d-ROMs Test E Stress Ossidativo

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d-ROMs Test E Stress Ossidativo
Prima Edizione – 2003
Eugenio Luigi Iorio
d-ROMs
Test
E
Stress
Ossidativo
DIACRON International
La struttura molecolare riportata in copertina è la formula chimica tridimensionale rielaborata al computer della N,N dietilparafenilendiammina, il substrato cromogeno del d-ROMs test (brevetto DIACRON International s. a. s., Grosseto, Italia
Prefazione
Lo stress ossidativo costituisce un capitolo relativamente recente della biochimica che, probabilmente
per il suo carattere di “trasversalità” o “interdisciplinarietà”, non ha ancora trovato una sua adeguata e
soddisfacente collocazione in medicina.
E’ noto, infatti, che un’accentuazione dei processi ossidativi, di cui è spesso espressione un’aumentata
produzione di radicali liberi, può accelerare il fisiologico processo dell’invecchiamento e risulta associata ad
almeno 50 patologie, dall’ictus cerebrale all’infarto del miocardio, dal diabete mellito all’obesità, dal morbo di
Parkinson alla malattia di Alzheimer, dal morbo di Crohn all’artrite reumatoide, dall’AIDS al cancro, e così
via.
Tuttavia, al contrario di queste condizioni morbose, abbastanza ben definite sotto il profilo nosografico,
lo stress ossidativo non esibisce una propria sintomatologia, non dà luogo ad un vero e proprio quadro
clinico e, pertanto, al medico che non ne sospetta l’esistenza, non fornisce elementi tali da suggerire un
adeguato approfondimento diagnostico, laddove l’esecuzione di alcune semplici indagini di laboratorio
consentirebbe un immediato inquadramento del problema, evitando al paziente una serie di conseguenze
tali da comprometterne la durata e/o la qualità della vita già nel breve o medio termine.
A rendere più complesso questo quadro – già di per sé poco confortante – c’è da aggiungere che se il
medico, per una serie di ragioni, non sempre è adeguatamente “informato” sull’argomento, l’analista di
laboratorio non è generalmente “attrezzato” per l’esecuzione di test miranti alla valutazione dello stress
ossidativo.
E intanto – paradossalmente – terapisti, farmacisti, allenatori sportivi e persino estetisti continuano a
prescrivere e/o suggerire al soggetto potenzialmente a rischio di stress ossidativo l’assunzione di integratori
ad attività antiossidante. E non importa se quest’ultima sia reale o presunta.
Infatti, secondo una prassi ormai consolidata, non è abitualmente prevista l’esecuzione preliminare di
test di laboratorio, pur disponibili per la routine clinica, per dimostrare – tramite l’identificazione e la
quantificazione nei fluidi extracellulari e/o nei tessuti di adeguati marker biochimici – la necessità oggettiva di
tali formulazioni.
In altri termini, mentre è ormai acquisito che un farmaco ipocolesterolemizzante va assunto solo dopo
che un test abbia documentato inequivocabilmente una condizione di ipercolesterolemia, è diffusa la
tendenza all’uso di antiossidanti anche quando non è necessario, proprio perché non è ancora diventata
buona prassi eseguire preliminarmente una valutazione di laboratorio dello stress ossidativo.
Lo scopo del presente lavoro è quello di fornire una serie di evidenze scientifiche – ormai consolidate
dalla letteratura biomedica – a sostegno del concetto che solo un’adeguata valutazione di laboratorio può
consentire l’identificazione e la definizione circostanziata di una condizione di stress ossidativo e rendere
possibile, quando indicato, il monitoraggio di un’eventuale terapia antiossidante.
Il presente lavoro vuol essere un aiuto per il clinico ed i terapisti in genere, compresi i farmacisti ed i
biologi. Esso non ripropone come un testo esaustivo nel campo della medicina di laboratorio dello stress
ossidativo ma intende fornire semplicemente una breve panoramica riguardo ai più recenti progressi nella
valutazione del bilancio ossidativo. Il più interessante test qui discusso appare essere il d-ROMs test, che
consente la valutazione del livello sierico degli idroperossidi, marker ed amplificatori del danno ossidativo
tissutale. Finora sono stati pubblicati circa un centinaio di lavori, quasi a sottolineare la sua importanza nella
pratica clinica. A questo riguardo si ringraziano per l’aiuto tutti gli Autori degli studi clinici e sperimentali
riportati in questo volume e, in particolare, Mauro Carratelli, l’ “inventore” del d-ROMs test.
Grosseto, 6 marzo 2003
Dr Eugenio Luigi Iorio, MD, PhD
Science Manager Diacron International
3
Indice
Indice
Prefazione
Pag. 3
Capitolo 1 Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
1. 1 Generalità e definizioni
1. 2 Meccanismi di produzione delle specie reattive nei viventi
1. 3 Metabolismo delle più importanti specie reattive di interesse biologico
1. 4 Il sistema di difesa antiossidante
pag. 5
pag. 5
pag. 7
pag. 11
pag. 12
Capitolo 2 Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
2. 1 Generalità e definizioni
2. 2 Basi biochimiche
2. 3 Eziopatogenesi
2. 4 Stress ossidativo e invecchiamento
2. 5 Stress ossidativo e malattie
pag. 14
pag. 14
pag. 14
pag. 17
pag. 19
pag. 20
Capitolo 3 Il ruolo del laboratorio nella valutazione dello stress ossidativo. Una overview.
pag. 23
Capitolo 4 I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
4. 1 Il d−ROMs test
4. 2 Gli altri test
pag. 25
pag. 25
pag. 38
Capitolo 5 I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
5. 1 L’OXY−Adsorbent test
5. 2 Il BAP test
5. 3 L’-SHp test
pag. 40
pag. 40
pag. 43
pag. 44
Capitolo 6 La strumentazione dedicata nella valutazione dello stress ossidativo
6. 1 Il sistema FREE
6. 2 Il sistema FRAS
pag. 47
pag. 47
pag. 48
Capitolo 7 Considerazioni conclusive e linee−guida
pag. 50
Capitolo 8 Selezione bibliografica
8. 1 Bibliografia generale per autore
8. 2 Bibliografia per aree di interesse medico
pag. 53
pag. 53
pag. 59
4
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
Capitolo 1
Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
ossidanti. Infatti, la durata stimata della sua
esistenza è dell’ordine dei nanosecondi.
Viceversa, il trifenilmetile [(C6H5)3–C*] è un
radicale che, in opportune condizioni, può essere
persino isolato in soluzione, proprio per la sua
relativa stabilità o inerzia chimica. Lo stesso
radicale
catione
della
N,Ndietilparafenilendiammina,
appena
citato,
costituisce un esempio di radicale relativamente
stabile (figura 1. 1).
I radicali liberi vengono classificati sulla base
della natura dell’atomo al quale appartiene
l’orbitale con l’elettrone spaiato. Esistono, quindi,
radicali liberi centrati sull’ossigeno, sul carbonio,
sull’azoto, o sul cloro, solo per citare quelli di più
immediato interesse in patologia umana.
Nella presente trattazione, tuttavia, si farà
riferimento prevalentemente ai radicali liberi
centrati sull’ossigeno, noti più semplicemente come
radicali liberi dell’ossigeno.
Quest’ultimo, infatti, oltre ad essere uno degli
elementi quantitativamente più importanti della
materia vivente, nonché la fonte primaria della vita
stessa, attraverso una serie di meccanismi – non
ultimo la stessa respirazione cellulare – induce
continuamente la formazione di specie chimiche
con caratteristiche di reattività.
A tal riguardo, occorre sottolineare che i
radicali liberi dell’ossigeno rientrano nella più
grande famiglia delle specie reattive dell’ossigeno
(reactive oxygen species, ROS).
Con questo termine si intende una classe di
specie chimiche reattive derivate dall’ossigeno, di
natura non necessariamente radicalica, tutte
accomunate dalla tendenza più o meno spiccata ad
ossidare vari substrati organici (carboidrati, lipidi,
amminoacidi, proteine, nucleotidi, ecc.).
Classici esempi di ROS di natura radicalica
sono l’ossigeno singoletto e il radicale idrossile.
L’ozono ed il perossido di idrogeno, invece, sono
specie reattive non radicaliche dell’ossigeno.
I radicali liberi, comunque centrati, possono
essere generati attraverso diversi meccanismi e,
una volta formati, danno luogo generalmente ad
una serie di reazioni a catena, nel corso delle quali
il sito radicalico può essere trasferito o,
eventualmente, inattivato.
Si distinguono, pertanto, tre step nelle reazioni
radicaliche a catena: inizio, propagazione e termine
(figura 1. 3).
1. 1 Generalità e definizioni
I radicali liberi o, più semplicemente, radicali,
sono atomi o raggruppamenti di atomi aventi in uno
degli orbitali esterni delle specie che li
costituiscono uno o più elettroni spaiati,
indipendentemente dalla carica elettrica espressa;
per
esempio,
il
radicale
della
N,Ndietilparafenilendiammina, il substrato cromogeno
del d-ROMs test (vedi in seguito), è un classico
esempio di radicale catione, cioè carico
positivamente (figura 1. 1).
Ne
O
Un atomo di Ne
Solo elettroni appaiati
Un atomo di O
Due elettroni spaiati
Atomo (stabile)
O
H
Il radicale idrossile (*OH)
Un elettrone spaiato
Radicali liberi dell’ossigeno (instabili)
CH 3-CH 2
+
NH2
N
CH 3-CH 2
Il radicale catione della N,N-dietilparafenilendiammina
(il substrato cromogeno del d-ROMs test)
Un esempio di radicale relativamente stabile
Figura 1. 1 Atomi e radicali
In funzione della distribuzione della carica
(nube elettronica) e/o del proprio potenziale di
ossido-riduzione, i radicali liberi presentano una
reattività più o meno spiccata, legata alla tendenza
spontanea ad esistere come entità aventi tutti gli
elettroni disposti in coppie, condizione che
corrisponde alla stabilità o inerzia chimica. Ne
deriva che non tutti i radicali sono ugualmente
reattivi. In genere, quanto più è elevato il rapporto
fra carica e volume, tanto più un radicale libero è
reattivo e, pertanto, tenderà a raggiungere la
propria stabilità strappando elettroni a qualsiasi
specie chimica con la quale viene a contatto,
ossidandola (compatibilmente con il suo potenziale
di ossido-riduzione) (figura 1. 2).
Elettrone spaiato
ossidazione
A
+
Radicale libero
(ossidante)
C
C
Molecola bersaglio
(es. doppio legame C -C)
A
+
Nuova molecola
(ridotta, stabile)
C
C
Nuovo radicale
(ossidato, instabile)
Figura 1. 2 I radicali liberi agiscono come ossidanti
In tal senso, il radicale ossidrile (HO*) è uno
dei radicali liberi più instabili e, quindi, reattivi ed
5
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
Interazione con
metalli di transizione
Fotolisi/
pirolisi
A:B
Inizio
AO
+hν
: OBFe
Scissione
di perossidi
Scissione di
azocomposti
: OR
RN : : NR
RO
2+
+hν
– N2
Fe 3+
A • + •B
AO • + OB -
RO• + •OR
R • + •R
Trasferimento
Addizione
Frammentazione
Ri-arrangiamento
A•
R•
R:C – C*=
R:C – C*=
R:H
Propagazione
particolari molecole con alcuni metalli di transizione
(figura 1. 5).
Men+1
CH2 =CH–
A
Men
B
-
+
A
=C = C =
A:H
R•
R•
R–CH 2 –CH* –
Combinazione
=C* – C:R
A• + • B
– C=
Radicale libero
Men
–C• – –C•–
+
–C–
–C–
Termine
A:B
Molecola
Disproporzione
A
B
Anione
Men+1
B
+
+
A
B
–C–
+
– C=
Molecola
–C–
Radicale libero
Catione
Figura 1. 3 Schema delle reazioni radicaliche a catena
Figura 1. 5 Interazione con metalli di transizione
I principali meccanismi attraverso cui si
generano i radicali liberi – step 1, reazione di inizio
– sono la scissione omolitica e l’interazione con i
metalli di transizione.
Con il termine di scissione omolitica si intende
la divisione di una molecola a livello di uno dei suoi
legami covalenti per effetto della somministrazione
di energia (termica, pirolisi, o radiante, radiolisi)
con generazione
di
due
nuove
specie
chimiche, ciascuna con un elettrone spaiato,
elemento distintivo dei radicali liberi (figura 1. 4,
A).
Nell’interazione con i metalli di transizione,
l’elettone generato dall’ossidazione di un metallo di
transizione in forma ionica (es. da Fe2+ a Fe 3+ o da
Cu+ to Cu 2+) spezza un legame covalente di una
molecola bersaglio, generando così un radicale
libero e un anione.
Alternativamente, l’elettrone richiesto per
ridurre un metallo di transizione in forma ionica (es.
da Fe3+ a Fe 2+ o da Cu2+ to Cu +) viene estratto dal
legame covalente di una molecola bersaglio, che si
decompone in un radicale libero ed un catione.
Attraverso questo meccanismo, per esempio,
il ferro (Fe2+/Fe3+) o il rame (Cu +/Cu2+) agiscono da
catalizzatori in una sequenza di reazioni di ossidoriduzione generando radicali alcossilici (RO*) e
perossilici (R–O–O*) a partire dai perossidi
(R–O–O–R).
Nel caso più semplice – descritto per la prima
volta da Fenton – uno ione ferroso (Fe2+),
ossidandosi a ione ferrico (Fe3+), cede il suo
elettrone ad una molecola di perossido di idrogeno
(H2O2) e ne scinde uno dei legami covalenti,
generando un radicale libero (il radicale idrossile,
HO*) ed un anione (ione ossidrile).
A sua volta, lo ione ferrico (Fe3+) si riduce –
rigenerandosi come qualsiasi catalizzatore – a
2+
ione ferroso (Fe ), strappando un elettrone da una
seconda molecola di perossido di idrogeno, che è
scissa in un radicale libero (un radicale peridrossile
(HOO*), e un catione (uno ione idrogeno, H+)
(figura 1. 6).
A
A
B
Energia
Molecola
+
A
Radicale libero 1
B
B
Radicale libero 2
-
+
H
Cl
Molecola
Acqua
H
Catione
+
Cl
Anione
Figura 1. 4 Scissione omolitica (A) e ionizzazione (B)
E’ bene sottolineare che la scissione omolitica
è ben diversa dalla ionizzazione che si osserva,
per esempio, dopo aver disciolto in acqua molecole
aventi almeno un legame covalente polarizzato (es.
HCl). In questo caso, le molecole d’acqua, a causa
della loro polarità e, dunque, senza alcuna
somministrazione di energia, riescono a spezzare
uno dei legami covalenti polarizzati della molecola
di soluto generando due specie chimiche caricate
di segno opposto, un catione ed un anione (H+ e
Cl , rispettivamente, nell’esempio considerato)
(figura 1. 4, B).
E’ evidente che nella ionizzazione, al contrario
della scissione omolitica, il doppietto elettronico di
legame della molecola originaria non viene
separato ma resta come tale in una delle “neonate”
specie ioniche (l’anione).
Un classico esempio di scissione omolitica è la
radiolisi o fotolisi dell’acqua che genera un atomo
di idrogeno ed un radicale idrossile (vedi più
avanti).
Oltre che per scissione omolitica, i radicali liberi
possono essere prodotti in seguito all’interazione di
OHH-O-O-H
H-O*
Perossido di
idrogeno
Radicale
idrossile
Fe2+
Fe3+
H-O-O*
H-O-O-H
Radicale
peridrossile
Perossido di
idrogeno
H+
Figura 1. 6 Decomposizione del perossido di idrogeno
Allo stesso modo, anche gli idroperossidi sono
scissi, per azione catalitica del ferro, in radicali
alcossilici (RO*) e perossilici (ROO*) (figura 1. 7).
6
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
radicali liberi reagiscono tra loro dando luogo ad
una molecola non più reattiva (figura 1. 9).
OHR-O-O-H
R-O*
Idroperossido
Radicale
alcossile
Fe2+
Fe3+
+
R
R-O-O*
H-O-O-H
Radicale
(idro)perossile
Idroperossido
Radicale libero 1
(ossidante)
H+
R1
Radicale libero 2
(antiossidante )
R
R1
Nuova
molecola
Figura 1. 7 Decomposizione degli idroperossidi
In assenza di catalizzatori, la scissione dei
perossidi – che dà luogo ad un’unica specie
radicalica, quella alcossilica – può avvenire solo in
seguito a somministrazione di energia (figura 1. 3).
Un’ultima modalità di formazione di radicali
liberi, tra quelle di maggiore rilevanza biologica, è
la decomposizione degli azocomposti, dalla quale
originano, per sottrazione di azoto molecolare (N2)
radicali alchilici (figura 1. 3).
Una volta innescata, una reazione radicalica a
catena tende a propagarsi (step 2).
Si distinguono 4 meccanismi fondamentali di
propagazione
delle
reazioni
radicaliche:
trasferimento, addizione, frammentazione e
riarrangiamento.
Tra questi, il più comune nell’ambito delle
reazioni radicaliche è il trasferimento. In questa
modalità, il radicale libero – generato da una delle
precedenti reazioni di inizio – attacca una molecola
sottraendo ad essa uno dei suoi atomi
(generalmente un atomo di idrogeno). Il risultato
finale è la formazione di una nuova specie reattiva
e, in pratica, il trasferimento del sito radicalico
(figura 1. 8A).
Figura 1. 9 Reazione di combinazione
Il primo radicale agisce come ossidante,
mentre il secondo si comporta come un generico
antiossidante (vedi appresso).
Questo meccanismo viene sfruttato per
bloccare una reazione radicalica e in generale, un
qualsiasi processo radicalico a catena può essere
interrotto grazie all’intervento di agenti denominati,
genericamente antiossidanti.
1. 2 Meccanismi di produzione
delle specie reattive nei viventi
Negli organismi viventi i ROS sono generati nel
corso della normale attività metabolica cellulare;
alcuni
agenti
esogeni,
tuttavia,
possono
incrementarne la produzione, anche con
meccanismo diretto (figura 1. 10).
Agenti
esterni
Produzione
di ROS
A
A
+
R
Radicale libero
(ossidante)
H
A
Molecola
bersaglio
+
H
Nuova
molecola
Metabolismo
cellulare
R
Nuovo radicale
(ossidante)
B
Figura 1. 10 Meccanismo generale di produzione dei ROS
O
Radicale
ossidrile
H
+
R
Substrato
organico
H
R
+
H
Radicale
alchile
O
H
E’ possibile individuare almeno 5 fonti
metaboliche primarie di radicali liberi, in rapporto al
sito cellulare prevalentemente interessato nella
produzione dei ROS stessi: la plasmamembrana, i
mitocondri, i perossisomi, il reticolo endoplasmatico
liscio (microsomi) e il citosol. E’ bene precisare che
in ciascuna di queste sedi i ROS vengono prodotti
o spontaneamente o per effetto di reazioni
catalizzate da enzimi o da metalli di transizione (es.
ferro o rame) (figura 1. 11).
Acqua
Figura 1. 8 Reazione di trasferimento
Con questo meccanismo, per esempio, il
radicale ossidrile (HO*) attaccando una molecola
organica (R-H), strappa a questa un atomo di
idrogeno, generando, accanto ad una molecola
d’acqua (H 2O), un radicale alchilico (R*) (figura 1.
8, B). Con questo meccanismo, il sito radicalico si
trasferisce dal radicale ossidrile al radicale alchile.
Infine, una reazione radicalica a catena può
arrestarsi (termine, step 3) o per combinazione o
per disproporzione.
In particolare, nella combinazione, che è la
reazione inversa della scissione omolitica, due
7
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
NADPH ossidasi
Lipoossigenasi
NADH deidrogenasi
Citocromo ossidasi
Xantina ossidasi
Aldeide ossidasi
Citocromo P 450
Citocromo b 5
dovrebbe concludersi, una volta sintetizzato l’ATP,
con la produzione di H2O (riduzione tetravalente
dell’ossigeno molecolare). Tuttavia, già in
condizioni normali, questo processo non è perfetto,
per cui in maniera non facilmente controllabile una
certa quota di elettroni (1-2%) sfugge al sistema di
trasporto dei vari coenzimi (es. ubichinone,
flavoproteine, citocromi, ecc.) e reagisce
direttamente
con
l’ossigeno
molecolare,
generando, così, anione superossido e /o
perossido di idrogeno (riduzione uni- e bivalente
dell’ossigeno molecolare).
Per avere un’idea di questo processo, si
consideri che è stato calcolato che durante un
esercizio fisico intenso nei muscoli scheletrici, a
causa
dell’intensa
stimolazione
metabolica
cellulare la quota di questo shunt elettronico può
raggiungere il 15% dell’ossigeno utilizzato dai
mitocondri.
Il fenomeno della riduzione uni o bivalente
dell’ossigeno molecolare avviene, nei mitocondri,
senza l’intervento di enzimi, al contrario di quanto
osservato in altre sedi cellulari (figura 1. 13).
Figura 1. 11 Fonti cellulari primarie di produzione di ROS
La plasmamembrana rappresenta una delle
fonti più importanti di ROS, particolarmente (ma
non esclusivamente) nei leucociti polimorfonucleati
(PMN). Infatti, nella plasmamembrana di queste
cellule sonolocalizzati diversi enzimi, quali la
NADPH ossidasi e le lipoossigenasi, la cui
attivazione si accompagna alla produzione,
rispettivamente di anione superossido e di
intermedi metabolici con caratteristiche chimiche di
perossidi.
La NADPH ossidasi è un enzima che catalizza
la formazione di anione superossido da
NADPH(H+) ed ossigeno molecolare, in seguito a
stimolazione specifica dei PMN, per esempio da
parte di endotossine, batteri, o anticorpi).
La reazione, che avviene verosimilmente in
due tappe, è resa possibile dall’aumentata
disponibilità di NADPH(H+), per l’aumentata
ossidazione del glucosio attraverso
lo shunt
degli esosi, e di ossigeno molecolare, nell’ambito
del cosiddetto “respiratory burst” (figura 1. 12).
Riduzione tetravalente
1e -
O2.
O2
1e -
1e -
H2O2
2 H+
Riduzione
univalente
Riduzione
univalente
HO.
1e -
H2O
1H +
Riduzione bivalente
Riduzione bivalente
Figura 1. 13 Modalità di riduzione dell’ossigeno molecolare
1) NADPH + O 2 → NADP* + H + O 2
+
*
2) NADP* + O 2 → NADP + O 2
+
*
In altre parole, da un punto di vista
squisitamente chimico la produzione di radicali
liberi nel corso della fosforilazione ossidativa è
esattamente una modalità non enzimatica di
produzione di specie reattive.
In realtà, come si è appenna accennato, la
generazione di radicali liberi negli organismi viventi
è strettamente legata ai fenomeni vitali e, pertanto,
costituisce un fenomeno “fisiologico” che avviene
continuamente nel corso di reazioni di
ossidoriduzione
attraverso
meccanismi
sia
enzimatici che non enzimatici.
A questo punto è opportuno sottolineare che,
oltre ai mitocondri, esistono anche altre fonti non
enzimatiche di radicali liberi nelle cellule. Per
esempio, i perossinitriti generano spontaneamente
radicale idrossile e radicale nitrossido.
Tuttavia, le reazioni non enzimatiche più
importanti sotto il profilo biologico per la produzione
di radicali liberi sono quelle catalizzate da metalli di
transizione. In queste reazioni, che richiedono
generalmente ferro o rame allo stato ridotto
(rispettivamente Fe2+ e Cu +) il perossido di
idrogeno (generato attraverso varie metaboliche,
come si preciserà più avanti) è scisso in radicale
idrossile e
ione ossidrile per inglobamento
Figura 1. 12 Meccanismo d’azione della NADPH ossidasi
Il sistema della lipoossigenasi, localizzato
anch’esso a livello della plasmamembrana,
comprende tre enzimi, la 5-, la 12-, e la 15lipoossigenasi, che catalizzano la formazione, a
partire dall’acido arachidonico, del 5-, del 12- e del
15-HPETE, rispettivamente. Queste sostanze sono
chimicamente degli idroperossidi acidi, un gruppo
particolare di ROS spesso indicati con la sigla di
ROM (reactive oxygen metabolites, cioè metaboliti
o derivati reattivi dell’ossigeno).
La produzione di ROS a livello della
plasmamembrana dei PMN, per attivazione della
NADPH ossidasi e/o delle lipossigenasi, avviene,
tipicamente, nel corso di processi reattivi (es.
infezioni,
immunoreazioni
patogene,
infiammazioni).
I mitocondri rappresentano la fonte metabolica
primaria di ROS perché sulle loro creste sono
localizzati i complessi enzimatici della catena
respiratoria deputati alla fosforilazione ossidativa.
Idealmente, il trasferimento di elettroni dal NAD
ridotto al citocromo C e da questo all’ossigeno
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Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
dell’elettrone strappato al metallo di transizione,
che
viene
rilasciato
in
forma
ossidata
(rispettivamente Fe3+ e Cu 2+), secondo il
meccanismo sopra discusso dell’interazione con
metalli di transizione:
citocromo P450. Quest’ultimo gioca un ruolo di
primo piano nei processi di detossificazione.
Il citocromo P450 agisce come donatore
immediato di elettroni in molte reazioni di
idrossilazione, in particolare quelle che avvengono
all’interno degli epatociti e che sono finalizzate
all’inattivazione di ormoni (es. steroidei) e composti
non fisiologici (xenobiotici, quali tossici e farmaci
idrofobici che vengono in tal modo resi più solubili
e meno tossici).
Il citocromo P 450 è una proteina a ferro eminico
presente non solo nel reticolo endoplasmatico del
fegato ma anche nei mitocondri della corticale del
surrene che, in un processo molto complesso e
non ancora perfettamente chiarito, fa da trait+
d’union fra l’NADPH(H ) (donatore di elettroni) e
substrato da idrossilare. In tale complessa reazione
un substrato idrossilabile (SH) reagisce con
NADPH(H+) ed ossigeno molecolare (O 2) per
formare il corrispondente derivato idrossilato
(S-OH), insieme a NADP+ ed acqua.
Una produzione di radicali liberi avviene nella
cellula anche nel corso di numerose altre reazioni
biochimiche,
come
ad
esempio
durante
l’ossidazione
dell’ipoxantina a xantina e della
xantina ad acido urico, che contrassegnano la fase
finale del catabolismo dei nucleotidi purinici
(AMP•IMP•inosina•ipoxantina•xantina•acido
urico).
Ambedue le suddette reazioni sono catalizzate
dalla xantina deidrogenasi, un enzima a molibdeno.
In particolari condizioni, come nel corso del
cosiddetto danno da ischemia-riperfusione, la
xantina deidrogenasi è convertita in xantina
ossidasi (probabilmente per clivaggio proteolitico
calcio-dipendente). Quest’ultima, utilizzando come
accettore finale di elettroni direttamente l’ossigeno,
genera perossido di idrogeno e anione
superossido,
a
partire,
rispettivamente,
dall’ipoxantina e dalla xantina (figura 1. 15).
→ HO* + OH + Fe
oppure
+
2+
HOOH + Cu → HO* + OH +Cu
2+
-
HOOH + Fe
3+
Analoga reazione subiscono gli idroperossidi,
che generano il radicale alcossile:
→ RO* + OH + Fe
oppure
+
2+
ROOH + Cu → RO* + OH + Cu
2+
-
ROOH + Fe
3+
Gli enzimi che rigenerano metalli di transizione
allo stato ridotto costituiscono un complesso
indicato con la sigla MCO (sistemi di ossidazione
metallo-catalizzata). Essi comprendono la xantina
ossidasi, la NADPH e la NADH ossidasi, l’acido
nicotinico idrossilasi, il sistema del citocromo P450,
la NADH reduttasi (coenzima chinonico), la
succinico-reduttasi (coenzima chinonico) e varie
proteine a ferro-zolfo non eminico. I chinoni e i
gruppi prostetici flavinici ridotti generati da questi
enzimi riducono a loro volta i metalli di transizione,
provocando la riduzione diretta dell’ossigeno
molecolare a radicale idrossile e/o a perossido di
idrogeno (attraverso la mediazione o meno
dell’anione superossido) (figura 1. 14).
FH 2
QH2
O2
QH*,
H-
2H+
QH*, Hx2
O2
O2*
Fe(III)
O2
H2 O 2
Fe(II)
FH+
F
Ipoxantina
*OH + OH- + Fe (III)
Xantina
Xantina
Acido urico
← Xantina ossidasi →
Figura 1. 14 Sistemi MCO e ciclo del ferro
H2O + O 2
Oltre alla plasmamembrana ed ai mitocondri,
anche i perossisomi rappresentano una fonte
importante di ROS. In questi organuli cellulari,
infatti, avviene un particolare processo di
ossidazione degli acidi grassi, che è diverso da
quello convenzionale (β−ossidazione). Nella prima
tappa di tale sequenza di reazioni, una
flavoproteina estrae una coppia di atomi di
idrogeno da una molecola
di acido grasso
attivato(acil-CoA)
trasferendola
direttamente
all’ossigeno molecolare, con formazione di
perossido di idrogeno (successivamente inattivato
dalla catalasi).
Nel reticolo endoplasmatico (microsomi) la
produzione di specie reattive passa attraverso il
H2 O2
O2
O2 -
Figura 1. 15 Produzione di ROS dal catabolismo purinico
Altre reazioni che generano radicali liberi sono
descritte nella sintesi delle catecolammine.
Da quanto esposto finora, si evince che i ROS
rappresentano intermedi quasi obbligati del
metabolismo cellulare. E poiché la loro produzione
è strettamente legata ai fenomeni vitali, a ragione
essi sono stati definiti “insostituibili compagni di
viaggio” della nostra esistenza.
9
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
Appare evidente che in ciascun sito cellulare,
la produzione di specie reattive ha una sua
specifica funzione. Infatti, è stato riconosciuto che i
ROS giocano un ruolo importante “al servizio della
vita” perché sono coinvolti non solo nel
metabolismo cellulare ma anche nei “processi
reattivi”, quali infezioni e infiammazioni. In verità,
l’anione superossido e gli altri ROS vengono
generati
sulla
superficie
esterna
della
plasmamembrana dei leucociti attivati. Queste
specie reattive attaccheranno componenti estranei
quali batteri indebolendone la parete e rendendoli
più facilmente accessibili alla fagocitosi e, in
definitiva, alla loro distruzione. Queste attività
“immunologiche” si estrinsecano non solo nei
confronti di componenti estranei ma anche contro
componenti “self” quali tessuti o organi trapiantati
(reazione di rigetto). Questa strategia viene anche
utilizzata nel corso della guarigione di organi o
tessuti soggetti a traumi. Infatti, i leuociti migrano
nell’area lesa, si attivano e iniziano a bombardare
le cellule danneggiate con i radicali liberi che
accelerano la loro distruzione, allontanamento dei
sottoprodotti di lisi, e il corrispondente recupero
(rigenerazione).
La produzione di radicali liberi da parte delle
cellule può, talvolta, subire un incremento notevole
per effetto di stimolazioni esterne. Infatti, agenti
fisici, chimici e biologici, da soli o in combinazione
tra loro, possono indurre direttamente la
generazione di ROS o aumentarne la “fisiologica”
produzione attraverso una specifica stimolazione
metabolica.
Tra gli agenti fisici, sono da segnalare le
radiazioni ionizzanti e i raggi UV. Ambedue queste
fonti energetiche possono indurre il fenomeno della
scissione omolitica dell’acqua, detto anche radiolisi
o fotolisi a seconda del tipo di radiazione coinvolto
(figura 1. 16).
maniera sostanziale sulla produzione di radicali
liberi.
Fra gli agenti chimici in grado di stimolare la
produzione di radicali liberi è da citare l’ozono (un
ROS) che genera direttamente radicali perossilici
per interazione con composti fenolici.
I due casi finora considerati (radiazioni e
ozono) costituiscono esempi di produzione diretta
di specie reattive.
Altri agenti chimici, invece, quali gli idrocarburi
aromatici policiclici o taluni farmaci, inducono un
aumento della produzione dei radicali liberi
attraverso un meccanismo indiretto, attivando il
sistema del citocromo P450 a livello microsomiale.
Agenti biologici che tipicamente inducono un
aumento della produzione di ROS per attivazione
metabolica specifica sono i batteri, nell’ambito del
fisiologico processo di difesa dalle infezioni, e
taluni anticorpi, nell’ambito di alcune reazioni
immunopatogene. In questi casi, come accennato
a proposito della plasmamembrana, sono chiamati
direttamente in causa i PMN. Questi ultimi, infatti,
possiedono oltre alla citata NADPH ossidasi, una
serie di enzimi direttamente coinvolti nella
produzione e, in parte, inattivazione di specie
chimiche reattive, quali la superossidodismutasi
(SOD), la mieloperossidasi (MPx), la catalasi (CAT)
e la glutatione perossidasi (GPx) (figura 1. 17).
Batteri, endotossine , anticorpi
Ossidazione diretta
del glucosio
↑ Captazione di
ossigeno
Generazione di
NADPH + H +
↑ Disponibilit à di
ossigeno
Attivazione NADPH ossidasi
.
O2
MPx CAT
HClO
2
2
Superossido dismutasi (SOD)
2 O 2. + 2 H + → H 2 O 2 + O 2
Mieloperossidasi (MPx)
HCl + H2O2 → H2O + HClO
Catalasi (CAT)
SOD
H2O2
NADPH ossidasi
NADPH + O 2 → NADP . + H + + O2.
NADP . + O → NADP + + O .
2 H2O 2 → 2H 2O + O 2
GPx
H2O
Glutatione perossidasi (GPx)
2 GSH + H2O2 → 2H 2O + GSSG
Figura 1. 17 Produzione reattiva di ROS da parte dei PMN
H
R
Acqua
H
UV
H
R
Radicale
idrossile
+
H
La SOD catalizza la trasformazione dell’anione
superossido in perossido di idrogeno che, a sua
volta, può essere inattivato ad acqua per azione
della CAT o della GPx. Tuttavia, la disponibilità di
cloruri – anche a concentrazioni fisiologiche –
rende il perossido di idrogeno substrato della MPx.
Il risultato finale è la produzione di un agente
altamente ossidante, l’acido ipocloroso (HClO).
Come verrà precisato in seguito, l’HClO può
attaccare numerosi substrati organici e, in
particolare, amminoacidi e proteine, per produrre
cloroammine, una potenziale fonte di radicali
alcossilici e perossilici.
Infine, giova ricordare che un aumento della
produzione di radicali liberi può osservarsi in
situazioni “fisiologiche”, come ad esempio dopo un
intenso sforzo muscolare o nel corso di numerose
malattie. In quest’ultimo caso, spesso, non è chiaro
Radicale
idrogeno
Figura 1. 16 La fotolisi dell’acqua
In questa reazione la molecola d’acqua
assorbe energia e la utilizza per scindere uno dei
suoi due legami covalenti con l’idrogeno: i prodotti
saranno due radicali liberi, il radicale idrossile e
l’atomo di idrogeno. Considerato che un organismo
vivente è costituito prevalentemente da acqua e
che trascorre gran parte della sua vita sotto l’effetto
di radiazioni (UV o ionizzanti che siano) appare
evidente quanto questo fenomeno incida in
10
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
fino a che punto i ROS siano la causa o l’effetto
della patologia considerata (vedi più avanti).
discussa fotolisi dell’acqua e la decomposizione del
perossido di idrogeno (figura 1. 20).
Respirazione
polmonare
1. 3 Metabolismo delle più importanti
specie reattive di interesse biologico
O2*
H2O
Reazione di Haber-Weiss
Le più comuni specie reattive di interesse
biologico sono quelle centrate sull’ossigeno,
sull’azoto, sul carbonio e sul cloro (tabella 1. 1).
Catena
respiratoria
O2
H2O2
Radiolisi
Reazione di Fenton
HO*
Scissione spontanea
Reazione con ozono
RH
Tabella 1. 1 Specie reattive di maggiore interesse biologico
Specie chimica
Formula
O3
*
O2
1
O2*
H2O2
HO*
RO*
ROO*
ROOH
Q*
E-O*
N-R: specie non radicalica.
R: specie radicalica.
Ozono
Anione superossido
Ossigeno singoletto
Perossido di idrogeno
Radicale idrossile
Radicale alcossile
Radicale idroperossile
Idroperossido
Semichinone ( CoQ)
Fenossile (vit E)
Natura
N-R
R
R (?)
N-R
R
R
R
N-R
R
R
Specie chimica
Formula
NO*
NO2*
HNO2
N2O4
N2O3
ONOO
ONOOH
2+
NO
ROONO
HClO
Ossido nitrico
Diossido nitrico
Acido nitroso
Tetrossido di azoto
Triossido nitrico
Perossinitrito
Acido perossinitroso
Catione nitronio
Alchil-perossinitrito
Acido ipocloroso
Fenoli
H2O
Natura
R
R
N-R
N-R
N-R
N-R
N-R
N-R
N-R
N-R
R*
Figura 1. 20 Metabolismo del radicale idrossile
Infine, il perossido di idrogeno viene generato
prevalentemente attraverso meccanismi di tipo
enzimatico e per via enzimatica è generalmente
inattivato o dà luogo alla formazione di specie
chimiche più ossidanti (figura 1. 21).
Tra le specie reattive primarie dell’ossigeno
citate nel paragrafo precedente, l’ossigeno
singoletto rappresenta una varietà radicalica che
può originarsi per eccitazione dell’ossigeno
molecolare o per combinazione di radicali
perossilici (figura 1. 18).
Respirazione
polmonare
Superossido
dismutasi
Catena
respiratoria
O2
Amminoacido
ossidasi
H2O2
Riduzione bivalente
Reaz. di Haber-Weiss
O2
HO*
Catalasi Perossidasi
Xantina
ossidasi
Mieloperossidasi
H2O
Superossido dismutasi
ClO-
Combinazione
1O
2
Figura 1. 21 Metabolismo del perossido di idrogeno
Le specie reattive primarie dell’ossigeno
possono attaccare qualsiasi substrato organico,
generando specie reattive secondarie, note anche
come metaboliti o derivati reattivi dell’ossigeno,
quali gli idroperossidi. Questi ultimi, a loro volta, in
particolari condizioni, possono dare origine a
specie chimiche particolarmente reattive quali i
radicali perossile e alcossile.
Le specie reattive centrate sull’azoto di
maggiore rilevanza biomedica comprendono
varietà sia radicaliche che non radicaliche. Fra le
prime sono da citare l’ossido nitrico (NO*) e il
biossido nitrico (NO 2*); fra le seconde, piuttosto
numerose, ricordiamo, invece, l’acido nitroso e il
perossinitrito.
L’ossido nitrico, un gas considerato per
decenni un inquinante ambientale, viene prodotto,
insieme alla L-citrullina, a partire dall’amminoacido
L-arginina, in una reazione catalizzata dall’enzima
ossido nitrico sintetasi (nitric oxide synthase, NOS).
Quest’ultimo possiede la singolare proprietà di
ospitare sulla stessa catena polipeptidica due
domini ad azione catalitica, uno reduttasico ed uno
ossigenasico, e richiede come cofattori NADPH e
pteridina ridotta. La NOS esiste in numerose
Figura 1. 18 Modalità di generazione dell’ossigeno singoletto
Molto più complessa è, invece, la formazione
dell’anione superossido (figura 1. 19).
NADPH
ossidasi
Citocromi
P450 e 5 b
Ossidazione mista NADPH
Catena
respiratoria
O2
Ossidazione mista
ipoxantina
ROO*
Eccitazione
Respirazione
polmonare
HONOO
Riduzione univalente
Autoossidazione
e
Riduzione univalente
Reazione di Haber-Weiss
O2
Ossidazione mista
ipoxantina
Xantina
ossidasi
Superossido dismutasi
HO*
H2O2
Figura 1. 19 Metabolismo dell’anione superossido
Il radicale idrossile, noto per la sua enorme
potenzialità istolesiva, può derivare da un’ampia
serie di reazioni, tra le quali spiccano la già
11
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
isoforme, alcune costitutive (cellule endoteliali,
piastrine, SN) ed altre inducibili (macrofagi, PMN,
cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, epatociti)
potenziale tossicità di questa specie reattiva. Infatti,
sebbene il perossinitrito svolga un’importante
azione microbicida e tumoricida, la generazione di
un eccesso di ONOO si accompagna a lesioni
tissutali di tipo ossidativo. Specificamente, il
perossinitrito è responsabile della nitrazione dei
residui fenolici delle tiroxine, che conduce alla
formazione di nitrotirosina, un marker della tossicità
tissutale dell’NO. A pH neutro, il perossinitrito,
genera, a sua volta, l’acido perossinitroso
(ONOOH). Quest’ultimo può attaccare diverse
molecole con produzione secondaria di radicale
idrossile ed altri intermedi reattivi. Tuttavia, in
quanto radicale libero, l’NO può anche svolgere
un’attività antiossidante, come scavenger dei
radicali alcossilici e perossilici. La prevalenza
dell’una o dell’altra azione dipende dalle
concentrazioni relative delle singole specie reattive
implicate.
Oltre alle specie reattive dell’ossigeno e
dell’azoto, assumono rilevante importanza, infine, i
radicali centrati sul carbonio (importanti intermedi
della per ossidazione lipdica) e le specie reattive
del cloro (in particolare l’acido ipocloroso,
responsabile della formazione delle cloroammine).
(figura 1. 22).
H2N
H2N
+
NH2
O
HN
HN
NOS
NADPH, O 2 , BH4
H2N
+
NO
H2N
O
O
HO
HO
L-arginina
L-citrullina
Ossido nitrico
Figura 1. 22 Biosintesi del l’ossido nitrico
Nei sistemi biologici, l’NO agisce come un
importante messaggero intra- ed inter-cellulare
regolando molte funzioni quali la pressione
arteriosa, la respirazione, la coagulazione del
sangue, e alcune attività cerebrali. Esso, inoltre,
gioca un ruolo determinante nella difesa dalle
infezioni batteriche e nella prevenzione dei tumori.
Tuttavia, se generato in quantità abnormi esso è
anche un potente killer cellulare.
Nell’NO gli elettroni spaiati del livello
energetico più esterno (cinque appartenenti
all’azoto e sei all’ossigeno) generano una specie
chimica non carica, dotata di proprietà
paramagnetiche e, dunque, un radicale.
In quanto radicale libero, l’NO reagisce
rapidamente con altre specie aventi elettroni
spaiati; l’effetto può essere un’ossidazione, una
riduzione oppure il legame con altre molecole, in
funzione del microambiente (figura 1. 22).
1. 4 Il sistema di difesa antiossidante
I ROS sono specie chimiche potenzialmente
lesive. Per questo motivo, gli organismi viventi
hanno sviluppato nel corso di millenni di evoluzione
un complesso sistema di difesa antiossidante,
costituito da un insieme di enzimi, di vitamine, di
oligoelementi ed altre sostanze simil-vitaminiche.
Tali antiossidanti possono essere classificati
secondo diversi criteri: sulla base dell’origine, in
endogeni ed esogeni, sulla base della natura
chimica, in enzimatici e non enzimatici, e sulla
base della solubilità, in liposolubili e idrosolubili.
Sulla base, invece, del meccanismo d’azione
prevalente, gli antiossidanti fisiologici possono
essere agevolmente riuniti in 4 gruppi principali:
antiossidanti preventivi, scavenger, agenti di riparo
e agenti di adattamento.
Gli antiossidanti preventivi sono agenti che,
attraverso vari meccanismi, quali la chelazione dei
metalli di transizione, prevengono la formazione di
specie reattive (tabella 1. 2).
L-arginina
NO3-
NOS
L-citrullina
Redox
N2O3
pH<7
R-SH / R-NH2
RS-NO
RNH-NO
NO2-
O 2//H 2O
NO*
NO-Hb
Met.HB
O2 *
ONOO-
Guanilciclasi ↑
COX ↑
Cit P450 ↓
Tabella 1. 2 Classificazione degli antiossidanti preventivi
Classe
Esempi
Meccanismod’azione
Figura 1. 22 Alcuni aspetti del metabolismo dell’ossido nitrico
Sequestratori
di metalli
In particolare, nei sistemi acquosi e
all’interfacie aria-liquido, la generazione di NO si
accompagna alla produzione di nitriti (NO2-) e nitrati
(NO3 ) come prodotti terminali. Reagendo con
l’ozono,
l’NO
forma
un
derivato
chemiluminescente. Inoltre, come radicale, l’NO
reagisce rapidamente con l’anione superossido,
formando l’anione altamente reattivo perossinitrito
(ONOO-), responsabile in larga misura della
“Quencher”
di ROS
Transferrina, lattoferrina
Aptoglobina
Emopessina
Ceruloplasmina, albumina
Carotenoidi
Superossido dismutasi
Catalasi
Perossidasi
“Breaker” di
perossidi
12
Glutatione perossidasi
(plasmatica)
Glutatione perossidasi dei
perossidi fosfolipidici
Glutatione perossidasi
(intracellulare)
Glutatione–S–trasferasi
Sequestro di ferro
Sequestro di emoglobina
Stabilizzazione dell’eme
Sequestro di rame
Quenching dell’ossigeno singoletto
+
2O2* + 2H → H2O2 + O 2
2 H 2O2 → 2 H 2O + O 2
H2O2 + AH 2 → 2 H 2O + A
LOOH + AH 2 → LOH + H 2O + A
H2O2 + 2 GSH → 2 H 2O + GS–SG
PLOOH+2GSH→PLOH+H2O+GSSG
PLOOH+2GSH→PLOH+H2O+GSSG
H2O2 + 2 GSH → 2 H 2O + GS–SG
LOOH+2GSH → LOH+H 2O+GS–SG
Scissione dei perossidi lipidici
Capitolo 1. Radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno
Gli scavenger, che agiscono attraverso vari
meccanismi, possono essere di natura idrofila
(albumina, urato, ascorbato, urato) oppure lipofila
(carotenoidi, vitamina E, ubichinolo).
Secondo alcuni ricercatori, gli scavenger
dovrebbero essere distinti dagli antiossidanti
propriamente detti. Infatti, mentre gli scavenger
(es. α−tocoferolo) sono agenti che riducono la
concentrazione di radicali liberi rimuovendoli dal
mezzo in cui si trovano, gli antiossidanti (es.
difenilammina), invece, sono agenti che inibiscono
il processo dell’autoossidazione, di cui costituisce
un importante esempio l’irrancidimento dei grassi.
Questo fenomeno, ben noto in scienza
dell’alimentazione, viene definito autoossidazione
perché avviene attraverso una sequenza
autocatalitica di reazioni radicaliche in presenza di
ossigeno. Alternativamente si può usare il termine
di perossidazione, in quanto lo stesso processo
genera intermedi con caratteristiche di perossidi
(R–O–OR) (figura 1. 23).
RH
antiossidante fisiologico di un organismo. Per
esempio, un corretto esercizio fisico o l’adozione di
un regime alimentare corretto ed equilibrato sono
misure di per sé in grado di controllare il
metabolismo ossidativo attraverso la riduzione
della produzione di specie reattive e l’induzione di
enzimi ad attività antiossidante .
Il sistema di difesa antiossidante è
regolarmente distribuito nell’organismo, sia a livello
extracellulare che a livello intracellulare.
A livello dei liquidi extracellulari e, in
particolare, nel plasma, l’insieme delle sostanze
potenzialmente in grado di cedere equivalenti
riducenti (atomi di idrogeno o singoli elettroni) sì da
soddisfare “l’avidità di elettroni” che rende i radicali
liberi instabili costituisce la cosiddetta barriera
antiossidante. Ne fanno parte, nel plasma, tutte le
proteine e, in particolar modo, l’albumina, la
bilirubina, l’acido urico, il colesterolo, e i vari
antiossidanti esogeni introdotti con l’alimentazione
o sotto forma di integratori dietetici (ascorbato,
tocoferolo, polifenoli ecc.). Un ruolo di particolare
importanza è svolto, nel contesto di questa
barriera, dai gruppi tiolici (-SH).
All’interno delle cellule il sistema di difesa
antiossidante ha una sua ben
precisa
compartimentalizzazione (figura 1. 24).
*OH
RH H2 O
H2O
R*
R*
O2
ROO*
ROO*
R*
ROH
ROOH
ROOR
Vitamina E
RH
RO*
RO*
O2
RH: molecola organica
ROOH : idroperossido
ROO*: radicale idroperossilico
RO*: radicale alcossilico
Selenio
Acidi grassi poliinsaturi
Vitamina E
β-carotene
Ubichinone
Figura 1. 23 Il processo di autoossidazione o perossidazione
Glutatione
Vitamina E
Ascorbato
β-carotene
Selenio
Vitamina E,
Attraverso questo processo alcuni grassi alimentari
Ascorbato
Catalasi
β-carotene
irrancidiscono
e le biomembrane degli organismi
Figura 1. 24 Compartimentalizzazione dei sistemi antiossidanti
viventi vengono ossidate.
Il sistema antiossidante comprende alcuni
enzimi
(superossidodismutasi,
catalasi
e
perossidasi) ed una serie di sostanze assunte
dall’esterno (vitamine e sostanze analoghe ad
attività
antiossidante,
quali
i
polifenoli,
oligoelementi ecc). Alcuni di questi agenti sono
liposolubili (es. tocoferoli) e, entrando nella
compagine delle biomembrane, costituiscono la
prima linea di difesa contro l’attacco dei radicali
liberi. Altri, invece, sono idrosolubili (es. ascorbato)
ed intervengono soprattutto nel contesto della
matrice solubile del citoplasma e degli organuli
cellulari.
Gli
agenti
di
riparo
comprendono
esclusivamente enzimi che intervengono dopo che
il danno da specie reattive si è instaurato. La loro
azione – spesso sequenziale – prevede dapprima
l’identificazione del segmento molecolare ossidato,
poi la separazione del frammento ormai
inutilizzabile e, infine, la sistensi e l’inserimento di
un nuovo segmento in sostituzione di quello
danneggiato. Appartengono agli agenti di riparo le
idrolasi (glicosidasi, lipasi, proteasi), le trasferasi e
le polimerasi, tutte indispensabili per la riparazione
del danno da radicali liberi di importanti molecole o
strutture cellulari (es. DNA, membrane, ecc).
Infine, gli agenti di adattamento comprendono
tutte quelle sostanze o tecniche o procedure
attraverso le quali è possibile potenziare il sistema
13
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
Capitolo 2
Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
stress ossidativo e le relative implicazioni sul piano
diagnostico e terapeutico.
Comunque determinatasi, infatti, l’eccessiva
produzione
di
specie
reattive,
non
più
adeguatamente controllata dai sistemi di difesa
antiossidanti, provoca una serie di alterazioni
funzionali e strutturali della cellula, che possono
condurre all’apoptosi o addirittura alla necrosi
(tabella 2. 1).
2. 1 Generalità e definizioni
Lo stress ossidativo è una particolare
condizione indotta da un’accentuazione in senso
pro-ossidante dell’equilibrio dinamico fra processi
ossidativi
e
riduttivi
che
hanno
luogo
continuamente in ogni cellula, quale espressione
fisiologica
delle
complesse
trasformazioni
biochimiche del metabolismo terminale.
Sulla base di questo tentativo di inquadrare un
aspetto della biochimica dinamica che è tuttora
oggetto di ampio dibattito fra i ricercatori, lo stress
ossidativo si configura come un fenomeno che
riguarda, almeno in prima battuta, la singola cellula
che, per effetto della propria attività metabolica,
non di rado sotto lo stimolo di agenti ad essa
esterni, è costretta a subire gli effetti
potenzialmente lesivi di una serie di reazioni
indesiderate che accompagnano quei processi
ossidativi da cui dipende la sua stessa esistenza.
Tabella 2. 1 Alterazioni biochimiche cellulari nello s. ossidativo
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
2. 2 Basi biochimiche
Perossidazione biomolecole (glicidi, lipidi, amminoacidi, nucleotidi…)
Ossidazione e deplezione di GSH
Ossidazione dei tioli proteici
Ossidazione dei nucleotidi piridinici
Lesioni del DNA ed attivazione della poli(ADP-ribosio)polimerasi
Alterazioni dei meccanismi di trasduzione del segnale
Alterazioni dell’omeostasi ionica
Alterazioni del citoscheletro
Inibizione della glicolisi
Deplezione di NAD +
Caduta del potenziale di membrana mitocondriale
Deplezione di ATP
Aumento della permeabilità della membrana plasmatica
Sul piano generale, queste lesioni – dapprima
cellulari e poi tissutali – saranno responsabili,
infine, di patologie d’organo, quali ad esempio il
morbo di Crohn o la pancreatite, oppure di
condizioni sistemiche, quali l’invecchiamento
precoce, l’aterosclerosi e così via.
Comunque, va sottolineato ancora una volta
che non sempre è possibile stabilire se i radicali
liberi sono la causa oppure l’effetto delle lesioni
osservate.
Le principali cause di aumentata produzione di
ROS sono da individuarsi in fattori ambientali,
situazioni fisiologiche, stile di vita, fattori
psicologici, malattie e fattori iatrogeni, ecc. (tabella
2. 2).
I ROS rappresentano una minaccia mortale
per la vita della cellula che ne tiene sotto controllo
la produzione grazie ad un efficiente sistema di
difesa. Tuttavia, in particolari condizioni, quando la
produzione di ROS è eccessiva e/o la capacità di
smaltire questi ultimi si riduce, la cellula è costretta
a subire il danno da radicali liberi.
Trasferendo il discorso all’intero organismo,
possiamo definire lo stress ossidativo come una
particolare forma di stress chimico indotto dalla
presenza di una quantità eccessiva di specie
reattive per un’aumentata produzione delle stesse
e/o per una ridotta capacità di smaltirne le quantità
comunque prodotte ( figura 2. 1).
Tabella 2. 2 Cause di aumentata produzione di specie reattive
Radiazioni,farmaci, metalli pesanti
Fumo di sigaretta, alcool, inquinamento
Esercizio fisico inadeguato, sedentarietà
Infezioni ed altre malattie
Specie reattive ↑
Ridotta assunzione
e/o diminuita sintesi
e/o ridotta capacità di utilizzazione
e/o aumentato consumo di antiossidanti
Eziologia
Fattori ambientali
Stati fisiologici
Stile di vita
Fattori psicologici
Malattie
Fattori iatrogeni
Difese antiossidanti ↓
Danno cellulare
Malattie
cardiovascolari
Demenza,
M. di Parkinson
Invecchiamento
precoce
Infiammazioni,
tumori
Examples
Radiazioni, inquinamento
Gravidanza (?)
Alimentazione, alcool, fumo, esercizio fisico incongruo
Stress psico-emotivo (?)
Traumi, infiammazioni, infezioni, vasculopatie, neoplasie
Farmacoterapia, radioterapia, raggi X
Bisogna sottolineare che il fumo di sigaretta,
l’abuso di alcool ed altri fattori correlati con lo stile
di vita sono responsabili dell’aumento della
produzione di ROS. Lo stesso effetto è indotto da
un’attività
fisica
incongrua
(eccessiva
o
insufficiente). Infine, è riconosciuto il ruolo dei
numerose malattie, su base disreattiva o infettiva
(es. artrite reumatoide e infezioni batteriche) nel
favorire l’incremento dei ROS.
Una riduzione delle difese antiossidanti è da
imputarsi sostanzialmente ad un deficit assoluto o
Altre
malattie
Figura 2. 1 Eziopatogenesi schematica dello stress ossidativo
E’ ovvio che il discorso è ben più complesso,
ma il concetto appena esposto è sufficiente per
comprendere i principali aspetti fisiopatologici dello
14
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
relativo di antiossidanti, comunque determinatosi.
In tale contesto, alcune malattie, quali la celiachia,
possono provocare uno stress ossidativo riducendo
la disponibilità di antiossidanti assunti con
l’alimentazione (tabella 2. 3).
R–H + HO* → R* + H 2O
R* + O2 → ROO*
ROO* → ROOH + R 1*
R1* + R 1* → R 1*–R1*
Tabella 2. 3 Cause di ridotte difese antioossidanti
Eziologia
Ridotta assunzione di AO
Ridotto assorbimento di AO
Ridotta capacità di utilizzazione di AO
Insufficienza dei sistemi enzimatici AO
Eccessivo consumo di AO
Assunzione di farmaci
Malattie
AO: antiossidanti
Esempi
Ipovitaminosi, diete monotone
Sindromi da malassorbimento, celiachia
Deficit dei mec. di captazione e/o trasporto
Fattori genetici e/o iatrogeni
Eccessiva produzione di specie reattive
Sovraccarico del sistema microsomiale
Vari
Figura 2. 3 Reazioni radicaliche e produzione di perossidi
Il radicale *OH, avendo un elettrone spaiato, è
molto reattivo e, giunto a contatto con il substrato
R-H, strappa a quest’ultimo un atomo di idrogeno
per raggiungere la sua stabilità.
In questo modo, però, il sito radicalico è ora
trasferito al substrato che si trasforma in radicale
R*. Quest’ultimo, in presenza di ossigeno
molecolare, è convertito in radicale (idro)perossile
ROO*, un nuovo radicale che, a sua volta, può
attaccare un altro substrato organico R1H
trasformandosi in idroperossido ROOH.
La reazione a catena ormai innescata
continuerà a partire dall’ultimo radicale generato
(R1*), fino a quando non interverrà un meccanismo
di terminazione (es. reazione di combinazione, R1*
+ R 1*, per produrre R1-R1) oppure un antiossidante.
Il fenomeno della perossidazione – è bene
ribadirlo – non è esclusivo dei lipidi, ma può
interessare qualsiasi substrato organico, dagli
amminoacidi alle proteine, dai carboidrati ai
nucleotidi.
Non v’è dubbio, tuttavia, che i lipidi,
specialmente se insaturi, e, quindi, con doppietti di
legame “disponibili” a soddisfare l’avidità di
elettroni dei radicali liberi, costituiscano target
importanti dell’attacco ossidativo, in particolar
modo se inseriti nel contesto di biomembrane e,
come tali, maggiormente esposti all’azione
radicalica.
La perossidazione lipidica segue lo schema
generale delle reazioni radicaliche appena
discusso, con la variante che, se ad essere colpito
è un acido grasso poliinsaturo, quale l’acido
arachidonico, ad essere attaccato dal radicale
istolesivo HO* è uno dei doppi legami C-C.
In questo caso specifico, la sottrazione di un
atomo di iidrogeno da parte del radicale idrossile
genera un radicale centrato sul carbonio, che
rapidamente va incontro ad una redistribuzione dei
doppi legami trasformandosi in diene coniugato.
Quest’ultimo, in presenza di ossigeno si trasforma
in radicale perossilico.
Il
radicale
perossilico
corrispondente
rappresenta un composto chiave in questa
sequenza di reazioni, perché può essere non solo
trasformato in idroperossido, ma andare incontro,
per la sua peculiare struttura chimica, ad ulteriore
degradazione fino a malonildialdeide e, infine, a
pentano, se sono disponibili ulteriori donatori di
idrogeno (e, in ultima analisi, fino a completa
utilizzazione del sistema antiossidante) (figura 2.
4).
A proposito delle malattie, va precisato che
esse alcune di esse si accompagnano ad
un’aumentata produzione di specie reattive, altre
ad una riduzione delle difese antiossidanti, altre
ancora, infine, alla combinazione di ambedue i
meccanismi.
Spesso, tuttavia, non è chiaro se i radicali liberi
ne siano la causa oppure l’effetto o addirittura un
semplice epifenomeno.
Dal punto di vista biochimico, considerando il
fenomeno all’interno della cellula, è indubbio che
all’origine delle alterazioni funzionali e strutturali vi
è un aumento della produzione di specie reattive
per stimolazione parziale o generalizzata del
metabolismo, spesso sotto la spinta di fattori
esogeni. I ROS, resisi disponibili in grandi quantità,
sono in grado di attaccare qualsiasi substrato con il
quale giungono a contatto, strappando ad essi
l’elettrone o gli elettroni necessari per raggiungere
la propria stabilità. Ciò, a sua volta, innesca
processi radicalici a catena che, se non bloccati
tempestivamente, possono provocare gravi
conseguenze sul piano, dapprima funzionale, poi
anche strutturale (figura 2. 2).
Agenti esterni, attività metabolica
Anione superossido O 2.
Radicale idrossile HO*
Radicale peridrossile HO 2*
Ossigeno singoletto 1O2
Perossido di idrogeno H2O 2
Substrati organici RH (glicidi, lipidi,
amminoacidi, nucleotidi , etc.)
Metallidi transizione/
Sistemi enzimatici
Idroperossido R-OOH
Radicale alcossile R-O*
Radicale idroperossile R-OO*
Metallidi transizione/
Sistemi enzimatici
Superamento difese
antiossidanti
Alterazioni funzionali e/o strutturali della cellula
Figura 2. 2 Patogenesi dello stress ossidativo: aspetti biochimici
Fra i vari meccanismi cito- ed isto-lesivi
assume rilevante importanza quello correlato con
la formazione degli idroperossidi (ROOH), una
classe di derivati o metaboliti reattivi dell’ossigeno
(reactive oxygen metabolites, ROM).
Questo meccanismo, tipico delle reazioni
radicaliche a catena, viene innescato dall’attacco,
da parte di un ROS (per esempio, il radicale
istolesivo *OH), di un generico substrato organico
R-H (es. un glicide, un lipide, un amminoacido, un
nucleotide ecc.) (figura 2. 3).
15
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
15
14
12
11
8
5
1COOH
16
Oltre agli idroperossidi, i ROS sono in grado di
generare diversi prodotti e sottoprodotti di
ossidazione reagendo con biomolecole target, le
quali
possono
essere
più
o
meno
permanentemente modificate, frammentate o
depolimerizzate. Tra questi sottoprodotti sono da
segnalare le cloroammine.
Infatti, diversi studi hanno dimostrato che il
“respiratory burst” dei fagociti attivati (macrofagi e
PMN) è in grado di produrre perossido di idrogeno
sia in vitro che in vivo. Queste cellule possono
anche rilasciare la mieloperossidasi, un enzima a
ferro eminico che catalizza la reazione tra
perossido di idrogeno e ione cloruro (già a
concentrazioni fisiologiche) per produrre il potente
ossidante acido ipocloroso (HClO).
Tale sostanza gioca un ruolo importante
nelle difese messe in atto dai mammiferi contro
microrganismi patogeni, in quanto è dotata di
potente attività battericida.
E’ altresì noto, tuttavia, che un’eccessiva o
inadeguata produzione di HClO provoca lesioni a
carico dei tessuti nei mammiferi, e questo si ritiene
essere importante in alcune patologie umane, quali
l’aterosclerosi, le malattie infiammatorie croniche
ed alcune forme di neoplasie.
Numerosi studi hanno dimostrato che le
proteine rappresentano i bersagli principali
dell’azione dell’HClO, anche se questo potente
ossidante reagisce con un ampia varietà di altre
molecole organiche target, quali il DNA, i lipidi, il
colesterolo, l’NADH, e i tioli.
In particulare, è stato dimostrato mediante EPR
che l’HClO reagisce con i gruppi amminici
di amminoacidi e proteine per produrre
cloroammine.
Queste,
a
loro
volta,
si
decompongono e generano radicali liberi,
dimostrabili mediante tecniche di spin trapping
combinate con l’EPR, quali i radicali perossilici ed
alcossilici.
Secondo l’ipotesi più accreditata, il carbonio
alfa dell’amminoacido che ha subito l’attacco
dell’acido
ipocloroso
trasformandosi
in
cloroammina, si trasforma in un sito radicalico. Il
conseguente attacco dell’ossigeno genera un
radicale perossilico che, dimerizzando, forma il
tetrossido corrispondente. Dalla scissione di
quest’ultimo
originerebbero,
con
l’ossigeno
molecolare, i radicali alcossilici.
Il processo descritto, che è favorito ma non
dipende dall’aggiunta di ioni ferro, sembra giocare
un ruolo determinante nell’amplificare il danno
ossidativo da radicali liberi nei fluidi extracellulari,
quali il sangue, anche quando, appunto, non sono
disponibili metalli di transizione allo stato libero.
In ogni caso questa possibilità alternativa di
produrre radicali perossilici e alcossilici rende
ancora più importante il significato delle
informazioni fornite dal d-ROMs test che, come
verrà discusso dettagliatamente in seguito,
consente di dosare non solo gli idroperossidi
generati
dalle
“classiche” reazioni di
Acido
arachidonico
20
H 3C
13
*OH
H 2O
15
14
12
11
8
5
1
12
11
8
5
1
Acido arachidonico
radicale
COOH
20
H 3C
16
13
15
14
16
[Acido arachidonico
radicale]
COOH
20
H 3C
13
Transfer elettronico
15
13
11
8
5
1
8
5
1
8
5
1
COOH
20
H 3C
16
14
12
Diene coniugato
dell’acido arachidonico
O2
O
O
15
13
COOH
11
20
H 3C
16
14
12
RH
Radicale perossilico
dell’acido arachidonico
MDA
OH
O
15
R
13
20
COOH
11
H 3C
16
14
12
Idroperossido
(d-ROMs test)
Figura 2. 4 Schema della perossidazione lipidica
Comunque prodotti, gli idroperossidi sono
sostanze relativamente stabili e conservano una
discreta capacità ossidante. Pertanto, nella stessa
cellula, se si rendono disponibili metalli di
transizione allo stato libero, essi possono subire la
reazione di Fenton e generare così i più reattivi
radicali alcossile (RO*) e idroperossile (ROO*), che
amplificano il danno all’interno della cellula.
A causa della potenziale tossicità, si ritiene che
gli idroperossidi vengano espulsi dalla cellula ed
immessi nei fluidi circolanti, fra cui il sangue. Nel
plasma, quindi, se esistono condizioni tali da
indurre il rilascio di ferro allo stato ionico dalle
proteine circolanti (es. un’acidosi transitoria), si
innescherà la reazione di Fenton che genererà
ancora una volta radicali alcossile e idroperossile
che amplificheranno il danno a livello delle LDL e,
soprattutto, dell’endotelio. In ogni caso, gli
idroperossidi plasmatici, conservando, come nella
cellula, ancora una discreta capacità ossidante ed
essendo relativamente stabili, possono essere
opportunamente messi in evidenza e quantificati
(vedi oltre, d-ROMs test) (figura 2. 5).
Agenti esterni
Attività metabolica
*OH
Danno
ossidativo
H2O
RH
R*
O2
R1 *
Ossidazione LDL
OH R-O-O-H
R-O*
ROOH
ROO*
Fe 2+
R 1H
pH ↓
Fe 3+
ROOH
Respirazione
R-O-O*
Danno
ossidativo
Nucleo
R-O-O-H
H+
Danno
endoteliale
Citoplasma
Cellula
Vaso sanguigno (capillare)
Cellula
Figura 2. 5 Metabolismo ed effetti patogeni degli idroperossidi
A tal riguardo, si dice che gli idroperossidi sono
testimoni o marcatori ma anche amplificatori del
danno cellulare da radicali liberi.
Anche i livelli di malondialdeide (MDA) nel
plasma o degli alcani (pentano o etano)
nell’espirato
forniscono
informazioni
sulla
produzione di radicali liberi, ma solo quando il
sistema antiossidante presente nel mezzo
biologico si è esaurito.
16
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
perossidazione, ma anche questi importantissimi
marker di stress ossidativo generati dalla
decomposizione delle cloroammine.
Infine, fra gli altri meccanismi biochimici
coinvolti nel danno da radicali liberi sono da citare
la formazione di legami crociati, la condensazione
di
proteine,
la
depolimerizzazione
dell’acido ialuronico, l’interruzione di uno o
ambedue i filamenti del DNA, ecc (tabella 2. 4).
della
respirazione
cellulare,
secondario
prevalentemente ad induzione farmacometabolica,
indotto prevalentemente da variazioni della
tensione intracellulare di ossigeno e da
meccanismi multipli combinati (figura 2. 6).
Tabella 2. 4 Bersagli dei ROM e relativi prodotti di ossidazione
Specie
Molecola
Prodotti di
reattive
bersaglio
ossidazione
Radicale idrossile
Radicale peridrossile
Radicale idrossile
Radicale peridrossile
Radicale idrossile
Radicale peridrossile
Radicale idrossile
Lipidi (PUFA)
Proteine
Acido jaluronico
DNA/RNA
Idroperossidi lipidici
Molecole con legami
crociati, idroperossidi
Glucosidi,
idroperossidi
Filamenti interrotti,
8-idrossiguanosina
NADPH ossidasi
Lipoossigenasi
NADH deidrogenasi
Citotocromo ossidasi
Stress ossidativo da
modifiche reattive della
superficie cellulare
Stress ossidativo da
ridotta efficacia della
respirazione cellulare
Xantina ossidasi
Aldeide ossidasi
Citocromo P 450
Citocromo b 5
Stress ossidativo da
variazioni della
pO 2 intracellulare
Stress ossidativo
da induzione
farmacometabolica
Figura 2. 6 Fonti cellulari di ROS e stress ossidativo
E’ evidente che questa impostazione
rappresenta un’ipersemplificazione della ben più
complessa e multiforme situazione biochimica che
si osserva a livello cellulare, tissutale e sistemico
nello stress ossidativo.
Rimanendo nell’esempio comparativo appena
discusso della plasmamembrana dei PMN e dei
mitocondri delle cellule muscolari, non bisogna
dimenticare che nelle condizioni disreattive, quali le
infezioni, la febbre indotta dall’attivazione dei PMN
si associa ad un’esaltazione del metabolismo e,
viceversa, lo sforzo muscolare intenso può
associarsi a condizioni infiammatorie, ritenute
responsabili di lesioni traumatiche dell’apparato
muscoloscheletrico.
In altri termini, è difficile distinguere nettamente
uno stress ossidativo indotto da modificazioni
reattive della superficie cellulare da uno stress
ossidativo indotto da ridotta efficienza della
respirazione cellulare.
Anzi, estendendo ancor di più il discorso, nella
patogenesi del danno muscolare legato ad
esercizio fisico strenuo entra in gioco anche il
meccanismo dell’ischemia-riperfusione, che è alla
base dello stress ossidativo da variazioni della pO2
intracellulare.
E’ per questo motivo che nella classificazione
dei diversi tipi di stress ossidativo si è convenuto di
usare la circumlocuzione “stress ossidativo indotto
prevalentemente da…”.
Pur nella consapevolezza degli inevitabili limiti
legati ai tentativi di classificare i fenomeni biologici,
l’individuazione di cinque pattern di stress
ossidativo conserva, tuttavia, un’indubbia valenza
didattica e concettuale e, pertanto, può essere di
grande aiuto non solo al clinico, per
l’inquadramento diagnostico del soggetto con
compromissione del bilancio redox, ma anche al
terapeuta, per orientare la scelta nel complesso
labirinto delle opzioni terapeutiche attualmente
disponibili (tabella 2. 5).
2. 3 Eziopatogenesi
La produzione di specie reattive – si è detto –
avviene
in
ben
definiti
siti
cellulari:
plasmamembrana,
mitocondri,
reticolo
endoplasmatico liscio (microsomi), perossisomi e
citosol.
Va sottolineato che la generazione di ROS in
ciascuno di questi siti e gli effetti che da essa ne
scaturiscono assume caratteristiche peculiari in
rapporto alla specificità dello stimolo ed alle
modalità, qualità e quantità di specie reattive
prodotte.
E’ evidente che la produzione di ROS da parte
dei PMN, conseguente ad attivazione della
plasmamembrana, richiede stimoli diversi da quelli
necessari per la generazione di specie reattive
dalle cellule muscolari, associata all’attivazione del
metabolismo mitocondriale.
In linea di massima, infatti, uno stimolo
flogistico tenderà prevalentemente ad attivare la
plasmamembrana dei PMN laddove un intenso
esercizio
muscolare
tenderà
ad
esaltare
prevalentemente l’attività metabolica mitocondriale
delle cellule muscolari.
Ciascuna delle due situazioni, inoltre, è
accompagnata dalla produzione di specie reattive
almeno in parte diverse, per il diverso corredo
enzimatico delle cellule e delle relative strutture
subcellulari interessate.
Per esempio, i mitocondri delle cellule
muscolari, che non possiedono la mieloperossidasi
non potranno generare HClO, che potrà essere
prodotto solo dalla plasmamembrana dei PMN
attivati. Infine, anche gli effetti sistemici delle due
condizioni saranno diverse.
Sulla base di queste considerazioni si può
associare a ciascun sito cellulare coinvolto nella
produzione di specie reattive un particolare tipo di
stress ossidativo: indotto prevalentemente da
modificazioni reattive della superficie cellulare,
indotto prevalentemente da una ridotta efficienza
17
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
Lo stress ossidativo da modificazioni reattive
della superficie cellulare è tipico dei processi
reattivi, quali infezioni (es. batteriche) e
infiammazioni (es. artrite reumatoide).
Lo stress ossidativo indotto prevalentemente
da una ridotta efficienza della respirazione cellulare
è provocato da un’alterazione della funzionalità dei
mitocondri che, come è noto, costituiscono una
delle fonti primarie di produzione di ROS. Nel caso
più semplice, l’aumentata produzione di specie
reattive è legata ad un’eccessiva attivazione
metabolica, quale si riscontra ad esempio durante
lo sforzo fisico intenso o nell’iperalimentazione; in
questo caso le specie reattive maggiormente
prodotte sono i prodotti di riduzione non
tetravalente
dell’ossigeno,
quali
l’anione
superossido e il perossido d’idrogeno. E’ anche
possibile che un aumento della produzione di ROS
per ridotta efficienza della respirazione cellulare sia
legato ad una patologia primaria dei mitocondri
ovvero all’innescarsi di
un
circolo
vizioso
(attivazione metabolica → produzione di ROS da
shunt elettronico → disfunzione mitocondriale →
riduzione dell’efficienza respiratoria → ulteriore
produzione di ROS da shunt elettronico).
Lo
stress
ossidativo
secondario
prevalentemente ad induzione farmacometabolica
è provocato da un’attivazione del sistema di
idrossilazione a funzione disintossicante del
citocromo P450. Ne sono frequenti cause l’etilismo
cronico e l’esposizione a xenobiotici. In questi casi
possono essere prodotte specie reattive anche non
centrate sull’ossigeno (es. il radicale del
paracetamolo, un comunissimo antipiretico e
analgesico).
Lo stress ossidativo indotto prevalentemente
da variazioni della tensione intracellulare di
ossigeno è tipico delle lesioni da ischemiariperfusione che si osservano nell’infarto e in
seguito ad interventi di rivascolarizzazione
chirurgica o trapianto di organi.
Si ritiene che in questi casi entri in gioco
l’attivazione della xantina ossidasi con produzione
di perossido di idrogeno e anione superossido
(figura 2. 9).
Tabella 2. 5 Pattern fondamentali dello stress ossidativo (SO)
†
†
SO*
Sito
Meccanismo
ROS/ROM
Correlazioni
Generazione ac.
arachidonico
Attivazione NADPH
ossidasi
Attivazione
metabolica
Disfunzione
mitocondriale
Attivazione citocromi
P450/b5
Idroperossidi, a.
superossido
Citosol
Attivazione xantina
ossidasi
A. superossido
Perossido di H
Almeno due
Multipli
Variabilmente
‡
centrati
I
Membrana
II
Mitocondri
III
Microsomi
IV
V
A. superossido
A. superossido
Perossido di H
A. superossido
Perossido di H
Varii
Processi reattivi
(infiammazione)
Processi reattivi
(infiammazione)
Ipernutrizione,
es. inadeguato
Mitocondriopatie
(prim. o sec.)
Alcol, farmaci,
xenobiotici
Malattie da
ischemiariperfusione
Fumo,
inquinanti,
radiazioni
I: SO prevalentemente da modifiche reattive della superficie cellulare; II:
SO prevalentemente da ridotta efficacia della respirazione cellulare; III:
SO prevalentemente da induzione farmaco-metabolica; IV: SO
prevalentemente da variazioni della pO 2 intracellulare; V: SO da
†
‡
meccanismi multipli. Prevalente. Carbonio, azoto, cloro ecc
Lo stress ossidativo indotto prevalentemente
da modificazioni reattive della superficie cellulare è
provocato dall’attivazione della plasmamembrana
che, come si è detto, è sede di attività enzimatiche
generatrici di ROS.
Questo tipo di stress ossidativo è generato,
nella sua forma più caratteristica, da una massiccia
attivazione dei leucociti pomorfonucleati ad opera
di batteri o endotossine o immunocomplessi.
Questi
agenti,
infatti,
legandosi
alla
plasmamembrana possono attivare l’NADPH
ossidasi, con produzione di anione superossido
(figura 2. 7).
ROOH
Batteri
Fe/Cu
PLA 2
PL
AA
PG
Proteasi
x
PH -O
NAD
O2.
SOD
H2O2
H2O
Px
M
R-NH2
R-NHCl
Fe/Cu
Fe
nt
Cl-
O2
on
HClO
/H
W
RH
OH.
H2O
R*
Figura 2. 7 Produzione di specie reattive da PMN attivati
Anche l’attivazione delle lipoossigenasi,
localizzate sulla plasmamembrana dei PMN, si
accompagna a produzione di perossidi (figura 2. 8).
Infarto, bypass, trapianti
1
2
4
Vaso sanguigno
5
3
Macroischemia
H H
pO 2 ↓
cis, cis-1,4-pentadiene
Microischemia
Amplificazione del danno
Rilascio F e2+/ 3+
dalle proteine
ROO* RO*
ROOH
Acidosi
Sedentarietà
Deficit pompe
H
Disponibilità ossigeno ↓
Fe 3+
H+
O2
Fe 2+
Stato ridotto mitocondri ↑
Glicolisi
anaerobica ↑
Fosforilazione
ossidativa ↓
O–O
Deficit pompe
Lattato ↑
Sintesi ATP ↓
Creatina ↑
Creatina -P↓
ROOH ↑
Decompartimentalizzazione
Disorganizzazione citoscheletro
ADP ↑
AMP ↑
IMP ↑
Inosina ↑
Idroperossido
Cellula
Figura 2. 8 Produzione di perossidi lipoossigenasi-dipendente
Calcio ↑
citosolico
Alterazioni
omeostasi ionica
Attacco substrati
organici
O–O
O – OH
Danno
membrana
Osmolarit à ↑
H2O 2↑
Ipoxantina
O2 . ↑
Xantina
Xantina
Ossidasi
Attivazione
proteasi
Acido urico
Xantina
deidrogenasi
Figura 2. 9 Meccanismi del danno da ischemia-riperfusione
18
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
Infine, il fumo di sigaretta, l’esposizione ad
inquinanti atmosferici o a radiazioni ionizzanti o UV
ovvero ad agenti tossici saranno responsabili di
uno stress ossidativo conseguente all’attivazione di
meccanismi multipli combinati.
presentano al d-ROMs test, rispetto ai normopeso,
livelli significativamente più alti di idroperossidi.
L’attività fisica gioca un ruolo decisivo nel
rompere o riequilibrare il bilancio redox e, dunque,
nel favorire o rallentare l’invecchiamento,
rispettivamente.
Infatti, l’attività fisica intensa e concentrata nel
tempo favorisce un temporaneo aumento del livello
di radicali liberi da attivazione mitocondriale,
proprio in coincidenza del momento in cui
incrementa il consumo di O2 sotto sforzo. Poiché la
domanda di ossigeno non può essere soddisfatta
dalla richiesta, si crea una situazione comparabile
ad una riduzione del flusso sanguigno (ischemia).
Subentrando
una
condizione
di
parziale
anaerobiosi, i livelli muscolari di ipoxantina
aumentano. Infine, nel momento in cui il flusso
sanguigno diviene in grado di soddisfare la
richiesta di ossigeno (riperfusione) la concomitante
attivazione della xantina ossidasi favorisce la
conversione dell’ipoxantina in xantina ed acido
urico, con produzione di anione superossido e
perossido di idrogeno.
Viceversa, l’attività fisica regolare e costante,
stimola nell'individuo allenato, ovvero abituato allo
sforzo, l’attivazione dei sistemi antiossidanti
fisiologici e migliora le capacità di tamponamento
dell'acidosi, riducendo, di fatto la gravità e
l’intensità dello stress ossidativo comunque
prodotto.
Nelle persone anziane, come è noto, la spesa
energetica totale (TEE, total energy expenditure)
appare ridotta, principalmente per diminuzione
dell'attività fisica ma anche, seppur in grado
minore, del metabolismo basale (BMR, basal
metabolic rate). Non si osservano, invece, riduzioni
significative dell'effetto termico dell'alimentazione
(TEF, termic effect of feeding), il quale ha una forte
correlazione con il consumo di ossigeno e quindi
con la produzione di radicali liberi. Sembrerebbe
verificarsi lo stesso fenomeno dello sforzo fisico nel
soggetto non allenato, ovvero l'inerzia dei sistemi
antiossidanti che prolunga, in questo caso, l'effetto
dell'impatto calorico. D’alra parte, nell'anziano si
verifica il ben noto decremento della massa
muscolare (LBN, lean body mass) con incremento
della massa lipidica in ambedue i sessi. I fattori
coinvolti in questi eventi dipendono almeno in parte
dall'attività fisica e dalla diminuzione del GH
(growth hormon). Di fatto, aumentando l'attività
fisica si può riportare la LBM a livelli simili a quelli
dell'età giovanile. All'appropriata attività fisica,
conseguirà il benessere di tutto l'apparato
cardiovascolare e quindi una riduzione della
morbilità e mortalità cardiovascolare, con favorevoli
ripercussioni, in definitiva, sulla longevità.
In conclusione, la riduzione dello stress
ossidativo – ottenuta mediante il controllo del peso
corporeo, la restrizione calorica e l’adeguata attività
fisica – sia attraverso dei meccanismi diretti (più
efficiente controllo dell’equilibrio redox) che indiretti
(riduzione della morbilità e della mortalità) può
2. 4 Stress ossidativo e invecchiamento
Nel corso degli ultimi decenni sono state
formulate almeno 20 ipotesi per spiegare le cause
e i meccanismi dell’invecchiamento, da quella di
una modifica delle proteine (anomalie della sintesi
– modifiche post-traduzionali – alterazioni del
turnover), a quella dell'incapacità nel riparare i
danni al DNA, fino a quella dei pace-maker (in
base alla quale alcuni organi o sistemi perdendo
funzionalità trascinano nell'invecchiamento).
Ovviamente, l’aspetto genetico, costituisce la
base di molte di queste ipotesi: non a caso si dice
che il metodo più sicuro per andare avanti con gli
anni è avere dei genitori longevi.
Tuttavia, un ruolo decisamente importante
sembra essere svolto anche da alcuni cofattori,
apparentemente acquisiti, quali, ad esempio, il
sovrappeso, l’eccesso calorico e l’attività fisica
inadeguata, tutti in qualche modo correlati con la
produzione di radicali liberi. Non è escluso,
pertanto, che lo stress ossidativo, attraverso anche
questa via, oltre a quelle note (danno primario a
carico di molecole target essenziali, quali il DNA e
le proteine) possa contribuire alla riduzione della
longevità.
Infatti, è noto che la condizione di sovrappeso
favorisce la rottura del bilancio redox, laddove la
restrizione calorica e l'attività fisica costante (di tipo
"salutistico") tendono a riequilibrarlo.
In particolare, il sovrappeso – valutabile
mediante il cosiddetto indice di massa corporea,
IMC o BMI, che esprime il rapporto tra peso in Kg e
quadrato dell'altezza in cm – è un noto fattore che
riduce la sopravvivenza in entrambi i sessi. Indici di
massa corporea tra 19 e 21.9 (considerando la
normalità a 22.5) si sono dimostrati associati a un
basso rischio di mortalità, mentre indici più elevati
sono apparsi correlati ad un rischio maggiore.
Curiosamente, si è anche osservato che il
rischio relativo di mortalità correlato alla massa
corporea è più basso negli anziani rispetto ai
giovani. Ad ogni modo, è noto come la massa
corporea si possa controllare attraverso l'attività
fisica e la restrizione calorica.
Negli animali da laboratorio, la restrizione
calorica favorisce la longevità e riduce la morbilità,
soprattutto quella legata a patologie cardiovascolari
e tumorali. Il fenomeno è decisamente da correlarsi
sia alla ridotta produzione di radicali liberi a livello
mitocondriale sia all’aumentata efficienza, in
queste condizioni, dei sistemi di difesa
antiossidanti, fattori, entrambi, in grado di ridurre
l’entità dello stress ossidativo. Infatti, come verrà
discusso in seguito, i soggetti in sovrappeso
19
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
contribuire efficacemente al rallentamento del
fisiologico processo dell’invecchiamento.
placca fibrosa è in grado di avviare l’ostruzione del
vaso dalla cui parete si sviluppa.
Le
placche
complicate,
infine,
sono
probabilmente placche fibrose alterate da necrosi,
deposizione di calcio, emorragie e trombosi,
fenomeni nei quali gioca un ruolo determinante la
cascata infiammatoria. L’ischemia cerebrale e
l’infarto del miocardio avvengono quando il lume di
un’arteria con caratteristiche di vaso terminale
viene occluso completamente, generalmente da un
trombo che si è formato sulla placca.
I radicali liberi giocano un ruolo determinante
nella patogenesi delle lesioni aterosclerotiche
attraverso l’ossidazione delle LDL. Questo
processo è innescato dalle cellule endoteliali
arteriose, dalle cellule della muscolatura liscia e dai
macrofagi. L’ossidazione delle LDL, a sua volta,
porta alla degradazione degli acidi grassi
poliinsaturi con la coniugazione dei corrispondenti
frammenti ai fosfolipidi e all’apoproteina B.
Quest’ultima, successivamente, va incontro a sua
volta a frammentazione e, modificando la sua
conformazione, viene riconosciuta dai recettori
scavenger
presenti
sulla
membrana
dei
monociti/macrofagi e, quindi, fagocitata da questi
ultimi. L’espressione dei suddetti recettori, però, al
contrario di quanto si osserva per i comuni recettori
per le LDL, non è modulata da alcun meccanismo
di “down-regulation”, per cui i macrofagi,
inglobando progressivamente LDL ossidate, si
trasformano in foam cells ricche di grassi.
L’accumulo di queste cellule nello spazio
subendoteliale danneggia l’endotelio sovrastante
rendendo possibile l’aggregazione delle piastrine e
il rilascio di potenziali mitogeni che contribuiscono
a favorire lo sviluppo della lesione. Le LDL
ossidate, dal canto loro, hanno delle proprietà che
le rendono più aterogenetiche delle LDL native:
sono citotossiche, inducono l’espressione di
molecole di adesione e la produzione di sostanze
chemiotattiche, inibiscono l’attività di fattori di
rilasciamento endotelio-dipendenti, incrementano
l’espressione di fattori tissutali, attivano le piastrine
e le cellule T, e stimolano la crescita delle cellule
muscolari lisce, l’inibitore dell’attivatore del
plasminogeno e, più in generale, la reazione
immmunitaria.
Il danno da radicali liberi nelle malattie
cardiovascolari, comunque, non si esaurisce nel
favorire lo sviluppo dell’aterosclerosi. Infatti, le
evidenze accumulatesi nel corso degli ultimi
trent’anni hanno dimostrato un ruolo chiave delle
specie reattive nella patogenesi delle lesioni
tissutali da cardiovasculopatie anche attraverso
l’induzione del cosiddetto danno “da ischemiariperfusione”. Infatti, durante la riperfusione di
tessuti ischemici, si possono formare specie
reattive dell’ossigeno, attraverso l’attivazione della
xantina ossidasi. Come è noto, nel tessuto
normale, questo enzima agisce come deidrogenasi
trasferendo una coppia di equivalenti riducenti
(elettroni) al NAD+ trasformando la xantina in
2. 5 Stress ossidativo e malattie
2. 5. 1 Premessa
L’intervento dei radicali liberi è stato chiamato
in causa nella patogenesi di almeno 50 diverse
malattie. Anche se in molti casi la formazione dei
radicali è secondaria all’evento patogeno primario,
l’innesco di reazioni a catena a partire dalle specie
reattive comunque prodotte può contribuire ad
aggravare il danno cellulare, anche attraverso un
vero e proprio effetto “tossico”.
I radicali liberi sono coinvolti direttamente nel
danno cellulare e tissutale che si riscontra nella
malattia aterosclerotica, nel diabete mellito, nelle
malattie su base infiammatoria, in corso di tumori e
in alcune epato- e broncopneumopatie. In
generale, tuttavia, non vi è patologia umana nella
quale non sia documentabile un qualche ruolo
patogeno delle specie reattive dell’ossigeno
(nefropatie, endocrinopatie, malattia di Alzheimer,
malattia di Parkinson, colite ulcerosa, pancreatite,
malattie metaboliche, ecc.).
2. 5. 2 Radicali liberi e malattie cardiovascolari
Le malattie cardiovascolari rappresentano
attualmente la principale causa di morte nei Paesi
Occidentali e, in particolare, in quelli Europei e
Nordamericani. Alla base della maggior parte delle
malattie cardiovascolari note, quali l’ictus cerebrale
e l’infarto del miocardio, vi è l’aterosclerosi. Con
questo termine intendiamo una patologia
generalmente
a
distribuzione
sistemica
caratterizzata da un ispessimento dell’intima o, in
generale, dello strato dell’arteria prospiciente il
lume vasale.
Sono stati descritti tre tipi di ispessimento o
“placche”,
di
gravità
crescente:
placche
ateromasiche, placche fibrose e placche
complicate.
Le placche ateromasiche si presentano come
sollevamenti più o meno pronunciati dell’intima,
disposti lungo il maggior asse del vaso, di colorito
giallognolo. All’esame microscopico appaiono
costituite da “foam cells”, cellule ricche di lipidi che
possono derivare sia dalle cellule della
muscolatura liscia che dai macrofagi.
Le placche fibrose, probabilmente derivate
dalla degenerazione dei depositi lipidici delle
placche ateromasiche, appaiono come lesioni più o
meno tondeggianti, del diametro di circa 1 cm,
generalmente biancastre. Una tipica placca fibrosa
consiste di un “tappo” fibroso, costituito da cellule
della muscolatura liscia e tessuto connettivo
contenente collagene, elastina e proteoglicani, che
copre un’area ricca di macrofagi, cellule muscolari
lisce, linfociti T, e da un “core” necrotico più
profondo, che contiene detriti cellulari, depositi
lipidici extracellulari e cristalli di colesterolo. La
20
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
ipoxantina e quest’ultima in acido urico. Nel corso
di un’ischemia
sufficientemente
protratta,
probabilmente per effetto dell’ossidazione di alcuni
gruppi tiolici e/o di una proteolisi limitata calciodipendente, la xantina ossidasi può modificare la
sua attività catalitica acquisendo la capacità, nella
successiva fase di riperfusione, di trasferire gli
elettroni direttamente all’ossigeno molecolare, con
produzione di anione superossido. All’enorme
accumulo di questa specie reattiva è, dunque,
riconducibile il danno da ischemia-riperfusione,
proprio nel momento in cui l’ossigeno viene
reintrodotto nei tessuti ischemici. Questo
meccanismo gioca un ruolo determinante nelle
lesioni osservate in corso di ischemia cerebrale e
dopo infarto del miocardio.
La glicazione non enzimatica è legata alle
proprietà chimiche intrinseche del glucosio.
Quest’ultimo, infatti, è una poliossialdeide e, come
tale, conserva la reattività del suo gruppo
carbonilico nei confronti dei gruppi amminici di
amminoacidi, proteine e nucleotidi. Tra i prodotti di
questa reattività, sono da segnalare i cosiddetti
AGE (advanced glycation end products) la cui
formazione è favorita dalle specie reattive
dell’ossigeno. Il significato patogenetico di questi
fenomeni è notevole, se si pensa che l’accumo di
AGE si accompagna a danni microvascolari in
distretti critici (retina, nervi periferici, rene).
Il glucosio, sempre per le sue intrinseche
proprietà chimiche, può autoossidarsi, generando
direttamente radicali liberi e altre sostanze
ossidanti. Come altri monosaccaridi, infatti, esso
può subire l’azione catalitica di tracce di metalli di
transizione allo stato libero (es. ferro o rame)
generando radicale idrossile, anione superossido,
perossido di idrogeno e derivati carbonilici tossici.
Questi ultimi contribuiscono notevolmente ad
amplificare il danno ossidativo a carico di altri
target molecolari, quali le proteine.
L’attivazione intracellulare della via dei polioli è
secondaria all’aumentata disponibilità di glucosio
intracellulare libero che, non potendo essere
metabolizzato attraverso la glicolisi a causa del
deficit insulinico, è trasformato dall’aldoso reduttasi
in sorbitolo. Quest’ultimo si accumula nella cellula
e, convertito in fruttosio dalla sorbitolodeidrogenasi, provoca un aumento del rapporto
NADH/NAD+ citosolico. La suddetta alterazione del
bilancio redox (pseudoipossia iperglicemica)
favorisce la produzione di anione superossido
attraverso la riduzione della PGG2 a PGH 2 da parte
della prostaglandina idroperossidasi
NADHdipendente.
L’insulino-resistenza, che provoca i suoi effetti
più deleteri soprattutto a livello del fegato e del
muscolo scheletrico, si associa ad un aumentato
livello di perossidazione lipidica, almeno in modelli
animali. A questo proposito, in colture di adipociti,
si è osservato che l’insulina fa aumentare la
produzione di perossido di idrogeno il quale, a sua
volta, sembra in grado di mimare l’azione
dell’ormone stesso; infatti, la somministrazione di
vanadio riproduce l’azione mediata dall’insulina
attraverso il rilascio intracellulare di radicali liberi.
D’altra parte, l’iperinsulinemia, in vivo, riduce le
concentrazioni di vitamina E. Nel complesso,
queste osservazioni suggeriscono, dunque, che
livelli aumentati di insulina, tipici dell’insulinoresistenza, possono provocare stress ossidativo.
A conclusione di questa breve panoramica,
occorre sottolineare che i radicali liberi possono
assumere un ruolo determinante nella patogenesi
non solo della malattia diabetica in sé ma anche
delle complicanze ad essa legate, quali le
cardiovasculopatie, la neuropatia, la embriofetopatia, ecc. In particolare, è noto che i pazienti
diabetici presentano un deficit dell’attività
2. 5. 2 Radicali liberi e diabete mellito
La maggior parte delle evidenze finora
accumulate sul ruolo dei radicali liberi
nell’eziopatogenesi del diabete riguarda il diabete
mellito di tipo 2, lo stadio finale di una sindrome
cronica e progressiva causata da diverse
combinazioni di insulino-resistenza e riduzione
della funzione delle cellule pancreatiche, dovuta a
danni di natura genetica o acquisita.
Il diabete mellito di tipo 2 rappresenta solo la
“punta dell’iceberg” di disturbi metabolici di lunga
durata in grado di esercitare effetti deleteri su
tessuti ed organi. Una diagnosi tempestiva e un
trattamento adeguato dei pazienti può essere utile
per evitare le complicanze tardive del diabete
preservando la qualità della vita del paziente.
I radicali liberi giocano un ruolo rilevante nella
patogenesi del diabete mellito di tipo 2. In questa
condizione morbosa, infatti, accanto all’aumentata
produzione di specie reattive dell’ossigeno,
secondaria all’iperglicemia e/o all’aumentata
resistenza
insulinica,
si
osserva
contemporaneamente anche una riduzione delle
difese antiossidanti, fino a configurare il classico
quadro fisiopatologico dello stress ossidativo. Si
ritiene che le specie radicaliche siano in grado di
compromettere l’azione dell’insulina, contribuendo
a far aumentare la glicemia, mentre l’iperglicemia e
l’insulino-resistenza, da sole, possono favorire lo
stress ossidativo (la prima, in particolare, riducendo
l’efficienza
delle
difese
antiossidanti).
Schematizzando al massimo il discorso, quindi, i
radicali liberi sono coinvolti nella patogenesi del
diabete mellito di tipo 2 almeno attraverso due
meccanismi
fondamentali:
l’iperglicemia
e
l’insulino-resistenza.
L’iperglicemia è ritenuta una delle principali
cause
responsabili
dell’aumento
della
concentrazione plasmatica di radicali liberi nel
diabete mellito. Tre i meccanismi postulati alla
base dell’aumenta produzione di specie reattive
dell’ossigeno: la glicazione non enzimatica,
l’autoossidazione del glucosio e l’attivazione
intracellulare della via dei polioli.
21
Capitolo 2. Lo stress ossidativo. Aspetti fisiopatologici e clinici.
microbicida, probabilmente riconducibile ad una
difettosa funzione fagocitaria (ridotta produzione di
specie
reattive
da
parte
dei
leucociti
polimorfonucleati).
In ultimo, l’aumentata produzione di radicali
liberi e/o la ridotta efficienza dei meccanismi di
difesa antiossidanti osservati nel diabete mellito di
tipo 2 possono accelerare il fisiologico processo di
invecchiamento
riducendo
ulteriormente
l’aspettativa di vita dei pazienti.
2. 5. 4 Ruolo dei radicali liberi nelle epatopatie
Nel fegato hanno sede i sistemi enzimatici
deputati al metabolismo dell’etanolo ed alla
biotrasformazione degli xenobiotici, compresi i
farmaci. In particolare, i microsomi degli epatociti
sono direttamente responsabili della produzione di
specie reattive nel modello di stress ossidativo da
induzione farmacometabolica. Lo squilibrio fra
status pro-ossidante e difese antiossidanti che ne
consegue è ritenuto responsabile del danno
cellulare che si osserva in corso di epatopatie
alcoliche, da tossici e da farmaci.
2. 5. 3 Ruolo dei radicali liberi in oncologia
L’intervento delle specie reattive dell’ossigeno
è decisivo nei tumori indotti da radiazioni ionizzanti,
da xenobiotici, da metalli e da composti chimici
cancerogeni. In particolare, le radiazioni ionizzanti
agiscono inducendo la fotolisi dell’acqua, che
genera il radicale idrossile.
Noto per la sua straordinaria capacità
istolesiva, quest’ultimo, insieme ad altre specie
reattive, è in grado di interrompere i filamenti di
DNA o ossidarne le basi, producendo la 8idrossiguanosina.
L’effetto mutageno che ne consegue può
favorire la trasformazione neoplastica.
2. 5. 6 Radicali liberi e broncopneumopatie
Nel corso dell’ultimo decennio si sono
accumulate molte evidenze di ordine sperimentale
e clinico che suggeriscono un ruolo cruciale del
danno cellulare mediato da specie reattive nella
patogenesi di svariate situazioni ed affezioni
dell’apparato respiratorio. Lo spettro di tali
condizioni va da semplici effetti del fumo di
sigaretta nel soggetto normale ai danni cronici
caratterizzati dalla distruzione dell’interstizio
polmonare (enfisema polmonare) o, viceversa, da
un
suo
irreversibile
ispessimento
(fibrosi
intertsiziale da agenti esogeni o da iperossia) fino a
manifestazioni acute che richiedono un trattamento
intensivo (distress respiratorio dell’adulto).
22
Capitolo 3. Il ruolo del laboratorio nella valutazione dello stress ossidativo. Una overview.
Capitolo 3
Il ruolo del laboratorio nella valutazione dello stress ossidativo. Una overview.
La valutazione dello stress ossidativo nei
soggetti sani o in pazienti sottoposti a
farmacoterapia è la condicio sine qua non per
prevenire il danno tissutale e per monitorare
l’andamento e la risposta al trattamento di una
eventuale patologia in atto in tutte quelle situazioni
correlate con la presenza di specie reattive.
Le tecniche di laboratorio disponibili per
identificare e quantificare un marcatore biochimico
in un campione biologico prevedono generalmente
una fase di estrazione che consenta il passaggio
dell’analita di interesse dal materiale prelevato in
un fluido con caratteristiche chimico-fisiche simili
(per esempio estrazione dal siero dei lipoperossidi,
sostanze liposolubili, in una soluzione cloroformiometanolo, in grado di sciogliere i grassi). Segue,
poi, una fase di separazione più fine, durante la
quale l’estratto (lipidico o acquoso), grazie ad
opportune tecniche cromatografiche (in fase
gassosa o in fase liquida ad alta risoluzione,
HPLC) viene risolto in una serie di frazioni. Infine,
grazie, all’impiego di idonei metodi di rivelazione
(spettrometria
di
massa,
spettrofotometria,
fluorimetria, potenziometria, ecc) è possibile
identificare, grazie ad uno standard noto, in quale
delle frazioni si trova l’analita di interesse e, in
definitiva, precisarne, con ragionevole sicurezza, la
natura e la concentrazione.
Purtroppo, questa metodologia solo raramente
è applicabile nella routine clinica quando l’obiettivo
della valutazione è lo stress ossidativo. Infatti, i
radicali liberi sono, per definizione, specie chimiche
estremamente reattive, a brevissima emivita, e
l’unica tecnica in grado di evidenziarli è la
spettroscopia di risonanza di spin dell’elettrone
(ESR o EPR) che, eseguita talvolta con particolari
accorgimenti (metodi di spin trap), costituisce il
golden standard per valutazioni nel vivente.
Sfortunatamente, però, l’ESR è una tecnica
piuttosto complessa, richiede una strumentazione e
delle professionalità non disponibili in tutti i
laboratori, ed è particolarmente costosa, per cui
viene utilizzata non per indagini di routine o studi di
screening, quanto, piuttosto, per validare altri
metodi di laboratorio, come accaduto, per esempio,
proprio con il d-ROMs test (vedi più avanti).
Anche
quando
correttamente
eseguita,
comunque, l’ESR fornisce informazioni solo sulla
componente pro-ossidante dello stress ossidativo e
non su quella antiossidante. Si è ripetutamente
sottolineato, invece, che lo stress ossidativo è la
conseguenza della rottura di un equilibrio tra
produzione di specie reattive ed efficienza dei
sistemi di difesa antiossidanti. Questo squilibrio
porta ad un eccesso di metaboliti reattivi
dell’ossigeno, quali gli idroperossidi (ROOH) che,
versati in circolo, vanno a costituire i marcatori e gli
amplificatori del danno tissutale e, in definitiva, i
responsabili ultimi, insieme ad altri prodotti di
ossidazione, dell’invecchiamento e delle patologie
correlate con lo stress ossidativo.
Sulla base di queste considerazioni preliminari,
è opportuno che la valutazione di laboratorio dello
stress ossidativo sia “globale”, cioè tenga conto sia
della componente pro-ossidante che di quella antiossidante, anche alla luce del ruolo, finora
ripetutamente sottolineato degli idroperossidi quali
marcatori ed amplificatori del danno cellulare
(figura 3. 1).
Aumentata produzione di
specie reattive
(O ., HO ., H O …)
2
2
2
Compromissione della
barriera antiossidante
(ascorbato, SOD,…)
Perossidazione di biomolecole con produzione di idroperossidi
R-OOH
(una classe di ROM)
Idroperossidi (marker, testimoni e amplificatori del danno
cellulare) nei liquidi extracellulari
Invecchiamento e malattie correlate con lo stress ossidativo
(ictus, infarto, diabete, obesità, demenza, m. Parkinson, tumori…)
Figura 3. 1 Valutazione dello stress ossidativo e idroperossidi
In realtà, i test di laboratorio attualmente
disponibili esplorano o la componente proossidante (produzione di specie reattive) o la
componente anti-ossidante (attività antiossidante)
dello stress ossidativo (tabella 3. 1).
Tabella 3. 1 Comuni metodi di laboratorio
per la valutazione dello stress ossidativo
Status proossidante
Status antiossidante
d-ROMs test
OXY-Adsorbent test
TBAR (MDA)
BAP
Lipoperossidi
TAS
Isoprostani
-SHp test
Chemiluminescenza
Dosaggio singoli antiossidanti
Poichè, come si è detto, l’ESR non è
utilizzabile di routine, la valutazione dello status
pro-ossidante di un individuo viene abitualmente
eseguita con una serie di metodiche che alcuni
ricercatori hanno battezzato con il termine di
“fingerprinting” (impronta digitale). Secondo questo
approccio, la presenza in un organismo vivente di
specie
reattive,
non
altrimenti
misurabili
routinariamente, viene dedotta indirettamente,
grazie alla documentazione (nei tessuti e/o nei
liquidi extracellulari) della presenza di specie
molecolari variamente modificate dall’attacco dei
23
Capitolo 3. Il ruolo del laboratorio nella valutazione dello stress ossidativo. Una overview.
radicali liberi. In tale contesto, poiché la
perossidazione è uno dei più comuni meccanismi
del danno indotto dai ROS, il dosaggio degli
idroperossidi
fornisce
un’indicazione
molto
affidabile dello status pro-ossidante di un individuo.
E, più in generale, la documentazione nei fluidi
biologici della presenza di idroperossidi, così come
di MDA o di isoprostani, fornisce “l’impronta
digitale” più o meno accurata e fedele della
componente ossidante dello stress ossidativo di un
individuo.
I test per la valutazione della componente
antiossidante mirano generalmente a determinare
lo “spessore” o “potere” o “attività” della barriera
antiossidante plasmatica nel suo complesso e, in
alcuni casi specifici, a quantificarne alcune
importanti componenti, quali ad esempio i gruppi
tiolici o singoli antiossidanti (es. ascorbato,
tocoferoli). Tale valutazione si rende necessaria
ogni qualvolta si sospetti una situazione di stress
ossidativo (anche a fronte di valori normali o
addirittura ridotti di test dello status proossidante)
e, più in generale, ogni qualvolta si intende
monitorare una terapia antiossidante.
Uno dei pannelli particolarmente utili nella
valutazione globale dello stress ossidativo è quello
sviluppato da Diacron International sas e che
comprende un test per la determinazione dello
status pro-ossidante (il d-ROMs test) e tre test per
la determinazione dello status antiossidante (OXYadsorbent test, BAP test ed -SHp test) (figura 3. 2).
Aumentata produzione di
metaboliti reattivi
d-ROMs test
Più specificamente, tale pannello prevede la
determinazione per via spettrofotometrica sia dei
metaboliti reattivi dell’ossigeno (d-ROMs test) sia
della barriera antiossidante plasmatica (Oxy–
Adsorbent test, BAP e –SHp test) in campioni
biologici (a seconda dei casi, sangue intero,
plasma, siero, estratti tissutali o cellulari).
Questi test possono essere eseguiti non solo
con un comune fotometro (manualmente) ma
anche con un analizzatore multiplo (in automatico).
Tuttavia, l’aspetto più interessante e innovativo
consiste nel fatto che è possibile eseguire in parte
o tutto il pannello grazie ad apparecchi dedicati di
facile uso, quali il sistema FREE (sviluppato da
Diacron International, Grosseto) ed il sistema
FRAS (sviluppato da Iram s.r.l., Parma). L’impiego,
sempre consigliabile, di questi affidabili strumenti si
impone, per ragioni di opportunità pratiche, quando
non si dispone di un fotometro con le specifiche
richieste (termostatazione, filtri per particolari
lunghezze d’onda, ecc.) o quando si vuole
approfondire specificamente le tematiche dello
stress ossidativo senza impegnare altri fotometri
necessari per l’esecuzione di altre analisi.
I capitoli immediatamente seguenti si
prefiggono l’obiettivo di presentare il pannello di
test e gli strumenti dedicati sviluppi da Diacron
International per la valutazione globale dello stress
ossidativo.
Compromissione barriera
antiossidante
OXY-, BAP,SHp test
Valutazione globale
dello stress ossidativo
Prevenzione e monitoraggio delle
patologie correlate allo stress ossidativo
Figura 3. 2 La valutazione globale dello stress ossidativo
24
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
Capitolo 4
I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
e perossili) possano strappare ad essa l’elettrone
necessario per raggiungere la propria stabilità, tale
sostanza sarà a sua volta radicalizzata, come
previsto dalla seconda fase delle reazioni
radicaliche a catena (reazione di trasferimento del
sito radicalico, figura 1. 8). E’ ovvio che se la
sostanza in questione ha la proprietà ottica di
cambiare colore nel momento in cui viene ossidata
ed è sufficientemente stabile in questa forma, sarà
possibile,
con
le
opportune
tecniche
spettrofotometriche, risalirne alla concentrazione,
che risulterà direttamente proporzionale a quella
delle specie radicaliche generate in vitro e, in
definitiva, a quella degli idroperossidi inizialmente
presenti nel campione analizzato.
Nel d-ROMs test, dunque, gli idroperossidi
contenuti in un campione biologico – per comodità
espositiva, nel siero – vengono messi nelle
condizioni previste dalla reazione di Fenton per
generare in vitro radicali idroperossilici ed
alcossilici.
In pratica, un’aliquota di siero viene diluita in
una soluzione tampone (acetato) a pH 4.8. In
queste condizioni, il ferro ionico dapprima legato
alle sieroproteine, si rende disponibile in forma
libera, catalizzando, in vitro, la scissione degli
idroperossidi, inizialmente presenti nel campione di
sangue, in radicali idroperossilici ed alcossilici.
A questa soluzione viene, quindi, aggiunta una
sostanza (cromogeno) che ha la proprietà di
cambiare colore nel momento in cui viene ossidata.
Il cromogeno impiegato nel d-ROMs test è la
N,N-dietil-parafenilendiammina (figura 4. 2).
4. 1 Il d-ROMs test
4. 1. 1 Principio e validazione
4. 1. 1. 1 Aspetti teorici
Il d-ROMs test è un test spettrofotometrico che
consente di determinare, in un campione biologico,
la concentrazione degli idroperossidi (ROOH),
generati nelle cellule dall’attacco ossidativo dei
ROS su svariati substrati biochimici (glicidi, lipidi,
amminoacidi, proteine, nucleotidi ecc.).
La sigla ROM vuole sottolineare che gli analiti
misurati dal test, gli idroperossidi, sono dei
metaboliti reattivi dell’ossigeno (Reactive Oxygen
Metabolites, ROM).
Attraverso il d-ROMs test gli idroperossidi di un
campione biologico, quale, ad esempio, il siero,
dopo aver reagito con un apposito cromogeno
sviluppano un derivato colorato (dal rosa al rosso)
rilevabile e quantificabile per via spettrofotometrica.
La concentrazione degli idroperossidi, che
correla direttamente con l’intensità del colore
rilevato, viene espressa in unità di concentrazione
di facile impiego nella pratica clinica. Tali unità
sono indicate con la sigla U CARR dal cognome
del chimico pientino (Carratelli) che ha inventato e
brevettato il d-ROMs test.
Alla base del d-ROMs test vi è un meccanismo
già descritto a proposito dell’innesco delle reazioni
radicaliche a catena: l’interazione con metalli di
transizione (figure 1. 5, 1. 6 e 1. 7).
Il principio è quello del la reazione di Fenton,
verificato per il perossido di idrogeno e
successivamente ampliato da Haber e Weiss,
secondo cui un metallo di transizione in forma
ionica (es. ferro o rame) catalizza la scissione di un
idroperossido (ROOH), generando nuove specie
radicaliche,
l’idroperossile (ROO*) o l’alcossile
(RO*), a seconda che, rispettivamente, lo ione
catalizzante si ossidi (Fe2+→Fe3+ o Cu +→Cu2+)
oppure si riduca (Fe3+→Fe2+ o Cu 2+→Cu+) (figura
4. 1).
2+
(Cu ) • RO* + OH + Fe
3+
(Cu ) • ROO* + H + Fe
ROOH + Fe
ROOH + Fe
+
2+
-
3+
+
CH 3-CH 2
N
NH 2
CH 3-CH 2
2+
(Cu )
2+
+
Figura 4. 2 La N, N-dietil-parafenilendiammina,
il substrato cromogeno del d-ROMs test
(Cu )
Figura 4. 1 Generazione di radicali liberi dagli idroperossidi
Questa sostanza ha la proprietà di lasciarsi
ossidare dai radicali idroperossilici ed alcossilici,
trasformandosi in una forma cationica colorata in
rosa, anch’essa radicalica, ma abbastanza stabile
da consentirne la determinazione quantitativa per
Se ad una soluzione contenente idroperossidi
e tracce di un metallo di transizione in forma ionica
si aggiunge una sostanza il cui potenziale di
ossidazione è tale che i radicali generati dalla
decomposizione degli idroperossidi stessi (alcossili
25
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
via fotometrica, nelle condizioni di lavoro
previste (lunghezza d’onda 505 0 546).
La concentrazione del complesso colorato
sarà direttamente correlata con il livello di
idroperossidi inizialmente presenti nel campione da
analizzare (figura 4. 3).
inseriti in una cella piatta da ESR collocata nella
cavità risonante di uno spettrometro ESR.
Eseguendo scansioni successive, al tempo
zero si è osservata la comparsa di una linea di
fondo piatta che, con il passare dei minuti, si è
trasformata in un segnale ESR costituito da una
sola riga, larga circa 5 mT e caratterizzata da un
fattore g di 2.00478, la cui intensità è andata
aumentando progressivamente sino a raggiungere
un massimo per poi calare lentamente. Tale
segnale indica incontestabilmente la presenza di
un radicale (figura 4. 4).
1A) R-OOH + Fe → R-O* + Fe + OH
+
1B) R-O* + A-NH2 → R-O + [A-NH2*]
2+
3+
-
2A) R-OOH + Fe → R-OO* + Fe + H
+
2B) R-OO* + A-NH2 → R-OO + [A-NH2*]
3+
2+
+
dove:
– R-OOH è un generico idroperossido
– R-O* è il radicale alcossilico del generico idroperossido
– R-OO* è il rad. idroperossilico del generico idroperossido
– A-NH2 è la N, N-dietil-parafenilendiammina, cioè il substrato
cromogeno del d-ROMs test
+
– [A-NH2*] è il radicale catione, colorato, del substrato
cromogeno
Figura 4. 3 Principio e reazioni del d-ROMs test
0 min
150 min
g = 2.00478
[G]
I risultati del d-ROMs test vengono espressi in
unità arbitrarie, le UNITA’ CARRATELLI o U CARR
(dove 1 U CARR equivale a 0.08 mg H2O2/dL), a
causa dell’eterogeneità delle specie chimiche
presenti inizialmente nel campione biologico da
testare. Il significato delle U CARR sarà discusso
più avanti nel corso della trattazione.
3440
3460
3480
3500
3500
Figura 4. 4 Il segnale ESR è consistente
con la presenza di un radicale
Tuttavia, poiché non è possibile associare tale
segnale ad una specie ben precisa solo sulla base
del valore del fattore g, che pure sarebbe coerente
con quello del radicale catione del cromogeno, si è
valutata la struttura iperfine, impiegando un valore
di modulazione 10 volte più basso (0,01 mT).
Lo spettro registrato in queste nuove condizioni
è risultato composto da molte righe (più di mille),
mostrando una struttura iperfine molto complicata,
ma al contempo ricca di informazioni sulla natura
della specie che ne è responsabile.
Il risultato ottenuto su siero è stato confermato
ripetendo l’esperimento su un sistema modello, nel
quale il campione biologico è stato sostituito da
una soluzione tampone a pH 4.8 contenente, oltre
alla N,N-dietil-parafenilendiammina (cromogeno), il
terz-butilidroperossido (in sostituzione degli
idroperossidi sierici) e del solfato ferroso, quale
catalizzatore (in sostituzione del ferro sierico).
E’ stato, quindi, eseguito lo spettro ESR ad alta
risoluzione (m.a.=0.0075 mT) e i risultati
sperimentali sono stati confrontati con quelli
dello spettro simulato al computer.
Sulla base dei risultati ottenuti confrontando,
con adeguati programmi di calcolo, lo spettro
teorico da quello ottenuto sperimentalmente, si è
giunti alla conclusione inequivocabile che la specie
paramagnetica
responsabile
dello
spettro
osservato è proprio il radicale catione del
cromogeno del d-ROMs test, cioè della N,N-dietilparafenilendiammina (figura 4. 5).
4. 1. 1. 2 Aspetti sperimentali
Il d-ROMs test, come si è detto, si basa sullo
studio spettrofotometrico dell'aumento dell'intensità
della colorazione rossa che si sviluppa quando un
piccolo campione di siero di sangue umano viene
aggiunto ad una soluzione di N,N-dietil-parafenilendiammina (cromogeno) tamponata a pH 4,8.
La comparsa della colorazione è attribuita alla
formazione, per ossidazione, del radicale catione
dell'ammina, che verrebbe generato dalla
concomitante ossidazione dei radicali alcossilici e
perossilici
derivanti
dalla
scissione
degli
idroperossidi presenti nel campione per azione
2+
3+
catalitica degli ioni Fe ed Fe rilasciati dalle
sieroproteine nell'ambiente acido creato in vitro.
La conferma sperimentale che effettivamente
abbiano luogo le suddette reazioni è stata ottenuta
integrando alcuni dati elettrochimici con i risultati
ottenuti in parallelo dalla spettrofotometria e dalla
spettroscopia di risonanza di spin dell’elettrone
(ESR), la tecnica sperimentale più adatta alla
rilevazione della presenza di radicali ed alla loro
identificazione in un campione.
Anzitutto, la stima dei potenziali redox delle
specie chimiche implicate suggerisce che
la
reazione tra un generico radicale alcossile o
perossile con la N,N-dietilparafenilendiammina è
termodinamicamente possibile.
Sulla base di questa valutazione indiretta, il dROMs test è stato sottoposto alla ESR. Pertanto,
10 µL di un campione di siero, 10 µL di cromogeno
e 980 µL di tampone acetato (pH 4.8) sono stati
26
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
4. 1. 1. 3 Aspetti biochimico-clinici
Le performance del d-ROMs test, eseguito sia
con metodica manuale che in automatico, sono
state valutate mediante spettrofotometria.
I parametri analitici presi in considerazione
sono stati: la cinetica della reazione, l’effetto della
temperatura sulla velocità di reazione, la linearità
della reazione, i limiti di sensibilità della metodica,
l’imprecisione analitica, la stabilità nel tempo dei
campioni conservati a due diverse temperature (+4
e –20 °C), l’influenza sui risultati del test del tipo di
prelievo e di eventuali fattori bioumorali interferenti.
La cinetica della reazione, l’effetto della
temperatura sulla velocità di reazione e la linearità
segnale-concentrazione sono state valutate
eseguendo il d-ROMs test su siero sia in manuale
(spettrofotometro Shimadzu CL-750) che in
automatico (spettrofotometro UVIKON 941 PLUS).
In tali condizioni analitiche, monitorando nel tempo
l’incremento dell’assorbanza a 505 nm, la reazione
del d-ROMs test è apparsa lineare a 37°C
nell’intervallo di misura più frequentemente
utilizzato (1÷4 minuti).
Ripetendo il test su 12 differenti sieri si sono
osservate solo delle lievi differenze tra i campioni,
verosimilmente dipendenti dalle differenti specie
molecolari di idroperossidi coinvolte nella reazione.
L’effetto della temperatura sulla velocità di reazione
(valutata in termini mAbs/min) nella finestra di
misura utilizzata (1÷4 minuti) è risultato evidente e
tale da rendere necessario l’utilizzo di
termostatazione per le misure cinetiche (optimum
37 °C). La linearità segnale/concentrazione,
valutata misurando la velocità media (mAbs/min)
nell’intervallo di tempo più frequentemente
utilizzato (1÷4 min) in funzione dell’aumento
progressivo di volume (spettrofotometro Shimadzu
CL-750) o delle diluizione (spettrofotometro
UVIKON 941 PLUS) del campione è risultata
ottima.
Risultati sovrapponibili sono stati ottenuti
eseguendo
il
d-ROMs
test
anche
con
apparecchiature diverse, sia diluendo i campioni,
con metodica manuale (fotometro Shimadzu CL
7000), che aumentandone i volumi, in automatico
(Arco, Biogamma). Un esempio di linearità, riferito
ad analisi cinetica, è riportato nella figura 4. 7.
a
b
Figura 4. 5 Spettro ESR ad alta risoluzione (m.a.=0.0075 mT)
sperimentale (a) e spettro simulato da computer (b) esibiti dal
sistema sperimentale tBuOOH/DEPPD/FeSO 4/buffer dopo 420
sec dal mescolamento (tBuOOH: terz-butilidroperossido;
DEPPD: N,N-dietilparafenilendiammina)
1.0
0.8
0.5
0.4
0
Assorbanza a 505 nm (A505)
Intensità EPR (unità arbitrarie)
D’altra parte, si è detto che, nel corso degli
esperimenti, nella soluzione contenuta nella cella
piatta dell’ESR, l’intensità della colorazione rossa
osservata aumenta progressivamente nel tempo.
Poiché molti radicali allo stato ionico esibiscono
una propria colorazione, su base qualitativa, si è
assunto che il fenomeno cromatico fosse
riconducibile alla presenza, in soluzione, di specie
chimiche reattive colorate allo stato ionico.
Pertanto, allo scopo di verificare, questa volta
su basi quantitative, al correttezza dell’assunto,
l’esperimento iniziale è stato seguito nel tempo
monitorando contemporaneamente sia il segnale
ESR che quello fotometrico (assorbanza a 505
nm).
Con questo approccio, si osservato che i profili
dell'intensità ESR e dell'assorbanza a 505 nm nel
tempo per due campioni dello stesso siero
coincidono palesemente fino al raggiungimento del
massimo.
Anche in questo caso, il risultato sperimentale
ottenuto è stato confermato ripetendo questo
esperimento su un sistema modello (figura 4. 6).
0
0
25
50
75
100 0
Tempo ( min)
25
50
75
100
Tempo ( min)
(A) Profilo nel tempo, a temperatura ambiente, dell’intensità spettrale normalizzata (•) e delle letture
A505 (p), esibito dal sistema DEPPD (3.7 x 10-3 M)/tBuOOH (3.9 x 10-5 M)/FeSO4 (2.8x10-5 M) a
temperatura ambiente. (B) Profilo nel tempo delle letture A 505 esibite dai sistemi DEPPD (3.7 x 10 -3
M)/tBuOOH (3.9 x 10-5 M)/FeSO 4 (2.8x10-5 M) ( •), DEPPD (3.7 x 10 -3 M)/tBuOOH (2.0 x 10 -5 M )/FeSO4
(2.8x10 -5 M) (¢) e DEPPD (3.7 x 10 -3 M)/tBuOOH (0.95 x 10 -5 M )/FeSO 4 (2.8x10-5 M) (p) a
temperatura ambiente. tBuOOH: terz-butilidroperossido; DEPPD: N,N-dietilparafenilendiammina.
Figura 4. 6 Il radicale catione della N,N-dietilparafenilendiammina, responsabile dello spettro ESR, è anche responsabile
dell’assorbimento nel visibile a 505 nm
Questo dato indica, in definitiva, che l'aumento
dell'assorbanza nel tempo è dovuto all'aumento
della quantità di radicale catione del cromogeno,
che a sua volta è dipendente dalla quantità di
idroperossidi inizialmente presente nel campione di
siero analizzato.
Volume di campione
Figura 4. 7 Linearità segnale-concentrazione nel d-ROMs test
27
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
Il range di linearità del d-ROMs test, valutato
con metodica in automatico (Arco, Biogamma) è
risultato compreso fra 50 e 500 CARR U. Pertanto,
valori superiori a 500 CARR richiedono la diluizione
del campione.
Per quanto riguarda l’imprecisione analitica, in
uno studio condotto eseguendo il d-ROMs test in
cinetica, con metodica manuale (fotometro
Shimadzu CL 7000), la precisione nella serie
(n=30) per un solo livello (alto) ha dato un CV di
0.89%.
In uno studio immediatamente successivo, nel
quale il d-ROMs test è stato eseguito su siero sia in
manuale (spettrofotometro Shimadzu CL-750) che
in automatico (spettrofotometro UVIKON 941
PLUS) sono stati evidenziati valori di imprecisione
analitica altrettanto accettabili (tabella 4. 1).
prelievo arterioso e prelievo venoso effettuato nello
stesso paziente.
Ai fini della valutazione dell’interferenza,
eseguendo il d-ROMs test in cinetica, con metodica
manuale (fotometro Shimadzu CL 7000), i risultati
del test non sono stati influenzati né dal livello di
bilirubina (fino a 3 mg/dL), né dalla con contrazione
di creatinina (fino a 19 g/dL), né dall’azotemia ( fino
a 590 mg/dL), né dalla trigliceridemia (fino a 750
mg/dL). Nelle medesime condizioni analitiche,
l’impiego di K EDTA come anticoagulante in
provetta ha reso gli idroperossidi non dosabili,
mentre il citrato, ha comportato una sottostima dei
valori; l’eparina, che in alcune valutazioni
preliminari sembrava indurre una soprastima dei
valori non ha dimostrato, in realtà, alcuna capacità
di influenzare i risultati del d-ROMs test.
In un altro studio, eseguendo il d-ROMs test in
cinetica, con metodica in automatico (Hitachi 717),
le massime concentrazioni consentite (espresse in
mmoli/L) per ottenere risultati analitici attendibili
sono state 0.068 per l’emoglobina, 171 per la
bilirubina e 28.22 per i trigliceridi.
In conclusione, sulla
base dei dati qui
analizzati, è possibile affermare che il d-ROMs test
è in grado di fornire determinazioni precise ed
accurate, correlate con la concentrazione, sia in
cinetica che in endpoint. In particolare, disponendo
di un adeguato sistema di termostatazione, è
possibile eseguire il d-ROMs test sia in manuale
che in automatico con risultati sostanzialmente
sovrapponibili.
Tabella 4. 1 Imprecisione analitica del d-ROMs test
Parametri statistici
Siero A
Siero B
Media (mAbs/min)
28.9 ± 29.7
21.0 ± 21.5
CV intraserie (%)
0.73 ± 1.75
1.00 ± 1.30
CV tra serie (%)
1.27 ± 1.60
0.67 ± 1.28
CV totale (%)
1.76 ± 2.09
1.46 ± 1.63
A: siero ad alto titolo di idroperossidi; B: siero a basso titolo di idroperossidi
Questo dato è stato confermato da un altro
studio, ove eseguendo l’analisi in manuale, il CV
intraserie è stato pari al 2.2% (valore riferito a 20
aliquote di siero fresco), mentre quello interserie è
stato del 3.7% (valore riferito a 20 aliquote di siero
congelato).
Più recentemente, eseguendo il d-ROMs test in
cinetica, in automatico (Arco, Biogamma), il CV
intraserie valutato su 20 aliquote di siero fresco ha
fornito il valore di 2.1% mentre il CV interserie,
valutato su 20 aliquote di siero congelato è stato di
3.1%. Risultati sostanzialmente sovrapponibili sono
stati ottenuti, nelle medesime condizioni analitiche,
con un’altra apparecchiatura (Hitachi 717), ove la
valutazione di due pool di sieri ha fornito un CV
intraserie di 3.3% e 2.5% (rispettivamente per il
livello A, basso, e B, alto) e un CV interserie, per
ambedue le aliquote di pool testate, pari a 4.5%.
Altri studi hanno valutato l’effetto sul d-ROMs
test delle modalità di conservazione del campione,
e, in particolare il ruolo della temperatura.
In uno dei primi studi, eseguendo il d-ROMs
test in cinetica, con metodica manuale (fotometro
Shimadzu CL 7000) la conservazione del siero a
+4°C si è accompagnata a una lieve riduzione dei
valori del test mentre la conservazione a –20° fino
a 48 ore non ha sortito alcun effetto. Più
recentemente, eseguendo il d-ROMs test in
cinetica, con metodica in automatico (Hitachi 717),
la conservazione –20°C fino a 3 mesi non ha
influito significativamente sulle performance del
test.
Eseguendo l’analisi in cinetica, con metodica
manuale (fotometro Shimadzu CL 7000), non sono
state
segnalate
differenze
statisticamente
significative, nei risultati del d-ROMs test, tra
4. 1. 2 Composizione del kit
Il d-ROMS test è disponibile sotto forma di vari
kit, in funzione del campione biologico da testare
(sangue intero, plasma, siero, liquidi infiammatori,
estratti cellulari ecc.) e della strumentazione con la
quale va effettuata l’analisi. A questo proposito,
infatti, va sottollineato che il d-ROMs test può
essere eseguito sia con comuni apparecchiature di
laboratorio (fotometro o analizzatore multiplo) che
con sistemi dedicati, quali il FREE ed il FRAS.
In ogni caso, un kit di d-ROMs test contiene, di
base, una miscela cromogena, a base di N,N-dietilparafenilendiammina (reagente R1) ed un tampone
di reazione, a base di acetato (reagente R2)
(tabella 4. 2).
Tabella 4. 2 Esempio di kit di d-ROMs test
Reagenti*
Reagente R 1
Miscela cromogena
Reagente R 2
Tampone acetato (pH 4.8)
Confezioni disponibili**
MC 001
MC 002
MC 003
Reagente R 1
1 x 0.5 mL
1 x 1 mL
1 x 2 mL
Reagente R 2
1 x 50 mL
2 x 50 mL
4 x 50 mL
*Conservare a 2-8°C. Tutti i reagenti restano stabili fino alla
data di scadenza riportata sulla confezione se non esposti al
contatto diretto con la luce solare. ** La confezione varia in
funzione sia della strumentazione analitica impiegata per
l’esecuzione del test sia della natura del campione biologico
da testare.
28
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
Per calibrare lo strumento analitico è
disponibile un siero di controllo a titolo conosciuto.
l’assorbanza a 505 nm (A505) o 546 nm (A505)
immediatamente e successivamente, nelle stesse
condizioni di lavoro (37°C), dopo 1, 2 e 3 min. Ai
valori di assorbanza ottenuti per il campione e per il
calibratore si sottrae, quindi, il valore di assorbanza
del bianco reagente. I risultati del test saranno
espressi in U CARR applicando la seguente
formula:
4. 1. 3 Condizioni di lavoro
Il d-ROMs test può essere eseguito su sangue
intero (sistema dedicato FRAS), su plasma fresco,
su siero eparinizzato ed altri fluidi biologici o estratti
cellulari (sistema dedicato FREE).
In ogni caso, anche con strumenti analitici non
dedicati, manuali (comuni fotometri) o automatici
(analizzatori multipli), le condizioni di lavoro
sperimentalmente stabilite e standardizzate per il
d-ROMs test – che può essere eseguito sia in
cinetica sia in end-point – sono le seguenti:
lunghezza d’onda 505 or 546 nm, cammino ottico
1 cm, e temperatura 37 °C.
U CARR = ∆Abs/min x F
dove:
• ∆Abs/min sono le differenze medie dei valori di
assorbanza misurati a 1, 2, 3 e 3 minuti;
• F è un fattore di correzione con un valore
predeterminato.
A questo punto è opportuno fare alcune
precisazioni. Si è detto che i risultati del d -ROMs
test, anche per l’eterogeneità delle specie chimiche
valutabili con questo metodo (idroperossidi di
derivazione cellulare e prodotti di ossidazione delle
cloroammine), sono espressi in U CARR.
Perché si è scelto di usare queste unità di
misura “arbitrarie”? Per rispondere a questa
domanda bisogna anticipare un dato sperimentale
che sarà ampiamente discusso in seguito e cioè
che, eseguendo il d-ROMs test su un campione
piuttosto numeroso (circa 5.000) di soggetti
apparentemente sani, si è visto che l’incremento
per minuto dei valori di assorbanza a 505 nm
(∆A505/min) varia
fra
0.023
e
0.031,
distribuendosi, nella popolazione testata, secondo
un tipico profilo gaussiano.
E’ evidente che l’impiego di tale notazione
(terza cifra decimale) non consente un’immediata
valutazione
e,
soprattutto,
un’adeguata
discriminazione dei valori di concentrazione di
idroperossidi da essa sottesa.
Pertanto, per ovviare a questo problema di
natura squisitamente pratica ed avere un range
adeguatamente ampio di variazioni, si è stabilito di
esprimere il risultato del d-ROMs test in unità
convenzionali, le U CARR, appunto, che si
ottengono
moltiplicando
la
variazione
di
assorbanza registrata fotometricamente per un
prestabilito fattore di correzione, il fattore F
(generalmente compreso tra 9.000 e 10.000).
Va ribadito che tale operazione di “correzione”
si rende necessaria esclusivamente per rendere
più agevoli al medico – abituato a interpretare
valori, come quello del colesterolo, del range delle
centinaia di unità – la lettura e l’interpretazione del
test (che altrimenti sarebbero “appesantite”
dall’impiego di una serie di cifre decimali).
Negli strumenti dedicati, quali il FREE ed il
FRAS, è possibile, via software, impostare il fattore
di correzione sulla base dei risultati del d-ROMs
test eseguito sul siero di controllo a titolo noto
fornito dal produttore.
4. 1. 4 Procedura analitica
Il d-ROMs test può essere eseguito sia in
cinetica che in endpoint. In ambedue i casi, prima
di procedere all’esecuzione dell’analisi, bisogna
preparare lo standard (o calibratore), fornito
opzionalmente col kit sotto forma di siero liofilo a
matrice umana a titolo noto (U CARR), indicato
sull’etichetta.
A questo scopo è sufficiente aggiungere al
liofilizzato il volume di acqua distillata previsto
(secondo le indicazioni del produttore) e mescolare
la soluzione così ottenuta con delicatezza
(evitando di formare schiuma, indice indesiderato
di denaturazione proteica all’interfacie aria-liquido).
Si suggerisce di attendere 10 minuti e quindi
rimescolare la soluzione con le medesime
precauzioni.
In ogni caso, prima di eseguire il test è
assolutamente indispensabile assicurarsi che tutto
il liofilizzato sia stato completamente disciolto. In
queste condizioni, tra l’altro, la soluzione così
ricostituita di calibratore può essere conservata a –
20 °C ed è stabile per 6 mesi.
Dopo aver portato i reagenti (R1, miscela
cromogena, ed R2, soluzione tampone) alla
temperatura di lavoro, si procede, quindi,
all’esecuzione del test.
Nella procedura cinetica standard si parte
preparando tre soluzioni: il bianco reagente, il
campione (preferibilmente siero fresco) ed il
calibratore, secondo lo schema riportato nella
seguente tabella:
Tabella 4. 3 Procedura analitica del d-ROMs test in cinetica
Bianco reag.
Campione
Calibratore
Reagente R1
10 µL
10 µL
10 µL
Reagente R2
1 mL
1 mL
1 mL
H2O distillata
•
•
10 µL
Campione
•
•
10 µL
Calibratore
•
•
10 µL
Le soluzioni così preparate vanno mescolate
delicatamente e lasciate ad incubare a 37°C per 1
minuto. Terminata l’incubazione, esse vanno
sottoposte a lettura fotometrica, misurando
29
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
Ad ogni modo, tuttavia, per avere una
valutazione assoluta, è stato sperimentalmente
stabilito che 1 U CARR corrisponde a 0.08 mg di
H2O2/dL.
Nella procedura endpoint si parte preparando
tre soluzioni: il bianco reagente, il campione (siero
o plasma eparinato) ed il calibratore, secondo lo
schema riportato nella seguente tabella:
800
700
Frequenze
600
500
400
300
200
100
Tabella 4. 4 Procedura analitica del d-ROMs test in endpoint
Bianco reag.
Campione
Calibratore
Reagente R1
10 µL
10 µL
10 µL
1 mL
1 mL
1 mL
Reagente R2
H2O distillata
5 µL
−
−
Campione
5 µL
−
−
Calibratore
5 µL
−
−
0
Le soluzioni così preparate vanno mescolate
delicatamente e lasciate ad incubare a 37°C per 75
minuti. Appena terminata l’incubazione, esse
vanno sottoposte a lettura fotometrica, misurando
l’assorbanza a 505 nm (A505) o 546 nm (A546). Ai
valori di assorbanza ottenuti per il campione e per il
calibratore si sottrae, quindi, il valore di assorbanza
del bianco reagente (azzeramento con bianco
reagente). I risultati del test saranno espressi in U
CARR applicando la seguente formula:
U CARR
=
Abs campione
Abs standard
x
1
2
3
4
5
6
A
B
7
8
9
10
Serie (U CARR)
11
12
13
14
15
Serie
Intervalli
Intervalli
Frequenze
Dati cumulativi
-
(U CARR)
(mg H 2O 2/dL)
(n)
(%)
1
200-210
16.00 -16.80
29
0.6
2
211-220
16.88 -17.60
89
2.6
3
221-230
17.68 -18.40
193
6.8
4
231-240
18.48 -19.20
244
12.2
5
241-250
19.28 -20.00
342
19.7
6
251-260
20.08 -20.80
547
31.8
7
261-270
20.88 -21.60
659
46.3
8
271-280
21.68 -22.40
731
62.3
9
281-290
22.48 -23.20
654
76.7
10
291-300
23.28 -24.00
491
87.5
11
300-310
24.08 -24.80
256
93.1
12
311-320
24.88 -25.60
162
96.7
13
321-330
25.68 -25.40
80
98.5
14
331-340
25.48 -27.20
57
99.7
15
341-350
27.28 -28.00
13
100.0
4547
100.0
Totale
Figura 4. 8 Distribuzione dei valori del d-ROMs test
nella popolazione apparentemente sana
Ovviamente, valori superiori a questo
intervallo, dopo una fascia borderline (301-320 U
CARR) indicano livelli progressivamente crescenti
di stress ossidativo (tabella 4. 5).
[standard]
dove:
• Abs sono i valori di assorbanza misurati (per il
campione e per lo standard);
• [standard ] è la concentrazione dello standard.
Va aggiunto che gli strumenti dedicati (FREE e
FRAS) sono programmati per eseguire ambedue le
modalità di analisi del d-ROMs test sopra descritte
con appositi kit. Tuttavia, se si ha la necessità di
dover effettuare il test su un comune fotometro o
su un analizzatore multiplo, si può anche operare,
in alternativa alle procedure descritte, con una
miscela di lavoro realizzata mescolando il reagente
R1 (cromogeno) ed il reagente R 2 (tampone) nel
rapporto di 1:100 e utilizzando il campione come
“starter”. Tale miscela di lavoro ha il vantaggio di
essere stabile per circa 12 ore (più che sufficienti
per una seduta analitica), se conservata,
ovviamente a 2-8°C e al riparo dalla luce.
Tabella 4. 5 Gravità dello stress ossidativo (SO)
sulla base dei valori del d-ROMs test
Idroperossidi Idroperossidi
Stress ossidativo
(U CARR)
(mg H 2O2/dL)
(gravità)
300-320
24.08-25.60
Condizione border-line
321-340
25.68-27.20
Stress ossidativo lieve
341-400
27.28-32.00
Stress ossidativo medio
401-500
32.08-40.00
Stress ossidativo elevato
>500
>40.00
Stress ossidativo elevatissimo
Range normale: 250-300 U CARR
1 U CARR corrisponde a 0.08 mg H2O2/dL
Per completezza, va aggiunto che i valori
riportati si riferiscono alla popolazione italiana e
non è escluso che vi possano essere delle
oscillazioni in eccesso o in difetto in funzione di
particolarità razziali.
Si è anche osservato che i risultati del d-ROMs
test non sono significativamente influenzati né dal
sesso né dall’età.
Tuttavia, i neonati, indipendentemente dal
sesso e dalle modalità del parto (via vaginale o
taglio cesareo), possiedono livelli ematici di
idroperossidi significativamente inferiori a quelli
riscontrati
negli
adulti;
questa
differenza
probabilmente riflette la diversa risposta all’ipossia
dei neonati (figura 4. 9).
4. 1. 5 Interpretazione dei risultati
La disponibilità di una metodica precisa ed
affidabile ha consentito di stabilire i livelli ematici di
riferimento del d-ROMs nella popolazione normale.
Si è potuto dimostrare, su un campione di circa
5.000 soggetti clinicamente sani, che il livello di
idroperossidi circolanti determinati con il d-ROMs
test segue nella popolazione una distribuzione
unimodale (figura 4. 8 A), con un picco tra 250 e
300 U CARR (pari a 20.08-24.00 mg/dL di H2O2),
individuato come il valore di riferimento del test
(figura 4. 8 B).
30
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
500
500
400
400
300
300
U CARR
U CARR
p<0,001
200
200
100
100
0
0
Taglio cesareo
Parto vaginale
(n=71)
Asfissia IP
(n=20)
(n=27)
Non fumatori
(n=28)
No asfissia IP
(n=78)
Fumatori
(n=10)
Figura 4. 9 Valori del d-ROMs test nei neonati
Figura 4. 10 Valori elevati del d-ROMs test nei fumatori
Viceversa, la gravidanza si associa a valori del
d-ROMs test mediamente più alti rispetto a quelli
osservati nelle donne non in gestazione (figura 4.
10).
Analogamente, gli alcolisti presentano valori
del d-ROMs test significativamente più elevati
rispetto a quelli rilevabili nei non bevitori (figura 4.
11).
500
900
800
400
p<0,001
600
U CARR
U CARR
700
Parto
500
400
300
200
300
200
100
100
mesi
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
0
10
Controlli
(n=42)
Forti bevitori
(n=45)
Figura 4. 10 Andamento del d-ROMs test in gravidanza
Figura 4. 11 Valori elevati del d-ROMs test negli alcolisti
I risultati del d-ROMs test eseguito
ripetutamente nello stesso soggetto nell’arco della
giornata non mostrano differenze degne di nota, a
meno che non intervengano fattori in grado di
indurre una brusca produzione di perossidi (es. uno
sforzo muscolare intenso).
Infine, non sono state riscontrate differenze
significative nei risultati del d-ROMs test quando il
prelievo viene effettuato su sangue arterioso o su
sangue venoso.
L’attività fisica incongrua costituisce un
importante fattore di rischio per lo stress ossidativo.
A questo proposito bisogna distinguere tra dilettanti
e professionisti e, soprattutto, fra soggetti allenati e
soggetti non allenati.
Infatti, a riposo e in condizioni di buona salute,
il livello di idroperossidi sierici tende ad essere più
basso che dopo esercizio fisico moderato
(condizione che non si accompagna al
superamento del valore soglia di 350 U CARR o
28.00 mg H2O2/dL).
Tuttavia, gli atleti correttamente allenati
presentano valori di d-ROMs test mediamente più
bassi di quelli rilevati nei soggetti non allenati.
L’esercizio fisico, soprattutto se intenso (es.
sforzo massimale al cicloergometro) induce un
aumento indiscriminato dei livello di idroperossidi
sierici, indipendentemente dall’allenamento, con
superamento della soglia sopra indicata di 350 U
CARR.
Tuttavia, un’ora dopo tale sforzo, mentre i
soggetti regolarmente allenati tornano rapidamente
ai loro valori, e comunque al di sotto di 300 U
CARR, i soggetti non allenati mantengono più
persistentemente elevati nel tempo i propri livelli
sierici di idroperossidi (>350 U CARR) ( tabella 4.
6).
4. 1. 6 Trial clinici
Il d-ROMs test si è dimostrato validissimo
nell’individuazione di soggetti a rischio di stress
ossidativo per fattori legati allo stile di vita, quali
quali il fumo di sigaretta, l’assunzione di bevande
alcoliche, l’attività fisica inadeguata ed il
sovrappeso.
In particolare, si è visto che i forti fumatori
presentano, all’incirca nel 70% dei casi, livelli sierici
di idroperossidi significativamente più elevati
rispetto a quelli riscontrabili, a parità di ogni
altra condizione, nei non fumatori; la normalità
dei risultati del test in una percentuale non
trascurabile di fumatori suggerisce l’esistenza di
una differente reattività, in questa popolazione di
soggetti, alle sostanze biologicamente attive
presenti nel fumo di sigaretta (figura 4. 10).
31
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
Tabella 4. 6 Valori medi del d-ROMs test in soggetti sani(1)
Timing
n
U CARR
mgH 2O2/dL
Immediatamente dopo sforzo
20
> 350*
>28.00*
massimale
Un’ora dopo sforzo massimale
10
> 350*
> 28.00*
(soggetti non allenati)
Un’ora dopo sforzo massimale
10
< 300**
< 24**
(soggetti allenati)
(1)
Test al cicloergometro *Nessuno dei soggetti reclutati aveva livelli
inferiori a 350 U CARR (28.00 H2O2/dL). ** Nessuno dei soggetti
reclutati aveva livelli superiori a 300 U CARR (24.00 mg H 2O2/dL).
500
U CARR
400
p<0,0001
300
200
100
0
BMI<23
(n=12)
Diverse discipline sportive che comportano un
considerevole impegno muscolare, per l’intensità
e/o per la durata dello sforzo, si accompagnano
costantemente all’incremento dei valori del dROMs test al termine della prestazione.
A questo proposito, in uno studio longitudinale,
è stato monitorato il livello di stress ossidativo in un
campione di 12 atleti prima e dopo una gara
ciclistica di gran fondo (150 km). In sei dei dodici
ciclisti reclutati, il d-ROMs test è stato ripetuto
anche dopo 2 giorni, a riposo, e dopo 10 giorni di
trattamento antiossidante specifico (ARD Stenovit ®)
(figura 4. 12).
Figura 4. 13 Gli obesi presentano valori più elevati
del d-ROMs test rispetto ai soggetti normopeso
Oltre che nell’identificare soggetti a rischio per
stress ossidativo in rapporto allo stile di vita, il dROMs test si è dimostrato estremamente utile
anche nell’individuare e quantificare squilibri del
bilancio redox associati a situazioni patologiche. Si
è potuto documentare, in particolare, che terapie
specifiche messe in atto per contrastare talune
condizioni morbose associate allo stress ossidativo
possono, talvolta, esibire di per sé effetti “antiradicali”, i quali possono essere sinergicamente
potenziati
con
un’oculata
integrazione
antiossidante.
Così, se fino a qualche tempo fa la valutazione
dell’efficacia della terapia antiossidante veniva
effettuata per via indiretta – sul la base degli effetti
prodotti dagli integratori – oggi, grazie al d-ROMs
test, essa può essere eseguita direttamente, sulla
base della capacità del trattamento di ridurre i livelli
degli idroperossidi sierici, marcatori e amplificatori
del danno cellulare da radicali liberi. E per questa
sua peculiarità, confermata dai numerosi studi
clinici e sperimentali attualmente recensibili in
letteratura, il d-ROMs test si distingue nettamente
da altri test attualmente disponibili per la
valutazione di laboratorio dello stress ossidativo.
Esso, infatti, è l’unico test in grado di dosare tutti gli
idroperossidi presenti in un campione biologico.
Non esiste campo della medicina tradizionale
nel quale il d-ROMs test abbia dimostrato la sua
utilità, dalla neuropsichiatria alla cardioangiologia,
dalla broncopneumologia alla gastroenterologia,
dall’epatologia alla nefrologia, dalle malattie
metaboliche all’endocrinologia, dalla dietologia alla
nutriterapia, dalla medicina sportiva alla medicina
estetica, e così via. Recentemente, il test è stato
impiegato con successo anche nella valutazione
dell’efficacia di un rimedio omeopatico e studi
sempre più numerosi ne indicano la validità anche
in medicina veterinaria.
In ambito neuropsichiatrico, grazie al d-ROMs
test è stato possibile dimostrare, in uno studio
caso-controllo, che la terapia antiossidante riduce
significativamente il livello di stress ossidativo in
pazienti con demenza senile (figura 4. 14).
500
U CARR
400
300
200
100
p ≤ 0.001 vs riposo iniziale
0
Riposo
(n=12)
Immediatamente
dopo la corsa* (n=12)
Due giorni dopo
la corsa (n=6)
BMI>30
(n=12)
Dopo 10 giorni
di terapiay (n=6) *150 km
Figura 4. 12 Valutazione dello stress ossidativo
in una gara ciclistica di gran fondo
Il trial ha confermato che gli atleti presentano in
condizioni basali, prima della gara, livelli sierici di
idroperossidi nei limiti della norma. L’intenso sforzo
muscolare si accompagna ad un considerevole
incremento dei valori del d-ROMs test che, tuttavia,
tendono a ridursi già due giorni dopo la gara. E’
interessante notare che il ritorno ai valori basali di
idroperossidi
è
favorito
dal
trattamento
antiossidante.
Il sovrappeso e, in maggior misura, l’obesità,
anche se lieve, tendono ad associarsi a livelli
mediamente più elevati di idroperossidi nel siero
rispetto ai soggetti normopeso.
A questo proposito, uno studio comparativo ha
dimostrato che un indice di massa corporea (BMI)
superiore a 30, una condizione che corrisponde ad
un’obesità di I° grado secondo la classificazione
dell’OMS, si associa a valori del d-ROMs test
significamene più elevati di quelli rilevati nel gruppo
normopeso di controllo (BMI<23), a parità di ogni
altra condizione (figura 4. 13).
32
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
600
500
Controlli (n=11)
Pazienti (n=11)
p<0,01
p<0,01
n = 22
500
*
400
**
300
U CARR
U CARR
400
300
200
200
100
100
p<0,01 ( pt vs con)
p<0,05 (prima vs dopo)
0
Prima della terapia
Dopo la terapia
*p < 0.05 vs inclusione
**p < 0.02 vs inclusione
0
Inclusione
Settimana 8
Settimana 12
Settimana 24
Figura 4. 14 La terapia antiossidante riduce in modo significativo
i livelli di stress ossidativo nella m. di Alzheimer
Figura 4. 16 Riduzione progressiva dei livelli di stress ossidativo
in pazienti ipertesi trattati con lercanidipina
Analogo effetto positivo sulla demenza senile
ha dimostrato di possedere, in un altro trial
controllato, il trattamento chelante con Dpenicillamina.
Più recentemente, si è visto che pazienti con
sclerosi laterale amiotrafica presentano, rispetto a
soggetti sani di controllo, più elevati livelli sierici di
idroperossidi al d-ROMs test. Questo dato
suggerisce che i radicali liberi possano giocare un
ruolo
importante
nella
patogenesi
della
degerazione neuronale osservata in questa
malattia.
Nel complesso i risultati qui presentati indicano
che il d-ROMs test è utile per monitorare il livello di
stress ossidatvio e le sue conseguenze in alcune
condizioni morbose di interesse neuropsichiatrico
altamente invalidanti ed onerose per la società.
Le patologie cardio-vascolari, che forniscono
esempi paradigmatici per comprendere il ruolo
patogeno delle specie reattive, rappresentano un
altro dei campi più fertili di applicazione del dROMs test.
In tale contesto, si è osservato che pazienti
ipertesi non trattati presentano livelli sierici di
idroperossidi significativamente più elevati rispetto
a quelli rilevabili dei soggetti normotesi (figura 4.
15).
Nella stenosi carotidea, al contrario di quanto
osservato nell’ipertensione arteriosa, la terapia
vascolare specifica non si accompagna ad una
significativa riduzione dello stress ossidativo
(elevato prima del trattamento) (figura 4. 17).
500
U CARR
400
300
200
100
(n=10)
0
Prima della terapia
Dopo la terapia
Figura 4. 17 Riduzione (non significativa) dei livelli di stress
ossidativo dopo terapia specifica nella stenosi carotidea
In questa condizione morbosa, infatti, solo il
trattamento antiossidante si accompagna ad una
riduzione statisticamente significativa dei livelli
sierici di idroperossidi rispetto ai controlli (figura 4.
18).
500
p<0,05
p<0,05
Controlli (n=12)
Pazienti (n=27)
400
U CARR
500
400
U CARR
p<0,001
300
200
300
100
200
0
Prima della terapia
100
0
Controlli
(n=15)
Dopo la terapia
Figura 4. 18 Riduzione significativa dei livelli di idroperossidi
sierici dopo terapia antiossidante nella stenosi carotidea
Ipertesi
(n=15)
Figura 4. 15 L’ipertensione arteriosa non trattata si associa a
valori elevati del d-ROMs test
L’aspetto più interessante è che quando in
questi pazienti la terapia vascolare specifica viene
associata alla terapia antiossidante si osserva un
sinergismo farmacologico di potenziamento.
In altri termini, nella stenosi carotidea,
combinando i due regimi terapeutici si ottengono,
migliori risultati in termini di riduzione dei livelli di
stress ossidativo, sulla base del d-ROMs test
(figura 4. 19).
Viceversa, la terapia antiipertensiva si
accompagna ad una riduzione significativa dei
livelli di stress ossidativo nei pazienti ipertesi.
Questo dato è stato dimostrato per diversi farmaci
antiipertensivi e, molto recentemente, con
lercanidipina (figura 4. 16).
33
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
500
p<0,05
Rimanendo
nell’ambito
delle
patologie
cardiovascolari, è stato anche dimostrato che nelle
vasculopatie periferiche, quali quelle a carico degli
arti inferiori, con claudicatio intermittens, la terapia
antiossidante è in grado di ridurre il livello di
idroperossidi sierici (figura 4. 23).
Prima della terapia
Dopo la terapia
U CARR
400
300
200
500
100
Controlli (n=12)
Pazienti (n=15)
p<0,02
p<0,05
TS: terapia specifica
TAO: terapia antiossidante
0
400
TS + TAO (n=27)
U CARR
Solo TS (n=12)
Figura 4. 19 Effetto sinergico della terapia combinata sulla
riduzione dei livelli di stress ossidativo nella stenosi carotidea
0
Prima della terapia
Più recentemente è stato dimostrato che il dROMs test è utile anche nella valutazione dello
stress ossidativo associato all’insufficienza venosa.
In particolare, si è visto che il trattamento per via
orale con O–β–idrossietilrutoside si accompagna
ad una riduzione significativa dei livelli sierici di
idroperossidi sia a livello sistemico che nel distretto
venoso colpito dalla flebopatia.
Nell’ambito
delle
malattie
dell’apparato
respiratorio
e,
in
particolare,
delle
broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO) il
d-ROMs test si è dimostrato un prezioso strumento
diagnostico nella valutazione dello stress
ossidativo. Nelle broncopneumopatie professionali,
quali la silicosi, per esempio, si è potuto osservare
che i livelli più elevati di idroperossidi sierici
tendono più frequentemente ad associarsi
all’ipossia (indice di gravità della malattia),
specialmente se coesistono più fattori di rischio
(es. esposizioni a polveri e fumo di sigaretta).
Inoltre, sempre nei pazienti con BPCO, la
somministrazione di N-acetilcisteina aerosolizzata
si è dimostrata in grado di ridurre in maniera
significativa i valori del d-ROMs test (figura 4. 24).
**
*
30’ clamp
2’ declamp
*
U CARR
*
300
200
100
*p < 0.05
*p < 0.01 vs basale
0
Basale
15’ clamp
10’ clamp
Figura 4. 21 Riduzione dello stress ossidativo associato
all’endarteriectomia carotidea con dipiridamolo orale
Questo trial fornisce la conferma sperimentale
e clinica che l’ischemia seguita da riperfusione
realmente si accompagna ad un aumento dei livelli
di radicali liberi e che il d-ROMs test è uno
strumento formidabile per prevenire il danno
ossidativo in quelle condizioni in cui viene
ripristinata la circolazione in un distretto arterioso
che aveva subito in precedenza una riduzione del
flusso sanguigno.
Infatti, pazienti sottoposti ad angioplastica
coronaria presentano al termine dell’intervento un
incremento significativo del livello sierico di
idroperossidi (figura 4. 22).
p<0,001
n=15
± 1.00 *SD
800
Prima dell’intervento
Dopo l’intervento
500
Media
600
400
200
400
U CARR
± 1.96 *SD
1000
U CARR
600
Dopo la terapia
Figura 4. 23 Riduzione dei livelli del d-ROMs test nei pazienti
con vasculopatie periferiche dopo terapia antiossidante
Placebo
Dipyridamole
400
200
100
In pazienti con stenosi carotidea serrata
sottoposti a endoarteriectomia carotidea, il
trattamento con dipiridamolo per via orale si è
dimostrato in grado di ridurre, in uno studio
controllato con placebo, i livelli di stress ossidativo
associati con l’ischemia cerebrale transitoria che
inevitabilmente accompagna questo tipo di
intervento (figura 4. 20).
500
300
0
*p<0,00235
Prima della terapia Dopo la terapia
300
Figura 4. 24 Riduzione dei livelli del d-ROMs test
dopo terapia topica specifica nella BPCO
200
100
Infine, non bisogna dimenticare a questo
proposito, che il d-ROMs test è utilissimo
nell’identificare il rischio di stress ossidativo nei
fumatori (figura 4. 10).
0
Figura 4. 22 Incremento significativo dei livelli di idroperossidi
sierici dopo angioplastica coronarica
34
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
Il d-ROMs test è stato impiegato con successo
anche nella valutazione dello stress ossidativo
associato a patologie renali e, in particolare,
nell’insufficienza renale cronica. E’ stato possibile
dimostrare, per esempio, che i soggetti sottoposti a
trapianto renale sono ad alto rischio di stress
ossidativo, così come il trattamento emodialitico,
che si rende indispensabile nelle fasi avanzate
dell’insufficienza renale cronica, si accompagna ad
un incremento significativo del livello degli
idroperossidi sierici (figura 4. 25).
associato a iperlipemia, può ridursi in seguito a
terapia ipolipidemizzante (4. 26).
500
U CARR
400
300
200
100
0
500
Prima della terapia
p<0,001
U CARR
400
n=11
p<0,05
Dopo la terapia
p<0,05
Figura 4. 26 Riduzione dei livelli di stress ossidativo in seguito a
terapia ipolipidemizzante in pazienti ipertrigliceridemici
300
Nel diabete mellito di tipo 2 un regolare regime
dietetico è apparso associato ad una significativa
riduzione dei livelli del d-ROMs test (figura 4. 27).
200
100
0
Controlli
(n=25)
Prima dell’HD
(n=55)
Dopo l’HD
(n=55)
500
Controlli (n=12)
Diabetici (n=15)
p<0,01
p<0,01
Figura 4. 25 L’emodialisi (HD) si associa ad un significativo
incremento dei valori del d-ROMs test.
U CARR
400
La patogenesi dello stress ossidativo associato
all’emodialisi sembra riconducibile sia alla perdita
di principi antiossidanti nel liquido di dialisi
(riduzione
delle
difese
antiossidanti)
sia
all’attivazione dei leucociti in seguito al contatto del
sangue con i filtri di dialisi (aumentata produzione
di specie reattive). Per questo motivo, è stato
proposto l’impiego di filtri arricchiti con vitamina E e
alcuni studi hanno documentato che con questo
accorgimento è possibile ridurre il rischio di stress
ossidativo, valutato mediante d-ROMs test, negli
emodializzati.
Nell’ambito delle malattie dismetaboliche, uno
studio pilota (n=67) condotto su soggetti normo e
dislipidemici ha evidenziato, mediante il d-ROMs
test, una condizione di stress ossidativo di entità
variabile nel 48% degli individui con livelli normali
di colesterolo totale, nel 79% di quelli con livelli
normali di trigliceridi plasmatici e nel 62% di quelli
con livelli normali di colesterolo LDL. Il dato più
sorprendente è che un livello di idroperossidi
superiori alla norma è stato osservato anche nel
76% dei soggetti con livelli elevati di colesterolo
HDL, potenzialmente ”a basso rischio” per
patologie cardiovascolari.
Questi dati suggeriscono che lo stress
ossidativo può essere un fattore di rischio per la
salute relativamente indipendente da altri fattori
meglio conosciuto, quali il livello plasmatico di
colesterolo e/o di trigliceridi, e che il d-ROMs test
può essere utile, insieme alla lipemia ed alla
determinazione dei livelli di omocisteina, ai fini di
una valutazione più puntuale del rischio
cardiovascolare.
Altre evidenze hanno documentato, comunque,
che il livello di stress ossidativo, quando
300
200
100
0
Prima della dieta
Dopo la dieta
Figura 4. 27 Riduzione dei livelli di stress ossidativo in seguito a
regolare regime dietetico in pazienti con diabete di tipo 2
Un altro importante capitolo delle malattie da
radicali liberi nel quale sta trovando utile impiego il
d-ROMs test è quello dello patologie infettive,
disreattive e neoplastiche.
Nei pazienti HIV+, per esempio, si è osservato
che il livello di stress ossidativo si riduce
significativamente in seguito ad ipertermia
corporea totale (figura 4. 28).
500
Pazienti HIV + (n=13). Ipertermia
corporea totale (42°C ; 90 min )
400
U CARR
p=0,0003
300
200
100
0
Prima della terapia
Dopo la terapia
Figura 4. 28 Riduzione dei livelli di stress ossidativo
in seguito ad ipertermia in pazienti sieropositivi per l’HIV
Nell’ambito delle patologie disreattive, l’artrite
reumatoide (AR) non trattata si accompagna ad un
livello di idroperossidi sierici è significativamente
più elevato rispetto a quello rilevato nei soggetti
normali assunti come controlli (figura 4. 29).
35
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
500
sindromi mielodisplastiche) e alla sindrome di
Down (vedi oltre, nei paragrafi relativi all’OXYAdsorbent e all’ –SHp test). Per l’impiego del dROMs test in medicina veterinaria, invece, si
rimanda ad una pubblicazione specialistica di
prossima edizione.
p<0,001
U CARR
400
300
200
4. 1. 7 Il d–ROMs test nella pratica clinica
100
4. 1. 7. 1 Le finalità del d-ROMs test
Le finalità del d–ROMs test sono molteplici in
funzione della tipologia dei candidati alla sua
esecuzione (tabella 4. 7).
0
Controlli (n=28)
AR (n=24)
Figura 4. 29 L’artrite reumatoide (AR) si associa
a elevati valori del d-ROMs test
Tabella 4. 7 Candidati e finalità del d-ROMs test
Candidati
Esempi
Finalità
In
questi
stessi
pazienti
le
terapie
convenzionali, quali la cortisonica, o quelle
alternative,
quale
la
magnetoterapia,
si
accompagnano a una significativa riduzione dei
livelli sierici di idroperossidi.
In ambito oncologico, l’effetto della terapia
cortisonica sulla riduzione dei livelli di stress
ossidativo è massimo nelle neoplasie non solide
(leucemi/linfomi).
Viceversa, la radio e la chemioterapia
antineoplastiche, si associano ad elevati livelli di
idroperossidi sierici (figura 4. 30).
Soggetti normali,
clinicamente
asintomatici,
senza alcun fattore
di rischio per SO
Soggetti normali,
clinicamente
asintomatici, con
uno o più fattori di
rischio per SO
410
U CARR
**
**
360
310
Soggetti affetti da
patologie correlate
con lo SO
*
260
210
*p<0.001; **p<0.01 vs basale
160
Basale
I ciclo
II ciclo
Figura 4. 30 Incremento dei valori del d-ROMs test
in corso di radioterapia antineoplastica
Soggetti sottoposti
a particolari
trattamenti a
rischio per SO
Un incremento del livello sierico degli
idroperossidi di origine “iatrogena” lo si osserva
non solo con la chemioterapia antineoplastica ma
anche in seguito ad assunzione di contraccettivi
orali (figura 4. 31).
500
400
U CARR
Pazienti sottoposti a
terapie farmacologiche
(antiblastici,
estroprogestinici, ecc.), a
emodialisi, a trapianto di
organi, a interventi di
rivascolarizzazione, ecc.
Monitorare lo SO e
prevenirne le sue
conseguenze.
Monitorare l’efficacia
della terapia specifica
sulla patologia in atto.
Monitorare l’efficacia
della terapia specifica
e dell’eventuale
trattamento
antiossidante
integrativo sullo SO
associato alla
patologia in atto.
Identificare e
prevenire lo SO e le
sue conseguenze.
Monitore l’efficacia di
eventuali misure
messe in atto per
prevenire il danno
tissutale da SO.
SO: stress ossidativo
Al d–ROMs test dovrebbero sottoporsi
periodicamente tutti soggetti sani, perché non
esiste individuo che non sia esposto al rischio di
produrre – in senso assoluto o relativo – quantità
eccessive di specie reattive. La finalità primaria del
test, infatti, è quella di identificare e prevenire lo
stress ossidativo e le sue conseguenze
indesiderate (invecchiamento, malattie).
A maggior ragione il d–ROMs test andrebbe
eseguito sistematicamente su tutti i soggetti,
apparentemente sani dal punto di vista clinico, ma
che sono esposti per varie ragioni a fattori in grado
di aumentare la produzione (radiazioni, inquinanti,
fumo, ecc.) e/o ridurre l’inattivazione di specie
reattive (es. regimi alimentari squilibrati). La finalità
del test è, anche in questo caso, identificare e
prevenire lo stress ossidativo e le sue
conseguenze.
p<0,001
300
200
100
0
Controlli
n=28
Soggetti esposti a fonti
di radiazioni e/o ad
inquinanti atmosferici,
soggetti in sovrappeso o
obesi, alcolisti, fumatori,
individui che svolgono
attività fisica incongrua,
soggetti che seguono un
regime alimentare
squilibrato, ecc.
Pazienti con: m. di
Alzheimer, m. di
Parkinson, ictus, infarto,
ipertensione arteriosa,
vasculopatie periferiche,
broncopneumopatie
croniche ostruttive,
celiachia, m. di Crohn,
pancreatite, epatite,
AIDS, artrite reumatoide,
insufficienza renale
cronica, sindromi
mielodisplatiche,
diabete, dislipidemie,
sindrome di Down,
alcune neoplasie, ecc.
Identificare e
prevenire lo SO e le
sue conseguenze
(invecchiamento,
malattie)
Identificare e
prevenire lo SO e le
sue conseguenze
Pillola
n=28
Figura 4. 31 Più elevati livelli sierici di idroperossidi
nelle donne che assumono la pillola
Il d-ROMs test, infine, è stato utilizzato con
successo nel monitoraggio dello stress ossidativo
associato a talune affezioni ematologiche (es.
36
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
Il d–ROMs test, inoltre, andrebbe eseguito su
tutti i soggetti affetti da patologie – oltre una
cinquantina – che risultano in qualche modo
correlate con lo stress ossidativo, dalla demenza
senile al m. di Parkinson, dall’ictus all’infarto, dal m.
di Crohn all’artrite reumatoide, dall’AIDS ad alcune
neoplasie e così via. In tutti questi casi le finalità
del d–ROMs test sono monitorare lo stress
ossidativo e prevenirne le sue conseguenze,
monitorare l’efficacia della terapia specifica sulla
patologia in atto e, aspetto non trascurabile,
monitorare l’efficacia della terapia specifica, in
associazione con l’eventuale
trattamento
antiossidante integrativo, sullo stress ossidativo
associato alla patologia in atto.
Riguardo a quest’ultima finalità, occorre
sottolineare che in molte delle patologie sopra
elencate, quasi tutte ad andamento cronico, lo
stress ossidativo tende a configurarsi come un
fattore di rischio aggiuntivo e, come tale, deve
essere controllato per rendere ottimali i risultati
della terapia. In altri termini, l’evidenza, attraverso il
d-ROMs test, di una condizione di stress ossidativo
costituisce un indice di controllo incompleto della
malattia e, pertanto, suggerisce al clinico un
approccio terapeutico integrato ove trovino
adeguata collocazione non solo i farmaci o gli
interventi chirurgici tradizionali, ma anche la
correzione dello stile di vita e, eventualmente,
l’assunzione di antiossidanti.
Infine, sono candidati al d-ROMs test tutti quei
soggetti sottoposti ad interventi terapeutici sia di
tipo farmacologico (es. antiblastici, pillola, ecc.) sia
di tipo chirurgico (es. trapianti di organo, interventi
di rivascolarizzazione, ecc.), compresa la dialisi, in
grado di compromettere il bilancio ossidativo in
senso proossidante. Le finalità è quella di
identificare e prevenire lo stress ossidativo e le sue
conseguenze e, in particolare, monitore l’efficacia
di eventuali misure messe in atto per prevenire il
danno tissutale da stress ossidativo.
Tabella 4. 8 Aree di interesse ed applicazioni del d-ROMs test
Disciplina
Neuropsichiatria
Otorinolaringoiatria
Cardioangiologia
Broncopneumologia
Epatologia
Nefrologia
Ematologia
Diabetologia
Malattie dei ricambio
Endocrinologia
Andrologia
Ostetricia
Neonatologia
Malattie genetiche
Reumatologia
Infettivologia
Oncologia
Medicina dello sport
•
•
4. 1. 7. 2 Le aree di interesse del d–ROMs test
Le aree di interesse del d–ROMs test, come
ampiamente discusso (vedi paragrafo 4. 1. 6, studi
clinici), sono numerose e coprono tutto l’ambito
della medicina tradizionale.
Limitando il campo alle applicazioni che hanno
trovato finora il supporto di incontrovertibili
evidenze sperimentali e cliniche, le branche in cui il
d-ROMs test ha dimostrato la sua validità sono tra
l’altro: la neuropsichiatria, la cardioangiologia, la
broncopneumologia, l’epatologia, la nefrologia,
l’ematologia, la diabetologia, l’endocrinologia,
l’andrologia, la reumatologia, la dietologia e la
dietoterapia, l’infettivologia, l’oncologia, la geriatria,
la medicina sportiva e l’otorinolaringoiatria (tabella
4. 8).
•
•
•
37
Esempi
• Malattia di Alzheimer
• Sclerosi Laterale Amiotrofica
• Sindrome di Ménière
• Stenosi carotidea
• Cardiopatia ischemica
• Ipertensione arteriosa
• Vasculopatie periferiche
• Insufficienza venosa
• Broncopneumopatia cronica ostruttiva
• Epatopatia alcolica
• Insufficienza renale cronica
• Emodialisi
• Sindromi mielodisplastiche
• Sindrome trombofilica
• Diabete mellito 1
• Diabete mellito 2
• Obesità
• Dislipidemie
• Terapia estroprogestinica
• Infertilità maschile
• Gravidanza
• Sindrome asfittica
• Sindrome di Down
• Artrite reumatoide
• AIDS
• Linfomi e leucemie
• Radio e chemioterapia
• Calcio
• Ciclismo
4. 1. 7. 3 Considerazioni conclusive
e punti di forza del d-ROMs test
Il d-ROMs è l’unico test attualmente disponibile
per la valutazione complessiva della componente
lesiva, pro-ossidante, dello stress ossidativo (v.
confronto con altre metodiche), che unisce a
questa specificità a) una standardizzazione
estremamente utile nella pratica clinica routinaria
(vedi scelta delle unità di misura) e b) la
possibilità di integrarsi perfettamente, nell’attuale
panorama della diagnosi di laboratorio, con altri
test sullo stress ossidativo (vedi TAS).
Il d-ROMs è un test estremamente preciso e
affidabile, che ha superato brillantemente l’esito
di sofisticate procedure di controllo, di
valutazione e di validazione da parte di enti di
ricerca di riconosciuta valenza internazionale
(Università, Consiglio Nazionale delle Ricerche),
come attestano le numerose pubblicazioni
scientifiche recensite nella letteratura scientifica
internazionale.
Il d-ROMs test richiede una strumentazione
relativamente
semplice
(un
fotometro
termostatato ed una centrifuga) comunemente
disponibili presso qualsiasi laboratorio di analisi;
inoltre, esso può essere eseguito anche con una
strumentazione dedicata (sistemi FRAS e
FREE).
Il d -ROMs test possiede tutti i vantaggi di un
mono test (rilevazione fotometrica diretta di
un’unica miscela di reazione, contenente il
campione e il reattivo cromogeno).
Il d-ROMs test, eseguito con la strumentazione
dedicata, richiede una minima manualità, con
notevole riduzione delle possibilità di errore; non
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
è richiesta, fin dall’inizio, alcuna particolare
conoscenza di biochimica analitica; utile, invece
l’esperienza che con esso si acquisisce.
• Il d-ROMs test non è influenzato in maniera
significativa dalla presenza di altre sostanze
normalmente presenti nel sangue e dotate di
attività antiossidante (es. bilirubina, acido urico
ecc.). Evitare l’emolisi ed il prelievo in provette
contenenti chelanti (quali EDTA o CITRATO)
sono le uniche precauzioni richieste; è possibile,
invece, eseguire il test sia su plasma fresco o
eparinato che su siero o sangue intero.
• Il d-ROMs è un test che si presta in maniera
eccellente per l’impiego nella prevenzione e nel
monitoraggio delle condizioni correlate allo stress
ossidativo, anche in rapporto ad eventuali
interventi terapeutici; lo confermano gli oltre 80
lavori scientifici attualmente recensiti in
letteratura.
Pertanto, anche la presenza di MDA nei liquidi
biologici sarà rilevabile solo quando tutto il sistema
antiossidante endogeno del medium in cui è
avvenuto l'attacco ossidativo si è esaurito.
Sulla base di queste considerazioni, si evince che
la MDA, prodotto quasi "terminale" dell'ossidazione
di vari substrati biologici, quali gli acidi grassi
poliinsaturi di membrana, rappresenta un indicatore
piuttosto tardivo di stress ossidativo. Pertanto, uno
dei maggiori svantaggi dei test basati sulla
determinazione della MDA è relativo al fatto che
essi non sempre sono in grado di poter svelare
precocemente uno stato ossidativo alterato.
Viceversa, il d-ROMs test si basa sulla
determinazione del livello di idroperossidi, l'altra
classe di composti che può formarsi a partire dal
radicale perossido (specie chimica "chiave" della
catena di reazione che porta all'ossidazione degli
acidi grassi poliinsaturi di membrana). Al contrario
della MDA, gli idroperossidi sono composti che si
formano precocemente nella sequenza di reazioni
ossidative dei lipidi di membrana, sono
relativamente stabili e, conservando ancora una
discreta capacità ossidante, possono essere
rilevati grazie ad un adeguato sistema redox (come
quello della N,N-dietil-parafenilendiammina del dROMs test). Pertanto, rispetto ai test che valutano
la MDA, il d-ROMs test è in grado di svelare più
precocemente stati ossidativi alterati, con enormi
vantaggi sul piano clinico in termini di prevenzione
e monitoraggio terapeutico.
Inoltre, come riportato più volte in letteratura, la
MDA va incontro a molte reazioni secondarie che
riducono l'accuratezza dei risultati ottenuti; infatti, in
quanto reattivo bifunzionale (doppio gruppo
aldeidico CHO) la MDA può formare legami crociati
con proteine o nucleotidi (dando luogo alla
formazione di basi di Shiff) e può essere degradata
dal perossido di idrogeno o ossidata da perossidasi
e xantinaossidasi.
Anche come marcatore di perossidazione
lipidica la MDA si mostra scarsamente specifica;
infatti, essa è stata identificata fra i prodotti di
decomposizione ossidativa di amminoacidi, di
carboidrati e di prostaglandine, Infine, la MDA può
essere anche un prodotto di ossidazione dell'acido
ascorbico, e ciò rende inutilizzabile il suo dosaggio
ai fini di un eventuale monitoraggio terapeutico in
corso di trattamenti antiossidanti.
Viceversa, come dimostrano i numerosi studi
pubblicati sull’argomento, il d-ROMs test è stato
impiegato con successo nel monitoraggio
terapeutico sia in corso di trattamenti antiossidanti
che in corso di trattamenti farmacologici specifici.
4. 2 Altri test
4. 2. 1 Premessa
Di fronte all’ipotesi di una valutazione globale
dello stress ossidativo e/o di una valutazione
comparativa fra test, è bene ricordare che test di
laboratorio
abitualmente
impiegati
per
la
valutazione dello stress ossidativo ne misurano o
la componente pro-ossidante, come il d-ROMs test,
o la componente antiossidante, come l’ OXYAdsorbent test, il BAP e l’–SHp test (tabella 3. 1).
Sulla base di queste considerazioni, il d-ROMs
test può essere confrontato con i test che
esplorano la componente pro-ossidante dello
stress ossidativo, mentre non ha alcun senso
confrontare il d-ROMs test con il cosiddetto TAS
(Total Antioxidant Status) o il BAP (vedi oltre).
4. 2. 2 MDA test
La MDA (malonilaldeide o malonildialdeide,
CHO-CH2-CHO) rappresenta uno dei prodotti finali
della catena di reazioni innescata nelle membrane
cellulari dall'attacco ossidativo, da parte di alcuni
radicali liberi dell'ossigeno (quali il radicale
idrossile), degli acidi grassi poliinsaturi (quali l'acido
arachidonico, costituente appunto dei fosfolipidi di
membrana).
Questa catena di reazioni, nel caso specifico
dell'acido arachidonico, ha come specie chimica
"chiave" dell'intero processo il radicale perossido.
Quest'ultimo, infatti, è posto al "bivio" di due
possibili metabolici, in quanto può essere
convertito in idroperossido (mediante acquisizione
di un H) oppure "imboccare" la via dei perossidi
ciclici che, in seguito ad ulteriori attacchi ossidativi,
porta ad una serie di prodotti terminali, tra i quali la
MDA (vedi figura 2. 4). Questi ulteriori "attacchi
ossidativi" e, quindi, la formazione di MDA, si
realizzano grazie al superamento delle "difese"
antiossidanti del medium nel quale avviene il
processo ossidativo stesso.
4. 2. 3 Determinazione dei lipoperossidi
Per
quanto
riguarda
i
test
di
lipoperossidazione, esistono in commercio vari test
etichettati come "Lipid hydroperoxide assay kit".
Tali test presentano una serie di svantaggi, in
quanto prevedono spesso una fase di
38
Capitolo 4. I test di laboratorio per la valutazione dello status ossidante
deproteinizzazione e di estrazione; inoltre,
richiedono tempi lunghi (circa 30 minuti in tutto) e
forniscono un'informazione molto limitata, in quanto
gli idroperossidi lipidici costituiscono solo una
classe degli idroperossidi totali.
Viceversa, il d-ROMs test, non prevede alcun
pretrattamento del campione biologico (se non la
centrifugazione se si parte da sangue intero), è
rapido (in cinetica, richiede non più di 3 minuti) e,
soprattutto, fornisce un'indicazione globale sullo
stato ossidante del sistema biologico testato, in
quanto consente di dosare tutti gli idroperossidi
(anche quelli derivati dal processo di ossidazione di
altri substrati, non solo lipidici, quali ad esempio
amminoacidi, peptidi, ecc.).
essere effettuata anche su sangue intero ma
fornisce risultati più affidabili se si procede
preventivamente alla separazione, mediante Fycoll
o Percoll, dei leucociti polimorfonucleati dalle
rimanenti componenti ematiche (questa fase
ulteriore non è richiesta dal d-ROMs test; d)
risultati attendibili si ottengono solo dopo
stimolazioni specifiche (esteri del forbolo,
polisaccaridi batterici) ma questo allunga i tempi di
analisi (valutati intorno ai 90 minuti, per una
risposta ottimale) (al contrario il d-ROMs test, come
anticipato, è molto più rapido); e) risultati più o
meno ampiamente variabili anche nell'ambito di
determinazioni effettuate nello stesso soggetto;
infatti, la CL è sostanzialmente un test di
funzionalità leucocitaria, che risente delle mutevoli
condizioni del soggetto nel quale viene effettuata;
la variabilità si accentua nella popolazione
generale, per cui ogni laboratorio è tenuto a
standardizzare le risposte individuali, valutando di
volta in volta, in ciascun individuo, la produzione
basale di radicali liberi e quella secondaria a stimoli
specifici (di questi problemi il d-ROMs test non
risente, essendo stato documentato per esso
l'intervallo di riferimento nella popolazione normale,
con enorme vantaggi sul piano clinico-diagnostico);
f) infine, possibilità di evidenziare solo una
componente dello stato ossidante di un individuo,
cioè la sola produzione di radicali liberi da parte dei
leucociti polimorfonucleati (il d-ROMs test, invece,
fornisce un'indicazione sullo stato ossidante
generale dell'organismo, in quanto consente il
dosaggio degli idroperossidi, che derivano da
diversi substrati, non solo lipidici, prodotti da
qualsiasi cellula che entra a contatto con il torrente
circolatorio).
Va segnalato, comunque, che esiste una
buona
correlazione
fra
risultati
della
chemiluminescenza e d-ROMs test, come
evidenziano i risultati preliminari di uno studio
condotto su broncopneumopatici.
4. 2. 4 Dosaggio degli isoprostani
Il dosaggio dell’8-isoprostano a livello
plasmatico viene generalmente effettuato mediante
metodica immunoenzimatica. Due gli svantaggi
segnalati: la possibile cross-reattività in fase
analitica e l’informazione limitata a condizioni di
stress ossidativo su base disrfeattiva.
Ad ogni modo occorre segnalare che in un
recente studio comparativo, l’analisi di regressione
ha mostrato una correlazione diretta fra la
concentrazione plasmatica di 8-isoprostano e i
valori del d-ROMs (r=0.68; p<0.05).
4. 2. 5 Chemiluminescenza
La chemiluminescenza (CL) è, per definizione,
un metodo molto sensibile.
Nella valutazione dello stress ossidativo,
tuttavia, essa presenta una serie di limiti che
possono essere così riassunti: a) necessità di una
strumentazione non disponibile in tutti i laboratori
(al contrario, il d-ROMs test, richiede un semplice
fotometro con filtri nel visibile); b) possibilità di
essere eseguita solo su sangue fresco e, quindi,
necessita di ulteriore prelievo in caso di necessità
di ripetere l'analisi (invece il d-ROMs può essere
eseguito sul siero opportunamente conservato
senza necessità di ulteriori prelievi); c) necessità di
una fase di pretrattamento del campione; la CL può
39
Capitolo 5. I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
Capitolo 5
I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
In ogni caso, nell’OXY-Adsorbent test la scelta
del reattivo è caduta sull’acido ipocloroso perché
questo è un antiossidante non solo potente ma
anche “fisiologico” e, pertanto, meglio in grado di
mimare situazioni che si verificano in vivo.
Nell’OXY-Adsorbent, in pratica, un campione di
plasma viene sottoposto, per un prederminato
intervallo di tempo (10 minuti primi), all’azione
ossidante massiva di una soluzione di acido
ipocloroso a titolo noto, in evidente eccesso
rispetto alla “capacità antiossidante” del campione
da testare.
L’acido ipocloroso, verosimilmente attraverso
intermedi radicalici, ossiderà, compatibilmente con
il suo potenziale di ossidazione, tutti i gruppi
chimici disponibili delle molecole componenti la
barriera antiossidante plasmatica.
Al termine dell’intervallo previsto per
l’ossidazione massiva, resterà nella soluzione
iniziale un’aliquota di acido ipocloroso, in forma
radicalica,
non
“adsorbito”
dalla
barriera
plasmatica, ormai completamente ossidata.
Se, a questo punto, si aggiunge al sistema un
cromogeno
(quale
la
N,N-dietilparafenilendiammina), in grado di reagire
ossidandosi a spese dei radicali dell’acido ancora
presenti in soluzione, questi ultimi potranno essere
dosati fotometricamente, per differenza (rispetto ad
un opportuno “standard” costituito dal solo acido
ipocloroso).
La concentrazione del complesso colorato sarà
direttamente proporzionale alla concentrazione di
HClO rimasta in eccesso e indirettamente
proporzionale alla capacità antiossidante del
plasma analizzato.
In altri termini, tanto più elevata sarà la
concentrazione di HClO rimasto in eccesso, tanto
più alta sarà la concentrazione del complesso
colorato e, quindi, tanto più bassa sarà la capacità
antiossidante del plasma (o di altro campione
biologico) in esame.
5. 1 L’ OXY-Adsorbent test
5. 1. 1 Principio
5. 1. 1. 1 Presupposti scientifici
Numerose sostanze presenti nel plasma sono
in grado di “tamponare” la potenziale capacità
ossidante delle specie reattive dell’ossigeno.
Virtualmente, ogni agente, sia esso “endogeno”
(es. GSH, proteine, bilirubina, acido urico,
colesterolo, ecc.) o “esogeno” (es. carotenoidi,
ascorbato, vitamina E, ecc.) in grado di “donare”
elettroni blocca la potenziale lesività di un radicale
libero, la cui reattività è proprio legata alla
particolare “carenza” di queste piccole particelle
negative.
Ovviamente, qualsiasi “insulto” a tale barriera
plasmatica può contribuire al danno ossidativo dei
tessuti (figura 5. 1).
Vaso sanguigno
Cellula
Figura 5. 1 Rappresentazione schematica della
barriera antiossidante plasmatica
L’OXY–Adsorbent test valuta la capacità del
plasma di opporsi all’azione ossidante massiva di
una soluzione di acido ipocloroso (HClO).
Quest’ultimo, come è noto, è un agente
altamente ossidante sia in vitro che in vivo.
L’azione sbiancante e, talvolta, disinfettante, delle
varechine, per esempio, è legata proprio all’azione
ossidante dell’acido ipocloroso diluito in esse
contenuto.
D’altra parte, in condizioni patologiche – ad es.
in seguito ad un’infezione batterica – i leucociti
polimorfonucleati attivati producono HClO a partire
dal perossido d’idrogeno (H2O2) e dallo ione cloruro
(Cl -), attraverso una reazione catalizzata dalla
mieloperossidasi; una volta prodotto, l’acido agisce
come ossidante naturale contro l’attacco dei
microrganismi
patogeni,
contribuendo
alla
risoluzione dell’infezione.
Il meccanismo chimico dell’azione ossidante
dell’HClO non è conosciuto nei minimi particolari,
ma è verosimile che esso preveda la generazione
di intermedi radicalici dell’alogeno e la formazione
di cloroammine (come discusso nel paragrafo 2. 2).
5. 1. 1. 2 Aspetti biochimico-clinici
Le performance dell’OXY-adsorbent test,
eseguito sia con metodica manuale, sono state
valutate mediante spettrofotometria.
I parametri analitici presi in considerazione
sono stati, soprattutto, la linearità della reazione e
l’imprecisione analitica.
Un’esempio di linearità del saggio è riportato
nella figura 5. 2.
40
Capitolo 5. I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
5. 1. 4 Procedura analitica
Prima di procedere all’esecuzione del test
bisogna
preparare
il
calibratore,
fornito
opzionalmente col kit sotto forma di siero liofilo a
matrice umana a titolo noto, indicato sull’etichetta.
A questo scopo è sufficiente aggiungere al
liofilizzato il volume di acqua distillata previsto
(secondo le indicazioni del produttore) e mescolare
la soluzione così ottenuta con delicatezza, avendo
cura di attenersi alle indicazioni di carattere
generale descritte in dettaglio nel paragrafo 4. 1. 4
a proposito del d-ROMs test.
Dopo aver portato i reagenti alla temperatura di
lavoro, si preparano tre soluzioni: il bianco
reagente, il campione ed il calibratore. Tuttavia, a
differenza degli altri test, quali il d-ROMs e il BAP,
nell’OXY-Asdsorbent test il campione e il
calibratore non possono essere usati come tali ma
solo dopo averli diluiti con acqua distillata nel
rapporto di 1:100, secondo lo schema riportato in
tabella:
Volume di campione (µL)
Figura 5. 2 Esempio di linearità della reazione
dell’OXY-Adsorbent test
Per quanto concerne l’imprecisione analitica, in
uno studio il CV intra-serie, valutato su 20 aliquote
di siero fresco, è stato pari al 2.2%, mentre il CV
interserie su 20 aliquote di siero congelato è stato
del 6.3%. In un altro trial, invece, il CV intraserie su
20 aliquote di siero fresco è stato pari a 2.5%,
quello interserie su 20 aliquote di siero congelato
6.3%.
Tabella 5. 2 Procedura analitica dell’OXY-Adsorbent test
Bianco reag.
Campione
Calibratore
1 mL
1 mL
1 mL
Reagente R 1
H2O distillata
10 µL
−
−
Campione*
10 µL
−
−
Calibratore*
10 µL
−
−
*In soluzione diluita 1:100
5. 1. 2 Composizione del kit
Il tipico kit dell’OXY-Adsorbent test contiene, di
base, una soluzione ossidante (acido ipocloroso,
reagente R1), una miscela cromogena (N,N-dietilparafenilendiammina, reagente R2) ed un
calibratore (siero di controllo a titolo noto, reagente
R3) (tabella 5. 1).
Le soluzioni così preparate vanno mescolate
delicatamente e lasciate ad incubare a temperatura
ambiente per 10 minuti.
Appena terminata l’incubazione, dopo aver
aggiunto a ciascuna di esse 10 L di reagente R2
(miscela cromogena), si passa immediatamente
alla lettura fotometrica, misurando l’assorbanza a
505 nm (A 505) o 546 nm (A546). Ai valori di
assorbanza ottenuti per il campione e per il
calibratore si sottrae, quindi, il valore di assorbanza
del bianco reagente. I risultati del test, ovvero la
capacità antiossidante del campione analizzato,
saranno espressi in
moli di HClO/mL di
campione, secondo la formula:
Tabella 5. 1 Composizione del kit dell’OXY-Adsorbent test
Reagenti*
Reagente R 1
Reagente R 2
Reagente R 3
Soluzione ossidante
Miscela cromogena
Calibratore
Confezioni disponibili
MC 434
MC 435
Reagente R 1
2 x 25 mL
4 x 25 mL
Reagente R 2
1 x 0.5 mL
1 x 1 mL
Reagente R3
1 x 1 mL
1 x 1 mL
*Conservare a 2-8°C. Tutti i reagenti restano stabili fino alla
data di scadenza riportata sulla confezione se non esposti al
contatto diretto con la luce solare.
(Abs bianco – Abs campione)
(Abs bianco – Abs standard)
L’OXY-Adsorbent test può essere eseguito sia
con un normale fotometro che con una
strumentazione dedicata, quale il sistema FREE
(vedi più avanti). In ogni caso, per calibrare
l’apparecchiatura analitica è disponibile un siero di
controllo liofilo a matrice umana a titolo noto.
x
[standard]
Dove:
• Abs sono i valori di assorbanza (del bianco, del
campione e dello standard)
• [standard ] è la concentrazione dello standard.
Normalmente, 1 mL di plasma umano è in
grado di “adsorbire” almeno 350 µmoli di HClO.
5. 1. 3 Condizioni di lavoro
L’OXY-Adsorbent può essere eseguito su
plasma o siero freschi nelle seguenti condizioni di
lavoro: lunghezza d’onda 505 o 546 nm, cammino
ottico 1 cm, e temperatura ambiente.
L’analisi può essere eseguita solo con la
modalità endpoint.
5. 1. 5 Interpretazione dei risultati
Valori inferiori a 350 µmoli di HClO indicano
una riduzione dello “spessore” della barriera
antiossidante e correlano direttamente con la
gravità del danno da questa subito. Infatti, quanto
più elevato sarà l’“eccesso” di radicali dell’HClO
rilevato fotometricamente al termine dell’intervallo
41
Capitolo 5. I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
previsto per l’ossidazione massiva, tanto più la
barriera risulterà ridotta, e viceversa (tabella 5. 2).
Status pro-ossidante ( dROMs)
Status antiossidante (OXY-A)
500
500
ns
400
400
µmoli HClO/mL
p<0,001
300
300
200
200
100
100
U CARR
Tabella 5. 2 Gravità dello stress ossidativo in rapporto
ai valori forniti dall’OXY-Adsorbent test
Grado di compromissione della
µmoli HClO/mL
barriera antiossidante
di campione
350-320
Riduzione lieve
319-280
Riduzione media
279-250
Riduzione elevata
<250
Riduzione elevatissima
Range normale: >350 µmoli HClO/mL di campione
0
Controlli
(n=42)
Forti bevitori
(n=45)
Controlli
(n=42)
Forti bevitori
(n=45)
0
Figura 5. 4 Status pro- e anti-ossidante negli etilisti
5. 1. 6 Studi clinici
Tra i due gruppi di soggetti, però, non è
rilevabile
alcuna
differenza
statisticamente
significativa riguardo ai valori dell’OXY-Adsorbent
test. Questi risultati suggeriscono che nei forti
bevitori segni del danno ossidativo possono
coesistere con una barriera antiossidante
praticamente normale e che, quindi, lo stress
ossidativo, in questi casi, è dovuto ad un’eccessiva
produzione di specie radicaliche e non ad una
riduzione della barriera antiossidante.
Analoghi risultati sono stati osservati in uno
studio preliminare su pazienti obesi; questi
soggetti, infatti, hanno mostrato, rispetto ai
controlli, valori più elevati del d-ROMs test, senza
alcuna differenza significativa riguardo ai valori
dell’OXY-Adsorbent test (figura 5. 5).
Status proossidante (d-ROMs)
500
Status antiossidante (OXY-A)
500
p<0,05
p<0,05
400
µmoli HClO/mL
400
300
200
200
100
100
0
Controlli
(n=20)
Down
(n=40
Controlli
(n=20)
Down
(n=40
Status proossidante (dROMs)
500
Status antiossidante (OXY-A)
BMI<23: n=12; 54 ±6 yr
BMI>31: n=12; 55 ±7 yr
p<0,0001
400
BMI<23: n=12; 54 ±6 yr
BMI>31: n=12; 55 ±7 yr
p<0,075
0
Figura 5. 3 Status pro- e anti-ossidante nei Down
400
300
200
200
100
100
0
E’ probabile, pertanto, che lo stato di stress
ossidativo rilevato nei DOWN sia da ricondurre ad
una ridotta efficienza della barriera antiossidante
(bassi valori di OXY-Adsorbent test) che non riesce
a “smaltire” l’eccesso di specie reattive (elevati
valori di d-ROMs test).
Risultati analoghi sono stati osservati in
pazienti mielodisplastici, rispetto ai controlli.
Si è visto, invece, che, rispetto a coloro che
non assumono bevande alcoliche, i forti bevitori
(senza
grave
epatopatia)
hanno
valori
significativamente più elevati del d-ROMs test
(figura 5. 4).
500
300
U CARR
U CARR
300
µmoli HClO/mL
L’OXY-Adsorbent test si è dimostrato molto
affidabile nella valutazione della capacità
antiossidante totale del plasma in diversi studi
clinici, integrando i risultati del d-ROMs test nella
valutazione globale dello stress ossidativo. Esso va
sempre eseguito nei casi in cui i valori di d-ROMs
test risultano particolarmente elevati.
In particolare, si è visto che pazienti DOWN
esprimono,
rispetto
ai
controlli,
valori
significativamente più elevati del d-ROMs test e più
bassi dell’OXY-Adsorbent test (p<0.05) (figura 5.
3).
0
BMI<23
BMI>30
BMI<23
BMI>30
Figura 5. 5 Status pro- e anti-ossidante negli obesi
I risultati di questi studi indicano che l’OXYAdsorbent test fornisce informazioni utilissime nella
valutazione dello stress ossidativo, fermo restando
che non necessariamente a valori elevati del dROMs test corrispondano necessariamente più
bassi valori dell’OXY-Adsorbent test.
In altri termini, accanto alla classica situazione
in cui l’aumento di specie reattive è secondario ad
una ridotta efficienza della barriera plasmatica, non
sono da escludere casi in cui l’aumentata
produzione di radicali liberi sia l’evento primario.
Negli esempi considerati, quindi, i Down
avrebbero primitivamente una ridotta barriera
antiossidante e, quindi, un aumento dei ROM
circolanti. Negli obesi, invece, l’aumentata attività
metabolica comporterebbe un aumento della
produzione di specie reattive, ma la pletora
plasmatica di metaboliti intermedi potrebbe dare
42
Capitolo 5. I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
ragione di una barriera antiossidante praticamente
normale o addirittura superiore alla norma.
A conclusione di questa breve panoramica
sulle applicazioni cliniche, occorre sottolineare che
l’OXY-Adsorbent test, con opportuni accorgimenti
tecnici, può essere eseguito anche su preparati o
estratti vegetali in fase acquosa (es. succhi di
frutta, succo di pomodoro, vini, ecc.). Esso,
pertanto, è utilissimo per valutare l’attività
antiossidante di un prodotto in soluzione acquosa
che vanti, sulla carta, proprietà anti-radicali liberi.
Nel BAP test il “cromogeno” impiegato è il
tiocianato, una sostanza in grado di legarsi agli ioni
ferrici formando un complesso colorato che
assorbe a 505 nm. Nel momento in cui tali ioni
ferrici sono ridotti a ioni ferrosi il suddetto
complesso si decolora. Dopo una breve
incubazione a 37°C, l’entità della decolorazione –
misurata in termini di A505 rispetto ad uno standard
a titolo noto, un siero di controllo, aggiustando lo
zero con acqua distillata – sarà direttamente
proporzionale alla concentrazione degli ioni ferrosi,
ovvero alla capacità ferrico-riducente degli
antiossidanti presenti nel campione, che può
essere assunta, in definitiva, come una misura del
“potere antiossidante” del plasma testato.
5. 2 Il BAP test
5. 2. 1 Presupposti scientifici e principio
L’insieme delle sostanze presenti nel plasma
contribuisce, come si è detto a proposito dell’OXYAdsorbent test, alla costituzione della cosiddetta
barriera antiossidante plasmatica. Il potere
(antiossidante) di quest’ultima può essere valutato
saggiandone, non solo la capacità di opporsi
all’ossidazione da parte di un predeterminato
agente ossidante (l’acido ipocloroso, nell’OXYAdsorbent test), ma anche, più semplicemente, di
ridurre un derminato substrato, ossidante,
adeguatamente prescelto sulla base del suo
potenziale redox.
In ultima analisi, infatti, la cosiddetta attività
antiossidante altro non è, in termini rigorosamente
chimici,
che
un’attività
riducente,
cioè
idrogeno/elettron-donatrice.
Se la riduzione del substrato ossidante
(“sensore”) viene fatta avvenire in presenza di un
agente (“cromogeno”) – in grado di modificare le
sue caratteristiche cromatiche (es. cambiando
colore o decolorandosi) – nel momento in cui tutto
il sistema è completo, mettendo a contatto
un’aliquota di plasma con il substrato ossidante e il
cromogeno, sarà anche possibile, per via
fotometrica, con opportuni filtri, “leggere” il segnale
indotto dall’avvenuta riduzione e, in definitiva,
quantificare l’attività antiossidante presente nel
campione di plasma analizzato in termini di attività
riducente (rispetto a quel determinato substrato
utilizzato come ossidante-sensore).
Nel BAP (Biological Antioxidant Potential)
l’agente ossidante – utilizzato come “sensore” – è il
cloruro ferrico (FeCl 3) e, quindi, il “potere”
antiossidante, ovvero riducente, del plasma, viene
valutato misurando la capacità del campione in
esame di ridurre il ferro di una soluzione di cloruro
ferrico da ione ferrico (Fe3+) a ione ferroso (Fe2+).
I risultati del test sono espressi come µmoli di
ferro ridotto per L di campione.
Le variazioni di assorbanza sono lineari in un
ampio range di concentrazione, come documentato
da prove eseguite non solo su plasma, ma anche
su soluzioni contenenti uno o più antiossidanti in
forma pura (es. trolox, α−tocoferolo, ascorbato,
acido urico ecc.). Inoltre, non è stata segnalata
alcuna interazione apparente fra antiossidanti.
5. 2. 2 Composizione del kit
Il tipico kit del BAP test contiene, di base, una
soluzione di tiocianato (reagente R1), una soluzione
di cloruro ferrico, FeCl3 (reagente R2) ed un
calibratore (siero umano liofilizzato) (tabella 5. 3).
Tabella 5. 3 Composizione del kit del BAP test
Reagenti*
Reagente R 1
Reagente R 2
Calibratore
Soluzione di tiocianato
Soluzione di cloruro ferrico (FeCl 3)
Siero umano liofilizzato a titolo noto
Confezioni disponibili
MC 436
MC 437
Reagente R 1
1 x 50 mL
2 x 50 mL
Reagente R 2
1 x 2.5 mL
1 x 5.0 mL
Calibratore
1 x 2 mL
1 x 2 mL
*Conservare a 2-8°C. Tutti i reagenti restano stabili fino alla
data di scadenza riportata sulla confezione se non esposti al
contatto diretto con la luce solare.
Il BAP test può essere eseguito sia con un
normale fotometro che con una strumentazione
dedicata, quale il sistema FREE (e, a breve, il
sistema FRAS).
In ogni caso, per calibrare l’apparecchiatura
analitica è disponibile, nella confezione, un siero di
controllo liofilo a matrice umana.
5. 2. 3 Condizioni di lavoro
Il BAP test può essere eseguito su siero o
plasma fresco eparinizzato nelle seguenti
condizioni di lavoro: lunghezza d’onda 505 nm,
cammino ottico 1 cm, temperatura 37°C.
L’analisi è eseguita con la modalità
differenziale.
5. 2. 4 Procedura analitica
Prima di procedere all’esecuzione del test
bisogna preparare il calibratore, fornito nel kit sotto
forma di siero liofilo a matrice umana a titolo noto,
indicato sull’etichetta.
A questo scopo è sufficiente aggiungere 2 mL
di acqua distillata al liofilizzato e mescolare la
soluzione così ottenuta con delicatezza, avendo
cura di attenersi alle indicazioni di carattere
43
Capitolo 5. I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
generale descritte in dettaglio nel paragrafo 4. 1. 4
a proposito del d-ROMs test.
Dopo aver portato i reagenti alla temperatura di
lavoro, si preparano tre soluzioni: il bianco
reagente, il campione ed il calibratore, secondo la
procedura indicata nella seguente tabella:
I tioli rappresentano una componente
qualitativamente
significativa
della
barriera
antiossidante plasmatica (figura 5. 6).
Tabella 5. 4 Procedura analitica del BAP test
Bianco reag.
Campione
Calibratore
1 mL
1 mL
1 mL
Reagente R 1
Reagente R 2
50 µL
50 µL
50 µL
H2O distillata
10 µL
−
−
Campione
10 µL
−
−
Calibratore
10 µL
−
−
-SH
Figura 5. 6 Rappresentazione schematica della barriera
antiossidante plasmatica
Le soluzioni così preparate vanno mescolate
delicatamente e lasciate ad incubare a 37°C per 5
minuti. Terminata l’incubazione, esse vanno
sottoposte a lettura fotometrica, misurando
l’assorbanza a 505 nm, dopo aver azzerato con
acqua distillata.
L’attività antiossidante ferro-riducente del
plasma viene espressa come µmoli di ferro ferrico
ridotto per L di campione, secondo la formula:
[Abs bianco reagente •Abs campione]
[Abs bianco reagente •Abs calibratore]
x
Infatti, i gruppi sulfidrilici delle molecole dei
componenti plasmatici (quali, ad esempio, le
proteine, P-SH) possono opporsi alla fase di
propagazione dei processi perossidativi inattivando
i radicali sia alcossilici (RO*) che idrossilici (HO*),
rispettivamente, secondo le reazioni:
2 P-SH + 2 RO* à 2 PS* + 2 ROH à P-S-S-P + 2 ROH
[calibratore]
2 P-SH + 2 HO* à 2 PS* + 2 H 2O à P-S-S-P + 2 H 2O
dove:
- ABS è l’assorbanza misurata a 505 nm
- [calibratore] è la concentrazione del calibratore
espressa in µmoli/L.
In pratica, considerando l’evento dal punto di
vista stechiometrico, una coppia di gruppi tiolici può
ossidare una coppia di radicali alcossililici (RO*) o
idrossilici (*OH), cedendo ad essa due elettroni
(sotto forma di due atomi di idrogeno). In questo
modo ambedue i tipi di radicali vengono inattivati: i
radicali alcossilici sono rilasciati come molecole di
alcool mentre i radicali idrossilici diventano innocue
molecole d’acqua. I gruppi tiolici ormai ossidati,
invece, reagiscono tra loro, generando ponti
disolfuro.
Va ricordato, in tale contesto, che i gruppi
sulfidrilici ossidandosi contrastano l’attacco di
alcuni radicali liberi istolesivi, ma, quando si
formano nel contesto di molecole proteiche,
possono avere conseguenze indesiderate. Per
esempio la formazione di un ponte disolfuro fra i
residui di cisteina di due diverse proteine può
portare ad una sorta di “polimerizzazione”. Se il
ponte disolfuro, invece, si crea nell’ambito della
stessa catena, la proteina può modificare
stabilmente la sua conformazione. In ambedue i
casi è possibile che le proteine coinvolte nella
formazione
di
legami
–S–S–
subiscano
un’alterazione delle proprie capacità funzionali.
5. 2. 5 Interpretazione dei risultati
Il range stimato del BAP test negli individui
normali è 2200–4000 µmoli/L. E’ buona prassi,
comunque, che ogni laboratorio determini
l’ampiezza di oscillazione della variabilità biologica
eseguendo un congruo numero di test su soggetti
normali. In ogni caso, una riduzione dei valori del
test al di sotto dell’intervallo indicato appare
direttamente correlata con una ridotta efficienza
della barriera antiossidante plasmatica.
Valori di Riferimento
espressi in µmol/L di sostanze antiossidanti come la Vitamina C
> 2200
VALORE OTTIMALE
2200 - 2000
VALORE DI ATTENZIONE O BORDER LINE
2000−1800
STATO DI DISCRETA CARENZA
1800-1600
STATO DI CARENZA
1600-1400
STATO DI FORTE CARENZA
< 1400
STATO DI FORTISSIMA CARENZA
Altri gruppi chimici
5. 3 -SHp test
5. 3. 1 Principio
44
Capitolo 5. I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
L’ –SHp test si basa sulla capacità dei gruppi
–SH di sviluppare un complesso colorato
determinabile fotometricamente (picco di massima
assorbanza, 405 nm) quando reagiscono con
l’acido 5,5-ditiobis-2-nitrobenzoico (DTNB). Il
“titolo” di tioli è direttamente proporzionale
all’intensità del colore rilevato strumentalmente.
Il test ha mostrato un grado accettabile di
imprecisione analitica. Infatti, il CV intraserie su 20
aliquote di siero fresco è stato pari a 1.7%, quello
interserie su 20 aliquote di siero congelato 3.3%.
soluzione è stabile per 2-3 hr e 2-3 giorni, a
temperatura ambiente o +4°C, rispettivamente. A
questo punto avendo pronti lo standard di siero e il
calibratore “chimico”,
si preparano cinque
soluzioni, seguendo lo schema riportato nella
seguente tabella:
Tabella 5. 6 Procedura analitica dell’ –SHp test
Bianco
Bianco
Bianco
Campione
reagente
standard campione
R1
R2
Acqua
Standard
Campione
5. 3. 2 Composizione del kit
Un tipico kit di –SHp test contiene, di base, una
soluzione tampone (reagente R1), una miscela
cromogena (DTNB, reagente R2) e un calibratore
(L-cisteina in polvere predosata, reagente R3)
(tabella 5. 5).
1 mL
20 µL
50 µL
–
–
1 mL
–
20 µL
50 µL
–
1 mL
–
20 µL
–
50 µL
Standard
1 mL
20 µL
–
–
50 µL
1 mL
20 µL
–
50 µL
–
Le soluzioni così preparate vanno mescolate
delicatamente e lasciate ad incubare a temperatura
ambiente per 3-4 minuti. Terminata l’incubazione,
esse vanno sottoposte a lettura fotometrica,
misurando l’assorbanza a 405 nm.
I risultati del test, ovvero la capacità
antiossidante o titolo tiolico del campione
analizzato, saranno espressi in moli di –SH/L di
campione, secondo la formula:
Tabella 5. 5 Composizione del kit dell’ –SHp test kit
Reagenti*
Reagente R 1
Soluzione tampone (pH 7.6)
Reagente R 2
Miscela cromogena**
Reagente R 3
L-cisteina***
Confezioni disponibili
MC
MC
Reagente R 1
1 x 50 mL
4 x 50 mL
Reagente R 2
1 x 1 mL
1 x 4 mL
Reagente R 3
1 x 1 mL
1 x 1 mL
*Conservare a 2-8°C. Tutti i reagenti restano stabili fino alla
data di scadenza riportata sulla confezione se non esposti al
contatto diretto con la luce solare.**DTNB. ***Polvere
predosata per la preparazione dello standard.
[Abs campione-(bianco campione + Abs bianco reagente)]
[Abs standard-(Abs bianco standard + Abs bianco reagente)]
x
496
dove: Abs sono i valori di assorbanza a 405 nm
osservate per le soluzioni analizzate.
5. 3. 5 Interpretazione dei risultati
Il range negli individui normali è 450–650
µmoli/L. Una riduzione dei valori del test al di sotto
di questo intervallo si correla direttamente con una
ridotta efficienza della barriera antiossidante tiolica.
L’analisi può essere effettuata sia con una
strumentazione dedicata, quale il sistema FREE,
sia con un normale fotometro.
5. 3. 3 Condizioni di lavoro
5. 3. 6 Studi clinici
L’ –SHp test va eseguito su siero o plasma
freschi nelle seguenti condizioni di lavoro:
lunghezza d’onda 405 nm, cammino ottico 1 cm,
temperatura ambiente. Si può eseguire l’analisi
solo con la modalità end point.
Il titolo dei tioli, determinato mediante l’–SHp
test, è risultato più basso rispetto ai controlli nella
sindrome di Down (figura 5. 7), ove, come si è visto
in precedenza, anche l’OXY-Adsorbent fornisce
valori inferiori alla norma, contro il palese
incremento del d-ROMs test.
5. 3. 4 Procedura analitica
Prima di procedere all’esecuzione del test
bisogna preparare anzitutto lo standard, fornito
opzionalmente col kit sotto forma di siero liofilo a
matrice umana a titolo noto, indicato sull’etichetta.
A questo scopo è sufficiente aggiungere al
liofilizzato il volume di acqua distillata previsto
(indicato dal produttore) e mescolare la soluzione
così ottenuta con delicatezza, avendo cura di
attenersi alle indicazioni di carattere generale
descritte in dettaglio nel paragrafo 4. 1. 4 a
proposito del d-ROMs test.
Dopo aver portato i reagenti alla temperatura di
lavoro, si prepara, quindi, la soluzione del
calibratore per i gruppi tiolici (L-cisteina). In pratica
si scioglie la L-cisteina in polvere (R3) in 25 mL di
acqua distillata e si prepara da essa, per diluizione,
una soluzione 496 mM di gruppi tiolici. Tale
d-ROMs test
OXY-ADS test
800
700
600
-SHp test
800
800
700
700
600
600
p<0,05
p<0,05
400
300
200
100
500
µmoli/L
500
µmoli HClO /mL
U CARR
500
p<0,05
400
300
200
200
100
0
100
0
Controlli
(n=20)
Down
(n=40)
Status proossidante
400
300
0
Controlli
(n=20)
Down
(n=40)
Controlli
(n=20)
Down
(n=40)
Status antiossidante
Figura 5. 7 La valutazione globale dello stress ossidativo
nella sindrome di Down
Una situazione analoga la si è riscontrata nelle
sindromi mielodisplastiche (figura 5. 8).
45
Capitolo 5. I test di laboratorio per la valutazione dello status antiossidante
OXY-ADS test
-SHp test
800
800
800
700
700
700
600
600
600
500
500
400
300
200
100
ns
400
300
200
200
100
0
Controlli
(n=8)
MDS
(n=8)
Status proossidante
400
300
100
0
ns
500
µmoli /L
p<0,01
µmoli HClO /mL
U CARR
d-ROMs test
L’–SHp test trova particolare indicazione
quando vi è ragionevole sospetto di una situazione
di stress ossidativo ed i valori del d-ROMs test
risultano bassi. Una situazione del genere può
riscontrarsi, per esempio, in soggetti con neoplasie
solide. In queste condizioni, il viraggio del
metabolismo cellulare in senso anaerobio, genera
la produzione, nell’intorno della massa tumorale, di
cataboliti acidi. Questi ultimi, riducendo localmente
il pH possono favorire il rilascio di ferro che
catalizza la formazione del radicale alcossile dagli
idroperossidi circolanti. I gruppi tiolici, a questo
punto, possono reagire con i radicali alcossilici
prodotti riducendo, di fatto, il livello di idroperossidi
circolanti. In questa condizione il d-ROMs test darà
valori bassi non perché non vengano prodotti
idroperossidi, ma perché essi vengono neutralizzati
dai gruppi sulfidrilici. Solo il riscontro di una
riduzione concomitante dei gruppi tiolici consentirà
di interpretare questo singolare quadro di
laboratorio.
0
Controlli
(n=8)
MDS
(n=8)
Controlli
(n=8)
MDS
(n=8)
Status antiossidante
Figura 5. 8 La valutazione globale dello stress ossidativo
nelle sindromi mielodisplastiche (MDS)
In generale, l’–SHp test si è dimostrato molto
affidabile nella valutazione della componente tiolica
della barriera antiossidante plasmatica in diversi
studi clinici, integrando egregiamente i risultati
dell’OXY-Adsorbent test e del d-ROMs test nella
valutazione globale dello stress ossidativo.
46
Capitolo 6. La strumentazione dedicata nella valutazione dello stress ossidativo
Capitolo 6
La strumentazione dedicata nella valutazione dello stress ossidativo
Le dimensioni abbastanza contenute e la
funzionalità del design rendono il FREE uno
strumento facilmente collocabile in qualsiasi
contesto, dal laboratorio alla farmacia, dallo studio
medico all’ospedale, dal centro benessere alla
clinica.
Il fotometro, alimentato da lampada alogena e
con fotorivelatore allo stato solido, è predisposto
per 8 filtri, 6 dei quali disponibili di default (340,
405, 505, 546, 578 e 630 nm) e due opzionali, in
grado di coprire il campo spettrale compreso fra
320 e 680 nm. Il sistema di termostatazione, del
tipo Peltier, copre l’intero intervallo fra 20 e 45 °C
(con una sensibilità di 0.1 °C e un tempo di
stabilizzazione, da 25 a 37°C, di circa 7 min).
Il vano di termostatazione, a secco, consente
di alloggiare 9 cuvette a base quadrata o cilindrica.
Tutte le funzioni del FREE sono controllate da
un microprocessore con memoria FLASH
(aggiornabile attraverso porta seriale) che
consente di memorizzare fino a 150 programmi. E’
così possibile fissare per ciascuna metodica,
attraverso una tastiera alfanumerica a membrana,
la lunghezza d’onda, la temperatura, la durata
dell’incubazione, il tipo di reazione, l’eventuale K
factor, l’unità di misura, e i valori di normalità.
L’ouput è affidato ad un display a cristalli liquidi,
per le operazioni di programmazione, e ad una
stampante termica, per la stampa dei risultati, delle
curve di calibrazione e delle cinetiche. Una porta
seriale collegabile ad un PC consente non solo
l’aggiornamento
del
software
ma
anche
l’esportazione dei dati.
l sistema FREE viene fornito come tale e, su
richiesta
del
cliente,
insieme
con
una
minicentrifuga (6000 r.p.m.), per la separazione del
siero/plasma, dotata di 6 posizioni, nelle quali
possono essere inserite anche le cuvette destinate
alla lettura fotometrica.
Sono disponibili, inoltre, degli accessori (es.
micropipette), del materiale monouso (es. puntali,
provette), degli standard (es. sieri di controllo) e dei
kit dedicati.
A quest’utimo proposito, il FREE, anzitutto, è
predisposto per l’esecuzione dell’intero pannello di
test per la valutazione globale dello stress
ossidativo, ossia il d-ROMs test, l’OXY-adsorbent
test, il BAP test e l’ –SHp test. La sigla FREE,
infatti, sta per Free Radical Elective Evaluator,
ossia valutatore elettivo di radicali liberi. In tal
senso, il FREE è un apparecchio “dedicato”. Esso,
tuttavia, consente di effettuare, mediante apposita
programmazione, anche la maggior parte dei test
laboratoristici di routine e, pertanto, costituisce un
sistema “aperto” (tabella 6. 2).
6. 1 Il sistema FREE
Il FREE è un sistema analitico integrato che
consente di eseguire, grazie alle sue particolari
specifiche tecniche, qualsiasi tipo di analisi chimica
basata sul principio della fotometria (nell’ambito
dell’ampio campo spettrale per il quale è
predisposto) (tabella 6. 1).
Tabella 6. 1 Caratteristiche tecniche del sistema FREE
Caratteristiche generali
Dimensioni
Peso
Alimentazione
Consumo
Fusibile linea
30 x 30 x 36 (h) cm
8 kg
115 – 230 VAC 50-60Hz
83 VA
T 1AL
Sistema fotometrico
Sorgente luminosa
Campo spettrale
Filtri di corredo
Filtri opzionali
Vano lettura
Cammino ottico
Sistema di termostatazione
Sensibilità termostatazione
Stabilizzaz. termostatazione
Fotorivelatore
Campo di misura
Linearità fotometrica
Risoluzione
Accuratezza fotometrica
Ripetibilità
Deriva
Tempo di misura
Azzeramento
(1)
Lampada alogena a lunga durata
320 – 680 nm
(2)
340, 405, 505, 546, 578, 630
2 posizioni per altrettanti filtri opzionali
1 cuvetta (volume minimo 400 µL)
1 cm
A secco, Peltier riscaldante-raffreddante
0.1 °C
Da 25 a 37 °C in 7 min
Rivelatore ottico allo stato solido
Da -200 a +2500 OD
Da –0.3000 a 2.9999 O. D. (>1%)
0.0001 O. D.
±2% a 700 O. D.
± 1 digit
Inferiore a 0.005 in O. D. per ora
0.3 secondi
Automatico
Blocco termostatico
A 9 posti
(3)
Programmazione ed elaborazione dati
Tastiera
Software
Programmi memorizzabili
Metodiche programmabili
Tipi di fitting
Interfaccia
Display
Stampante
Presentazione risultati
Altri dispositivi
(4)
17 tasti funzionali e 1 tasto per il timer
(5)
Residente su memoria FLASH
Fino a 150
(6)
Cinetica, end point, fixed time
Lineare, punto a punto, cubico
RS 232 a 9 poli per collegamento al PC
(7)
Alfanumerico a cristalli liquidi
(8)
Grafica, termica, con 192 punti / riga
Dati gezzi, calibrazione, cinetiche
Autodiagnosi, allarmi per patologie
Condizioni operative
Temperatura
15-32°C (in funzione) – 0-50°C (spento)
Umidità relativa
20-80 % (in funzione) – 0-90% (spento)
Altitudine
< 2000 m (in funzione)
(9)
Sicurezza
DIRETTIVA 73/23/CEE
Compatibilità elettromagnetica DIRETTIVA 89/336/CEE
(1)
Da 20 W
(2)
Con 8 nm di banda passante
(3)
Per cuvette quadrate e cilindriche
(4)
12 per inserim. dati alfanum., 2 per comandi stampa, 3 per gest. fotom.
(5)
Aggiornabile mediante porta seriale
(6)
Con Fattore K
(7)
4 righe da 20 caratteri
(8)
Stampa automatica dei risultati
(9)
NORME: CEI-EN 61010-1, CLASSE I; CATEGOR. INSTALLAZIONE II
Il FREE è un sistema “aperto” che riunisce in
una sola unità analitica un fotometro ed un un vano
di termostatazione a secco, ambedue gestiti da un
sistema computerizzato in grado di ricevere,
elaborare ed esportare dati.
47
Capitolo 6. La strumentazione dedicata nella valutazione dello stress ossidativo
opzionalmente, grazie ad una porta seriale
(RS232), l’archiviazione dei dati in un normale PC.
FRAS 3, infine, dispone di un sistema di
sicurezza, che blocca la centrifuga al momento
dell’apertura dello sportello, e può essere collegato
a qualsiasi tipo di alimentazione di rete (tabella 6.
3).
Tabella 6. 2 Test eseguibili con il sistema FREE
Scopo
Matrice
Esempi
Valutare stress
ossidativo
Plasma
o siero
Sangue intero
Chimica clinica
di routine
Plasma o siero
Urina
Liquido seminale
d-ROMs test, OXY-adsorbent test
BAP test, −SHp test
Ematrocrito, emoglobina
Acido urico, albumina, α−amilasi,
bilirubina (diretta e totale), calcio,
creatina chinasi, cloruri,
colesterolo (totale, libero,
HDL), creatinina, ferro, fosfatasi
alcalina, fosforo inorganico,
fruttosammina, γ−GT, glucosio,
GPT(AST), GPT (ALT), lipasi,
magnesio, potassio, proteine
totali, trigliceridi, urea
Acido citrico, indolo, proteine
Acido citrico
Tabella 6. 3 Caratteristiche tecniche del FRAS 3
Caratteristiche generali
Dimensioni
Peso
Alimentazione
Consumo
39 x 26 x 12 cm
Circa 3,9 kg
85 ÷ 265 VAC, 50 ÷ 60 Hz
50 W
Sistema fotometrico
Lampada
Campo spettrale
Principio di misura
Vano lettura
Ideale per approfondire le problematiche
diagnostiche dello stress ossidativo, il FREE è un
sistema progettato specificamente per i ricercatori
e per gli operatori dei laboratori di analisi. Tuttavia,
la straordinaria semplicità d’uso, unitamente
all’estrema flessibilità, rende questo apparecchio
utilizzabile, con un minimo di esperienza, in
qualsiasi contesto diagnostico (studi medici,
cliniche, ospedali, farmacie, centri benessere,
palestre, ecc.), con il duplice vantaggio per il
paziente di poter ottenere il risultato dei test
effettuati su di lui in tempo reale, senza il disagio di
doversi rivolgere ad un laboratorio di analisi
esterno. Il FREE, infine, consente di eseguire test a
costi bassissimi insieme ad un preciso controllo di
qualità.
Focalizzata a lunga durata
(1)
505 nm ottenuti con filtro interferenziale
Assorbanza. Legge di Lambert e Beer.
37°C con temperatura visualizzata sul display
Centrifuga
Velocità di rotazione
Capacità
Temperatura
6000 rpm ± 5%
2 – 4 posti
37°C visualizzata in tempo reale sul display
Software
(4)
Programma
Interfaccia
Residente su memoria FLASH
RS 232 a 9 poli per collegamento al PC
Display
LCD alfanumerico retroilluminato
(3)
Stampante
Tipologia
Emissione risultato
Grafica, termica, con 192 dots per linea
(2)
Stampa automatica del risultato
Autodiagnosi
Automatica con visualizzazione degli errori
Condizioni di esercizio
Temperatura
Ambiente, 15 ÷ 35°C
Umidità relativa
Fino ad un massimo del 90%
(5)
Sicurezza
DIRETTIVA 73/23/CEE
Compat. elettromag.
DIRETTIVA 89/336/CEE
(1)
Con 8 nm di larghezza di banda
(2)
Con possibilità di personalizzare l'intestazione e ripetere la stampa
(3)
Con 4 righe da 20 caratteri
(4)
Aggiornabile con collegamento seriale a PC
(5)
NORME: CEI-EN 61010-1, CLASSE I; CATEGOR. INSTALLAZIONE II
6. 2 Il sistema FRAS
Il FRAS (release 3) è un sistema analitico
integrato costituito da un fotometro dedicato con
centrifuga incorporata progettato per consentire
esclusivamente l’esecuzione del d-ROMs test su
sangue intero, ottenuto generalmente mediante
prelievo di sangue capillare. Esso, pertanto, viene
fornito insieme al kit del d-ROMS test che ne
costituisce parte integrante.
La sigla FRAS sta per Free Radical Analytical
System, ossia sistema per l’analisi dei radicali
liberi.
L’aspetto tecnologico maggiormente innovativo
del FRAS 3 è l'integrazione della centrifuga nel
modulo analitico, che consente all’operatore di
disporre di un unico strumento in grado di svolgere
sia le funzioni di fotometro che quelle di centrifuga.
Benché la procedura del d-ROMs test sia
abbastanza semplice, FRAS 3 dispone di un
display autoistruente che fornisce, oltre alle
temperature del fotometro e della centrifuga, anche
i messaggi operativi (in varie lingue). Ciò è
possibile grazie al particolare software che gestisce
la strumentazione e che può essere aggiornato
attraverso il collegamento con un normale PC.
Particolarmente interessante è la gestione
dell’output. Infatti, FRAS 3 consente, grazie alla
sua piccola stampante, l’emissione di uno scontrino
con
intestazione
personalizzabile
e,
Il kit del d-ROMS test per il FRAS 3 è fornito in
una pratica confezione da 50 test (tabella 6. 4).
Tabella 6. 4 Il kit del d-ROMs test dedicato per il FRAS 3
Componente
Descrizione
Confezione Conservazione
Lancetta
pungidito
Capillare
Reagente R 1
Reagente R 2
Cuvetta
Tappo per
cuvetta
Siero di controllo
(opzionale)
Dispositivo per digitopuntura a scatto, sterile,
monouso
Sottilissimo cilindro di
vetro della capacità di 20
µL per la raccolta del
sangue capillare
Miscela cromogena in
contenitore
con
dispensatore a gocce
Soluzione tampone (pH
4.8)
contenente
stabilizzanti e conservanti in
miniprovetta
predosata,
tipo
“Eppendorf” (contenitore di
forma conica con tappo
integrato,
incolore,
monodose, monouso)
Cuvetta in polietilene
tappabile, prismatica, di
dimensioni alla base di
1.0 x 1.0 cm
Tappo a vite cilindrico
grigio
Siero liofilo a matrice
umana
2 x 25 pezzi
Temperatura
ambiente
1 x 50 pezzi
Temperatura
ambiente
1 flacone da 1
mL
2-8 °C, al riparo
dalla luce diretta*
2 x 25 pezzi
15-25°C, al riparo
dalla luce diretta*
2 x 25 pezzi
Temperatura
ambiente
1 x 50 pezzi
Temperatura
ambiente
2-8 °C, al riparo
dalla luce diretta*
1 flacone da
ricostituire con
1 mL di acqua
distillata
*In tali condizioni i reattivi sono stabili sino alla data di scadenza
indicata sulla confezione
48
Capitolo 6. La strumentazione dedicata nella valutazione dello stress ossidativo
La procedura analitica è molto semplice. Una
goccia di sangue, prelevata per digitopuntura, è
raccolta in un piccolo capillare e, insieme a questo
tubicino, immersa in una provetta contenente una
soluzione tampone lievemente acida. Il campione,
dopo una delicata agitazione, è trasferito in
cuvetta, ove viene aggiunta una goccia di reattivo
cromogeno. La nuova soluzione è, quindi,
sottoposta a centrifugazione e, infine, alla lettura
fotometrica.
In questa procedura, il sangue raccolto nel
capillare viene messo a contatto con la soluzione
tampone lievemente acida per consentire il rilascio
del ferro dalle proteine plasmatiche. Una volta
libero, questo metallo di transizione, analogamente
a quanto accade in vivo in condizioni di acidosi,
catalizza in vitro la trasformazione degli
idroperossidi contenuti nel campione in radicali
alcossili e perossili.
Quando viene aggiunta la soluzione di
cromogeno, la N,N-dietil-parafenilendiammina in
essa disciolta reagisce con i radicali generati in
vitro radicalizzandosi a sua volta ed assumendo un
colore rosato. Si versa il contenuto della provettina
nella cuvetta di lettura. La successiva breve
centrifugazione consente la sedimentazione della
parte corpuscolata del sangue.
Si pone, quindi, la cuvetta nel vano di lettura; il
fotometro potrà trasformare l’intensità del colore
(che è proporzionale alla quantità di radicali e,
quindi, di idroperossidi presenti inizialmente nel
campione) in unità di concentrazione (U CARR), a
cui possono corrispondere determinati livelli di
stress ossidativo.
FRAS 3 un sistema progettato specificamente
per il medico, sia di base che specialista, e per il
farmacista.
49
Capitolo 7. Considerazioni conclusive e linee-guida
Capitolo 7
Considerazioni conclusive e linee-guida
Tabella 7. 1 d-ROMs test: errori da evitare
Fase critica
Accorgimento
Il punto di partenza nella valutazione di
laboratorio dello stress ossidativo è l’esecuzione
del d-ROMs test attraverso la strumentazione
dedicata (sistemi FREE e FRAS) o quella al
momento disponibile (comune fotometro o
analizzatore multiplo).
Il d-ROMs test andrebbe effettuato in
condizioni di buona salute o “basali” perché,
valutando
anche
lo
stato
metabolico
dell’organismo, fornisce risultati che sono
influenzati dallo stile di vita.
Ognuno dovrebbe conoscere tale valore di
riferimento, specifico di ogni individuo e rientrante
nell’ambito della variabilità documentata nella
popolazione generale.
Ad esso bisogna rapportarsi per ogni controllo
che si rendesse necessario in futuro, in relazione a
situazioni
fisiologiche
(es.
attività
fisica),
parafisiologiche (es. gravidanza) o francamente
patologiche (es. infarto) ovvero in rapporto a
specifici interventi terapeutici (es. chemioterapici,
cortisonici, contraccettivi orali ecc.).
In ogni caso, i risultati del d-ROMs test, che
valuta il livello degli idroperossidi, testimoni e
indicatori dello stress ossidativo, devono essere
inquadrati dal medico nella situazione clinica del
singolo paziente.
Sulla base dei risultati dei numerosi studi finora
pubblicati in materia, è oggi possibile tracciare una
serie di linee-guida orientative per una corretta
interpretazione e, quindi, gestione dei risultati del
d-ROMs test.
Di fronte a valori inferiori a 250 U CARR,
definiti come normali, bisogna interrogarsi se la
procedura è stata eseguita in maniera corretta o
meno.
A tal proposito vi sono alcuni errori da evitare
in fase analitica.
Essi riguardano le modalità del prelievo e di
disinfezione della cute, il tipo di anticoagulante
eventualmente usato, l’emolisi del campione, le
modalità di conservazione dei reagenti, ecc
(tabella 7. 1).
Disinfezione della superficie
cutanea con sali di alchilammonio
o derivati ossidanti del cloro
Prelievo ematico
Impiego di coagulanti
della classe dei chelanti
(EDTA o CITRATO)
Modalità di conservazione
della soluzione di cromogeno
(reagente R 1)
Modalità di conservazione
del prelievo
Usare solo alcool etilico, perché
queste sostanze interferiscono
con i risultati del d-ROMs test
(sottostima)
Evitare qualsiasi trauma, perché
l’emolisi interferisce con i risultati
del d-ROMs test (sottostima)
Usare solo eparina se necessario
perché EDTA e CITRATO
interferiscono con i risultati del dROMs test (sottostima)
Conservare il reagente R 1 a 2-8
°C e tenerlo lontano dal contatto
diretto con le radiazioni solari. In
tali condizioni esso rimane stabile
fino alla data di scadenza riportata
sulla confezione.
Se non è possibile effettuare
l’analisi subito dopo il prelievo,
conservare il siero a +4° C o a –
20 °C ed eseguire il test entro
l’intervallo prestabilito per queste
temperature
Se la procedura è corretta, l’anamnesi e
l’esame obiettivo dovranno chiarire se il soggetto è
affetto da una patologia o segue regimi terapeutici
particolari, che possono “mascherare” il livello reale
di idroperossidi. Per esempio, il trattamento con
cortisonici, talvolta anche ad uso topico, riduce
considerevolmente il livello di idroperossidi
falsando il risultato reale del d-ROMs test In tutti
questi casi è opportuno ripetere il test dopo un
congruo intervallo di tempo, dopo aver messo in
atto gli interventi diagnostici e terapeutici del
singolo caso. In aggiunta a quanto esposto, va
ricordato che gli stati cachettici in genere si
accompagnano a valori bassissimi del d-ROMs test
a causa del rallentamento di tutti i processi
metabolici (figura 7. 1).
< 250 U CARR (valori normali)
Controllare la procedura
Procedura corretta
Procedura errata
Anamnesi ed esame obiettivo
Non evidenza di patologia in atto
Emolisi
Chelanti
Assenza str.
ossidativo
Razza orientale
(?)
Monitorare
lo stile di vita
Ripetere il test
immediatamente
Ripetere il test
dopo 6 mesi
Condizione
di atleta
Controllare
regime
allenamento
Abuso di
antiossidanti
Controllare
regime terapia
Ripetere il test
dopo 4 mesi
Possibile
patologia
Possibile
terapia
Evidenza
patologia
Patologia
disreattiva
Ulteriori
indagini
Terapia
cortisonica
Eventuale
terapia
specifica
Monitorare
terapia
Ripetere il test in base alla
malattia o dopo 3 mesi
Figura 7. 1 d-ROMs test: linee guida 1
(valori <250 U CARR)
Se i valori del d-ROMs test sono compresi nel
range della normalità (250-300 U CARR) il medico
deve comunque eseguire una regolare anamnesi
accompagnata dall’esame obiettivo. La negatività
dei dati anamnestici e clinici insieme ad un valore
50
Capitolo 7. Considerazioni conclusive e linee-guida
normale del d-ROMs test è in genere sufficiente
per escludere una condizione di stress ossidativo
in atto, fermo restando che avere un valore del dROMs test “nella norma” non esclude l’esistenza
di patologie in atto ma indica solo la presenza di un
livello
sierico di idroperossidi che rientra nella
media rilevata nella popolazione clinicamente
asintomatica ed apparentemente sana.
Poiché è importante che tale valore resti
normale nel tempo, il medico suggerirà il
mantenimento o l’adozione di stili salutari di vita,
consiglierà regimi idonei di allenamento se si
svolge attività sportiva e inviterà il paziente a
ripetere il test dopo 6-8 mesi.
Se, tuttavia, il paziente nel corso di precedenti
determinazioni
aveva
in
passato
valori
significativamente inferiori a quello rilevato al
momento (es. un valore attuale di 290 U CARR
contro un valore pregresso di 210 U CARR), è
possibile che sia intervenuta una condizione di
stress ossidativo e, dunque, è da sospettarsi una
patologia in atto che, se confermata, richiederà gli
interventi diagnostici e terapeutici indicati e la
ripetizione del test dopo 3 mesi (in funzione della
malattia e della terapia intrapresa) (figura 7. 2).
301-320 U CARR (borderline)
Anamnesi ed esame obiettivo
Non evidenza
patologia in atto
Alimentazione
squilibrata
Attività fisica
inadeguata
Ulteriori accertamenti
diagnostici
Riequilibrare
la dieta
Controllare
allenamento
Eventuali
interventi specifici
Migliorare lo stile di vita
Integrare con antiossidanti
Migliorare lo stile di vita
Integrare con antiossidanti
Ripetere il test
dopo 3 mesi
Ripetere il test in funzione
della malattia o dopo 3 mesi
Figura 7. 3 d-ROMs test: linee guida 3
(valori 250-300 U CARR)
Invece,
deve
destare
sicuramente
preoccupazione una situazione di situazione di
stress ossidativo lieve-medio, con valori del dROMs test compresi fra 321 e 400 U CARR (figura
7. 4)
321-400 U CARR (stress ossidativo lieve-medio)
Anamnesi ed esame obiettivo
Sforzo
muscolare
Ulteriori indagini
OXY-ADS test
250-300 U CARR (valori normali)
Precedente valore
<< 250 U CARR
Possibile
patologia in atto
Non evidenza
stress ossidativo
Ulteriori
accertamenti
Monitorare
stile di vita
Eventuale terapia
specifica
Ripetere
il test
dopo 6-8 mesi
Ripetere il test
dopo 3 mesi, in
base alla malattia
Condizioni correlate con uno stile
di vita non corretto
Fumo di
sigaretta
Abuso di
alcolici
Eventuali
patologie in atto
Sovrappeso Ipertensione
Obesità
arteriosa
Mal. cardio vascolari
M.degener,/
disreattive
Ulteriori indagini
con eventuale valutazione dello status antiossidante
Anamnesi ed esame obiettivo
Non evidenza
patologia in atto
Possibile
patologia in atto
Interventi
specifici
Eventuali
interventi specifici
Integrazione
antiossidante
Integrazione
antiossidante
Ripetere il test
dopo 30 giorni
Ripetere il test
dopo 40 giorni
Figura 7. 4 d-ROMs test: linee guida 4
(valori 321-400 U CARR)
Valori così elevati possono riscontrarsi dopo un
intenso sforzo muscolare (es. una gara ciclistica),
in alcune condizioni correlate con lo stile di vita (es.
fumo, alcolismo, sovrappeso o obesità) e in alcune
patologie classicamente associate con lo stress
ossidativo, quale l’ipertensione arteriosa non ben
compensata, le vasculopatie periferiche e
numerose malattie degenerative ad andamento
cronico. In questi casi alle indagini del singolo caso
è da prendere in considerazione l’eventualità di
approfondire la valutazione di laboratorio dello
stress ossidativo, esplorando anche lo status antiossidante. L’integrazione antiossidante, comunque,
è d’obbligo perché la terapia specifica non è in
genere in grado di controllare completamente lo
stress ossidativo. Il test va ripetuto dopo 40 giorni.
Infine, valori superiori a 400 U CARR, se si
esclude la gravidanza in fase avanzata, indicano
una condizione di stress ossidativo elevatissimo e
richiedono un tempestivo intervento sia sul
versante diagnostico (è d’obbligo l’esecuzione di
test per la valutazione dello status antiossidante)
sia
su
quello
terapeutico
(integrazione
antiossidante massiva) (figura 7. 5).
Figura 7. 2 d-ROMs test: linee guida 2
(valori 250-300 U CARR)
Valori compresi tra 300 e 320 U CARR
suggeriscono una condizione border-line che non
va sottovalutata. Infatti, se in alcuni casi è
sufficiente riequilibrare un regime alimentare
scorretto o un’attività agonistica per ricondurre alla
norma questi valori, in altri non è possibile
escludere a priori una patologia in atto.
Pertanto, onde prevenire il danno ossidativo
eventualmente in atto, è consigliabile, a scopo
preventivo, un’integrazione con antiossidanti (figura
7. 3).
51
Capitolo 7. Considerazioni conclusive e linee-guida
2. E' intervenuto un fenomeno di proossidazione
durante la terapia (ad es. causa di un
iperdosaggio di antiossidanti)
3. E' stata attivata un'altra fonte di idroperossidi (ad
es. per una infiammazione del cavo orale, o per
intensi esercizi fisici, etc.) durante la terapia
4. L'operatore ha commesso un errore durante il
rilevamento dello stress ossidativo
Pertanto, per avere una risposta corretta,
occorre sapere:
1. Si è sicuri che il paziente non abbia in corso
qualche malattia?
2. Si è sicuri che il paziente durante la terapia non
sia andato incontro a patologie intercorrenti?
3. Quale è l'esatta composizione del cocktail
antiossidante usato?
4. Quale è la concentrazione plasmatica della
Vitamina C e della Vitamina E nel paziente?
5. E' disponibile un controllo, vale a dire i risultati
ottenuti su una persona con la stessa malattia
trattata con il medesimo cocktail di
antiossidanti?
La risposta a questi quesiti può fornire la
soluzione del caso esaminato.
>400 U CARR (stress ossidativo elevato-elev.mo)
Anamnesi ed esame obiettivo
Gravidanza
avanzata
Monitorare
gestazione
Terapia
in atto
Pillola
anticoncez.
Chemioterapia
Patologia
in atto
Radio-terapia Mal. cardiovascolari
Malattia
disreattiva
Malattia degenerativa
Ulteriori indagini
con valutazione dello status antiossidante
Interventi
specifici
Eventuali
interventi specifici
Integrazione
antiossidante
Integrazione
antiossidante
Ripetere il test
ogni 10 giorni
Ripetere il test
dopo 30 giorni
Figura 7. 5 d-ROMs test: linee guida 5
(valori >400 U CARR)
Nel caso in cui, dopo la terapia antiossidante
non si registrasse un abbassamento del valore dei
radicali liberi, sarà utile fare le seguenti
considerazioni:
1. La terapia non è stata efficace (ad es. per una
bassa
concentrazione
plasmatica
degli
antiossidanti)
52
Capitolo 8. Selezione bibliografica
Capitolo 8. Selezione bibliografica
Tutti i lavori scientifici selezionati nel capito 8 del presente volume sono disponibili sotto forma di abstract.
Della maggior parte di essi, previo il consenso degli Autori, sono disponibili anche le versioni originali.
Per maggiori informazioni contattare il direttore scientifico,
dott. Eugenio Luigi Iorio, MD, PhD, ai seguenti recapiti:
DIACRON International s. r. l.
58 100 Grosseto, via Zircone 8 – Italia
Phone 0039 0564 467 922 – FAX 0039 0564 467 684
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Recklinghausen, Germany and Institute of
Physiology, Biochemistry and Hygiene of Domestic
Animals, Bonn University, Germany. 2002.
EXPERIMENTAL REPORT.
Dolci A, Mathias M Muller Oxidative stress induced
by physical exercise: the biochemical monitoring.
Proceedings of the Meeting “Medical Laboratory of
Stampato a Grosseto, Italia – Prima Edizione, Marzo 2003
Tutti i diritti riservati. © Copyright DIACRON International s. r. l., Grosseto, Italia. 2003.
L’Editore non risponde di eventuali errori rilevati nel presente volume né dell’uso improprio del suo contenuto
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Kits & tools per la valutazione globale dello stress ossidativo
La DIACRON International s. r. l. (Grosseto) ha sviluppato un pannello di test per valutare
globalmente il bilancio ossidativo, rilevando sia la produzione di metaboliti reattivi dell’ossigeno
o ROM (d-ROMs test, brevetto DIACRON International s. a. s., Grosseto) sia la barriera
antiossidante (OXY–Adsorbent test, BAP, e –SHp test) in matrici biologiche (es. sangue intero,
siero, plasma, ecc.). I test possono essere eseguiti sia con un analizzatore automatico sia con
una strumentazione dedicata (Sistema FREE, prodotto da DIACRON International s. r.
l.,Grosseto). Il d-ROMs test può essere eseguito anche con il Sistema FRAS SYSTEM (prodotto
da IRAM s. r. l., Parma).
d-ROMs test: determinazione fotometrica dei metaboliti reattivi dell’ossigeno
Gli idroperossidi, “marker” e “amplificatori” del danno tissutale generato dalla perossidazione di
lipidi, amminoacidi, proteine, ed acidi nucleici, sono relativamente stabili e mantengono nei
fluidi biologici una buona capacità ossidante. Pertanto, in questo test, gli idroperossidi (una
classe di ROM), dopo aver reagito con un cromogeno adeguatamente tamponato, sviluppano
un derivato colorato, che viene rilevato fotometricamente. La concentrazione di idroperossidi,
direttamente proporzionale all’intensità del colore, viene espressa in Unità Carratelli (1 U CARR
= 0.08 mg perossido di idrogeno/dL). Il range di riferimento del test nella popolazione normale
è di 250–300 U CARR. Un incremento di tali valori indica un livelloprogressivamnete crescente
di stress ossidativoo. Il d-ROMs test è uno strumento utilissimo nella pratica clinica routinaria.
OXY–Adsorbent test: determinazione fotometrica
del potenziale antiossidante plasmatico
Numere sostanze presenti nel plasma (es carotenoidi, ascorbato, vitamina E, bilirubina, acido
urico, etc) sono in grado di “adsorbire” la “potenzialità” ossidante delle specie reattive.
Pertanto, qualsiasi danno a carico della “barriera plasmatica all’ossidazione” può provocare un
danno ossidativo a livello dei tessuti. In tale contesto, l’OXY-Adsorbent test valuta la capacità
del plasma di opporsi all’azione ossidante massiva di un eccesso di acido ipocloroso (HClO) in
soluzione acquosa. Questo obiettivo è conseguito determinando fotometricamente i radicali
residui dell’acido che non hanno reagito. Normalmente, 1 mL di plasma umano è in grado di
“adsorbire” almeno 350 µmoli di HClO. Una riduzione di tali valori si correla direttamente con la
gravità del danno inflitto alla “barriera plasmatica all’ossidazione”. Infatti, se “l’eccesso” dei
radicali dell’HClO dopo ossidazione massiva è alto, la barriera plasmatica è ridotta, e viceversa.
– SHp test: determinazione fotometrica dei tioli plasmatici
I tioli proteici rappresentano una componente significativa della “barriera plasmatica
all’ossidazione”. Infatti, i gruppi tiolici delle proteine sieriche sono in grado di opporsi alla fase
di propagazione dei processi ossidativi inattivando i radicali alcossilici e perossilici. Questo test
si basa sulla capacità dei gruppi –SH di sviluppare un complesso colorato quando reagiscono
con il 5,5-ditiobis-2-nitrobenzoato (DTNB). Il “titolo” dei tioli è direttamente proporzionale
all’intensità del colore. Il range del test nella popolazione normale è 450–650 µmoli -SH/L. Una
riduzione di tali valori si correla direttamente con una ridotta efficienza della barriera tiolica.
Per eseguire l’intero pannello di test è disponibile
il Sistema FREE, prodotto da DIACRON International s. r. l., Grosseto
Per eseguire solo il d-ROMs test su sangue intero
è ora disponibile il Sistema FRAS prodotto da IRAM s. r. l., Parma, Italy
Per ordini e per qualsiasi informazione contattare:
DIACRON International s. r. l.
58 100 Grosseto, via Zircone 8
Tel 0039 0564 467 922 – FAX 0039 0564 467 684
e–mail: [email protected] –site web: ww.diacron.com
DIACRON International

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