Lesbo, la "lavanderia solidale" delle "Dirty Girls"

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Lesbo, la "lavanderia solidale" delle "Dirty Girls"
Immigrazione
Lesbo, la
"lavanderia
solidale" delle
"Dirty Girls"
Un gruppo di volontarie provenienti da ogni parte del mondo da mesi assiste i profughi in arrivo sull'isola
greca raccogliendo indumenti abbandonati durante gli sbarchi, ripulendoli e redistribuendoli
di GIOVANNI PIAZZESE
07 marzo 2016
Vengono da ogni parte del mondo, Svezia, Australia, Danimarca o Irlanda, per ritrovarsi a Lesbo. Alcune si trattengono per brevi periodi
per poi tornare tra le aule di università o al proprio lavoro, mentre altre prolungano la permanenza fino a diverse settimane. Vite di persone
diverse accomunate dal fatto di essere delle Dirty Girls - ragazze sporche - un gruppo di volontarie che lava, ricicla e ridistribuisce gli
indumenti, le scarpe e le coperte lasciati dai migranti dopo lo sbarco sull'isola.
Il progetto, finora l'unico nel suo genere, è stato lanciato nell'ottobre 2015 dalla volontaria australiana Alison Terry-Evans, la quale ha
vissuto per molti anni in Grecia prima di dedicarsi all'accoglienza dei migranti. "Ho notato che c'erano vestiti perfettamente integri gettati
nelle discariche. Non potevo accettarlo così ho cominciato a raccoglierli e a pulirli" dice Alison. Come lei, anche Gittan Norder, svedese, ha
sentito il bisogno di fare qualcosa "Facevamo il bucato in casa o negli hotel per cercare di recuperare i vestiti migliori perché ci dispiaceva
buttarli".
La svolta arriva grazie al titolare di una lavanderia, Peter, che accetta di mettere a disposizione di Alison e delle altre volontarie la sua
struttura. "Cercavo una lavanderia dove poter lavare i vestiti e solo Peter ha reagito positivamente alla mia proposta" sostiene Alison. Da
allora, molte tonnellate di indumenti, coperte e scarpe sono passati tra le mani delle Dirty Girls, il cui modus operandi è perfettamente
integrato con quello di altre organizzazioni e gruppi di volontari che svolgono altre funzioni.
"Quando una barca giunge sull'isola, i volontari che accolgono i migranti li indirizzano nei campi gestiti dalle tante Ong presenti sul
territorio. Lì possono riposare, rifocillarsi e cambiarsi i vestiti" dice Gittan. "A quel punto - prosegue - gli indumenti zuppi e sporchi sono
posti all'interno di casse di metallo, 20 in tutto, collocate nei principali punti di sbarco, che vengono successivamente raccolti dalle Dirty
Girls o dagli impiegati di Peter e trasportati in lavanderia".
In una giornata media di lavoro si riescono a lavare circa 300 kg di vestiti, anche se "durante il picco degli arrivi abbiamo pulito 14.000 kg di
vestiti a settimana" sostiene Gittan. Un dato che però non tiene conto delle coperte, 10.000 in tutto. Il recupero di questi vestiti, oltre ad
avere uno scopo umanitario, ha anche un impatto diretto da un punto di vista ambientale, specialmente se confrontato con il riciclaggio di
altri materiali, come ad esempio i giubbotti di salvataggio, raccolti in specifiche discariche ma ancora in attesa di essere trasferiti dalle
autorità. Una di queste, a ridosso del piccolo borgo di Molyvos, ha accumulato qualcosa come 38.000 metri cubi di giubbotti di salvataggio
e altro materiale raccolto in spiaggia, secondo quanto riferito dal portavoce del sindaco di Mitilene, Marios Andriotis.
Si tratta di numeri che rivelano solo in parte l'enormità dei flussi migratori che hanno interessato l'isola. Secondo l'Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni, infatti, nell'ultimo anno sono transitati ben 856.000 migranti da tutta la Grecia, di cui oltre 500.000 nella
sola Lesbo. Cifre importanti che, però, non hanno spinto gli stati europei a trovare una soluzione condivisa del fenomeno, preferendovi
invece arroccamenti pericolosi che hanno portato all'erezione di barriere tra un paese e un altro.
"Penso che la Grecia non possa farcela da sola a gestire tutto questo" dice Gittan. "Bisognerebbe garantire il diritto all'asilo a tutti quelli
che fuggono da una zona di guerra e comprendere che non rischiano la vita perché vogliono farlo, ma perché non hanno alternative."
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