Morgantina_il ritorno della Venere
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Morgantina_il ritorno della Venere
La “Venere” di Morgantina. Storia di un recupero. La “Venere” di Morgantina passerà alla storia come il più grande furto archeologico di tutti i tempi, non solo per il valore economico del reperto ma anche per il suo alto livello storico-artistico. Mai un collezionista pubblico o privato aveva sborsato ben 18 milioni di dollari per un manufatto dell'arte classica né aveva messo le mani su un capolavoro di quel pregio e rarità nel mercato delle antichità senza provenienza. Specularmente, il suo recupero e la sua ricontestualizzazione costituiscono il più grande successo del nostro Paese nella lotta al traffico illecito di reperti archeologici, segnando un punto di svolta irreversibile nella politica degli acquisti dei musei stranieri. La scoperta della colossale statua di divinità femminile, dal corpo di tenera pietra calcarea e la testa e gli arti di fine marmo bianco greco, è ancora avvolta nel mistero, così come la fase della sua esportazione in Svizzera, dove apparve dal nulla nel 1986 nelle mani di un modesto tabaccaio di Lugano. Renzo Canavesi, questo il suo nome, la vendette per 400.000 dollari al londinese Robin Symes, nome molto noto nel mondo dell’antiquariato internazionale, che trasferì la statua nel suo negozio d’antiquariato a Londra, tentando invano di collocarla presso le più note gallerie d'arte americane. Decise anche di offrirla al J. Paul Getty Museum di Malibù che, interessato alla proposta, volle vederci chiaro sul quell'inedito colosso di due metri e trentasette per seicento chili di peso. Sottopostala a perizia, gli esperti del museo non poterono non giudicare autentica la statua, probabilmente anche per le abbondanti tracce di terra e radici tra le pieghe del panneggio. L'acquisto fu perfezionato il 25 Luglio 1988, dopo che il museo era stato assicurato dal nostro Ministero dei Beni Culturali che l’opera d’arte non risultava trafugata dall'Italia. Esposta dopo un accurato restauro per rimetterne insieme gli ottantacinque frammenti, l’allora responsabile delle antichità del museo, Marion True, la attribuì ad un ignoto artista della Magna Grecia della fine del quinto secolo a.C., ammettendo che s’ignorava tutto sulla provenienza, eccetto il nome del collezionista svizzero che l'aveva ceduta a Symes. Mancando di attributi che ne consentissero l'identificazione, per le forme abbondanti e la straordinaria bellezza del volto fu battezzata come un'Afrodite. Le indagini di Polizia di Stato e Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, coordinate dall'Ufficio Istruzione del Tribunale di Enna, presero le mosse nello stesso mese di Luglio 1988 dalla rivelazione di Thomas Hoving, ex direttore del Metropolitan Museum di New York. Costui, divenuto nel tempo accusatore di tutti i grandi musei stranieri nel loro approccio al mercato dell'arte antica, dichiarò pubblicamente di essere a conoscenza del fatto che la colossale statua acquisita dal Getty proveniva da scavo abusivo a Morgantina. La sconvolgente rivelazione di Hoving fu oggetto d’immediate verifiche, che l'omertà imperante negli ambienti dei tombaroli e dei ricettatori locali non consentì di riscontrare se non in un punto: a Morgantina nel 1979 una squadra di clandestini aveva intercettato, in contrada San Francesco Bisconti, un’area sacra, da cui erano state trafugate due teste arcaiche in marmo (gli acroliti), fatte anch'esse pervenire - per il tramite dello stesso Symes - al museo Getty. Non era improbabile che da quel santuario saccheggiato fosse uscita una "terza" testa di marmo, più tarda delle altre e “montata” su un corpo in calcare. Le indagini del Tribunale di Enna, condotte dal magistrato Silvio Raffiotta, s’indirizzarono a quel punto sul campo scientifico: fu chiesto al nostro Ministero di effettuare analisi petrografiche sul corpo della statua, per verificare la provenienza siciliana del materiale lapideo. Era l'unica strada da percorrere, tanto più che al museo di Aidone, che custodiva i reperti di Morgantina, esisteva una scultura femminile di una pietra all'apparenza simile a quella della “Venere”. L'accertamento, affidato al geologo Rosario Alaimo dell'Università di Palermo, fu compiuto nel 1997 ed il verdetto fu inequivocabile: il corpo della statua Getty era stato realizzato con un tipo di pietra cavata dalla "formazione Ragusa" degli altipiani iblei della Sicilia orientale ed era lo stesso materiale della statua femminile al museo di Aidone. Il Getty, pur non contestando l’esito del responso tecnico, si ostinava a trincerarsi dietro la dichiarazione dello pseudo-collezionista svizzero Renzo Canavesi, il quale aveva garantito al museo di averla ricevuta in eredità dal padre. Ufficialmente interrogato nel 1998 dal Procuratore della Repubblica di Enna, Canavesi non seppe e non volle dire nulla su come e quando era venuto in possesso del reperto e l'aveva custodito per cinquant’anni senza mai mostrarlo a nessuno. Nonostante, a quel punto, la bilancia pendesse a favore delle ragioni dell’Italia, a livello diplomatico fu scelto di non intentare un giudizio civile di rivendica contro il Getty, che godeva, peraltro, dell'atteggiamento generale di tolleranza a livello internazionale nella politica degli acquisti di reperti archeologici da parte dei collezionisti istituzionali. La svolta decisiva avvenne nel 2005, quando una complessa indagine della Procura della Repubblica di Roma mise a nudo il sistema con cui per anni avevano operato quasi tutti i grandi musei americani, compresi il Getty di Malibù ed il Metropolitan di New York. In sostanza, la gran parte delle loro collezioni recenti di arte greco-romana si era formata per il tramite di spregiudicati trafficanti, che agivano in combutta con ricettatori italiani stabilmente residenti in Svizzera. La “Venere” rientrava in quel sistema, così come gli altri importanti reperti trafugati da Morgantina, gli acroliti del Tempelsman e gli argenti del Metropolitan Museum. La pressione dell'imminente processo a Roma e dell'opinione pubblica fecero il resto, costringendo i direttori dei musei incriminati a venire a patti con il nostro governo per la restituzione "volontaria" di quanto risultava provenire dall'Italia. Fu così che il 25 settembre 2007 Michael Brand per il Getty firmò la resa per la “Venere”, promettendone la restituzione per la fine del 2010. A cura del “comitato tecnico-scientifico per il rientro della Venere” Testo di ©Serena Raffiotta Museo Archeologico Regionale di Aidone Largo Torres Trupia, Aidone (EN) tel. 0935/87307 Aperto tutti i giorni, dalle h. 8,30 alle h. 18,30 Area archeologica di Morgantina C.da Morgantina, Aidone (EN) tel. 0935/87955 Aperto tutti i giorni, dalle h. 8,30 ad un’ora prima del tramonto Fonti: http://www.regione.sicilia.it/beniculturali/deadimorgantina/areamorgantina.html http://www.comune.aidone.en.it/ev/images/venere.pdf http://ilfattostorico.com/2011/05/19/la-venere-di-morgantina-torna-ad-aidone/ http://it.wikipedia.org/wiki/Dea_di_Morgantina