Festival di Torino. Vincono "Shell" e "Noi non siamo come James

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Festival di Torino. Vincono "Shell" e "Noi non siamo come James
07/01/13
Festival di Torino. Vincono "Shell" e "Noi non siamo come James Bond"
7 gennaio 2013
Festival di Torino. Vincono "Shell" e "Noi non siamo com
James Bond"
Ansa | Pubblicato: 01/12/2012 18:35 CET Aggiornato: 01/12/2012 18:35 CET
A vincere in questa trentesima edizione del Torino Film Festival è stata la malinconia e la solitudine di due film apparent
come lo scozzese 'Shell' di Scott Graham, miglior film ex aequo con l'italianissimo film-documentario 'Noi non siamo come
di Mario Balsamo.
Insomma la giuria presieduta da Paolo Sorrentino e composta da Karl Baumgartner (Germania), Franco Piersanti, Const
(Romania), Joana Preiss (Francia) ha privilegiato le note grigie di due storie piene di dolore e riscatto.
In 'Shell', atmosfere minimaliste e lunghe attese ad una stazione di servizio di benzina, gestita da padre e figlia.
Lei si chiama Shell (Chloe Pirrie) e lui, amatissimo e giovane padre con crisi epilettiche, Pete (Joseph Mawle).
Insieme vivono in un posto remoto delle Highlands scozzesi tra pochi incontri (in genere quelli dei soli clienti), molti silenz
entrambi di fuggire. Shell e Pete fanno famiglia dopo che la madre di Shell li ha abbandonati da molto tempo. Per la ra
che quella solitudine non sia poi così dolorosa, ma in realtà sarà l'ultimo inverno che passerà tra quelle piovose montagne
Una storia molta bella di amicizia, vita, malattia, futuro e poesia è quella invece raccontata da Mario Balsamo e Guido G
non siamo come James Bond'. Un film che lascia l'amaro in bocca, ma poi redime con la storia vera di questi due ultra-cin
scoprono di non essere mai stati dei James Bond anzi, si sono ammalati di tumore, si sono poi risanati, ma non hanno an
a sognare.
Era il 1985 quando i due, il primo regista e il secondo editore, decisero di fare il loro primo viaggio assieme. Da allora è
tempo, ma ora provati dalla vita decidono di affrontare una nuova avventura e partire per un viaggio filmato sulla loro amic
dell'esistenza, sulla malattia.
Insomma i due amici, come si vede appunto nel documentario, si fanno riprendere mentre vanno dal medico per i co
litigano, mentre parlano di come è cambiata la loro vita dopo la malattia. Tornano poi sui luoghi dell'infanzia, la spiaggia
Perugia dove improvvisano un concerto in strada e poi a Milano e Roma le città attuali dell'uno e dell'altro. Vestiti in smok
sorta di blues brothers stagionati e a bordo di una Mini Minor anni Sessanta, i due hanno solo una vera ossessione: quel
Sean Connery.
Dopo aver ricevuto qualche consiglio dalla prima Bond Girl italiana, la fascinosa Daniela Bianchi, Guido e Mario prendon
cercano più volte Sean per spiegare le loro ragioni e confrontarsi. E all'alba di un giorno d'estate, a bordo di una mini te
del 1985, dall'altro capo del filo arriva la risposta di Sir Connery che, rivelando una natura altrettanto umana, dice "mi spia
stare al telefono sto facendo dei controlli medici...".
www.huffingtonpost.it/2012/12/01/festival-di-torino-vincono_n_2224206.html?view=print&comm_ref…
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TORINO: NOI NON SIAMO COME JAMES BOND, DA APPLAUSI
29 novembre 2012
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Più che il titolo di un bel documentario di Mario Balsamo e Guido Gabrielli, una dichiarazione sul
mondo di oggi messo a confronto con quello di quasi trent’anni fa.Noi non siamo come James
Bond. Era il 1985, infatti, quando Mario e Guido in un piccolo cinema di Reykjavík si imbattono in un
film di James Bond con Sean Connery. Nel 2011, invece, decidono di girare un documentario che
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parte dal ricordo lontano di quel viaggio avventuroso e, malgrado le mille difficoltà, arriva lontanissimo.
Fantasy
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“Bisogna essere spilorci - dice Mario - si deve viaggiare sempre spendendo il meno possibile. Altro che
anno: 2012
grandi alberghi”. Dopo altre piccole epopee, per esempio un memorabile Latina-Amsterdam, monta
Regista: Peter Jackson
sempre di più la voglia di dirne quattro a Sean Connery e alle dimostrazioni di lusso di 007. Anche
perché entrambi i vecchi amici hanno avuto qualche problema di salute e hanno capito ancor più la
differenza tra le esagerazioni su grande schermo e miseria del vivere quotidiano.
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anno: 2013
L’opera italiana si distingue tra tutti i film della sezione Torino 30 della giornata. Nel mongoloThe
Regista: Giuseppe Tornatore
First Aggregate, nel drammone giovanile tedesco Am himmel der tag (Breaking Horizons) di
Pola Beck e nel fumoso Sun Don't Shine non c’è il cuore del doc girato tra Roma centro e le
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JACK REACHER - LA PROVA
DECISIVA
logiche di un progetto audiovisivo. Quale elemento influenza l’altro?
Alla fine, la coppia di amici riuscirà in qualche modo a portare a termine il progetto. Saranno in grado
di colmare il vuoto lasciato da un vecchio sogno mai realizzato, reso nuovamente urgente dai casi
dalla vita. Anche se a questi ultimi, i dottori in camicie bianco, danno dei nomi spaventosi: massa
tumorale maligna e leucemia. Toccante l’esperimento diNoi non siamo come James Bond, filmare
Azione, Thriller
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03 gennaio
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Regista:
Christopher
anno: 2013
Regista: Carlo Vanzina
la propria vita, le proprie abitudini quotidiane, le ore passate con gli amici, i discorsi più che le azioni,
per dare un senso ai problemi che capitano. Chissà che vita avrà questo piccolissimo documentario
THE MASTER
privato. Speriamo solo che i pensieri di Guido e le insicurezze di Mario siano ascoltate non solo dai soliti
Drammatico
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noti dei festival. Anche perché fanno proprio bene.
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MARIO BALSAMO: "VOLEVAMO ESSERE JAMES BOND"
28/11/2012
"Noi non siamo come James Bond", docudrama wendersiano sulla
malattia in concorso al TFF
[di Cristiana Paternò]
TORINO - Terzo italiano in concorso al Torino Film Festival,
Noi non siamo come James Bond, ha un netto sapore
wendersiano per l'intreccio di vita vissuta e vita filmata,
entrambe fino allo spasimo, ma con leggerezza e autoironia:
la malattia mortale e la fine dell'illusione di immortalità
raccontata da due cinquantenni in smoking e piedi scalzi che
trent'anni prima sognavano 007 durante un viaggio in Islanda e
ora hanno valicato il crinale di una malattia gravissima, che
poteva essere senza ritorno. Si parte dalla domanda "perché ci
siamo ammalati?" e si arriva al "perché siamo guariti?".
Prodotto da Gianfilippo Pedote, acquistato da Rai Cinema,
con la giusta voglia di uscire in sala, il film, realizzato da
Mario Balsamo e Guido Gabrielli, avrà anche una serata per la ricerca sul cancro con Totti e
Verdone come testimonial. Del docudrama Verdone è entusiasta, tanto da aver detto: "è un
insegnamento su come affrontare il passaggio di una grande avversità". Ne parliamo con Balsamo,
documentarista, autore, tra gli altri, di Sognavo le nuvole colorate.
Come avete fatto a coinvolgere Verdone?
E' stata un'idea di Guido. Pensava che il nostro film potesse piacergli per la chiave surreale e gli
abbiamo mandato una mail a cui ha risposto. Stava lavorando con Paolo Sorrentino come attore, ma
quando l'ha finalmente visto, mi ha scritto una email toccante, commovente, con parole semplici,
dirette e spontanee. Ha trovato poesia nel nostro lavoro e ci ha rivelato, in un videomessaggio, la
sua fede che l'anima sopravviva al corpo. Mi è venuta anche la voglia di dedicare una serie di
documentari a questi temi - la malattia, la morte - affrontati da persone popolari.
Il progetto vi ha portato a elaborare non solo la malattia, ma il vostro rapporto con il tempo,
con le aspettative e le illusioni, mettendovi in scena con coraggio ma anche con un quantum di
narcisismo.
All'inizio volevo raccontare la malattia parlando di cardiopatici gravi, ma mi sono accorto che,
essendo uscito dall'esperienza del cancro, sovrapponevo troppo quello che io stesso pensavo. Il mio
cinema, del resto, è sempre una danza tra l'autore e il testimone. Così ho proposto all'amico di
sempre Guido, guarito dalla leucemia, di farlo insieme, col tacito accordo che non ci sarebbe stata
retorica né lacrime. Insomma, volevamo parlare delle possibilità che una malattia ti offre, come
succede in La guerre est declaré, di Valérie Donzelli, che ho visto dopo e che mi ha impressionato
perché sia apre con la stessa scena iniziale, quella di una tac.
Un altro modello, evidentemente, è l'episodio "Medici" di "Caro diario".
Moretti ha reso possibile parlare della propria malattia e mettersi in gioco quando si è malati. Una
malattia grave dà la sensazione che la tua vita sia in frammenti con i pezzi che volano da tutte le
parti, alcuni si spezzano, altri si infilano sotto il tavolo. Ma questo disastro può diventare
l'opportunità per comporre un mosaico differente. Ho ritrovato di recente i miei compagni delle
elementari e mi ha colpito come tutti mi ricordassero buffo e simpatico mentre io avevo il ricordo di
un bambino travagliato, chiuso in se stesso. E' stata una rivelazione, ma anche la conferma del fatto
che i punti di vista, alla Marquez, non sono statici. E poi mettersi in scena soggettivamente vuol dire
giocare a carte scoperte col pubblico.
In una scena molto divertente, ma anche amara, c'è sua madre che le legge le carte. E rivela
che a lei non aveva parlato della sua malattia.
Con mia madre ho sempre avuto un rapporto di grande conflittualità ma anche di innamoramento
reciproco. Allora mi sono chiesto se fosse giusto che una madre ottantenne sapesse di una malattia
così grave e non me la sono sentita di dirglielo, ma poi non potevo non coinvolgerla nel film. Un
mese fa ho deciso di parlargliene e questo anche grazie al progetto.
Guido, a un certo punto, ha un incidente stradale e chiede di spegnere la macchina da presa.
Poi quando scopre che non è stato così, si infuria. E' una classica irruzione della vita nel
cinema.
Era importante che la vita entrasse a gamba tesa nel film, che la finzione si mescolasse con la
realtà. Guido, ripreso in quel momento di fragilità, si è sentito tradito e mi ha accusato di
news.cinecitta.com/people/intervista.asp?id=5917
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Cinecittà Personaggi
sciacallaggio. Questo perché lui pensa che i film siano una cosa e la realtà un'altra, mentre io no.
Il film è contrappuntato dai tentativi di entrare in contatto con Sean Connery, il vostro idolo di
ventenni, l'uomo invincibile e seduttivo, oggi alle prese con "un problema medico"...
L'abbiamo inseguito con tante telefonate e alla fine ci ha parlato mostrando, secondo me, una sottile
per quanto sbrigativa complicità. Gli manderemo il film, che è dedicato a lui, oltre che alla memoria
di mio padre e alla madre di Guido.
Avete capito perché si guarisce?
Non l'abbiamo capito, ma sappiamo che essere in due aiuta. L'amicizia quantomeno ti permette di
vivere bene.
scrivi alla redazione
news.cinecitta.com/people/intervista.asp?id=5917
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DOC DOC
di Gianfranco Pannone
La mia generazione
Permettete due parole sulla mia generazione? Certo, il concetto di generazione va preso con le pinzette, so bene che non
esistono confini d’età in grado di stabilire un inizio e una fine del percorso di ciascuno di noi. Però, essendo tutti quanti
figli della propria epoca, stabilire di dieci anni in dieci anni (e forse qualcosa di più) l’esistenza di una generazione,
serve anche ad azzardare dei bilanci storico-esistenziali.
In questo caso mi sto riferendo a chi come me, collocandosi tra i quaranta e i cinquant’anni, il decennio dei settanta lo
ha toccato appena, per poi vivere in pieno i controversi anni Ottanta, fino alla Caduta del Muro di Berlino e, qui in
Italia, arrivando alla simbolica esplosione di Tangentopoli.
Una generazione, la mia, per molti versi fragile rispetto a quella che ha fatto il ’68 e i Settanta, aggiungerei anche più
vulnerabile perché frammentata, quasi invisibile. E che, al contrario di quella che l’ha preceduta, non ha preteso di
volere tutto.
Però (c’è sempre un però in agguato, almeno per me), proprio per questo motivo una generazione, la mia, che sento più
laica (relativista?), nel fondo umana, sensibile, persino con un tanto di riservata sofferenza da rivendicare rispetto ai
fratelli maggiori, ben più spregiudicati.
Basta andare a cercare i non pochi racconti di vite reali che sono stati realizzati negli ultimi mesi, grazie ad alcuni tra i
migliori cineasti italiani, per rendersene conto: dagli ex ragazzi di periferia prigionieri di una Napoli perduta ne Le cose
belle, di Ferrente&Piperno, agli sfoghi poco condivisibili ma terribilmente veraci di un italiano qualunque in
Terramatta, di Costanza Quatriglio; dal riemergere di una storia quasi dimenticata, quella degli albanesi arrivati in Italia
nei primi anni Novanta in cerca di fortuna, ne La nave dolce, di Daniele Vicari, al nuovo “ordine” urbanistico (e, infine,
soprattutto umano) delle periferie londinesi in Home sweet home, di Enrica Colusso… Per non dire del bell’esordio nel
cinema di finzione di Leonardo Di Costanzo e, immagino (non l’ho ancora visto), di quello di Alina Marazzi.
Tutte storie che raccontano realtà complesse, insomma, per giunta difficili da vedere incellofanate nelle ideologie… Ed
è questo che deve far pensare!
Forse il film che quest’anno meglio esprime l’umanità laica e persino dolente della mia complessa generazione, è Noi
non siamo come James Bond, del mio amico Mario Balsamo, appena presentato con successo al Torino Film Festival,
nel concorso internazionale.
Un film originale, poetico, straziante fino a far male, in una parola bello, perché maledettamente sincero e sofferto. Ma
anche un film affatto triste, anzi denso di un umorismo leggero e toccante, nel quale (generazionalmente) mi riconosco
in pieno.
Mario, che condivide questa sua ultima fatica, dietro e davanti la macchina da presa, con l’amico e compagno di
avventure Guido Gabrielli, si racconta in prima persona, senza risparmiarsi, mettendosi anche a nudo di fronte allo
spettatore.
Sia lui che Guido hanno affrontato la durissima prova della malattia, il primo per un tumore alla gamba, l’altro a causa
di una leucemia, i cui postumi, purtroppo, hanno ulteriormente compromesso la sua salute fisica. Ed è da questa
condivisione non priva di malinconia ma densa di significati, che comincia il loro viaggio buffo e donchisciottesco tra
passato e presente. Un viaggio della mente, prima di tutto, perché il film non va oltre Roma, Orvieto e Latina,
quest’ultima città senza mura (così la definì Renato Nicolini), dove sia Mario che Guido sono cresciuti, come me, da
ragazzi.
Entrambi sono uomini feriti e le loro ferite non sono solo quelle fisiche, ma anche quelle dell’anima. Tra un dialogo
surreale di fronte alla madre di Mario, che legge i tarocchi a entrambi, e un ballo ironico e propiziatorio, che riporta agli
anni della gioventù, chiunque sia vicino o dentro i cinquant’anni e che abbia coltivato in sé un pizzico di personale
utopia, non può che riconoscersi nel viaggio interiore di queste due anime zoppicanti. Tutti da adolescenti (ma, proprio
come i nostri antieroi, quanti di noi, magari un po’ di nascosto, anche dopo!) avremmo voluto essere James Bond; ma
lui è lontano, irraggiungibile, persino quando lo ascoltiamo in carne ed ossa al telefono… A scambiare due battute con
Mario è, infatti, Sean Connery, che anni prima lui, benché avvezzo a visioni più cinefile, aveva ammirato insieme a
Sergio in uno dei tanti film della saga del celebre 007. Finalmente raggiunto nella sua villa alle Bahamas, anche
Connery non ha tempo per ascoltare dei comuni mortali, ha altro da fare che dedicare il suo prezioso tempo ai due
scalcagnati clown! I quali, pantaloni neri, scarpe lucide e camicia da gala, prendono il sole d’inverno sulla bella ma pur
sempre domestica spiaggia di Sabaudia.
Mario e Guido siamo tutti noi, quelli che, passati o meno per la malattia, ormai hanno superato abbondantemente gli
“anta”; anime in pena (ma non per questo tristi) che, raggiunta la mezza età, faticano ad accettare il tempo che passa e
vorrebbero che, malgrado tutto, il loro piccolo grande sogno laico, che non anela certo alla luna, continuasse a vivere.
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Gianfranco
Pannone,
http://www.gianfrancopannone.splinder.com
novembre
Gianfranco Pannone è nato a Napoli nel 1963. Vive e lavora a Roma. Laureatosi in Storia e critica del cinema nel
1988 e diplomatosi in regia al Csc nel 1990, è documentarista da quindici anni. Il cinema che propone è rivolto alle
vicende italiane degli ultimi settant'anni, con una particolare attenzione allla dialettica tra storia popolare e storia
ufficile. Il suo approccio visivo non convenzionale, gli ha permesso di partecipare a diversi festival nazionali e
internazionali. Insegna al Dams di Roma Tre e alla Act-Multimedia di Roma. Con Mario Balsamo ha firmato
quest'anno "L'officina del reale - Fare un documentario: dalla progettazione al film", edito dal (Centro di
documentazione giornalistica) con Act-Multimedia.
Tra i suoi documentari: Piccola America ( film doc.1991); Lettere dall'America (film doc 1995); L'America a Roma
(film doc.1998); Pomodori (film doc.1999); Sirena operaia (doc 2000); Latina/Littoria (2001); Pietre, miracoli e
petrolio (2004); "Cronisti di strada" (2007); Il sol dell'avvenire (2009), Immota manet (2009), "ma che Storia..."
(2010), "Scorie in libertà" (2011-2012) e "Ebrei a Roma" (2012).
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30° Torino film Festival – Noi non siamo come
James Bond di Mario Balsamo (Italia, 2012) –
Concorso
Di: Paola Di Giuseppe
Pubblicato il 29 novembre, 2012
In Concorso, news, recensioni, strana-illusione, TFF30
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30° Torino film Festival – Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo (Italia, 2012) – Conco…
Scritto e interpretato da Mario Balsamo con Guido Gabrielli, Noi non siamo come James Bond
è un viaggio sul filo di una memoria allegramente rievocata e dolorosamente necessaria, ora che la vita
alle spalle è sentita come più lunga di quella davanti e una pesante malattia, sconfitta a fatica, ha lasciato
il sapore agrodolce del tempo perduto.
Due amici, trent’anni passati insieme e un bel carico di ricordi da sfogliare. Una Mini d’epoca in affitto
prima, degli Intercity poi, i luoghi di un’ amarcord reale e fiabesco insieme e un’idea in bilico tra il
fenomenale e il surreale: telefonare a Sean Connery, unico e solo interprete riconosciuto del mito della
loro giovinezza, James Bond.
Terzo film italiano in concorso al TFF, nasce da un’amicizia fraterna, quella di Mario e Guido, da un
lontano viaggio a Reykjavik, era il 1985, e dall’idea partorita allora di fare un film che dichiarasse
pubblicamente che loro, in giro per il mondo con canadese, lira contata e ragazze zero, non erano
proprio come quel concentrato di machismo e tecnologia, bellissime donne e hotel superlusso,
champagne a colazione e smoking senza una piega: “Avevamo vent’anni, andavamo all’avventura, e
l’agente segreto di Sua Maestà (che incrociavamo nei cinema di mezza Europa) sembrava deriderci e
che ci guardasse dall’alto con le nostre magliette sozze e la tenda canadese”.
Cicatrici interiori e necessità dei sentimenti per sopportarle, leggerezza e ironia per continuare a vivere,
ed ecco materializzarsi Daniela Bianchi, la prima Bond girl italiana, la fascinosa spia russa Tatiana
Romanova di From Russia With Love, e l’agente segreto al servizio di Sua Maestà più amato al
mondo, completo dei suoi formidabili gadget, la ventiquattrore ultra accessoriata e le scarpe con il
coltello retrattile,!sembra a portata di mano.
Ma adesso non è più quel Bond ad attirarli. Sono passati ventisei anni e due tumori, guariti, non si sa
come, con strascichi, soprattutto per Guido. La vita continua, però, e mettersi in gioco resta imperativo
categorico, dunque quel film vogliono farlo, oggi che, ancor meno di allora, sono come James Bond e il
bisogno di parlare di quel cancro, (anzi, dice Mario, “fargli delle domande”) è forte. Ma vogliono anche
riderne, per esorcizzarlo.
E allora cosa c’è di meglio che chiedere all’immortale per antonomasia, James Bond, come si fa a
diventare immortali anche loro?
Possono chiederlo solo al grande Sean Connery, dunque bisogna rintracciarlo, fare lo spelling del
nome alla centralinista, superare schiere di segretarie epress agent, insomma ci vuol pazienza.
Quando finalmente, in un inglese non esattamente fluido, riusciranno a parlargli, si sentiranno
cortesemente rispondere da un anziano signore che al momento si trova alle Bahamas, che non è lì per
lavoro ma per cure mediche, che non può in alcun modo essere utile e che li saluta codialmente.
E’ invecchiato anche lui! Solo il mito cinematografico non muore mai, anzi ringiovanisce, mentre “noi
siamo (stati?) a braccetto con la morte, insieme a lei a guardare i soffitti della sala operatoria, un
tramonto al mare, un affettato misto in trattoria…”
Sabaudia, la spiaggia dei bivacchi spensierati a tirar l’alba, le piazze di Umbria Jazz dove Guido
riscopre la sua anima musicale, il parco per pomiciare in mezzo ai cespugli: scorrono i luoghi della
memoria in un film semplice e disadorno solo all’apparenza,overload di rimandi emotivi nella realtà.
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30° Torino film Festival – Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo (Italia, 2012) – Conco…
Presenza incombente della morte, corpi che la malattia indebolisce e devasta, non riconoscersi più, l’idea
di sé non più corrispondente con quello che appare allo specchio.
Mario e Guido attraversano insieme anche questo valico della vita, le cicatrici non sono ancora
rimarginate e forse non lo saranno mai, ma resta un’amicizia più che fraterna G
( uido – dice Mario- è il
fratello maggiore che non ho avuto) legame che ha superato i contrasti, inevitabili, le amarezze, che
costellano la vita di tutti, e, soprattutto, la malattia.
Con i due smoking neri alla James Bond attraversano la scena di una stralunata ma tanto reale commedia
umana, poi entrano in acqua lasciando sulla riva i vestiti, il cinema si riprende le sue maschere, la vita i
suoi uomini. Ma quale delle due è la storia più vera? La discussione fra Mario e Guido su questo punto
ha l’aria di non finire tanto presto.
Film di sommessa, disarmante verità, amabile incursione in un mito del cinema con un’identificazione a
rovescio: noi non siamo come lui, e la vita ce l’ha insegnato in tutti i modi, ma l’abbiamo amato e
ammirato, è giusto che sia immortale, come tutti i miti. Servono, per continuare ad essere uomini.
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Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe, di origine abruzzese, vive e lavora a Treviso dove insegna Greco e
Latino. Il cinema è una passione nata fin dall’infanzia che l’ha portata, nell’era del web,
a collaborare con alcune testate on line con recensioni e approfondimenti. Si occupa in
particolare di cinema giapponese, di cui ha curato varie filmografie, da Ozu a Kitano
passando per Kurosawa, Mizoguchi e Oshima, ma anche l’Heimat di Reitz e la l’intera
filmografia di Lanzmann hanno occupato gran parte del suo tempo in approfondimenti
relativamente recenti.
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