la ragazza della primula rossa

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la ragazza della primula rossa
LA RAGAZZA DELLA PRIMULA
ROSSA
Autori:
Borri Anthea, Boscolo Chiara, Candussi Alberta, Coderani Bianca,
Geraci Marco, Kovacevic Daniel, Palmisano Piero, Piacente Elisa,
Polese Rita, Vathi Bilal, Vescini Alessandro, Vittori Letizia.
“Oggi è un giorno importante, sono passati quasi tre mesi
da quando per la prima volta sono rimasto incantato da
quegli occhi colmi di parole non dette. Certo, è strano
riuscire a parlare di una persona che a malapena si conosce
ma che con un solo sguardo è riuscita a farmi capire
quanto quei muri, quelle barriere che i miei amici si
ostinano a creare, siano in realtà inesistenti. Quanto era
difficile dover rinunciare a starle
accanto, consolarla quando gli altri
la prendevano in giro per i suoi abiti
particolari e il suo nome tanto
strano. Ma per me il suo nome è la
musica più bella e i suoi abiti
tradizionali i veli di una dea. A
quelle parole tanto dure, tanto
offensive non riuscivo ad oppormi e
quando cercavo qualcuno con cui
potermi sfogare, confidare, ero
soffocato dai loro stereotipi e dai
loro pregiudizi. Ero abbattuto e mio
nonno se n’era accorto.
Sono una persona solare e amichevole, ma in quei giorni
ero pensieroso e taciturno. E’ stato l’unico capace di
comprendere me e la mia situazione, visto che è successo
anche a lui, con mia nonna. Mi ha raccontato che nel 1955
faceva il militare sulla frontiera tra Jugoslavia ed Italia, e fu
proprio lì che conobbe quella che oggi è mia nonna. Strano
vero?!
Mia nonna ogni giorno passeggiava da casa sua alla
biblioteca e al ritorno portava con sé libri di ogni genere, si
sedeva su una panchina di
fronte al confine e li leggeva
con particolare attenzione.
Le piaceva quella panchina,
era la sua preferita. Ci si
poteva sedere a riflettere o,
come faceva lei, a leggere,
ma non solo: si poteva
osservare ciò che stava oltre
al confine, quello Stato che
seppur così vicino, pareva
lontano chilometri.
Ogni tanto alzava lo sguardo
da quei libri vecchi e ingialliti
che portava sempre con sé e
guardava l’orizzonte. Riaffioravano alla mente ricordi tristi
di amici e parenti, che erano stati costretti ad arruolarsi,
contro voglia e con le lacrime agli occhi.
Mio nonno, a pochi metri da lei, armato e in divisa,
costretto a stare ritto e fermo tutto il giorno, vedeva in lei
una distrazione dalla monotonia delle sue giornate e dal
grigiume che le contraddistingueva.
Dopo qualche mese si decise a conoscere colei che colorava
le sue giornate, che le rendeva in qualche modo
interessanti. Il desiderio era troppo forte e l’attesa diveniva
via via estenuante, doveva solo trovare quel po’ di coraggio
che bastava per parlarle. «In če ne razume slovenščine?», si
chiedeva in continuazione. Qualche parola di italiano
l’aveva imparata dai suoi compagni sloveni, ma temeva
che queste poche parole non sarebbero state abbastanza
per lei e che quindi
neppure lui sarebbe
stato abbastanza.
E’ risaputo che nei
periodi di lontananza
dalla quotidianità il
morale dei militari è
sotto gli stivali e che di
conseguenza cerchino
una distrazione, oltre
che nell’alcool, nelle
ragazze, anche italiane, ammaliate dal fascino dello slavo,
si abbandonano alla passione.
Non fraintendere ciò che sto per dire, ma anche mio nonno
era coinvolto e spinto dai suoi compagni ad agire come
loro. Mia nonna Beatrice non era passata inosservata agli
occhi di nessuno di quei giovani soldati, che erano arrivati a
scommettere su chi per primo sarebbe riuscito a
conquistarla. Pensa un po’!
Mio nonno, in realtà, era un uomo dall’animo nobile, che
agiva come i suoi compagni solo per non essere schernito
ed escluso. Già così si sentiva solo, visto che era distante da
casa, se poi non fosse stato ben voluto dai compagni, la
realtà sarebbe diventata il suo Inferno.
Un giorno, spinto dal proprio istinto, e trovato finalmente
quel coraggio che tanto aveva desiderato, si sacrificò per
salvare quella ragazza tanto affascinante dalle grinfie dei
suoi compagni, i quali non le staccavano gli occhi di dosso,
perché era la preda più ambita di sempre. Un pomeriggio,
appena la vide passare, si gettò su di lei e la portò con sé in
un boschetto lontano dagli occhi indiscreti dei suoi
compagni. Lì, vedendola spaventata a morte, cercò di
confortarla, spiegandole che non avrebbe dovuto avere
timore di lui, perché le sue intenzioni erano tutt’altro che
cattive. Beatrice, confortata da quelle parole, lentamente si
tranquillizzò. Fu in quel giorno che i miei nonni si
conobbero, ed iniziarono a frequentarsi, spesso
incontrandosi in segreto. Tutte le volte che i due si
incontravano, essendo entrambi molto curiosi, si
scambiavano milioni di domande di ogni genere e, quando
giungeva il momento di separarsi, al dispiacere si
affiancavano la voglia di conoscersi sempre di più e il
desiderio di rivedersi. Beh, a dire il vero, l’interesse di mio
nonno era già alle stelle al primo incontro, e questo era
stato sostituito da qualcosa di più forte, qualcosa di...
magico. Se te lo stai chiedendo, parlo proprio dell’amore.
Boris si era proprio innamorato di mia nonna, non vedeva
altre che lei. Non che avesse intenzione di dirglielo, almeno
non subito. Temeva di rovinare tutto quello che avevano
creato, quel
qualcosa di
magico e
segreto.
I loro incontri
avvenivano
sempre più di
frequente,
ormai erano
mesi che si
incontravano.
Se non erro,
era passato
quasi un anno.
Così, visto che
ne era passato
di tempo ed
entrambi avevano spesso dimostrato di provare qualcosa
di più di semplice interesse, mio nonno Boris decise di
dichiararsi. Era il 15 aprile, una frizzante mattina di
primavera: si erano trovati al solito posto, alla panchina di
sempre. Questa volta però mio nonno aveva qualcosa con
sé. Teneva in una tasca della giacca l’anello che un tempo
era stato della sua bisnonna, ricevuto in eredità proprio da
lei alla sua morte, poco tempo prima che fosse costretto ad
arruolarsi. Era un anello davvero bello: semplice, con
qualche piccola pietra ad impreziosirlo.
Convinto di ciò che stava per fare, si inginocchiò, prese la
mano di Beatrice e le infilò l’anello al dito. Fu in quel
momento che mia nonna capì per davvero chi fosse per lei
Boris. Non esitò ad accettare la sua proposta, perché
questo era ciò che, inconsciamente, aveva sempre voluto,
dal momento in cui lo aveva conosciuto. L’aveva catturata
il suo essere diverso dagli altri, così nobile d’animo e
rispettoso di chi gli stava attorno.
Purtroppo dovettero aspettare degli anni prima di potersi
sposare liberamente, visto che le tensioni ancora non erano
cessate. Ma per loro non era un problema, finché ci fossero
stati l’uno per l’altra, niente era cosa grave.
Circa dieci anni dopo il loro primo incontro, nel 1965,
ebbero un figlio, mio padre. Non passarono molti anni
dopo la nascita di mio padre che si sposarono.”
Matteo raccontò
tutto d’un fiato la
storia dei suoi
amati nonni a
Fatima, la ragazza
che aveva da
tempo catturato il
suo cuore, ma
con cui non aveva
mai avuto il
coraggio di farsi
avanti per colpa dei suoi compagni che, pieni di pregiudizi
nei riguardi di lei e della sua cultura, che gli hanno sempre
impedito di avvicinarsi a lei.
Continuò poi, pieno di entusiasmo: “Ho voluto raccontarti
questa storia perché c’è una cosa importante che devo
dirti: devi sapere che, come te, in questi mesi ho sofferto
molto per le continue offese dei nostri compagni di classe
nei tuoi confronti. Mi dispiace di non essere mai riuscito ad
andar contro di loro per proteggerti. Me ne pento ogni
giorno, di essere così, spero che tu riesca a comprendere
perché non ti ho difesa.
Oltre alle scuse che sentivo di doverti, ma che non saranno
mai abbastanza, c’è un’altra cosa che devo dirti, più
importante.
Dal momento in cui ti ho conosciuta, ho visto qualcosa di
diverso in te. I tuoi occhi sono ciò che mi ha catturato per
primo: quegli occhi pieni di sentimenti che vorresti
esprimere, di cose che vorresti dire, ma che non hai
coraggio di rivelare. Io, di quegli occhi stupendi e allo
stesso tempo misteriosi, mi sono innamorato. Proprio così,
Fatima, mi sono innamorato di te.”