Perth, lontano da dove

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Perth, lontano da dove
in capo al mondo Lo skyline di Perth alla luce del tramonto, visto dalla riva
meridionale del fiume Swan. La capitale dell’Australia Occidentale, sospesa tra 4.000
chilometri di deserto e l’oceano, ha fatto dell’isolamento geografico una virtù.
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Perth, lontano da dove
di Arianna dagnino
foto di stefano gulmanelli
il punto di riferimento più vicino è singapore, ad «appena» quattro ore di volo. ma come
si vive nella metropoli più remota del pianeta? meglio di quanto possiate immaginare
«Isolati? Il problema è vostro, non nostro». Gli abitanti di Perth
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aver già egregiamente risolto la questione del loro
posizionamento sull’atlante del mondo parafrasando la celebre
massima di Antoine de Saint-Exupéry: «Vai dunque laggiù? Come
sarai lontano. Lontano da dove?».
Quattromila chilomentri di deserto alle spalle prima di incontrare
una città e migliaia di miglia di oceano aperto di fronte a sé rendono
la capitale del Western Australia la metropoli più isolata del pianeta,
ma la cosa non sembra scomporre più di tanto chi ci vive. D’altronde
a «sole» quattro ore di volo c’è Singapore, centro nevralgico dell’area
– il Sudest asiatico – destinata a diventare uno dei più fertili hub del
mondo. E poi, che cosa vuoi che sia qualche migliaio di chilometri
di vuoto attorno quando hai un clima strepitoso – semi-tropicale
ma sempre con una brezza rigeneratrice –, abbacinanti spiagge
cittadine e un fiume, lo Swan, le cui verdi anse ricordano un Tamigi
di fine Ottocento?
Per dirla tutta, chi sta a Perth è addirittura geloso del proprio
isolamento, di un Eden finora segretamente celato che, a sentire
i suoi abitanti, ha iniziato a crescere troppo in fretta e ad attrarre
troppa attenzione internazionale.
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brezza e cielo azzurro Dall’alto in basso, la spiaggia di Freemantle;
lo Swedish Hotel nel centro di Perth; una strada di Freemantle e un altro scorcio del
centro della città. Il clima è ideale: raramente la temperatura scende sotto i 15 gradi.
Ma ormai il genio è fuori della bottiglia:
la grande vicina, la Cina, ha cominciato a
succhiare vorace le ricchezze annidate nel
sottosuolo del Western Australia: uranio,
gas, diamanti, bauxite (materiale principe
nel processo di produzione dell’alluminio).
E questo ha innescato un boom economico senza precedenti dell’intera area.
«Se c’è un paradiso in Terra è questo»,
dice Marco Batacchi, 42 anni, direttore
dell’Emerald Hotel di Perth, che ha lasciato
la direzione di un albergo in pieno centro
a Firenze per seguire la moglie australiana
all’altro capo del pianeta. «Ma è anche
l’ultima vera frontiera. È un mondo in grande,
rapidissima evoluzione (le statistiche parlano di
800 nuovi abitanti alla settimana, ndr). Dove
c’è ancora tutto da fare, costruire, inventare. E
dove stanno confluendo tanti, tantissimi soldi.
Quando sono arrivato io, nel 2003, per strada
non si vedeva circolare nemmeno una Bmw.
Bene, in vita mia – e sono uno che ha girato
assai – ho visto solo due Ferrari Scaglietti: una
a Montecarlo e, ora, una qui».
Ed è proprio questo quello che temono gli
storici abitanti di Perth. Uno snaturamento
del loro paradiso così giudiziosamente
coltivato, dove alle quattro del pomeriggio
negli uffici non c’è più nessuno, la smania
per il denaro è fuori luogo, i negozi chiudono
alle cinque e mezzo del pomeriggio e i weekend sono ancora sacri
e intoccabili (un recente referendum cittadino ha confermato il
divieto dell’apertura domenicale dei negozi).
«Ma, soprattutto, qui c’è una qualità della vita che non ho trovato
né in Finlandia né in California né in Toscana; perlomeno la Toscana
che mi piaceva, quella degli anni Settanta ai tempi di Amici miei»,
ribadisce Batacchi. «Certo, all’inizio è stato difficile. Non c’era un
angolo della città in cui potevo riconoscermi. Uno shock per uno
che quando usciva di casa si trovava davanti piazza della Signoria.
Arrivato qui ero un signor nessuno. Ho dovuto ripartire da zero.
Ma se superi i primi sei mesi non torni. Perché cominci a ritrovare
cose che in Italia non abbiamo più: a partire dall’apertura mentale,
dalla disponibilità della gente ad ascoltarti volentieri, a fermarsi
per parlare con te. Perché qui il tempo non è un tiranno ma un
succedersi di momenti da assaporare lentamente».
«E poi c’è lo spazio. Immenso. Ovunque», dice Bernie Williams,
un irlandese sbarcato a Perth a 18 anni nel 1968. «Roma è
stupenda, è bello poterla andare a visitare, ma non ci vivrei mai.
L’isolamento? È solo una percezione di chi arriva da fuori. Qui
non mi manca nulla. Amo la musica classica e il teatro e nella
stagione invernale, dove raramente si scende sotto i 15 gradi:
la città ospita una ricca varietà di concerti e di lavori teatrali, e
molti arrivano direttamente dall’Europa. Ovunque si respira un
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ambiente veramente multiculturale, con forti
influenze asiatiche: vietnamite, thailandesi,
cambogiane».
«Siamo isolati, è vero, ma proprio per questo
viaggiamo molto. Il che ci aiuta a mantenere
aperti i nostri confini mentali», incalza
Nathalie, nata e cresciuta in questa città.
«Paradossalmente siamo più informati noi su
quello che avviene in Europa, in Asia, nelle
Americhe di quanto per esempio accade in
media negli Stati Uniti, dove, quando vado,
noto che sui quotidiani le notizie relative al
resto del mondo sono molto limitate». «La miglior notizia, per me, è che ora chi
arriva a Perth la trova sufficientemente
dinamica e aperta verso il futuro da voler
restare», sottolinea il nuovo sindaco di Perth,
Lisa Scaffidi, un’energica signora sposata a un
grande costruttore di origini italiane. «Qui,
adesso, ci sono persone che potrebbero vivere
ovunque nel mondo e che scelgono di abitare
proprio a Perth. Gente competente, che ha
avuto esperienze esaltanti nella vita e che qui
ritiene di trovare uno stile di vita conforme
alle proprie possibilità ed esigenze». «Anche perché, a dirla tutta, Perth è
culturalmente più legata alle proprie radici
europee, inglesi prima di tutto, ma anche,
grazie ai suoi vari flussi immigratori, greche,
italiane, olandesi, lituane, che al resto
dell’Australia», sostiene Jack Newby, produttore teatrale tornato
a lavorare a Perth dopo aver fatto l’apprendistato a Londra. «Non
dimentichiamoci che l’unica strada che ci collega con la parte
orientale del Paese è stata finita di asfaltare solo nel 1986. Fino ad
allora, per noi era più facile ed economico prendere una nave o un
aereo e andarcene a Singapore».
Isolati e felici, dunque. E ancora propensi, pur da quarta o quinta
generazione di immigrati britannici quali molti ancora sono, ad
apprezzare uno stile di vita che ben si adatterebbe a quello di un
lord di campagna. Perché sotto sotto la maggior parte della gente
qui concorda con Nathalie: «Se mi chiede se preferirei che la città
rimanesse così, con il suo milione e mezzo di abitanti e la possibilità
di trovare parcheggio ovunque, le rispondo di sì. “We like as it is”,
ci piace così com’è». In effetti la sensazione che si ha arrivando a
Perth dalla vecchia Europa è quella sì di una città giovane, con meno
di 200 anni di storia alle spalle e un invidiabile futuro di crescita
sostenuta davanti a sé, ma anche di una città che, a dispetto dello
skyline di cemento e cristallo del suo business district, vive ancora
secondo lo stile e i ritmi di un villaggio. Con la gente che si saluta
cordiale, i bambini che giocano scalzi sull’erba, i giovani che si
prendono l’aperitivo a bordo spiaggia e gli adulti che organizzano
eterni barbecue nelle centinaia di parchi metropolitani. Sperando
che nessuno venga a sapere dove si trova il paradiso. A.D.