Perché nella formazione degli/delle insegnanti vi è la ricerca

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Perché nella formazione degli/delle insegnanti vi è la ricerca
Forum 2011 “Diventare insegnante – essere insegnante”
Cara Lettrice, caro Lettore
Ecco l’11ma edizione del forum!
“Diventare insegnante – essere insegnante”, è questo il punto fondamentale con il quale
poniamo al centro della presente edizione una professione che noi tutti abbiamo conosciuta in
modo molto personale. Per quanto concerne l’ambito della scuola sono in molti a sentirsi, in
grado minore o maggiore, degli esperti e delle esperte e ciò non è dovuto al caso. Quindi non
ci si può neppure ulteriormente stupire se il più delle volte si ha da ridire di tale professione e
ce se ne lamenta e raramente se ne raccontano cose positive. Inoltre le esigenze della società,
che vanno maturandosi, ingrossano il quaderno dei doveri in misura tale che molti/e
insegnanti, nello svolgere i propri impegni scolastici quotidiani, si sentono sovraccarichi. Ed è
così che il Thurgauer Zeitung, nell’edizione dell’11 dicembre 2010, si domanda: “Molti
insegnanti delle scuole statali si lamentano per la quantità di riforme. Nelle scuole Rudolf
Steiner non si odono lamentele in proposito. La scuola tace?” Kurt Bräutigam, insegnante della
scuola Rudolf Steiner di Kreuzlingen, risponde alla domanda come segue: “La differenza
essenziale sta certamente nel fatto che da noi alla guida della scuola vi sono le insegnanti e gli
insegnanti. Le riforme quindi non vengono dettate dall’alto, ma sviluppate dalla base stessa e
messe in atto. Quando le/gli insegnanti scoprono un punto debole, cercano di intraprendere il
cambiamento necessario in modo collegiale.”
Anche la formazione antroposofica degli insegnanti si sviluppa dalla base e perciò attiene molto
alla pratica. Non vi vengono formulate richieste né stesi programmi, ma vengono sviluppate
facoltà specifiche per imparare a comprendere il carattere e i bisogni dei bambini e dei giovani.
Nel suo articolo Robert Thomas descrive sette qualità che stanno al centro di tale formazione.
Inoltre nel presente forum presentiamo l’Accademia per la pedagogia antroposofica (Akademie
für anthroposophische Pädagogik - AfaP) e la Formazione pedagogica antroposofica della
Svizzera romanda (Formation pédagogique anthroposophique de Suisse romande - FPAS).
Entrambe le istituzioni offrono specifici corsi di formazione per insegnanti di scuole
Waldorf/Steiner. Di recente, per coloro che hanno concluso presso l’AfaP lo studio a tempo
pieno e lo studio di accompagnamento alla pratica, è stata introdotta la possibilità di un
passaggio diretto, tramite una passerella, alla Pädagogische Hochschule der Fachhochschule
Nordwestschweiz (Institut Primarstufe). Astrid Eichenberger, conduttrice dell’Institut
Primarstufe, nel suo breve contributo illustra gli elementi da cui ha tratto le motivazioni per
l’istituzione di tale passerella. Oltre a ciò, grazie a un’intervista, abbiamo modo di gettare uno
sguardo nella pratica formativa dell’insegnante, vista dalla prospettiva di uno studente.
Beatrice Maulaz, con il suo contributo sul jobsharing, ci parla di come l’immagine professionale
classica di un insegnante o di un’insegnante di una scuola Rudolf Steiner abbia acquisito nuovi
molteplici aspetti. Il rapporto tra insegnanti anziani e insegnanti giovani costituisce un ambito
conflittuale, paragonabile a un terreno scivoloso; nell’articolo “molto promettente” e “molto
esperto”, di Sibille Naito, si trovano chiarimenti al riguardo.
Il metodo della ricerca ispirata alla pratica si presta per poter affrontare in modo efficace
cambiamenti alla base, ossia nel lavoro scolastico quotidiano. Thomas Stöckli descrive tale
approccio di ricerca, che tende a migliorare il proprio agire professionale. Servendosi di un
esempio concreto, in questo caso di un progetto teatrale, Joseph Aschwanden illustra il
risultato delle proprie esperienze personali derivate da tale approccio di ricerca.
Roland Muff
Sette pilastri della professione di insegnante
La riuscita della pedagogia dipende da ogni singola insegnante, da ogni singolo insegnante.
Oltre alle molte competenze su piani differenti, anche le impronte animico-spirituali rientrano,
come sempre, nella vocazione, adempiuta o ancora da adempiere. Tali criteri qualitativi non
sono misurabili, ma se ne possono descrivere le caratteristiche. Caratteristiche che debbono
essere esercitate e sviluppate e questo è ciò che contraddistingue una formazione degli
insegnanti antroposofica.
Alla fine del XIX secolo Friedrich Nietzsche dichiarò: “Dio è morto” (La gaia scienza, 1886);
verso la fine del XX secolo Michel Foucault afferma che l’uomo dell’Illuminismo è in agonia
(Archeologia del sapere, 1969). Rudolf Steiner nel 1919 conia il concetto dell’ “essere umano
in divenire”. Tutti e tre i pensatori indicano con ciò che è necessario un nuovo pensare, per
incontrare il presente e per plasmare il futuro. Di conseguenza noi ci troviamo ad una soglia
della coscienza.
L’interesse per il presente unisce tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro origine
culturale, sociale e politica; gli educatori e le educatrici, gli insegnanti e le insegnanti, i maestri
e le maestre d’asilo si interessano in modo particolare al germe del futuro nell’essere umano in
divenire; essi pertanto sono motivati ad accompagnare i bambini e i giovani in crescita. Per
essere all’altezza di questa sfida, tali personalità necessitano di una formazione pedagogica
ampia ed ispiratrice. Il bambino porta in sé il futuro. Il compito dell’educatore e dell’educatrice
consiste nel procurare al bambino un ambiente tale che gli dia la possibilità di portare a
dispiegamento ciò che vive in lui.
Senso per ciò che sta divenendo
La famosa espressione di Eraclito: “panta rhei/tutto scorre”,
costituisce a mio parere il fondamento di una formazione
pedagogica. Nell’osservare i passi evolutivi dell’essere umano
bambino occorrono pazienza e metodo, al fine di percepire i
cambiamenti esteriori ed interiori. Se l’attenzione ai fenomeni
della natura è sufficientemente addestrata, allora sorge una
comprensione per i passaggi, le metamorfosi, i cambiamenti e
tutte le possibili trasformazioni delle forme visibili. Rudolf Steiner
esorta a rafforzare tale particolare interesse mediante esercizi, al
fine di sviluppare una acuita capacità di percezione. Nella
conferenza “L’educazione pratica del pensiero” egli spiega come,
attraverso innumerevoli esercizi pratici, si sviluppi una fiducia di
base tra pensiero e realtà. (Karlsruhe 18 gennaio 1909, dall’O.O.
108 – Editrice Antroposofica, Milano, 2008). Ciò che è percepibile
oggi nella natura e nell’uomo porta celata in sé la struttura della
forma futura.
Chiariamo ancor più quanto precede: è sempre avvincente e
stimolante ad esempio osservare un bambino di sette anni e cercare di rappresentarsi in
ispirito il suo viso o la sua figura vent’anni più tardi. All’inizio naturalmente la cosa è difficile,
ma con il tempo e con l’esercizio frequente se ne può acquisire una certa idea. Qui non si
tratta in alcun caso di fare pronostici irreversibili, ma di esercitare il senso per i cambiamenti.
Per contro si può osservare un sessantenne e cercare di immaginare nel presente quale figura
avesse da bambino. Nel fare questo esercizio è possibile naturalmente a posteriori valutare,
guardando una fotografia, quanto ci si è avvicinati alla realtà. Non importa l’utile che se ne ha,
ma importa conseguire l’equilibrio tra esattezza e fantasia. Questo è ciò che fa la realtà della
vita.
Insegnanti attenti/e hanno bisogno di tale dimensione del divenire, per accompagnare i propri
allievi e le proprie allieve attraverso gli anni della crescita fisica e psichica, nonché dello
sviluppo spirituale.
Senso per le polarità
I cambiamenti nell’essere umano si compiono nel corso dei giorni, dei mesi, degli anni, nel
corso dell’esistenza, entro la cornice di processi ben visibili: nascita e morte, veglia e sonno,
dimenticare e ricordare, attività e riposo, simpatia e antipatia, inspirare ed espirare. Lo
sviluppo di tutti gli esseri viventi è improntato da un ritmo. Secondo Rudolf Steiner è
importante che educatori ed educatrici prendano in considerazione tali polarità: “Tutta la
nostra azione d’insegnanti resterebbe manchevole, se non portassimo in noi la coscienza che,
nascendo, l’uomo ha ricevuto la possibilità di compiere quaggiù ciò che non gli era più possibile
di compiere nei mondi spirituali. Noi dovremo educare e insegnare e dare, anzitutto, al respiro
la giusta armonia col mondo spirituale. Nel mondo spirituale l’uomo non poteva compiere, allo
stesso modo come nel mondo fisico, il ritmo alterno tra veglia e sonno. Per mezzo
dell’educazione e dell’insegnamento, dobbiamo regolare questo ritmo… (Arte dell’educazione –
1.o Antropologia, Editrice Antroposofica, Milano, 1982).
L’educazione quindi si svolge sempre all’interno di un processo di respirazione.
Senso per l’arte
Una volta Gorge Braque scrisse: “L’arte è destinata ad
inquietare; la scienza rende sicuri”. Questa frase è
trasferibile al lavoro dei pedagoghi: essi devono riflettere
sempre di nuovo sui metodi, sulla prassi; senza posa essi
devono porsi sempre di nuovo domande e cercare nuovi
approcci; i progressi e i regressi nel processo di
apprendimento degli/delle allievi/e sono sempre indicazioni
sul modo in cui devono essere configurate le fasi di
insegnamento successive. All’insegnante è permesso
lavorare con tale costante “inquietudine”; essa gli dà lo
sprone per comprendere ancora meglio, la volta successiva,
la situazione pedagogica. Una brutta esperienza in questa
professione è rivelatrice del fatto che vi si era insinuata una
routine. Abitudini, automatismi e standardizzazioni nel
metodo di insegnamento, come pure nella trasmissione dei
contenuti delle materie, fanno pensare che si annuncia un
burnout o addirittura che si è annunciato un cambio di
professione. Soltanto insegnanti attivi/e, indagatori e
indagatrici possono soddisfare i bisogni degli allievi e delle
allieve e scoprire e presentare a nuovo la materia di
insegnamento. Ne nasce un processo vivente, descritto anche da innumerevoli artisti/e: un
rapporto stretto con l’attività che si esercita in quel momento e al tempo stesso una grande
distanza da essa. Nella vita vicinanza e lontananza non si contraddicono.
Questo processo non può venire insegnato in alcun seminario di formazione per insegnanti e in
alcuna università in cui si insegni pedagogia; vi si può soltanto accennare, ogni volta di nuovo.
L’arte pedagogica è sperimentabile soltanto nella pratica e attraverso di essa. La formazione
antroposofica degli insegnanti è perciò sempre collegata con la pratica. L’ “inquietudine” degli/
delle insegnanti nei riguardi della presunta inerzia o sciatteria degli/delle allievi/e è sovente la
miglior fonte per un rinnovamento di metodo, con conseguente miglioramento della lezione; da
ciò traggono profitto tutti/e gli/le allievi/e.
Senso per l’autoconoscenza
Il famoso psicologo Horward Gardner (Harvard University), noto per il suo studio sulle
intelligenze multiple, investigò il “caso Mahatma Gandhi”. Egli si convinse del fatto che Gandhi
possedesse un’intelligenza particolare: un’intelligenza dell’autoconoscenza, che gli rendeva
possibile un’autentica padronanza di sé. Così come un’intelligenza matematica rende possibili
determinate prestazioni intellettuali complesse, allo stesso modo esiste una forma di
intelligenza che può condurre ad una autoconoscenza chiara, competente, inclemente. Il
potere particolare che Gandhi ha sul suo prossimo – che comunque si fonda sull’altruismo – è
esemplare nel suo contrapporsi all’abuso di potere e a tutti i diritti politici consueti. Gandhi
dice: “Sii tu stesso il cambiamento che ti auspichi per questo mondo.”
Una autentica autoconoscenza esige pazienza, lavoro, metodo e disciplina. Rudolf Steiner vede
gli/le insegnanti quali uomini e donne che si trovano sulla via di una lunga formazione.
Pertanto ciò che essi/e dicono e fanno non ha discrepanze con ciò che essi/e pensano, sentono
e sono. Il senso necessario per percorrere questa via di formazione è individuale e può
prendere forma mediante il lavoro alla propria biografia, mediante esercizi di concentrazione,
famigliarità con l’arte, vicinanza con la natura, studio di vite esemplari, meditazione,
attenzione nei confronti di se stessi e degli effetti che la propria personalità ha sugli altri. Chi si
esercita in questo senso, anche in piccolo, potrà essere significativamente utile al suo
prossimo. Nella conferenza “Nervosità, fenomeno del nostro tempo” (Monaco di Baviera, 11
gennaio 1912 – Editrice Antroposofica, Milano, 1976) Rudolf Steiner illustra come
l’osservazione dei propri atteggiamenti, delle proprie azioni, significhi un risanamento
dell’uomo intero. Soltanto un insegnante che si sforzi costantemente di trovare un equilibrio
interiore può accompagnare bambini e giovani.
Senso per la creatività didattica
Chi insegna ha bisogno di un buon fiuto per trovare il modo di trasmettere il contenuto della
materia di studio. I metodi di insegnamento a disposizione, quegli stessi che negli ultimi anni
sono stati sistematicamente indagati dalla scienza dell’educazione e dalla neuropsicologia, sono
molteplici. Una conoscenza approfondita dei diversi metodi di insegnamento crea il
presupposto per la giusta scelta di quello ritenuto opportuno ad incentivare gli/le allievi/e in un
determinato periodo. Una formazione antroposofica degli/delle insegnanti prende in
considerazione l’idoneità alla pratica. All’interno di un’aula di classe gli studenti vengono
confrontati con compiti che devono gradualmente risolvere; i praticanti e le praticanti, in
qualità di mentori, fanno da assistenti di tali importanti esperienze e creano quella distanza
critica utile all’elaborazione delle esperienze stesse. Questo fare, unito alla riflessione
collegiale, rende attraente il corso di formazione di insegnanti.
Non soltanto la teoria, ma l’esperienza assistita e, più tardi, il sostegno collegiale danno
ulteriore aiuto agli/alle insegnanti. Diventa creativa quella didattica che nelle riunioni di
Collegio poggia su uno scambio intenso dei passi di apprendimento che si sono osservati in
allievi e allieve (ossia sui cosiddetti colloqui pedagogici, che hanno al centro di volta in volta un
allievo o un’allieva). Non si tratta di un che di appropriato perché rispettoso delle norme; si
tratta di un che di appropriato ai bisogni e alle capacità degli allievi e delle allieve. La materia
stessa diventa fattore di sviluppo e non semplicemente materia, oppure training o tecniche di
cultura. Tale didattica è utile primariamente al sano sviluppo del bambino e cerca di
sostenerne lo sviluppo individuale animico e motorio (Jean Piaget, La nascita dell’intelligenza
nel fanciullo, Ed. italiana 1991, Giunti e Barbera ed., Firenze). Per mezzo di un equilibrio tra
l’animico e il fisico e di un ritmo sano che permei le materie di insegnamento, la didattica
diviene salutogenesi. La trasmissione delle materie di studio e la forma in cui essa viene
attuata devono agire sugli allievi e sulle allieve in modo armonizzante, equilibrante, persino
rinvigorente.
Senso per la relazione pedagogica
Educazione è relazione; un’educazione alla capacità di relazione è oggi una finalità della scuola
universalmente riconosciuta; anche gli psicologi, i medici ed altri esperti sono a questo
proposito unanimi. La domanda determinante è però come poter educare negli allievi e nelle
allieve tale capacità in modo libero, individuale, imparziale. Ancora una volta a decidere non è
il cosa ma il come. La capacità di relazione non può venire insegnata, oppure inserita come
materia nel piano di studi: ad esempio il mercoledì alle 11.00! Se modellata attraverso
iniziative di tipo interdisciplinare, incrociate, essa incentiva la cooperazione fra le diverse
materie di studio, quali ad esempio la biologia, il tedesco, la pittura e la scultura. “Se vuoi un
bambino capace di intessere relazioni, allora donagli un ambiente che gli dia protezione,
involucro e una ricca esperienza sensoriale. Plasma la tua relazione con il bambino – ma anche
quelle con gli adulti – in modo tale che esse siano degne di venire imitate.” (Christian
Breme/Joseph Aschwanden, Schulkreis 4/09).
Senso per i bisogni sociali della società
È difficile distinguere fra loro le caratteristiche derivanti dall’ereditarietà genetica, le qualità
condizionate dall’ambiente e la propria identità ed è difficile anche intuirle. È da relativamente
poco tempo che l’umanità comincia a capire e a diventare cosciente del fatto che i valori
comuni (giuridici, filosofici, religiosi e scientifici) non sono negoziabili: la dignità dell’uomo è
intangibile; il diritto alla vita, la libertà, l’equiparazione dei diritti, la libertà di esprimere la
propria opinione fanno da cornice a quell’umanità che vuole dispiegarsi nel futuro. In fondo
non si tratta di un’alternativa o di una riforma pedagogica interessante; si tratta di plasmare
un futuro degno dell’uomo!
Un simile futuro ci sarà, se verrà realizzato individualmente; ma non ci sarà, se ad imporsi è
un collettivo oppure un’ideologia. Pertanto occorre rispettare l’autonomia del pensare. “Quel
che importa al momento attuale, è che si radichi completamente la scuola in una vita
spirituale-culturale libera. Il contenuto dell’insegnamento e dell’educazione deve essere attinto
unicamente dalla conoscenza dell’uomo in via di divenire e delle sue disposizioni individuali.
Educazione e istruzione devono avere per base un’antropologia conforme al vero. La domanda
che va posta non è: che cosa occorre che l’uomo sappia, e sappia fare, per l’ordinamento
sociale esistente?, ma l’altra: quali disposizioni porta l’uomo in sé e che cosa può in lui venir
sviluppato? In questo modo diverrà possibile che la generazione che cresce apporti forze
sempre nuove all’ordinamento sociale.” (Rudolf Steiner, I punti essenziali della questione
sociale – Scritti: In margine alla tripartizione dell’organismo sociale, O.O.24 – Fratelli Bocca
Editori, Milano, 1950).
Ciò che caratterizza gli insegnanti e le insegnanti è il desiderio di esercitare una particolare
responsabilità. Essi si impegnano a prendere atto in modo approfondito, complessivo e
sistematico delle disposizioni individuali del bambino e del giovane, a studiare un’antropologia
spirituale ampliata ed a promuovere nell’essere umano infantile, mediante adeguati mezzi
didattici, il ritrovamento di se stesso (praticare l’antropologia). Questo impegno nei confronti
dell’individualità degli allievi e delle allieve vivifica la collaborazione con i genitori e i colleghi.
Gli insegnanti e le insegnanti sono a dire il vero altamente impegnati/e politicamente; han da
plasmare qualcosa che darà alla società civile di domani un’impronta autorevole. Ciò avviene
senza rivendicazione di potere; si tratta unicamente della dignità dell’uomo e della libertà. Gli
insegnanti e le insegnanti Waldorf si sforzano di introdurre in modo cosciente nel proprio
lavoro quotidiano lo spirituale e l’essenziale, poiché entrambi sono parte della coscienza
umana.
Se le nostre rappresentazioni di Dio sono da tempo antiquate (Friedrich Nietzsche) o sono
diventate fondamentaliste; se l’immagine dell’uomo razionale, illuminista non corrisponde più
alle esigenze dell’universalmente umano (Michel Foucault), allora bambini e giovani devono
poter crescere attraverso se stessi. Insegnanti formati/e ne diventano gli accompagnatori e i
fautori, affinché il futuro possa plasmarsi sempre a nuovo.
Robert Thomas, nato nel 1949, cresciuto in Francia, ha studiato Scienze sociali e Psicologia,
dal 1976 svolge attività di insegnante a Zurigo, dal 2003 insegna Storia e Storia dell’arte alla
Scuola Atelier nelle classi dalla 10.a alla 12.a,
Responsabile del Centro di coordinamento delle scuole Rudolf Steiner della Svizzera,
Cofondatore e Docente della formation pédagogique anthroposofique de Suisse romande.
Estratto da un articolo che apparirà nell’estate 2011 in una pubblicazione della Comunità di lavoro
(Arbeitsgemeinschaft) sul tema Formazione degli insegnanti.
Accademia per la pedagogia antroposofica
La formazione specialistica, riconosciuta, che prepara gli insegnanti di una scuola Rudolf
Steiner la si consegue al termine di uno specifico percorso formativo pluriennale. La
competente istituzione per la Svizzera di lingua tedesca si trova accanto all’Università di
Scienza dello spirito a Dornach.
Uno sguardo all’indietro
La formazione degli insegnanti ebbe inizio con la fondazione delle prime scuole, di Basilea e di
Zurigo, negli anni 1926-27. Oltre a Willi Aeppli, della scuola di Basilea, vi collaborarono
autorevolmente insegnanti provenienti soprattutto da Zurigo; questa loro collaborazione fu
determinante per il primo Seminario Pedagogico zurighese. La formazione degli insegnanti si
consolidò nel 1952 con la fondazione del Seminario Pedagogico al Goetheanum, sotto la
direzione di Annie Heuser. Nel 1974, insegnanti delle scuole di Basilea e di Zurigo fondarono
un’Associazione, che procurò al Seminario la necessaria autonomia economica e giuridica e che
ancor oggi ha eretto l’edificio che è stato adibito ai corsi del Seminario Pedagogico. A seguito di
ciò il Seminario ha trovato un ancoraggio ancora più forte all’interno del Movimento svizzero
per la scuola. Nel 1997 il Seminario è assurto al livello di höhere Fachschule, sotto la direzione
di Marcus Schneider e Thomas Stöckli, e ha sviluppato un nuovo concetto formativo, che
prevede una più intensa formazione pratica nelle scuole. Nel 2007 da tale progetto è nata
l’Accademia di pedagogia antroposofica (Akademie für anthroposophische Pädagogik - AfaP),
con un’offerta ampliata ed un profilo formativo più chiaro.
L’AfaP oggi
La qualità e la durevolezza del lavoro pedagogico che ci si assume nelle scuole Rudolf Steiner
dipendono in modo determinante dalla maniera in cui gli insegnanti e le insegnanti sanno
mettere in pratica, con fantasia e abilità, i fondamenti di tale pedagogia. Per questa “arte
dell’educazione” sono richieste determinate irrinunciabili capacità; esse vengono trasmesse
nella cornice dello studio all’AfaP e sono: l’acquisizione di conoscenze consolidate della
pedagogia antroposofica e dei suoi fondamenti antropologici, la coscienza metodo-didattica, la
riflessione sul proprio lavoro nel contesto delle proprie forze e delle proprie competenze,
l’educazione della coscienza artistica, la capacità di realizzare il lavoro scolastico di ogni giorno
in forma ampliata e la percezione della realtà scolastica dei bambini.
Oggi l’AfaP, con i suoi 80 studenti, è il più
grande centro di formazione in pedagogia
steineriana della Svizzera. Nei 14 anni
trascorsi dalla fondazione ad oggi sono
stati formati circa 140 studenti. Circa un
terzo di loro nel frattempo svolgono
attività pedagogica in scuole Rudolf
Steiner o in altre istituzioni pedagogiche
della Svizzera o della Germania. Una parte
dei/delle diplomati/e insegna anche presso
istituti statali.
I corsi di studio dell’AfaP
Sono quattro i corsi di studio nei quali
all’AfaP gli studenti vengono preparati alla
pratica professionale o a un’attività nell’ambito prescolare. Ciò consente, una volta colti i
presupposti individuali e i punti maggiormente importanti, di scegliere un corso di studio
adeguato. Inoltre le offerte dell’AfaP si rivolgono a giovani studenti, ad insegnanti formati/e e
attivi/e nelle scuole pubbliche, a insegnanti di scuole Rudolf Steiner privi/e di formazione
antroposofica e a genitori interessati, che volentieri vorrebbero impegnarsi attivamente nel
lavoro pedagogico delle scuole.
Pedagogia elementare (3 anni)
Il corso di studio di pedagogia elementare si rivolge a professionisti che portano in dote
esperienze pedagogiche in ambito sociale o educativo e che aspirano ad un’attività di
educatrice o di educatore nell’ambito prescolare per l’età che va dai 4 ai sette anni.
L’insegnamento all’AfaP è organizzato in modo da svolgersi prevalentemente nei fine
settimana; attività professionale individuale e partecipazione al corso possono così conciliarsi.
Corso di studio a tempo pieno (2 anni)
Il corso di studio a tempo pieno si rivolge a coloro che, nella cornice di detto corso, vorrebbero
venire introdotti alla pratica pedagogica di una scuola Rudolf Steiner. Questo corso di studio è
concepito in modo tale che, accanto ai corsi che si tengono il fine settimana e ad altri distribuiti
in periodi, i quali vengono completati insieme agli altri corsi di studio, vengono organizzate
lezioni anche durante la settimana. Dette lezioni si tengono presso l’AfaP.
Corso di studio di accompagnamento alla pratica (3 anni)
Il corso di studio di accompagnamento alla pratica si rivolge ad interessati/e che già sono
attivi/e come insegnanti in una scuola Rudolf Steiner, senza avere completato una formazione
nella pedagogia antroposofica. Lo studio è aperto anche ad insegnanti di scuola statale, i quali
vorrebbero familiarizzarsi con la pedagogia antroposofica. Questo corso di studio è concepito in
modo che la regolare attività di apprendimento venga integrata dalla parte pratica. I corsi
all’AfaP hanno luogo prevalentemente durante i fine settimana, sicché l’attività individuale di
insegnamento è conciliabile con la presenza alle lezioni previste dal corso di studio.
Corso di studio di accompagnamento alla professione (4 anni)
Il corso di studio di accompagnamento alla professione si rivolge a interessati/e i/le quali,
parallelamente alla propria attività professionale (può anche trattarsi di una attività di
insegnamento in una scuola statale) vorrebbero completare il corso di formazione all’AfaP. Lo
studio è concepito in modo tale che da un lato gli studenti vengono gradualmente guidati
dentro la pratica pedagogica all’interno di una scuola Rudolf Steiner e dall’altro frequentano i
corsi di studio presso l’AfaP, i quali si svolgono prevalentemente nei fine settimana; sicché
l’attività individuale professionale è conciliabile con la presenza alle lezioni previste dal corso di
studio.
I concetti di formazione che comprendono la formazione pratica nella scuola
Una caratteristica essenziale di tutti i corsi di studio è d’essere accompagnati da una vasta
formazione pratica. Questo rende possibile agli studenti un intenso confronto con i compiti
della professione di insegnante e un rapporto diretto con il bambino. Mediante la ricerca
ispirata alla pratica, le esperienze vengono connesse con i contenuti dello studio, sicché dalla
teoria e dalla pratica nasce un collegamento vicendevole ed arricchente. Lo studio pratico
comprende quattro ambiti: presenziare in qualità di uditore alle lezioni di un/una insegnante
esperto/a; esperienze individuali di insegnamento; lavoro collegiale e realizzazione di un
progetto individuale di ricerca ispirata alla pratica. Affinché lo studio pratico rappresenti, tanto
per gli studenti quanto per le scuole, un valido arricchimento, l’AfaP lavora direttamente con le
scuole, con i loro mentori e con la Comunità di lavoro delle scuole Rudolf Steiner.
Lo studio all’AfaP secondo i contenuti poggia su tre pilastri
L’antropologia antroposofica, permanentemente approfondita, unita alla metodologia e
didattica, nonché il lavoro artistico in discipline differenti, formano il fondamento dello studio
all’AfaP. Oltre a ciò gli studenti, mediante la scelta di moduli specialistici, ampliano le proprie
competenze nelle specifiche discipline e possono conseguire qualifiche mirate all’attività
professionale alla quale aspirano. Attualmente vengono offerti i seguenti moduli specialistici, ai
quali è possibile iscriversi anche indipendentemente dalla frequenza di un corso di studio:
pittura e storia dell’arte, ginnastica, lingue straniere e musica.
Accettazione e ammissione allo studio all’AfaP
L’ammissione allo studio all’AfaP è preceduta da un colloquio con i responsabili della direzione
dell’Accademia stessa; inoltre va tenuto conto in prima linea del percorso formativo individuale
e dell’attitudine personale. I criteri specifici d’ammissione si trovano in:
www.paedagogik-akademie.ch > Studium > Formulare und Studienunterlagen >
Zulassungsvoraussetzungen.
Il corso di studio di pedagogia elementare (gradino asilo) inizia ogni anno a gennaio (iscrizione
entro metà dicembre); i restanti corsi di studio iniziano in seguito a un colloquio individuale
con i responsabili della direzione dell’Accademia.
Le conclusioni degli studi
Tutti i corsi di studio portano a un diploma in pedagogia antroposofica, che dà diritto a
svolgere un’attività di insegnamento presso una scuola Rudolf Steiner, rispettivamente scuola
Waldorf, in qualsiasi parte del mondo. La qualifica personale relativa alla specializzazione o al
grado si attiene alla dimostrazione individuale delle competenze delle diplomate e dei diplomati
Novità: la Passerella
Oltre a ciò, per i diplomandi del corso di
studio a tempo pieno e di quello di
accompagnamento alla pratica sussiste,
dall’ottobre 2010, una possibilità di
accedere direttamente alla Pädagogische
Hochschule der Fachhochschule
Nordwestschweiz – Institut Primarstufe
tramite una Passerella. La conclusione della
Passerella dell’AfaP porta al conseguimento
di un diploma di insegnante riconosciuto in
Isvizzera e valido per l’insegnamento che va
dal 1.o al 6.o anno di scuola. Il diploma è
accompagnato dal titolo “Insegnante
diplomata/Insegnante diplomato per il
grado primario (EDK)”, come pure dal
“Bachelor of Primary Education”. La
Passerella dell’AfaP è concepita per un corso di studio della durata di 3 semestri.
Thomas Stöckli, Marcus Schneider, AfaP-Studienleitung
Informazioni ulteriori sui corsi di formazione dell’AfaP: www.paedagogik-akademie.ch
La Passerella AfaP – Pädagogische Hochschule FHNW
I percorsi professionali e gli sviluppi individuali nella circostanza ideale si influenzano
positivamente. I giovani di oggi connettono alla scelta della professione l’aspettativa che sia
possibile collegare fra loro il percorso individuale professionale ed un progetto individuale di
vita orientato verso il futuro. Il superamento di nuove sfide e il conseguimento di ulteriori
qualifiche, come pure le prospettive di carriera sono desideri che, giustamente, stanno in
posizione del tutto centrale.
La Passerella per le diplomate e i diplomati dell’AfaP è una prospettiva di sviluppo
che li accomuna:
gli studenti altamente motivati conseguono un riconoscimento statale che attesta la
conclusione degli studi. Gli studenti e i docenti della Pädagogische Hochschule der
Fachhochschule Nordwestsschweiz, grazie alla presenza di compagni di studio con un percorso
formativo diverso, vengono arricchiti sia umanamente che pedagogicamente. Il frammischiarsi
degli insegnanti nelle aule dei docenti, sia alle scuole Rudolf Steiner che alle scuole statali,
rispecchia l’eterogeneità sociale. Le radici della Passerella recentemente creata stanno anche
nei convegni di formazione permanente che si sono tenuti a Dornach; convegni organizzati e
vissuti insieme.
Astrid Eichenberger, Direttrice dell’Istituto del grado primario, Pädagogische Hochschule FHNW, Liestal
“Ho sentito in che modo posso personalmente crescere.”
Uno studente dell’Accademia di pedagogia antroposofica (AfaP) racconta come sia giunto alla
decisione di frequentare il corso di studio di accompagnamento alla pratica; come gli sono
andate le cose durante il suo primo esperimento pratico e come ne sia seguito un
apprendimento che non ha fine.
Come sei cresciuto?
Sono cresciuto a contatto con la natura. Dopo la
scuola elementare ho frequentato la scuola
cantonale di Kreuzlingen. Oltre alla scuola, lo sport
è sempre stato per me importante; ho praticato
l’atletica leggera. Dopo la maturità ho deciso di
iniziare lo studio di ingegnere edile. Per ovvi motivi,
in quanto membri della mia famiglia hanno sempre
svolto attività nel settore dei lavori stradali.
Tuttavia, dopo un anno, constatai che quello studio
era per me troppo teorico. Feci una pausa e grazie
al servizio civile potei farmi un’idea del lavoro con
gli altri. Ho lavorato in un centro di terapia per le
tossicodipendenze. Dopo di che ho svolto un tirocinio in un ricovero per senzatetto e ho
intrapreso la formazione in pedagogia sociale a Zurigo. Il passo verso la professione sociale era
dato dal fatto che io stesso non mi ero ancora trovato. Si trattava di un processo per
conoscermi meglio, poiché lavorando con gli altri mi ci potevo rispecchiare. Ne ricavai una
grande fiducia in me stesso e cominciai ad impegnarmi politicamente, ad esempio nel redigere
progetti per la realizzazione di aree lastricate dove i bambini potessero giocare a calcio. Grazie
a questo impegno sono giunto alla mia attuale attività. Oltre a portare avanti lo studio, lavoro
con giovani disoccupati e li accompagno nella ricerca del loro inserimento professionale.
Fu sempre chiaro che avresti voluto fare la formazione per diventare insegnante di
scuola Waldorf?
Nei miei pensieri reconditi cercavo di cogliere quali nuove vie potessero esserci per trasmettere
ancora meglio ai giovani disoccupati la gioia dell’apprendere. Mi decisi così a incominciare la
formazione in pedagogia antroposofica all’AfaP. All’inizio, l’idea di diventare insegnante non mi
era così vicina. Il desiderio divenne concreto soltanto quando iniziai il tirocinio qui a Wetzikon e
constatai come la professione di insegnante sia una professione che mi piace in modo
particolare. Ho seguito un sentimento interiore.
Hai il ricordo di un insegnante o di un’insegnante che ti ha fatto un’impressione
particolare?
Il mio insegnante di geografia alla scuola cantonale. Gli mancava poco tempo ad andare in
pensione. L’aula nella quale egli preparava le sue lezioni era piena di libri provenienti da tutto il
mondo. Era un grande narratore di storie. Noi allievi cercavamo sempre di esortarlo a
raccontarci una storia. Era un uomo erudito e grazie ai suoi numerosissimi viaggi conosceva
molti aneddoti che riguardavano le varie culture e le diverse regioni. Attraverso le sue storie ha
saputo darmi una comprensione del mondo. Ne presi coscienza soltanto quando iniziai a
confrontarmi con la pedagogia antroposofica. Nell’insegnare si tratta proprio di quello.
Hai iniziato la tua formazione all’AfaP lo scorso settembre. Quali sono le tue prime
impressioni?
Sono pieno di impressioni. All’inizio non sapevo bene cosa mi aspettasse. Il modo di
apprendere mediante conversazioni e discussioni mi corrisponde. Vi sono molti temi, quali ad
esempio l’antropologia, che attraverso le conversazioni in comune diventano molto stimolanti.
Trovo preziose le materie artistiche, quali la pittura, l’euritmia o l’arte della parola.
Ho sentito in che modo posso personalmente crescere. Quelli artistici sono ambiti nei quali a
scuola mi sono sempre mosso con difficoltà. Le risposte che ne ottenevo avevano fatto sì che
ben presto avessi di me l’immagine di uno che disegna male. Ora provo una grande gioia e
grande entusiasmo nel farlo.
Al momento siamo 35 partecipanti, che frequentano o il corso biennale a tempo pieno, o quello
triennale di accompagnamento alla pratica, oppure quello quadriennale di accompagnamento
alla professione. L’organizzazione è tale per cui tutti quanti, alla conclusione del proprio corso,
avranno trattato il più possibile tutti i temi. Io frequento il corso di accompagnamento alla
pratica.
Tu ora sei a Wetzikon a svolgere il tuo tirocinio. Puoi raccontare come si svolge?
Prima delle vacanze natalizie ogni giovedì ho presenziato come uditore in diverse classi. Già la
prima volta ebbi la fortuna di venire interpellato in merito alla mia disponibilità ad accettare
una sostituzione nell’ora raddoppiata di lavoro manuale in 6.a classe. Fui grato per quella sfida.
Così, oltre al giovedì fui nella scuola anche il mercoledì, per quelle due ore.
Come ti sei trovato a stare per la prima volta davanti a una classe?
Ero agitato, ansioso per l’effetto che avrei fatto sui bambini. L’insegnante mi aveva ben
preparato, raccomandandomi di non fare il lavoro manuale classico con ago e filo, ma di fare
qualcosa con la carta. Decisi di trasmettere ai bambini l’arte giapponese di piegare la carta,
l’arte degli origami, che fu accolta molto bene. All’inizio i bambini cercarono di tastare i confini.
Uno di loro mi chiese in modo diretto se sapevo essere severo. Fino a Natale andò bene. Dopo
di che demmo inizio ad un nuovo lavoro: le tavolette per la tessitura. In quell’occasione, per
due volte mi trovai in difficoltà. C’erano agitazione e baccano. Un’insegnante di lavoro manuale
mi diede poi la spintarella giusta, suggerendomi di parlare con i bambini all’inizio della lezione
e insieme a loro prendere degli accordi. Le due ore che seguirono furono buone ed operose.
Nel periodo successivo alle vacanze natalizie, fino alle vacanze dedicate allo sport, svolsi il mio
tirocinio: fui ospitato nella 5.a classe di Michèle Truog e lì tenni lezioni.
Come ti è andata?
Fu per me molto avvincente. Era tutto nuovo. Avevo notato come soltanto attraverso il fare io
riuscissi ad acquisire le competenze necessarie. All’inizio fu difficile valutare i bambini; a che
punto si trovavano, a che velocità potevo procedere e come potevo preparare le lezioni
affinché potessero seguirle e reagissero al contenuto. Ero teso e concentrato soprattutto
sull’andamento della lezione, sul suo svolgimento, nel modo in cui l’avevo predisposto. Questo
fece sì che non potessi entrare bene in relazione con la classe e in parte si esigeva troppo da
me, con risposte inattese da parte dei bambini. Più tempo passavo davanti alla classe, più
sicuro diventavo. Adesso nel corso della lezione posso muovermi liberamente, posso accogliere
meglio domande ed osservazioni che provengono dai bambini ed intrecciarle con
l’insegnamento. È bello notare come io ora sia una parte del tutto. Nelle ultime lezioni potei
gioire dell’insegnamento; percepivo come una cosa avvincente ed istruttiva l’imparare ad
incontrare i bambini e a capirli meglio. Naturalmente questo non mi riuscì sempre. Allora
percepivo la lezione come faticosa e dopo mi sentivo stanco.
Mi trovo in difficoltà quando perdo il filo e in quel momento non so più come vorrei procedere
per far sì che il passaggio da un tema al successivo sia fluido. Anche quando, durante il lavoro
individuale, alcuni bambini non fanno ciò che ho dato loro come compito, sento che si chiede
qualcosa di superiore alle mie forze dover tener d’occhio 25 allievi e reagire
contemporaneamente a tutte le domande. Allora mi accorgo che non ho dato spiegazioni
esaurienti. Quando accadono troppe cose inattese, allora vivo la situazione come superiore alle
mie forze.
In quanto insegnante giovane, di certo benefici di un bonus?
Ho notato, ad esempio durante la lezione di lavoro manuale, come i bambini si rallegrassero
del fatto di avere un insegnante giovane. Mi trovavano disinvolto e tollerante su molte cose. È
bello, in 5.a classe, sentire i bambini chiederti cosa insegnerai la prossima volta e vederli
gioire. Se durante la lezione vedo i bambini partecipare, penso che essi sono contenti di me.
Tuttavia il fatto che la loro insegnante sieda dietro di loro, esercita un grande influsso sulla
classe.
Tu hai partecipato anche alle riunioni del Collegio degli insegnanti. Che impressione
ne hai avuta?
Trovo la prima parte delle riunioni collegiali, con la lezione artistico-musicale, con uno sguardo
all’insegnamento da parte di un/una insegnante e con le conversazioni sull’antropologia, molto
arricchente. Nelle riunioni di Collegio delle classi inferiori, a causa dell’autogestione, noto come
talvolta siano necessarie lunghe discussioni prima che venga trovata una soluzione accettabile
per tutti/e; noto anche come vi siano alcuni punti focali che per me, nella mia qualità di
esterno, sono di difficile comprensione. Io penso che ciò emerge in modo così forte perché
tutti/e gli/le insegnanti sono indipendenti e pur tuttavia sono una parte della scuola. Quando
parlo con compagni di studio, quel che ne ricavo è che ai giovani riesce più facile occuparsi di
certi ambiti di responsabilità.
Cosa pensi dell’antroposofia?
Da quando, un anno fa, in occasione della raccolta delle
olive presso una fattoria Demeter, ho sentito per la prima
volta parlare dell’antroposofia, ho continuato ad
occuparmene. Nelle sue conferenze Steiner disse che noi, in
quanto insegnanti, dobbiamo passare ai bambini latte
animico. Non qualcosa di astratto quindi, ma qualcosa che li
tocchi, li nutra e renda possibile la fantasia. Quando leggo
Steiner, incontro sempre punti che mi sembrano noti e che
mi toccano. Accade che io avverta una profonda relazione
ed una grande gioia, poiché nei suoi testi io trovo risposte a
domande che già da tempo mi accompagnano. È chiaro che
mi sorgono anche degli interrogativi. Ho anche in parte il
sentimento che le nuove domande aumentino in modo
preoccupante. Trovo molto avvincente il confronto con
Steiner e percepisco le sue asserzioni non come estranianti,
ma provocatorie.
Molte grazie per la conversazione.
La conversazione con Pascal Pauli, studente dell’Accademia di pedagogia antroposofica e tirocinante
presso la scuola Rudolf Steiner Zürcher Oberland, è stata condotta da Michèle Truog e Christian Labhart.
Dal Bollettino della scuola Rudolf Steiner Zürcher Oberland, primavera 2011, leggermente abbreviato.
Perché nella formazione degli/delle insegnanti vi è la ricerca ispirata
alla pratica?
Una/un insegnante dovrebbe essere una persona con conoscenze generalizzate nel senso più
ampio. Il campo di studi che si schiude comprende molti temi e molte discipline e lo studio
stesso ed il tenersi costantemente informati non hanno fine. Tuttavia l’ambito di ricerca più
importante è la pratica, che si svolge in collaborazione con le allieve e gli allievi stessi.
All’Accademia di pedagogia antroposofica
(AfaP) viene attribuita un’importanza
centrale alla ricerca con un orientamento
pratico e si è venuta maturando
un’esperienza che si estende su un arco di
tempo di ormai 15 anni. Inoltre la ricerca
svolta all’interno dell’attività pratica e ad
essa ispirata, fornisce un fondamento su basi
scientifiche per instaurare preziose sinergie
tra teoria e pratica e connettere l’uno con
l’altro, in modo diretto, questi due ambiti
centrali della formazione dell’insegnante. In
tal modo gli studenti possono, come
accompagnamento allo studio, venire guidati
nella pratica pedagogica e passo dopo passo crescere entro le sfide della professione di
insegnante. La conseguente inclusione, nella cornice della formazione, della ricerca con
orientamento pratico, porta seco un contributo essenziale affinché gli/le insegnanti esordienti
attribuiscano, anche nella loro (imminente) pratica professionale, un significato ampio alla
comprensione di cosa siano l’apprendere e l’acquisizione di competenze.
Anche Rudolf Steiner sostiene una corrispondente concezione nei riguardi del collegamento tra
teoria e pratica: “Nella conoscenza dell’uomo non ha alcun senso parlare di una differenza tra
teoria e pratica. Una conoscenza dell’uomo infatti, che non possa diventare essenzialmente
attiva nella prassi di vita, è una somma di rappresentazioni che si librano come ombre nella
mente, ma che non arrivano fino all’uomo. Una prassi di vita, che non sia interamente
illuminata dal conoscere l’uomo, brancola insicura nel buio.” (1)
Steiner infatti si aspetta che gli/le insegnanti, muovendo da forze interiori di fantasia e da una
coscienza pedagogica addestrata, che si orienta verso un’ampia psicologia dello sviluppo e
verso una comprensione dell’essere umano nella sua interezza, sviluppino da se stessi quella
messa in pratica che l’insegnamento quotidiano richiede.
In parallelo egli organizza riunioni settimanali degli/delle insegnanti, da lui pensate quale
formazione continua degli/delle stessi/e: “Queste riunioni degli insegnanti non hanno solo lo
scopo di preparare le pagelle per gli scolari, consigliarsi su questioni amministrative della
scuola e simili, oppure su punizioni che si devono dare agli scolari se hanno commesso
qualcosa di male; esse sono in realtà la continua vivente università per il Collegio degli
insegnanti. Sono il costante seminario. Lo sono per il fatto che per il maestro ogni singola
esperienza che egli fa nella scuola diviene un oggetto per il suo apprendimento, per la sua
educazione.” (2)
Alla luce di tale concetto dunque le riunioni del Collegio degli insegnanti, che si svolgono nelle
scuole, si allacciano direttamente alla formazione dei maestri e in tal modo collegano una
ricerca ad orientamento pratico con la formazione collegiale permanente. In ogni caso la realtà
delle riunioni del Collegio degli insegnanti corrisponde solo in parte a questa esigenza, il che
rappresenta per le scuole, nella cornice del loro sviluppo organizzativo, un compito arretrato di
attualità.
Essenziale dunque è, in modo particolare, un metodo di ricerca coscientemente gestito, anche
per far sì che le scuole Waldorf non si limitino esclusivamente alle “affermazioni” di Steiner, ma
le comprendano quali stimoli nel contesto delle evoluzioni e dei bisogni delle allieve e degli
allievi. Tenendo lo sguardo rivolto alla configurazione del piano di studi, Tobias Richter formula
tale aspetto nel modo seguente: “La pedagogia Waldorf è una pedagogia in permanente
rinnovamento, sia verso l’interno sia verso l’esterno. Ciò significa che il singolo insegnante è
chiamato a praticare la ricerca pedagogica, muovendo dalla percezione della situazione
evolutiva del bambino e delle caratteristiche del tempo, le quali sono in continuo mutamento.
Il risultato di tale ricerca configura il piano di studi.” (3)
Gli/le insegnanti sono perciò sollecitati/e ad affrontare una ricerca continuativa che tenga
conto del curriculum, sulle cui basi essi stessi valutano e sviluppano il proprio insegnamento,
esercitando così, nell’aula di classe, la ricerca ispirata alla pratica.
Thomas Stöckli
Bibliografia:
1) Steiner, Rudolf: Pädagogik und Kunst, in: Der Goetheanum-Gedanke inmitten der Kulturkrisis der Gegenwart, Bd.
36 GA, Dornach 1961, S. 289
2) Steiner, Rudolf: Vita spirituale del presente ed educazione, O.O. 307, Editrice Antroposofica, Milano, 1984, pag. 217
3) Richter, Tobias (Hrsg.): Pädagogischer Auftrag und Unterrichtsziel – vom Lehrplan der Waldorfschule, Stuttgart
2003, S. 97
Cosa significa ricerca ispirata alla pratica?
La ricerca ispirata alla pratica rappresenta un orientamento investigativo secondo il quale
coloro che esercitano un’attività pratica generano, attraverso l’indagine della loro attività,
nuove teorie il cui impiego esercita a sua volta un influsso diretto sulla pratica stessa.
Pertanto la ricerca svolta sull’attività pratica può venire intesa come processo ciclico, per
mezzo del quale tra teoria e pratica si instaura uno scambio.
Lo scopo che la ricerca sull’attività pratica, e all’interno della stessa, persegue è quello di far
sì che coloro che sono attivi praticamente investighino problemi provenienti dalla loro attività
professionale, e da lì poi passino ad analizzare e a migliorare il proprio agire. La ricerca
ispirata alla pratica si presta a tale scopo in quanto essa cerca di superare la discrepanza tra
teoria e pratica. Inoltre l’oggetto della ricerca viene investigato con il coinvolgimento di teorie
e metodi scientifici esistenti.
Alla base di tale ricerca sta la riflessione che la formulazione di una nuova teoria è quindi
sensata soltanto se essa si dimostra idonea alla pratica. Rispetto alla ricerca empirica, che
cerca di rendere oggettivi i risultati della ricerca medesima, la ricerca ispirata alla pratica
persegue lo scopo di offrire a un problema concreto una soluzione adatta.
La ricerca ispirata alla pratica è inoltre intesa quale incitamento ai ricercatori a indagare i
retroscena dei loro valori e delle loro teorie. Il processo di ricerca può pertanto diventare
l’occasione per l’ulteriore sviluppo personale.
Sulla pagina web dell’AfaP si trovano esempi di lavori di ricerca degli studenti, i quali danno
concretezza alle presenti esposizioni. www.afap.ch
Richiesta di indirizzi
per incontri fra classi
Cambiamenti di indirizzo
per favore rivolgersi a:
Doris Blösch, Schützengasse 134
2502 Biel
e-mail: [email protected]
La ricerca ispirata alla pratica nell’esempio di un progetto teatrale
Anche coloro che sono insegnanti da molti anni svolgono quotidianamente lavoro di ricerca.
Sempre di nuovo corsi specifici di formazione permanente danno al riguardo nuovi stimoli e
nuove prospettive.
Tre anni fa, nella cornice di un modulo di
master, ebbi modo di analizzare un
progetto teatrale in una 10.a classe.
L’analisi conteneva la seguente
formulazione delle questioni:
quanto, attraverso un simile
progetto teatrale, allievi ed
allieve vengono incentivati/e
nel complesso della loro
personalità?
come ne viene influenzata in
genere la motivazione
scolastica?
quale effetto ebbe tale
progetto sul clima della classe?
A me personalmente quel genere di lavoro orientato scientificamente risultava nuovo. Nuovo
perché nel passato avevo riflettuto sulla mia attività pratica in modo approssimativo; lì invece,
attraverso il metodo di ricerca, fui costretto a procedere in modo sistematico. Quel che io
all’inizio percepivo come un corsetto del metodo scientifico, con il tempo si rivelò essere un
modo adeguato alla vita di affrontare un problema; modo al quale oggi attribuisco il carattere
di ricerca e al quale riconosco la possibilità che esso offre di individuare le questioni.
Dell’intero progetto di ricerca, al quale dedicai circa 100 ore, fu affascinante il risultato. Ad
esempio le mie tesi iniziali: “Il teatro favorisce il clima della classe”; oppure “Il teatro
promuove la motivazione scolastica”, vennero mandate a monte. Un po’ insicuro feci la
domanda timorosa: “Ho sbagliato io qualcosa, oppure sono sbagliate le mie tesi, quelle stesse
da me formulate nell’ambito di un lungo periodo di esperienza?”
Mi fu chiaro tuttavia che i risultati della mia ricerca, svolta all’interno della mia attività pratica,
dovevano essere esatti, poiché si basavano su molte interviste, questionari, colloqui in gruppo
ed osservazioni, prima, durante e dopo il progetto teatrale. Che le mie tesi non potessero
venire pienamente accostate al progetto potei intuirlo più a livello del sentire, sulla base delle
esperienze degli anni precedenti; anni di solida ricerca pratica, ma non documentata. Sorse la
domanda: “Quali sono le cose alle quali in passato ho riservato troppa poca attenzione, se per
l’appunto un progetto teatrale, da sé solo, semplicemente non migliora il clima della classe?”.
Quando un progetto teatrale migliora visibilmente il clima della classe e a posteriori anche il
rientro nella quotidianità scolastica riesce bene, è un fatto che mi dà gioia. Non sono più però
dell’idea che il teatro in sé debba migliorare il clima della classe, poiché attraverso il teatro
stesso possono venire attivati anche processi i quali, ad esempio, portano a manifestazione
conflitti che già covavano.
La ricerca da me svolta durante il mio periodo di pratica in ogni caso mi ha insegnato come i
processi sociali che si sviluppano nello studio di un pezzo teatrale abbisognino di una regia,
tanto quanto il pezzo teatrale stesso. La “regia sociale” può già essere attiva durante la
preparazione, ad esempio tematizzando la cultura sociale precipua di quella classe ed
individuando su cosa, in vista di un progetto teatrale, bisogna far convergere l’attenzione.
Nel frattempo la “regia sociale” e la regia teatrale sono diventate per me inseparabili; esse si
condizionano reciprocamente, in quanto il teatro è una sorta di disciplina artistico-sociale di
gruppo.
Proprio grazie al lavoro intenso della ricerca nella pratica ho scoperto come la regia non possa
essere semplicemente un’istanza esterna all’accadimento. Nello spazio di ricerca, il ricercatore
è parte della ricerca medesima. Nello spazio pedagogico il pedagogo è parimenti parte
dell’accadimento e attraverso quest’ultimo egli viene
definito nel medesimo modo con il quale egli definisce l’accadimento stesso. Detto
diversamente, questo per me significa:
io devo passare attraverso la cruna dell’ago insieme agli allievi e alle allieve. Non posso
dirigere un accadimento standone fuori, ma devo poter ridere con loro, patire e gioire. In tal
modo nasce una enorme forza creativa.
Con ciò io ho in mente anche un’immagine forse un po’ diversa o nuova del ruolo di
insegnante. Oggi si parla volentieri di professionalità e perciò si pensa che tramite quella sia
data la garanzia che tutto scorre in modo chiaro, regolato e prevedibile. Tanta professionalità
non è forse del tutto noiosa per i giovani? Non dobbiamo forse molto di più sviluppare il
coraggio per l’insolito, per ciò che ancora non c’è stato, per ciò che non è pianificabile e
insieme ai giovani metterci in viaggio verso nuove sponde?
Joseph Aschwanden (1959) è attivo nelle classi superiori della scuola Rudolf Steiner di Solothurn; è
sposato e padre di 4 bambini.
La formazione di insegnanti Waldorf nella Svizzera romanda
La nostra pedagogia non è affatto vincolata alla lingua tedesca. Neppure nella Svizzera. Tanto
in Ticino, quanto nella Svizzera di lingua francese vi sono scuole Rudolf Steiner. Nella Svizzera
romanda sussiste anche un seminario di formazione, che prende in considerazione il grande
bisogno che le scuole hanno di insegnanti competenti.
Nel pezzo teatrale di Luigi Pirandello: Sei personaggi in cerca d’autore, durante una prova
teatrale compaiono all’improvviso sei individui, i quali esigono dal direttore-capocomico del
teatro, che egli li metta in scena. Sono stati creati quali figure da palcoscenico dal loro autore,
che però non ha portato a termine la propria creazione. Ciononostante, essi vogliono vedere il
loro pezzo sulla scena, vogliono “vivere”.
IL CAPOCOMICO: Ma io qua provo! E sapete bene che durante la prova non deve
passare nessuno! Chi sono lor signori? Che cosa vogliono?
IL PADRE: Siamo qui in cerca di un autore.
IL CAPOCOMICO: Ma qui non c’è nessun autore, perché non abbiamo in prova
nessuna commedia nuova.
LA FIGLIASTRA: Tanto meglio, tanto meglio, allora, signore! Potremmo essere
noi la loro commedia nuova.
(Da: Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, Ed. Einaudi, 2008)
Esitante, il capocomico si dichiara disposto a realizzare la loro storia.
In modo simile ebbe inizio, nel 1984, il “Seminario antroposofico della Svizzera romanda”, che
dal 1999 si chiama “Formation pédagogique anthroposophique de Suisse romande – FPAS”.
Circa 15 insegnanti, che già insegnavano nelle scuole Rudolf Steiner di Ginevra e di Losanna,
ma che ancora non disponevano di una formazione Waldorf, cercavano le persone adatte, che
potessero dar forma a corsi di formazione per insegnanti; tale formazione doveva svolgersi in
accompagnamento alla professione e in lingua francese. Gli/le “studenti/studentesse” volevano
un percorso formativo e la trasmissione delle più importanti conoscenze specialistiche di cui un
o una insegnante Waldorf devono disporre. In quel momento erano già tutti e tutte radicati/e
nella pratica e perciò ne cercavano i fondamenti. Da principio con esitazione, poi però in
maniera intensa, tra i docenti e gli studenti si formò uno stretto dialogo. Nell’arco di tre anni e
mezzo, dal bisogno specifico di quelle persone nacque un corso di studi con centri di gravità
propri. La flessibilità dei partecipanti fu grande; il finanziamento semplice, addirittura
primitivo: gli studenti e le studentesse deponevano in forma anonima, in una cassa di colore
verde, quel che volevano e potevano.
Dopo quell’esperienza, che fino ad oggi impronta
il corso di formazione di accompagnamento alla
professione, fu avviata – sempre nel senso di
Luigi Pirandello – la formazione antroposofica
degli insegnanti. Sono stati formati circa 160
interessati/e; più di due terzi svolgono la propria
attività in scuole Rudolf Steiner in Svizzera
romanda, in Francia o nel Québec. Una parte di
ex studenti insegnano anche in istituzioni statali.
Due volte alla settimana ci si incontra per
lavorare artisticamente o artigianalmente
(euritmia, arte della parola, pittura, lavori
artigianali manuali). Lo studio delle opere fondamentali di Rudolf Steiner è, nel contesto della
ricerca moderna, un elemento importante della formazione. Durante l’anno vi sono dieci fine
settimana durante i quali il lavoro si focalizza su punti che rappresentano il fulcro dell’intero
corso di studio. Il contatto con l’aula scolastica impegna sempre più gli studenti di questo
seminario: inoltre, sia la pratica dell’osservazione che la pratica seguita da un mentore, sono
fonte di grande aiuto. Gli/le futuri/e insegnanti mostrano un interesse sempre più grande verso
metodi che consentano di cavarsela anche all’interno degli accadimenti sociali di un’intera
scuola. Come viene modellata la vita di una scuola autogestita? Quel che non può accadere è
che all’autogestione venga profusa troppa energia.
Al primo posto sta l’esercizio della pedagogia in quanto arte. Il concetto di artista, messo in
relazione con l’attività dell’insegnante, può apparire in un primo tempo sorprendente. Ma qui
non vi è forse alla base un processo paragonabile a quello nel quale è coinvolto il pittore
oppure lo scultore? Rudolf Steiner, nel suo ciclo di conferenze dal titolo Pedagogia ed Arte,
dell’aprile 1923, descrive come: “il senso artistico degli educatori e degli insegnanti porti anima
dentro la scuola. Esso consente di essere gioiosi nella serietà e di avere carattere nella gioia.
Attraverso l’intelletto, la natura viene soltanto compresa; essa viene sperimentata e vissuta
soltanto attraverso la percezione artistica.” Le scuole Rudolf Steiner di domani devono creare
generosi spazi di libertà per tale compito che costituisce il nocciolo dell’attività dell’insegnante.
Sempre nuove pedagoghe e pedagoghi cercano a loro volta “un autore”, un centro di
formazione che le/li possa aiutare a praticare la pedagogia quale arte.
Robert Thomas, Direttore della FPAS
Ulteriori informazioni: www.fpas.ch
“Molto promettenti”
e “Molto esperti”
Il presente contributo è preso da “Entr’écoles”, il periodico trimestrale delle scuole Rudolf
Steiner di lingua francese. La traduzione in tedesco è dell’Autrice stessa.
Mi capita sempre di nuovo di vedere, nel cortile della scuola, taluni giocare a stare in
equilibrio: i piccolissimi si arrampicano su tronchi d’albero che giacciono sul terreno; gli allievi
e le allieve delle medie ballano al ritmo della fisarmonica; gli allievi e le allieve più grandi
pitturano le pareti esterne delle baracche sostenendosi su di un’impalcatura sussidiaria
traballante.
E in una giornata di gennaio, alquanto memorabile, l’intera scuola divenne un’unica pista di
pattinaggio su ghiaccio! I cortili delle pause, i campi e i sentieri scomparvero sotto una spessa
lastra di ghiaccio – un bel ghiaccio levigato, risplendente, sul quale nessuno avrebbe potuto
procedere senza i pattini ai piedi. Il bidello vi sparse della ghiaia e alcuni collegi coraggiosi
diedero mano ai picconi, ma il tutto senza risultato: per una settimana il ghiaccio ci costrinse
tutti a tenerci in equilibrio.
Proviamo ad osservare noi stessi e a vedere in che modo cerchiamo l’equilibrio: cauti e attenti
mettiamo un piede davanti all’altro, tastando il terreno. Il collo si tende, le braccia vengono
levate quasi a formare un’asta da equilibrista; persino le nostre dita cercano un sostegno
nell’aria. Anche senza cadere abbiamo coscienza della periferia. Quanto più ne abbiamo
coscienza, tanto più cerchiamo il centro di stabilità, il punto centrale, che non barcolla.
Cercare il centro senza dimenticare la periferia: è un esercizio che è possibile fare non soltanto
su un terreno ricoperto di ghiaccio levigato, oppure su di una corda tesa, ma anche in luoghi
talmente stabili quali possono essere un’aula di classe, oppure l’aula delle riunioni di Collegio,
dove si sta seduti attorno a un tavolo. A Losanna, così come nelle altre scuole, vi sono due tipi
di colleghe e di colleghi: i/le “molto promettenti” e i/le “molto esperti”; questa è la conclusione
alla quale è arrivata una collega.
I “molto promettenti” sono naturalmente i giovani pieni di entusiasmo e di domande; i “molto
esperti” sono i colleghi (più o meno) anziani, con molta esperienza. Certamente la
collaborazione tra gli uni e gli altri dà molta gioia. (“Ammiro il tuo slancio!” oppure “Su questo
non avevo mai riflettuto – che appassionante!”; tuttavia, le diversità d’opinione e il contrasto
fra abitudini, nonché il bisogno del nuovo sono all’ordine del giorno. Quale sfida!
Come si può trovare l’equilibrio tra queste due forze fondamentali? L’una, che si proietta verso
il futuro e l’altra, che custodisce le conquiste del passato? I concetti di “centro” e di “periferia”
ci possono essere di ulteriore aiuto poiché, ad un preciso esame, i due atteggiamenti risultano
essere periferici e si tratta di trovare il centro.
Camminare sul ghiaccio levigato è pericoloso e in quel caso si tratta, grazie alla flessibilità
corporea, di rimanere in piedi. Come stanno le cose là dove si tratta di collaborare? Ecco, qui di
seguito, alcune proposte per la ricerca dell’equilibrio:
•
•
•
•
Discutere apertamente di tutte le questioni, di tutte le preoccupazioni e di tutti i
problemi.
Rendere cosciente il comune ideale pedagogico e il modo in cui si desidera collaborare,
quindi formularlo in modo chiaro.
Esercitarsi ad assumere il comportamento opposto: quando ad esempio ascolto parlare
l’insegnante esperto od esperta, chiedendomi in che punto io abbia ancora da imparare
e in che punto io debba cambiare qualcosa. Se mi trovo soltanto all’inizio della mia
attività pedagogica, comprendendo cosa conferisce alla scuola il suo carattere
particolare e cosa le conferisce forza.
Volgersi al presente: riusciamo a calarci completamente nella situazione del momento
ed agire in modo ad essa corrispondente?
Nella ricerca del centro si tratta, analogamente a quando
si procede sul ghiaccio levigato, di restare in piedi e di
essere flessibile. Ad esempio per mezzo dell’esercizio
dell’empatia; portare in equilibrio la forza di pensiero e la
forza di volontà significa infatti: curare le forze mediatrici
del cuore, per mezzo della percezione che si ottiene
dall’immedesimarsi, attraverso il creare artistico.
Dunque una pedagogia da funamboli! Noi tutti/e,
insegnanti, allievi e allieve, genitori, cerchiamo l’equilibrio.
Come il funambolo sulla sua corda tesa tra due abissi,
anche noi siamo pronti, ritti, flessibili, per avventurarci sul
ghiaccio levigato.
Sibille Naito è nata nel 1954 ed è cresciuta nel Cantone di Berna
e in quello di Soletta; ha compiuto gli studi a Tokyo e a Ginevra;
formazione pedagogica presso la FPAS; da 20 anni è insegnante
di tedesco come lingua straniera, di storia e di francese nelle
classi superiori della scuola Rudolf Steiner di Losanna; da più di
10 anni collabora alla FPAS.
“Lavorare in due per la stessa classe”
Condurre la stessa classe dal 1.o anno scolastico all’8.o: questo è il quadro classico che si
presenta come compito davanti a un/una insegnante di una scuola Steiner e che in molti
luoghi corrisponde ancora alla realtà. A dire il vero però l’immagine della professione è
mutata; è diventata più varia e sempre di nuovo determinata dalla situazione. Lo mostra
l’esempio di Beatrice Maulaz, che alla scuola Steiner di Berna ha guidato in jobsharing la 5.a e
6.a classe e che ora, con gioia e di nuovo da sola, ma sostenuta da insegnanti di materia,
prende una 1.a classe.
Beatrice Maulaz giunse alla scuola Steiner di Berna
nell’ottobre 2008, per insegnare lingue straniere e assumere
l’incarico dell’insegnamento a periodi (le cosiddette
“epoche”). Nell’estate del 2009, insieme all’insegnante di
classe in carica fino a quel momento, le fu affidata la “co-
docenza”; questo è quanto venne a quel tempo comunicato, senza molto strepito, nel periodico
scolastico “forum” della scuola Rudolf Steiner Bern Ittigen Langnau. La novità, che consisteva
nel suddividere fra due insegnanti la responsabilità di una classe, fu decisa dal Collegio dei
docenti, muovendo dalla situazione concreta e Beatrice Maulaz venne interpellata in merito al
compito che si era venuto appunto a quel tempo definendo.
“È una cosa ottima per garantire la salvaguardia delle forze in maniera duratura”
A Beatrice Maulaz, lo sgravante jobsharing giunse proprio a proposito. Le rese possibile
assumere la responsabilità di una classe, senza dover subito insegnare con un lavoro a tempo
pieno. “Condurre una classe con un lavoro al 100 per cento e al tempo stesso avere una
famiglia e doversi preoccupare della cura dei propri figli, è una cosa quasi impossibile”, dice la
madre di tre bambini; due di essi frequentano la scuola di Berna e Ittigen; il maggiore ha già
concluso un apprendistato. “Il jobsharing fu per me una soluzione ottimale, per impegnare
bene le mie forze e salvaguardarle in maniera duratura”.
Poiché le due partner di un medesimo posto di lavoro potevano esse stesse suddividere
l’insegnamento delle lingue straniere, la percentuale di incarico a disposizione del jobsharing fu
superiore a 100. Beatrice Maulaz poté assumersene il 55 per cento e la sua partner il 75.
Questo consentì ad entrambe di fare le migliori esperienze. “È molto arricchente condurre
insieme una classe”; il bilancio che ne trae Beatrice Maulaz è positivo, senza alcuna riserva.
Per l’esattezza va detto che non è che ci fosse in assoluto meno da fare; il dispendio di forze
non veniva semplicemente diviso a metà, poiché molte cose andavano discusse insieme. Il
grande vantaggio era che si poteva portare insieme la responsabilità e suddividerne il carico. E
soprattutto: “Automaticamente si ha dell’altra persona un maggiore feedback, una maggiore
risposta e ciò mi aiuta ad indagare meglio i retroscena del mio lavoro e ad esaminare più a
fondo determinate situazioni.”
“Colloqui sui bambini all’interno di una piccola cerchia”
Dal jobsharing sono scaturiti per così dire frequenti “colloqui sui bambini all’interno di una
piccola cerchia”. Questo non è uno svantaggio per la discussione pedagogica nella grande
cerchia delle riunioni collegiali e neppure è pensato come una sostituzione della stessa. Quel
che ne deriva è piuttosto una tendenza ad esaminare soltanto fra due persone le domande e i
problemi emergenti; si è quindi meno propensi a portarli subito nella riunione di Collegio. La
discussione nella riunione di Collegio verrebbe perciò, per quanto possibile, cercata in modo
più cosciente e preparata in modo diverso: appunto, in due. “La visione che se ne ricava è più
completa”.
Beatrice Maulaz vede vantaggi analoghi anche per quanto riguarda la collocazione da dare ai
colloqui con i genitori; entrambe le partner del jobsharing li discutevano prima e poi li
conducevano insieme. “Si beneficia degli effetti di più opinioni e ne nasce un quadro più vario.”
Determinante per la riuscita della conduzione
comune della classe è la collaborazione dei/delle
due insegnanti. Essi/e dovrebbero essere dotati/e
di capacità critica, aperti/e, flessibili, tolleranti,
dice Beatrice Maulaz: “Si tratta appunto di due
diverse persone, con differenti predilezioni e
differenti capacità, che lavorano in due per la
stessa cosa, per la stessa classe.” Agli/alle allievi/
e viene offerta la chance che fa sì che essi/e non
si debbano fissare su un/una insegnante di classe.
Piuttosto verrebbe data loro una possibilità di
ripiego, una seconda persona di riferimento.
Percettibile nello spirito della classe, suffragato dai genitori
Naturalmente allieve ed allievi all’occasione misero alla prova le due insegnanti, per vedere se
l’affiatamento fra loro funzionasse davvero e in che modo; così come si fa a casa, con il padre
e la madre. Essenziale è tuttavia l’effetto dell’esempio quotidiano che può scaturire dal
jobsharing: “La collaborazione, la tolleranza, l’apertura verso qualcun altro che è diverso: è
qualcosa che possiamo vivere quotidianamente” dice Beatrice Maulaz e vi constata un’impronta
che corrisponde allo spirito della classe: “Gli allievi e le allieve si accettano l’un/a l’altro/a così
come sono.”
Il jobsharing porta alle/ai due insegnanti che
si spartiscono la responsabilità della classe
“più sostegno, più forza, più fuoco interiore:
ci possiamo sorreggere a vicenda e
mobilitare forze, ad esempio nella
realizzazione di progetti che una persona da
sola non può affrontare. Questa sarebbe una
cosa davvero essenziale in un tempo nel
quale si parla molto di insegnanti bruciati.
Anche se il jobsharing, sperimentato in
modo positivo nella conduzione di una
classe, contrasta con l’immagine classica
della solida figura del/della insegnante di
classe, che vige nelle scuole Steiner, sembra
non essere mai stato messo in discussione, né nelle riunioni di Collegio dei docenti, né
all’interno della comunità dei genitori. “In ogni caso nulla è trapelato fino a me”, dice Beatrice
Maulaz. “Il nostro jobsharing fu auspicato dal Collegio dei docenti e fu accompagnato con
sguardo benevolo da una comunità dei genitori aperta.”
Il colloquio con Beatrice Maulaz è stato condotto da Bruno Vanoni, giornalista BR; lavora in qualità di
incaricato per l’informazione ed è impegnato anche come co-presidente (rappresentante dei genitori)
della scuola Rudolf Steiner di Berna Ittigen Langnau.