GIOCO DEL LOTTO E CREDENZE POPOLARI

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GIOCO DEL LOTTO E CREDENZE POPOLARI
GIOCO DEL LOTTO E CREDENZE POPOLARI: COSA È VERO?
LA PAROLA AI MATEMATICI
LUCA LUSSARDI
Sommario. Lo scopo di questo articolo è quello di illustrare il concetto di probabilità
e di equità di un gioco a partire da esempi concreti come monete, dadi e il ben noto
Gioco del Lotto.
1. Il 53 sulla ruota di Venezia
Tratto dall’articolo apparso su Repubblica.it il 23 gennaio 2005, a cura di Jenner
Meletti: Anche ieri sera il 53 non è uscito e per tanti è iniziata una notte di disperazione.
Un signore si è appena giocato 11.000 euro e sono gli ultimi. Gioca da alcune settimane
e finora ha buttato 70.000 euro. Erano i soldi che lui e sua moglie avevano messo via
per poter comprare la casa al figlio. Io non so se la moglie è informata [. . . ] Il signore
degli 11.000 euro è alla canna del gas. Ma ci sono tanti altri che hanno grattato il barile
fino in fondo. C’è chi ha asciugato il conto in banca, chi ha ritirato i soldi depositati
alla Coop, chi ha preso tutto ciò che aveva alle Poste. Ma la cosa brutta è che spesso
chi gioca lo fa di nascosto, senza dire nulla a casa. Ci sono persone che in questi mesi
hanno buttato via anche 110.000 euro. [. . . ] Ho una cliente, una signora ormai anziana,
che per anni ha sempre giocato un paio di euro la settimana. Poi ha preso la febbre del
53. Dieci euro, 15, 18, 25 e via dicendo. In breve, un mese fa si è messa a giocare più di
10.000 euro a botta. E sa dove ha preso i soldi? Me l’ha confessato lei piangendo, una
settimana fa. È vedova, e il marito aveva lasciato un fondo d’investimento per il figlio
medico, che adesso lavora all’ospedale ma vuole aprire un ambulatorio privato. Aveva la
firma anche lei, su quel fondo, ed ha preso tutto di nascosto: circa 150.000 euro. Oggi
non è venuta a giocare.
2. Il caso ha memoria?
Il caso del 53 ritardatario sulla ruota di Venezia, uscı̀ solo dopo ben 182 estrazioni
consecutive, è stato particolarmente significativo proprio a causa degli effetti, disastrosi,
che ha avuto sulle tasche di parecchie persone, che si vedevano costrette a giocare sempre
più denaro nel tentativo di recuperare le somme perse. Conosciamo tutti storie di questo
tipo, quindi non perdiamoci in chiacchiere sterili e poniamo subito la domanda, o meglio
1
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le domande: come mai la gente crede nei numeri ritardatari? ma soprattutto, è vero,
come vuole la credenza popolare, che un numero ritardatario ha più probabilità di uscita
rispetto ad un altro numero “meno ritardatario”? In realtà la domanda stessa appare
poco chiara: per dare una risposta e invocare la teoria probabilità va precisato infatti
in modo non ambiguo cosa si intende esattamente per numero ritardatario. Un modo
più preciso di formulare la questione potrebbe essere il seguente: un certo numero ha
più probabilità di ogni altro numero di essere estratto su una determinata ruota se la
volta precedente non è stato estratto? Un altro modo di intendere la questione invece
può essere la seguente: quanto è probabile che un certo numero non venga estratto su
una determinata ruota per un certo numero consecutivo di estrazioni? Le due domande
formulate sembrano essere entrambe adatte al contesto in cui inserire i numeri ritardatari,
ma come vedremo le risposte sono ben diverse e proprio tale diversità genera la confusione
che regna sovrana attorno a questi argomenti. Per dipanare ogni dubbio è ovviamente
doveroso soffermarci prima di tutto su cosa sia la probabilità, e darne almeno una veste
matematica.
3. La probabilità: definizione classica
La definizione classica di probabilità di un evento si fa ricondurre storicamente a
Pierre Simon de Laplace (1749-1827), matematico, fisico e astronomo francese, anche se
fu adottata sicuramente anche in precedenza, soprattuto da Blaise Pascal (1623-1662)
e Pierre de Fermat (1601-1665). Per inquadrare correttamente la teoria diamo alcune
definizioni che verranno chiarite mediante facili esempi. Denotiamo con Ω lo spazio
campionario, ovvero l’insieme di tutti i possibili esiti di un esperimento. Un evento sarà
un generico sottoinsieme di Ω.1 Una probabilità su Ω è una funzione che associa ad ogni
evento un numero compreso tra 0 e 1 e che soddisfa certe proprietà, ad esempio p(∅) = 0
e p(Ω) = 1 (l’evento vuoto non accade mai mentre l’evento certo accade con probabilità
1); rimandiamo all’ultima sezione per maggiori dettagli sulle proprietà di p. Mettiamoci
ora nel caso in cui Ω sia finito e vediamo la nozione classica di probabilità che si assegna
su Ω; nel seguito, se E è un evento denotiamo con |E| il numero di elementi di E. La
probabilità che si verifichi l’evento E risulta essere, per definizione, il rapporto tra il
numero dei casi favorevoli e il numero dei casi possibili, ovvero
p(E) =
1In
|E|
.
|Ω|
teoria della probabilità è spesso conveniente considerare come eventi solo alcuni sottoinsiemi di
Ω. Se Ω è finito di fatto l’unica scelta significativa è quella di dichiarare eventi tutti i sottoinsiemi di Ω.
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Banalmente, se E c denota l’evento complementare di E, cioé E c = Ω \ E, allora
p(E c ) = 1 − p(E).
Questa definizione sembra molto semplice, ovvia e intuitiva. Prendiamo il caso del lancio
di una moneta; in questo caso è naturale definire Ω = {T, C}, essendo {T } l’evento “esce
testa”, e {C} l’evento “esce croce”. In effetti, lanciando una moneta non truccata in
modo casuale siamo naturalmente portati tutti quanti ad affermare che
1
1
p({T }) =
e p({C}) = .
2
2
C’è però un’ipotesi di lavoro nascosta che stiamo facendo quando formuliamo la definizione classica: stiamo infatti sottintendendo che riteniamo tutti gli eventi elementari
equiprobabili, dove per evento elementare si intende un evento costituito da un solo elemento di Ω. Di fatto, relativamente all’esempio del lancio della moneta, ciò equivale al
credere la moneta non truccata. Nel caso della moneta non ci sono altri eventi oltre a
quelli elementari, cioé quegli , a parte l’evento vuoto e quello certo. Lanciamo ora un
dado: possiamo ottenere una delle facce numerate da 1 a 6, per cui è naturale porre
Ω = {1, 2, 3, 4, 5, 6}. L’evento elementare {n} in questo caso è proprio l’evento “è uscito
il numero n”. Abbiamo quindi sei eventi elementari, e per applicare la definizione classica
stiamo supponendo che ogni evento elementare abbia probabilità
1
6
che equivale a dire che crediamo in un dado non truccato lanciato in modo del tutto
casuale. In questo caso, a differenza del lancio di una moneta, possiamo avere altri
eventi significativi oltre a quelli elementari. Ad esempio, potremmo chiederci quale
sia la probabilità di ottenere un numero pari: in tal caso l’evento corrispondente è
E = {2, 4, 6}, per cui la probabilità richiesta è
3
1
p= = .
6
2
La cosa importante da ricordare arrivati a questo punto del discorso è che l’equiprobabilità degli eventi elementari è ragionevole e sensata se crediamo di essere in un certo
contesto, per esempio quello del lancio totalmente casuale di una moneta o di un dado
non truccati. Di fatto la stessa ipotesi di lavoro la dobbiamo fare se lanciamo una seconda
volta il dado: qual è la probabilità che esca lo stesso numero che è uscito al primo lancio?
Abbiamo ragione di credere che al secondo lancio tale numero abbia meno probabilità di
uscire come l’intuito potrebbe suggerire? Se sı̀ saremmo nei guai, in quanto dovremmo
ora usare una definizione di probabilità che tenga conto di eventi elementari non equiprobabili, e man mano che lanciamo il dado le probabilità andrebbero ricalcolate di volta
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in volta (pensate a quando vi serve un dado per giocare ad un certo gioco, dovreste ogni
volta ricordare cosa è successo la volta prima). In realtà per fortuna non è cosı̀: il dado
ovviamente non si ricorda l’esito del primo lancio, per cui il secondo lancio è esattamente
come il primo, le facce del dado tornano tutte ad essere equiprobabili. Questa è ancora
sostanzialmente la stessa ipotesi di lavoro iniziale in cui ci siamo messi, semplicemente
riconsiderata ad ogni ripetizione dell’esperimento: è un’ipotesi di lavoro ragionevole e
sensata, ma non è un teorema. Estrarre bendati una pallina tra 90 identiche e numerate
da 1 a 90 (estrazione del Lotto, anche se oggi l’estrazione è meccanizzata) è un esperimento del tutto analogo a quello del lancio casuale di una moneta o di un dado non
truccati (se ci fidiamo che il Gioco del Lotto non sia truccato). Quindi, è sullo stesso
principio che si fonda la risposta alla domanda “un certo numero ha più probabilità di
ogni altro numero di essere estratto su una determinata ruota se la volta precedente non
è stato estratto?” Purtroppo, o per fortuna, non è un teorema che afferma che ciò non
è vero, ma è un’ipotesi di lavoro ragionevole e sensata. Ecco come mai non è facile convincere una persona che crede nei numeri ritardatari in questo preciso senso che in realtà
sta credendo in qualcosa di irragionevole, dato il contesto (non che una dimostrazione
rigorosa per altro potrebbe convincere una persona a digiuno di matematica). Nella
prossima sezione, tuttavia, cercheremo di mostrare come un po’ di matematica sostiene
l’ipotesi che il caso non abbia memoria. Intanto, a titolo di esercizio, calcoliamo la probabilità che il 53 esca sulla ruota di Venezia (in realtà tale calcolo vale per qualunque
numero su qualunque ruota). Dobbiamo contare le cinquine che contengono 53 e tutte
le cinquine possibili. Per far ciò ricordiamo la formula che dà il numero di combinazioni
di k elementi presi tra n: esso è dato da
n!
k!(n − k)!
essendo h! := 1 · 2 · 3 · · · h. Il numero di tutte le cinquine tra 90 numeri è quindi
90!
90 · 89 · 88 · 87 · 86 · 85!
=
= 43.949.268.
5! 85!
5 · 4 · 3 · 2 · 85!
Per quanto riguarda le cinquine che contengono il 53 basta contare il numero di quaterne
tra gli 89 numeri rimasti:
89!
89 · 88 · 87 · 86 · 85!
=
= 2.441.626.
4! 85!
4 · 3 · 2 · 85!
Ne segue che la probabilità di estrarre il 53 sulla ruota di Venezia vale
2.441.626
1
=
∼ 0, 05.
43.949.268
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4. Definizione frequentista di probabilità: la legge dei grandi numeri
La definizione classica di probabilità rappresenta effettivamente un metodo di calcolo
in svariate situazioni e dal punto di vista puramente matematico si tratta di una buona
definizione, valida sempre e solo per uno spazio campionario finito. Il lettore attento non
avrà però fatto fatica ad osservare che in realtà non risponde pienamente alla domanda
“cosa è la probabilità?” Infatti, la definizione classica è, in questo senso, una definizione
circolare: postuliamo infatti che gli eventi elementari siano equiprobabili, non sapendo
che cosa significhi probabile. Per di più non sappiamo cosa accade, usando la definizione
classica, nel caso in cui per qualche ragione siamo costretti a credere che gli eventi
elementari non siano tutti equiprobabili. Infine, si tratta di un approccio non utilizzabile
quando siamo di fronte a esperimenti che hanno infiniti esiti distinti, dal momento che
richiede che lo spazio campionario abbia un numero finito di elementi. Proprio per
ovviare a queste problematiche il matematico e ingegnere austriaco Richard von Mises
(1883-1953) propose, ai primi del Novecento, una nuova definizione di probabilità, basata
sull’approccio frequentista. Per comprendere la nuova definizione, torniamo all’esempio
del lancio casuale della moneta non truccata; abbiamo detto che classicamente si ha
p({T }) =
1
2
1
e p({C}) = .
2
In altre parole, ci aspettiamo che lanciando la moneta 10 volte più o meno 5 volte
otterremo testa e 5 volte croce, stessa cosa se la lanciamo 100 volte, ci aspettiamo di
avere grosso modo lo stesso numero di teste e di croci. Su questa idea è basata la
definizione frequentista: per stabilire la probabilità di avere testa lanciamo una moneta
un numero molto grande di volte, diciamo N , e contiamo quante volte abbiamo ottenuto
testa, diciamo NT ; la probabilità varrà dunque approssimativamente
NT
N
ovvero, se vogliamo essere un po più precisi, sarebbe da scrivere
NT
.
N →+∞ N
p({T }) = lim
(4.1)
Non entriamo nel dettaglio di una formalizzazione matematica rigorosa dell’approccio
frequentista, ma vale la pena osservare che usando questo metodo si trattano agevolmente
anche casi in cui gli eventi elementari non sono equiprobabili: se lanciando la moneta
scopriamo che
NT
= 6,
10
NT
= 63,
100
NT
= 587,
1000
NT
= 6124,
10000
...
6
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potremmo ragionevolmente concludere che la moneta è sbilanciata in favore dell’esito
testa, e quindi attribuire probabilità diverse ai due eventi elementari, ad esempio
6
3
4
2
p({T }) ∼
= , p({C}) ∼
= .
10
5
10
5
Va da sé che in questo caso non possiamo più usare la nozione classica di probabilità, ci
vuole una definizione più generale che daremo nell’ultima sezione. Torniamo un attimo
sul limite a destra della (4.1): in realtà si dimostra che se l’uscita di testa e croce sono
equiprobabili allora
NT
1
= .
N →+∞ N
2
In altre parole nel caso di eventi elementari equiprobabili la probabilità calcolata secondo
(4.2)
lim
l’approccio frequentista tende a essere quella classica: questa è la legge dei grandi numeri,
fonte di molta confusione. Infatti, la (4.2) non dice che se uno lancia casualmente una
moneta non truccata 8 volte necessariamente deve uscire testa 4 volte e croce 4 volte;
la stessa cosa vale se uno effettua un qualunque numero di lanci, non ci sarà mai la
certezza di avere esattamente la metà di esiti favorevoli. La formula (4.2) è un passaggio
al limite: la legge dei grandi numeri afferma quindi che prima o poi la frequenza relativa
dell’evento considerato è vicina quanto si vuole alla sua probabilità classica, ma non
è possibile quantificare questo prima o poi. Questo è il maggiore fraintendimento della
legge dei grandi numeri applicata al Gioco del Lotto: se il 53 ha probabilità 0,05 di essere
estratto sulla ruota di Venezia vuol dire che ci aspettiamo di vedere il 53 sulla ruota di
Venezia ogni 18 estrazioni circa, ma questa stima tende a essere sempre più corretta solo
per un numero molto grande di estrazioni, e non sappiamo quanto grande in generale.
C’è però un conto che possiamo fare e che illustra altri errori in cui uno potrebbe cadere.
Calcoliamo la probabilità che il 53 non esca per 181 estrazioni consecutive sulla ruota
di Venezia (cosa che è successa, per l’appunto). La probabilità che non esca alla prima
estrazione è
1
17
= .
18
18
Alla seconda estrazione, siccome il caso non ha memoria, abbiamo ancora
17
18
come probabilità di non uscita, e dunque
2
17
18
1−
è la probabilità che il 53 non venga estratto per due estrazioni consecutive. Iterando il
ragionamento avremo che la probabilità che il 53 non esca per 181 estrazioni consecutive
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sulla ruota di Venezia vale
17
18
181
∼ 0, 00003 ∼
1
.
33.333
Si tratta invero di una probabilità molto bassa, e qui entra subdolo un altro errore
comune: credere che un evento a bassa probabilità sia praticamente impossibile. Un
facilissimo esempio costruito ad hoc mostra che ovviamente cosı̀ non è: basta prendere
un’urna contenente 33.333 palline identiche numerate da 1 a 33.333, estrarne una a caso
e osservare che tale pallina aveva probabilità
1
33.333
di essere estratta, eppure l’evento si è verificato, ed anzi una delle 33.333 palline doveva
comunque essere estratta. È vero, 0,00003 è decisamente bassa comunque, del resto per
differenza la probabilità che il 53 uscisse almeno una delle 181 estrazioni consecutive vale
circa
1 − 0, 00003 = 0, 99997
praticamente l’evento certo diremmo. Abbiamo di fatto dato una risposta rigorosa alla
seconda domanda, ovvero “quanto è probabile che un certo numero non venga estratto
su una determinata ruota per un certo numero consecutivo di estrazioni?” Ecco dove si
genera la confusione: bisogna prestare attenzione a cosa rappresenta 0,99997; essa, come
probabilità, si riferisce all’esperimento “estrai 181 volte le cinquine e conta le volte in cui
esce il 53”. L’esperimento di estrazione semplice non ha niente a che fare con l’esperimento di 181 estrazioni consecutive, per cui quel 0,99997 non ci dà nessuna informazione su
cosa faccia la 182-ma estrazione, per quella il 53 torna per i fatti suoi ad avere probabilità
0,05 di essere estratto. L’errore comune sta nel confondere la probabilità che il 53 debba
presentarsi almeno una volta in 181 estrazioni consecutive, molto alta, con la probabilità
che alla 182-ma estrazione il 53 debba uscire, che resta e sempre resterà 0,05. Invero,
la corretta applicazione della legge dei grandi numeri per la probabilità che il 53 debba
presentarsi almeno una volta in 181 estrazioni consecutive dice che mediamente dobbiamo aspettarci circa 99 successi ogni 100 esperimenti (abbiamo approssimato 0,99997 a
0,99) ma il punto è che qui esperimento vuol dire fare 181 estrazioni consecutive, per cui
dovremmo ripetere 181 estrazioni per 100 volte e aspettarci circa 99 successi, cosa che
non ha nulla a che fare con la singola 182-ma estrazione.
5. Definizione soggettiva di probabilità: equità di un gioco
È arrivato il momento di passare invece al gioco vero e proprio, ovvero testare quanto
crediamo davvero nella probabilità: puntiamo dei soldi. Per questo usiamo il seguente
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gioco: noi contro il banco, abbiamo tre carte numerate da 1 a 3 da estrarre casualmente
e dobbiamo fare, ad ogni giro, una certa puntata in denaro, diciamo P e, su una delle
tre carte; se vinciamo riceviamo R e, se perdiamo P e passano al banco. Per rendere
ancora più concreta la situazione supponiamo di giocare per l’appunto a questo gioco e
di decidere di puntare 1 e e incassare il doppio ad ogni vincita, cioé 2 e; in altre parole
P = 1 e R = 2. Notate qualcosa di strano? Ci conviene davvero giocare a questo gioco?
Facciamo un conto approssimativo: la probabilità di vittoria è
1
3
quindi dopo un adeguato numero di giocate, per esempio 15, ci aspettiamo di aver vinto
circa 5 volte, e quindi di aver portato a casa 10 e, ma di aver puntato però 15 e, per cui
abbiamo perso 5 e: alla lunga quindi il banco vince e ci prosciuga le tasche. In effetti, è
anche da notare che il banco ha probabilità
2
3
di vincere ad ogni giro, che è maggiore della nostra, per cui per far sı̀ che mediamente
nessuno dei due prosciughi le tasche all’altro, il modo corretto di impostare questo gioco
è puntare 1 e, e richiedere 3 e come ricavo in caso di vincita. In questo modo effettivamente dopo 15 giocate ci aspettiamo di aver vinto circa 5 volte, e quindi di aver portato
a casa 15 e, e di aver puntato 15 e, per cui non abbiamo né vinto né perso nulla. In
questo modo l’eventuale guadagno e/o perdita è puramente affidata al caso per cosı̀ dire;
se l’ennesima partita termina come ci aspettiamo allora nessuno vince e nessuno perde:
il gioco è equo. Nel caso in questione l’equità del gioco si traduce nell’uguaglianza
1
P
= .
3
R
Dunque, in un gioco equo la probabilità di vincita à pari al rapporto tra la puntata ed
il ricavo in caso di vincita. Questo fatto può essere preso come ulteriore definizione di
probabilità, proposta dal matematico e statistico italiano Bruno de Finetti (1906-1985)
verso la metà del secolo scorso. Secondo de Finetti la probabilità di un evento E è
rappresentata dal grado di fiducia che un individuo ha nel verificarsi dell’evento stesso;
proprio per questa sua pecularità questa nozione di probabilità fu chiamata soggettiva.
In altre parole, se stiamo giocando, la probabilità di vittoria è pari, per definizione,
al rapporto tra quanto puntiamo e quanto vogliamo ricavare in caso di vittoria. Ma
torniamo ai giochi, perché l’equità di un gioco è molto interessante dal momento che è
formalizzata in modo preciso, e dunque la possiamo applicare a casi concreti di giochi
se vi utilizziamo la probabilità classica; va da sé che non ci aspettiamo di trovare giochi
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perfettamente equi, ma almeno molto vicini ad esserlo, del resto la perfezione non è di
questo mondo. Andiamo tutti quanti a Las Vegas ed entriamo in uno dei tanti Casinò,
ci attira il gioco della Roulette, gioco d’azzardo di origine italiana e introdotto in Francia
nell’Ottocento. Tutti sappiamo come giocare: puntare su uno dei 37 numeri (tale puntata
è detta plein) e aspettare che la pallina del croupier si infili in una delle caselle numerate
da 0 a 36.2 Ebbene: quanto si vince? la vittoria viene pagata 35 volte la somma puntata,
la perdita comporta la perdita dell’intera somma puntata, che passa quindi al banco.
Vediamo quindi che il gioco non è perfettamente equo, ma ce lo aspettavamo. In effetti
non è poi cosı̀ lontano dall’essere equo, per esserlo avrebbero dovuto pagarci 37 volte la
somma puntata, alla lunga quindi il banco vince ma di poco, è ragionevole visto che i
Casinò hanno costi di gestione e varie altre spese. Inoltre, la vincita al Casinò è netta,
dal momento che viene tassata alla fonte, dunque chi punta 1 e alla roulette e vince si
mette in tasca 35 e netti. Vale anche la pena osservare che in percentuale ciò che si
trattiene il Casinò rispetto alla perfetta equità del gioco è circa il 5%. Torniamo in Italia
e analizziamo il nostro Gioco del Lotto. Sappiamo chiaramente quanto lo Stato paga
una vincita per cui possiamo fare le stesse considerazioni fatte per la Roulette. Il Gioco
del Lotto è disciplinato dalla legge n. 528 del 2/8/1982 e dal Decreto del Presidente della
Repubblica n. 560 del 16/9/1996. In base a tale regolamentazione le vincite garantite
dallo Stato (ci siamo limitati ad estratto, ambo, terna, quaterna, cinquina su ruota fissa)
sono date da:
giocata vincita con puntata di 1 e
estratto
11,23 e
ambo
250 e
terno
4.500 e
quaterna
120.000 e
cinquina
6.000.000 e
Sul Gioco del Lotto vi è inoltre una tassazione del 6% sulla vincita, per cui la tabella
precedente diventa di fatto la seguente:
giocata vincita netta con puntata di 1 e
estratto
10,56 e
ambo
235 e
terno
4.230 e
quaterna
112.800 e
cinquina
5.640.000 e
Abbiamo già calcolato la probabilità di uscita di un numero su una ruota del Gioco del
Lotto: essa vale 0,05. Ne segue che, per equità, lo Stato dovrebbe pagarci 18 volte la
somma puntata, per cui 18 e per ogni euro giocato, mentre ci paga solo 10,56 e: si
2In
realtà nella versione americana è presente anche il doppio 0 per cui le caselle passano da 37 a 38.
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LUCA LUSSARDI
tratta di una vincita decisamente inferiore a quanto ci spetterebbe, a conti fatti lo Stato
italiano si trattiene, rispetto alla perfetta equità del gioco, circa il 41%, contro il 5% del
Casinò. Le cose vanno in modo analogo per l’ambo (lasciamo al lettore il calcolo nel caso
del terno, della quaterna e della cinquina): la probabilità di fare un ambo secco su una
ruota risulta essere di
109.736
∼ 0, 0025.
43.949.268
Dunque, ad una puntata di 1 e per equità dovrebbero corrisponderci circa
1
e = 400 e
0, 0025
mentre lo Stato ci paga 235 e, trattenendo anche qui il 41% circa. Dopo tutta questa
analisi quindi giochereste ancora ad un gioco cosı̀?
6. Approfondimento: definizione assiomatica di probabilità
Per i più curiosi e ferrati in matematica presentiamo la definizione moderna di probabilità. Abbiamo avuto modo di dare ben tre nozioni a prima vista molto differenti di
probabilità, perlomeno come idee di base: hanno qualcosa in comune? La risposta è sı̀
ovviamente, e la parte comune a tutti gli approcci presentati costituisce la definizione
moderna di probabilità, che è di tipo assiomatico: una probabilità è una funzione che
ha certe proprietà formali. Tale impostazione fu proposta dal matematico russo Andrey
Nikolaevič Kolmogorov (1903-1987) nel 1933. Prima di tutto dobbiamo tornare sulla
questione di cosa sia un evento. Abbiamo già fatto presente che conviene che non tutti i
sottoinsiemi dello spazio campionario Ω siano eventi; gli eventi però devono essere stabili
per operazioni insiemistiche. La parola magica è σ-algebra: una σ-algebra in Ω è una
famiglia U di sottoinsiemi di Ω (che saranno gli eventi per definizione) tale che:
1) ∅, Ω ∈ U;
2) E ∈ U =⇒ E c ∈ U;
3) ogni volta che (Eh ) è una successione in U si ha anche
∞
∞
[
\
Eh ∈ U,
Eh ∈ U.
h=0
h=0
Finalmente, assegnati uno spazio campionario Ω e una σ-algebra U in Ω, una probabilità
su Ω è una funzione p : U → [0, 1] tale che
1) p(∅) = 0 e p(Ω) = 1;
2) ogni volta che (Eh ) è una successione in U si ha
[
X
∞
∞
p
Eh ≤
p(Eh );
h=0
h=0
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3) ogni volta che (Eh ) è una successione in U e gli Eh sono a due a due disgiunti si
ha
p
[
∞
Eh
=
h=0
∞
X
p(Eh ).
h=0
È facile verificare che la nozione classica di probabilità presentata in precedenza rientra
in questo contesto: se infatti Ω è finito, consideriamo la σ-algebra U data dall’insieme
di tutti i sottoinsiemi di Ω, e poniamo
|E|
.
|Ω|
Allora p verifica le proprietà 1-2-3. Volendo trattare anche il caso di eventi elementari
p(E) =
non equiprobabili osserviamo che possiamo procedere come segue, sempre nel caso finito:
se Ω = {ω1 , . . . , ωN } scegliamo pi ∈ [0, 1] per ogni i = 1, . . . , N tali che
N
X
pi = 1.
i=1
Per ogni A = {ωi1 , . . . , ωih } ⊆ Ω basta allora porre
p(A) =
h
X
pij
j=1
per avere una probabilità su Ω. Formalizzazioni più rigorose della nozione frequentista
e della nozione soggettiva permettono di inquadrare anche questi due approcci nella
definizione assiomatica di Kolmogorov, che rappresenta quindi il terreno comune alle tre
nozioni analizzate: la teoria della probabilità è quindi rappresentata da tutto ciò che è
possibile costruire a partire dalla terna (Ω, U, P ).
Riferimenti bibliografici
[1] A. M. Mood, F. A. Graybill e D. C. Boes, Introduzione alla Statistica, McGraw-Hill, 1991.
Dipartimento di Matematica e Fisica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Via dei
Musei 41, 25121 Brescia, Italy
E-mail address: [email protected]