trailer contro trailer 2.0

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trailer contro trailer 2.0
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TRAILER CONTRO
TRAILER 2.0
L’arte della promozione cinematografica oggi
a cura di Mauro Antonini
Alien di Ridley Scott
Nell’ormai lontano 1988 Segnocinema dedicava lo Speciale del suo n. 31 a un
approccio critico al trailer. Curato da Giancarlo Zappoli e intitolato “Trailer contro
Trailer”, lo Speciale introduceva una prospettiva critica del tutto innovativa, decidendo di prendere come elemento d’analisi filmologica non il film ma un elemento a esso contestuale: il trailer, appunto.
Oggetto cultuale misterioso, spesso consi-
derato di natura subordinata all’opera che
pubblicizza, il trailer si dimostra, invece,
un apparato complesso e artistico, spesso
visibile - e vivibile - anche a prescindere
dal film cui si dovrebbe legare. Riprendere il discorso a 24 anni di distanza, con questo upgrade “Trailer contro Trailer versione 2.0”, sembrava doveroso considerando,
soprattutto, quanto la forma-trailer abbia
assunto nella società della mass-medializ-
Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick
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zazione e del digitale proprietà polisemiche e polilinguistiche impossibili da raggiungere un ventennio addietro.
Questo Speciale esaminerà, così, non
solo il rapporto che il trailer detiene con
il film che promuove - considerando quanto il primo possa vivere, a livello critico e
deontologico, anche in sottrazione rispetto ai valori e ai significati del secondo, ancor più che in passato - ma soprattutto la
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mutazione interna al linguaggio specifico
del trailer, dovuta alla divulgazione dello
stesso nel regno dei media informatici. Non
più solo elemento meramente pubblicitario il trailer diviene, nel contemporaneo,
parte del nostro vissuto, apparendo nella
pluralità morfologica di tutti quegli schermi che ci “seguono” ben oltre le preview
della sala cinematografica, invadendo internet e gli iPhones, ma anche e soprattutto i flat screen delle stazioni, dei centri
commerciali e delle facciate dei palazzi. Se
da una parte il trailer diventa sempre più
on demand, a portata di touch su ogni dispositivo palmare, dall’altra si fa sempre
più autonomo, un elemento urbanistico
che vediamo anche, e soprattutto, quando
non scegliamo di vederlo. In quest’ottica
il trailer risulterebbe svalutato se considerato solo forma para-testuale rispetto al
film che presenta e, al contrario, dev’essere affrontato - tanto dal critico quanto dallo spettatore - come una vera e propria
“opera” comprensiva di regole, meccanismi linguistici, e codici di percezione stratificati e complessi, intessuti in un terreno
liminale tra videoarte, forma breve, e strategia mass-market.
In questo avanzato panorama, sempre più spesso accade che alcuni trailer fortemente autocoscienti risultino più compiuti e “finiti” del film stesso (e non necessitino della visone della pellicola per
avvalorarsi di senso o d’emozione) mentre, all’opposto, alcuni film divengano “trailer di se stessi”, incompiuti, frammentati,
come forme di feticismo della propria stessa natura. Ancor più spesso accade che il
trailer non mercifichi banalmente il film
ma che porti a una visione guidata - critica verrebbe da dire - dello stesso. Si consideri, ad esempio, come il trailer di un film
come The Mask di Chuck Russell, assemblato appositamente per mostrare le novità dell’impianto effettistico digitale del
film, comprenda già tutte le spettacolari
trasformazioni del protagonista e dunque
svaluti il film proprio sul piano in cui si desidera promuoverlo; a questo punto il pubblico in sala si troverà a “montare” mentalmente una serie di scene d’effetto che
ha già visto stimolando una forte atten-
zione all’impianto narrativo della vicenda, che nella preview appare di secondo
piano.
Al contrario, un film come The Terminal di Steven Spielberg, possiede un trailer talmente interessato a presentare l’assurdo dell’intreccio da raccontarlo quasi
nella sua interezza, producendo un risultato opposto all’esempio appena precedente: lo spettatore, invogliato da una trama intrigante, andrà al cinema conoscendola già nei suoi sviluppi e finirà per affrontare il film in maniera formale, facendo più attenzione a tutto l’apparato visivo/sonoro che il trailer - in forma contratta - non riproduce con doverosa fedeltà.
Ciò che concerne la sfera del racconto risulta ancora il punto focale che istituisce
il modus con cui il trailer si presenta (o
presenta il film). Si vedano, da una parte,
i trailer fortemente narrativi come quello
di Tron Legacy di Joseph Kosinski, che mostra brani in successione cronologica della prima parte del film e procede divenendo
via via meno esplicito nella narrazione, eludendo completamente la parte finale della pellicola o, ancor di più, quello di Real
Steel di Shawn Levy che risulta una completa sintesi narrativa del film, in cui si può
evincere tutta la trama, a eccezione dell’esito (prevedibile) della tenzone finale.
Dall’altra un trailer “emozionale” come quello de Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno di Christopher Nolan, scavalca il concetto di linearità e di parallelismo con il
film per divenire opera d’assemblaggio di
scene, immagini e suoni talmente arbitrario narrativamente da permettersi, persino, la quasi totale omissione del personaggio del franchise (che appare in costume solo in pochi decimi di secondo) senza paura che il pubblico possa assumere il
trailer come diretta riproduzione in piccolo di un ipotetico film di Batman senza
il protagonista, proprio perché ne riconosce la forma “emotiva” che accentua l’hype intorno alla sua figura. Su questa articolazione si concentra l’intervento di Martina Federico, dove attraverso una dettagliata analisi di due trailer simbolici e “classici” si traccia un identikit dei due apici di
sviluppo narrativo e a-narrativo del trai-
Real Steel di Shawn Levy
ler, considerando le scelte tematiche che
si celano alla base di essi e in relazione ai
film che si occupano di promuovere. Carlo Valeri affronta invece una delle “mutazioni” più usate del meccanismo del trailer, il teaser, considerando sia l’aspetto industriale di pre-presentazioni di film che
si riferiscono a icone già ben decodificate
dal pubblico, evocate anche solo da un logo o da un tema musicale, fino alla possibilità di mettere in scena immagini appositamente promozionali che non verranno, poi, inserite nel film.
Significativa è la presenza di Giancarlo Zappoli, curatore dello Speciale prototipo dell’88, che qui si concentra sull’apparato di manipolazione del trailer, considerando quanto spesso ciò che si vede nelle preview non corrisponda a quanto apparirà nel
film, e fino a che punto si può attuare la manipolazione delle scene per attirare gli spettatori senza che a questi venga data un’idea
troppo trascendentale dell’opera che vedranno. L’intervento del curatore si sofferma sul fenomeno tipicamente contemporaneo dei “fake trailer” esploso con l’avvento del web e poi approdato al cinema con il
progetto Grindhouse e il caso di Machete
(realizzato a partire dal suo stesso fake trailer), fino a esaminare forme di falsa trailerizzazione “interna” ai film stessi. Il pezzo
di Pierpaolo De Sanctis continua a esplorare il mondo del web vagliando cosa sia
cambiato nell’organismo di ideazione/creazione/fruizione del trailer dall’avvento della rete in cui i trailer circolano anche ri-postati dagli utenti dei social network creando casi di meta-pubblicità (“meta” perchè
l’utente convenzionale di Facebook che condivide sulla sua bacheca un trailer non ci
guadagna nulla).
Dalla lettura dei vari interventi si trae
un panorama variegato come il tema affrontato, dove un universo auidiovisivo apparentemente “accessorio”, com’è quello
del trailer, si dimostra sempre più un laboratorio di idee, strategie ed elaborazioni, imponendosi, al contrario, come un linguaggio
così ricco e vivo da insinuare, persino, l’idea
di una sua completa autonomia artistica e
industriale. C’è da chiedersi se il film, in tutto questo, ci servirà ancora per molto.
Tron Legacy di Joseph Kosinski
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