propria attività lavorativa sia coerente con il percorso formativo svolto e in misura minore rispetto al resto del campione che l’essere donna implichi più responsabilità riguardo la cura della casa e della famiglia. Potremmo ipotizzare che il riuscire ad affermarsi nel proprio campo di studi e quindi svolgere un lavoro coerente con il percorso formativo svolto permetta lo sviluppo di una visione meno tradizionalistica circa il ruolo della donna nel contesto familiare e domestico. Andando infine al confronto tra variabili si noti come il sentirsi riconosciuti dal punto di vista professionale per l’attività svolta costituisca un importante feedback sulla qualità della propria prestazione che incrementa positivamente il proprio senso di efficacia personale e risulta anche essere un indicatore della soddisfazione sperimentata sul lavoro. Oltre a ciò si è rilevato che quanto più si ritiene che l’essere donna sia di ostacolo alla realizzazione delle proprie aspirazioni professionali o possa condizionare le scelte formative, tanto minore risulta il punteggio relativo all’autostima globale e al senso di autoefficacia generale ed emotiva. Ciò permette di riflettere su quanto tale percezione del rapporto donna-lavoro possa determinare delle scelte professionali vincolate dal genere di appartenenza e trovi terreno fertile soprattutto in coloro i quali non possiedono una buona stima di sé e delle proprie capacità. CONCLUSIONI Sulla base dei risultati emersi e sopra esposti potremmo concludere che da un lato la scarsa coerenza tra lavoro attuale e percorso di studi svolto, dall’altro dimensioni identitarie deboli, quali insufficiente autostima, carente senso di autoefficacia generale ed emotiva si legano a una visione del rapporto uomo-lavoro e donna-lavoro estremamente rigida, differenziata e stereotipicamente legata al genere che va ad influenzare le scelte di carriera. L’effettiva integrazione, le pari opportunità, la rimozione delle disuguaglianze, evidentemente, non passano solo attraverso gli strumenti normativi, che pure sono fondamentali, ma poggiano soprattutto su interventi educativi che mettano 66 in risalto le problematiche di genere, sviluppando una nuova sensibilità sui condizionamenti culturali e sociali, ma soprattutto su interventi di orientamento, inteso come promozione di processi di cambiamento nell’ottica di genere e quindi nella progettualità dei soggetti. Non si tratta di orientare le persone prospettando la possibilità di scelte “altre” rispetto agli stereotipi di genere bensì di sviluppare processi di assunzione di consapevolezza, rielaborazione cognitiva (per rimuovere i condizionamenti e gli stereotipi di genere ai quali si è esposti), attivazione del soggetto e sviluppo dell’empowerment personale e delle capacità di coping. Questi interventi possono incidere positivamente sul concetto di sé, consentendo una maggiore flessibilità e potenziando l’autostima. Si tratta di processi di crescita collegati al potenziamento delle dimensioni emotive e affettive del comportamento (come il senso di autoefficacia) e l’acquisizione di abilità trasversali, come le strategie di coping, le competenze sociali e l’assertività. Si tratta di promuovere maggiori opportunità di accesso, in particolar modo per la popolazione femminile, alle quattro fonti dell’autoefficacia (Bandura, 1995), aiutando il cliente nella costruzione di sistemi di supporto adeguati per il raggiungimento del proprio obiettivo formativo e professionale, e nello sviluppo di strategie atte a fronteggiare le “barriere” (Lent, 1996; 2010) che più probabilmente si incontreranno (discriminazioni, pressioni sociali, etc.), al fine di poter compiere delle scelte consapevoli ma soprattutto coerenti con i propri reali interessi. Probabilmente le donne e gli uomini del nostro tempo dovranno sviluppare un’identità più complessa, rispetto al passato, in quanto i ruoli sono meno definiti, gli spazi relazionali frutto di continua negoziazione, i modelli culturali a cui si è esposti spesso anacronistici; un’identità basata su un atteggiamento creativo volto a scoprire significati e ricercare soluzioni originali in grado di sostenere la persona nella ricerca di una personale attribuzione di senso. BIBLIOGRAFIA ARGENTERO, P., CORTESE, C.G., PICCARDO, C. (2009). Psicologia delle organizzazioni. Milano: Raffaello Cortina. ARGENTERO, P., CORTESE, C.G., PICCARDO, C. (2010). Psicologia delle risorse umane. Milano: Raffaello Cortina. BAGILHOLE, B., CROSS, S. (2006). It never struck me as female: investigating men’s entry into female-dominated occupations. Journal of Gender Studies, 15, pp. 35-48. BALBO, L. (1982). Crazy Quilts: la riproduzione sociale e il lavoro di servizio. In STATERA, G. (a cura di). 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Opinioni a confronto tra le donne elette nei comuni italiani DOMENICO CARBONE DIGSPES - Dipartimento di Giurisprudenza Scienze Politiche Economiche e Sociali dell’Università del Piemonte Orientale I INTRODUZIONE l presente articolo si colloca nell’ampio dibattito sulla complessa relazione tra donne e politica in Italia. Nonostante la presenza femminile negli organi di rappresentanza istituzionale sia recentemente cresciuta, specie durante le ultime elezioni parlamentari, permangono nel nostro paese numerose evidenze che testimoniano l’esistenza di forti vincoli alla piena e completa partecipazione politica delle donne. La sfasatura tra il formale godimento dei diritti politici e la bassa partecipazione alla politica attiva, pur accomunando le diverse democrazie occidentali, risulta particolarmente ampia in Italia. La presenza delle donne sulla scena politica del nostro paese tende ad essere ancora piuttosto bassa, specie se confrontata con quella dei paesi del nord Europa, e a concentrarsi prevalentemente a livello locale lontano, quindi, dai centri nevralgici di gestione del potere. Quello della politica al femminile rappresenta, quindi, un importante ambito di indagine sociale, specie in una prospettiva di analisi che mira a indagare i processi di riproduzione delle diseguaglianze di genere nella società contemporanea. Numerose evidenze empiriche sottolineano, infatti, come la politica rimanga “una delle più inaccessibili zone di resistenza al cambiamento che è sostenuta dalle stereotipie, dai pregiudizi e dai preconcetti” (Molfino 2006:24) rappresentando, più di ogni altro, l’ambito in cui si esprime, nella nostra società, il dominio maschile su quello femminile (Bourdieu 1998). Lo studio qui presentato si colloca, quindi, all’interno di questo filone di indagine ponendo al centro della propria analisi le opinioni delle donne nei confronti di questo ambito della vita sociale. Cosa rappresenta la politica per le donne? È questo il quesito al centro del presente studio, le cui risposte sono derivate dalle opinioni di un gruppo di donne che, per propria esperienza personale, ha sviluppato un rapporto diretto con 68 il mondo politico. Si tratta di un campione di consigliere comunali italiane intervistate nell’ambito di un’indagine nazionale che aveva l’obiettivo di indagare l’ampia e complessa relazione tra il genere femminile e la politica attiva in Italia. Il contributo qui proposto presenta, dunque, una parte dei risultati di questa indagine e si compone cinque parti. La prima, illustra la questione della relazione tra donne e politica attiva alla luce del dibattito scientifico, nazionale e internazionale, che si è sviluppato intorno a questo tema nel corso degli ultimi anni. Nella seconda parte, sono presentati gli obiettivi e l’ipotesi di partenza di questo contributo. La terza, descrive il piano dell’indagine da cui sono tratti i dati qui utilizzati. Nella quarta parte, sono illustrati e discussi i risultati dello studio evidenziando, quindi, le opinioni delle consigliere comunali rispetto alla politica e le principali differenze tra le intervistate. Nelle conclusioni, infine, sono sintetizzate le principali evidenze emerse e le implicazioni ad esse connesse. 1. LA RAPPRESENTANZA POLITICA FEMMINILE: NON SOLO UNA QUESTIONE DI NUMERI La scarsa presenza delle donne nell’arena politica istituzionale rappresenta un indicatore, forse il più emblematico, di come la società contemporanea, anche presso i cosiddetti paesi avanzati, sia ancora lontana dal riuscire a realizzare una parità sostanziale di genere (Celis et al. 2008). Se da un punto di vista formale già da molti decenni, con il suffragio elettorale universale, donne e uomini hanno ottenuto gli stessi diritti di cittadinanza politica, i dati sulla composizione per sesso delle cariche elettorali smentiscono nei fatti l’esistenza delle pari opportunità di genere nei diversi ambiti di esercizio del potere politico (Brunelli 2006). Certamente, in una prospettiva diacronica, va evidenziato che negli ultimi tre decenni, la presenza delle elette nelle istituzioni, soprattutto locali ma non solo, è andata progressiva- SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA mente aumentando. Tuttavia, i cambiamenti avvenuti non hanno contribuito a ripianare del tutto le disparità di genere ancora oggi evidenti all’interno dei sistemi politici. Nel più recente Gender Gap Report (2014) si osserva, ad esempio, come anche tra i primi cinque paesi della graduatoria, che registrano quindi un gap di genere più contenuto, l’indice che esprime le maggiori distanze tra uomini e donne è sempre quello relativo al conferimento degli incarichi politici1. Secondo altri dati della Banca Mondiale, inoltre, a livello globale solo un quinto dei parlamentari è costituito da donne. Lo scenario non è molto diverso se si considerano soltanto i paesi occidentali, quelli in cui i processi di democraticizzazione sono più consolidati. Scorrendo tali dati, si scopre infatti che la quota di donne nel parlamento degli Stati Uniti è pari al 17,9%, quella del parlamento inglese è del 22,5%, quella francese 26,9%, quella italiana del 31,1%2. I dati istituzionali mostrano, quindi, come la presenza delle donne in politica sia ancora lontana da quella critical mass ritenuta, in alcuni casi, la condizione necessaria per il superamento definitivo delle diseguaglianze di genere nella nostra società (Lovenduski 2001). Tuttavia, il problema non si pone soltanto nei termini di una presenza quantitativamente adeguata, ma anche, se non soprattutto, nei termini di difficoltà che, ancora oggi, le donne in politica mostrano nelle possibilità di essere soprattutto critical actors (Childs e Krook 2009) e di promuovere effettivamente iniziative politiche a 1 Il valore del gender gap index, e dei suoi sotto-indici tra cui quello relativo al politcal empowerment , è misurato su una scala standardizzata con range 0-1, dove 0 corrisponde al massimo grado di diseguaglianza e 1 alla perfetta uguaglianza. I primi cinque paesi della graduatoria del Gender Gap 2014 sono Islanda, Finlandia Norvegia, Svezia e Danimarca che registrano un gender gap index complessivo pari, rispettivamente, a 0.86, 0.84, 0.83, 0.81, 0.80. Scorrendo, però, i valori del sotto-indice relativo al politcal empowerment i rispettivi valori di questi paesi corrispondono a: 0.65, 0.61, 0.54, 0.50, e 0.43. L’Italia si colloca al 69° posto con un valore dell’indice complessivo pari a 0.69 e di quello politico pari a 0.24. 2 I dati sono aggiornati all’anno 2013 e sono reperibili presso il sito della Banca Mondiale: http://data.worldbank.org/indicator/SG.GEN.PARL.ZS. Anche in questo caso, i paesi occidentali che si collocano al vertice di questa graduatoria corrispondono all’area scandinava: in Svezia le donne in parlamento sono il 44,7%, in Finlandia il 42,5%, in Danimarca il 39,1%. sostegno delle donne, in un nesso non necessariamente causale con le percentuali di elette. La letteratura che in questi anni ha analizzato il problema della relazione tra donne e politica attiva ha evidenziato come la scelta di agire e competere in quest’ambito della vita sociale, da parte dell’universo femminile, si scontri, ancora oggi, con permanenti meccanismi di sbarramento all’ingresso (Sionneau 1995, Enloe 2004, Fox e Lawless 2011), con forti rischi di fallimento precoce (Ryan et al. 2010), con limitate chance di carriera (Drew 2000, Verzichelli 2010), con scarse possibilità di permanenza prolungata nel ceto politico (Biroli e Luis Miguel 2010) e con la persistenza di forti stereotipi che stigmatizzano tale scelta (Pacilli et al. 2012). Date tali evidenze, diventa particolarmente interessante analizzare quali sono le opinioni che le donne hanno maturato rispetto a questo importante ambito sociale nel quale la loro partecipazione attiva si caratterizza, ancora oggi, per un elevato grado di difficoltà e diseguaglianza rispetto a genere maschile. 2. OBIETTIVI E IPOTESI Il principale obiettivo di questo studio è di analizzare le opinioni rispetto alla politica di un gruppo di donne, le consigliere comunali italiane, che hanno deciso di costruire parte della propria traiettoria biografica in quest’ambito della vita sociale. Come si è detto in precedenza, la letteratura che si è occupata di questo tema è piuttosto ampia, soprattutto in ambito internazionale. Tuttavia, un aspetto poco presente in questi studi è la mancanza di un confronto interno al genere femminile. Gran parte degli studi si è concentrata, infatti, sulla comparazione fra maschi e femmine sottovalutando, quindi, le importanti differenze che esistono all’interno dei due generi. I pochi studi che, al contrario, hanno assunto questa prospettiva, hanno evidenziato come le donne in politica non rappresentino un gruppo omogeneo e come, dunque, i loro percorsi, ma anche le loro aspettative, ambizioni e il modo di rapportarsi con la politica, non possano essere considerati in maniera indistinta (Costantini e Craik 1972, Celis et al. 69 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO 2008, Frederick 2013). Tale posizione, che potrebbe sembrare scontata, pone in realtà delle implicazioni di notevole portata se si pensa al fatto che molto spesso, e soprattutto nella retorica sottostante il dibattito sulle cosiddette quote rosa, si dà per scontato che le donne in politica siano interessate, o siano orientate a prendersi carico soprattutto, dei problemi relativi al mondo femminile. In altre parole, molto frequentemente, si presuppone che delle donne si occupino solo le donne e che quindi sia sufficiente accrescere la loro rappresentanza numerica, nelle istituzioni politiche, per promuovere azioni politiche di riequilibrio delle diseguaglianze di genere. Il presente studio si colloca, invece, in una prospettiva diversa, quella di non dare per scontate le differenze tra le donne che fanno politica, ma partire da esse per analizzare il modo in cui si sviluppa il loro rapporto con questo ambito della vita sociale. Attraverso le opinioni delle consigliere comunali italiane, rispetto a quello che secondo loro vuol dire fare politica nel nostro paese, si vuole quindi cercare di comprendere i diversi atteggiamenti che contraddistinguono l’operato delle donne politicamente attive in Italia. L’ipotesi di partenza è che le opinioni delle consigliere risentano, in generale, del contesto istituzionale, familiare e relazionale all’interno del quale si sviluppa la loro esperienza e che, quindi, pur essendo possibili delle immagini ampiamente condivise tra le donne elette, non sia ravvisabile un unico modo di concepire la politica al femminile. Per verificare tale ipotesi, le opinioni delle consigliere, saranno comparate con riferimento agli ambiti che la letteratura ha evidenziato come rilevanti nella relazione tra donne e politica. Tali confronti riguarderanno, quindi, le varie aree geografiche del paese, la dimensione del comune in cui sono state elette le consigliere, le loro caratteristiche personali – rispetto al titolo di studio, alla collocazione politica e all’età – la loro condizione familiare, quella occupazionale e, infine, le eventuali esperienze maturate in campo associazionistico. 3. IL PIANO DI INDAGINE La scelta di condurre quest’analisi basandosi sulle opinioni delle consigliere comunali, deriva dal fatto che, escludendo l’eccezione delle ultime elezioni politiche del Maggio 2013, quando la percentuale di elette ha raggiunto per la prima volta il 31%, i comuni rappresentano le istituzioni in cui la presenza femminile è stata, storicamente, più elevata. Nei comuni italiani, infatti, le donne che ricoprono una carica amministrativa sono 25.109 corrispondenti al 21,5% del totale degli amministratori. Inoltre, dopo l’approvazione della legge 215/20123, si è registrato un aumento della presenza femminile in tutte le cariche politiche locali, specie tra le consigliere e le assessore (rispettivamente 725 e 289 unità 3 Si tratta della legge 23 Novembre 2012, n° 215 recante “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni”. 70 in più) e in maniera più contenuta, ma tendenzialmente crescente, anche tra le sindache e vicesindache (rispettivamente 44 e 46 unità in più) (CITTALIA 2013). I comuni sono, quindi, un luogo privilegiato di osservazione della partecipazione politica femminile, sia per la più elevata incidenza di elette, sia per il più stretto rapporto con la popolazione e il corpo elettorale. Da qui l’interesse per la rappresentanza politica femminile a livello comunale da cui prende le mosse quest’analisi. La base empirica di questo studio è rappresentata dai risultati di un’indagine realizzata su un campione nazionale di consigliere comunali. L’indagine è stata svolta con il metodo dell’inchiesta campionaria tramite CAWI (Computer Assisted Web Interviewing) tra febbraio e settembre 2013. Si è optato per un campione rappresentativo di comuni italiani seguendo un disegno di campionamento casuale stratificato per area geografica e dimensione della popolazione del comune. Dalla lista di campionamento, costituita da circa 270 comuni, è stato costruito un database di circa 1200 indirizzi email delle consigliere, elette in questi comuni, cui è stata inviata, per posta elettronica, la richiesta di partecipazione all’indagine . Il tasso di risposta è stato piuttosto elevato, attestatosi intorno al 45% dei contatti. Sono 540 le consigliere comunali che hanno risposto al questionario. Sebbene il processo di auto-selezione delle rispondenti sia stato influenzato dalla familiarità con l’uso di degli strumenti informatici, le consigliere contattate hanno risposto con interesse e significativa partecipazione. Il totale dei questionari validi, infatti, corrisponde al 93,5% di tutti quelli pervenuti garantendo, quindi, un’analisi complessiva su 505 casi. 4. RISULTATI Per gli obiettivi di questo contributo l’analisi si concentrerà sulle risposte ad una sezione del questionario, utilizzato nell’indagine, in cui si chiedeva alle consigliere comunali di esprimere il loro grado di accordo in merito ad alcune affermazioni riguardanti l’attività politica. Le risposte sono state registrate attraverso una scala di tipo-Likert a 5 punti (ancorata da 1 “Per niente” a 5 “Moltissimo”). Il testo della domanda era il seguente: Quanto si ritiene d’accordo con le seguenti definizioni della politica: - la politica è una professione - la politica è una missione - la politica è un’occasione per ampliare conoscenze - la politica è un servizio per la collettività - la politica è un’opportunità per trovare lavoro - la politica è un’aspirazione personale - la politica è una passione In tabella 1 sono sintetizzate le risposte delle consigliere intervistate rispetto a tale quesito. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Tab.1: Grado di accordo delle consigliere comunali con le varie concezioni della politica (val. %) per niente/poco Abbastanza molto/moltissimo Totale Professione 67.3 19.0 13.7 100.0 Missione 21.2 21.4 57.4 100.0 occasione per ampliare conoscenze 40.2 39.1 21.7 100.0 servizio per la collettività 1.6 6.3 92.1 100.0 opportunità per trovare lavoro 92.3 6.6 1.1 100.0 aspirazione personale 23.6 36.1 40.3 100.0 Passione 1.9 10.0 88.1 100.0 Tab.2: Saturazioni fattoriali degli item sottoposti ad analisi delle componenti principali (Matrice ruotata met. Varimax) Fattori 1 2 3 la politica è una professione .744 -.025 -.013 la politica è un'opportunità per trovare lavoro .709 .083 -.066 la politica è una occasione per ampliare conoscenze .608 .265 .283 la politica è un'aspirazione personale .362 .794 -.121 la politica è una passione -.127 .769 .363 la politica è un servizio per la collettività -.178 .103 .773 la politica è una missione .388 .050 .686 Da questi primi risultati emergono alcune indicazioni interessanti. Come si può osservare, infatti, la quasi totalità delle consigliere risulta molto o moltissimo d’accordo con l’affermazione che la politica sia, anzitutto, un servizio per la collettività. Netta è anche la maggioranza di coloro che esprimono un elevato accordo con la definizione della politica come passione. Circa sei intervistate su dieci, inoltre, risultano in elevato accordo con la definizione della politica come missione. Minore accordo, invece, viene espresso nei confronti delle definizioni della politica come occasione per allargare le proprie reti sociali, della politica come professione e soprattutto della politica come strumento per trovare una collocazione nel mercato del lavoro. In sintesi, quindi, questa analisi preliminare mostra un quadro generale in cui l’impegno politico è visto dalle consigliere, prevalentemente, in chiave altruistica e auto-realizzativa. Tale risultato risulta coerente con quanto emerso in altre ricerche che hanno evidenziato come, rispetto alla partecipazione politica maschile, le donne risultano politicamente più attive in azioni e organizzazioni politiche, anche di tipo informale, orientati alla salvaguardia degli interessi collettivi quali, ad esempio, la raccolta firme per le petizioni, o il boicottaggio pianificato di prodotti e attività (Dalton 2008, Coffé e Bolzendahl 2011). Per identificare eventuali dimensioni latenti, alle risposte fornite dalle consigliere, le variabili relative ai sette items sono state sottoposte ad analisi delle componenti principali che ha permesso l’identificazione di tre fattori in grado di spiegare il 62,3% di varianza complessiva (KMO=.665, Sig. test di Bartlett < .001). La tabella 2 riporta la matrice ruotata dei 3 fattori estratti e le relative saturazioni fattoriali per ciascun item. Come si può osservare, il primo fattore sintetizza una visione strumentale della politica. Gli item sottostanti sono, infatti, quelli relativi alla politica vista come professione, alla politica come opportunità di lavoro e alla politica come occasione per ampliare le conoscenze. Il secondo fattore sintetizza, invece, una visione della politica come realizzazione personale. Gli item sottostanti sono, in questo caso, quelli relativi alla politica come aspirazione personale e alla politica vista come passione. Il terzo fattore, infine, sintetizza l’immagine della politica come impegno sociale. Gli item sottostanti sono, infatti, la politica come servizio per la collettività e la politica intesa come missione. A partire da questi tre fattori sono stati calcolati altrettanti indici sintetici derivanti dalla media geometrica dei valori di ciascun item. I punteggi di ciascun indice sono stati, quindi, messi a confronto tramite t-test con una serie di indicatori rilevati nell’indagine e relativi all’appartenenza territoriale delle elette, alla loro condizione civile e familiare, alle credenziali educative, alla collocazione politica e alle precedenti esperienze associazionistiche. I risultati sono sintetizzati in tabella 3. I risultati mostrano, coerentemente con l’analisi preliminare dei singoli items, che la concezione che registra il maggior grado di accordo tra le consigliere corrisponde alla politica vista, soprattutto, come impegno sociale ( X =4.14), segue la politica vista come dimensione auto-realizzativa ( X =3.84) e infine la politica come dimensione strumentale ( X =2.11). 71 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Tab.3: Valori medi degli indici della politica strumentale, realizzativa e di impegno sociale rispetto agli indicatori contestuali dell’esperienza politica delle consigliere comunali. strumentale auto impegno sociale realizzativa Area geografica Popolazione del comune Collocazione politica Titolo di studio Età Ha dei figli Condizione civile Condizione occupazionale Nord 2.11 3.78* 4.11* Centro 2.12 3.77* 4.09* Sud e Isole 2.03 4.01* 4.30* Meno di 5000 2.21 3.84 4.14 Da 5001 a 20000 1.99 3.81 4.13 Da 20001 a 50000 2.05 3.78 4.15 Da 50001 a 100000 2.07 3.88 4.13 Più di 100000 2.16 3.83 4.01 Centro sinistra 2.06* 3.84 4.31** Centro destra 2.25* 3.83 4.08** Fino al diploma 2.09 3.85 4.16 Laurea e post laureate 2.12 3.84 4.14 Fino a 35 anni 2.24** 4.01** 3.86** 36-45 anni 2.22** 3.87** 4.02** 46-55 anni 2.02** 3.73** 4.28** Più di 56 anni 1.85** 3.79** 4.31** Si 2.08 3.81 4.05** No 2.14 3.89 4.30** Coniugata 2.18 3.86 4.25* Separata/divorziata 2.09 3.85 4.12* Nubile 2.06 3.82 3.91* Occupata 2.06* 3.87 4.07 Non occupata 2.32* 3.83 4.16 Si 2.08 3.82 4.33* No 2.22 3.94 4.01* Totale 2.11 3.84 4.14 D.S. .69 .74 .74 N 499 501 502 Precedenti esperienze in campo associazionistico *p<0.05, **p<0.001 Analizzando nel dettaglio il modo in cui i diversi indicatori selezionati contribuiscono a spiegare le differenze nelle opinioni delle intervistate, emerge anzitutto una rilevante incidenza delle differenze territoriali. Come si può osservare, mentre per quanto riguarda la concezione strumentale della politica non sono emerse differenze significative tra le consigliere appartenenti alle diverse aree geografiche, per quanto riguarda le altre due concezioni, le distanze nelle risposte sono più nette e statisticamente significative. Emerge, infatti, che sono soprattutto le intervistate nelle regioni del Mezzogiorno a concepire, maggiormente, la politica come dimensione realizzativa e come impegno sociale. Questo risultato può essere letto alla luce del fatto che è proprio in queste regioni che, secondo quanto emerso in una 72 recente indagine (CITTALIA 2013), si registrano le maggiori difficoltà dell’impegno politico femminile. È ipotizzabile, quindi, che coloro che hanno deciso di fare politica attiva in tali contesti abbiano affrontato delle difficoltà in più nel superamento delle barriere di ingresso in questo ambito della vita sociale, rispetto alle proprie colleghe delle altre regioni, e che ciò le abbia portate ad accrescere la loro visione della politica in termini auto-realizzativi. Dall’altra parte, il risultato della maggiore concezione della politica come impegno sociale, da parte delle consigliere del Mezzogiorno, potrebbe essere interpretato in relazione alla convinzione di garantire, attraverso il proprio impegno, una rappresentanza politica femminile in contesti in cui questa è maggiormente deficitaria. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Per quanto riguarda la dimensione del comune, non sono emerse differenze rilevanti e statisticamente significative nei tre indici relativi al diverso modo di concepire la politica da parte delle consigliere evidenziando, quindi, una trasversalità di questa dimensione rispetto alle opinioni delle elette. Relativamente all’appartenenza partitica le opinioni delle intervistate sono risultate, invece, differenziate rispetto alla concezione della politica strumentale e della politica come impegno sociale. La prima registra una maggior grado di accordo nelle opinioni delle consigliere di centro-destra, la seconda tra le consigliere di centro-sinistra. Tale risultato è molto interessante perché sottolinea come, nonostante le trasformazioni avvenute nel panorama politico italiano con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica e l’indebolimento dei contrasti ideologici, permangono tra gli opposti schieramenti degli orientamenti valoriali differenziati che riguardano, anche, il modo di concepire la politica. Tali valori possono certamente essere ricondotti, anche alle differenze che tutt’oggi caratterizzano comunque la composizione sociale dei diversi schieramenti. Precedenti ricerche hanno infatti mostrato come i partiti di centro-destra reclutano maggiormente tra le classi sociali composte da liberi professionisti e imprenditori, mentre quelli di centro-sinistra tra le classi dei lavoratori dipendenti e tra coloro che hanno maturato esperienze in campo sindacale e associazionistico (Tonarelli 1999, Verzichelli 2006, 2010). Rispetto al titolo di studio delle intervistate, le differenti credenziali educative non rappresentano un discrimine sostanziale, né statisticamente significativo, rispetto alle opinioni delle consigliere comunali. Una possibile interpretazione di questo risultato può essere ricondotta al fatto che circa il 70% delle intervistate è costituito da donne in possesso di una laurea, o di un ulteriore titolo post-laurea (master o dottorato), e che un altro 27% è costituito da diplomate. Le elevate competenze formative che contraddistinguono il campione, così come gran parte delle donne politicamente attive in Italia, (Brunelli 2010, Verzichelli 2010), fa sì, quindi, che rispetto a tale indicatore non emergano differenze nei punteggi dei tri indici sintetici. Alla luce di ciò, si può sostenere che, coerentemente con quanto emerso altrove (Galasso e Nannicini 2011), le elevate credenziali educative rappresentino per le donne un pre-requisito indispensabile per l’accesso alle carriere politiche più che elemento di differenziazione del loro modo di concepire e di rapportarsi alla politica. Per quanto riguarda le differenze legate alle classi di età, i risultati mostrano una netta differenziazione delle opinioni delle intervistate rispetto alle tre concezioni della politica. Le giovani consigliere risultano maggiormente orientate con una visione della politica come dimensione strumentale e auto-realizzativa, mentre le più anziane vedono nella politica un ambito, soprattutto, di impegno sociale. È evidente, quindi, come tale risultato mostri una differenziazione generazionale nel modo di intendere la politica che però può essere interpretato, anche, alla luce delle importanti differenze che contraddistinguono le opportunità occupazionali nel mercato del nostro paese. È noto, infatti, che le giovani donne rappresentano il gruppo sociale che incontra maggiori difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro (Reyneri 2002) e che quindi per loro la politica possa rappresentare, anche, una speranza per riuscire a far fronte a tali difficoltà. A parziale conferma di ciò, come si può notare in tabella 3, le consigliere senza un’occupazione al momento dell’intervista mostrano un maggiore orientamento strumentale verso la politica. Di particolare rilievo sono, inoltre, i risultati che emergono dalla relazione tra gli indicatori della biografia familiare delle elette e gli indici relativi alle concezioni della politica. Come si può notare, infatti, la concezione della politica come impegno sociale è più elevata, e con differenze statisticamente significative, tra le consigliere che hanno meno vincoli familiari, e presumibilmente meno carichi di cura ed esigenze di conciliazione, in quanto senza figli e legami coniugali. Tale evidenza sottolinea, quindi, come i vincoli di doppia presenza che caratterizzano le biografie femminili rappresentano un fattore importante di condizionamento della loro attività politica. Come emerso in altri studi, infatti, l’essere sposate e avere dei figli in giovane età, rappresentano degli importanti vincoli alla piena partecipazione femminile nell’arena politica (Bernstein 1986, Carroll 1994, Fox e Lawless 2004). Infine, anche l’ultimo indicatore relativo alla precedenti esperienze in campo associazionistico, mostra una relazione discriminante e statisticamente significativa sul terzo indice. I risultati evidenziano che aver avuto in passato esperienze in questo campo, accresca l’idea che la politica sia prevalentemente un’attività di impegno sociale. CONCLUSIONI Questo studio ha posto al centro della propria analisi le opinioni delle consigliere comunali italiane in merito al loro modo di concepire l’impegno politico. L’analisi è partita dal presupposto che gli stimoli emotivi e la partecipazione politica femminile non possano essere ricondotti a un modello omogeneo basato, quindi, soltanto sugli aspetti di differenziazione rispetto alla politica al maschile. L’obiettivo dello studio era, infatti, quello di fare emergere, il più possibile, le differenze che caratterizzano le donne che sono già protagoniste nella scena politica, al fine di evidenziare attraverso le loro opinioni, i diversi atteggiamenti nei confronti di questo importantissimo ambito della vita sociale. I risultati emersi nello studio hanno evidenziato come la partecipazione attiva delle donne in politica rappresenti un «contesto di elementi dove esperienze, vincoli e opportunità personali, stimoli politico-culturali e meccanismi istituzionali, costituiscono dei fattori cruciali» (Verzichelli 2010:19) di differenziazione. Da questo punto di vista, la scelta di comparare le opinioni delle consigliere comunali in corrispondenza di vari ambiti della vita sociale, ci ha permesso di mettere in luce l’interazione e la sovrapposizione di numerosi fattori che interagiscono con il loro modo di concepire l’impegno politico. Lo studio ha mostrato che coerentemente con altre ricer73 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO che, anche le consigliere comunali italiane, vedono prevalentemente il loro impegno politico come un’azione orientata a rendere un servizio per la collettività. Tuttavia, anche altre atteggiamenti sono emersi e non necessariamente in contrapposizione con l’orientamento prevalente. Un’altra concezione ampiamente presente tra le elette nei comuni italiani è quella della politica come ambito di realizzazione personale. Infine meno diffusa, seppure presente, è risultata la concezione strumentale della politica. Lo studio ha però evidenziato, soprattutto, come tali concezioni trovino un diverso grado di consenso in corrispondenza di differenti fattori contestuali. È così emerso che la concezione strumentale della politica risulti maggiormente diffusa tra le consigliere giovani, senza occupazione e appartenenti ai partiti di centro-destra. Mentre la concezione della politica auto-realizzativa trova i maggiori consensi tra le giovani consigliere e tra le elette nelle regioni meridionali. Infine l’immagine della politica come impegno sociale è più diffusa, anche questa, tra le consigliere del Mezzogiorno, tra le elette nelle fila dei partiti di centro-sinistra, tra coloro che hanno minori vincoli familiari e tra coloro che hanno sviluppato precedenti esperienze in ambito associazionistico. In sintesi, quindi, l’analisi qui condotta ha posto ulteriori evidenze a sostegno dell’idea che il modo di concepire la politica da parte delle donne non possa essere, semplicisticamente, ridotto alla differenze rispetto al genere maschile. Le donne, ma evidentemente anche gli uomini, sviluppano i propri atteggiamenti nei confronti della politica, e quindi agiscono in essa, perseguendo ideali, aspettative e interessi che non dipendono, esclusivamente, dall’appartenenza di genere. Ciò implica che la soluzione dei problemi relativi alle diseguaglianze di genere, molto spesso ricercata attraverso il semplice incremento della quota di donne presenti nelle istituzioni, non offra di per sé garanzie sufficienti di 74 efficacia. Essa può essere perseguita, quindi, solo attraverso una reale e fattuale strategia di gender mainstreaming (Donà 2007) che passa attraverso un re-investimento culturale sulle questioni paritarie e di genere in grado di promuovere la presenza, nello scenario politico di critical actors e non semplicemente una critical mass (Childs e Krook 2009). BIBLIOGRAFIA Bernstein, R. 1986 Why Are There So Few Women in the House?, in «Western Political Quarterly», 39, 1, pp. 155-164 Biroli, F. e Luis Miguel, F. 2010 Gender Practices and Political Careers: Explaining Trends, in «Estudos Feministas», 18, 3, pp. 653-679. Bourdieu, P. 1998 La domination masculine, Paris, Seuil. Brunelli G. 2006 Donne e Politica. Quote rosa? 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I Gender Studies e la cultura del design ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO 76 LUCIA PIETRONI Scuola di Architettura e Design dell’Università di Camerino L INTRODUZIONE a quasi totale mancanza di nomi femminili nei seminal books della storia del design è stata a lungo interpretata come un’assenza naturale, causata da circostanze storiche e culturali. Progettare e produrre utensili e oggetti d’uso, apparecchi tecnici, architetture, sono sempre state convenzionalmente considerate attività maschili, poco congeniali alle caratteristiche di genere con le quali la cultura moderna ha identificato il “gentil sesso”. Sulla differenza di genere sessuale, giustificata per lo più biologicamente, la società occidentale ha costruito e codificato le regole di comportamento, i ruoli sociali, la divisione del lavoro tra uomini e donne, assegnando ai primi il dominio nella sfera della “produzione” e del “pubblico” e alle seconde quello nella sfera della “riproduzione” e del “privato”. Tale codificazione sociale dei ruoli ha reso difficile l’accesso delle donne nella sfera della “produzione” in termini professionali e ha occultato il riconoscimento pubblico del loro lavoro come contributo allo sviluppo delle scienze e delle arti. Pertanto, consultando gli indici dei testi di storia del design, così come quelli di storia dell’arte, dell’architettura, della scienza e della tecnica, ci si accorge di come sia esiguo il numero delle presenze femminili e di come le donne siano “il più grande, il più generalizzato degli esclusi, quasi l’escluso standard”, per citare la definizione radicale utilizzata da Luciano Rubino nel suo saggio Le spose del vento, pubblicato alla fine degli anni ’70. Dalla metà degli anni ’80, però, una serie di studi e ricerche, ascrivibili all’area interdisciplinare dei cosiddetti Gender Studies, hanno non solo rivelato e documentato l’”invisibile presenza” delle donne nella storia del design, ma, partendo dal rapporto tra identità/differenza di genere e design, hanno aperto una molteplicità di nuove prospettive di analisi e lettura storica della cultura materiale del mondo oc- SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA cidentale. Non si tratta di ricerche che semplicemente rivendicano e fanno giustizia delle tante e gravi dimenticanze, omissioni e sottovalutazioni della produzione artistica femminile, ma fanno inoltre emergere nuove dimensioni, nuove definizioni e nuovi significati del design, finora sottostimati dalla critica e dalla storiografia moderne, fondate su un’interpretazione lineare ed “esclusiva” della storia che ha stabilito una tradizione di pionieri del design moderno e un’avanguardia estetica tutta al maschile (“Da William Morris a Walter Gropius”). Il testo che segue intende mettere a fuoco il contributo apportato dai Gender Studies alla storia, alla critica e alla prassi del design, tracciando l’evoluzione da posizioni che rivendicano l’uguaglianza tra i sessi portando alla luce, mappando e valorizzando tutte le presenze femminili della storia del design (women-designer approach) a posizioni che indagano il design come una delle attività umane che contribuiscono, attraverso la progettazione degli oggetti d’uso intesi come costrutti socio-tecnici, a veicolare nella vita quotidiana anche le differenze di genere e a condizionare quindi le relazioni sociali tra uomini e donne e la costruzione individuale dell’identità e della personalità (feminist approach). Questa evoluzione teorica - che trova riferimenti in due differenti, e forse necessarie, tappe della storia del femminismo (la prima caratterizzata dalla ricerca “a tutti i costi” dell’uguaglianza con gli uomini e la seconda dal riconoscimento del valore della differenza di genere come fattore socialmente e non biologicamente determinato) - descrive e sottolinea un significativo cambiamento del ruolo femminile nella sfera della “produzione”, da “secondo sesso” ad ”altra metà dell’avanguardia”, contribuendo così allo sviluppo di un’interpretazione più “inclusiva” e multilineare della storia del design. LA NASCITA DEI GENDER STUDIES Il termine gender, in italiano traducibile con “genere sessuale”, è stato introdotto negli anni ’70 dalle femministe anglosassoni per indicare che la differenza di genere tra uomini e donne è costruita socialmente e culturalmente, e quindi variabile nel tempo e nello spazio, e per distinguerlo da sex, cioè il genere sessuale ritenuto immutabile in quanto strettamente legato alla biologia. Prima che venisse introdotto questo termine, il concetto di “genere” come costrutto sociale e culturale è stato anticipato nel ‘49 da Simone de Beauvoir in Il secondo sesso - un libro che ha fatto molto discutere - nel quale l’autrice enuncia la sua teoria sui generi sessuali secondo la quale, appunto, “donne non si nasce, si diventa”. Le teorie sui generi sessuali sono state formulate fin dall’antica Grecia. Come sostiene Eva Cantarella, “i greci discutevano su quali fossero le virtù delle donne - intendendo per virtù capacità, attitudini, forma di ragionamento - con l’idea sempre che ci fosse una differenza fra le virtù femminili e le virtù maschili e la differenza fosse legata alle differenze biologiche”. Nonostante le diverse posizioni circa l’origine biologica della differenza di genere, da Aristotele in poi, tutte le volte che si è teorizzata una differenza di genere, la differenza è stata formulata in termini di subalternità e di inferiorità del femminile rispetto al maschile. Il confinamento del femminile in una posizione subordinata di “secondo ses77 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Barbie e Ken, commercializzati dalla Mattel so”, per dirla con Simone de Beauvoir, di “alterità” rispetto alla “norma” del maschile, poggia, secondo Rosi Braidotti, su un sistema classico di opposizioni dualistiche, come per esempio: natura/cultura, attivo/passivo, razionale/irrazionale, maschile/femminile. Infatti, nella prospettiva femminista, la differenza di genere, concepita convenzionalmente e storicamente come rapporto duale e gerarchico tra “mascolinità” e “femminilità”, diviene un pericoloso elemento discriminatorio per le donne, in quanto la nozione di gender opera come una delle principali categorie ordinatrici ed organizzatrici delle relazioni sociali, al pari di altri fondamentali elementi di differenziazione/discriminazione culturale e sociale, come la razza, l’età, la classe sociale. Secondo Martha Zarza, “le nozioni di ‘mascolinità’ e ‘femminilità’ si sono formate sulla base di convenzioni sociali sulle differenti caratteristiche di uomini e donne. Queste nozioni hanno determinato stereotipi che servono per veicolare messaggi sociali sui ruoli e i comportamenti più adeguati agli uomini e alle donne. Ma tali ruoli sono stati solitamente considerati opposti ed inoltre storicamente sono stati relazionati ai termini antagonistici di natura e cultura, associando il primo termine alle donne e il secondo agli uomini”. Questi stereotipi di genere, che hanno identificato la “mascolinità” con un comportamento razionale, finalizzato, attivo, di dominio e, al contrario, la “femminilità” come comportamento emotivo, superficiale, passivo e di cura, hanno 78 condizionato per più di un secolo i ruoli sociali degli uomini e delle donne assegnando al “maschio” il dominio nella sfera pubblica della “produzione” e alla “femmina” quello nella sfera privata e domestica della “riproduzione”. Proprio contro questi stereotipi si è indirizzata la prima fase del movimento femminista degli anni ‘60 e ’70, definita “fase radicale” o “emancipatoria” del femminismo, fondata sulla “strategia del rifiuto” della differenza sessuale tra uomini e donne e sulla necessità di affermare e rivendicare, sopra ogni cosa, l’uguaglianza tra i sessi al fine di liberare ed emancipare le donne da una condizione di inferiorità e oppressione imposta da regole sociali stabilite dagli uomini e pertanto “maschiliste”. Le teorie del “femminismo radicale”, come sostiene Bronwyn Hanna, fanno riferimento alle teorie marxiste della Scuola di Francoforte. Mentre il marxismo focalizzava la sua analisi sulla classe sociale come principale struttura di oppressione all’interno di un sistema socio-economico chiamato ‘capitalismo’, la teoria radicale del femminismo incentra l’analisi sul genere sessuale come principale struttura di oppressione all’interno di un sistema chiamato ‘patriarcato’. Inoltre il marxismo, come il femminismo radicale, sono teorie del potere nella società e delle sue sperequazioni e forniscono entrambe un’analisi delle diseguaglianze sociali. Per il femminismo radicale, quindi, il gender è l’indice di un sistema di potere basato sulla sessualità e il “sessismo”, che produce, è un fatto del tutto indipendente dalla biologia, è un fatto unicamente sociale. Anche il corpo, come sede delle differenze sessuali, viene inteso, dalle femministe, come un marchio di inferiorità che condanna le donne, in un “sistema patriarcale”, ad un processo di socializzazione differente e subalterno rispetto a quello degli uomini. Pertanto le teorie femministe negano la differenza di genere e l’identità sessuale femminile imposta dalla società patriarcale, in quanto ritengono assolutamente ingiusto che le donne siano penalizzate dalla loro natura biologica - relegate nella sfera della riproduzione e della cura dei figli - ed inoltre socializzate ad essere docili, passive e confinate nell’ambiente domestico, mentre gli uomini vengono socializzati ad essere aggressivi, attivi e capaci di dominare la sfera pubblica del lavoro e della politica. Questa prima fase del femminismo viene superata, alla metà degli anni ’80, da una seconda fase, definita prima come “culturale” e poi come “postmoderna” o “post-strutturalista”, che si fonda, al contrario della prima, sul riconoscimento della differenza di genere, in quanto la sua negazione ha innescato solamente un processo di omologazione agli uomini, ai loro valori e alle loro regole. Secondo il “femminismo culturale”, la differenza di genere tra uomini e donne non può essere negata, anzi deve essere ricercata ed esaltata perché rappresenta un valore. Valorizzare la diversità della donna significa affermare la sua radicale estraneità ai modelli socio-simbolici della società patriarcale. Carol Gilligan riconosce l’importanza della differenza sessuale nel suo libro In a different voice, dove sostiene che “esistono mondi diversi maschili e femminili SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA “The Pink & Blue Project”, fotografie di JeogMee Yoon, 2005-2009, ©JEONGMEE YOON e che le donne parlano e ragionano con un’altra voce, che non è tanto la voce della giustizia astratta, la voce della ragione, ma la voce della cura e quindi esprimono un’etica e una razionalità diverse”. Si ritiene quindi che le donne debbano essere riconosciute ed apprezzate nelle loro differenze e specificità culturali di genere, sia come gruppo che come individui. Sulla scia di Carol Gilligan, ma con maggior estremismo, una serie di femministe statunitensi affermano che il modo di ragionare femminile è diverso, che per le donne il ragionamento formale astratto è qualcosa di alieno e che quindi le regole della retorica tradizionale appartengono al mondo maschile, sono maschili, frutto del “patriarcato” che vuole opprimere le donne di cui non si riconosce la diversità. L’affermazione di un’identità femminile forte, attraverso l’esaltazione delle qualità e le caratteristiche distintive delle donne (quali l’attitudine alla solidarietà, all’altruismo, alla cura dell’altro) e la valorizzazione dei loro dati esperenziali, ripropone, seppur ribaltato in favore delle donne, il classico rapporto duale tra maschile e femminile che rischia di rinchiudere di nuovo le donne in un’identità sessuale determinata sulla base di un’opposizione binaria. Più di recente, queste teorie della differenza sono state messe in discussione dalle teorie femministe “postmoderne” o “post-strutturaliste” - così definite perché si ispirano al pensiero di Lacan, Derrida e Foucault - che tentano di superare i dualismi culturali su cui si è fondata la nozione di gender sostenuta sia dal “femminismo radicale” che dal “femminismo culturale”, al fine di costruire una teoria e una prassi dell’uguaglianza dei generi che tenga conto delle differenze. Secondo queste teorie, l’identità di genere non è né innata né immutabile, ma in continua modificazione rispetto alle intersezioni con i codici simbolici, culturali e sociali, e collocata nello spazio e nel tempo. Ognuno di noi possiede alcune qualità che la nostra cultura etichetta come femminili ed altre che definisce maschili. Ogni individuo costruisce la propria identità di genere in relazione al suo senso di appartenenza ad un genere sessuale. Infatti la differenza sessuale non è la base sulla quale si costruisce il genere sessuale, perché la differenza sessuale è a sua volta un prodotto sociale. Pertanto il gender rappresenta la vasta gamma dei possibili ruoli sessuali, che un essere umano, donna o uomo che sia, può scegliere o definire nel corso della propria vita. Come differenza socialmente e psicologicamente costruita, il gender diviene un significativo elemento di indagine culturale che non assegna più ad un’appartenenza biologica comportamenti e ruoli, ma li individua quali caratteri culturali di un genere. In riferimento agli sviluppi del pensiero femminista e intorno al concetto di gender nascono, alla metà degli anni ’80, i Gender Studies, un’area interdisciplinare di ricerca che identifica nella differenza di genere, come costrutto socioculturale, una nuova categoria di analisi storica e che ha tra i suoi principali obiettivi la valorizzazione dello specifico contributo delle donne nella storia delle scienze e delle arti, della politica, dell’economia. I Gender Studies emergono, nei paesi di lingua anglosassone, come specifica area di studio all’interno dei Cultural Studies, campo di ricerche non tradizionali, nel quale convergono gli apporti disomogenei di numerose discipline - l’antropologia culturale, le scienze sociali, la semiotica, le teorie estetiche, la storia della scienza e le tecniche della comunicazione – e che ha come principale obiettivo quello di stabilire il diritto alla differenza sessuale, etnico-razziale, religiosa, geografica, dando voce e rivalutando quelle che le tradizionali discipline accademiche definiscono come subculture, culture subalterne, controculture, e focalizzandosi su temi considerati marginali, quali la sessualità, il genere, i mass media, i movimenti sociali e culturali, i rapporti interetnici, la cultura popolare. Se i Cultural Studies propongono una prospettiva critica di “decentramento” rispetto alle discipline scientifiche tradizionali, i Gender Studies maturano all’interno di questo approccio critico, decentrando la propria pro 79 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Penne BIC for her spettiva d’analisi culturale sull’identità e la differenza di genere, mettendo in luce e riconoscendo l’importanza delle differenze di genere nei diversi ambiti della conoscenza e intendendo con gender l’insieme dei comportamenti, attitudini, aspettative, forme espressive e modi di relazione sociale, attraverso i quali si definiscono e costruiscono le identità individuali e sociali di genere. Dalla metà degli anni ’80, quindi, si diffondono, soprattutto nelle università inglesi e americane, corsi e dipartimenti di Gender Studies, che promuovono un approccio interpretativo della storia delle scienze e delle arti “al femminile” con l’obiettivo di superare la convenzionale codificazione culturale e sociale delle differenze tra i sessi e di fare emergere l’identità sessuale e, in particolare, l’identità e la soggettività femminile come il risultato, continuamente mutevole, di un processo socio-culturale e non come soggetto o oggetto dell’analisi. In Italia i Gender Studies non hanno ancora trovato ampia istituzionalizzazione all’interno dei contesti accademici, ma le teorie e gli studi prodotti all’interno di questa area di ricerca hanno avuto notevole diffusione e hanno stimolato un acceso dibattito. Nonostante la maggiore diffusione ed influenza dei Gender Studies nei paesi anglosassoni e la loro differente declinazione nei diversi paesi, quello che, in questa sede, ci interessa puntualizzare è il contributo di questa nuova prospettiva critica nell’ambito della storia e della teoria del design. DAL “WOMEN-DESIGNER APPROACH” AL “FEMINIST APPROACH”: GENDER STUDIES E GENDERED DESIGN “I vari Argan-Banham-Dorfles-Hitchcock-Pevsner-ecc. non hanno voluto ricordare che anche gli esseri umani di sesso femminile producono artisticamente e fanno parte del genere umano…”. In questo modo Luciano Rubino alla fine degli anni ’70 denuncia, in Le spose del vento, la scarsità di presenze femminili nei “testi sacri” della storia del design, considerando questa dimenticanza come “un’operazione, a 80 Kleenex for men dir poco, incivile” e dedicando questo libro a 23 donne-artiste che hanno colpito la sua curiosità per qualche aspetto o della loro storia personale o del loro contributo artistico, ma “che con finta noncuranza la storiografia contemporanea ha saputo cancellare”. Le donne sono le “grandi escluse” dalla storia, dai “testi sacri”, ma anche un po’ dalla vita di tutti i giorni. Anzi le donne, secondo Rubino, sono “il più grande, il più generalizzato degli esclusi, quasi l’escluso standard” e la loro emarginazione da parte degli storici del design e dell’architettura non è, a sua parere, una semplice ed ingenua dimenticanza. Questo testo di Rubino è solo uno dei molti esempi di rivendicazione di un ruolo subalterno assegnato alle donne rispetto agli uomini anche nella storia del design. Dagli anni ’70 in poi, infatti, sono numerosi gli scritti che denunciano l’emarginazione femminile dalla storia e dalla professione del design e si iniziano ad esplorare e mappare le biografie e i contributi artistici di molte rappresentanti del “secondo sesso” che la storiografia moderna ha omesso e dimenticato. Dalla metà degli anni ’80, ma soprattutto negli anni ’90, si sviluppano, invece, una serie di studi e ricerche che indagano la storia del design al “femminile” con l’intento di riscoprire e valorizzare le specificità della creatività e progettualità femminile, riconoscendo alle donne sensibilità e capacità diverse da quelle degli uomini, ma non per questo meno significative per lo sviluppo della disciplina del disegno industriale. Più di recente, soprattutto nel contesto culturale anglosassone, sono emersi lavori teorici che indagano, dalla prospettiva femminista, i rapporti tra gender e design: attraverso un’attenta analisi investigativa del mondo dei segni, delle immagini e delle rappresentazioni utilizzati nell’arte, nel design dei prodotti di largo consumo, nella pubblicità, si mettono in discussione il ruolo subordinato della donna e gli stereotipi di genere imposti dalla società dei consumi, evidenziando l’importanza del design nella costruzione dell’identità di genere. Questo percorso teorico descrive l’evoluzione dell’approccio al tema del rapporto tra donne e design, a lungo sot- SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Ovetti Kinder per bambino e per bambina tostimato dalla critica e dalla storiografia. Tale evoluzione può essere definita, secondo Judy Attfield, come “il passaggio da un women-designer approach a un feminist approach”, cioè da un approccio finalizzato alla ricerca e all’affermazione dell’uguaglianza di genere tra uomini e donne, attraverso il riconoscimento dell’importanza del contributo artistico delle donne nel design, ad un approccio finalizzato alla valorizzazione della differenza di genere, attraverso la riscoperta dell’identità femminile e l’esaltazione delle specificità della produzione artistica e della creatività delle donne. Questo cambiamento di prospettiva sulla differenza di genere implica una radicale messa in discussione dei paradigmi culturali e degli stereotipi di genere, attraverso i quali la cultura moderna ha escluso le donne dalla sfera pubblica della “produzione” - e quindi, anche, dal design - relegandole nella sfera privata della “riproduzione”, e la società dei consumi le ha destinate al ruolo passivo di consumatori dei prodotti disegnati dagli uomini, come designer professionisti. Proprio in questo cambiamento di prospettiva critica - al quale corrisponde un’“emancipazione” del ruolo femminile all’interno della disciplina del disegno industriale, da “secondo sesso” ad “altra metà dell’avanguardia” - si colloca il contributo dei Gender Studies alla teoria e alla storia del design. Secondo Judy Attfield, che con Cheryl Buckley e Pat Kirkham sono tra le principali teoriche inglesi del design nell’area dei Gender Studies, “la storia del design soffre ancora della sua provenienza dal Movimento Moderno, che considera la forma (femmina) come effetto della funzione (maschio) e il design come il prodotto di designer professionisti, della produzione industriale e della divisione del lavoro che assegna alle donne il proprio posto nella casa”. La prospettiva femminista o feminist approach offre un range di metodi storico-critici che sfidano il modo canonico con cui si definiscono il design come pratica, i parametri con i quali indagare gli oggetti di design, i valori con i quali valutarli, e anche la stessa definizione di designer. L’obiettivo è di spiazzare le definizioni dominanti per trovare spazio per Rasoi monouso BIC for women quelle dimensioni del design solitamente nascoste, taciute o omesse nella letteratura e negli studi convenzionali. Analogamente, Cheryl Buckley dichiara che “il design, come attività socio-culturale, è stata formata dalle ideologie del ventesimo secolo – capitalismo, patriarcato e colonialismo – che sono state filtrate attraverso il modernismo e la storia del design ha operato al fine di rafforzarle e legittimarle”. Solo negli ultimi venti anni si sta cercando di dare un contributo per una storia del design che sia inclusiva invece che esclusiva, e che si confronti con temi e aspetti considerati finora marginali o poco rappresentati, come le relazioni tra donne e design. Nell’obiettivo di “trovare spazio per nuove dimensioni del design finora inesplorate” e nel concetto di “inclusività” della storia del design stanno le principali differenze tra lo women-designer approach e il feminist approach. Per raggiungere quell’obiettivo e contribuire a sviluppare una storia del design “inclusiva”, infatti, non è sufficiente rivendicare l’assenza di nomi femminili negli indici dei “testi sacri” o dedicare libri e mostre al design delle donne, come ha fatto Rubino e come avviene sempre più spesso, ma è necessario, secondo la Attfield, “demolire le gerarchie della storia convenzionale che posiziona le donne nell’area domestica e delle arti decorative vista normalmente come subordinata” o, come sostiene la Buckley, “ridefinire ed estendere i confini del design, ridisegnando il rapporto e le distinzioni tra arti, artigianato e design”. Infatti, la storia del design ha stabilito queste gerarchie assegnando da sempre all’uomo l’area dominante, cioè quella funzionale (scienza, tecnologia, produzione industriale) e alle donne il regno domestico, privato, cioè l’area soft del design: le cosiddette arti decorative o applicate (tessile, ceramica, ecc.). All’interno dello stesso Bauhaus, “culla” del design moderno, le donne venivano escluse da campi del design considerati prettamente maschili, come il laboratorio dei metalli, e venivano indirizzate nei settori del tessile e della ceramica senza alcun riguardo per le loro attitudini e preferenze. Marianne Brandt, che è l’unica progettista donna 81 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO ad aver avuto accesso al laboratorio dei metalli costituito da solo dieci addetti, ricorda così il suoi primi giorni di lavoro: “All’inizio non fui accolta con molto entusiasmo: una donna non avrebbe dovuto lavorare all’Officina dei Metalli; questa era l’opinione generale. Più tardi mi confessarono che per questa ragione nei primi tempi fui incaricata dei lavori più noiosi e difficoltosi. Quante piccole semisfere martellai sull’argento con pazienza pensando che era giusto e che tutti gli inizi sono duri! Poi ci fu intesa e collaborazione tra di noi”. E se la Brandt non ha avuto un appropriato rilievo nei seminal books, nonostante il suo fondamentale contributo alla storia del design moderno nell’area considerata maschile e dominante del product design, delle tante donne che hanno lavorato nel laboratorio tessile del Bauhaus si sarebbero dimenticati persino i nomi, se Sigrid Wortmann Weltge non avesse dedicato loro uno studio condotto agli inizi degli anni ’90 da una prospettiva femminista, che poi è stato pubblicato con il titolo I tessuti del Bauhaus. L’arte e l’artigianato di un laboratorio femminile. Secondo Wortmann Weltge, il motivo dell’esclusione di queste progettiste dai seminal books è da ricercarsi, appunto, nella scala gerarchica dell’arte e del design, nella quale i tessuti e la presenza femminile hanno sempre condiviso posizioni di secondo piano. Inoltre, “come per le donne, ai tessuti è stato tradizionalmente assegnato un ruolo collaterale: si è studiata la sedia ma non il suo rivestimento”. Questo lavoro di ricerca è un esempio del feminist approach, infatti non è una mappatura delle opere e delle biografie di donne designer, ma piuttosto una lettura critica del ruolo e dell’identità femminile nel contesto socioculturale del Bauhaus, che colma un buco storico e inizia a far emergere l’”altra metà dell’avanguardia”, offrendo un tributo alla creatività e alle specifiche qualità progettuale di un gruppo di donne che, emarginate dall’area professionale del design, hanno apportato un originale e significativo contributo nell’area soft del design. Invece, Isabelle Anscombe, con il suo A Woman’s Touch, offre un esempio di women-designer approach. Pone attenzione alle donne designer che hanno partecipato alla storia dei principali movimenti di design dal 1860 in poi, dando però più rilievo a quelle progettiste che sono riuscite ad accedere nell’area maschile del design, pur adombrate spesso dai designer uomini con cui erano associate, come Eileen Gray e Charlotte Perriand. Questo libro riscopre e approfondisce numerose esperienze professionali femminili all’interno della storia del design, ma senza contraddire la canonica linea interpretativa, che vede in Nikolaus Pevsner il suo più accreditato sostenitore, caratterizzata da “pionieri” uomini e fondata sul tradizionale rapporto gerarchico e duale tra artigianato e industria, forma e funzione, arti decorative e design e pertanto tra donne e uomini. C’è però un bisogno urgente, come afferma la Attfield, di portare alla luce il lavoro di “pionieri” donne per fornire modelli di ruolo alle giovani progettiste che nell’abbracciare la carriera del design si trovano oggi di fronte ad una situazione dominata dagli uomini e in cui non sono le benvenute. Per far emergere l’”altra metà dell’avanguardia” si è sviluppata una profonda riflessione sull’identità 82 di genere delle donne come designer, che ha consentito di mettere a fuoco, da una prospettiva femminista, le caratteristiche di quell’“alterità” ormai riconosciuta come un valore e una ricchezza. Nella sintesi di una sua ricerca sulla specificità del contributo delle donne nell’architettura e nelle arti applicate, Laura Castagno sostiene che “il lavoro delle donne - nel campo della soluzione dei problemi della quotidianità – la casa, gli strumenti d’uso, la decorazione – è sempre una visione dall’interno del problema, una conoscenza strutturale e mai sovrastrutturale, ricevuta da altri, come è molte volte per l’uomo. È la conseguenza del doppio ruolo che svolge la donna intellettuale, che sempre pensa a se stessa e moltissime volte deve pensare anche agli altri”. Inoltre l’esclusione che la donna ha subito nel tempo in molti aspetti della vita lavorativa e sociale non le ha impedito di sviluppare una propria sensibilità nei confronti dello spazio e degli oggetti, sensibilità dovuta a secolari abitudini domestiche, che però si differenzia da quella maschile. Infatti, secondo Daniela Grassi, “la donna tende ad una spazialità più minuta, legata al quotidiano, molto più interiore, il suo rapporto con la natura non è di dominio ma di fusione. L’uomo invece predilige una spazialità monumentale, meno legata alla dimensione umana, espressione della forza dominatrice e carica di tensione verso l’immortalità; la donna inoltre sembra essere più attenta ai bisogni sociali e meno desiderosa di imporre la propria personalità”. Ed in un numero di Ottagono, dedicato a “Donne e Design”, Claudia Donà esalta le peculiari capacità delle donne come designer, sottolineando che la differenza di gender non è determinata biologicamente ma costruita culturalmente: “una donna è sempre una grandissima designer non perché ha la facoltà di progettare e portare dentro di sé la vita, ma perché possiede infinite e straordinarie capacità per sopportare e trasformare il mondo”. La rivalutazione della differenza di genere, questa volta in favore delle donne, è un’operazione critica molto delicata in quanto rischia di riproporre, ribaltati gerarchicamente, gli stereotipi sociali di gender prodotti dalla cultura occidentale, che associavano la “femminilità” al concetto di “natura” e la “mascolinità a quello di “cultura”, innescando quindi un processo di “auto-discriminazione” dovuto alla convenzionale logica duale attraverso la quale si costruisce l’identità femminile in contrapposizione a quella maschile. Nei primi anni del 2000 si sono organizzate due mostre su donne e design, una negli Stati Uniti (novembre 2000) e una in Italia (marzo 2002), che sono significativi esempi di come si può riflettere sull’identità femminile nel design senza cadere nel suddetto processo di “auto-discriminazione”, lavorando sulla differenza di genere come la principale ma non esclusiva categoria di analisi. La mostra Women Designers in the USA, 1900-2000: Diversity and Difference, tenutasi al Bard Graduate Center for Studies in the Decorative Arts di New York e curata dall’inglese Pat Kirkham, è il risultato di un’ampia ricerca che aveva l’obiettivo di analizzare il lavoro delle donne designer che hanno operato negli USA nel XX secolo, definito da SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA alcuni come “Il secolo delle donne”. La mostra e i saggi del relativo catalogo, scritti da teoriche, critiche d’arte, designer, hanno messo a fuoco una definizione di design ampia ed “inclusiva”, non solo perché hanno preso in esame tutti i campi della produzione artistica e di oggetti d’uso - dal ricamo, alle carte da parati, alla ceramica, al cinema, al product design ma soprattutto perché alla differenza di genere, come prima categoria di analisi, hanno intersecato le diversità culturali ed etniche, includendo progettiste americane, afro-americane ed europee, proponendo quindi una riflessione complessa sul confronto tra le diverse aree del design e sulle relazioni tra razza e gender. L’obiettivo ultimo era quello di mettere a nudo i meccanismi insiti nei processi di emarginazione culturale e sociale, rivalutando l’importanza e la ricchezza della diversità culturale e di pensiero e superando gli stereotipi, le gerarchie, i dualismi, legati alla differenza di genere e di razza. In modo analogo, la mostra Dal merletto alla motocicletta. Artigiane/artiste e designer nell’Italia del Novecento, tenutasi alla X Biennale Donna di Ferrara e curata Anty Pansera, analizzava e faceva il punto sul contributo della progettualità e creatività italiana “al femminile” nel XX secolo ed è il risultato di una non semplice ricerca condotta per riportare alla luce e mappare le opere delle donne artigiane, artiste e designer e valutare i loro differenti ruoli nel processo di crescita della disciplina del disegno industriale dalle cosiddette “arti decorative e applicate” al design e nell’enorme ampliamento del campo d’intervento di questa disciplina “dal merletto alla motocicletta”. Questa mostra ha contribuito, quindi, a delineare una concezione della professione e della disciplina del disegno industriale, che non si limita all’area maschile del product design e che invece “include” e valorizza tutti quegli ambiti, considerati finora marginali, in cui le donne hanno più a lungo potuto sperimentare la loro creatività e le loro capacità progettuali. Queste due mostre sono state il tentativo di trovare spazio per nuove dimensioni del design ancora poco esplorate, di abbattere le classiche gerarchie tra arte, artigianato e design e di contribuire allo sviluppo di una storia del design più “inclusiva” rispetto a quella prodotta dalla cultura moderna, fondata sul paradigma dei “pionieri” e che considera come oggetto privilegiato di studio il prodotto industriale di massa. Ed infine, per completare questa rassegna sul contributo dei Gender Studies, è necessario accennare ad una serie di studi sull’impatto degli oggetti materiali nella costruzione dell’identità di genere e sulle relazioni tra gender e design degli oggetti d’uso quotidiano. Tali ricerche sono molto interessanti perché forniscono una nuova chiave di lettura degli oggetti di design, visti come uno dei più potenti amplificatori delle convenzioni sociali sulle differenze sessuali e quindi un fattore determinante nella costruzione dell’identità sessuale. Come afferma Ellen Lupton, negli ultimi due secoli la gente ha sempre più definito il proprio sé attraverso i prodotti che acquista e utilizza. Una persona costruisce la sua identità come femmina in parte anche mediante gli oggetti materiali e le immagini che circondano le sue attività quotidiane. “Ma- scolinità” e “femminilità” sono costruzioni culturali prodotte dall’adattamento agli stereotipi sociali di sessualità, nel quale gioca un ruolo determinante proprio l’impatto e la consistenza dei segni, delle immagini e delle rappresentazioni utilizzati nell’arte, nei prodotti di consumo, nella pubblicità. Il design quindi contribuisce in modo significativo a definire l’identità di genere. Martha Zarza, ricercatrice presso la School of Design alla Mexico State University, studia le relazioni tra gender e oggetti d’uso quotidiano, i modi in cui le aspettative culturali di genere vengono comunicate attraverso gli oggetti della vita quotidiana, le loro caratteristiche fisiche, il loro design. Zarza sostiene che gli oggetti sono tra i più potenti supporti di significato nella nostra società. Sono veicoli per la trasmissione di segnali; ogni aspetto della loro forma e del loro colore veicola messaggi sugli stili di vita ideali, sulle legittime aspirazioni dei consumatori, sull’identità di genere. L’interrelazione tra gender e oggetti è una delle componenti fondamentali del quadro di riferimento culturale, che costituisce il nostro senso di identità sociale. La maggior parte degli spazi e degli oggetti della vita quotidiana sono connotati sessualmente. Attraverso il design e la pubblicità degli oggetti si veicolano precise nozioni di “femminilità” e “mascolinità”, anche se molto spesso non ce ne rendiamo neanche conto poiché le riteniamo naturali in quanto conformi alle nostre convenzioni sociali sulla differenza di genere tra uomini e donne. Pat Kirkham e Judy Attfield, in una importante raccolta di saggi dedicati ai gendered objects, sostengono che le relazioni tra oggetti e gender sono definite in modo da essere accettate come “normali” e quindi da diventare addirittura “invisibili”. Per studiare i gendered objects è necessario collocarli sia nel contesto storico che nella sfera del consumo, evidenziando inoltre le relazioni tra gli oggetti e chi li usa, li indossa, ecc. Solo così può essere rilevato il reale significato delle relazioni di genere veicolato dagli oggetti d’uso. Secondo Zarza, è impossibile separare la funzione di un prodotto dalla sua immagine. Quando acquistiamo un oggetto noi consumiamo un mix del prodotto e del suo significato. Una delle più importanti implicazioni dei prodotti “sessualmente differenziati” è che sottendono e alimentano differenti capacità cognitive e sociali. I prodotti sono potenti comunicatori di ciò che gli uomini e le donne dovrebbero essere e fare. Pertanto noi dobbiamo essere disposti a riconoscere i valori e le identità che l’immagine di quei prodotti promuove. Il design degli oggetti d’uso quotidiano, quindi, trova spiegazione anche attraverso le nozioni di “femminile” e “maschile” in quanto spesso le qualità formali e gli attributi fisici di un prodotto dipendono dalle convenzioni sociali sulla differenza sessuale. Colori e linee sono i principali elementi della differenza di genere in un prodotto: ad esempio, colori tenui, pastello, linee curve, morbide e forme organiche ed ergonomiche per i prodotti femminili; colori scuri o metallici, linee rette e spigolose, forme geometriche per quelli maschili. Se questi elementi fossero insufficienti, il packaging 83 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO rinforza ulteriormente la differenza di genere. La differenziazione sessuale degli oggetti è sempre esistita. Il design ha sempre contribuito ad imprimere caratteri sessuali agli oggetti, così come ad “addomesticare” e “umanizzare” gli strumenti, le macchine, le apparecchiature e gli oggetti che entravano a far parte della vita domestica. Ma come sostengono gli studi sui gendered objects, oggi, più che mai, nei prodotti di consumo si stanno rafforzando le tradizionali nozioni di gender. In molti casi, inoltre, la differenziazione di genere dei prodotti non è giustificata e rappresenta, come sostiene la Attfield, solo una strategia per migliorare il mercato attraverso l’introduzione di novità e la diversificazione del prodotto. Sono numerosissimi i prodotti in cui è evidente la differenziazione tra i sessi e che sottendono identità di genere e comportamenti sociali stereotipati. Basta guardare i prodotti sugli scaffali del supermercato (ad es., rasoi for men e rasoi for women, prodotti di consumo per lui e per lei), per non parlare di quando si entra in un negozio di giocattoli dove addirittura i prodotti sono differenziati in reparti per maschi e reparti per femmine. Si tratta di strategie di marketing e di differenziazione dei prodotti per incentivare i consumi, vissute spesso inconsapevolmente dai consumatori (anche dalle mamme e dai papà). Nonostante il dibattito sull’identità di genere e sull’importanza del ruolo del design di prodotto rispetto agli stereotipi di genere, l’industria continua ancora oggi a puntare moltissimo sulle differenze di genere (maschile vs femminile, blu vs rosa, spigoloso vs arrotondato, automobili vs bambole) e a rafforzare ruoli sessuali stereotipati in uno scenario contemporaneo che invece necessita fortemente di inclusività e di pari opportunità. È necessario quindi acquisire un punto di vista critico verso gli oggetti connotati sessualmente che ci consenta di renderci consapevoli delle tradizionali nozioni di genere che il design spesso sostiene e riproduce, e avere così la possibilità e la libertà di scegliere se riprodurre i modelli culturali sulla differenza di genere che abbiamo ereditato, acquistando prodotti con superficiali attributi di genere o domandare oggetti in cui siano evidenti i reali benefici apportati dal design. Pertanto, acquisire questa nuova prospettiva critica sugli oggetti e sul design, come contributo dei Gender Studies, significa, in primo luogo, diventare consumatori, uomini e donne, senza dubbio più consapevoli nelle proprie scelte di acquisto e, in secondo luogo, per i designer essere più responsabili del loro ruolo nello sviluppo di nuovi prodotti riguardo la costruzione dell’identità sociale di genere e la riproduzione di stereotipi comportamentali non più adeguati alla società contemporanea. 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Donne, arte e “realtà aumentata” GIULIANA GUAZZARONI Adam, Accademia delle Arti Macerata ACCRESCERE LA REALTÀ: UN SIMULACRO M POSTCONTEMPORANEO olti studi indicano come una nuova generazione di dispositivi tecnologici incontra maggiore favore e accettazione da parte di utilizzatori di genere maschile (Wajcman, 2000). Tuttavia, si evidenziano elementi che ne identificano usi diversi e d’interesse per la ricerca nel settore. Le tecnologie digitali possono permettere forme d’ibridazione tra la carne e gli oggetti tecnologici all’interno di spazi virtuali o reali; si tratta di processi interattivi che possono contribuire alla “ridefinizione della relazione tra identità e tecnologia, tra tecnologia e corpo” (Mainardi, 2013). È difficile vivere “coltivando la credenza in una stabilità del reale e in una governabilità dei flussi informativi”. Ambienti reali mescolati a elementi virtuali possono sovvertire schemi cognitivi e paradigmi acquisiti e possono impedire di mettere a frutto pratiche interattive ed esplorarne potenzialità (Caronia, 1996). Parliamo di ambienti reali accresciuti, attraverso sistemi informativi, che permettono uno slittamento tra la sperimentazione della realtà reale, percepita attraverso gli organi di senso, e la realtà manipolata elettronicamente al fine di creare esperienze virtuali specifiche. Vito di Bari in 2015 weekend nel futuro (2004), definisce la realtà aumentata come: l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che normalmente non sarebbero percepibili con i cinque sensi. Come a dire quindi che senza la tecnologia non avremmo modo di dare libero sfogo alle nostre emozioni. Ed è principalmente attraverso la tecnologia della realtà 86 aumentata che è possibile accrescere un ambiente fisico di elementi iperreali che siano in grado di presentare l’oggetto e il suo segno invisibile. Parliamo di una sorta di simulacro postcontemporaneo necessario al fine di definire un qualsiasi oggetto comunicativo, sia esso un prodotto in uno scaffale di un ipermercato sia esso un oggetto artistico. Jean Baudrillard riferendosi alla società contemporanea tecnologica e multimediale introduce l’iperreale costituito da “simulazione” e “simulacri”, quali sono la realtà virtuale e gli oggetti sintetici. Il Web oggi è il mondo, un territorio dematerializzato in cui ognuno riflette un set di dati che sono catturati e processati al fine di restituire notevoli potenzialità. Le trasforma- SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA zioni del Web rappresentano un processo inarrestabile in cui è possibile leggere un futuro caratterizzato da elementi che si accorpano, realtà moltiplicate e dati aggiuntivi. Gli oggetti concreti proiettano un’ombra composta da un bagaglio di informazioni che si riproducono nel cyberspazio. Ogni persona possiede un determinato numero d’informazioni elettroniche che la seguono, esattamente come la propria ombra e che si riverberano nelle caselle di posta elettronica, nei profili di Facebook o di Twitter. Un prodotto è etichettato con una serie d’informazioni specifiche che lo identificano in maniera univoca. È l’Internet degli oggetti, che si avvale di quanto gli oggetti recano, per innescare connessioni attraverso strumenti mobili e informazioni contenute nelle cose (O’Reilly & Battelle, 2009). Smartphone e tablet permettono la comunicazione con l’ombra che aderisce a ogni soggetto e oggetto. Con un cellulare in mano è anche possibile offrire esperienze educative o di fruizione dell’arte adatte a molteplici esigenze o accedere a servizi di varia natura, adeguati a differenti tipologie di fruitori in ambienti reali come la scuola, il quartiere, il museo, la galleria d’arte. L’interazione con gli oggetti e i luoghi reali alimenta la partecipazione attiva, l’interscambio di informazioni; stimola racconti, impressioni, emozioni che l’utilizzatore vive durante la giornata (Guazzaroni & Leo, 2011; Guazzaroni, 2012a; Guazzaroni, 2012b). Nelle esperienze analizzate in questo articolo si evidenziano alcune differenze di genere nella fruizione di opere artistiche manipolate elettronicamente attraverso la tecnica della realtà aumentata. Queste esperienze sono state inserite e monitorate in tre eventi artistici: 1. La collettiva “Muri e divisioni” tenutasi nel 2013 presso la Galleria Galeotti di Macerata; 2. La collettiva “Mon appétit” del 2014 presso l’Espace Beaurepaire di Parigi; 3. La mostra personale “Détrône, defrag, detox”, inserita nel circuito Plus del Set Up Art Fair bolognese del 2015. In ognuno di questi eventi, alcune delle opere in mostra ha subito un processo di manipolazione informatica per diventare un oggetto mutante, un simulacro, nelle mani dei visitatori. Fili conduttori invisibili offrono una lettura che va oltre l’immediata percezione dell’opera d’arte, attraverso i cinque sensi, per arrivare all’essenza degli oggetti in mostra. Si sfrutta, inoltre, il concetto di BYOD (“bring your own device”, in altre parole un invito a portare con sé il proprio tablet o smartphone) sempre più diffuso nelle pratiche quotidiane del pubblico attivo delle mostre. MURI E DIVISIONI UNA PERFORMANCE DEDICATA A GIUSEPPE VERDI La collettiva “Muri e divisioni”, a cura di Adam Accademia delle Arti Macerata, si è tenuta dal 18 luglio al 29 settembre 2013 nei locali della Galleria Galeotti. La collettiva d’arte rientra nel programma della quarantanovesima stagione lirica dell’Opera Festival. La realtà aumentata rappresenta un itinerario musicale verdiano all’interno della collettiva (Dio di Giuda, S’appressan gl’istanti e Va pensiero dal Nabucco, Di quella pira, Tacea la notte placida, Terzetto Anima mia! e Stride la vampa dal Trovatore) che ha accresciuto di elementi comunicativi sette delle opere in mostra, ovvero i quadri degli artisti: Simona Breccia, Hernàn Chavar, Dorian X, Gabriella Gattari, Luna Simoncini, Marco Temperini e Tomas. Amplificare la realtà attraverso contenuti aggiuntivi è un’esperienza sempre più diffusa in tutti i settori. Arte e edutainment non ne sono esclusi, anzi rappresentano un campo piuttosto rilevante di applicazione della realtà aumentata. Esperienze digitali applicate alla promozione e allo sviluppo di eventi e luoghi legati all’arte e alla cultura, emergono ogni giorno. Reinvenzioni metodologiche della realtà, volte al rilancio culturale locale possono rappresentare esperienze in grado di offrire un richiamo più vasto con luoghi ed eventi, finalizzati ad agire nel promuovere lo sviluppo di movimenti artistici. Ne è un esempio la performance di “Muri e divisioni” che ha celebrato il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi con un’esperienza coinvolgente per il pubblico. La realtà aumentata ha rappresentato una fruizione dell’arte giocosa e dinamica, portando il visitatore a uscire dal suo guscio e spingendolo all’interazione multimediale. Con la Realtà Aumentata le opere d’arte, non soltanto vengono amplificate attraverso il suono, ma prendono vita, si muovono, si animano, attraverso la musica e il movimento creando una performance che sovrappone elementi reali a sintetici contaminando e trasformando l’opera d’arte originale. L’esperienza è stata preparata con cura al fine di creare uno spettacolo gioioso, dove la tecnologia è concepita come piacevole e leggera. Per raggiungere quest’obiettivo, poiché la realtà aumentata non è una pratica quotidiana per la maggior parte degli ospiti, un primo esecutore (performer) è stato introdotto per animare la galleria e per mostrare come giocare con la musica di Giuseppe Verdi e gli AR-moulded-object (oggetti modellabili creati attraverso la tecnologia della realtà aumentata). Come già emerso dal monitoraggio di esperienze precedenti, le performance di realtà aumentata che prevedono un pubblico attivo dovrebbero essere suddivise in 7 fasi, secondo un modello pedagogico, per alleggerire l’impatto tecnologico (Guazzaroni, 2013a; Guazzaroni, 2013b). Nello specifico, le prime fasi sono importanti, qui il primo performer agisce da attivatore dei neuroni specchio del pubblico attraverso la sua azione concreta. I neuroni-specchio si attivano sia quando l’individuo compie un’azione, sia quando egli vede compiere quell’azione. Sono neuroni che si attivano sia per cause sensoriali (vedere l’azione) che per finalità motorie (compiere l’azione). Sono cellule nervose del cervello che si attivano quando vedono qualcun altro compiere un gesto (primo performer) (Rizzolatti & Sinigaglia, 2014). Questi neuroni, quindi, “riflettono”, come uno specchio quello che vedono nel cervello altrui. Si tratta di una facoltà del nostro sistema nervoso fondamentale per la comprensione e l’apprendimento (Guazzaroni & Compagno, 2013). 87 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Le esperienze di realtà aumentata create per l’evento espositivo hanno modificato le opere d’arte. Di conseguenza la realtà aumentata ha cambiato il tocco della mano dell’artista. Nella prima fase del progetto, è stata realizzata un’analisi delle opere selezionate e della filosofia degli artisti. Questo studio è stato diviso in due fasi: 1. Analisi del testo che ciascun artista ha proposto al comitato organizzatore, per evidenziare il significato delle opere selezionate; 2. Incontro con gli artisti selezionati per esplorare gli oggetti e le scelte dei loro dipinti. Di seguito è iniziato: l’ “Interaction Design Process”. La maggior parte dei partecipanti ha dichiarato di aver veramente apprezzato la realtà aumentata (60%), il 20% ha detto di averla apprezzata e il 20% ha dichiarato di essere riuscito ad apprezzarla poco. Per il 48% del pubblico l’attività svolta ha fortemente promosso un legame emotivo con l’arte contemporanea. Per il 36% dei visitatori l’attività svolta ha promosso un legame emotivo e per il 16% l’ha appena promosso. La maggior parte dei visitatori ha dichiarato di voler raccomandare davvero esperienze realtà aumentata ad altre persone (68%), il 16% raccomanda tali esperienze e difficilmente le consigliano il 16%. Per quanto riguarda la difficoltà tecnologiche, la maggior parte del pubblico non ha avuto difficoltà (80%), mentre il 20% ha dichiarato di aver incontrato qualche problematica nei loro smartphone o tablet. La valutazione ha rivelato che la maggior parte dei visitatori ha vivamente apprezzato la realtà aumentata. Questa contribuisce a creare un’esperienza attiva e fa abbandonare l’apatia del ruolo dell’utente in una galleria d’arte tradizionale. I migliori risultati riguardano la giocosità delle performance. Una sorta di circo contemporaneo allo stesso tempo ludico e didattico, basato sulle proprietà mutevoli e imprevedibili dei nuovi oggetti comunicativi, così come sul coinvolgimento del visitatore – invitato da un primo esecutore a entrare in un mondo surreale. La performance di realtà aumentata ha promosso un legame emotivo con l’arte contemporanea. Inoltre, la maggior parte degli spettatori avrebbe consigliato tali esperienze ad altre persone. L’intera esperienza ha originato un format per gallerie d’arte contemporanea. Qui i moulded-objects sono gli elementi di base per creare un nuovo linguaggio della comunicazione artistica sulla base della tecnica della realtà aumentata (Guazzaroni & Compagno, 2013). “Muri e divisioni”, pur non essendo stata designata come una performance di genere, dall’osservazione diretta del pubblico attivo e performante sono state rilevate alcune differenze a riguardo. Alcuni commenti lasciati da visitatrici che si sono appassionate alla realtà aumentata riportano come questa sia un elemento necessario e giocoso per arrivare a una comprensione dell’opera d’arte più profonda e reale della realtà materica stessa. Inoltre, l’elemento surreale di rappresentazione circense postcontemporanea si addice al gusto femminile, al lasciarsi andare, all’abbandonare la riluttanza alla passività della visita in una galleria. Mettersi in gioco, accendere lo smartphone e performare la visita. In 88 questo l’osservazione diretta riporta una maggiore componente femminile. In contrapposizione con la tendenza più maschile a chiedere informazioni sul come funziona tecnicamente e ad ascoltare il performer, ponendo domande piuttosto che performando le azioni. NUTRIRE GLI APPETITI CARNALI, LA PERFORMANCE PARIGINA DI “MON APPÉTIT” Il nutrimento è alla base dell’esperienza della collettiva parigina “Mon Appétit” e, sempre il nutrimento, lega l’interno delle cittadine di provincia, racchiuse dalle strette mura urbiche all’esterno dell’esposizione internazionale, restituendo il piacere per il glocalismo promosso a ragione dal sociologo Zygmunt Bauman. La fertilità della terra marchigiana nutre gli artisti ne stimola idee e appetiti, voglia insaziabile di creare e ricercare l’altrove oltre la cinta muraria. L’occasione è stata l’esposizione agroalimentare SIAL di Parigi e l’idea di legare a quest’evento una collettiva di artisti marchigiani selezionati da un comitato di garanzia dell’Adam Accademia delle Arti. Artisti selezionati sono stati invitati a esporre opere aventi come tema il cibo, l’appetito, la fame, il desiderio presso l’Espace Beaurepaire, a Parigi, dal 19 al 25 ottobre 2014. All’interno dell’esposizione è stato creato un sotto percorso attraverso la tecnologia della realtà aumentata come strumento portante. L’idea di base è stata di sviscerare, ma anche deframmentare, il lavoro che ha portato l’artista a restituire al pubblico l’opera in esposizione. Il risultato è stato piuttosto interessante. In base all’esperienza precedente di “Muri e divisioni” sono stati reclutati partecipanti disposti a mettersi in gioco, a stare al gioco, a farsi osservare dentro il loro laboratorio o anche disposti a donare qualcosa di quel lavoro che sta dietro le quinte e che normalmente non viene riportato. Alcune opere tuttavia non sono state ritenute adatte a questo lavoro sia per contenuti sia per forma espressiva. Di seguito i nomi degli artisti selezionati per il percorso di realtà aumentata: Ilaria Beretta, Sandro Bisonni, Hernan Chavar, Irene Dipré, Maurizio Meldolesi, Michele Mobili, Federica Papa, Sara Perugini e Tomas. Osservando e chiacchierando con i singoli artisti, il lavoro della realtà aumentata ha proposto nello specifico quanto segue: L’opera di Ilaria Beretta offre in realtà aumentata una suggestione riguardante l’idea portante che ha ispirato il suo lavoro: non dimenticare i bravi maestri e come da questi abbiano preso forma i primi schizzi tessili in fibra di carbonio. La Venere di Sandro Bisonni, si sdoppia, grazie alla tecnologia, per arrivare a svelare l’ispirazione classica dell’opera. I quadri di Hernan Chavar, grazie alla realtà aumentata, rivelano colori omessi, teschi, casse toraciche, inflorescenze e ispirazioni personali che permettono al visitatore di vedere uno spaccato più vero della sua produzione artistica. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA La dea madre di Irene Dipré, rivela alla realtà aumentata, l’alter ego dell’artista. Il suo volto sincero emerge dall’autoritratto per strizzare l’occhio al visitatore e indurlo a portare offerte propiziatrici a New Era/Giunone del trash, nutrice e distruttrice allo stesso tempo. Le opere di Maurizio Meldolesi mutano al passare dello smartphone, rivelando immagini di scena costruite ad hoc dall’artista stesso. “La realtà ti sembra questa, ma potrebbe essere anche quest’altra” – sembrano affermare i cibi e le bevande nell’atto stesso di essere consumate, trasformate in simulacri. I nudi di Michele Mobili, anch’essi mutano al passare dell’obiettivo giocando sul chiaro scuro e sui punti di vista dell’osservatore. Le fotografie di Federica Papa sono poste l’una accanto all’altra, cercando bene c’è un uomo più anziano ed è lui che si modifica attraverso la realtà aumentata. Gioventù e movimento emergono dalle cicatrici, armoniche forme non rivelate all’occhio nudo. Il lavoro di Sara Perugini è arricchito dalla realtà aumentata, l’artista ha deciso di mettersi in gioco scrivendo e descrivendo i passaggi e le motivazioni che l’hanno condotta alla realizzazione dei pesci presenti nell’istallazione. La complessa opera di Tomas rivela, al passaggio della realtà aumentata, l’intimo legame che la lega al suo creatore. Aprire il proprio laboratorio non è facile, significa affidarsi. Lui decide di farlo e restituisce così al visitatore della galleria una vera e propria superficie specchiante che rivela gesti e forme non scontati. Gesti e forme racchiusi in “Ma boucherie” rappresentano una suggestione pronta per essere rilevata da uno smartphone e che testimonia alcuni passaggi della creazione del quadro stesso. L’arte, espressione irrefrenabile dello spirito umano, in ognuna delle molteplici forme riflette il simbolo della realtà ultima delle cose in una fusione dinamica fra il sé del microcosmo e il macrocosmo dell’universo. Una spinta inarrestabile, un appetito di ricerca che ci innalza permettendo al finito di diventare infinito, assumendo un significato universale. Ed è proprio qui che l’esperienza dei percorsi in realtà aumentata si innesca per aprire nuovi orizzonti al senso di “compiutezza” dell’opera artistica esposta in galleria. Un “volo continuo” verso una nuova “compiutezza” che apre i confini del microcosmo per aprirsi all’”incompiutezza” del tendere verso il macrocosmo infinito (Ikeda, 2013). La componente femminile partecipante ha rilevato uno spiccato interesse verso quest’ultimo aspetto. Il volo continuo verso nuovi orizzonti, la spinta verso un’apertura artistica ibridata dalla tecnologia per accrescere la realtà. D’altro canto la componente maschile ha richiesto di portare in realtà aumentata non solo elementi artistici, ma anche informativi. Il visitatore che utilizza la realtà aumentata, secondo alcuni uomini, potrebbe gradire vedere scorrere del testo in trasparenza con: 1. La biografia dell’artista e la “filosofia dell’arte” dell’opera raffigurata; 2. Il curriculum con le principali mostre fatte; Détrône, defrag, detox al Set Up Plus di Bologna 3. L’eventuale possibilità di visualizzare altre opere significative. Mettersi in gioco e performare, anche in questo evento sembra essere stata più una caratteristica del genere femminile. Alle donne il contributo di accogliere l’arte con leggerezza, verso un continuo volo infinito. DÉTRÔNE, DEFRAG, DETOX AL SET UP PLUS DI BOLOGNA La personale Détrône, defrag, detox – inserita nel circuito Plus del Set Up Art Fair bolognese ha avuto luogo dal 22 89 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO al 25 gennaio 2015 – proponendo l’opera pittorica dell’artista marchigiano Tomas attraverso tre percorsi, personalizzabili da parte del pubblico, al fine di arrivare a cogliere gli elementi essenziali e di frontiera inerenti la ricerca dell’artista. Tre fili conduttori, tracciati già nel titolo stesso del progetto espositivo – détrône, defrag, detox – offrono una lettura che va oltre l’immediata percezione dell’opera d’arte, attraverso i cinque sensi, per arrivare all’essenza delle linee primarie che uniscono e dividono le figure. I tre fili conduttori, scalabili e personalizzabili attraverso la tecnologia e la metodologia delle realtà aumentata, si presentano al pubblico come tre diversi canali multimediali: Détrône: Canale dedicato ai più piccoli (“Kids”) che letteralmente mette in prospettiva, deponendoli dal loro trono, i personaggi mitologici e archetipici presenti nei quadri (a questo si abbina un laboratorio con la tecnica del collage e i materiali di riuso per le scuole primarie); Defrag: Canale dedicato ai più grandi (“Visitors”) che deframmenta le linee essenziali presenti nella sovrapposizione di elementi pittorici e/o materici; Detox: Canale dedicato ai più giovani (“Young”) che toglie tossine e rappresenta l’epifania spirituale del percorso artistico dell’autore. È dedicato alla cultura pop e post-contemporanea. Tre differenti piani narrativi s’intrecciano e attraversano uno stesso spazio espositivo, amplificandone le percezioni sensoriali. Fili invisibili a occhio nudo che rappresentano una mappa geografica emozionale della ricerca artistica di Tomas (per essere fruiti richiedono dispositivi portili e un’applicazione scaricabile gratuitamente per Android e iOS). Percorsi di frontiera, dal multilinguismo del titolo del progetto espositivo, arrivano dapprima a togliere timore reverenziale ai personaggi mitologici, restituendone gli aspetti giocosi (détrône); si toglie dal trono la loro autorevolezza, per arrivare poi a deframmentare le informazioni, fino a ottimizzarle e ricollocarle attraverso il collage. Giochi percettivi neuronali che specchiano e intersecano superfici altre (defrag); infine, si arriva a uno stato percettivo depurato da elementi tossici. Linee essenziali ispirate a visioni quotidiane, contemporanee (detox). L’esposizione ha occupato due luoghi uno reale e l’altro virtuale: Le Fucine Vulcaniche – Bologna Canale di Realtà aumentata attraverso Daqri, un app gratuita per Android e iOS. Questi luoghi/non-luoghi contenevano al loro interno mappe invisibili che il visitatore più tecnologico ha percorso al fine di arrivare a osservare le frontiere intime delle opere di Tomas. Linee essenziali che uniscono e dividono e che costituiscono l’essenza eterea dei lavori pittorici. Il primo percorso espositivo è stato integrato attraverso il canale “détrône” dedicato ai più piccoli. Qui sono stati inseriti i lavori d’ispirazione mitologica, onirica o biblica. A volte, alcune di queste figure potrebbero essere percepite come inquietanti, necessitano di essere deposte da questi ri90 ferimenti per essere riportate in un piano percettivo più leggero e ludico attraverso un gioco performativo che s’ispira alle favole e filastrocche della tradizione. Detronizzare, si riferisce anche a personaggi come Re Lear di Shakespeare che abdica in favore delle due figlie malvagie, accecato dalla propria percezione deforme della realtà. La figura del matto, in questo caso, riporta continuamente il Re pazzo alla realtà dei fatti attraverso filastrocche e simulazioni performative. Un matto diviene più autorevole e saggio di un Re. Il secondo percorso è inerente la filosofia dell’artista, si abbina al canale “defrag” e si sviluppa attraverso la deframmentazione informativa degli elementi presenti nei quadri per arrivare all’essenza stessa dell’opera. Mappature emozionali sono alla base dei percorsi non lineari di frontiera. I frammenti dei collage riflettono il modo di percepire l’ambiente interiore ed esteriore del cervello umano. Superfici specchianti, riflessi, immagini non scontate riportano alla recente scoperta dell’azione dei neuroni specchio (Rizzolatti & Sinigaglia, 2014). Cellule del cervello che si attivano compiendo azioni e vedendo altri compierle. I neuroni specchio permettono al cervello umano di capire chi ci sta di fronte, senza che sia necessario un ragionamento complesso. Inoltre, preparano il sistema nervoso a imitare le azioni degli altri e a entrare in empatia con gli interlocutori. I diversi piani informativi dei collage di Tomas riflettono una percezione umana deframmentata e restituita da più punti di vista che si specchiano reciprocamente l’uno nell’altro. La deframmentazione delle informazioni è ricollocata dall’artista secondo nuove superfici percettive che mutano attraverso le interrelazioni umane quotidiane. Nel terzo percorso dalla deframmentazione di tutti gli elementi informativi percepibili si passa al loro alleggerimento attraverso il setaccio del filone “detox”. Dedicato ai più giovani, questo percorso presenta temi legati all’esperienza percettiva di tutti i giorni. Questi soggetti rivelano, attraverso il canale dedicato, tratti leggeri e aeriformi. Questi restituiscono gli effetti di una percezione distorta per arrivare all’essenza della filosofia dell’autore e alla ricerca ultima di leggerezza e consapevolezza giovane. Partendo dunque da figure archetipiche vicine a personaggi quali Re Lear, si passa per una deframmentazione percettiva delle informazioni e dei personaggi (Minotauro, Ruggero e Angelica, San Giorgio e il drago, San Giovanni Battista ecc.), per arrivare infine a una sorta di epifania spirituale post-contemporanea. Questa si esplica in opere che presentano soggetti distinti da tocchi leggeri. Questi ultimi sembrano aver rielaborato la tossicità dei falsi miti per rinascere finalmente consapevolmente giovani. Dall’osservazione diretta del pubblico, è emerso, anche qui, come il genere femminile abbia performato i tre fili conduttori con leggerezza, mettendo in gioco lo stupore di percorrere a ritroso i passi dell’artista. La componente maschile, viceversa ha indagato sui contenuti e le applicazioni utili a sviluppare i percorsi. Studenti e studentesse delle Scuole superiori hanno partecipato all’esperienza rivelando interesse per i fili invisibili che mutano l’opera d’arte e curiosità per SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA gli elementi digitali che legano il movimento alla materia dei collage in mostra. OSSERVAZIONI FINALI La valutazione ha rivelato come la maggior parte dei visitatori ha vivamente apprezzato la realtà aumentata. Questa contribuisce a creare un’esperienza attiva e fa abbandonare l’apatia del ruolo dell’utente in una galleria d’arte tradizionale. Qui l’utente rompe il guscio, esce allo scoperto. Il monitoraggio rivela come sia proprio il genere femminile a performare con maggiore naturalezza questo ruolo. I migliori risultati delle esperienze riportate sono relativi alla giocosità delle performance. Una sorta di circo contemporaneo allo stesso tempo ludico e didattico, basato sulle proprietà mutevoli e imprevedibili dei nuovi oggetti comunicativi e sul coinvolgimento dei visitatori e delle visitatrici. Questi sono invitati da un primo esecutore a entrare in un mondo surreale, possono decidere di vivere con leggerezza e giocosità un’esperienza d’ibridazione tra carne e tecnologia, decostruendo tassello dopo tassello il concetto d’identità, tornando a essere bambini e bambine, entrando a far parte di un evento circense, simulacro dell’arte e delle sue infinite forme dialogiche. La performance di realtà aumentata ha promosso pertanto un legame emotivo, sentito, forte e consapevole con l’arte contemporanea. Inoltre, la maggior parte degli spettatori e delle spettatrici vorrebbe consigliare queste visite ad altre persone. L’intera esperienza ha originato un format per gallerie d’arte contemporanea. Qui i moulded-objects sono elementi di base per creare un nuovo linguaggio della comunicazione artistica sulla base della realtà aumentata (Guazzaroni & Compagno, 2013). I quadri e le opere artistiche rimandano a movimenti e oggetti malleabili, osservabili nei loro moti. Infiniti rimandi fatti di similitudini e oggetti inafferrabili. Un invito ad andare oltre i consueti punti di vista, per restituire una realtà complessa e visioni che si avvicinano al salto creativo quantico, sono alla base delle performance di genere che risultano dalle esperienze analizzate. Global, Hershey, Pennsylvania. Guazzaroni G. (2013b), The ritual and the rhythm: Interacting with augmented reality, visual poetry and storytelling across the streets of scattered L’Aquila, in eLearning Papers on Design for learning spaces and innovative classrooms, 34. Guazzaroni G. (2013c), Emotional mapping of the archaeologist game, in M. Lytras, P. Ordoñez De Pablos and F.J. García-Peñalvo (Eds.), in Advanced Human-Computer Interaction, Computers in Human Behavior, Elsevier, 29, 2: 335-344. Guazzaroni G. (2013d), Piegare la tecnologia alla creatività, in Griziotti G., a cura di, Speciale Bioipermedia. Multitudini connesse, Alfabeta2, 29, 3. Guazzaroni G. (2012a), Experiential mapping of museum augmented places – Using mobile devices for learning, LAP, Saarbrücken. Guazzaroni G. (2012b), Emotional mapping of museum augmented places (EMMAP), in Pieri M., a cura di, Mobile learning. Esperienze e riflessioni “Made in Italy”, Progedit, Bari. Guazzaroni G. e Leo T. (2011), Emotional mapping of a place of interest using mobile devices for learning, in I. Arnedillo Sánchez and P. Isaías (Eds.), Proceedings of IADIS International Conference on Mobile Learning, 277-281, Avila, March 10-13 2011. Ikeda, D. (2013), Il volo della creatività. Università di Bologna 1 giugno 1994, in Un nuovo umanesimo. Conferenze in celebri atenei di tutto il mondo, Esperia, Milano. Mainardi A. (2013), Confini in transito. Tecnologie digitali e performance di genere, in Griziotti G., a cura di, Speciale Bioipermedia. Multitudini connesse, Alfabeta2, 29, 3. O’Reilly T. e Battelle J. (2009), Web Squared: Web 2.0 Five Years On, in Proceedings of Web 2.0 Summit. San Francisco, CA. Rizzolatti G. e Sinigaglia C. (2014), So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina, Milano. Wajcman J. (2000), Reflections on Gender and Technology Studies: In What State is the Art? Social Studies of Science, 30, 3: 447-464. BIBLIOGRAFIA Baudrillard J. (1981), Simulacres et simulation, Galilée, Paris. Bauman Z. (2012), Conversazioni sull’educazione, in collaborazione con Riccardo Mazzeo, Erickson, Trento. Caronia A. (1996), Il corpo virtuale. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Franco Muzzio, Padova. Di Bari V. e Magrassi P. (2004), 2015 weekend nel futuro, Il Sole 24 Ore, Milano. Guazzaroni G. e Compagno M. (2013), AR mouldedobjects performing Giuseppe Verdi’s 200th birthday, in Archeomatica, 4: 38-41. Guazzaroni G. (2013a), Street poetry in augmented reality, in S. Leone (Ed.) Synergic integration of formal and informal e-learning environments for adult lifelong learners, IGI 91 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO La donna cinese nel Nuovo Millennio CHIARA D’AURIA Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Salerno L a condizione femminile nella Cina contemporanea si colloca all’interno del più ampio dibattito in corso tra gli studiosi e nell’opinione pubblica internazionale sulla modernità della società cinese. Come evidenziato da Jean Louis Rocca, gli interrogativi sull’evoluzione del “Paese di mezzo” dalla fine dell’era di Mao ai nostri giorni talvolta si concentrano su aspetti precisi e tra questi un ruolo di primo piano è rivestito dalla situazione della donna e dalla sua emancipazione1. Se è vero che la società cinese è diventata una società di soggetti2 grazie agli effetti delle politiche di riforme e di apertura promosse da Deng Xiaoping in poi, all’interno del contesto storico intercorrente tra la fine degli anni Settanta e gli anni Duemila emerge con forza l’obiettivo di realizzazione e di completamento della società armoniosa (héxié shèhui, 和谐 社会) messo in atto dalle ultime quattro generazioni della classe dirigente cinese a partire dalla fine del periodo maoista. Secondo questo progetto il concetto di progresso è attivamente costruito dai singoli individui per il raggiungimento di uno sviluppo economico condiviso da tutta la società, che è sempre “inclusiva” e mai “esclusiva”, cioè è diretta alla onnicomprensività di tutti i suoi soggetti3. Questa duplice spinta verso la modernità presenta aspetti certamente evidenti anche nel caso dell’analisi della condizione femminile, poiché se da una parte dal 1. J.-L. Rocca, La società cinese, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 77 e ss. 2. Idem; cfr. anche D. Davis ( a cura di), Urban Spaces in Contemporary China. The Potential for Autonomy and Community in post-Mao China, Cambridge, Woodrow Wilson Centre Press, 1995; The Consumer Revolution in Urban China, Berkeley, University of California Press, 2000. 3. M. Scarpari (a cura di), La Cina, Torino, Einaudi, vol. I, 2011, XVIIXLVII. 92 1949 ad oggi la Cina ha tentato di rafforzare l’uguaglianza della donna e dell’uomo attraverso politiche sociali nazionali, dall’altra la liberalizzazione economica si è accompagnata ad una progressiva liberalizzazione sociale, negli usi e nei costumi, nella diffusione delle mode, con la comparsa anche in Cina di una classe di donne emancipate, economicamente e culturalmente, abituate a viaggiare e quindi “cittadine del mondo”, esponenti influenti di una potente gerarchia economica. Si stima, infatti, che in Cina siano circa 20 milioni le “donne-capo” all’interno del mondo imprenditoriale e finanziario4. La tecnologia e l’uso di internet, infine, ha provocato un cambiamento importante nelle relazioni personali tra uomini e donne, con una nuova libertà femminile che sembra essere generalmente condivisa e goduta. Si tratta di aspetti tuttavia che meritano un inquadramento più preciso in quanto profondamente diversa è la percezione della condizione femminile nella società cinese di oggi e quindi la realtà di vita della donna nella Repubblica Popolare Cinese dei nostri giorni. 4. M. D’Ascenzo, Fatti più in là. Donne al vertice delle aziende: le quote rosa nei CDA, Milano, Gruppo 24Ore, 2011, p. 16. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Nonostante tre decenni di socialismo ed altrettanti di modernizzazione e liberalizzazione economica, la società cinese si presenta al mondo contemporaneo ancora fortemente radicata alle sue tradizioni culturali e familiari, anche se ha mostrato una certa propensione all’adattamento verso alcuni aspetti della globalizzazione, i cui risultati sono ancora di difficile interpretazione. Se da una parte, infatti, si assiste alla continuità di alcune pratiche sociali che ancora caratterizzano la società cinese odierna, dall’altra parte è evidente la notevole reattività della società civile alle nuove opportunità sorte con la trasformazione economica e a quelle giunte con la penetrazione in Cina del processo di globalizzazione5. Questo dualismo, definito da alcuni paradossale6, in cui vive la società cinese di oggi è particolarmente evidente in relazione alla condizione della donna, per cui la comprensione di quest’ultima è possibile solo se questo “paradosso” è tenuto presente. Per questo motivo l’analisi del grado di istruzione, del ruolo nel mondo del lavoro, dell’evoluzione demografica delle donne in Cina offre l’opportunità non solo di stabilire la reale percezione della situazione femminile nel Paese ma anche di definire uno strumento affidabile per descrivere le trasformazioni sostanziali che la società cinese sta vivendo oggi. Come sottolineato da Isabelle Attané, a distanza di trent’anni dall’avvio della modernizzazione in Cina le donne sono protagoniste di una parziale regressione del proprio status, costrette a relazionarsi con un ambiente maschilista che le forza a vivere in una condizione di precarietà7. In altri Paesi asiatici, come l’India, il Pakistan, il Bangladesh e l’Indonesia, si è verificato lo stesso fenomeno, causato, secondo gli studiosi, da una molteplicità di fattori che, nel caso della Cina, rischierebbero di sconvolgere seriamente l’equilibrio sociale e demografico nazionale interessando anche quello globale8. Per comprendere la portata reale di questo fenomeno una chiave di interpretazione è costituita dall’analisi sia dell’evoluzione storica della condizione femminile in Cina sia degli effetti generati dalla transizione demografica, economica e sociale nel mondo femminile cinese. In tal modo, oltre a emergere la reale condizione sociale delle donne cinesi, si evidenziano anche le possibili evoluzioni nelle relazioni di genere in Cina9. L’uso dello strumento statistico si rivela fondamentale per impostare uno studio sistematico su questo tema, nonostante alcuni limiti rappresentati dalle modalità di indagine (scelta dei campioni, definizione dei questionari, etc.)10. Tuttavia la descrizione della situazione femminile nella Cina di oggi è resa possibile grazie all’analisi incrociata della storia di genere con la socio-demografia di genere. I risultati di questa indagine, frutto della confluenza dell’evoluzione storica della condizione femminile con l’interpretazione di dati statistici ufficiali sull’attuale qualità della vita delle donne in Cina, evidenziano che, rispetto ad altri Paesi sviluppati o emergenti, nella Repubblica Popolare Cinese, nuova potenza mondiale, avviata da oltre un trentennio verso la modernizzazione economica e sociale, si assiste attualmente ad un regresso della condizione della donna che può condurre, nella maggior parte dei casi, ad una condizione di precarietà sociale. L’analisi dell’evoluzione storica della condizione femminile in Cina fornisce gli elementi principali per verificare questa tesi interpretativa poiché da quest’ultima emerge il carattere fortemente maschilista che per millenni ha caratterizzato la tradizione sociale cinese la quale, nonostante i progressi intercorsi dalla fine dell’Impero cinese fino alla modernizzazione, attualmente ancora in atto, mantiene intatti alcuni aspetti di marginalizzazione e subordinazione della donna. È opportuno ricordare che le prime informazioni sulla vita delle donne nell’Impero cinese di cui disponiamo giunsero in Occidente grazie alla testimonianza del missionario gesuita Daniello Bartoli nel 1663: prima di questo momento il mondo occidentale poco conosceva degli usi, dei costumi e delle tradizioni del popolo cinese11. Ciò che colpisce maggiormente nella descrizione del Padre Bartoli è l’assoluta attinenza e uguaglianza a quanto riportato in opere descrittive e divulgative sulla società cinese, redatte in epoche successive12; quindi è possibile affermare che nella testimonianza storica occidentale tra il XVII secolo e la fine dell’Ottocento la condizione femminile in Cina non subì alcuna significativa mutazione, intervenuta solamente quando l’Impero guidato dalla dinastia Qing, di origine mancese, si avviava al suo collasso definitivo. Un ulteriore inquadramento storico sulla vita della donna 5. I. Attané, “Êntre femme en Chine aujourd’hui: une démographie du genre”, in Perspectives chinoises, n. 4, 2012 p. 1; M. K. White, “Continuity and Change in Urban Chinese Family”, in The China Journal, n. 53, genn. 2005, p. 9-33; J.-L. Rocca, Une sociologie de la Chine, Parigi, La Découverte, 2010. 6. G. Olivier-T. Fang, “Changing Chinese Values: Keeping up with Paradoxes”, in International Business Review, vol. 17, n. 2, 2008, pp. 194-207. 7. I. Attané, En espérant un fils….La masculinisation de la population chinoise, Parigi, Institut National d’études démografiques, Parigi, INED, 2010. 8. L. Ballouhey, Entre femme en Chine..., in «Le Monde diplomatique», dic. 2010. 9. I. Attané, “Êntre femme en Chine aujourd’hui: une démographie du genre”, cit., p. 1. 10. I. Attané, cit., p. 1. 11. D. Bartolli, Istoria della Compagnia di Gesù. La Cina, Milano, Bompiani, 1997, pp. 76 e ss. 12. Le testimonianze di maggior rilievo sono citate in P. Buckley Ebrey, The Inner Quarters: Marriage and the Lives of Chinese Women in the Sung Dinasty, Berkeley, University of California Press, 1993; E. Croll, Changing Identities of Chinese Women, Londra-New Jersey, Hong Kong University Press, 1994; D. Ko, Cindarella’s Sisters. A Revisionist History of Footbanding; Berkley, University of California Press, 2005. Molto interessante è il romanzo di J. Chung, Cigni selvatici: tre figlie della Cina, Milano, CDE, 1995. 93 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO nella Cina imperiale è fornito dalla lettura dei numerosi precetti educativi destinati alle giovani di alta estrazione sociale e alla vasta letteratura composta tra il tardo Seicento e la fine del XIX secolo in cui leggende, racconti e favole epiche consentivano la diffusione dei principi educativi e comportamentali della donna anche tra le classi meno agiate e più povere13. L’elemento portante che emerge dalla lettura di questi testi è l’obbedienza assoluta della donna, indirizzata principalmente verso tre figure, tutte maschili: il padre, i fratelli e i figli maschi, nel caso di vedovanza. A questo principio si univa l’osservanza minuziosa di altri precetti, definiti “virtuosi”: il mantenimento di un contegno discreto e mai invasivo sia in famiglia sia in pubblico; la cura del proprio aspetto fisico per il compiacimento del coniuge; la limitazione ad interventi spontanei nelle conversazioni conviviali, a cui la donna doveva partecipare prestando la massima attenzione ad ogni parola ed espressione; lo svolgimento costante e completo delle faccende domestiche. Queste condizioni di sottomissione erano dovute in parte alla concezione confuciana della società, per cui era fondamentale il mantenimento di un equilibrio tra due elementi: lo yáng (阳) il principio attivo e creatore dell’Universo, e lo yīn (阴), il principio passivo ed oscuro. Nel confucianesimo la loro opposizione binaria dava vita all’evoluzione dell’umanità e di tutto il mondo e costituiva l’elemento caratterizzante anche della società umana. L’uomo era quindi identificato con lo yáng e la donna con lo yīn14. Un esempio concreto e particolarmente rivelatore della condizione femminile è fornito dalle prescrizioni rivolte alla donna elaborate durante la dinastia Song, regnante in Cina tra il 960 e il 127915. In esse è ancora più evidente la sottomissione all’uomo e la limitazione di ogni libertà, anche di movimento oltre che di espressione, della donna. Questa era infatti tenuta ad abitare le stanze più interne della casa, generalmente anche le più oscure perché lontane dai giardini o dall’ingresso, poiché, se da una parte ne garantivano maggiore sicurezza, dall’altra erano i luoghi meno visibili anche per i membri della stessa casa o 13. Tra i testi di maggior rilievo, Nǚ Jiē ((女誡, Precetti per le donne), attribuiti alla poetessa Ban Zhao, vissuta nel I secolo d.C.; Nǚ ér jīng (女儿经, Classico per le fanciulle), elaborato sui precetti confuciani di sottomissione delle donne, e il Lǐjì (礼记, Libro dei riti), risalente alla dinastia Zhou, regnanti in Cina tra il XII e III secolo a. C. 14. S. Mann-Y. Cheng, Under Confucian eyes: writings on gender in Chinese history, Berkeley, University of California Press, 2001; R. Wang, “Dong Zhongshu’s Transformation of “Yin-Yang” Theory and Contesting of Gender Identity”, in Philosophy East and West, vol. 55, n. 2, pp. 209-231. 15. Si tratta delle regole elaborate dei filosofi neoconfuciani, cfr. Siu-chi Huang, Essentials of Neo-Confucianism: Eight Major Philosophers of the Song and Ming Periods, Westport, Greenwood Press, 1999; P. Ching Chung, Palace Women in the Northen Sung: 960-1126, Leiden, Brill, 1981; P. Buckley Ebrey, The Inner Quarters. Marriage and the Lives of Chinese women in the Sung Period, Berkeley, University of California Press, 1993. 94 famiglia. Talvolta le donne non vedevano mai fisicamente i propri parenti di sesso maschile fino ad una certa età, e fin da bambine erano segregate in spazi ad hoc (mentre era concesso ai bambini di giocare con altri maschietti). Inoltre era necessario che le piccole fanciulle della casa adottassero un tono della voce mai troppo alto e che non corressero o si muovessero al di fuori dei luoghi per loro prescelti. Per questo motivo, la pratica della fasciatura dei piedi era effettuata fin dai quattro anni e, nonostante il piede piccolo fosse generalmente considerato un requisito fondamentale per definire il grado di bellezza femminile, in realtà si trattava del risultato di una necessità sociale, quella, cioè, di immobilizzare fisicamente il più possibile le donne16. Al di là del confucianesimo, la realtà quotidiana della condizione femminile era lo specchio della generale considerazione sociale della donna: infatti già all’interno della famiglia la nascita di una figlia femmina determinava nell’immediato una cornice di emarginazione per lei. Le bambine non erano considerate membri permanenti del nucleo familiare poiché erano destinate alla famiglia del futuro marito, che era spesso scelto dalla famiglia di provenienza quando queste erano ancora piccolissime. Per questo motivo il loro nome proprio non era completato se non al momento delle nozze. Spesso nemmeno la condizione di moglie migliorava la qualità della vita e della considerazione sociale delle donne poiché solamente se avevano partorito figli maschi ed avevano condotto una vita “virtuosa” (cioè minuziosamente rispettosa delle regole sociali e familiari) potevano essere a tutti gli effetti presenti nel registro della famiglia del marito. Il matrimonio costituiva, quindi, l’unico obiettivo da perseguire per le figlie femmine che, una volta sposate, erano tenute al rispetto e alla totale obbedienza verso le suocere, oltre che verso il marito e gli altri membri maschili della nuova famiglia, all’interno della quale, a seconda dell’estrazione sociale, potevano convivere con più mogli o concubine. Il carico del lavoro domestico era interamente sulle spalle delle donne degli strati sociali meno abbienti, tanto che, qualora i genitori della giovane promessa sposa non disponessero dei mezzi economici necessari per le nozze, queste erano inviate a vivere nella futura famiglia dello sposo già da piccole e lavoravano alacremente, quasi in condizioni di servitù. Infine, sul piano successorio, poiché solamente i figli maschi potevano ereditare i beni del padre, le donne erano completamente escluse dall’asse ereditario: ciò aggravava la loro situazione di marginalizzazione e sfruttamento a causa della completa dipendenza economica dalla famiglia (prima quella di origine e in seguito quella 16. Cfr. L. De Giorgi, “Costume o tortura? La fasciatura dei piedi in Cina”, in DEP, Rivista di studi sulla memoria femminile, n. 16, 2011. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA del coniuge)17. Altri esempi di estromissione e abuso, tra cui la prostituzione forzata, la vendita della persona, l’abbandono e i maltrattamenti e le violenze fisiche e psicologiche, erano fattori quotidiani nella vita delle donne delle classi sociali più povere. Queste, a differenza delle giovani degli strati sociali più ricchi ed abbienti, vivevano nell’ignoranza e nella mancanza di istruzione, mentre alle donne delle famiglie più facoltose erano insegnate solamente alcune discipline, considerate funzionali alla loro gradevolezza nella famiglia e per il coniuge, come la musica, il canto, il disegno e talvolta la poesia18. Questa situazione di degrado personale e di isolamento sociale iniziò a cambiare con il collasso definitivo dell’“Impero celeste”: con la Rivolta dei Taiping e quella dei Boxers le sollevazioni popolari che scossero l’Impero cinese condussero ad un importante trasformazione della società cinese, includendo anche la condizione femminile. Scatenatasi nel 1851, la Rivolta dei Taiping, infatti, rappresentò una delle più estese e radicali rivolte contadine nella storia della Cina imperiale, tanto da sconvolgere profondamente l’assetto della dinastia Qing19, che riuscì a sopprimerla duramente solo nel 1864, con il sostegno militare della Gran Bretagna. Questo movimento, di portata 17. P. Buckley Ebrey, cit. Nel volume di K. Bernhardt, Women and Property in China, 960-1949, Stanford, Stanford University Press, 1999 è esaminato il diritto di proprietà delle donne durante il periodo Song: l’indagine storica della studiosa ha causato una profonda revisione della storia della condizione femminile in Cina. 18. S. Stafutti-E. Sabattini (a curai di), La Cina al femminile. Il ruolo della donna nella cultura cinese, Roma, Aracne, 2013; E. Masi, La condizione delle donne nella Cina imperiale, Roma, Problemi della pedagogia, 1965; P. Ching Chung, cit; D. Eliseeff, La donna nella Cina imperiale, Milano, SugarCo, 1991; P. Buckley Ebrey, “Donne, matrimonio e famiglia nella storia cinese”, in P. S. Roop (a cura di), L’eredità della Cina, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 1994. 19. Le tensioni sociali accumulate nel Paese a causa dello sfruttamento dei contadini e per l’umiliante sconfitta nella prima guerra dell’oppio (1839-1842) e la corruzione generale in cui l’Impero versava fecero scoppiare questa ribellione, capeggiata da Hong Xiuquan che, convertito al cristianesimo, creò la società degli adoratori di Dio, fomentando i disordini sociali della provincia meridionale del Guangxi. Qui le rivendicazioni degli hakka (antichi immigrati del nord della Cina), dei contadini e dei piccoli artigiani, colpiti dalle conseguenze del trattato di Nanchino del 1842, scoppiò la rivolta e Hong si affermò come leader politico e militare tra il 1849 e il 1850. Nel gennaio del 1851 proclamò la nascita del “Regno celeste della pace universale” (Taiping Tianguo, 太平 天国 da cui il termine taiping) in cui confluivano alcuni fattori ideologici e filosofici provenienti dal cristianesimo e dalla tradizione cinese. Lo scopo della rivolta era l’abbattimento dei Qing, l’eliminazione del confucianesimo e buddhismo e della posizione di potere incontrastato dei funzionari e dei proprietari terrieri, distribuendo la terra a tutti i contadini per la creazione di in una società egalitaria. Nel 1853 i Taiping attuarono una riforma agraria secondo cui era effettuata la ripartizione delle terre per nucleo familiare, incluse le donne, costituendo così un vero e proprio Stato indipendente, con un proprio esercito. Nel 1855, fallito il tentativo di conquistare Pechin, la guerra civile si protrasse altri dieci anni. La progressiva perdita di consenso, causato dalle rivalità all’interno del movimento Taiping, favorirono le truppe imperiali che vinsero nel 1864 grazie all’aiuto di britannici e francesi. Cfr. H. Schmidt-Glintzer, La Cina contemporanea. Dalle guerre dell’oppio a oggi, Roma, Carocci, 2005; J. A. G. Roberts, Storia della Cina, Milano, Il Mulino, 2007. storica nella Cina della seconda metà dell’Ottocento, si fece promotore di una notevole emancipazione della donna, quasi totale: dalla scelta libera del proprio sposo, all’accesso all’istruzione ed alle tipologie lavorative maschili (addirittura alla cariche politiche ed amministrative) con lo stesso livello di retribuzione; fu inoltre eliminata la pratica del bendaggio dei piedi e del concubinato e le donne potevano muoversi liberamente in tutto il Paese, anche da sole20. La fine della Rivolta non provocò l’immediato ritorno delle tradizioni, nonostante la società cinese rimanesse nel suo complesso fortemente influenzata ai secoli di pratiche discriminatorie e di marginalizzazione verso la donna. La rivolta dei Boxers nel 1900, infatti, radicalizzò le conquiste ottenute precedentemente21. Se questo movimento tra i suoi obiettivi intendeva salvaguardare le tradizioni nazionali cinesi dalla crescente influenza occidentale, dall’altra le donne al loro interno si emanciparono a tal punto da partecipare alle milizie, organizzandosi in reparti divisi per età e livello sociale (rossi per le nubili e le giovani; bianchi per le sposate; verdi per le vedove ed infine neri per le anziane) e distinguendosi per coraggio e determinazione nelle operazioni di combattimento22. Questa condizione si rafforzò con la forzata apertura della tradizione imperiale verso l’Occidente. Un ampio strato di personalità della cultura e della politica tardo imperiale, infatti, si resero conto dell’ineluttabile trasformazione, necessaria alla 20. C. Carpinelli, “La lunga marcia delle donne cinesi per la conquista dei loro diritti”, in Il calendario del popolo, nov. 2008, n. 735; K. Ono, Chinese Women in a Century of Revolution, 1850-1950, Stanford, Stanford University Press, 1989. 21. La ribellione scoppiata in Cina nel 1900, nota come Rivolta dei Boxers, trova le sue radici in diversi avvenimenti del secolo precedente. Tra questi, il trattato di Nanchino e il Trattato di Tiensin che aprivano i porti cinesi agli stranieri. Inoltre, tra il 1894 e il 1895, la Cina fu sconfitta dal Giappone per il dominio sulla Corea: nell’aprile del 1895 fu costretta a firmare la pace di Shimonoseky che la obbligava a pagare un’ingente indennità di guerra e a cedere diversi territori al Giappone. Alla fine dell’Ottocento, in Cina si era formata un’associazione segreta, la Società dei Pugni e dell’Armonia, i cui membri vennero definiti dagli Occidentali Boxers poiché si dedicavano alle arti marziali. La penultima imperatrice cinese, Cixi, fomentò l’odio dei Boxers nei confronti degli occidentali, con conseguenti massacri di europei e cristiani, senza risparmiare i bambini. Fu la stessa imperatrice, il 20 giugno 1900, a spingere i Boxers ad attaccare il quartiere delle ambascerie di Pechino: in quest’occasione fu ucciso il barone e ministro tedesco Von Kettler. La reazione straniera non tardò a giungere e Germania, Austria, Francia, Italia, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti e Giappone risposero inviando un corpo di spedizione di circa 20.000 uomini, che occupò Tianjin (Tiensin) e, raggiunta Pechino, riuscì senza incontrare particolari difficoltà a liberare gli assediati. Tuttavia massacri, saccheggi e violenze furono incessanti fino a che le navi straniere iniziarono a presidiare le coste settentrionali della Cina nell’aprile del 1900. Numerosi contingenti internazionali furono spedite a Pechino e la ribellione fu definitivamente sedata dall’Alleanza delle otto Paesi: Austria-Ungheria, Francia, Germania, Italia, Giappone, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America. Cfr. D. Preston, The Boxer Rebellion, New York, Berkley Books, 2000; V. Purcell, La rivolta dei boxer, Milano, Rizzoli, 1972; P. Loti, Gli ultimi giorni di Pechino: reportage della rivolta dei boxer, Padova, Muzzio, 1997. 22. C. Carpinelli, “Primi passi verso i diritti”, in Noi Donne, 4 dicembre 2007. 95 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO modernità del Paese, e tra queste si ricorda l’Imperatrice Cixi, le cui riforme provocarono effetti straordinari nella vita delle donne in Cina. Nel 1898 Cixi si rivolse a Liang Qichao, noto filosofo riformista, per la riordino del sistema educativo, in modo da creare una nuova generazione di giovani colti, preparati e istruiti secondo i modelli occidentali. Liang sostenne con forza l’assoluta necessità di rottura con il passato e di integrazione della donna nell’istruzione moderna23. Le conseguenze di questa trasformazione si manifestarono nelle generazioni delle giovani più abbienti che, insoddisfatte del proprio ruolo limitato e richiuso in vincoli tradizionali ormai obsoleti, chiesero maggiore indipendenza partendo dall’accesso all’istruzione e alle Università (che furono gradualmente aperte anche a loro). L’emancipazione dall’ambiente familiare, il contatto con il sapere scientifico ed umanistico e l’apprendimento delle lingue e delle culture straniere segnò il definitivo ingresso della donna cinese nella modernità del XIX secolo. La fine dell’Impero e la rivolta di Wuchang nel 191124, che portò alla costituzione della Repubblica nazionalista, segnarono la nascita del primo movimento femminile cinese, capeggiato da Qiu Jin, una delle principali leve del movimento studentesco cinese, che si dedicò alla diffusione degli ideali nazionalisti e all’emancipazione della donna, realizzabile, secondo il suo pensiero, partendo dal nucleo principale della società cinese, la famiglia, in cui la donna doveva rivendicare la propria istruzione e il diritto al lavoro e all’indipendenza economica25. Tramite il suo Giornale delle donne (Zhongguonü bao中國女 報) Qiu Jin sottolineava che il contributo delle donne nella società cinese fosse prezioso ed indispensabile, attraverso il lavoro e lo studio. La percezione della “nuova donna” nella società tardo imperiale e repubblicana fu discordante: se da una parte alcuni ne incoraggiavano la lotta per l’emancipazione, consapevoli dei cambiamenti ormai in atto, dall’altra spesso il peso della tradizione familiare non abbandonava le giovani cinesi, le cui famiglie sottolineavano l’importanza di un comportamento che tenesse ancora conto degli antichi precetti tradizionali. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, dunque, la donna cinese poteva contare su esempi di totale emancipazione e libertà, come le giovani che militavano all’interno del movimento nazionalista di Sun Yan Set e che svolgevano professioni tipicamente maschili (come, ad esempio, il medico o il soldato), ma era tuttavia resa “ibrida” dalla cultura tradizionale in cui quotidianamente viveva. Questa condizione, tuttavia, non generò confusione negli obiettivi e soprattutto nella 23. J. Levenson, Liang Ch’i-C’ao and the Mind of Modern China, Los Angeles, University of California Press, 1970; voce “Liang Qichao” in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto Enciclopedico Italiano G. Treccani, 2009. 24. Cfr. G. Samarani, La Cina del Novecento, Torino, Einaudi, 2008, pp. 9 e ss.; J. A. G. Roberts, cit., pp. 263 e ss. 25. K. Ono, cit., pp. 60 e ss. 96 portata dei cambiamenti sociali che le donne intendevano rivendicare: una chiara dimostrazione di questo fenomeno è rappresentata dalla nascita di numerose riviste femminili rivolte a tutte le donne, di ogni estrazione sociale, per il loro sostegno, il dibattito contro l’emarginazione e il confronto tra esperienze, esigenze e desideri26. L’avvento del successore di Sun Yan Set, Chiang Kai Shek, provocò una battuta d’arresto nel movimento di emancipazione femminile dato che il governo negò la possibilità di estensione di voto alle donne. La lotta delle donne per l’uguaglianza dei diritti politici e civili, tuttavia, proseguì nel partito nazionalista anche dopo la e una circostanza storica ne consentì il rafforzamento. La presenza giapponese in Manciuria, infatti, generò la nascita del Movimento del 4 maggio27 nel 1919, al quale aderì anche il movimento femminile, tra le cui principali esponenti spiccava Deng Yingchao28, (che nel 1925 sposò Zhou Enlai), che fece della lotta all’indipendenza e alla parità della donna il suo principale obiettivo politico. La maggior parte delle donne cinesi dell’epoca rivendicò il proprio diritto al’uguaglianza grazie al lavoro, nelle fabbriche e nelle campagne, attraverso le associazioni sindacali e le numerose leghe di solidarietà che si costituirono tra il 1919 e il 1949. Ma il principale elemento attraverso cui si sviluppò il movimento di emancipazione femminile divenne nel 1922 il Partito Comunista Cinese, fondato a Shanghai nel 1922, all’interno del quale migliaia di donne si adoperarono con coraggio assumendo ruoli tradizionalmente maschili, soprattutto nella propaganda nelle campagne e nelle fabbriche. All’interno della Lunga Marcia (長征, Chángzhēng)29 delle armate comuniste, intrapresa tra l’ottobre del 1934 e l’ottobre del 1935, prese parte attiva un numero crescente di donne, che si dedicò soprattutto all’istruzione e all’educazione delle contadine nei territori “liberati” dai comunisti30. L’avvento dell’era comunista in Cina determinò un cambiamento fondamentale sia nel movimento femminile e nei suoi sviluppi sia nella condizione delle donne 26. Lu Meiyi - Zheng Yongfu, Il Movimento delle Donne Cinesi,1840-1921, Casa editrice del Popolo di Henan, 1990, pp.128 e ss.; cfr. anche Chen Dongyuan, La Storia della Vita delle Donne Cinesi, hangwu Yinshuguan 1998, pp. 356 e ss. 27. Cfr. G. Samarani, cit. 28. Ya Chen-Chen, The Many Dimensions of Chinese Feminism, Londra, Palgrave MacMillan, 2011, p. 227; Zheng Wang, Women in the Chinese Enlightment: Oral and Textual Histories, Berkeley, University of California Press, 1999, pp. 160 e ss.; T. E. Barlow, The Question of Women in Chinese Feminism, Durham, Duke University Press, 2004. 29. La Lunga Marcia fu intrapresa dall’Armata Rossa cinese per ritirarsi dal Jiangxi allo Shaanxi e per percorrere circa 12.000 km, combattendo, dalle truppe del Guomindang di Chiang Kai Shek. Cfr. G. Samarani, cit., pp. 65 e ss. 30. C. Carpinelli, “Il movimento di liberazione della donna nella Cina di Mao”, in Noidonne, 21 gennaio 2008; L. Landy, Women in the Chinese Revolution, New York, International Socialist, 1974; E. Honig, “Socialist Revolution and Women’s Liberation in China”, in Journal of Asian Studies, vol. XLIV, n. 2, pp. 329-336. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA cinesi poiché stabilì una cesura netta con il passato e con la tradizione millenaria della società cinese di stampo confuciano. Nonostante le numerose conquiste riconosciute e consolidate durante il maoismo, tuttavia, la tradizionale base comportamentale e psicologica nei confronti della figura della donna non fu del tutto eliminata poiché il maoismo non intendeva garantire una parità assoluta tra uomo e donna ma un riconoscimento della possibilità per la donna assumere le posizioni sociali, politiche, economiche e familiari un tempo riservate unicamente agli uomini. Il comunismo cinese, quindi, costruì una società in cui la donna giungeva a diventare come l’uomo, non una in cui la donna, mantenendo la propria specificità di genere, fosse considerata pari all’uomo31. Se da una parte le differenze di genere erano state usate dalla società tradizionale per sottomettere e marginalizzare il mondo femminile, e per questo motivo erano osteggiate dal maoismo, dall’altra la loro eliminazione e negazione provocò una mascolinizzazione della donna nel periodo tra il 1949 e il 1976, con notevoli conseguenze sia sul piano dei comportamenti sociali sia su quello delle relazioni tra i due sessi. Il comunismo cinese, infatti, chiamò la donna ad occupare tutti gli spazi sociali tipicamente maschili, in un processo in cui l’uguaglianza tra i due sessi era garantita dall’eliminazione di tutte le differenze di genere. La lingua cinese, ad esempio fu modificata nelle espressioni considerate “discriminanti” nei confronti delle donne, che furono cancellate dal linguaggio quotidiano; nella scelta dell’abbigliamento, l’uniforme da lavoro e l’assenza di ogni componente ornamentale cambiò profondamente la figura femminile cinese, da sempre caratterizzatasi per l’eleganza e la dolcezza del portamento e dell’aspetto esteriore; infine, sul piano dei rapporti sociali, poiché il lavoro fu considerato il principale strumento per l’ottenimento e il consolidamento della propria indipendenza e dell’“uguaglianza” con l’uomo, il matrimonio e la famiglia divennero obiettivi trascurabili, se non talvolta “erronei”, nella mentalità femminile dell’epoca. Se da una parte l’avvento del maoismo cambiò la percezione sociale del ruolo della donna, totalmente scollegato con la tradizione millenaria cinese (una serie di leggi per garantirono dal 1949 i poi questa condizione, come quella per il diritto di voto e quella sul matrimonio)32, dall’altra non è possibile affermare che nella Cina maoista la condizione femminile fosse realmente egalitaria e 31. E. Honig, cit.; Croll, Chinese Women since Mao, Londra, M. E. Sharpe, 1983. 32. La legge sul matrimonio fu promulgata il 13 aprile 1950 e dichiarò aboliti i matrimoni decisi dai genitori, la poligamia e il concubinato; inoltre proclamò l’uguaglianza dei sessi e legalizzò il divorzio per mutuo consenso. Tra gli altri provvedimenti, fu severamente proibita la prostituzione. E. Honig, cit.; Cfr. J.-L. Domenach-H.Chang-Ming, Le marriage en Chine, Parigi, Presses de l Fondation nationale des sciences politiques, 1987; D. C. Buxbaum, Chinese Family Law and Social Change in Historical and Comparative Perspective, Londra, University of London Press, 1978. paritaria a quella maschile. Infatti sul piano economico e professionale le donne, nonostante l’invito costante svolto dalla retorica di partito a penetrare negli spazi un tempo unicamente maschili, erano ancora discriminate, percependo retribuzioni minori e occupando ruoli e funzioni di livello inferiore nella gerarchia professionale, burocratica e politica. Le donne cinesi, quindi, vivano in una dimensione sociale nella quale, pur godendo di indipendenza e autonomia rispetto a quella di pochi decenni prima, non avevano a disposizione uno spazio sociale veramente accogliente delle proprie esigenze di genere e, pur godendo di pari opportunità, non ricevevano lo stesso trattamento economico degli uomini né gli stessi incarichi professionali33. Ad esempio, la gioia della famiglia, della cura della casa e del proprio partner erano vissute come una rinuncia che la donna moderna doveva assolutamente accettare per dare la priorità alla sua affermazione sociale attraverso il lavoro, potenzialmente uguale a quello maschile ma mai lo stesso nei ruoli, nelle funzioni e nel trattamento economico. In tal modo, quindi, la retorica comunista sradicava le donne dalla loro specificità di genere privandole della possibilità di gustare la realtà della propria dimensione femminile, in nome dell’uguaglianza con l’uomo. Il continuo slancio verso l’uguaglianza di genere che il comunismo prometteva non lasciava spazio alle donne cinesi della possibilità di accorgersi di queste incongruenze e privazioni34. In tal senso un ruolo determinante fu svolto dalla Federazione nazionale delle donne cinesi (中华全国妇女联合会, Zhōnghuá Quánguó Funǚ Liánhéhuì), fondata nel marzo del 1949 con l’obiettivo di garantire parità dei diritti civili, politici e sociali delle donne ma che non fornì una reale voce all’universo femminile di quegli anni, fomentando l’uguaglianza ma non la parità tra i due sessi. Con l’avvento della Rivoluzione Culturale35, l’eliminazione di ogni forma di borghesismo colpì le donne (come gli uomini) considerati nemici della Rivoluzione, per cui soprattutto le personalità più colte e i quadri di partito furono oggetto di violenze, torture e internamenti nei campi di lavoro36. Questa esperienza storica, seppur drammatica e dolorosa, consente di evidenziare quanto profondamente dualistica fosse la condizione femminile nella Repubblica Popolare Cinese di quell’epoca, poiché nelle campagne e nelle zone più isolate del Paese, dove erano posizionati la maggior parte dei laogai (勞改), cioè i campi di rieducazione, la maggior parte delle donne sceglieva la vita in famiglia e in casa, rinunciando alle prospettive offerte dal partito per dedicarsi al matrimonio, ai figli, alla loro dimora e 33. E. Honig, cit.; E. Croll, cit. 34. E. Croll, Changing Identities, cit. 35. E. Croll, Chinese Women since Mao, cit. 36. Idem. 97 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO contribuendo al lavoro nei campi37. Questa dicotomia era il segno della mancanza di percezione obiettiva della propria reale condizione; di tale carenza soffrivano, nel loro presente, la maggior parte delle donne cinesi, soprattutto quelle che dimoravano lontane dai centri urbani e dalle zone costiere (tradizionalmente le aree più sviluppate del Paese). Se da una parte, quindi, la retorica maoista propagandava l’uguaglianza tra i sessi, dall’altra non aveva protetto le donne dall’emarginazione sociale e dagli abusi che proseguivano soprattutto nelle aree più isolate della Cina e nelle campagne. La morte di Mao Zedong, oltre che ad una profonda revisione della dottrina maoista, provocò un altrettanto profondo rinnovamento nel sistema economico e sociale del Paese poiché, come è noto, dal 1976 in poi la Cina si avviò verso la modernizzazione (soprattutto grazie alla dottrina delle quattro modernizzazioni (sì gè xiàndaihuà 四 个 现代化) per affermarsi come grande potenza economica ed internazionale38. La completa revisione della politica comunista ebbe i suoi effetti anche sulla situazione delle donne poiché l’introduzione graduale del capitalismo e successivamente del consumismo determinarono il riapparire di alcuni fenomeni discriminatori, soppressi durante il maoismo, nei confronti delle donne. Se le tendenze della moda e l’accesso a beni di consumo globali caratterizzano la contemporaneità del mondo cinese femminile e si è assistito ad un incremento notevole del numero delle donne laureate e con attività professionali nel mondo dell’imprenditoria e della finanza, negli ultimi quattro decenni è divenuto sempre più evidente che il processo di modernizzazione e di crescita dell’economia ha travolto il mondo femminile. Questo, infatti, durante gli anni del maoismo non era stato socialmente difeso né rafforzato nelle sue differenze di genere, ma “appiattito” su quello maschile secondo il principio dell’uguaglianza. Gli effetti della modernità cinese sono stati drammatici per molte donne poiché hanno provocato nuovamente l’emersione della discriminazione femminile, precedentemente ostacolata dal regime maoista, e tornata ad essere un fenomeno costante della società. La prima, più evidente forma di disparità femminile si è manifestata in ambito lavorativo, poiché le donne sono diventate i soggetti professionali più deboli ed indifesi. Le donne in Cina sono meno retribuite rispetto agli uomini, a parità di incarico; alle donne sono affidate responsabilità professionali meno prestigiose ed infine sono licenziate più dei loro colleghi 37. Idem; H. H. Wu, Laogai: i gulag cinesi, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2006; C. H. Smith, Forced Labor in China: Hearing Before the Committee on International Relations, U.S. House of Representative, Washington D.C., US Government Printing Office, 1998. 38. Le quattro modernizzazioni sono il contenuto principale della riforma promossa nel 1978 da Deng Xiaoping in quattro settori principali: agricoltura, scienza e tecnologia, industria e difesa nazionale. Cfr. M.-C. Bergère, La Cina dal 1949 ai giorni nostri, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 255 e ss.; J.-L. Domenach, Dove va la Cina?, Roma, Carocci, 2005; L. Tomba, Storia della Repubblica popolare cinese, Milano, Mondadori, 2002, pp. 141 e ss.; G. Samarani, cit., pp. 301 e ss.. 98 maschi poiché i datori di lavoro considerano elevato il costo della maternità (i tre mesi successivi al parto sono interamente retribuiti e a carico del datore di lavoro, che si assume anche l’onere di altre forme di assistenza)39. Nelle campagne il lavoro femminile è ancora svolto in condizioni precarie (a causa della scomparsa dei servizi sociali e dei presidi sanitari, un tempo esistenti grazie ai fondi messi a disposizione dalle unità collettive di lavoro) e a questo si aggiunge il carico della cura della casa e della prole40; l’aumento degli uxoricidi e degli infanticidi femminili (soprattutto a causa dell’introduzione nel 1979 della “politica del figlio unico”, jìhuà shēngyù zhèngcè计 划 生育 政策, letteralmente “politica di pianificazione familiare”41) ha determinato una vera e propria emergenza sociale, con conseguenze gravissime per l’intera società cinese che nei primi anni Duemila conta un numero superiore di uomini rispetto alle donne. Nonostante le politiche del governo abbiano fomentato una vasta compagna contro l’infanticidio e l’uxoricidio, soprattutto nelle zone rurali, la partecipazione delle giovani donne alla vita economica, politica e sociale del Paese è ancora impari rispetto a quella maschile42. Un chiaro esempio delle discriminazioni femminili contro cui il governo volle battersi è dato dal testo relativo alla legge sul matrimonio, varato nel 1980, all’interno del quale furono inserite dettagliate disposizioni che proibivano il maltrattamento e l’uccisione delle bambine e delle mogli. Fenomeni di emarginazione come la prostituzione, la vendita e la tratta di esseri umani e il fenomeno della “vendita delle mogli” (拐卖, guǎi mài, che letteralmente significa “rapimento e vendita”, causato dalla minore presenza di donne rispetto agli uomini e dalla necessità della figura femminile per il lavoro in casa e, nelle province più lontane, anche nei campi)43, sovente nascosti e segretamente sostenuti dalle autorità di pubblica sicurezza locali, ha generato l’esigenza di un intervento più massiccio del governo che, oltre ad eliminare nel 2013 39. E. Croll, cit.; From Heaven to Earth: Images and Experiences of Development in China, Londra, Routledge, 1994; J. Banister, China’s Changing Population, Stanford, Stanford university Press, 1991; D. K. Tatlow, “For China’s Women More Opportunities, More Pitfalls, in NYTimes, 25 novembre 2010. 40. M. Miranda, “La Quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne e la condizione della donna in Cina”, in Mondo Cinese, n. 90, sett.-dic. 1995. 41. Si tratta di una delle politiche principali di controllo delle nascite attuata dal governo cinese per contrastare il notevole incremento demografico del paese, più volte sottoposta a revisione. Cfr. E. Croll, China’s one-child Family Policy, Londra, MacMillan Press, 1985; H. H. Wu, Strage di innocenti: la politica del figlio unico in Cina, Milano, Guerini e Associati, 2009. 42. C. Viglione, “L’altra metà del cielo. Chiacchierata sulla condizione della donna nella Cina di fine millennio”, in Frammenti d’Oriente, febbraio 1998; E. J. Perry-M. Selden, Chinese Society: change, conflict and resistance, Londra, Routledge, 2010, pp. 162 e ss.; “Gender Equality and Women’s Development in China”, in China.org.cn/english/2005/ Aug/139404.htm. 43. R. Foot, China across the Divide: The Domestic and Global politics and the Society, Oxford, Oxford University Press, 2013, p. 145. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA la politica del figlio unico, ha provveduto a rafforzare l’attività di lavoro ed indagine della Federazione nazionale delle donne cinesi44. Nel corso della Quarta conferenza mondiale sulle donne organizzata dall’ONU a Pechino nel 1995, le dichiarazioni del governo cinese sono state decise nello stabilire che lo sviluppo della condizione femminile è un requisito fondamentale per la costruzione della società armoniosa; che la conoscenza e la soluzione dei problemi delle donne rappresenta il sistema migliore per salvaguardare questa armonia nel lungo periodo; che la promozione dello sviluppo della condizione della donna attraverso politiche armoniose di controllo è il canale principale per prevenire gli squilibri sociali45. Un aspetto positivo registratosi negli ultimi due decenni è rappresentato dall’aumento di consapevolezza della propria condizione da parte delle donne cinesi: la Federazione nazionale è diventata più influente sul governo e soprattutto più incisiva come “voce” nazionale delle donne, ed oltre a questa associazione operano nuovi gruppi femminili autonomi, sorti spontaneamente soprattutto nei principali centri urbani. Le donne cinesi, quindi, sono diventate coscienti della duplicità della visione a loro riservata dalla società della Cina modernizzata, che da una parte le lascia libere e ne consente la realizzazione come esseri umani indipendenti ed autonomi ma che, dall’altra parte, continua a discriminarle e a sfruttarle. Parallelamente esse iniziano a percepire la propria coscienza individuale e a proteggerla, riscoprendo la propria femminilità e il proprio ruolo di 44. J. Howell, “The struggle for survival: Prospects for the Women’s Federation in Post-Mao China” in World Development, n. 1, 1996, pp. 129-143; L. Bohong, The All-China Women’s Federation and Women’s NGOs. Chinese Women Organizing: Cadres, Feminist, Muslims, Queers, Oxford, Berg, 2001. 45. M. Miranda, cit.; I. Attané, cit., p. 6. madri, mogli o nubili nella società e nella famiglia, grazie al maggiore benessere economico e al consumismo. Nonostante l’azione del governo debba essere più estesa ed efficiente a favore della parità di genere,l’ex presidente della Repubblica Popolare Cinese Hu Jingtao ha riconosciuto pubblicamente la persistenza di notevoli disparità tra i due sessi46: questa dichiarazione deve essere inquadrata nel processo, ancora in atto, di legittimazione della Cina al rango di grande potenza mondiale, raggiungibile, secondo la classe dirigete cinese, solo se il Paese avesse aderito al rispetto e alla tutela dei principali diritti umani e civili riconosciuti dalla comunità internazionale, tra cui si annoverano quelli relativi al miglioramento della condizione femminile. Tuttavia misure efficienti del governo cinese sono ancora largamente assenti, soprattutto contro la discriminazione sul lavoro, sulle pratiche di tratta umana delle donne, sul lavoro femminile sommerso nelle aree rurali47. Nella Cina attuale emerge che le disuguaglianze di genere si estendono anche all’assistenza sanitaria, alla rappresentanza politica e al lavoro imprenditoriale (le cosiddette “quote rosa”) e alla sfera privata sulla base di decisioni e consuetudini che, ancora oggi, traggono origine dalle famiglie48. Il sistema sociale cinese, quindi, presenta un accesso alle opportunità economiche e sociali per donne che è ancora sostanzialmente differente rispetto a quello per gli uomini. Inoltre molto importante è la forte disuguaglianza della condizione tra donne stesse, a seconda che esse risiedano e 46. I. Attané, cit., p. 7. 47. M. Miranda, cit. 48. I. Attané-C. Guilmoto, Watering the Neighbor’s Garden: the Growing Demographic Female Deficit in Asia, Parigi, Cicred, 2007, pp. 207-228. 99 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO vivano in differenti aree del Paese49. Un indice di particolare rilievo è rappresentato dal livello di istruzione primaria, che risulta essere inferiore per le bambine, soprattutto quelle nate nelle aree rurali50. L’istruzione secondaria e quella secondaria superiore, nonostante un incremento registratosi tra il 1990 e il 2010, resta ancora appannaggio di un numero limitato di giovani cinesi, per cui la durata media degli anni di istruzione obbligatoria nel 2010 per le donne è di circa l’8,8%, per gli uomini arriva al 9,1%51. Un’indagine più accurata, svolta in riferimento all’anno 2000 dalla Federazione nazionale delle donne cinesi, ha evidenziato che il tasso medio di abbandono degli studi è più alto per le giovani (36,8%) che non per i loro coetanei di sesso maschile (27,9%), rilevando che generalmente le famiglie, nel caso in cui incorrano in difficoltà economiche, considerano l’istruzione inutile per le fanciulle e non per i figli maschi52. Altro elemento rivelatore della condizione di disuguaglianza femminile in Cina è rappresentato dal tasso di occupazione: nel 2010 ammonta al 73,6% per le donne contro l’88,7% per gli uomini di fascia d’età compresa tra i 20 e i 59 anni, con una diminuzione del primo nelle aree urbane (il 60,8% delle donne è impiegato rispetto all’81,1% degli uomini). Nelle campagne, invece, il tasso di impiego femminile sale all’84,4% per le donne (contro il 94,3% di quello maschile)53. Perciò, nonostante una complessiva disparità nel mondo del lavoro, le donne sono più facilmente impiegate nelle campagne che non nelle grandi città, dove esistono opportunità professionali di maggiore responsabilità e più remunerative. Un’élite di donne-manager, con altissime remunerazioni e patrimoni miliardari, è presente in Cina ma rappresenta più il simbolo irraggiungibile ed inimitabile degli effetti della crescita economica cinese che un esempio concreto per i milioni di donne che vivono in condizioni economiche e professionali più limitate se non addirittura precarie. Queste disuguaglianze sopravvivono in Cina nonostante le garanzie costituzionali e legali che il governo riconosce al lavoro femminile54. Risultati più evidenti si ottengono attraverso un’analisi statistica relativa alla percezione della qualità del lavoro, secondo cui sul piano lavorativo le competenze professionali delle donne sono meno valorizzate rispetto 49. I. Attané, Êntre femme en Chine, cit., p. 7. 50. All Chinese Women Federation (ACWF), Executive Report of the third Sample Survey on Chinese Women’s Social Status, vol. 6, n. 108, 2011, pp. 5 e ss. 51. Idem. 52. ACWF, Executive Report of the second Sample Survey on Chinese Women’s Social Status, 2001. 53. ACWF, Executive Report of the third Sample Survey on Chinese Women’s Social Status, cit. 54. J. Burnett, “Women Employment Rights in China: Creating Harmony for Women in the Workplace”, in Indiana Journal of Legal Studies, vol. 17, n. 2, 2010, pp. 289 e ss.; I. Attané, cit., pp. 8-9. 100 a quelle degli uomini. Da questa indagine, infatti, risulta che secondo la maggior parte degli intervistati le capacità lavorative maschili sono naturalmente superiori rispetto a quelle femminili55. Le cause di questa “naturale” differenza risiederebbero anzitutto nelle competenze femminili, generalmente giudicate limitate; segue la resistenza fisica, valutata insufficiente rispetto a quella maschile; solo una piccola percentuale del campione di intervistati ritiene che le prospettive di carriera per le donne cinesi siano effettivamente più modeste rispetto a quelle di accesso maschile56. Un dato positivo è offerto dal fatto per cui, all’interno del campione, le donne intervistate mostrano una forte consapevolezza della propria condizione, ammettendo che le loro opportunità di lavoro non sono affatto equivalenti a quelle maschili, né nelle competenze, né nelle retribuzioni ed infine nemmeno nelle prospettive di carriera57. Sulla base di questi risultati statistici, è evidente che la società cinese sia rimasta ancorata alla tradizionale visione di inferiorità della donna rispetto all’uomo, ulteriormente rafforzata dalla considerazione generale per cui gli uomini sono predisposti alla vita sociale e professionale e le donne alla cura della famiglia58. Gli effetti reali di questa valutazione, generalmente condivisa nella società cinese, sono rappresentati da una forte interiorizzazione, nel mondo femminile, della dominazione maschile; questo peso è tuttavia foriero di un crescente senso di insicurezza delle donne sul lavoro e nella vita sociale, aggravata dall’eco della crisi economica internazionale degli anni Duemila59. La sfera privata rappresenta una dimensione in cui la donna cinese assume un ruolo ambivalente: se da una parte la donna cinese moderna essa partecipa attivamente alle decisioni familiari e vive liberamente la propria femminilità, senza la necessaria ed obbligatoria osservanza di “virtù” o “obbedienze”, dall’altra parte rimane inesorabilmente influenzata dalle considerazioni generali che su di lei la società proietta60. Anche in questo caso, i risultati presentati dalle indagini statistiche condotte dalla Federazione nazionale delle donne cinesi sono particolarmente rivelatori. Sebbene tre donne su quattro partecipino attivamente a decisioni di natura economica e 55. W. Guoying, “Gender Comparision of Employment and Career Development in China”, in Asian Women, vol. 27, n. 1, 2011, p. 95 e ss.; ACWF, Report of the second Sample Survey on Chinese Women’s Social Status, cit. 56. I. Attané, cit., p. 9. 57. Population Census Office and National Bureau of Statistics of China, Tabulation on the 1990 Population Census of the People’s Republic of China, Pechino, 1993; National Statistics Office, Data of the 2005 1% Sample Survey, Pechino, 2005. 58. ACWF, Executive Report of the third Sample Survey on Chinese Women’s Social Status, cit. 59. Zuo Jiping-Bian Yanjie, “Gender Resources, Division of Housework and Percieved Fairness-Case in Urban China, in Journal of Marriage and Family, vol. 63, n. 4, 2001, pp. 1122 e ss.N. 42 p. 9. 60. I. Attané, cit., p. 10. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA finanziaria relative al ménage familiare, dall’altra parte il loro accesso alle risorse finanziarie familiari è decisamente più limitato rispetto a quello maschile, sopravvivendo la tradizione sociale per cui è privilegiato il lignaggio maschile61. La percentuale di tempo dedicata al lavoro domestico risulta essere maggiore per le donne, nonostante siano impiegate stabilmente, che non per gli uomini (anche in questo caso nelle aree rurali le donne si dedicano maggiormente al lavoro domestico che non le loro concittadine residenti nelle aree urbane). Il lavoro domestico femminile è aumentato tra il 2000 e il 2010, soprattutto a causa della crisi economica internazionale, passando dal 70,2% al 70,3% per le donne che vivono nelle aree urbane e dal 73,9% al 74,1% per coloro che vivono nei centri urbani62. Dal quadro finora tracciato, la discriminazione nell’accesso alle risorse educative, finanziarie, patrimoniali e professionali per le donne cinesi, fenomeno generato dalla persistenza nella società cinese di una tradizionale marginalizzazione della donna, sta provocando un incremento della disparità di genere, nonostante gli indubbi progressi, consolidati dagli anni Cinquanta in poi, verso una maggiore autonomia femminile. La realtà delle donne cinesi di oggi, quindi, è ancora caratterizzata dalla dipendenza dal mondo maschile e dalla disuguaglianza rispetto ad esso. Questa condizione è certamente paradossale rispetto alla corsa verso la modernità che la Cina contemporanea effettua da quasi quattro decenni ma rischia di provocare effetti molto seri sull’equilibrio generale della società stessa63. Una delle principali conseguenze dell’emarginazione femminile, come è già stato osservato, è la minore presenza di donne rispetto agli uomini in Cina: nel 2010, il numero di uomini di età compresa tra i 15 e i 59 anni ogni 100 donne era di 107,2 e, se non si assisterà ad un incremento delle nascite femminili, nel 2050 questo dato arriverà al 116,364. Tenendo presente che il fenomeno del celibato in Cina è abbastanza diffuso, ma ancora contenuto, un suo rafforzamento non solo diminuirebbe il numero di matrimoni e quindi di nuove nascite (poiché nella Cina contemporanea il legame coniugale rappresenta il principale contesto sociale finalizzato alla procreazione, essendo le convivenze e la condizione di genitore single fenomeni ancora poco diffusi su una popolazione di oltre 2 miliardi e mezzo di persone)65 ma indurrebbe una 61. ACWF, cit.; J. L. Osburg, Engendering Wealth in China: New’s Rich of the Rise of an Elite Masculinity, Chicago, The University of Chicago Press, 2008; I. Attané-C. Guilmoto, cit. 62. ACWF, cit. 63. I. Attané, Êntre femme en Chine, cit. p. 14. 64. UN-WPP, World Population Prospect. The 2010 Revision, New York, United Nations, 2011. 65. H. Evans, Women and Sexuality in China, New York, Continuum, 1997; Yuen Sun-Pong – Law Pui-Lam – Ho Yuying, Marriage, Gender and Sex in a Contemporary Village, New York, E. Sharpe, 2004. massiccia emigrazione dei celibi cinesi verso Paesi vicini. La riduzione della natalità e quindi il rallentamento della crescita della popolazione dovuta a questo fenomeno apre uno scenario sociale certamente inesplorato nella Repubblica Popolare Cinese. Tuttavia una marcata o definitiva prevalenza numerica degli uomini sulle donne (provocata dalla debolezza dello status femminile rispetto a quello maschile), renderebbe la condizione femminile ancora più fragile e precaria, con una possibile contrazione delle conquiste di libertà ed indipendenza finora ottenute non solo in seno alla famiglia ma anche nella società intera66. Ulteriori effetti sono possibili anche nelle relazioni di genere e nei rapporti tra i rispettivi status poiché la società cinese è ancora legata al vincolo matrimoniale come principale condizione non solo per la creazione di una futura famiglia ma anche per l’esercizio della sessualità67. La dicotomia tra uomini sposati e celibi, quindi, tenderebbe a rafforzarsi nel caso di un tasso della popolazione femminile in contrazione, poiché quest’ultimo fattore potrebbe indurre alla radicalizzazione della competizione tra i diversi gruppi maschili. In particolare, gli uomini celibi delle classi meno abbienti sarebbero, in condizioni di ipergamia femminile, più svantaggiati rispetto a quelli degli strati sociali più elevati nel riuscire a sposarsi. I più benestanti, a causa della migliore condizione economica, godrebbero di un livello di accesso maggiore al matrimonio68. La diminuzione della popolazione femminile in età matrimoniale, quindi, oltre a determinare un rafforzamento dello status degli uomini delle classi sociali più agiate rispetto ai meno abbienti, con un evidente disparità sociale tra gruppi, provocherebbe un ulteriore effetto: quello di trasformare la possibilità di vivere in coppia e di avere accesso ad una partner in un indicatore di status economico69. Si tratta di scenari potenziali e certamente in conflitto con il progetto di héxié shèhui cinese ma che, essendo riconducibili alla discriminazione delle donne, possono contaminare seriamente l’equilibrio complessivo della società cinese. Il semplice fatto che, al di là delle possibili prospettive future, la marginalizzazione femminile sia praticata nella Cina di oggi nei confronti di un gruppo di genere molto debole e fragile come quello delle donne rende l’obiettivo della società armoniosa ancora da consolidare. Nonostante questo progetto, infatti, la condizione di disparità femminile, come la persistenza di altre forme di discriminazione e di squilibrio sociale nella Cina di oggi, è causata, come ha evidenziato da JeanLuc Domenach, dal fatto che la società cinese attuale è caratterizzata da una dimensione di “fiducia contrattata” tra i cinesi e la classe dirigente. La dimensione sociale 66. R. Collins, “A Conflict Theory of Sexual Stratification”, in Social Problems, vol. 19, n. 1, 1974, pp. 3 e ss. 67. J. McMillan, Sex, Science and Morality in China, Londra-New York, Routledge, 2006. 68. I. Attané, cit. p. 15. 69. Idem. 101 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO cinese è “inviluppata”, cioè dominata da un meccanismo di controllo dall’alto verso il basso, determinato da una dilatazione del potere del partito attraverso lo Stato70. In questo modo l’élite dirigente riesce a distribuire adeguatamente (e senza compromettere l’unità dello Stato stesso né del proprio potere) lo spazio dei fenomeni sociali. In Cina, quindi, coesistono disuguaglianze intrasettoriali e trasversali agli strati sociali la cui presenza si rende indispensabile per consolidare il ruolo di arbitro e di guida dello Stato (e quindi della classe dirigente). La persistenza di tali diversità rappresenta, quindi, un “male necessario” della società cinese attuale perché rende fondamentale il ruolo e la funzione di constante controllo e monitoraggio dell’élite di governo71. Le autorità politiche riescono ad evitare che la società civile non si frammenti a causa delle disuguaglianze esistenti (né si organizzi in modo autonomo) sviluppando e rafforzando politiche sociali a livello nazionale. Come affermato anche da Yves Chevrier, nonostante il disegno di società armoniosa, la disgregazione sociale nella Cina di oggi rappresenta la condizione necessaria per il mantenimento del potere del partito e per la costruzione di quello dello Stato72. Questo stesso riempie tutti gli spazi sociali e non lascia libero corso ad autonomie “non ufficiali” (cioè 70. J.-L. Domenach, cit., p. 259 e ss. 71. Idem. 72. Y. Chevrier, “L’Empire distendu: esquisse du politique en Chine des Qing à Deng Xiaoping”, in J.-F. Bayart, La greffe de l’Etat, Karthala, Parigi, 1996, pp. 265-395. 102 movimenti spontaneamente sorti che non siano però registrati e quindi riconosciuti dalle autorità politiche stesse). Per questi motivi la condizione di precarietà e disagio femminile resta ancora irrisolta nel paese che risulta essere la più grande potenza economica asiatica e che da quattro decenni è lanciato verso la modernizzazione: come in altri casi di disuguaglianze e frammentazioni sociali attualmente in essere in Cina, anche la controversa situazione di marginalizzazione femminile è riconducibile alla confusione di interessi diversi, nata dall’incontro tra individui e gruppi sociali73. Come osservato, questo incontro non si sviluppa mai in un campo anarchico bensì in uno spazio sociale controllato, generando il bisogno di un arbitro (il partito attraverso lo Stato), che prometta fiducia e stabilità in una dimensione sociale presente ed una futura. A differenza del passato maoista, il moderno progetto di armonizzazione e di controllo delle frammentazioni sociali non si configura più come “pubblico” ma esclusivamente “privato” perché rivolto alla nuova e popolosa società di soggetti cinese. 73. Idem. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Saperi e sapori d’altrove: le scrittrici (si) raccontano SILVIA CAMILOTTI IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione N ella produzione letteraria, oramai ventennale, di autori immigrati in Italia da differenti paesi del mondo, le donne sono risultate sin da subito attive protagoniste, contribuendo a sfatare molti degli stereotipi gender- e race- oriented che solitamente emergono quando la sfera del femminile si intreccia con quella dell’immigrazione. Il tema culinario si presterebbe, a un primo sguardo, a rafforzare alcuni luoghi comuni che vedrebbero le donne, soprattutto straniere, schiacciate entro la sfera del domestico; tuttavia, nonostante questo piccolo contributo si soffermi sulla questione del cibo nelle opere di “autrici d’altrove,” l’obiettivo è sottolineare i tanti altri significati che si celano dietro alla scelta di raccontare sulla pagina scritta le proprie tradizioni alimentari: la presenza di questo tema consente infatti di sviluppare alcune riflessioni sul significato del cibo nella migrazione, esperienza che lo può trasformare in occasione di incontro e convivialità, in strumento per mantenere viva la memoria della propria terra, ma anche possibilità di sperimentazione e mescolamento di tradizioni culinarie differenti. Il successo del ricettario artusiano nel mondo, ad esempio, dimostra come gli emigranti italiani abbiano cercato di mantenere le proprie tradizioni culinarie altrove e processi affini si verificano anche con i migranti odierni in Italia. Come talvolta accade, un fenomeno di natura sociale (in tal caso le migrazioni e le abitudini che porta con sé) si riverbera anche in letteratura e proprio di questo daremo qualche esempio. Laila Wadia, scrittrice di origini indiane che vive a Trieste da molti anni, ha riunito, sotto il segno della forchetta, racconti di autrici e autori immigrati in Italia da diverse parti del mondo in un’antologia dal titolo Mondopentola. L’idea che anche il cibo e la sua preparazione possano trasformarsi in momento di condivisione, in occasione di ricordo, in tentativo di sconfiggere il vuoto di sensazioni, odori e atmosfere appartenenti al passato di ciascuno attraversa l’intero testo. Nell’antologia leggiamo come il cibo possa diventare un modo per «abbattere muri di incomprensione» (11), per riscoprire la propria infanzia, per contrastare stereotipi, per sperimentare mescolanze. Ma non solo. Infatti il cibo diventa anche il motivo per riflettere su una vasta molteplicità di tematiche: dalla guerra in Jugoslavia nel racconto di Božidar Stanišić (“La coccinella di Omero”), al tema della morte nel testo di Clementina Sandra Ammendola (“Il Mao è morto”), alle difficoltà di una donna nell’abbandonare il proprio paese per andare in Italia a fare lavoro di cura nel testo di Mihai Mircea Butcovan (“Di sarmale, involtini, amiche e brassica”), alla distanza che si crea con la propria famiglia dopo un distacco ventennale (“Il caffè” di Tahar Lamri). In questi racconti il cibo diventa anche una strategia per raccontare vicende legate alla storia di persone di differenti parti del mondo, che sono poi quelle di provenienza degli immigrati. Ciò permette ai lettori italiani di aprire delle finestre su storie a rischio di oblio, la cui ricostruzione aiuta a comprendere le ragioni che hanno spinto milioni di persone a lasciare le loro terre e a stabilire di conseguenza una maggiore empatia nei loro confronti. In Mondopentola, tematiche “serie”, per così dire, sono controbilanciate, in un vero e proprio equilibrio di sapori, da note vivaci ed allegre, dai profumi dei cibi che vengono preparati e gustati nei racconti, dal senso di comunità e appartenenza che la cucina ha la potenzialità di creare e che non si mostra nel suo lato più opprimente nei confronti delle donne, anzi. Il cibo diventa, al contrario, occasione per invitare ad una paritaria mescolanza, come l’apertura dell’antologia peraltro precisa: «Amo le contaminazioni. Senza mescolanze non esisterebbe alcuna forma di vita perché non ci sarebbero né acqua da bere, né aria da respirare, né fuoco per scaldarci e cucinare. Tutti questi elementi sono nient’altro che abbracci tra atomi, una fratellanza tra sostanze diverse, la contaminazione di elementi puri che da soli non riescono a dare forma all’essenziale, perché il miracolo della vita è dovuto al meticciato. Senza contaminazioni l’Italia non avrebbe il suo amatissimo piatto nazionale, gli spaghetti al pomodoro» (9) 103 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO che, come ci spiega lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari, è un piatto che rappresenta appieno gli intrecci della storia: la pasta lunga ha origini nel Medio Oriente arabo ed è arrivata in Europa nel Medioevo, mentre il pomodoro arriva dall’America, connubio che si è trasformato nel piatto italiano più tipico. Quello del cibo è un concetto fortemente legato anche al tema dell’identità: studiare la storia dell’alimentazione, così come la letteratura che ne parla, rappresenta una straordinaria occasione per comprendere gli intrecci che sostanziano le società attuali e per mostrare come tradizione e identità non siano nozioni chiuse e immodificabili, ma nascano dall’incontro e dal mescolamento. Il già citato storico Massimo Montanari mostra come il cibo sia spesso associato all’identità, ma con connotazioni di chiusura, di conservazione, di difesa da presunte minacce esterne. Invece, è proprio la storia dell’alimentazione a insegnarci che «le tradizioni alimentari non restano mai uguali a se stesse, ma cambiano nel tempo, modificandosi al contatto con tradizioni diverse. Le identità, le tradizioni, si inventano, nel senso letterale della parola: si trovano, si costruiscono» (195). Un esempio già citato sono gli spaghetti al pomodoro, ma potremmo aggiungere anche le patate fritte, la cui genesi smantella una visione chiusa e ferma di tradizione e identità: «Le patate fritte sono una perfetta metafora di ciò che accade nella storia dell’alimentazione quando culture diverse si incontrano, si confrontano, si mescolano. Il prodotto è nuovo, viene da fuori e da lontano. Il modo di trattarlo è antico, ha radici profonde nella cultura “ospitante”» (58). 104 L’atteggiamento che mostriamo verso i cibi è indicatore del modo in cui pensiamo all’identità e alle differenze. Certi cibi si possono ergere a simboli di un’appartenenza e contrapporli ad altri. Montanari, per citare un ulteriore esempio, fa riferimento allo “scontro” tra polenta e cous cous: ci si può arroccare dietro a questi cibi-simbolo, usandoli come armi, oppure “offrire e condividere”, intenderli come occasioni di reciproca conoscenza e integrazione. Sul cibo come fattore costitutivo dell’identità, soprattutto in un contesto di migrazione, si sofferma anche una scrittrice italiana, Marinette Pendola, che vorrei citare perché autrice di opere legate all’esperienza degli italiani emigrati in Tunisia e alla cui cucina dedica ampio spazio, intesa come laboratorio di sperimentazione e di mescolamento di differenti tradizioni culinarie: «Interrogarsi sull’alimentazione degli italiani di Tunisia significa calarsi in una rete sottile di scambi e contaminazioni, ma anche cogliere il nucleo profondo che ne esprime l’identità assieme a tutti gli adattamenti che sono stati necessari per mantenerne la specificità. Ripensare agli italotunisini e alla loro collocazione nella società coloniale permette di cogliere immediatamente il rapporto strettissimo con l’alimentazione come tratto caratterizzante. Di fatto, l’alimentazione connota gli italotunisini, in particolare i siciliani, più di qualsiasi altro tratto specifico, come potrebbe essere, ad esempio, la religione […] Considerare la presenza degli italiani in Tunisia da una prospettiva alimentare significa non soltanto fissare l’attenzione sugli adattamenti, sui cambiamenti e le specificità di una comunità, ma anche cogliere il rapporto fra cibo e contaminazioni, fra ciò che SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA è stato accolto, e ciò che è rimasto nella cucina locale a testimonianza di un’influenza molto più profonda di quanto potrebbe apparire di primo acchito» (98). Anche la protagonista indiana del racconto “La calandraca” di Laila Wadia, nella già citata antologia Mondopentola, attribuisce al cibo un profondo valore affettivo e identitario, quando afferma di essersi sentita meno sola proprio grazie al negozio triestino che vendeva i sapori di tante parti del mondo, compresa la sua: «Oggi è uno dei giorni più tristi da quando mi trovo a Trieste. No, non è morto nessuno. È successo di peggio: il negozio Gerbini ha chiuso i battenti. Come posso spiegarvi cos’era per me questo negozio? Non una semplice bottega stretta e lunga straripante di alimenti esotici, in fondo a Via Battisti, non un salumificio dove non ti sentivi mai rispondere “volentieri” (sinonimo triestino per “no, mi dispiace ma non ce l’abbiamo”), ma un luogo magico dove si poteva trovare di tutto, dal ricercatissimo jamon, prosciutto crudo iberico tagliato a mano, al rinomato formaggio di Pago, e anche un indirizzo sicuro per fare scorte di hatwa turco o sciroppo d’acero canadese in cui affogare gustose pancakes. Era il mio rifugio. Il rifugio della mia anima quando essa veniva sopraffatta dal mal di patria, quando il mio corpo reclamava i sapori della mia India natia, quando le mie papille gustative imploravano una tregua dai carboidrati raffinati e dagli oli extra vergini spremuti a freddo» (131). La protagonista del racconto sottolinea anche la bellezza che i tanti cibi affiancati sugli scaffali del negozio trasmettono, invitando alla convivenza e alla mescolanza prive di gerarchie: «Solo in questo luogo ho visto pane azimut abbracciare ceci palestinesi, sughi indiani non scostarsi dal vicino sugo pachistano, tapioca e manioca del terzo mondo stare in prima fila, sopra confezioni di cibi frankenstein made in Usa» (133). Si tratta di una bella metafora che indica come l’alimentazione, con la sua storia passata di intrecci e scambi (non sempre pacifici) ci racconta, per voce di donna, il nostro presente e anticipa un futuro che non potrà cancellare e ignorare le sempre più strette interconnessioni tra individui e società. Il cibo è anche occasione per contrastare luoghi comuni e abbattere la diffidenza verso il “diverso”, come il racconto “Spaghetti allo scoglio,” ancora di Laila Wadia, presente nella raccolta Il burattinaio e altre storie extra-italiane, mostra. Una coppia, lui italiano e lei tibetana, invitano a cena la sorella di lui con il marito, con i quali non vi è un rapporto molto sereno. Visto il tradizionalismo dei due ospiti, il protagonista maschile vieta alla moglie di cucinare i “suoi” piatti, che non incontrerebbero il gusto dei due. Opta per un piatto unico di spaghetti allo scoglio che però, per errore, esce terribilmente salato, praticamente immangiabile. La moglie tibetana, allora, esasperata per la pessima riuscita della cena in cui avrebbe voluto cucinare le sue pietanze, si rifugia in cucina per mangiare i “suoi” ravioli, i momo: «“Cosa mangi?” Niente, una schifezza tibetana, risponde Ayjis con la bocca ancora piena. Ramona ammira la sottile sfoglia di pasta, ri105 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO esce ad intravedere il ripieno di carne e verdure. “Ne posso assaggiare una?” Avviso mia sorella che non le piaceranno. Sono gusti diversi, forti. L’autorizzo a sputare fuori il momo se non è di suo gradimento. Ramona imita Ayjis, mettendo in bocca un raviolo dopo l’altro in rapida successione senza fermarsi a deglutire. Poi si lecca le dita e esclama: “Ma che buoni! Mi devi dare la ricetta. Aldo! Vieni ad assaggiare una specialità tibetana”» (110). Infine, sul filo dell’ironia scorre “Il matrimonio di Ravi”, racconto antologizzato ne Il burattinaio e altre storie extraitaliane, in cui la famiglia indiana, che si appresta a ricevere il figlio che arriva dall’Italia con la giovane moglie, pensa bene di eliminare tutti gli ingredienti indiani dalla cucina, per italianizzarla. La nuora però non risponderà alle aspettative della italiana tipo, ma esibirà la sua patente di indianità, anche dal punto di vista culinario. Il racconto si sofferma sugli immaginari sia degli indiani nei confronti dell’Italia che viceversa, svelando una serie di equivoci che hanno il pregio di far sorridere e soprattutto riflettere, ricorrendo anche al cibo come elemento rappresentativo delle rispettive culture e identità. In conclusione, restiamo ancora nel segno della scrittrice indiana curatrice del volume Mondopentola, da cui traiamo il seguente passaggio chiarificatore del senso del suo testo e, più in generale, del cibo: «A me piace pensare che questo piatto ibrido non funga solo da balsamo anti-nostalgia, ma che contenga i germogli della voglia di creare un nuovo mondo in cui si possono mediare lo ieri e l’oggi per dare vita al domani. Ed è proprio questo l’intento di Mondopentola, 106 di questa cena a cui siete calorosamente invitati da tredici scrittori dai quattro angoli della terra. Ognuno ha portato una pietanza per condividere sapori e saperi delle terre d’origine, arricchendoli con gli ingredienti della nuova patria, condendo il tutto con la fantasia per provare che alla fine siamo tutti ingredienti indispensabili del grande piatto dell’umanità» (11). BIBLIOGRAFIA Massimo Montanari, Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo, Laterza, 2010 Marinette Pendola, Gli italiani di Tunisia. Storia di una comunità (XIX-XX secolo), Editoriale Umbra, 2007 Laila Wadia, Il burattinaio e altre storie extra-italiane, Cosmo Iannone editore, 2004 Laila Wadia, (a cura di) Mondopentola, Cosmo Iannone editore, 2007 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Con occhi di donna: Margaret Fuller e la Repubblica Romana (1847-49). Un’analisi di genere nel giornalismo del XIX secolo LAURA MOSCHINI Università degli Studi Roma Tre Testo ripreso e tradotto in italiano della relazione With Woman’s Eyes: Fuller’s Chronicles on the Roman Republic (1847-1849) presentata alla Conferenza internazionale Transatlantic Women II: Nineteenth-Century American Women Writers Abroad, OPA Centro Arte e Cultura, Firenze, 6-8 giugno 2013 I l mio compito oggi non sarà molto facile perché non è facile riassumere in pochi minuti l’attenzione o meglio l’attenzione partecipata o meglio ancora la cura con cui Margaret Fuller osservò e poi descrisse gli accadimenti del Risorgimento italiano dei quali fu testimone e, come vedremo, anche attrice. Per questo motivo sottoporrò alla vostra attenzione i tratti delle sue scritture che esprimono il punto di vista femminile di una grande giornalista ed inviata di guerra del XIX secolo focalizzando il mio intervento sugli aspetti delle sue osservazioni e delle sue analisi maggiormente caratterizzate dallo sguardo - che oggi definiremmo di genere - che emerge nelle sue cronache. Mi limiterò quindi ad una breve presentazione e lascerò parlare molto Margaret attraverso le lettere che regolarmente inviava oltreoceano al New York Tribune, il giornale per cui lavorava. Per motivi di tempo considererò solo quelle tradotte e raccolte nel volume Un’americana a Roma. 1847-1849 riguardanti i fatti che portarono alla fuga di Pio IX, alla fondazione della Repubblica Romana e alla sua tragica fine1. Margaret Fuller, giornalista professionista, giunse a Roma nella primavera del 1847 come tanti artisti e letterati definiti 1 Margaret Fuller (1810-1850) Un’americana a Roma. 1847-1849, Edizione Studio Tesi, 1986, a cura di Rosella Mamoli Zorzi, lettere selezionate e tradotte in italiano sulla Repubblica romana, tratte dal testo originale At Home et Abroad; or Things and Thoughts in America and Europe by Margaret Fuller Ossoli, Edited by her Brother Arthur B.Fuller, Crosby, Nichols and Co, Boston 1856. I riferimenti sono tratti dalla versione ebook pubblicata grazie al progetto Gutenberg, 18-06-2005. pasionate pilgrims2. La definizione di pellegrini appassionati derivava dal loro reverenziale amore per l’arte, i paesaggi, la cultura italiana, passione che li differenziava da coloro che arrivavano numerosi in Italia per il Grand Tour3, il turismo 2 Sui pasionate pilgrims si veda di Rossella Mamoli Zorzi, Un’americana a Roma, cit. p. VII 3 Con Grand Tour (traduzione letterale dal francese “grande giro”) si indicò dal XVII secolo il viaggio di istruzione, intrapreso dai giovani delle case aristocratiche di tutta Europa, che aveva come fine la formazione dei giovani gentiluomi e anche in alcuni casi della giovani gentildonne -precorritrici delle grandi viaggiatrici di epoca romantica- attraverso l’esercizio della conoscenza diretta e del confronto tra realtà, luoghi, produzioni artistiche diverse. Il termine Tour indicava un viaggio con un luogo di inizio e di ritorno senza limiti di tempo che aveva come meta obbligata l’Italia. 107 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO rituale che aveva l’Italia tra le mete preferite. Margaret però, fa notare Mamoli Zorzi, fu una pasionate pilgrim assai particolare: era infatti una donna venuta in Italia sicuramente per passione, ma sola e non in compagnia di amiche o al seguito di un padre, marito, fidanzato, e non per turismo, ma per lavoro. Un lavoro che, ancora oggi, richiede coraggio, oltre che curiosità, sensibilità politica oltre che professionalità, passione appunto. Certamente era una donna che amava viaggiare, ma quando giunse in Europa e poi in Italia e a Roma attratta da ciò che stava accadendo, attraversò l’oceano non solo per il fascino che questo paese suscitava in lei, ma anche per il desiderio profondo di conoscere in prima persona la realtà sociale e politica che il paese stava vivendo con i moti risorgimentali. Che non fosse una normale turista è lei stessa a dirlo: «Come altri sono passata attraverso la fase penosa delle visite turistiche, tanto innaturale ovunque, tanto contraria al sano procedere e alla vera vita dell’intelletto (…)»4. Quando giunse in Italia, oltre a profonde conoscenze sul patrimonio artistico e paesaggistico, conosceva anche le condizioni politiche e gli interessi internazionali a favore o contro l’unità italiana e verso la situazione romana in particolare. Era infatti un’inviata “di guerra”, ma un’inviata di guerra molto diversa dagli altri corrispondenti perché accompagnava i suoi resoconti con commenti personali riguardanti la realtà delle condizioni sociali delle persone che incontrava, anche delle più umili, soffermandosi in particolare sulle donne, spesso apparentemente assenti dalle cronache, come dalla storia in generale. La sua attenzione alle condizioni delle persone, chiunque fossero, rese - e rende ancora oggi a chi legge - le notizie meno astratte, la guerra meno asettica, meno lontana e le “ragioni di stato” o gli intrighi nazionali ed internazionali che tanta sofferenza provocarono - e tutt’oggi provocano - più intollerabili. Attraverso la continua attenzione all’arte, alla natura, al carattere complesso di una città tanto composita come Roma, le sue cronache provocano ancora oggi forti emozioni, desiderio di conoscere come era, di ammirare, quasi di intervenire a difenderla e a difendere la sua gente ed in particolare le donne da quelle che erano le loro miserevoli condizioni di vita. Le riflessioni politiche che emergono dai suoi resoconti sono sempre interrotte da impressioni soggettive, digressioni, descrizioni di vario tipo e ricordano in parte i più pregevoli racconti di viaggio delle scrittrici-viaggiatrici del XVIII e XIX secolo5. Quando Margaret arrivò in Italia sapeva quindi di incontrare situazioni pericolose causate dai moti risorgimentali, ma non poteva certo prevedere che sarebbe stata testimone di eventi così eccezionali: prima delle esaltanti speranze nel Papa Pio IX come riformatore6 ed unificatore dell’Italia, 4 Ivi, p.40 5 Tra le scrittrici-viaggiatrici ricordiamo oltre a Cristina di Belgioioso autrice di molti racconti sui suoi viaggi in Oriente ed in particolare in Turchia, Virginia Oldoini, Dora D’Istria. Per un approfondimento cf. Spazi segni parole. Percorsi di viaggiatrici italiane, Franco Angeli, 2012 6 In realtà Pio IX Giovanni Mastai Ferretti (1792-1878) aveva solo concesso una moderata libertà di stampa (Editto del perdono, 1846), l’isti108 poi della delusione causata dal suo tradimento e infine delle drammatiche vicende che portarono alla fine della Repubblica Romana Roma, 18 ottobre 1847 Quando giunsi a Roma in primavera, il popolo era fuori di sé dalla felicità per i primi provvedimenti seri di riforma presi dal Papa. Osservai con gioia l’esultanza infantile e la fiducia della gente. (…) Il cuore aveva parlato al cuore nel dialogo tra principe e popolo; fu splendido assistere all’improvviso influsso benefico esercitato dai sentimenti umani e dai progetti generosi di un governante. Aveva voluto fare da padre e gli italiani, con quella prontezza di genialità che li caratterizza, avevano immediatamente accettato questo rapporto; il popolo romano, bollato per pregiudizio di astuzia e ferocia, si dimostrò fanciullo desideroso d’apprendere, pronto ad obbedire, contento di poter avere fiducia7. Ma come analista politica continua Tuttavia rimaneva pur sempre il dubbio che tutta questa gioia fosse prematura. (…) non è mai facile mettere vino nuovo in bottiglie vecchie e la nostra è un’epoca in cui tutto tende ad una grande crisi: non semplicemente alla rivoluzione, ma piuttosto a riforme radicali. Dal popolo stesso deve venire l’aiuto, non dai principi; nel nuovo stato di cose non ci saranno altro che principi naturali, grandi uomini8. e inoltre si schiera contro coloro che consideravano “doni” le concessioni del Papa Benché simpatizzassi cordialmente con il caldo affetto della gente, trovavo ripugnante l’adulazione degli scrittori autorevoli, così propensi a considerare tutto ciò che viene offerto dal principe e dalla chiesa come regali e doni invece di sottolineare fermamente che tutto questo è diritto del popolo9. Fa poi un paragone tra le condizioni culturali a Roma e quelle riscontrate in Toscana Recandomi in Toscana vi trovai la libertà di stampa appena istituita ed un ottimo livello di preparazione per farne uso. Sono stati fondamentali L’Alba e La Patria10 (…) lo scopo di chi li fa è educare la gioventù, gli strati più umili della popolazione; questo va fatto incoraggiando la gente a pensare senza paura (…) Lo scopo è quello di abbattere le barriere tra i diversi stati d’Italia, vestigia di una situazione politica barbara, tenute artificiosamente in piedi dagli sforzi dei nemici. Pur preoccupati di non rovinare quanto c’è di veramente originario nell’indole degli italiani - quelle difese e quelle differenze che offrono allo spirito di ciascuno la possibilità di crescere ed ai frutti di ogni regione di maturare in modo naturale - essi vogliono raggiungere (...) un’armonia di spirito senza la quale l’Italia, come nazione, non sarà mai in grado di mostrare un fronte forte (…)11. Per comprendere appieno il senso delle sue affermazioni è importante ricordare che Margaret era un’esponente del Trascendentalismo12 e perciò estremamente sensibile alle tuzione di una Consulta di Stato, della Guardia Nazionale civica e del Consiglio dei Ministri. 7 Mamoli Zorzi, op. cit. pp. 5-6 8 Mamoli Zorzi, op.cit., p.5 9 Ivi, p.6 10 giornali nei quali scrive una giornalista: Isabella Rossi Gabardi, patriota che partecipò ai moti del’48 a Firenze 11 Ivi, pp.6-7 12 Trascendentalismo: movimento letterario e filosofico nordamericano SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA vicende umane. Inoltre nei suoi scritti è sempre presente un forte richiamo ai principi della Dichiarazione americana dei diritti del 1776, principi da lei ritenuti fonte di ogni teoria sul rispetto dell’eguaglianza tra gli esseri umani, donne comprese. Diritti che, a partire dallo spirito della Dichiarazione, debbono essere riconosciuti e non concessi da qualcuno. Per quanto riguarda le donne, di conseguenza, esse debbono agire in prima persona per il miglioramento della loro condizione, e del progresso sociale in generale, e non invece aspettare che qualcuno si occupi della loro libertà. La frase: «dal popolo stesso deve venire l’aiuto e non dai principi (…)» va proprio in questa direzione sia per gli uomini che per le donne. Nelle frasi citate è interessante notare che è chiaro il riferimento al Papa Pio IX da lei equiparato ad un principe e del quale, come abbiamo visto, non si fidava, a ragione, poi tanto. A questo proposito vediamo che un altro tema ricorrente nei suoi scritti è il richiamo ai valori della religione protestante e una profonda critica di quelli cattolici ritenuti all’origine di atteggiamenti assolutistici contrari all’eguaglianza, alla democrazia e al rispetto degli individui, soprattutto di sesso femminile. Atteggiamenti opposti, come abbiamo visto, anche agli ideali espressi dalla Costituzione americana che non hanno limiti riguardanti il colore della pelle, la nazionalità, il sesso. Purtroppo, nonostante la sua fede in tali ideali, sappiamo come nella realtà tali limiti siano esistiti e stentino ancora oggi ad essere eliminati. Nell’analisi degli scritti di Margaret Fuller non va dimenticato che, quando giunse a Roma, godeva già di un’ottima fama e aveva già scritto molto. Aveva, inoltre, diretto dal ’40 al ’42 «The Dial» il periodico del Trascendentalismo, occupandosi nei suoi scritti soprattutto delle condizioni sociali difficili. Dal ’45 al ’47 in particolare aveva pubblicato articoli sulle condizioni delle prigioni, dei manicomi, delle istituzioni pubbliche di New York. Sul «The Dial», inoltre, si era occupata della questione femminile e del rapporto tra i che ebbe il suo centro nella Nuova Inghilterra nella prima metà del XIX secolo. Le sue origini risalgono al 1815, quando la Chiesa unitaria si staccò dal calvinismo ortodosso, con un’affermazione di liberalismo religioso; ma solo nel 1836 R.W. Emerson fornì, in Nature, la formulazione più precisa delle istanze trascendentalistiche che, innestando sulla matrice del romanticismo americano elementi desunti dall’idealismo tedesco e dalla filosofia platonica e neoplatonica, ebbe il merito di affrancare la cultura americana da quella inglese e in genere europea. Affidandosi alla dottrina della corrispondenza tra anima individuale e anima universale (OverSoul), i trascendentalisti elaborarono il concetto di Self-Reliance (fiducia in se stessi) che, applicato a livello nazionale, veniva facilmente a significare Self-Culture (autonomia culturale), come risulta chiaramente dal The American Scholar di R. W. Emerson. Tali premesse portarono i trascendentalisti ad assumere spesso posizioni mistiche e contemporaneamente anarchiche: la prova è, per esempio, nei saggi più noti dell’altro grande esponente del trascendentalismo, H. D. Thoreau. Il nucleo del trascendentalismo, costituito inizialmente dal Transcendental Club fondato nel 1836 da Emerson e comprendente tra gli altri A. B. Alcott, S. M. Fuller, W. E. Channing e il già ricordato Thoreau ed ebbe nella rivista The Dial (184044) il suo organo ufficiale. Nell’orbita del trascendentalismo si mossero molti dei maggiori esponenti della cultura del tempo: da W. Whitman a N. Hawthorne, da E. Dickinson ai poeti del circolo bostoniano. generi pubblicando tra gli altri “Il grande processo: l’uomo contro gli uomini, le donne contro le donne” che, ampliato, divenne nel 1845 il suo libro più celebre La donna nel XIX secolo (Woman in the Nineteenth Century), poi diventato un testo fondamentale nella storia del femminismo. Nel volume Fuller applica i principi del Trascendentalismo alla condizione umana e delle donne in particolare, ma essendosi resa conto che il termine generale uomo, contrariamente a quanto si affermava (e ancora oggi si afferma) non comprende e non considera anche le donne quando si parla di diritti, mentre le comprende quando si tratta di doveri, fa presente di usare il termine uomo nel senso di umanità. Per Uomo infatti intendeva dire anche donna, secondo le abitudini linguistiche ma, sottolinea in apertura affinché non ci siano fraintendimenti sul suo pensiero, il progresso di un sesso non può esserci senza il progresso dell’altro aggiungendo che il suo desiderio più grande era che questa verità fosse compresa in modo chiaro e razionale e che fossero riconosciute le stesse condizioni di vita e di libertà ad uomini e donne13. Per uscire dalla situazione di subordinazione, per Margaret, le donne devono acquisire consapevolezza della loro condizione e potenziarsi, riconquistare la loro autostima, come diremmo oggi, nutrendo il loro intelletto per imparare ad esprimersi in pubblico e rappresentare loro stesse i propri interessi. Temi che, già trattati da molte donne tra le quali Olimphe de Gouges nella sua Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina14 che per questo fu ghigliottinata nel 1793 e Mary Wollstonecraft che nel 1792 pubblicò Rivendicazione dei diritti delle donne (Vindication of the Rights of Women)15, e oggetto di rivendicazioni femministe negli Stati Uniti che nel 1848 portarono le donne del Wyoming al voto amministrativo16, saranno poi ripresi nel 1869 da John Stuart Mill 13 Margaret Fuller, Woman in the Niniteenth Century, “By Man I mean both man and woman: these are the two halves of one thought. I lay no especial stress on the welfare of either. I believe that the development of the one cannot be effected without that of the other. My highest wish is that this truth should be distinctly and rationally apprehended, and the condition of life and freedom recognized as the same for the daughters and the sons of time; twin exponents of a divine thought”. Preface, p.1 14 Olympe de Gouges, pseudonimo di Marie Gouze, (1748 –1793), è stata una drammaturga francese che visse durante la rivoluzione francese. I suoi scritti femministi e abolizionisti ebbero grande risonanza. Nel 1788 pubblicò le “Réflexions sur les hommes nègres” in cui prendeva posizione contro la schiavitù, e nel 1791 la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina in cui dichiarava l’uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna. Nel 1793 fu ghigliottinata. 15 Mary Wollstonecraft (1759 –1797) è stata una filosofa e scrittrice britannica, considerata la fondatrice del femminismo liberale. Ebbe una vita relativamente breve e avventurosa: dopo un’adolescenza passata in una famiglia condizionata dalla povertà e dall’alcolismo del padre, si rese indipendente con il proprio lavoro e un’istruzione formata attraverso i suoi studi personali. Visse amicizie di grandi dedizioni ed ebbe relazioni tempestose fino al matrimonio con il filosofo William Godwin col quale ebbe la figlia Mary, nota scrittrice e moglie del poeta Percy Bysshe Shelley. Mary Wollstonecraft è nota soprattutto per il suo libro A Vindication of the Rights of Woman, nel quale sostenne, contro la prevalente opinione del tempo e in polemica con Rousseau, che le donne non sono inferiori per natura agli uomini, anche se la diversa educazione a loro riservata nella società le pone in una condizione di inferiorità e di subordinazione. 16 Negli USA, il dibattito sulla condizione femminile ebbe un primo importante risultato nel 1848 nella Seneca Falls Convention e nella conqui109 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO nel suo famoso saggio Sulla soggezione delle donne (scritto grazie anche al contributo della sua compagna Harriett Taylor)17e poi sviluppati con particolare efficacia alla fine del XIX secolo da Charlotte Perkins Gilman e in Italia da Anna Maria Mozzoni, solo per citare alcune scrittrici18. Quando giunse a Roma Margaret era quindi preparata ad affrontare le situazioni sociali e politiche che avrebbe incontrato e le affrontò non con uno spirito romantico, di cui tuttavia i suoi scritti spesso risentono, ma con uno spirito partecipativo e coinvolto. Non si limitò quindi ad osservare rimanendo distante le vicende romane, come facevano gli altri corrispondenti dimostrando a volte atteggiamenti di superiorità e disprezzo, ma volle conoscere ed incontrare sia i maggiori protagonisti del Risorgimento italiano tra i quali Mazzini e Garibaldi, che le donne protagoniste del Risorgimento. Con una di loro la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, Margaret lavorò a stretto contatto anche durante gli attacchi e i bombardamenti dei francesi chiamati da Pio IX, per l’organizzazione degli ospedali e la gestione delle ambulanze. Cristina di Belgioioso fu una donna coraggiosa, indipendente che trattava alla pari con re, imperatori, lo stesso Papa Pio IX e i grandi rivoluzionari come Mazzini (con il quale molto spesso discuteva). 1849. Repubblica Romana. 29 marzo – 1° luglio. Olio su tela realizzato da Flait Martini. Alcune pagine delle sue lettere sono dedicate proprio a Cristina di Belgioioso19 sta del diritto di voto amministrativo alle donne nello Stato del Wyoming (1848) 17 John Stuart Mill (1806 –1873) filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell’utilitarismo. Harriett Taylor (1807 –1858) filosofa inglese ed sponente del femminismo liberale, sposò in seconde nozze John Stuart Mill. Il saggio The Subjection of Women (1869)venne scritto da Mill in collaborazione con Harriet Taylor. In esso Mill rivendica la parità dei sessi nel diritto di famiglia e il suffragio universale, sostenendo che ciò migliorerà anche gli uomini, i quali smetteranno di sentirsi superiori solo per il fatto di essere maschi e metterà fine all’ultimo residuo di schiavitù legale esistente dopo l’abolizionismo dello schiavismo dei neri negli Stati Uniti. Per un approfondimento si veda di G.Conti Odorisio Ragione e tradizione. La questione femminile nel pensiero politico, Aracne 2005. 18 Charlotte Perkins Gilman, (1860-1935) sociologa, economista e scrittrice americana autrice di molti libri, saggi, racconti tra i quali Women and Economics. A study of the Relation between Men and Women as a Factor in Social Evolution (1898), The Yellow Wallpaper (1891) sulla relatà della depressione post partum. Per un approfondimento si veda di L. Moschini, La donna nuova e il progresso sociale. Dal Women and Economics alle politiche di genere, Roma aracne 2007 e Charlotte Perkins Gilman. La straordinaria vita di una femminista vittoriana, Roma, Aracne, 2006. Anna Maria Mozzoni (1837 –1920) è stata una famosa giornalista italiana, attivista dei diritti civili e pioniera del femminismo in Italia. Tra le sue opere più importanti: La donna e i suoi rapporti sociali, Milano, Tipografia Sociale, 1864, La donna in faccia al progetto del nuovo Codice civile italiano, Milano, Tipografia Sociale, 1865. Tradusse inoltre in Italiano The Subjection of Women, di John Stuat Mill, La servitù delle donne, Milano, Legroy, Tipografia Sanvito, 1870. Per un approfondimento si veda La liberazione della donna, a cura di F. Pieroni Bortolotti, Milano, Mazzotta, 1975. 110 Roma, 27 maggio 1849 (…) Ma per tornare agli ospedali: sono stati messi in ordine e mantenuti tali dalla principessa Belgioioso. La principessa è nata da una delle più nobili famiglie milanesi, discendente del grande Trivulzio ed erede di un’immensa fortuna. Fortuna che ha compromesso ben presto impegnandosi nei moti liberali, falliti i quali, è stata obbligata a fuggire a Parigi dove, per un periodo, si è mantenuta scrivendo e credo anche dipingendo. Era naturale che una principessa in una simile posizione dovesse suscitare grande interesse, ed infatti essa ha attratto intorno a sé una piccola corte di uomini illustri. Dopo aver recuperato le sue fortune è rimasta a vivere a Parigi distinguendosi per impegno e munificenza sia nei confronti dei letterati sia nei confronti dei compatrioti in esilio. Più tardi, nella sua proprietà di Locate, tra Pavia e Milano, ha condotto con assennatezza e successo esperimenti di tipo socialista. Per diversi anni è stata portata avanti un’associazione per l’educazione, per il lavoro e la condotta degli affari domestici; a questo fine non s’è risparmiata alcun sacrificio di tempo e denaro, ha amato ed è stata riamata da chi era oggetto delle sue cure, affermando di voler morire in quei luoghi. Ora tutto è stato saccheggiato e distrutto, anche se è possibile sperare che sia stato gettato qualche seme di 19 Cristina di Belgioioso Cristina Trivulzio di Belgiojoso (1808 –1871) è stata una patriota, giornalista e scrittrice italiana che partecipò attivamente al Risorgimento. Fu editrice di giornali rivoluzionari, e molte sue opere sono incentrate sugli anni della prima guerra d’indipendenza. Per un approfondimento si veda: Gianna Proia, Dal salotto alla politica, Roma, Aracne editrice, 2010. Mirella Scriboni, Se vi avessi avuto per compagna... Incontri tra donne nelle lettere e negli scritti dall’Oriente di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, in Italian Culture, Volume XII, 1994. SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA pacifica riforma, seme che germoglierà quando meno lo si aspetta. La principessa è ritornata in Italia nel 1847-48 colma di speranza in Pio IX e Carlo Alberto. Ha dato prova dell’abituale generosità, davvero principesca, finanziando una compagnia di soldati ed un giornale, fino all’ultimo triste tradimento di Milano, il 6 agosto. Queste giornate hanno tolto le bende dagli occhi di tutto il popolo, ma di ben pochi nobili; la Belgioioso è stata una dei pochi con una mente abbastanza forte da imparare la lezione e adesso si interessa con entusiasmo al movimento repubblicano. Da Milano s’è recata in Francia, ma, accorgendosi che di là le sarebbe stato impossibile fare qualcosa di serio per l’Italia, è ritornata e da due mesi risiede a Roma. Da quando ha lasciato Milano non percepisce alcuna entrata, dal momento che i suoi beni sono in mano a Radetzky, né è possibile sapere quando potrà riaverli, se questo mai avverrà (…). Ha diffuso un invito alle donne romane perché preparino bende e garze e offrano i loro servigi ai feriti; ha riordinato gli ospedali ed in quello centrale, la Trinità dei Pellegrini, un tempo il luogo dove venivano ricevuti i pellegrini durante la Settimana Santa (…) essa è rimasta giorno e notte dal 30 aprile quando sono giunti i primi feriti. Da principio si è procurata un po’ di denaro girando per Roma a chiedere l’elemosina, accompagnata da due gentildonne velate, in seguito le offerte spontanee sono state generose (…)20. All’appello di Cristina di Belgioioso rispondono molte donne sia aristocratiche che del popolo per prestare soccorso ai feriti ricoverati negli ospedali. Cristina non fece differenza tra le donne da arruolare e fu per questo accusata dal Pio IX di aver addirittura consentito alle prostitute di curare i malati: «(…) più d’una volta gli stessi miseri infermi già presso a morire, sprovveduti di ogni conforto della Religione, furono costretti ad esalare lo spirito fra le lusinghe di sfacciata meretrice». Alle sue accuse, contenute nella Enciclica “Noscitis et nobiscum” 21 dell’8 dicembre 1848, Cristina rispose che non poteva certo disporre della polizia sacerdotale per controllare i loro costumi e che comunque quelle donne non si erano risparmiate, né sottratte anche davanti ai compiti più gravosi e ripugnanti nella cura dei feriti, né al pericolo dato che gli ospedali erano bersaglio dei cannoneggiamenti e delle bombe francesi. A Cristina di Belgioioso si deve inoltre “l’invenzione” delle infermiere e la richiesta della neutralità dei feriti. Al seguito di Cristina, Margaret, oltre a scrivere, si occupa anche dei feriti accorgendosi di non essersi mai resa veramente conto di cosa fosse la sofferenza provocata dalla guerra Per la prima volta poi, poi, mi sono resa conto di come soffrano i feriti. Ho trascorso la notte del 30 aprile in ospedale e ho assistito alla terribile agonia di coloro che morivano o che avevano bisogno di amputazioni, ho percepito le loro sofferenze mentali e il loro angoscioso desiderio di avere vivine le persone care che si trovavano lontane; molti di loro infatti erano lombardi, giunti dai campi di Novara per combattere con una sorte più fausta; parecchi erano studenti universitari che si erano arruolati precipitandosi in prima linea: le impudenti falsità dei dispacci del generale francese sono incredibili. I francesi 20 Mamoli Zorzi, op.cit. pp.290-291 , si veda anche: Aa.Vv., Margaret Fuller Ossoli, le donne e l’impegno civile nella Roma risorgimentale, Atti del convegno, Roma 23 maggio, 2010, http://www.cpseditrice.it/pdf/ il_Bicentanario_di_Margaret_Fuller_Ossoli.pdf 21 Enciclica Papale “Noscitis et nobiscum”, Napoli, Portici, li 8 Dicembre dell’anno 1849 http://www.totustuus.biz/users/magistero/p9noscit. htm non sono mai stati invitati in alcun modo e sono stati accolti con ogni segno possibile di ostilità22. Continua poi la sua cronaca parlando delle gravi responsabilità del Papa in tali distruzioni e sofferenze Per tornare al suo punto di vista di Margaret notiamo che si tratta di un punto di vista profondamente americano che parte da presupposti americani – almeno di quelli presenti nei proclami - che lei, per sua stessa ammissione, non abbandonerebbe mai. Gli scritti di Margaret contengono, infatti, una continua sollecitazione verso il popolo americano a rispettare gli ideali di libertà e di democrazia facendo propria la causa italiana, aiutando la lotta degli italiani per la libertà Spero ardentemente in qualche manifestazione di simpatia verso l’Italia da parte del mio paese. Cogliete quest’occasione e fate qualcosa. (...) Questa causa è NOSTRA più di ogni altra e dovremmo dimostrare che la comprendiamo (...). Con l’Italia abbiamo in certo modo rapporti di parentela; è il paese di Colombo, di Amerigo, di Caboto (...). Per favore pensateci, oh voi amici che date ancora importanza all’Aquila (simbolo degli Stati Uniti), al 4 luglio ed alle antiche grida di speranza e onore (...). Oh America, con tutti i tuoi ricchi doni, è alto il conto che devi rendere per il talento che ti è stato dato: fa’ di tutto perché non ti trovi in difetto! 23 Gli ideali americani, come abbiamo visto, per lei non avevano limiti né di sesso, né tantomeno di nazionalità, anche se riconosceva le difficoltà ancora presenti sia in politica sia per quanto riguardava la questione femminile E il mio paese che cosa sta facendo? (…) Di grazia inviateci un buon ambasciatore, uno che abbia esperienza di vita all’estero e che possa quindi agire assennatamente, un uomo –se possibile- che abbia cognizioni e mire che trascendono la mera causa della politica di partito negli Stati Uniti (…) capace, all’occasione, di cogliere i diversi aspetti della vita. Mandate una persona che sia in grado di apprezzare il privilegio di vivere a Roma e di conoscerla.(…). Un altro secolo e potrei chiedere d’essere nominata ambasciatrice io stessa (…) ma il giorno della donna non è ancora arrivato. Esse hanno i loro circoli a Parigi, ma perfino George Sand non vorrebbe cooperare con le altre donne, vista la condizione in cui si trovano al momento. (…). Tuttavia non dovrebbe abbandonarle a causa di quella che non è un’inclinazione naturale, bensì una disgrazia. Quante cose dovrò ancora raccontare su questo argomento, se vivrò ancora, cosa che non desidero affatto poiché sono molto stanca di battermi contro ingiustizie enormi; desidererei invece che qualche altra donna più giovane e forte di me, si facesse avanti per dire ciò che andrebbe detto, o meglio ancora per fare ciò che andrebbe fatto24. Accanto alle riflessioni politiche, Margaret come abbiamo detto, sensibile com’era alla condizione femminile, non può fare a meno di annotare aspetti che sarebbero stati considerati solo folkloristici o addirittura irrilevanti da un uomo: tra questi, riflettendo sulla religione cattolica, annota la natura contraddittoria del sistema sociale romano attraverso la sistemazione delle donne che assistono ad una interessante cerimonia in chiesa il giorno dell’Epifania: 22 Mamoli Zorzi, op.cit. pp.288-289 23 Mamoli Zorzi, op.cit. pp.15-16 24 Mamoli Zorzi, op.cit., pp.204-205 111 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO Com’è consuetudine a Roma, -una consuetudine bizzarramente contraddittoria in un paese in cui la Madonna viene venerata assai più di frequente e devotamente di Dio o di Cristo, in una città dove almeno c’è parità tra il numero delle sante e delle martiri venerate e quello dei santi e dei martiri – non c’era nessun posto comodo per far sedere le donne. Tutti i posti buoni, nell’area inferiore, erano riservati agli uomini, mentre ad un numero limitato di donne era concesso sbirciare quanto stava accadendo dalle finestre della galleria e dalla tribuna dell’organo. Io ero uno di questi personaggi d’eccezione.25 Avverte poi compassione e orrore di fronte alla cerimonia di una monacazione con tutta probabilità indotta, se non forzata, sottolineando quanto la realtà fosse differente dalle descrizioni presenti nei racconti Domenica mi recai a vedere la cerimonia di vestizione di una monaca. Era persona di alto rango; la condusse all’altare una principessa e la cerimonia fu ufficiata dal Cardinal Ferretti, Segretario di Stato. Fu una cerimonia molto meno commovente di quanto m’aspettassi dalla descrizione fattane dai viaggiatori e dagli scrittori dei romanzi. (…) La monaca, una donna di venticinque o ventisei anni elegantemente vestita, abbastanza bella (…) si fece avanti, s’inginocchiò e pregò; con quel salmodiare falso e innaturale troppo comune tra i predicatori di tutte le chiese e di tutti i paesi, il suo confessore elogiò se stesso per averla indotta a scegliere la via che l’avrebbe portata «di palma in palma, di trionfo in trionfo». Povera creatura! Dal suo aspetto sembrava che quel che le sarebbe bastato sarebbero stati gli ulivi casalinghi e i papaveri; e in mancanza di questi, invece, amare pozioni e cicuta dovevano essere le sue bevande. Fu poi condotta dietro una grata dove le furono tagliati i capelli e gli abiti le furono sostituiti con le vesti da monaca, mentre si affaccendavano intorno a lei suore in abiti neri che sembravano cornacchie o corvi intenti ai loro tetri banchetti. Per tutto il tempo suonava la musica, prima con note dolci e meditabonde, poi con note trionfali. L’impressione che ne ebbi fu ripugnante e dolorosa al massimo.26 Le riflessioni che seguono sullo stato monacale ed in particolare sulla monacazione forzata, riportano alla memoria la vicenda di Eleonora Caracciolo, principessa napoletana monacata a forza dalla madre rimasta vedova. Eleonora, nel suo racconto I misteri del Chiostro Napoletano27, racconta in modo dettagliato la sua infanzia felice e spensierata e poi le sue sfortunate vicende, gli inganni, i tentativi di fuga, la tenace azione antiborbonica in favore dell’unità d’Italia che svolgeva dal convento, le sue depressioni e i tentativi di suicidio, gli intrighi e le rivalità con esiti a volte crudeli per le povere donne, rinchiuse per motivi che con la loro vera volontà spesso non avevano niente a che vedere. O che, come nota Margaret pensavano di avere la fede, ma poi si erano accorte che questo non era più vero ed era ormai impossibile per loro tornare libere. Perché, si domanda Margaret, non è previsto per loro di poter tornare indietro? Perché «chi persuade una novizia che le insidie del mondo sono meno pericolose dei demoni della solitudine» non si rende conto della sua terribile responsabilità? Una risposta si può forse dare tornando al racconto che Eleonora pubblicò nel 1864 dopo essere riuscita a liberarsi 25 Ivi, pp. 115-116 26 Ivi, pp.66-67 27 Eleonora Caracciolo (1821-1901), I Misteri del Chiostro Napoletano, 1864, Progetto Manuzio www.liberliber.it 112 con l’arrivo di Garibaldi a Napoli nel 1861. Il racconto ebbe un grandissimo successo, tanto grande da procurarle l’attenzione di Francesco De Sanctis, ministro della Pubblica Istruzione nel nuovo Stato, che le promise un ruolo da ispettrice nel suo Ministero, promessa che non mantenne. Il testo presenta un punto di vista diverso perché inedito sulla realtà della monacazione, che si oppone alle tante narrazioni romantiche di cui parla Margaret. E’ infatti un punto di vista diretto, non mediato da una visione esterna, maschile, che non riesce o forse non vuole riuscire a comprendere la realtà dei sentimenti e dei condizionamenti che influiscono sulle scelte delle donne, scelte che spesso, oltretutto, appaiono distorte o perverse28 dimostrando, per un’assurda logica, l’inaffidabilità delle donne. E che il punto di vista di una donna sulla propria monacazione indotta, come nel caso di Eleonora, o forzata sia diverso da quello di uno spettatore che non corre il rischio di un tale destino, è testimoniato anche da un altro scritto che ebbe grande fama. Si tratta di La semplicità ingannata (titolo diverso da quello indicato dall’autrice: La tirannia paterna) di Arcangela Tarabotti29 uno straordinario documento del XVII secolo sulla condizione femminile e sul destino imposto a tante donne, contrariamente alla loro volontà, per il mantenimento di un ordine sociale basato su criteri e priorità maschili, o meglio come sottolinea Tarabotti, sull’autorità paterna assoluta, da cui lo Stato ha origine. Il tema della monacazione forzata, in realtà, è stato trattato anche dal Manzoni e poi dal Verga30, ma la forza della testimonianza diretta unita ad indubbie capacità letterarie e di argomentazione delle due scrittrici, riesce a portarci veramente all’interno di sentimenti, emozioni, vicende come sempre avviene quando un punto di vista non è mediato o interpretato se non addirittura distorto. Lo sforzo di comprensione di Margaret è continuo e in alcuni casi la porta addirittura ad una sorta di immedesimazione con le donne di Roma quando, per esempio, utilizza le stesse loro invocazioni come “Ave Maria Santissima!” o “Madonna Addolorata!” e, anche se da alcune sue affermazioni lascia intendere di provare scarsa stima per le loro doti intellettuali e la loro ignoranza, è però attratta dalla loro bontà, semplicità e naturalezza Quante donne belle e di cuore c’erano in mezzo alla folla! Le donne italiane sono intellettualmente ad un livello basso, tuttavia sono prive d’affettazione si può ben vedere che cosa il cielo voleva che fossero ed io sono convinta che saranno madri di una stirpe grande e generosa31. 28 Sulle scelte o preferenze distorte o adattative delle donne si veda di Martha Nussbaum, Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, Il Mulino, 2001 e Amartya Sen, The Standard of Living, Cambridge University Press, 1987 29 Arcangela Tarabotti (1604-1652), si veda di G.Conti Odorisio, Storia del femminismo in Italia, ERI, 1981 e di Laura Moschini, Canoni e dissonanze, Roma Aracne, 2012 30 Alessandro Manzoni, ne I promessi sposi (1827, 1840, 1842) e Giovanni Verga, in Storia di una Capinera (1869) descrissero le drammatiche vicende di due donne monacate 31 Zorzi op.cit., p.46 SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA Mentre aspettava di vedere il Papa, incontra una bambina con la sua mamma e stabilisce con loro una relazione che per qualche istante la fa sentire meno sola, quasi in una famiglia: C’era accanto a me una bimba italiana, una bambina di quattro o cinque anni che la madre aveva portato a vedere il Papa. Siccome la piccola mi sorrideva e mi faceva dei segni, allorché ad intervalli interrompeva la contemplazione, io di rimando le ho fatto un cenno col capo e le ho chiesto il nome. «Virginia –mi ha detto lei – e come si chiama la signora?» »Margherita», », «il mio nome - ha proseguito –è Virginia Gentili». Ho riso, ma non ho colto l’arguto e gentile invito, pur chiacchierando e giocando con lei di tanto in tanto. Alla fine ha detto a sua madre: « La signora è molto cara, mostrale le mie due sorelle». Così la madre, anche lei una bella donna, mi ha presentato due graziose giovanette e immediatamente, per quel breve spazio di tempo, sono entrata in una piacevole intimità con la famiglia. Subito dopo incontra tre donne inglesi e fa un paragone tra il loro modo di partecipare all’evento e il calore gentile delle italiane Davanti a me sedevano tre signorine inglesi, le tre graziose figlie di un nobile conte; i loro modi erano stranamente in contrasto con codesta bontà italiana, un contrasto che meglio può essere espresso dal loro uso costante del pronome quello. « Avete visto quell’uomo» (qualche prelato importante), «Guardate quel vestito!» usciva continuamente dalle loro labbra. Margaret, diversamente dagli altri stranieri, osserva la gente di Roma senza arroganza, ma anzi partecipa a diverse eventi sia organizzati dall’aristocrazia che dal popolo. Ecco come descrive la sua giornata trascorsa nei festeggiamenti per la concessione da parte di Pio IX della Consulta e della Guardia Civica, quindi prima che tradisse la causa romana e fuggisse a Gaeta Dopo che il corteo era passato, ho cercato d’andare a piedi dal Caffè Novo, sul Corso, a SanPietro, per vedere le decorazioni delle strade, ma mi è stato impossibile. Procedere in mezzo a quella folla fitta ma oltremodo vivace, varia e di buon umore (…) è stato impossibile. La sera è stato dato un ballo all’Argentina. C’erano lord Minto, Il Principe Corsini, ora senatore, i Torlonia nell’uniforme della Guardia Civile – la principessa Torlonia agitava di frequente in risposta ai saluti una sciarpa con i colori della Guardia Civica, donatale da questa -. Ma lo spettacolo più bello della serata sono stati i trasteverini che danzavano il saltarello indossando i loro costumi più vivaci. Così ho avuto l’occasione di vederli molto meglio che non in precedenza. Parecchi di loro erano di una bellezza magnifica e danzavano in maniera ammirevole; era veramente come uno schizzo di Pinelli. Il saltarello mi affascina: ci sono veramente dentro il vino e il sole italiani. La prima volta l’ho visto danzare vicino al Colosseo, una notte, alquanto inaspettatamente; mi ha trascinato a tal punto che ho insistito in modo estremamente sgarbato per rimanere, mentre gli amici in mia compagnia, non riscaldati com’ero io dall’entusiasmo, rabbrividivano e forse prendevano freddo a causa dell’aria umida della notte (…) Ma da allora mi piace molto osservare e studiare il saltarello.32. Margaret, come abbiamo visto, è sempre tra la gente anche quando si tratta di osservare e descrivere la guerra e la partecipazione piena e attiva di molte donne: dalla donna che afferra una bomba e la disinnesca dando l’esempio che sarà 32 Ivi, p.55 poi seguito dagli altri, a Colomba Antonietti l’unica donna alla quale è stato eretto un busto tra gli eroi della Repubblica Romana sul Gianicolo, oltre ad Anita raffigurata a cavallo con Garibaldi. La descrive come una donna che non si è tirata indietro di fronte alla fatica e al pericolo e che non è stata da meno di un uomo nel difendere la causa italiana Colomba Antonietti di Foligno ha seguito per due anni il marito Luigi Ponzio, luogotenente del 2° reggimento (…), con lui ha condiviso le marce e il fuoco nemico. Aveva solo ventun anni, il cuore generoso del più alto sentimento italiano. Ha combattuto da uomo, meglio dire da eroe (…) degna del marito, del cugino, il colonnello Masi33. Ma registra anche ciò che accade in altre parti d’Italia come ad esempio in Sicilia dove le donne partecipano attivamente con le armi di cui dispongono alle rivolte contro il re di Napoli Quando al re (di Napoli) è stato dato per certo dal fratello, che la Sicilia si trovava in una condizione di rivolta incontrollabile e che anche le donne sopraffacevano le truppe - facendo piovere su di loro pietre, mobili e olio bollente, le armi che la casa può offrire alla madre di famiglia sollecita - …. essendo divenuta la sua mente più lucida, egli ha offerto ai suoi sudditi un’amnistia e condizioni di riforma (…)34. O, riguardo agli avvenimenti e alle manovre internazionali, peraltro assai complesse, non le sfugge il sacrificio imposto all’infanta di Spagna costretta per accordi “politici” a sposare un uomo anziano e, si diceva, sterile, o in altre fonti impotente. Giunge inoltre notizia che l’infame sacrificio della povera reginetta di Spagna assume note più tragiche; che si sostiene sia epilettica e stia per essere indotta a rinunciare a quel trono che in verità è stato per lei una terribile maledizione. Cielo e terra sono stati a guardare imperturbabili mentre il re di Francia ha manovrato ogni cosa con la più snaturata delle madri35. Le vicende dei matrimoni combinati a fini politici, come pure quelle sulle monacazioni indotte o forzate, passano nella storiografia tradizionale come fatti scontati, quasi fosse “naturale” sacrificare persone, in questi caso donne, ai fini politici. A tal proposito spesso si ribatte che anche agli uomini vennero imposti matrimoni non voluti o monacazioni, ma, come sappiamo, in condizioni ben diverse rispetto a libertà di movimento, sessuale e riproduttiva. La storia è piena di principi, re e anche papi che hanno avuto amanti, a volte divenute molto famose e “riconosciute” e figli e figlie al di fuori del matrimonio36. 33 Ivi, p.XX 34 Ivi, p.119 35 Ibidem. La storia citata riguarda la complessa questione del matrimonio di Isabella II di Spagna, dichiarata maggiorenne a solo 13 anni. La questione emerge dalle cronache di Margaret Fuller perché inserita tra gli accordi e i tradimenti che di volta in volta favorivano interessi nazionali o privati delle singole famiglie o gruppi di potere e indirettamente la causa italiana, oppure la ostacolavano. Si veda p. 9 e la nota 3, p.17, Mamoli Zorzi, op. cit. 36 Tra le più note del periodo Risorgimentale la Contessa Virginia di Castiglione che tanto influenzò l’Imperatore Napoleone III sostenuta, o 113 ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO La proclamazione della Repubblica Romana in Piazza del Popolo Ma la sua coscienza sulla questione femminile sembra veramente risvegliarsi, tanto da farle provare rimorso per non aver agito prima, quando era in patria, di fronte alle violenze quotidiane subite dalle donne a Roma. Consapevolezza che la spinge a sollecitare un interesse più diretto e concreto verso un miglioramento della condizione femminile. Basta! Se solo mi fossi interessata a questo quando ero ancora nella privilegiata America! Se avessi ascoltato le urla delle madri e delle mogli picchiate di notte dai figli e dai mariti ubriachi, per puro divertimento! Urla che ho udito più e più volte in questi ultimi mesi; o la solita scusa per mentire: «Non oso dirlo a mio marito, sarebbe pronto ad uccidermi!». Sono esperienze che mi hanno resa più sensibile alla condizione della donna e alle misure che si dovrebbero prendere. Se solo avessi il talento e la forza necessaria per dire bene quanto andrebbe detto! Che Dio li conceda a me o a qualche altra donna meritevole! 37 Nei resoconti di Margaret c’è un lungo periodo di silenzio: una prolungata assenza di quasi otto mesi dal 19 aprile al 2 dicembre 1848. L’assenza di resoconti è dovuta alla sua maternità tenuta segreta. In realtà Margaret giustifica in modo sibillino ai suoi lettori che la sua assenza era giustificata38. La sua maternità, come avviene quasi sempre quando una donna non considera il ruolo materno come l’unico ruolo possibile e desidera dedicare la propria vita ad una professione, provocò una vera rivoluzione nella vita di Margaret e nel suo modo di sentire e vedere le cose. Quando conobbe Angelo Ossoli, un giovane nobile decaduto, di nove anni più giovane di lei, certo non poteva immaginare che tale rapporto meglio utilizzata in questo da Cavour. 37 Ivi, p.206 38 IVI, p.XXIV 114 le avrebbe cambiato la vita. Iniziò una relazione che le provocò grandi turbamenti e dubbi, ma che poi, su consiglio di un caro amico, l’unico col quale si era confidata, decise di vivere pienamente gustandone i momenti di felicità. Ben presto però un senso di angoscia traspare nelle lettere: il 20 dicembre scrivendo a Ralph Waldo Emerson39 parla del proprio futuro come di un incubo da cui nessuno può liberarla, salvo forse la morte. Inoltre nelle sue lettere appaiono continuamente cenni ad odori nauseabondi che, se letti tra le righe, rivelano una gravidanza. L’incubo è infatti il figlio che aspetta da Ossoli, che vorrebbe sposarla, ma che lei, pur amandolo, forse non vuole come marito. E l’dea di avere un figlio, nella situazione di pericolo e instabilità in cui si trovava, al di fuori della sua patria e senza un legame consolidato e riconosciuto, le provocava un profondo stato di disagio e di angoscia rispetto a tutto ciò che avrebbe comportato. Per la gravidanza decise quindi di lasciare Roma per trasferirsi a Rieti, oltre che per tenerla nascosta anche perché a Roma in estate esisteva un forte rischio di ammalarsi di malaria. Dopo la nascita di Angelino, il 6 novembre 1848, Margaret e Angelo Ossoli forse sono sposati o forse no. Nessun documento in proposito è mai stato trovato. Ossoli comunque redisse un atto in cui dichiarava il figlio erede del titolo di marchese. Poco dopo Margaret tornò a Roma e riprese a scrivere anche se una parte di lei rimase a Rieti, come risulta dalle sue lettere a Ossoli, con suo grande dolore. Ai lettori comunica sibillinamente, il 2 dicembre di aver abbandonato quel che aveva di più prezioso che tuttavia non poteva portare con sé. A Roma però Margaret visse l’assedio dei francesi sof39 Ralph Waldo Emerson SCIENZE E RICERCHE • N. 5 • MARZO 2015 • SUPPLEMENTO | ESSERE DONNA E FARE RICERCA IN ITALIA frendo molto sia per la città che tanto amava, per i suoi feriti ed i suoi morti, sia per il figlioletto lontano. Quando dovrà fuggire da Roma, ormai caduta in mano francese, e potrà finalmente raggiungerlo lo trova sofferente e denutrito: tutto quello che avevo sofferto, scrive, non è nulla di fronte al fatto di vederlo troppo debole per sorridere o per alzare la manina. Il suo modo di scrivere professionale, attento e acuto si caratterizza in Margaret come femminile perché, come abbiamo visto, accompagna le notizie con commenti personali rendendole meno astratte, più vere. Come la sua gente, la città di Roma viene descritta nei suoi aspetti più diversi. Chiese gremite, ricche di affreschi, quadri con storie di santi, cerimonie fastose, musica raffinata. La Roma dei grandi palazzi Barberini, Doria, il Quirinale e delle grandi ville, delle splendide carrozze dei cardinali e dei principi. E poi la Roma superstiziosa, delle visite ai cimiteri, dei dolci fritti in strada il giorno di San Giuseppe, dei balli in strada, della commozione per la liberazione di altri Stati, la Roma che acclama il Papa Pio IX per le grandi speranze suscitate e che poi, dopo la fuga e il tradimento, brucia i confessionali. Margaret descrive sia la Roma bella e affascinante delle prime speranze che la Roma devastata e depredata, la Roma delle ville bombardate, la Roma dei feriti e dei cadaveri dalla quale sarà costretta a fuggire. Bellissima e romantica è la sua descrizione della serena bellezza di Roma al tramonto, che niente lascerebbe presagire della distruzione causata dai bombardamenti che la stanno distruggendo. La lettera termina con un ultimo accorato appello ad un mondo che sta a guardare e ad aspettare sollecitando un seppure «tardivo: “Vergogna”!» e un richiamo al partire da sé: e se succedesse a voi? Roma, 27 maggio 1849 Sera Sono sola nello spettrale silenzio di una grande casa che, non molto tempo fa, era piena di volti allegri e riecheggiava di voci felici, mentre ora è abbandonata da tutti tranne che da me, poiché adesso quasi tutti gli stranieri se ne sono andati, cacciati dalla forza della calura estiva o da quella del nemico (...) Sono rimasta fuori sul terrazzo, a contemplare la città. Tutto dorme con quell’aria di serena maestosità che solo Roma possiede; (...) Cupole rotonde, tetti appena dipinti di muschio giallo! Quale profondo significato e quale pace si cela nei vostri contorni vagamente ravvisati! La luna nuova sale tra le nuvole, le nuvole di un temporale che s’allontana. Luna tenera e sorridente! E’ possibile che il tuo globo guardi in basso verso una Roma fumante che brucia lentamente e veda il suo sangue migliore scorrere sulle pietre senza che una sola nazione in tutto il mondo la difenda o gridi un tardivo: “Vergogna”? Aspetteremo, sussurrano le nazioni, e vedremo se i romani sapranno sopportare. torturateli bene per verificare se saranno coraggiosi. Se sapranno fare senza di noi, li aiuteremo. E’ così che se toccasse a voi vorreste essere trattati? State in guardia!40 A Firenze, dove la famigliola si rifugia dopo la fuga causata dalla caduta di Roma, Margaret riprese in mano i suoi appunti e cominciò a lavorare alla sua Storia della Repubblica Romana. Dopo un breve periodo però anche a causa di una precaria situazione finanziaria Margaret ed il marito decisero 40 Ivi, pp.297-298 di tornare in America dove lei aveva un lavoro e un reddito. La storia è nota: in un naufragio in vista della costa di New York, Margaret, il figlioletto e Ossoli, muoiono. Invano furono cercati i suoi appunti sulla Storia della Repubblica Romana. Ma la personalità di Margaret e il suo lavoro non potevano scomparire: Ralph Waldo Emerson, William Henry Channing e James Freeman Clarke decisero di onorarne la memoria pubblicando i Memoirs. Tuttavia il fantasma Margaret, spirito indipendente e rigoroso di una donna libera, sembrò spaventare anche i suoi estimatori e colleghi: i curatori cercarono quindi di costruire un’immagine “rispettabile” di Margaret tagliando dai suoi scritti interi passi, modificando parole troppo forti, smussando giudizi. I tagli vennero fatti anche con le forbici affinché non restasse nulla di compromettente. Essi sono visibili nella documentazione conservata alla Houghton Library di Harvard o alla Boston Public Library. Bell Gale Chevigny con un attento lavoro filologico ha riportato alla luce qualche passo, solo cancellato, che dimostra la forza straordinaria e l’efficacia descrittiva che ancora oggi emerge dalla sua scrittura. Un’efficacia che, come abbiamo visto, deriva proprio da quel punto di vista diverso, non usuale perché non conforme ai canoni delle scritture maschili, che Margaret consapevolmente utilizzava, ma che, appunto, viene, per quanto possibile censurato. Un destino analogo agli scritti di molte grandi donne come ad esempio Caterina da Siena i cui scritti vennero “rivisitati” e ridotti per migliorarne lo “stile”41 o Sibilla Aleramo che descrisse come le sue riflessioni più intime, e più vere, furono strappate via dalle prime versioni del suo libro Una donna perché giudicate troppo “femminili” sia da Ersilia Majno che dal suo compagno Giovanni Cena 42. In conclusione, spero di aver riportato all’attenzione aspetti forse sottovalutati delle scritture che si caratterizzano come femminili sottolineandone il valore a partire dalle cronache di una grande giornalista. In questo modo credo che si possa consentire non solo un’utile revisione dei canoni letterari affinché diventino più aperti ai contributi “diversi”, ma anche un sicuro arricchimento per la nostra coscienza critica alla base della nostra cultura e della nostra idea di cittadinanza43. 41 Per un approfondimento sulla “rivisitazione” delle opere di Caterina da Siena si veda di Marina Zancan, Il doppio itinerario della scrittura, Einaudi, 1998, pp.113-142 42 Una donna , di Sibilla Aleramo, venne pubblicato nel 1906, dopo essere stato rifiutato da diversi editori. Ivi, pag. 183-196 43 Per un approfondimento si veda di L.Moschini, Canoni e dissonanze. Appunti su letteratura, cittadinanza, pensiero differente, Roma, Aracne, 2012. 115 116