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Le proctiti non IBD
Dott. Gianmichele Meucci
Dirigente medico
Unità Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva
Ospedale San Giuseppe, Milano
(Direttore: Dott Felice Cosentino)
1. Proctiti infettive
Proctiti a trasmissione sessuale
Dopo la netta riduzione avvenuta a partire dagli inizi degli anni 80 in concomitanza con
l’emergenza della infezione da HIV (e delle contromisure igienico-sanitarie prese di
conseguenza), l’incidenza delle malattie a trasmissione sessuale ha avuto negli ultimi anni
un nuovo incremento, in particolare nella categoria degli “uomini che fanno sesso con altri
uomini” (MSM), nella maggior parte degli stati europei (1-2).
Inoltre, dati provenienti da alcune aree degli Stati Uniti indicano specificamente, in questa
categoria di pazienti, un incremento dei casi di proctite (3).
I microrganismi più frequentemente responsabili di questa patologia solo la Neisseria
Gonorrheae (identificabile nel 30-40% dei casi), la Clamydia Trachomatis (20-30%),
l’Herpes Simplex (15-30%) ed il Treponema Pallidum (5-10%), va però notato che in una
percentuale consistente dei casi (dal 15% al 40%) non è possibile identificare alcun
microrganismo (3-4).
I sintomi più frequenti sono ematochezia, dolore anale, tenesmo ed urgenza alla
defecazione; a volte però può essere presente stipsi (4-5).
Gli schemi di trattamento antibiotico raccomandati sono azitromicina 1 gr in unica
somministrazione oppure doxiciclina 100 mg 2 volte al giorno per una settimana.
Dato che entrambi questi antibiotici sono attivi sia contro il gonococco sia la clamidia (vale
a dire i due agenti eziologici più frequentemente implicati) è possibile eseguire in prima
istanza un trattamento empirico, riservando l’esecuzione di test microbiologici ai casi non
responsivi (5).
Linfogranuloma venereo
Il linfogranuloma venereo è una patologia a trasmissione sessuale, secondaria ad
infezione da Clamydia Trachomatis, endemica in Africa, nel Sud-Est Asiatico, del SudAmerica e in alcune isole Caraibiche.
Nel Paesi occidentali era molto diffusa prima dell’avvento degli antibiotici, ma
successivamente era quasi del tutto scomparsa, tanto che negli ultimi 20 anni del secolo
scorso erano stati segnalati solo una cinquantina di casi, tutti concentrati in tre piccole
epidemie verificatesi rispettivamente a Parigi, a Seattle e nelle isole Bahamas (6).
Nel 2003 è stato descritto un cluster di 15 casi nella città olandese di Rotterdam (7-8), e
l’anno successivo i casi accertati in tutta l’Olanda erano saliti a 92 (9).
A partire da allora si sono moltiplicate segnalazioni di casi di linfogranuloma venereo (in
totale ormai più di mille) in diversi altri Paesi europei come Francia (10), Belgio (11),
Spagna (12), Portogallo (13), Svezia (14), Germania (15), Austria (16) e Regno Unito (17),
come pure in Canada (18) ed in Oceania (19-20).
In Italia, in un singolo centro per la cura delle malattie a trasmissione sessuale sono stati
diagnosticati 13 casi fra il 2006 e il 2008 (21).
Tipicamente questa malattia presenta tre fasi distinte: nella prima, che si manifesta in
genere fra i 3 ed i 30 giorni dal momento del contagio, è presente unicamente una pustola
o un’ulcera indolente nel sito di inoculazione. Successivamente, dopo 3-6 mesi compare
una sindrome caratterizzata da linfadenopatia inguinale e/o proctite, in associazione con
sintomi sistemici come febbre, artralgie, mialgie, anoressia.
In particolare, la proctite si manifesta con i sintomi aspecifici sopra descritti per le altre
proctiti a trasmissione sessuale, e può associarsi ad un quadro endoscopico difficilmente
distinguibile da quello della malattie infiammatorie intestinali.
Se non viene istaurata l’opportuna terapia antibiotica, in una fase successiva possono
svilupparsi complicanze quali fistole o stenosi anali oppure un linfedema perianale che
determina un aspetto denominato “linforroidi” o altre volte, impropriamente, “conditomi
perianali” (6).
Tubercolosi del retto
Un coinvolgimento isolato del retto in corso di tubercolosi è un’eventualità molto rara: in
letteratura sono segnalati solo una trentina di casi (22-30), e la casistica più ampia è
composta di 8 pazienti (22): è tuttavia un’ entità da non sottovalutare, perché può avere
manifestazioni molto diverse e pone perciò seri problemi di diagnosi differenziale con
numerose patologie infiammatorie e neoplastiche, tanto che è stata soprannominata “il
grande mimo” (23).
I sintomi più frequentemente descritti sono ematochezia, dolore anale, stipsi o diarrea;
sintomi sistemici sono presenti nel 60-70% dei casi.
Endoscopicamente possono essere rivelate ulcere di diversa forma e dimensione (da
semplici ulcere aftoidi a vaste ulcere a carta geografica), ma a volte sono state descritte
masse simil-tumorali (24). Fra le altre manifestazioni descritte si possono annoverare
stenosi (22, 25-26), fistole (27), e suppurazione rettale (28).
2. Proctite ischemica
Anche la proctite ischemica è un’entità clinica estremamente rara: un’ analisi retrospettiva
effettuata alcuni anni fa presso la Mayo Clinic di Rochester (USA) ha concluso che
rappresenta il 3 per cento della totalità dei casi di colite ischemica, con soli 10 casi
osservati nell’arco di 15 anni (31).
Come le forme localizzate ad altri tratti del colon la proctite ischemica insorge
prevalentemente in soggetti di età avanzata (nella sopra citata casistica l’età media era 66
anni), ma (a differenza di quanto avviene nei pazienti con colite ischemica “classica”), nei
casi di proctite ischemica è quasi sempre identificabile un fattore precipitante come
ipotensione, un evento embolico, interventi chirurgici sull’aorta addominale oppure una
patologia vascolare (31-34): sono stati occasionalmente segnalati casi associati con
patologie autoimmuni (35), assunzione di FANS (36), radioterapia (37), crisi comiziali (38)
o coprostasi (39).
Inoltre il decorso clinico sembra essere nel complesso più severo: sono infatti descritti casi
di sanguinamento massivo (40), casi necessitanti un intervento di proctectomia (33, 41) e
in alcune casistiche è riportata una mortalità del 25 per cento (32).
Sono anche descritti casi esitati in stenosi (42).
Accanto a questi casi di proctite ischemica acuta, esistono alcune segnalazioni di
“proctite ischemica cronica” (31, 43-48). In questi casi non sono mai presenti fattori
scatenanti. I sintomi più frequenti sono diarrea con o senza sangue, dolore rettale, dolore
addominale o incontinenza fecale, e tipicamente persistono per lunghi periodi, non
rispondendo ad alcun trattamento e rendendo invariabilmente necessario l’intervento
chirurgico.
In alcuni di questi casi l’analisi istologica del pezzo operatorio ha consentito di concludere
che alla base di queste “proctiti ischemiche” vi erano patologie vascolari come la iperplasia
miointimale delle vene mesenteriche (una variante della malattia veno-occlusiva
infiammatoria mesenterica o MIVOD) o la displasia fibromuscolare dell’arteria rettale
superiore (43-44, 46-47).
3. Proctite post-attinica
Epidemiologia, manifestazioni cliniche e storia naturale
Nei pazienti sottoposti a radioterapia per neoplasia pelvica è frequente la comparsa di una
proctite acuta, che tipicamente si manifesta fra le 2 e le 4 settimane dall’inizio della
terapia e si risolve spontaneamente nella quasi totalità dei casi, richiedendo soltanto un
trattamento sintomatico con antidiarroici.
Il sintomo più frequente è la diarrea (presente nel 50-75% dei casi) cui si possono
associare dolori addominali crampiformi, tenesmo e molto raramente ematochezia (49).
Più tardivamente (in genere dopo 8-13 settimane, nell’85% dei casi entro 24 mesi ma
occasionalmente anche a distanza di anni dal trattamento) si può invece manifestare una
proctite cronica. L’incidenza esatta di questa patologia non è ben chiara, essendo
risultata, in varie casistiche in massima parte retrospettive, variabile dal 2% al 20% (5055).
In alcuni studi l’incidenza è risultata maggiore nei pazienti che avevano in precedenza
manifestato una proctite acuta, e altri fattori di rischio a volte identificati sono stati la dose
totale di radiazioni somministrata, la giovane età, una pregressa chirurgia addominale e la
presenza di diabete, ipertensione o vasculopatia periferica; è però da notare che nella
maggior parte degli studi non è stato possibile identificare alcun fattore di rischio (49).
Il sintomo tipico è l’ematochezia, che in circa la metà dei pazienti è di entità tale da
richiedere il ricorso ad emotrasfusioni; altri sintomi di accompagnamento possono essere
diarrea, dolore rettale ed urgenza all’evacuazione: solo raramente (meno dell’uno per
cento dei casi) si possono manifestare complicanze come fistole, stenosi o perforazione
(49). All’endoscopia si osservano diffuse lesioni angioectasiche con diffusa fragilità
mucosa e sanguinamento spontaneo: raramente sono presenti ulcere. Le lesioni
tipicamente iniziano subito prossimamente alla linea pettinata.
Anche i dati relativi alla storia naturale di questa patologia sono molto scarsI: è stato a
volte osservato che nei pazienti con sanguinamento lieve le remissioni spontanee sono
piuttosto frequenti (fino al 70-80%), mentre in quelli in cui si rendono necessarie le
trasfusioni una remissione spontanea è pressoché impossibile, e in questo sottogruppo di
pazienti si rende a volte necessario un trattamento chirurgico (55-56).
Terapia
Come recentemente rilevato da una revisione sistematica della letteratura, i trattamenti
proposti per la proctite cronica posti-attinica sono molto numerosi, ma a tutt’oggi sono
disponibili scarsissimi studi controllati, per cui è molto difficile fornire indicazioni
terapeutiche basate su solide evidenze (57).
Per quanto riguarda le terapie farmacologiche, la somministrazione topica sia di steroidi,
sia di mesalazina in monoterapia non si è mai dimostrata efficace (58-59).
La somministrazione topica di sucralfato invece si è dimostrata più efficace di una
combinazione di steroidi topici e sulfasalazina orale in un singolo studio controllato (60),
ed in un altro studio controllato l’aggiunta del metronidazolo ad un regime terapeutico a
base di mesalazina orale e beclometasone topico ha dimostrato un vantaggio significativo
rispetto al trattamento con i soli due farmaci sopra citati (61).
Gli acidi grassi a catena breve, sempre per via topica, in due studi controllati hanno
dimostrato un’efficacia lievemente superiore al placebo, ma senza raggiungere la
significatività statistica (62-63).
Si tratta tuttavia, come è stato fatto notare (57), di dati troppo esigui per potersi tradurre in
raccomandazioni generali.
Altri trattamenti come il sucralfato orale, gli estroprogestinici, le vitamine antiossidanti o la
rebamipide sono state testate solo in studi non controllati (64-67).
Pur in assenza di dati controllati, il trattamento endoscopico è attualmente considerato il
presidio terapeutico fondamentale per la proctite post-attinica.
In passato sono state utilizzate diverse modalità come la fotocoagulazione mediante laser
(Argon laser o Nd:YAG laser), l’elettrocoagulazione bipolare o la termocoagulazione con
heather probe.(68-69).
Negli ultimi anni tuttavia la metodica che ha visto la maggior diffusione, per la sua efficacia
e relativa semplicità di impiego, è la coagulazione con Argon Plasma, che è stata utilizzata
in numerosissime casistiche non controllate (70-83), dimostrandosi costantemente efficace
nell’80-90% dei casi nel ridurre l’entità del sanguinamento e del 60-75% nel ridurre l’entità
di diarrea e tenesmo.
Per raggiungere il massimo effetto sono mediamente necessarie 2-3 sedute, a distanza di
2-4 settimane l’una dall’altra (84).
Gli effetti collaterali sono rari: in circa il 10 per cento dei pazienti compaiono dolore e rialzo
termico che si autolimitano in pochi giorni; le stenosi sono rare ed in genere asintomatiche,
e solo eccezionalmente sono state descritte complicanze gravi quali perforazione o
emorragia massiva (85).
Sono state invece descritte in una cospicua percentuale di pazienti (50-60%) ulcere rettali
asintomatiche, che in ogni caso non controindicano la prosecuzione del trattamento (86).
Un’altra forma di trattamento utilizzata in diverse casistiche non controllate è l’instillazione
topica di formalina (87-104).
La tecnica più frequentemente utilizzata consiste nell’applicazione diretta, sotto controllo
endoscopico, di garze imbevute di formalina al 4% per 2-3 minuti (fino a quando la
mucosa non diviene bianca): sono state però utilizzate anche concentrazioni maggiori (87)
e anche applicazioni tramite instillazione diretta (tempo di applicazione di ogni aliquota da
30 secondi a qualche minuto) (97, 100) o tramite enteroclismi di formalina al 2 per cento
con ritenzione per 2 minuti (86).
Le percentuali di efficacia nelle varie casistiche oscillano fra il 60% e il 100%, ma non è da
sottovalutare il fatto che sono stati descritti effetti collaterali gravi (stenosi, ulcerazioni
anali, dolore anale, incontinenza) nel 5 per cento dei pazienti trattati.
Infine, nelle forme severe refrattarie ad ogni altro trattamento è stata utilizzata
l’ossigenoterapia in camera iperbarica (105-113), che recentemente si è dimostrata
efficace anche in uno studio controllato (105).
Prevenzione
Anche per la prevenzione della proctite post-attinica sono stati utilizzati molteplici
trattamenti, ma i dati sono nel complesso scarsi e poco attendibili.
L’unico farmaco che si è dimostrato efficace in un singolo studio controllato è la
balsalazide somministrata per os (114), mentre dati conflittuali sono emersi da due trials
che hanno utilizzato il misoprostol topico (115-116).
Costantemente inefficace è risultato il sucralfato (117-120), mentre la somministrazione
topica di acidi grassi a catena breve ha determinato una riduzione dei sintomi della proctite
acuta in uno studio controllato (121)
Dati preliminari incoraggianti sono emersi da studi che hanno impiegato la amifostina, un
farmaco con documentati effetti radioprotettivi in vitro che è attualmente in corso di
valutazione per la prevenzione ed il trattamento di diversi effetti dannosi della terapia
radiante (122-125).
4. Ulcera solitaria del retto
L’ulcera solitaria del retto è una patologia cronica benigna che interessa il retto ed è
spesso associata a disturbi della defecazione; anche se spesso viene ritenuta una
patologia tipicamente associata a prolasso rettale, l’entità di questa associazione è
risultata molto variabile nelle diverse casistiche (da 13% a 94%).
La sua incidenza è di circa 1-3/100.000 all’anno e l’età media di insorgenza è 49 anni
(127-128). La causa è sconosciuta, anche se sono stati descritti sporadicamente casi
associati con l’assunzione topica di analgesici o di ergotamina (129-131).
I sintomi più frequenti sono la stipsi (con le tipiche caratteristiche della stipsi da
defecazione ostruita) e l’ematochezia, presenti entrambe in circa la metà dei pazienti.
Nel 20-40 per cento dei pazienti è presente diarrea, più raramente dolore rettale.
E’ però da notare che in circa un quarto dei casi l’ulcera solitaria del retto è del tutto
asintomatica e costituisce un reperto occasionale nel corso di esami endoscopici eseguiti
per altri motivi (127-128).
Dal punto di vista endoscopico, una vera “ulcera solitaria” è presente in realtà in una
minoranza di pazienti (il 35 per cento circa): nel 25-30% dei casi sono infatti presenti
ulcere multiple, nel 25-44% lesioni polipoidi e nel restante 18-27% si rilevano soltanto
iperemia e/o granularità della mucosa (132-134).
In tutti questi casi, come ovvio, possono porsi problemi di diagnosi differenziale sia con le
malattie infiammatorie intestinali, sia con patologie neoplastiche.
Il quadro istologico caratteristico è rappresentato da distorsione delle cripte, sostituzione
dello stroma della lamina propria con fibre collagene e cellule muscolari male orientate,
ispessimento e scompaginamento della muscolaris mucosae (quadro definito
“obliterazione fibromuscolare”) (132).
Recentemente sono stati descritti anche quadri eoc-endoscopici caratteristici, come
disomogeneità della sottomucosa, ispessimento della muscularis propria ed ispessimento
dello sfintere anale interno (135-136).
La diagnosi si poggia principalmente sul quadro endoscopico ed istologico: altre indagini
come la defecografia e la manometria ano-rettale possono essere utili per documentare la
presenza di prolasso anorettale o di dissinergia del pavimento pelvico.
Le possibilità terapeutiche sono piuttosto scarse: in tutti i pazienti sono da raccomandare
misure generali come evitare un eccessivo straining, evitare la manipolazione digitale,
ridurre il tempo passato alla toilette, assumere una dieta ricca di fibre ed eventualmente
lassativi di massa.
Non esistono sicure prove di efficacia della mesalazina e del sucralfato topici, che sono
stati utilizzati solo in studi non controllati (137-140) mentre gli steroidi topici sono risultati
inefficaci (127).
Nei pazienti con evidente sindrome da defecazione ostruita può essere utile il biofeedback (141-144). Esistono segnalazioni aneddotiche sull’efficacia di trattamenti
endoscopici come la coagulazione con Argon Plasma o l’iniezione di colla di fibrina
(quest’ultima utilizzata in un piccolo studio controllato) (145-146).
Nei pazienti con sintomi gravi refrattari ad ogni altro trattamento sono state utilizzate
diverse forme di terapia chirurgica, ma con risultati nel complesso poco soddisfacenti (127,
147-149)..
5. Altre proctiti
Colite cistica profonda
La colite cistica profonda è una rara patologia (meno di 200 casi riportati in letteratura),
che può interessare diffusamente il colon o essere localizzata ad alcuni segmenti colici
(150-151), e recentemente è stata occasionalmente descritta in associazione con le
malattie infiammatorie intestinali (152-155).
In una discreta percentuale di pazienti è localizzata unicamente al retto e in questi casi si
manifesta con un quadro clinico del tutto simile a quello dell’ulcera solitaria del retto (156158).
Il quadro endoscopico è molto variabile, potendo essere caratterizzato da un semplice
edema od eritema della mucosa come da lesioni polipodi, ulcere o masse a cavolfiore.
L’aspetto quindi è molto simile a quello della variante “polipoide” dell’ulcera solitaria del
retto e per questo anche in questi casi si possono porre problemi di diagnosi differenziale
con una patologia neoplastica (159).
L’aspetto istologico caratteristico è quello di cisti sottomucose, e pertanto il quadro
istologico della colite cistica profonda non deve essere confuso con quello
dell’adenocarcinoma mucinoso. (150, 155, 157).
Sindrome dell’ulcera rettale acuta sanguinante
E’ una rara patologia, codificata come tale solo molto recentemente e finora descritta
soltanto in Giappone e Taiwan (160-165).
Si manifesta in pazienti anziani (età media 70 anni), spesso allettati o con elevata
comorbidità, con sanguinamento rettale che in un terzo circa dei casi assume le
caratteristiche di un sanguinamento massivo (161).
Endoscopicamente possono essere rilevate ulcere singole o multiple, di aspetto variabile
da rotonde, a cinconferenziali o “a carta geografica” (160).
La terapia endoscopica mediante emostasi da contatto o posizionamento di clip è efficace
nel 70-80 per cento dei casi (160-162), un altro trattamento utilizzato è stata la sutura
transanale, che in una casistica è risultata efficace nel 100% dei casi ma con una elevata
incidenza di recidive emorragiche, che in genere rispondono nuovamente al trattamento
(163).
Ulcere stercoracee
Le ulcere stercoracee, tipicamente rinvenibili nei pazienti con stipsi cronica ma non
necessariamente solo in pazienti anziani o debilitati, possono essere localizzate in
qualsiasi parte del colon ma nella maggior parte dei casi interessano il retto o il sigma
distale (128).
Pur essendo molto spesso asintomatiche, possono determinare complicanze gravi come
sanguinamento massivo, perforazione o megacolon (166-175). Il loro potenziale patogeno
non è da sottovalutare: in una revisione retrospettiva della casistica dell’Università di
Berna è stato infatti rilevato che in circa il 3,5% dei pazienti operati in urgenza per una
perforazione la causa della perforazione era proprio un’ulcera stercoracea (176).
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