la parola e il sorriso - Abbazia Madonna della Scala

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la parola e il sorriso - Abbazia Madonna della Scala
DONARE UN SORRISO
costa poco e arricchisce molti
Ab. Donato Ogliari osb
Ogni essere vivente possiede un suo linguaggio. Che si tratti del cinguettio degli
uccelli o del ronzio delle api, di una corolla che si schiude ai raggi del sole o di un
albero che germoglia, si ha a che fare con un modo di comunicare iscritto nella
natura di questi esseri viventi. Tuttavia, solo l’uomo – l’unico ad essere stato creato
a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26) – utilizza un linguaggio contrassegnato
dallo spirito e mosso dalla sua auto-consapevolezza. In particolare, egli si serve di
quei segni vocali – chiamati “parole” e legati ad un sistema di significati – che gli
permettono di conoscere il mondo esterno e di interagire nella libertà con la
complessa rete di relazioni che lo contraddistingue. Quelle stesse parole, poi,
custodite nella memoria e coltivate nel pensiero, manifestano la sua abilità a nutrire il
proprio mondo interiore attraverso l’elaborazione di idee, progetti e decisioni, nonché
la sua capacità di prendere coscienza dei desideri, delle emozioni e dei sentimenti
che lo inabitano. Inoltre, accanto alla parola pensata, proferita o scritta, l’uomo può
ricorrere ad una vasta gamma di gesti e atteggiamenti del corpo tramite i quali è in
grado di comunicare il suo pensiero e il suo sentire.
***
Tra le varie espressioni del linguaggio corporeo ve n’è una che riguarda il volto e
che contiene un grande potenziale comunicativo: il sorriso. Va subito detto che, al
pari delle altre modalità con cui l’uomo si relaziona con il mondo circostante, anche il
sorriso ha un significato ambivalente, a seconda dell’utilizzo che se ne fa. Vi è, ad
esempio, un sorriso distaccato, imbarazzato, ironico, sprezzante, sarcastico e
altezzoso che svela sentimenti opachi e negativi. Per contro, vi è un sorriso buono,
affabile, solare, che esprime apertura, comprensione, partecipazione, e che suscita
fiducia. Quanto calore e quanta pace può trasmettere un sorriso colmo di serenità!
Quanta consolazione può esso infondere in un cuore ferito, e quanta pena può
alleviare – più di mille parole – con la sua dolcezza! Un tale sorriso può veramente
diventare un mezzo straordinario per mitigare la pesantezza del vivere quotidiano e,
soprattutto, può favorire una condivisione compassionevole con chi si trova nel
bisogno o è alle prese con la malattia o con la solitudine. Un sorriso umile e solidale
può, infatti, raggiungere l’altro con più facilità al cuore delle sue preoccupazioni e
delle sue sofferenze, e risvegliare in lui sentimenti di fiducia e di speranza.
«Donare un sorriso – scrive P. Faber – rende felice il cuore. Arricchisce chi lo riceve
senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo ricordo rimane a
lungo. Nessuno è così ricco da poterne fare a meno, né così povero da non poterlo
donare. Il sorriso crea gioia in famiglia, dà sostegno nel lavoro ed è segno tangibile di
amicizia. Un sorriso dona sollievo a chi è stanco, rinnova il coraggio nelle prove e
nella tristezza è medicina. E se poi incontri chi non te lo offre, sii generoso e porgigli
il tuo: nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo».
Insomma, anche un sorriso sereno e intriso di benevolenza può trasformarsi in uno
strumento della più squisita carità, e far del bene non solo a chi lo riceve, ma anche a
chi lo dona!
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Vi è, infine, un sorriso speciale, che sembra non venir meno neppure in mezzo alle
prove della vita. È il sorriso sorretto e illuminato dalla fede, che lascia trasparire in chi
lo offre un animo saldo e pacificato. Non rimaniamo forse ammutoliti, stupiti e, in certi
casi, persino interiormente estasiati quando ci capita di veder sorridere una persona
colpita da una sofferenza fisica o morale? È come se da quel sorriso scaturisse una
luce soprannaturale e ci fosse dato – per dirla con santa Teresa di Gesù Bambino –
di cogliere in esso un «fiore di Dio, eco lontana del cielo, e accento fuggitivo delle
corde che l’Eterno va toccando».
Certo, un sorriso del genere non lo si improvvisa sul momento né può essere ridotto
ad una mera espressione di stoica sopportazione. Esso è il frutto di una fiducia
profonda, nascosta e silenziosa, che poggia sulla certezza dell’amore inalterabile di
Dio, sul quale poter contare anche nel momento del dolore e dello smarrimento. È il
“sorriso della fede”, appunto, un sorriso generato e rischiarato dal “sorriso di Dio” che
deposita nel cuore di chi l’accoglie un raggio luminoso della sua presenza.
Se le parole di Charlie Chaplin: “Un giorno senza sorriso è un giorno perso”, sono
pienamente condivisibili, esse dovrebbero risuonare ancor più impellenti agli orecchi
di chi crede nella prossimità di Dio, di chi crede cioè che ogni giorno il Signore ci
viene incontro per stare al nostro fianco e riscattarci dal grigiore di un’esistenza triste
e insipida. Per chi crede in questo incontro, un giorno senza il “sorriso di Dio” è
davvero un giorno perso!