ing. Claudia Ferrari - Regione Emilia Romagna

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ing. Claudia Ferrari - Regione Emilia Romagna
Pronto intervento ambientale:
le professionalità necessarie
per gestire l’inaspettato
AIG Europe Limited e Norton Rose Fulbright
Ing. Claudia Ferrari Regione Emilia Romagna
Direzione Generale Ambiente
Emergenze ambientali, controllo del territorio
e professionalità degli operatori – difficoltà di un
settore “cenerentola”
Normativa Comunitaria
Da molti anni fatica a decollare anche a livello comunitario una
vera e propria normativa ad hoc sul suolo, questo perché il
divario normativo tra i paesi del nord europeo e il sud e l’est
della UE si è troppo dilatato. Ci sono comunque due principi
molto chiari, spesso irrisolti dalla normativa nazionale: CHI
INQUINA PAGA – e il PRINCIPIO DI PRECAUZIONE (1).
La parte dedicata alle Bonifiche dei Siti contaminati del dlsgs
152/06 necessita di una modifica sostanziale, perché molti
sono gli aspetti poco risolti, sia dal punto di vista giuridico –
amministrativo, sia tecnico, e non aiutano le continue
integrazioni/modifiche effettuate ogni tanto e riportate in
norme che riguardano altri settori.
[1] Sul piano generale il principio di precauzione comporta
che le autorità pubbliche, pur in presenza di incertezze
scientifiche, sono tenute all’adozione di misure appropriate al
fine di prevenire taluni rischi potenziali per l’ambiente,
facendo così prevalere le esigenze connesse alla protezione di
tali interessi nei confronti di quelli economici (Corte di
Giustizia, sentenza 5 maggio 1998, causa C-180/96).
Scarsa consapevolezza dell’importanza della
materia
Rispetto all’aria che si respira e all’acqua che si beve, ciò che è
nascosto nel terreno sembra non essere prioritario, mentre in
esso, elemento estremamente eterogeneo, composto da aria,
acqua ed elementi minerali, si insinuano le sostanze chimiche
che provengono dalle attività che l’uomo compie sul suolo
(land planning) e qui degradano o permangono, si
trasformano, si muovono fino a raggiungere bersagli umani e
ambientali, danneggiando i primi e limitando gli usi dei
secondi.
Le trasformazioni che spesso avvengono all’interno del terreno
sotto i nostri piedi, sono prevedibili in modo proporzionale alle
conoscenze che riusciamo ad ottenere, sia sulle sostanze che
lo penetrano, sia rispetto alle caratteristiche delle matrici (aria,
acque e suolo) che lo compongono.
Conoscere ciò che è percolato nel suolo, caratterizzare l’area,
spesso costa, ma soprattutto, nei casi complessi, implica il
lavoro di equipe interdisciplinari e grande esperienza, non
sempre a disposizione dei Comuni, che devono affrontare il
problema.
Spesso poi il primo intervento viene fatto senza
informativa alla PA, rendendo difficile a posteriori la
valutazione degli effetti.
L’analisi di una contaminazione è l’unica che
obbliga gli enti a valutare i danni, a stimare
l’inquinamento di acque e terreno (la tutela
è un’altra cosa!!) e a valutare se il rischio
sanitario e ambientale, connesso alla
presenza delle sostanze pericolose, è
accettabile. Potrebbe essere assimilato un
po’ alla valutazione dell’incidente rilevante,
se si considera che a volte gli inquinanti
permangono per anni e nessuno stima gli
effetti nel tempo.
Carenze formative e conoscitive degli apparati
tecnici
Il mondo politico fatica a inquadrare i reali effetti di un
inquinamento, se non quando scoppiano i casi importanti e
ci si rende conto di non aver valutato correttamente le
implicazioni economiche e territoriali.
La carenza di formazione, e soprattutto la difficoltà a reperire
staff interdisciplinari, anche nelle strutture pubbliche, oltre
che negli studi di consulenza, porta spesso ad una scelta di
“non agire”, alla politica del “ laisser faire”, bandita dal
campo ambientale da molti documenti della UE fin dalla fine
degli anni 90.
Questo perché le conseguenze di decisioni errate o
improvvisate, possono essere molto dannose per i bersagli
umani e per le risorse ambientali (corsi d’acqua, falde
acquifere, locali interrati di costruzioni,…) che possono
venire a contatto con le sostanze pericolose e persistenti,
che lasciamo nelle matrici ambientali.
Spesso problemi non risolti, si amplificano nel
tempo, e innescano processi irreversibili, che se
non tenuti sotto controllo, producono costi molto
elevati nella ricerca di soluzioni, quando gli
scenari di danno, nel tempo, diventano più
estesi.
Un area contaminata, se mal gestita
soprattutto a livello di comunicazione alla
popolazione, può improvvisamente
scatenare “sollevazioni popolari”, spesso
basate su errate deduzioni, che non aiutano,
anzi spesso portano a decidere per soluzioni
a breve termine costose e poco efficaci.
La tematica dei siti contaminati appare quindi
complessa, una sorta di materia che utilizza le
conoscenze sulle altre matrici (aria, acque,
sedimenti,…), le riutilizza in modelli di
simulazione che tengono conto delle interazioni
tra le sostanze pericolose e le caratteristiche
delle matrici ambientali attraversate, per capire
la destinazione e le forme con cui le prime
giungono a danneggiare le seconde.
Ovvie sono le connessioni col mondo della gestione
dei rifiuti: troppo spesso il terreno contaminato è
considerato un rifiuto, anziché un reattore
biologico- chimico, ed è trattato alla stregua di
un rifiuto (scavo e porto via), non facendo altro
che spostare il problema in un altro luogo.
Connessioni con la pianificazione
economico- territoriale e ambientale
Per quanto attiene alle acque poi, troppo spesso viene
proposta come soluzione la tecnica del “pompaggio ed
eventuale trattamento”.
Essendo le concentrazioni “scaricabili” in superficie (fogne e
corsi d’acqua) meno restrittive di quelle delle falde
profonde, corriamo il rischio di trovarci l’inquinamento al
livello superficiale, e diffuso nelle prime falde, spesso non
confinate e in stretta relazione con i corsi d’acqua
superficiali, a contatto con i bersagli umani.
Da quanto sopra detto si capiscono le implicazioni
economiche che ogni area inquinata innesca a livello locale
ma anche regionale o nazionale, se entra nel circuito dei
finanziamenti pubblici.
Ancor più le implicazioni sono forti e coinvolgono la
popolazione, se le aree inquinate sono connesse ad attività
industriali pericolose, con una storia ricca di controversie
tra gli interessi privati e quelli pubblici, e se vengono
abbandonate da privati che si rendono insolventi.
E quindi il problema, come “ordina” l’ art. 250 del
dlgs 152/06, ricade sui Comuni:
tanto più il Comune è solo
(grazie alla modifica del TITOLO V della
Costituzione e alla Bassanini naz e reg)
e tanto più fatica a gestire il problema,
senza strumenti finanziari
ma soprattutto
senza un adeguato supporto tecnico scientifico
(non è la proposta del primo consulente trovato la
soluzione migliore, e ARPA e AUSL, carenti di
abitudine a dialogare di questi temi e senza
un’approfondita formazione specifica, inducono il
Comune a scelte non sempre molto efficienti).
Vi sono una serie di strumenti, richiesti dalla
normativa di settore, che aiutano la
gestione dei fondi destinati ai siti
contaminati in modo oggettivo, trasparente
e riproducibile, obiettivo raggiungibile se vi
è chiarezza di ruoli e responsabilità tra gli
enti che contribuiscono alle scelte, sia
tecniche sia economiche.
Strumenti di gestione dei siti
contaminati e proposte
In molte altre regioni, la tematica dei siti contaminati è
separata dai rifiuti, con Pianificazione e
programmazione autonome, con strutture adeguate e
coinvolte ampiamente nei processi decisionali
(Conferenze di Servizi).
La Regione dovrebbe svolgere compiti di coordinamento
tecnico, con Province e Comuni, gestire l’Anagrafe dei
siti, stabilire le priorità d’intervento sulla base di un
analisi relativa del rischio, emanare circolari
esplicative della normativa nazionale, interpretare gli
aspetti controversi della norma.
Sarebbe auspicabile a livello nazionale, istituire di
nuovo i tavoli inter-regionali per la
modifica/proposta di leggi specifiche di settore
e circolari nazionali d’interpretazione.
Esigenze organizzative della Regione
Emilia-Romagna