Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile

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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile
Strumenti
strumenti cres n.61 – supplemento al n. 483 di manitese – settembre 2013
spunti di riflessione
03 Decrescita,
e nel Sud del mondo?
di Ilaria Pasotti
a cura di Elena La Rocca
39
Nella grotta
della Madre Idoto
05 Scuole:
Valutazione e Utenza
61
di anna di sapio
42
La collina del vento
(C. Abate)
di Elena La Rocca
06 50 anni di Media
a cura di Gianluca Bocchinfuso
di Elisabetta Assorbi
Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI
in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.
parole, musiche, immagini
38
Le sorgenti del male
(Z. Bauman)
08 Rapporto tra cultura
scientifica e umanistica
di Gabriella Buzzi
44
Il cantore dei poveri cristi
di massimiliano lepratti
45
Monsieur Lazhard
a cura di Laura Morini
percorsi didattici
10 Panta rei: studiare
i Navigli lombardi per
rinnovare la didattica
nel liceo
47
L'asta della terra
di Piergiorgio Pardo e Marina Medi
14 dossier
Democrazia al tempo
del cyberspazio:
una sfida possibile
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – editoriale
Guidare la rivoluzione
per non venirne travolti
Nel dossier di questo numero ci occupiamo di tecnologie multimediali. Ce ne occupiamo da insegnanti che devono fare i conti
con la forma mentis dei nativi digitali, abituati più a cliccare
e digitare che a decodificare testi scritti e formulare pensieri
seguendo la linearità della logica sequenziale.
Ce ne occupiamo da cittadini che registrano il trasferimento
on line della delega a rappresentanti che consultano i propri
elettori attraverso il web, e di elettori che si tengono aggiornati
frequentando i social network.
Ce ne occupiamo da gutenberghiani che sono gradualmente
ma irreversibilmente transitati verso abitudini tipiche della
touch generation: ci informiamo visitando blog e ci incontriamo
in piazze virtuali; avviamo una ricerca esplorativa navigando in
internet; comunichiamo scrivendo e-mail; organizziamo i nostri
interventi pubblici assemblando PowerPoint in cui creiamo link
fra testo, sequenze cinematografiche e brani musicali reperiti
su YouTube.
Ce ne occupiamo da educatori che osservano: la progressiva
riduzione dei tempi di concentrazione dei nostri alunni; la contrazione dei loro tempi di attesa; il loro incontenibile impulso
a fare prima di riflettere; la loro istintiva inclinazione a lasciar
prevalere nelle relazioni interpersonali la dimensione tolemaica dell'io (self related) su quella copernicana (social related).
Ce ne occupiamo con la consapevolezza di chi affronta
un tema complesso e articolato senza l'approfondimento
specialistico degli esperti del settore, né il rigore metodologico
che caratterizza l'esposizione di un accademico, ma con la
convinzione che la questione va affrontata e discussa coinvolgendo i soggetti che, più di qualsiasi altro, stanno rilevando
la divaricazione tra lo studio impostato a scuola e l'apprendimento spontaneo della nuova generazione fuori dalle anguste
pareti dell'aula. Questi soggetti sono ovviamente gli insegnanti,
che, non adeguatamente coadiuvati da tempestivi e coerenti
interventi ministeriali, soffrono il disagio di chi, pressato dalla
velocità e ineluttabilità dei cambiamenti, si vede costretto a
scegliere solitariamente se ignorare le trasformazioni nella
speranza di non restarne impigliati, o mettersi faticosamente
al passo con i tempi affidandosi all'improvvisazione dell'autodidatta.
Gentile lettore,
Dal prossimo numero anche strumenti entrerà nell’era del cyberspazio e passerà al digitale, abbandonando carta stampata e spedizioni.
Se vuoi continuare a leggere i nostri
articoli e approfondimenti scrivici
a [email protected] segnalando un
tuo recapito e indirizzo email.
Ti terremo informato sul nostro
trasloco web e potremo inviarti i
prossimi numeri!
La redazione
Il CRES, nel suo piccolo, dopo aver percepito questo disagio,
ha fatto appello alle sue esigue risorse per aprire un dibattito
e auspicare un esteso confronto. Gli interventi contenuti nel
dossier sono stati infatti elaborati e pubblicati non solo per
riportare esperienze e offrire spunti di riflessione, ma anche
per sollecitare contributi dai lettori che, in quanto protagonisti
delle attività didattiche e punti di riferimento delle relazioni
pedagogiche in classe, vivono quotidianamente la tensione
generata dalla tentazione a restare indifferenti e lo slancio a
intraprendere un percorso di rinnovamento.
L'affermazione e la diffusione delle tecnologie multimediali
sono un dato di fatto. Il loro impatto sulle modalità di strutturare le conoscenze, a scuola e nella vita, è innegabile. Su
questo fenomeno e sulle sue ripercussioni in ambito cognitivo
e psicologico abbiamo avuto il tempo di formarci un'opinione.
Rendiamola quindi organica e pronunciamoci per dare il nostro
contributo di idee. Solo in questo modo i docenti, rivendicando
un ruolo attivo e propositivo, potranno garantire all'interno
dell'istituzione scolastica quella produzione culturale che è
l'unico antidoto contro un'insidiosa polarizzazione tra il mondo
della scuola e la società tecnologicamente sofisticata.
Michele Crudo
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Decrescita, e nel Sud
del mondo?
di ilaria pasotti, ricercatrice in Economia Politica – Un. Cattolica del Sacro Cuore
Premessa
Le crisi, siano esse di carattere economico,
sociale, politico, ambientale, spingono a
riflessioni sulla sostituzione del paradigma
esistente con uno che sia in grado di porre
soluzione ai limiti.
La crisi prima finanziaria, poi economica e sociale iniziata nel 2007 ha rafforzato
il riconoscimento pubblico delle idee della
decrescita.
Il termine decrescita, comparso per la
prima volta negli anni della prima crisi
petrolifera e della stagflazione, ha acquisito
rilevanza nelle discussioni della società
civile, imponendosi come slogan attivistico
in alcuni Paesi soprattutto dell'Europa meridionale (Francia, Italia, Spagna) a partire
dall'inizio degli anni 2000. Da allora, una
costellazione di gruppi e di network –di cui
Strumenti ha dato conto nel numero del
2008– è sorta con l'obiettivo di realizzare
il modello di società alternativo all'attuale
ispirandosi all'ideale della decrescita.
Contemporaneamente, le riflessioni
sulla decrescita si sono fatte spazio in
ambito accademico. Al filone francese,
riconducibile a Serge Latouche e con radici
nel pensiero di economisti e sociologi degli
anni Settanta, si aggiunge quello sviluppato in ambienti anglofoni della così detta
steady-state economy. Riviste scientifiche, come Journal of Cleaner Production,
Environmental Values, Futures, Ecological
Economics, approfondiscono e dedicano
numeri speciali a tematiche connesse alla
decrescita (si veda: www.degrowth.eu
nella sezione delle pubblicazioni).
Il dibattito sulla decrescita non coinvolge solo il Nord Mondo. Nell'ultimo dei
convegni internazionali sulla decrescita
tenutosi a Venezia lo scorso settembre,
uno spazio importante è stato dedicato alla
discussione di come la decrescita possa
rappresentare un'alternativa di sviluppo
per il Sud del Mondo.
Di seguito, dopo aver ripreso i “fondamentali” della proposta della decrescita,
si intende vedere come essi vengono
considerati per il Sud del Mondo attraverso
alcune voci rappresentative originarie sia
del Nord che del Sud del Mondo.
La critica alla società
della crescita
Pur nelle multiformi posizioni ed accenti
che caratterizzano lo scenario del dibattito
sulla decrescita, l'idea di base è che una
crescita economica infinita è incompatibile con un mondo finito e che il modello
di produzione e di consumo deve tenere
conto della capacità di rigenerazione
della biosfera. Il modello produttivo e di
consumo dominante è dunque errato e
destinato a portare la società sull'orlo del
baratro in quanto basato su una logica
completamente opposta: la crescita della
produzione, sintetizzata nell'indicatore
statistico del Prodotto Interno Lordo (PIL),
è considerata –quasi esclusivamente,
data l'introduzione negli ultimi decenni
di indicatori più complessi– la misura più
adeguata per valutare lo sviluppo di un Paese; il soddisfacimento e la generazione di
bisogni di consumo sono considerati aspetti che determinano la sopravvivenza di una
società, come la denominazione stessa di
società dei consumi suggerisce.
Si tratta dunque di costruire un nuovo
modello di società nel quale questi due
aspetti vengano superati. Latouche, personalità di riferimento nel dibattito della
decrescita, ha sintetizzato in otto parole,
le così dette 8 R, data l'iniziale comune
in R, le coordinate che dovrebbero essere
seguite per realizzare questo modello:
rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare,
rilocalizzare, redistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tre di queste hanno una
importanza cruciale: rivalutare, in quanto
presiede qualsiasi cambiamento; ridurre
perché sintetizza gli imperativi pratici del
programma della decrescita; rilocalizzare,
in quanto concerne l'organizzazione della
società. Il primo termine, insieme anche
a “riconcettualizzare” è riconducibile a ciò
che Latouche definisce la “decolonizzazione dell'immaginario”, ovvero per cambiare
la società bisogna innanzitutto cambiare le
mentalità. Rivalutare, nel senso dunque
di cambiare i valori, significa abbandonare
alcuni aspetti legati alla società del consumo e sostituirli con quelli che dovrebbero
caratterizzare la società della decrescita:
l'altruismo sostituito all'egoismo, la collaborazione alla competizione, il piacere del
tempo libero all'ethos della dipendenza
dal lavoro, l'importanza della vita sociale
al consumo illimitato, il locale al globale, il
relazionale al materiale. Ridurre non deve
essere inteso né come crescita economica
negativa (al proposito Latouche suggerisce
di sostituire il termine de-crescita con
a-crescita, per sottolineare che la critica è
al modello della crescita) né come proposta
di un ritorno ad un economia di tipo primitivo. Piuttosto, il principio del “ridurre” nel
programma della decrescita deve essere
basato sul criterio del “fare di più e meglio
con meno”. Così, ad esempio, una revisione
del processi di produzione dei beni di
consumo alimentare potrebbe ridurre gli
sprechi e rendere il nostro approvvigionamento meno vulnerabile ai prezzi crescenti
dell'energia e in futuro della penuria di
idrocarburi; una distinzione tra bisogni
primari e secondari, intendendo con
questi ultimi i bisogni di compensazione
di perdite passate, bisogni di rimedio o di
prevenzione dei danni o creati da sviluppi
precedenti potrebbe essere utile a rendere
sobrio il consumo. Infine, rilocalizzare
significa privilegiare la dimensione locale
nelle relazioni economiche, sociali e politiche, dove “locale” è da intendersi in una
connotazione più ampia e non esclusivamente topografica ma di riconoscimento
identitario e di capacità di creare un'azione
coordinata, fondata sulla solidarietà e la
reciprocità. Su tale base, varie proposte
vengono sostenute: dalla conservazione
e valorizzazione delle attività produttive
locali, siano esse agricole –di qui il rimando al concetto di autonomia e sovranità
alimentare– o manifatturiere ed artigianale, all'incoraggiamento di scambi locali sia
di prodotti che di servizi, all'introduzione
di monete locali.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – spunti di riflessione
A sinisra:
Un bel ritratto di
Albert Tévoédjrè
E nel Sud del Mondo?
Latouche afferma che la decrescita nel
Nord del Mondo e la decrescita nel Sud del
Mondo sono interconnesse tra di loro1.
Da una parte, la decrescita del Nord è
una condizione per la realizzazione di qualsiasi forma di sviluppo nel Sud del Mondo.
Esemplificando egli afferma che fino a
quando Paesi dell'Africa con problemi di
povertà e di fame esportano produzioni
agricole destinate a soddisfare i bisogni
alimentari del Nord, l'attuale modello di
consumo del Nord del Mondo continuerà
a soffocare qualsiasi chance di una reale
autonomia e sovranità alimentare del Sud
del Mondo. Dall'altra parte, il Sud del Mondo deve partecipare alla transizione per il
superamento del dominante modello di
produzione e consumo e l'affermazione di
quello della decrescita. Infatti, con specifico riferimento all'Africa, Latouche sostiene
l'esistenza di una minaccia di “colonizzazione dell'immaginario”: l'imperialismo,
politiche di sviluppo imposte in cambio di
aiuti economici e finanziari e il processo
di globalizzazione hanno imposto l'idea
che il modello produttivo e di consumo del
Nord del Mondo, basato sul concetto di
crescita economica illimitata, siano la via
attraverso la quale innescare e mantenere
lo sviluppo. Il risultato è stato quello di rendere le società del Sud più dipendenti dal
Nord rispetto al passato. Si tratta dunque
per Latouche di rimuovere gli ostacoli che
impediscono al Sud del Mondo di svilupparsi in modo differente ed autonomo. Egli
propone tre R, alternative e complementari
a quelle per il Nord, per la transizione
del Sud verso il modello di decrescita. La
prima è rompere con la dipendenza econo-
1. Latouche (2000), L'altra Africa. Tra dono e
mercato, Bollati Boringhieri, Torino (edizione
originale in francese nel 1988).
mica e culturale nei confronti del Nord. La
seconda è riannodare il filo di una storia
interrotta dalla colonizzazione, le politiche
di sviluppo e la globalizzazione e quindi
ritrovare e riappropriarsi di un'identità
culturale; le storie culturali di molte società
del Sud del Mondo contemplano valori
lontani da quelli alla base della cultura
economica del Nord del Mondo, come
la ricerca del profitto e la concorrenza, e
vicini all'ideale di solidarietà e reciprocità.
La terza è reintrodurre e recuperare i
prodotti, le tecniche ed i saperi tradizionali
delle comunità locali.
Le idee di Latouche non si allontanano
da quelle avanzate più di trenta anni fa
da Albert Tévoédjré, africano nato in
Benin, studi all'estero, successivi incarichi
governativi sia in istituzioni internazionali
come l'ILO che in quelle della sua nazione
ed autore di un libro dal titolo provocatorio
La povertà ricchezza dei popoli (1978). La
povertà nel titolo dell'opera non è da intendersi come sinonimo di miseria ed indigenza ma piuttosto come concetto sia positivo
di sobrietà che operativo ovvero di recupero dei valori autentici non subordinati alle
logiche del potere politico e della ricchezza
economica. Nell'opera, stimolata da Ivan
Illich (la stessa personalità che ha avuto
un'influenza importante nella formazione
di Serge Latouche), Tévoédjré criticava le
idee del mimetismo culturale ed industriale, faceva l'elogio dei valori di reciprocità e
solidarietà inscritti nella cultura africana,
denunciava la dismisura della società della
crescita con la creazione di bisogni fittizi, la
sua disumanizzazione prodotta dal dominio dei rapporti monetari e la distruzione
dell'ambiente. Ogni forma di sviluppo per
essere positiva deve guardare all'uomo e
all'ambiente in cui vive. Il Terzo Mondo
avrebbe dovuto allora rifuggire dai difetti
Albert Tévoédjrè
La povertà ricchezza
dei popoli
EMI, 1985 pp. 252.
del modello produttivo e di consumo del
Nord del Mondo e mantenere e sviluppare
modi di vivere che meglio fossero adatti ai
suoi bisogni fondamentali.
Decrescita e Buen Vivir:
elementi per un confronto
Nel convegno internazionale sulla decrescita e lo sviluppo sostenibile tenutosi a
Venezia, la proposta della decrescita è stata
confrontata con il concetto di così detto
Buen Vivir. Comparso negli ultimi dieci
anni in Sud America, il Buen Vivir vuole
indicare e descrivere un'alternativa di sviluppo a quella del paradigma dominante.
Esso è stato introdotto recentemente nelle
Costituzioni di Ecuador e Bolivia (sebbene
con differenti significati).
L'idea di Buen Vivir condivide con quella
della decrescita alcuni aspetti, anche se in
queste similarità sono rinvenibili sfumature ed accenti che caratterizzano l'una
rispetto all'altra. La prima è la critica alla
crescita economica e dei consumi come
unici indicatori di benessere di un Paese e
dunque all'ossessione del produttivismo
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Scuole:
Valutazione e Utenza
di elena la rocca
Serge Latouche
L'altra Africa.
Tra dono e mercato.
Collana «Saggi. Storia, filosofia
e scienze sociali», Bolllati
Boringhieri, 2000 pp.232.
e del consumismo del modello attuale. La seconda similarità è l'attenzione
verso l'ambiente. Tuttavia, per coloro che
sostengono la decrescita, esso rappresenta
l'elemento da cui partire per confutare la
tesi di una crescita illimitata; per il Buen
Vivir, l'ambiente è soprattutto elemento
attivo, riconosciuto soggetto di diritti che
devono essere salvaguardati e difesi. Il terzo aspetto di similarità è l'enfasi posta sulla
dimensione locale e comunitaria attraverso
la quale si può esprimere sia una resistenza
sia un'alternativa al modello dominante.
Connessa a questa enfasi è la rilevanza riconosciuta all'identità e diversità culturale
come base per rigettare l'imposizione di
un modello che intenda essere accettato
ed applicato perché valido universalmente.
Quest'ultimo aspetto è centrale nell'ambito
del Buen Vivir: il concetto stesso è infatti
costruito tenendo conto della cultura e dei
valori delle comunità indigene; si tratta
di valori che includono il rispetto per la
natura, la reciprocità e la solidarietà, la
giustizia sociale.
All'inizio di marzo il Consiglio dei Ministri
ha approvato in via definitiva lo schema di
Regolamento per la valutazione nazionale
delle singole scuole, tra tre anni i risultati
saranno resi pubblici e le famiglie potranno scegliere la scuola per i propri figli con
maggior cognizione di causa. A contribuire
al voto finale delle singole scuole, saranno
vari elementi tra cui: i risultati degli alunni
nei test Invalsi, l'esistenza di palestre,
laboratori ecc., ma anche l'età e le assenze
dei docenti.
Le fonti giornalistiche non chiariscono
affatto i criteri di valutazione, emergono
però alcuni aspetti discutibili: nella valutazione entrerebbe (penso in senso negativo)
anche l'abbandono scolastico, le immatricolazioni all'università e stage all'estero
(questi ultimi in senso positivo).
Probabilmente hanno ragione quei
sindacati che criticano lo schema di valutazione definendolo confuso e pasticciato
e non è impossibile, conoscendo la scuola
italiana, che l'intero procedimento si
risolva in un inutile e burocratico giro di
carte, ma indubbiamente il tutto rischia di
innescare un processo di differenziazione
tra le varie scuole che non si sa dove può
andare a finire,
Al di là delle illusioni pseudoscientifiche certamente favorirà gli squilibri tra una
scuola e l'altra, tra un'area geografica e l'altra, anche perché insieme alle pagelle che
dovrebbero valutare i vari istituti, si torna
a parlare di finanziare in modo selettivo le
varie scuole “premiando” quelle migliori.
Senza alcun dubbio “dare di più” alle
scuole migliori significa allargare la forbice:
come è stato già detto e ripetuto, le “buone
scuole” miglioreranno e le “cattive” peggioreranno. Il fatto è così evidente che viene
naturale domandarsi perché l'idea di un finanziamento selettivo viene continuamente riproposta in questi termini, ponendo al
massimo il problema di come si possa valutare in modo oggettivo i risultati raggiunti.
Si crede probabilmente che, messi di fronte
alla necessità di ottenere maggiori finanziamenti, i professori si daranno da fare in
modo particolare, cercando di raggiungere
dei buoni risultati per ottenere appunto i
relativi finanziamenti, mentre, sapendo
che i soldi arrivano in ogni modo i docenti
si adagino in una routine quotidiana, senza
alcun impegno particolare. Si tratta in definitiva della vecchia idea che la competizione renda sempre migliore l'offerta; scuola,
istruzione, cultura dovrebbero migliorare
come qualsiasi altro prodotto sotto la
spinta di una competizione in questo caso
indotta dall'alto.
Chi pensa in questi termini di solito si
sente moderno ed innovatore, a me sembra ingenuo se non in malafede, essendo
il problema educazione/istruzione molto
complesso e non riducibile ad una partita
di dare ed avere. Non mi interessa qui affrontare il problema nella sua complessità,
vorrei solo esaminare un aspetto fondamentale che viene troppo spesso dimenticato se non tabuizzato quando si paragona
un istituto ad un altro per capire quale sia
il “migliore”: la scuola è fatta prima di tutto
dagli studenti che la frequentano, è l'utenza che dà il tono generale, tanto è vero che
se si attua una preselezione scegliendo i
giovani migliori il livello di un istituto si
alza immediatamente.
Tocca poi ai professori (programmi,
libri di testo) accompagnare gli studenti in
un percorso di crescita ed istruzione, ma
dal tipo di utenza che ci si trova davanti
si deve partire e di quella si deve tenere
conto. Se un'università riesce a farsi una
buona fama ed attirare molti candidati tra
cui scegliere i migliori vedrà ben presto
instaurarsi un ciclo virtuoso: risultati migliori sulla piazza che attireranno studenti
più bravi che a loro volta produrranno
risultati migliori.
Ma quali sono i fattori che determinano
una buona utenza e fanno si che un gruppo
di studenti sia un “buon gruppo”? Direi che
si potrebbe dividerli in tre filoni, anche se
spesso si intrecciano tra loro:
1. fattori individuali,
2. famigliari;
3. territoriali.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – spunti di riflessione
I fattori individuali sono i più evidenti:
un gruppo di ragazzi intelligenti può dare
grandi soddisfazioni ad un buon insegnante. Insieme all'intelligenza però è determinante la “disponibilità” nei confronti della
scuola e degli insegnanti stessi: è necessario che lo studente abbia un atteggiamento
di apertura, sia per lo meno disposto ad
“ascoltare”, pensi di poter imparare qualche
cosa. Motivazione, voglia di studiare sarebbero ancora meglio, ma sono elementi
che si possono far crescere se c'è almeno
una disponibilità, tolta questa anche
l'intelligenza diventa inutile (almeno ai
fini scolastici), a volte addirittura dannosa.
Ogni insegnante del resto ha incontrato
nella vita studenti che usavano la propria
intelligenza solo per provocare e destabilizzare il rapporto tra studenti e professori.
Altrettanto chiari i fattori famigliari:
pesano il patrimonio scolastico ed economico delle famiglie, i figli di laureati si
trovano più a loro agio nell'istituzione scolastica e possono essere assistiti in famiglia
in modo continuo, quasi invisibile. Anche
il patrimonio economico da solo può essere
utile procurando in caso di necessità un
aiuto, un sostegno a pagamento. Per quanto riguarda la famiglia è necessario almeno
ci sia un interesse, una convinzione che la
scuola sia utile ai loro figli. Quando il mitico nord est sviluppava la microindustria
non era per nulla interessato al percorso
scolastico dei propri figli e li mandava a
lavorare giovanissimi: immagino senza
fatica che questi giovani fossero studenti
impazienti, proiettati verso altre mete, per
nulla interessati a quanto la scuola poteva
insegnare loro. (so che ci sono sempre
le eccezioni, ma non servono a capire il
quadro generale).
Infine non meno importanti sono i fattori territoriali. Prima di tutto vale per il
territorio ciò che si è detto per l'individuo e
per la famiglia: è necessario che il territorio,
l'ambiente socioculturale in cui è inserita la
scuola abbia disponibilità ed interesse nei
confronti di quest'ultima, creda, almeno
genericamente nella sua utilità, che al caso
la critichi, ma non la denigri. Questa disponibilità collettiva si riflette positivamente
sui singoli studenti, del resto nessuno può
desiderare di ascoltare e seguire individui
(i professori) di cui sente dire che sono
impreparati, scansafatiche e chi più ne ha
più ne metta.
Più il territorio è dissestato più è difficile lavorare bene in classe: tanti anni fa,
quando l'hinterland milanese era in fase di
profonda trasformazione i giovani prof in
cerca di un incarico alla media si sentivano
consigliare dai colleghi più esperti:
”Fai un viaggio più lungo, vai a lavorare
ai confini della provincia, ma evita la fascia
dell'hinterland, troppo difficile tenere la
disciplina, ed ottenere qualche risultato”
L'altro fattore territoriale determinante
è il mercato del lavoro, la possibilità o
l'impossibilità di trovare un lavoro possibilmente nel territorio su cui sorge la scuola
stessa.
Un ragazzo di 18 anni alle prese con
un triennio di industriale o commerciale
reagisce in modo diverso se pensa di poter
utilizzare in modo proficuo il proprio diploma. Ricordo un ITIS in un paese siciliano:
nemmeno l'ombra di un'industria per cui
gli studenti parcheggiavano a scuola cercando il modo più divertente di far passare
il tempo con grande disperazione dei loro
insegnanti.
“L'amore per la cultura” non affranca da
questo meccanismo perverso se non pochi
individui e solo per alcune discipline. Il
problema del mercato del lavoro riguarda
in modo particolare le scuole superiori, ma
in certi casi arriva fino alle medie inferiori.
Un collega di francese mi raccontò una
volta di essere fuggito dalle medie inferiori:
gli studenti (paesino dell'entroterra…)
rifiutavano la sua materia chiedendogli
provocatoriamente se dovevano parlare
francese con le pecore. (passato ad un
istituto di ragioneria in una grande città, il
collega si trovava molto meglio).
Una classe costituita da ragazzini intelligenti ed interessati in un quartiere abitato
da buona borghesia intellettuale (quella
che ha più bisogno della scuola per conservare la propria posizione sociale) dovrebbe
dare buoni risultati, gli studenti andranno
poi a fare stage all'estero o si iscriveranno
all'università, contribuendo a far avere alla
scuola una “pagella” migliore. Si innesca
così una spirale positiva per la singola
scuola, negativa per l'istruzione scolastica
nel suo insieme. Da tempo stiamo assistendo ad una polarizzazione della ricchezza,
ricchi sempre più ricchi e poveri sempre
più poveri, su questa strada assisteremo
ad una polarizzazione dell'istruzione con
buona pace della democrazia.
50 anni
di media
di elisabetta assorbi
Quest'anno la Scuola Secondaria di primo
grado, la Media per intenderci, compie
mezzo secolo: la legge 1859 della Repubblica italiana la istituì il 31 dicembre 1962,
stabilendo con essa una tappa di evoluzione politico-sociale nel nostro Paese. La
democratizzazione dell'articolo 3 della
Costituzione sembrava finalmente attuarsi,
con l'abolizione del vecchio percorso
scolastico che, dopo le Elementari, vedeva
i figli delle classi subalterne frequentare il
cosiddetto “Avviamento”, cioè una scuola
professionale, primo passo verso professioni pratiche, spesso non specialistiche.
La Scuola Media inferiore, “ginnasiale” era
invece riservata ai ragazzi degli ambienti
borghesi, destinati ad un altro futuro.
La mia biografia, prima di studentessa
degli anni Cinquanta, poi di insegnante,
coincide con la storia della Media.
Le grandi novità richieste dalla “media
unificata”, come si diceva, produssero un
certo straniamento negli insegnanti di
allora; col ragionamento posteriore devo
dire che alcuni di essi sembravano proprio
solo docenti trasmissivi, spesso rimpiangenti la gloriosa scuola ginnasiale, mentre
altri, invece, erano veri “alternativi”, come
il docente che ci faceva disegnare tavole
astratte, ascoltando in sottofondo buona
musica classica…L'orario settimanale
prevedeva, in terza, anche materie facoltative: le Applicazioni Tecniche, con classi
rigidamente divise per genere (inconcepibile ancora l'idea di lavori uguali per tutti);
l'Educazione musicale e il Latino, questo
obbligatorio per chi si sarebbe poi iscritto al
Liceo classico.
Tutto ciò sarebbe poi stato spazzato
via, in quanto considerato discriminante, negli anni Settanta: l'obbligatorietà
dell'Educazione musicale, il superamento
della distinzione di genere con la nascita di un'unica disciplina, l'Educazione
tecnica e il latino come riferimento per
tutti nell'Educazione linguistica furono
le novità della Legge 348 del 1977. Nello
stesso anno, la Legge 517 mise mano alla
valorizzazione collegiale del lavoro dei
Strumenticres n.61 – settembre 2013
per capire la società e i suoi bisogni, ma
docenti, che attraverso l'integrazione e il
anche un'occasione di apertura didattica,
sostegno degli alunni diversamente abili
che utilizzai poi a partire dal 1983, quando
era volto ad attuare il diritto allo studio per
il Tempo prolungato divenne assetto scolatutti, valutati non più con voti numerici,
bensì con giudizi analitici, nonchè sintetici, stico con ordinamento, accanto al “tempo
normale”: sembrava proprio di realizzare,
per descrivere il processo di maturazione
docendo, una scuola inclusiva, non selettiglobale degli alunni.
va a priori, bensì formativa e, anche, critica.
L'abolizione delle classi “differenziali”
La svolta involutiva, già a partire dagli
per chi presentando diversità si consideanni Novanta, la conosciamo in molti: il
rava non integrabile tra il gruppo dei pari
d'età, insieme con l'inserimento dei disabili MIUR, Ministero che ha tolto dalla sua
dicitura il termine di “pubblico”, ha inaugunelle classi, trovò degna conclusione con i
rato il tempo dei tagli epocali, associato alle
Nuovi Programmi del 1979.
proclamazioni programmatiche sullo star
La stagione delle sperimentazioni mise
bene a scuola, generiche e quasi irrisorie,
idealmente sullo stesso piano il valore
dato lo stato di degrado della maggior
formativo di tutti i linguaggi e di tutti gli
parte degli ambienti scolastici. La Riforma
insegnamenti e fu davvero un grande
sforzo collettivo, che dovette far i conti con Moratti, legge n°53 del 2003, ha dato attuazione alla più generale riforma dell'aul'organizzazione didattica rinnovata delle
tonomia scolastica - innovazione del 1999
cattedre e con la formazione dei docenti,
che all'università aveva sempre privilegiato - che ha trasformato anche i compiti degli
organi collegiali delle scuole e i compiti dei
le competenze specifiche, le “materie”,
dirigenti scolastici, definendo l'obbligo di
piuttosto che le aperture pedagogiche,
scegliere tra formazione e istruzione proanche a fronte dell'istituzione del 1983, del
fessionale a quattordici anni. Il passo indie“Tempo prolungato”.
tro è stato evidente, seppur l'introduzione
Quest'ultimo è figlio dei nuovi bisogni
delle novità di tutoraggio e “portfolio delle
maturati nella società italiana: fu un servicompetenze” degli alunni siano poi state
zio per le famiglie; mise in atto la didattica
laboratoriale, le compresenze di più docen- disattese per decisione quasi unanime,
ti, con sperimentazioni illuminate di nuovi l'aumentato carico contenutistico di lavoro
dei docenti, con la compressione del samodi di relazione fra pari, sia docenti, sia
pere sulle giovani menti degli utenti, sono
studenti.
gli aspetti più evidenti di questa riforma.
Ricordo ancora con piacere e nostalgia
Come notava una preside, mia ex collega
gli slanci e le programmazioni condivise
dell'hinterland sud milanese “l'eccessiva
degli anni Settanta, tra ardite sperimenprescrittività delle Indicazioni nazionali
tazioni ed entusiasmi, lotte di vario tipo,
(ben 634 obiettivi specifici inderogabili)
anche sindacali, che portarono sui banchi
soffoca l'autonomia progettuale” (Antonia
di scuola pure i lavoratori privi di diploma,
bisognosi di certificazione per migliorare la Cabrini ).
Se qualcosa di positivo resta, in quel peloro condizione lavorativa.
riodo, è la formazione dei docenti sull'uso
Furono istituite in quegli anni le “150
di Internet per le classi e la prescrittività
ore” per i lavoratori: attraverso un accordo
dell'inglese per tutti.
sindacale, grazie a permessi dei datori di
Che però, con l'introduzione della
lavoro, molti uomini e donne adulti riuscirono in un anno scolastico, con programmi seconda lingua comunitaria, ha significato
paradossalmente un calo di monte-ore.
particolari, all'avanguardia, a conseguire
Certo è che le “Educazioni” della
il diploma di licenza media. Insegnare a
scuola del '79, che fornivano elementi per
questi lavoratori per un intero anno fu per
l'apertura alla diversità, all'intercultura,
me, giovane supplente,non solo un modo
all'educazione allo sviluppo del pianeta,
sono state le più sacrificate, nell'affanno
di far acquisire competenze disciplinari e
abilità per un uso individualistico e poco
condiviso del sapere.
Il colpo finale al pensiero “divergente”,
utopistico, ma legato all'idea di una scuola
democratica, proprio della mia generazione di insegnanti, è stato dato dalla Riforma
Gelmini. Entrata in vigore per la secondaria
di primo grado il primo settembre 2009,
l'anno dopo per le superiori e dal gennaio
2011 per l'università, questa riorganizzazione globale ha forse toccato meno la Media,
rispetto alla scuola primaria, dove il ritorno
al maestro unico sembra un paradosso
antistorico. Questa deleteria riforma ha
significato nuovi tagli (anche dei docenti di
sostegno), la cancellazione delle Educazioni, in favore di un insegnamento tecnico
di “Cittadinanza e Costituzione”; per gli
alunni una riduzione del monte-orario e la
reintroduzione della valutazione numerica;
per tutti, la Prova Invalsi di matematica e
italiano negli esami di terza media.
Oggi, tra disillusioni e fatiche, in alcune
realtà scolastiche si procede seguendo
pedissequamente (ahimè) il dettato legislativo; in altre scuole, più aperte e memori
di un recente passato più aperto alle sfide
didattiche dell'era globale, si insegna in
modo più vicino ai principi costituzionali,
per la costruzione del cittadino del ventunesimo secolo.
Rimane una certa tristezza di fondo del
corpo docente, in questa Italia dove la spesa per l'istruzione è sempre più sacrificata,
e dove la formazione del cittadino del domani, che si vorrebbe proiettato nel mondo,
non è il valore a cui i dettati normativi del
ministero si ispirano.
7
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – spunti di riflessione
Rapporto
tra cultura scientifica
e umanistica
Piccole esperienze nella scuola media
inferiore dal punto di vista di una
insegnante di scienze
Modulo interdisciplinare:
lʼalimentazione umana
Alimentazione
biologia
dellʼalimentazione
di gabriella buzzi
Due sono i possibili approcci per una
riflessione sul significato dell'intreccio fra
cultura umanistica e cultura scientifica.
Il primo riguarda la ricerca e la valorizzazione di quelle abilità di base che sono
comuni a tutti gli apprendimenti e che si
declinano tuttavia in maniera specifica
a seconda che si parli della storia o della
letteratura piuttosto che delle scienze
naturali o della matematica.
Intendo parlare delle classiche abilità
di classificazione, seriazione, analisi,
sintesi, ecc. che conducono alla formazione di competenze trasversali di diagnosi,
comunicazione, problem solving e che si
traducono in comportamenti che trasformano il sapere in prestazioni efficaci.
Il secondo approccio è quello che mi
propongo, riferendo di alcune esperienze
condotte nella scuola media inferiore e
affrontando tematiche trasversali cioè
argomenti e contenuti concreti attraversati
da più discipline. Il che non esclude, anzi
permette più efficacemente, di applicare quelle operazione mentali che sono
comuni a tutte le discipline di cui si parlava
sopra.
Anche nella scuola media si può
potenziare il processo di apprendimento che supera la frammentazione delle
discipline, che devono tuttavia mantenere
un loro spazio specifico (la matematica,
la grammatica, la storia, la biologia,..) e
avviare gli alunni all'acquisizione della
famosa “capacità di operare collegamenti”
che l'insegnante dovrà valutare in sede di
esame finale.
È la sfida che impegna l'insegnante
per la costruzione negli allievi a di quella
“testa ben fatta” di cui parla E. Morin, ma
che per essere affrontata richiede a sua
volta che siano i docenti stessi a operare
un profondo cambiamento nel loro stile di
insegnamento.
Già nell'ambito della propria disciplina
ogni insegnante può mettersi in questa
prospettiva. E alcune discipline si prestano
maggiormente a questa operazione. Penso
prima di tutto alla storia, ma anche all'ecologia, alla matematica stessa.
A cominciare dal primo veicolo della
trasmissione dei saperi: le parole.
Come insegnante di scienze mi è
sempre piaciuto giocare con le parole:
quanti suggerimenti dalla loro etimologia!
La parola “cifra”, di origine araba, porta
lontano, alla diffusione dei simboli di
origine indiana nel Mediterraneo attraverso i commerci e quindi alla storia; la parola
“atomo”, non divisibile, a Democrito e alla
filosofia greca…
È estremamente importante inserire in
un contesto storico la presentazione dei
diversi argomenti di scienze e matematica
perché la storia fornisce un maggior numero di strumenti di comprensione per il loro
studio, così come lo sviluppo scientifico
contribuisce a chiarire il procedere della
storia umana nel suo complesso. Si tratta
di mettere in luce come sia un'impostazione relativamente recente quella che
ha scisso la cultura in settori spesso poco
comunicanti tra loro. Come non ricordare,
anche a ragazzi giovani come quelli della
scuola media, che il Cartesio del piano in
cui si individuano punti con le coordinate
è lo stesso filosofo del “cogito ergo sum”?
O che il famoso o famigerato, per chi trova
difficoltà in geometria, Pitagora del teorema è lo stesso della Scuola filosofica? Che
il Galilei del sistema eliocentrico scriveva
prose di valore letterario? Che il Leonardo che progettava macchine, dipingeva
capolavori?
Inserire in una lezione richiami di questo tipo ha anche la funzione di catturare
l'interesse dell'alunno contribuendo alla
sua motivazione all'apprendere, valorizzando anche quella che chiamerei l'estetica
della scienza perché la scienza come altre
discipline ci avvicina alla bellezza presente
in natura o creata dall'uomo.
Ma l'ambito che più si presta, per la
mia esperienza, alla ricomposizione dei
saperi è quello delle educazioni, portate
avanti all'interno dei progetti. Infatti, con
la presenza contemporanea di insegnanti
con formazioni e conoscenze diverse si
possono arricchire le proposte didattiche.
Lo svolgimento di un progetto comporta
anche attività laboratoriali che portano
non solo a costruire conoscenze, ma anche
a imparare a fare, a conoscere sé stessi e gli
altri, cioè ad essere.
Con l'educazione all'igiene personale,
che si può affrontare in una prima o seconda media, si può seguire un filo che ancora
una volta valorizza l'approccio storico
- umanistico. Ricordare che è Igea, la figlia
di Esculapio, dea della prevenzione delle
malattie, ad avere dato il nome alla Igiene,
così come la lettura del brano dell'Odissea
in cui Nausicaa invita le ancelle a provvedere alla pulizia di Ulisse naufrago (….a entrar col piè nella corrente lo inanimiro…del
salubre m'unga d'oliva licor conforto ignoto
da lungo tempo alle mie membra…), porta
a considerare come l'attenzione dell'uomo
verso il proprio benessere abbia origini
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Storia
dellʼalimentazione
fame e
abbondanza
lontane. Un'attenzione continuata nell'Era
classica anche dai Romani che addirittura
fecero delle terme un centro non solo di
cura per il corpo, ma di socializzazione. E
via, via attraverso il Medio Evo dove la
percezione del corpo cambia, così come le
attenzioni ad esso riservate, anche a causa
delle grandi epidemie di peste. Insomma, il
lungo cammino fino ad arrivare a Pasteur,
alla scoperta dei batteri e al loro studio
può essere anche affascinante e suscitare
maggiormente l'interesse nell'alunno.
Anche l'educazione alimentare ben si
presta a collegamenti diversi. La mappa
seguente può essere esemplificativa della
possibilità di costruire un modulo interdisciplinare. Non si tratta infatti soltanto di
affrontare l'alimentazione umana dal punto di vista biologico con lo studio dell'apparato digerente o dei principi nutritivi, ma
di mettere in evidenza come l'uomo abbia
utilizzato cibi diversi in epoche diverse
(ancora una volta la storia!) e in ambienti
geografici diversi; come la cultura dell'olio, del grano e del vino si sia sviluppata
nell'area mediterranea e come si sia dovuta
confrontare con quella barbarica del latte,
della birra e delle carni non sempre cotte.
Così come appare importante sottolineare la grande trasformazione avvenuta con
la produzione industriale degli alimenti, la
grande distribuzione, piuttosto che l'introduzione degli organismi geneticamente
modificati, solo per fare qualche esempio.
Si possono così aprire scenari ampi anche
suscettibili di discussioni di valenza
educativa quando si vada considerare le disparità nella disponibilità delle risorse nei
vari Paesi o l'importanza di un controllo a
garanzia della salute dei consumatori.
Quando poi, in terza media, si svolge
il progetto di educazione socio-affettivosessuale si ha un'ulteriore possibilità di
affrontare tematiche all'interno di una
cultura sia scientifica che umanistica. In
questo ambito, infatti, la letteratura, ma
anche la musica trovano uno spazio importante, insieme allo studio della fisiologia
degli apparati. Abbiamo talora utilizzato,
come attivazioni per introdurre il tema
dell'innamoramento, la lettura di poesie, di
brani di prosa o testi di canzoni proposti
dagli insegnanti o dai ragazzi stessi. Quando poi erano presenti alunni provenienti da
Paesi diversi, che hanno fatto conoscere ai
compagni opere della loro terra di origine,
il valore della proposta è ulteriormente
aumentato. Far riflettere infatti su come
alcune sensazioni abbiano un valore
universale e siano patrimonio dell'umanità
che si riflette nella produzione poetica di
epoche e paesi diversi è particolarmente
importante per adolescenti che le sperimentano per la prima volta nella vita e che
in questo modo possono essere aiutati a
dare le parole giuste alle loro emozioni.
Così come è altrettanto importante che
venga loro chiarito come i nostri comportamenti siano il risultato di molteplici
connessioni tra i neuroni della corteccia
cerebrale, ma anche dell'azione della parte
più antica del nostro cervello che ci ricorda
come l'evoluzione ci colleghi ad animali
più primitivi e come, in ogni istante, siamo
un intreccio di sentimenti e razionalità.
Ultime considerazioni, di carattere
generale, sull'importanza di non perdere
mai di vista l'educazione all'unitarietà del
sapere.
Sia la cultura umanistica che quella
scientifica (vogliamo parlare di “umanesimo della scienza”?) possono contribuire
al superamento di atteggiamenti negativi
sia per l'apprendimento che per i riflessi
che possono avere nei comportamenti. Si
deve mettere in evidenza come la storia,
fondata sulle “fonti”, e la scienza, basata
sulle prove sperimentali e mai su verità
assolute, entrambe suscettibili di continui
aggiornamenti in base alla scoperta di
nuovi fatti, possono insieme contribuire al
superamento sia del cosiddetto “senso comune”, come del cosiddetto “sentito dire”.
È da individui che si pongono continuamente domande e cercano di darsi risposte,
acquisendo sempre nuove conoscenze e
confrontandosi con gli altri, che si possono
formare cittadini responsabili e capaci di
operare scelte importanti che vengono loro
richieste, senza delegare completamente
agli “esperti”. Così, per esempio, lo studio
dell'acqua o delle forme e fonti di energia
non si limita ad essere solo apprendimento di nozioni, ma diventa strumento per
formarsi opinioni e poter esercitare più
consapevolmente il proprio diritto di voto
nei momenti referendari o nella scelta di
una formazione politica.
Educare intrecciando cultura scientifica ed umanistica perciò può davvero
diventare un allenamento all'esercizio della
democrazia.
Chi produce:
industria alimentare
alimenti transgenici
Alimentarsi oggi
Chi controlla:
organi internazionali
–FAO, OMS, Parlamento
europeo–
Chi consuma:
Paesi industrializzati
Paesi invia di sviluppo
Peaesi sottosviluppati
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – proposte educative
Panta rei: studiare i Navigli
lombardi per rinnovare
la didattica nel liceo
di piergiorgio pardo, docente Liceo Marconi, e marina medi
Un bando
della Fondazione Cariplo
Nel 2012 il Liceo scientifico Marconi di
Milano ha partecipato al bando della Fondazione Cariplo nell'ambito del Progetto
“Scuola 21- Educare alla sostenibilità nella
scuola del 21° secolo” ed è stata tra le scuole
vincitrici.
Nelle intenzioni della Fondazione Cariplo il bando ha lo scopo di contribuire al
miglioramento dell'offerta formativa della
scuola secondaria di II grado e della Formazione professionale attraverso la diffusione
di una metodologia didattico-formativa di
tipo interdisciplinare applicata a tematiche ambientali. Nella presentazione
del bando, infatti, si afferma che queste
tematiche richiedono la convergenza di
saperi diversi verso soluzioni condivise e
quindi più facilmente possono invitare la
scuola secondaria di II grado, dove queste
pratiche sono poco diffuse, a sperimentare
percorsi didattici in cui le diverse aree disciplinari convergano nell'analisi rigorosa
e nella risoluzione di problemi e servano
a rafforzare lo spirito critico, il sapere
esperienziale e il senso di appartenenza al
proprio territorio.
Il bando chiedeva alle scuole che due
classi lavorassero nel corso di due anni
scolastici consecutivi su uno di questi
quattro temi:
↘↘ un mondo biodiverso
↘↘ energicamente consapevoli
↘↘ valorizzare la qualità ambientale dei
territori
↘↘ il clima cambia, noi cambiamo
Elementi indispensabili, oltre all'approccio interdisciplinare, dovevano essere
lo sviluppo negli studenti di competenze
di “cittadinanza attiva e responsabile”, il
coinvolgimento di enti extrascolastici che
operassero nel territorio e la realizzazione
di interventi concreti in ambito locale che
contribuissero ad affrontare una tematica
ambientale.
Il progetto del Liceo Marconi
Il Liceo Marconi, come scuola capofila, ha
scelto il terzo tema proposto, quello della
valorizzazione della qualità ambientale dei
territori, e ha elaborato un progetto che portasse alla valorizzazione dei Navigli come
risorsa ambientale, sociale e culturale per il
territorio della città di Milano. Al progetto
è stato dato il nome Panta rei non solo
per richiamare lo scorrere dell'acqua, ma
specialmente per sottolineare il continuo
processo di trasformazione della realtà di
cui siamo chiamati ad essere protagonisti
responsabili.
Per storia ed importanza i canali milanesi si prestano in maniera particolare alla
costruzione di un percorso spiccatamente
interdisciplinare, capace di coinvolgere
l'intero consiglio di classe e a integrare le discipline scientifiche ed umanistiche proprie
del curricolo di un liceo scientifico. Inoltre,
partendo dall'acqua come risorsa preziosa e
motore di sviluppo per le comunità, è possibile comprendere il ruolo che hanno avuto i
Navigli nel passato, raccogliere informazioni
e dati sulla funzione che svolgono oggi e
interrogarsi su come valorizzarli al meglio
nell'immediato futuro. Il risultato finale del
lavoro, in collaborazione con gli enti e le
associazioni che a vario titolo sono coinvolte
nel progetto, sarà nel prossimo anno scolastico una mostra e un percorso di visita alla
riscoperta dei Navigli rivolti alle altre scuole
e agli abitanti della zona, in cui gli studenti
faranno da guida utilizzando le conoscenze
e le competenze apprese durante il percorso.
Per il momento tutti i materiali raccolti e prodotti dai ragazzi trovano spazio su un blog
dedicato, che costituisce una sorta di piazza
virtuale per tutti gli stakeholder del progetto
(progettopantarei.blogspot.it). Sempre tra
i risultati previsti c'è anche il gemellaggio
con una scuola di una città europea situata
su un canale, dove le due classi andranno in
viaggio di studio.
Al progetto partecipano una II e una III, che
diventeranno nell'a.s. 2013-14 rispettivamente III e IV.
La scelta di coinvolgere nel progetto due
consigli di classe in verticale è stata fatta al
fine di favorire in tutte le fasi progettuali lo
scambio di idee, conoscenze e competenze
tra studenti di età diverse. Infatti il percorso
è unico ed è stato coprogettato dagli studenti e dai rispettivi insegnanti, ma è diviso
tra le due classi che torneranno a lavorare
insieme nella realizzazione dell'intervento
finale.
In base al senso generale del Bando, il
progetto mira a raggiungere obiettivi sia in
relazione agli studenti che agli insegnanti.
Nel caso degli studenti si punta a:
1. acquisire consapevolezza dei legami
tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda.
In particolare:
↘-↘ imparare a prendersi cura del proprio
territorio
↘-↘ comprendere l'importanza dell'acqua
come bene comune
2. sviluppare competenze di cittadinanza attiva. In particolare:
↘-↘ collaborare e partecipare al raggiungimento di un obiettivo comune
↘-↘ risolvere problemi ricercando soluzioni nuove e originali
↘-↘ individuare collegamenti e relazioni
tra gli elementi emersi dal percorso
3. imparare a essere responsabili e solidali nei confronti di se stessi, degli altri
e del pianeta. In particolare:
↘-↘ ritrovare i legami perduti tra l'uomo
e la natura (e tra l'uomo e gli altri
uomini)
↘-↘ percepirsi come agenti di cambiamento della società
Nel caso dei docenti il progetto vuole dare
una particolare attenzione allo sviluppo
della capacità di progettazione curricolare
Strumenticres n.61 – settembre 2013
mappa concettuale di fisica e storia
verticale e interdisciplinare e alla costruzione di percorsi di apprendimento a carattere
di laboratorio, che utilizzino problem
solving e metodologie interattive.
Il progetto vuole essere fortemente
esperienziale e prevede che gli studenti
partecipino attivamente alle scelte di progettazione in ogni fase. Lezioni dialogate,
lavori di gruppo, uscite in campo e dibattiti
in classe devono riuscire ad eliminare la
rigidità dell'ambiente classe e instaurare un
rapporto educativo di tipo informale.
Il progetto si sta realizzando con la
collaborazione di enti e associazioni del
territorio. Prima tra tutte il Cres, che ha
contribuito all'ideazione e alla definizione
metodologica dei percorsi, e Mani Tese,
che è intervenuta nelle classi su temi legati
all'acqua, aiutando gli studenti a mettere in
collegamento problemi globali, questioni
locali e abitudini personali, stimolando
l'adozione di stili di vita più sostenibili.
L'associazione di docenti di storia Iris
(Insegnamento e Ricerca Interdisciplinare
di Storia www.storieinrete.org) ha fornito
informazioni, materiali e suggerimenti didattici sull'uso dei Navigli nella costruzione
del Duomo di Milano, il cui cantiere è visto
attraverso lo sguardo di Leonardo da Vinci
nel contesto della società milanese della
seconda metà del Quattrocento.
La Società Navigli Lombardi (www.
naviglilombardi.it) ha messo a disposizione
il suo Centro di documentazione per la
consultazione di testi sugli aspetti storici,
tecnici e culturali dei Navigli.
Il Laboratorio Hoc del Dipartimento
di elettronica e informatica del Politecnico
di Milano (hoc.elet.polimi.it) ha suggerito
modalità per organizzare in modo digitale
e multimediale le informazioni che gli studenti andavano raccogliendo, favorendo la
creatività e la facilità della comunicazione.
Le fasi del lavoro
Dopo una prima fase di motivazione
attraverso l'osservazione di alcune foto del
Naviglio, che passa nelle vicinanze della
scuola e di cui gli studenti sapevano poco
o nulla, gli insegnanti hanno presentato il
progetto finanziato dalla Fondazione Cariplo e insieme hanno proceduto alla stesura
del piano di lavoro e alla stipulazione di un
patto formativo. Il lavoro di ricerca e studio,
diviso tra le due classi e appoggiato dai consigli delle due classe, ha toccato questi temi:
1. Acqua dolce, bene prezioso: importanza dell'acqua sul pianeta, sua distribuzione e regimentazione; diritto all'acqua e conflitti che nascono dalla sua
scarsità; biologia delle acque fluviali e
lacustri, analisi degli ecosistemi umidi
e possibili rotture del loro equilibrio;
caratteristiche dell'acqua potabile,
anche in base alla normativa vigente;
cattivo uso dell'acqua potabile.
2. Il trasporto fluviale: i fiumi da sempre
centro di vita e di comunicazione; loro
ruolo nella storia; tecniche di costruzione e funzionamento dei canali.
3. Fiumi e canali nella letteratura e
nell'arte.
4. Il Naviglio ieri: la sua costruzione e le
successive trasformazioni, i diversi usi
del Naviglio nel passato e in particolare il trasporto dei marmi dalle cave di
Candoglia al Duomo di Milano.
5. Il Naviglio oggi: inquinamento e degrado del Naviglio e sue cause; analisi
chimica delle acque del Naviglio; gli
interventi di riqualificazione; la Darsena tra progetti e polemiche.
6. Il Naviglio domani: il Naviglio che
vorremmo; idee per la realizzazione di
interventi urbanistici e culturali legati
alla Darsena e ai Navigli che siano sostenibili e nell'interesse degli abitanti.
Fin dall'inizio si è cominciato a definire i
possibili prodotti che alla fine dovranno
essere presentati al territorio per far meglio
conoscere e amare il Naviglio, in modo che
in ciascuna fase del lavoro si cominciassero
già a elaborare e mettere da parte materiali
che diventeranno utili nell'ultima parte del
progetto.
Tra le diverse attività realizzate e in
programma ci sono:
↘↘ un'uscita in barca sul Naviglio Grande
con la guida dell'Associazione Navigli
Lombardi;
↘↘ un concorso interno alla scuola per
l'ideazione di un logo e slogan da
stampare su locandine e adesivi come
principale veicolo di comunicazione
del progetto nel territorio. In questo
modo si vuole rendere partecipe del
percorso tutta la scuola e non solo le
due classi selezionate;
↘↘ l'utilizzo del motore 1001Storia, ideato
dal Laboratorio Hoc del Politecnico di
Milano, che consente di organizzare
l'informazione in una forma digitale
interattiva secondo una struttura
ad albero costituita da argomenti
e sottoargomenti, di arricchire la
struttura concettuale con contenuti
multimediali e di erogare la narrazione
multimediale attraverso diversi canali;
↘↘ il blog che permette lo scambio di
informazioni e il collegamento tra
studenti, insegnanti, associazioni e
territorio.
Il lavoro svolto finora può essere seguito
sul blog. Ne riportiamo sopra (Mappa
concettuale di Fisica e Storia) e nelle pagine
seguenti alcune parti.
↳ Continua
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – proposte educative
USCITA DIDATTICA DEL 18
APRILE 2013 AL NAVIGLIO
DELLA MARTESANA
Abbiamo visitato i seguenti luoghi: la conca
di San Marco, la stazione di posta (dove
si pagava il dazio) e un tratto del naviglio
aperto in via Tirano (raggiunto prendendo
la 43 dalla fermata MM2 M.Gioia).
La nostra guida dell'associazione Verde
Acqua che lavora presso l'Acquario di
Milano ci ha raccontato la localizzazione
dei navigli, il loro uso e cenni storici.
Sulla conca San Marco ha spiegato il
funzionamento delle chiuse.
In seguito ci siamo spostati per osservare
meglio l'ecosistema del Naviglio e abbiamo
visto che esso è ricco di animali (es. uccelli
acquatici come folaghe e germani reali
anche con piccoli) e vegetazione spontanea.
Per valutare la qualità dell'acqua ne
abbiamo prelevato un campione e
analizzato alcuni parametri chimici: nitrati,
nitriti, fosfati, pH, rilevando un'acqua
complessivamente buona cioè utilizzabile
per scopi irrigui.
Valore di nitriti riscontrato:
0,05 mg/l
Inoltre una parte del lavoro è anche consistita nella produzione di testi veri e propri,
durante le ore di Italiano, Storia, Geografia,
Scienze e Arte. Riportiamo come esempi
due lavori svolti dagli alunni, che possono
rappresentare, insieme ai materiali pubblicati sul blog, il modo in cui gli allievi hanno
interpretato e rivissuto le proposte fatte da
insegnati e operatori.
In basso:
Giambologna, Allegoria
dellʼarchitettura.
Firenze, Museo
Nazionale del Bargello.
di Pietro Villani e Matteo De Simone
IL NOSTRO ARCHITETTO IDEALE
Al giorno d'oggi tutto ciò che ci circonda e
che l'uomo ha costruito è stato progettato e
inventato da un team di ingegneri ed architetti.
In particolare gli ultimi sono responsabili della
progettazione di strutture a scopo estetico e
funzionale, ma quante volte queste creazioni
riescono veramente ad unire insieme il bello
con l'utile???
Per capire meglio prendiamo pure
in considerazione tre uomini che hanno
rivoluzionato la storia dell'architettura.
Il primo fu un tradizionalista ma allo stesso
tempo un grande innovatore considerata
la sua epoca: LEONARDO. Il secondo fu
protagonista di un'architettura alla ricerca
dello stravagante, ma allo stesso tempo attento
alla natura: FRANK GEHRY. Ultimo, ma non
meno importante, è un architetto italiano
famoso soprattutto all'estero, capace di restare
attaccato alla sua indole classica ricorrendo
però alla stravaganza: RENZO PIANO.
Leonardo visse nel XV secolo e fu uno dei
più grandi architetti della storia, le sue opere
a Firenze e a Milano, in particolare, sono
sotto l'occhio di tutti e hanno contribuito
enormemente nello sviluppo urbanistico delle
due città: a Milano con la costruzione delle
chiuse del Naviglio e nei dintorni di Firenze con
la deviazione del grande fiume Arno. Ogni sua
opera presenta caratteri unici da ogni punto di
vista. Leonardo diede alle sue opere civili, ma
soprattutto militari, un'utilità reale; tutto ciò
che costruiva e progettava era un'opera
pensata in ogni minimo particolare per uno
scopo ben preciso, nulla era lasciato al caso.
Frank Gehry è un architetto canadese nato
a Toronto nel 1929, ma ha vissuto e lavorato
negli Stati Uniti. Tra i suoi capolavori più
importanti sicuramente possiamo distinguerne
alcuni come il museo Guggenheim di Bilbao,
la casa danzante a Praga e la Novartis Pharma
A.G. Campus a Basilea. Ognuna di queste opere
è unica nel suo genere e dimostra un'innata
capacità di raggiungere risultati impensabili
a prima vista e rivoluzionari per l'architettura
moderna.
Renzo Piano è nato a Genova nel 1937 ed
è uno dei più famosi e riconosciuti architetti
a livello internazionale. Delle sue numerose
realizzazioni, il Centre Georges Pompidou
è sicuramente quello che rappresenta
maggiormente il suo stile controcorrente,
tanto che proprio in questa costruzione ci ha
dato dimostrazione del suo estro e della sua
originalità, portando all'esterno del palazzo
tutti gli impianti e condutture che usualmente
si trovano all'interno.
Tutte queste caratteristiche sono quelle
che noi ragazzi ci aspettiamo di trovare
nella persona che potrebbe avere l'incarico
di progettare o modificare i Navigli e la zona
circostante che rappresentano il passato,
presente e FUTURO della nostra città. Ogni
cosa va però fatta con responsabilità e per
migliorare la condizione attuale, rafforzando i
punti deboli e migliorando i punti forti.
QUESTO È L'ARCHITETTO
CHE VORREMMO …
Strumenticres n.61 – settembre 2013
di Davide Gotti
ERNESTO E IL SUO CARO NAVIGLIO
Era un sabato pomeriggio di primavera e
l'anziano Ernesto stava passeggiando lungo il
Naviglio con il suo nipotino. Cominciava a far
caldo, i due camminavano da un po' e quindi
decisero di mettersi a sedere su una panchina.
L'anziano si fece pensieroso: la situazione
lo riconduceva improvvisamente alla sua
gioventù, i ricordi si affastellavano nella mente
e lo rendevano silenzioso. Il nipote, vedendo
il nonno assorto, gli chiese a cosa egli stesse
pensando ed Ernesto rispose che rivedeva se
stesso nelle acque del Naviglio, che stavano
“invecchiando” insieme a lui.
Il bambino , incuriosito e anche un po' incapace
di capire, chiese al nonno di spiegarsi meglio,
così Ernesto decise di raccontare al nipote una
storia: la sua.
“Il 7 marzo del 1953, all'età di 17 anni, Ernesto
decise di trasferirsi dal suo paese di nascita,
Bettola, in provincia di Piacenza, a Milano.
Le prime due settimane milanesi le trascorse
ospite da lontani cugini di sua madre, giusto il
tempo necessario a trovare un lavoro.
In breve venne assunto in una prestigiosa
vetreria nella periferia sud di Milano e con il
primo stipendio decise di affittare un piccolo
appartamento sui Navigli, una zona di
Milano che lo affascinava moltissimo, perché
gli ricordava la sua dolce e fresca val Nure,
nella quale aveva trascorso la sua infanzia e
giovinezza.
Nei periodi più caldi, dopo una lunga giornata
alla vetreria, era solito fare un tuffo nel Naviglio,
prima di risalire nella sua accogliente casetta,
dall'aria vagamente montanara.
Un giorno, mentre si stava recando al luogo
dove era solito tuffarsi, da un punto del Naviglio
poco più avanti, sentì l'urlo di una fanciulla.
Immediatamente si allertò e volle capire di
persona cosa stesse succedendo.
Raggiunta la parte di ripa da cui era venuta
la richiesta d'aiuto, vide un piccolo ed esile
barboncino bianco che annaspava nel Naviglio
Grande, mentre la sua padroncina continuava a
chiamarlo e invocarlo disperatamente.
In un attimo Ernesto si tuffò e riportò in salvo
il cagnolino alla padrona, la quale lo ringraziò
in tutti i modi e lo invitò ad andare a casa sua
ad asciugarsi e darsi una ripulita. Ernesto, che
all'epoca era solo un ragazzo timido venuto da
un paese di montagna, rifiutò e tornò senza
indugi a casa sua, ma la verità è che era rimasto
letteralmente folgorato dalla visione di quella
fanciulla, dai suoi capelli biondi e lunghi fino
a metà schiena e dai sui occhi azzurri come il
ghiaccio.
Il giorno seguente, tornando dal lavoro, fece in
modo di incontrare ancora la fanciulla e, fattosi
un po' più di coraggio, la invitò a bere insieme
un caffè.
I due si conobbero e tra loro si instaurò
un'intensa amicizia, probabilmente perché né
uno né l'altra avevano veri amici a Milano.
La ragazza si chiamava Stella, sua madre era
morta a causa di complicazioni durante il parto
e lei, insieme al fratello, aveva lasciato la sua
città di origine, Avellino, alla ricerca di lavoro e
migliore fortuna.
Adesso che il dolore per la scomparsa della
madre era stato un po' lenito dal tempo e la
situazione in famiglia, nonostante la lontananza
dal genitore, sembrava più tranquilla, Stella
avrebbe voluto studiare e avere un giorno un bel
lavoro.
Per più di un anno Ernesto e Stella continuarono
a vedersi e passeggiare nel loro Naviglio, quando
una sera, era l'8 marzo del 1955, il giovane chiese
alla fanciulla di sposarlo.
Nel frattempo, con il frutto dei suoi risparmi e un
po' di coraggio, Ernesto era riuscito a trovare un
po' di soldi per comprare la casa nella quale aveva
sino ad allora abitato in affitto: il suo progetto,
anzi il suo sogno, era quello di andarvi a vivere
con Stella.
Quella stessa sera la ragazza, lusingata e
commossa, accettò di andare in moglie ad
Ernesto e trascorsero la notte insieme in quella
casetta vicino al Naviglio Grande.
Nel mese seguente i due si occuparono
febbrilmente dell'organizzazione del
matrimonio, ma Ernesto non abbandonò la sua
vecchia abitudine di fare il bagno nel Naviglio, e
puntualmente, in quelle sere d'estate rese ancora
più luminose dall'imminenza del lieto evento,
riviveva un attimo della sua infanzia, tuffandosi
e nuotando a lungo.
Un venerdì sera, Stella ricevette una lettera da
parte di sua zia Angelina la quale la informava
che suo padre era stato ricoverato in ospedale a
causa di un malore.
Stella non ci pensò due volte e prese il primo
treno per Avellino per tornare al suo paese
natale, probabilmente, per dare l'ultimo saluto al
suo caro padre.
I due promessi sposi non si sentirono più per
lungo tempo, ma Ernesto, dopo aver racimolato
una cospicua sommetta, decise di licenziarsi
dalla vetreria e comprò una piccola fiat 500
grigia, per andare in Campania a cercare la sua
amata.
Il giovane e sconsolato Ernesto chiese più volte
a se stesso se ciò che stava facendo fosse la cosa
giusta o una sciocchezza: probabilmente stava
solo perdendo tempo alla ricerca di qualcuno che
non ricambiava più il suo amore.
Trascorse oltre un anno prima che Ernesto
ritrovasse la sua amata, ma ciò che si trovò
davanti non era quello che si aspettava: Stella si
era sposata con il dottore che aveva operato suo
padre e insieme a lui aveva avuto una bellissima
bambina.
Ernesto preferì andarsene, senza creare
problemi: aveva comunque visto una famiglia
felice e in cuor suo, benché ferito, era comunque
contento che la ragazza un tempo amata avesse
trovato comunque la sua strada.
Tornando, con i soldi che iniziavano a
scarseggiare, decise di prendere anche lui la
via verso il suo paese natale e si diresse verso la
fresca e pulita val Nure.”
“E poi nonno , come va a finire ?”
“ Ritornato al suo paese venne accolto con una
grande festa durante la quale conobbe quella che
ancora oggi era sua moglie e con la quale aveva
avuto due figlie.
Molto tempo dopo decisero di ritornare a Milano,
in quella abbandonata casetta, ormai sudicia
e impolverata, ma piena di ricordi: con quel
Naviglio che continuava a scorrerle vicino.”
“Così poté continuare a fare il bagno come
quando era ragazzo ?”
“ Purtroppo no, nel frattempo Milano era
diventata un'importantissima città industriale
e le fabbriche nascevano come funghi: l'unico
posto nel quale era possibile scaricare i rifiuti era
proprio il Naviglio e per questo motivo ancora
oggi abbiamo acque sporchissime, spesso
schiumose e maleodoranti.”
“Adesso per colpa delle fabbriche nessuno potrà
fare più il bagno nel Naviglio!”
“ Caro nipote, oggi ci sono associazioni e gruppi
che stanno lavorando per ripulire le acque e spero
che un giorno tu possa raccontare questa storia
ai tuoi nipoti ma in senso inverso: magari potrai
dire loro che una volta le acque del Naviglio
erano sporche, ma quel giorno, spero non troppo
lontano, grazie al lavoro di molte persone si potrà
di nuovo usufruire di un bene così grande”.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
Dossier
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di Fulvio Benussi.. ...
Il nostro mondo visto con occhi
Democrazia
al tempo
del cyberspazio:
una sfida possibile
15 Cittadinanza digitale: una nuova
frontiera della democrazia
19 La scuola che verrà: tra sussulti
tecnologici e persistenti riluttanze
22 Nativi e immigrati digitali.
27
La lavagna interattiva
multimediale (LIM)
30 Open data, democrazia
e formazione alla criticità
nella scuola
Un possibile incontro davanti
al computer
32 Internet ci rende stupidi?
di marina medi
di Piera Hermann
26 Come nodi nella rete
34 Bibliografia ragionata
e sitografia
Affrontare a scuola i comportamenti
prepotenti e di vessazione nella società
digitale
di Simonetta Muzio
diversi. Una riproduzione
testuale ASCII (sistema di
codifica dei caratteri a 7 bit,
comunemente utilizzato nei
calcolatori) di una immagine
fotografica, che è stata generata
attraverso un programma
di conversione on-line (www.
glassgiant.com/ascii/)
.
..
.
.
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..
...
..
.
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Cittadinanza
digitale:
una nuova frontiera della
democrazia
di Pinuccia Samek Lodovici, (da sempre) impegnata nella ricerca educativa
della rilettura dell'habeas corpus come
habeas data?” Infine nuovi, particolari
diritti si affacciano perché lo sviluppo
della rete incoraggia una rappresentazione della conoscenza come bene
comune (come l'acqua, per intendersi)
che di conseguenza reclama il diritto di
ogni persona all'accesso, non solo nel
senso della connessione tecnica e del
superamento di ogni digital divide, ma
soprattutto escludendo ogni discriminazione in entrata e auspicando una
disponibilità dei contenuti effettiva e
libera, non insidiata dalle logiche del
mercato (neutralità della rete)4. A sua
volta l'informazione, è intesa come
diritto di informare oltre che di essere
informati; ridisegnando il rapporto fra
potere e opinione pubblica. Ricordiamo
le manifestazioni del 2009 in Iran:
armati solo dei loro telefonini e di una
connessione web, i giovani di Teheran
documentavano in tempo reale tutto
quello che stava accadendo dopo i brogli
elettorali e lo caricavano sui social network. Stavolta il mondo non poteva non
sapere. Era una cosa mai vista prima.5
Teheran mostra con evidenza (e va
fatto notare ai nostri studenti) che non
si tratta di diritti octroyée una volta
per tutte, ma di processi che innescano
resistenze più o meno esplicite, di lotte
che ormai annoverano vittime e martiri
non solo nei regimi autoritari.6 “Insom-
Che cosa c'entra Internet con la demoComunicazione presentano oggi, nell'ecrazia e la cittadinanza?
poca del cyberspazio, riguardo ai temi
C'entra per forza perché l'idea
che connotano la democrazia, come
di cittadinanza mette l'accento sul
libertà, trasparenza e controllo dal
patrimonio di diritti di cui la persona
basso, partecipazione, collaborazione,
può concretamente disporre, quindi “è
responsabilità degli individui e delle
per sua natura dinamica, accompagna
istituzioni3.
la persona nel suo essere nel mondo e, di
conseguenza, integra la sua dotazione di incominciamo dai diritti.
Molti dei tradizionali diritti e delle
diritti tutte le volte che questo ampliaclassiche libertà costituzionali come la
mento viene sollecitato dall'incessante
libertà di manifestazione del pensiero
mutamento prodotto dall'innovazione
“con ogni mezzo di diffusione” (Costiscientifica e tecnologica, e soprattutto
tuzione art. 21) trovano proprio nella
dalle dinamiche sociali che così si deterrete il presupposto per realizzarsi
minano.1”
Di questo incessante mutamento
pienamente; altri (come il diritto alla
Internet è tra i fenomeni più vistosi:
privacy e alla sicurezza) devono essere
non è più soltanto l'autostrada dell'inreinterpretati per accompagnare la performazione, la biblioteca digitale, la
sona nelle nuove situazioni implicate
posta elettronica, la porta sul mondal fatto di abitare il cyberspazio. Per
do virtuale come la si immaginava
esempio “cediamo informazioni, lasciasolo quindici anni fa2. È diventata
mo tracce quando ci vengono forniti beni 4. In questo senso si sono espresse
uno spazio pubblico di vita vera, uno
e servizi, quando cerchiamo informazioni, organizzazioni internazionali che si
occupano di diritti umani e la carta dei diritti
spazio immenso (world wide), dove ci si quando ci muoviamo nello spazio reale
fondamentali dell'Unione Euriopea (art.11).
incontra, si agisce, si compra e si vende, o virtuale” scrive Rodotà segnalando la
si delinque anche, e si scontrano poteri perdita di controllo sui nostri dati per5. R.Luna, Cambiamo tutto La rivoluzione degli
con effetti non confinabili nel virtuale.
sonali e addirittura sul nostro profilo
innovatori, Laterza 2013. Ma qualche pagina
In questo mondo digitale bene o male
identitario che viene arbitrariamente
dopo leggiamo anche: “in Siria nel 2012 il
abitiamo (lo indossiamo) ed è quindi
delineato, a nostra insaputa, per fini
governo di Bashar al-Assad, quando è iniziata
indispensabile esserne consapevoli
commerciali. E conclude chiedendosi
la rivolta, invece di tagliare i collegamenti a
per individuare le caratteristiche di
“Le garanzie della libertà personale (art.
Internet, come aveva fatto senza alcun successo
questa cittadinanza nuova e globale e
13) devono essere estese anche al corpo
il presidente Hosni Mubarak in Egitto prima di
per svilupparla positivamente eserci«elettronico», seguendo la traiettoria
essere detronizzato, ha adottato la strategia
tandone diritti e doveri. Del resto le
contraria. Ha aperto la rete a tutti senza limiti
tecnologie nuove ci interrogano sempre
e l'ha usata per spiare i rivoltosi, studiare le
3. Non
a
caso
questo
scritto
prende
le
mosse
sui valori implicati nel cambiamento.
loro strategie, svelare le reti di contatti. Per poi
da un seminario organizzato dall'Istituto
Bisogna quindi esplorare le concrete
colpirli meglio.” Su questi temi È imperdibile
pedagogico
della
Resistenza
con
l'Università
opportunità e i non pochi rischi che le
M.Castells, Reti di indignazione e di speranza,
Milano-Bicocca per approfondire gli aspetti
Tecnologie della Informazione e della
1. Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti,
Laterza 1913 (anche e-book).
2. Mark Stefik, Internet dreams. Archetipi, miti
e metafore, MIT 1996/UTET 1997.
teorici e progettare pratiche coerenti
rispetto alle proposte emerse dal convegno
“Pedagogia della Costituzione e della
Resistenza” impostato su una appassionata
introduzione del partigiano Prof. Guido
Petter. (scaricabile da www.resistenza.org).
Bocconi Editore, 2013.
6. In America si è suicidato quest'anno Aaron
Swartz, 26 anni, militante del libero sapere
su internet, che aveva sottratto pubblicazioni
scientifiche del MIT per renderle accessibili a
tutti. Rischiava 50 anni di carcere.
15
16
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – parole, musiche, immagini
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Stefano Rodotà in
“versione ASCII”.
ma” scrive il costituzionalista Azzariti
“tra gli strumenti che si pongono a difesa
della democraticità di un sistema politico
sembra che si debba ormai annoverare la
rete, il cui accesso e uso appare sempre
più necessario per definire lo statuto
della libertà contemporanea, al tempo
del cyberspazio.7“
dalle libertà alla
partecipazione
In rete il passo è corto. Il diritto di
accesso, infatti, riguarda sia la conoscenza «in uscita», quella che ciascuno
collegandosi può procurarsi, sia quella
«in entrata», prodotta da tutti coloro
che la accrescono con il loro intervento.
Un esempio eclatante in questo senso è
Wikipedia, l'enciclopedia on line collaborativa e gratuita, mentre per quanto
riguarda il rapporto con le istituzioni
possiamo ricordare l'Islanda dove il 21
ottobre 2012 è stata approvata la prima
Costituzione redatta con il contributo
della popolazione attraverso le più
diffuse reti sociali.8 Si apprende dal
7. G.Azzariti Internet e Costituzione.
Intervento al seminario su “Internet Libertà
e Diritti: a partire dal caso Wikileaks”,
organizzato da Magistratura Democratica,
Roma, 18 febbraio 2011.
8. Riporto il primo paragrafo della premessa
per evidenziare la coerenza del testo
col metodo usato per redigerlo: We, the
people who inhabit Iceland, wish to create
a just society where every person has equal
opportunity. Our diverse origin enriches our
society and together we are responsible for
the heritage of generations, our country and
its history, nature, language and culture.
(stjornlagarad.is/english/).
sito che per tutto il 2011-12 il Consiglio
Costituente, selezionato tra cittadini
rigorosamente mai investiti di incarichi
parlamentari, ha pubblicizzato settimanalmente l'avanzamento dei lavori su
YouTube, Facebook, Flikr, oltre che sui
media tradizionali, in modo da invitare
e possibilmente coinvolgere tutti.
Questi software e piattaforme del
web 2.0 che chiamiamo reti sociali
perché consentono l'interazione on line,
stanno intrecciando ovunque (anche in
Italia) reti di cittadini attivi cui offrono
l'opportunità di conoscersi e di collaborare alla soluzione di problemi che
li riguardano o che si manifestano sul
territorio, o che gli vengono proposti
da chi è interessato a consultarli. Il
metodo è quello di studiare il problema
confrontandosi tra persone motivate
e impegnate, sfruttando sia le conoscenze e le competenze di ciascuno,
sia quelle che si vengono a formare nel
gruppo per costruire proposte attuabili
direttamente o proponibili a chi di
dovere. La chiamano crowdsourcing
questa preziosa mischia di conoscenza
diretta dei contesti che dà senso ad
un'analisi più ampia e la indirizza, che
sollecita argomentazioni informate, ma
si giova anche dell'intuizione caratteristica delle intelligenze non burocratizzate. Partecipando si cambia, si diventa
sensibili ma non ci si arrende alla complessità dei problemi ed eventualmente
si accettano soluzioni temporanee
senza subirle come definitive.9
democrazia continua
Questo coinvolgimento dei cittadini,
inizialmente visto con sospetto, sta
diventando anche da noi un obiettivo
della pubblica amministrazione (PA)
particolarmente nell'ambito dei servizi
sociosanitari, culturali e del trasporto
pubblico dove si stanno sperimentando forme di democrazia partecipata.
Quest'anno nel Forum annuale della
PA, proprio alla “cittadinanza digitale”
è stata dedicata una intera giornata,
trasmessa in diretta streaming, aperta
a commenti via Twitter o Facebook e
immediatamente disponibile sul sito.10
In questa sede Rodotà ha riproposto
il suo concetto di democrazia continua
che ben descrive e interpreta i nuovi
modi della cittadinanza: “Parlando di
democrazia continua si fa riferimento a
strumenti che si differenziano da quelli
di tipo rappresentativo perché vengono
adoperati dai cittadini senza ricorrere
ad alcuna mediazione…L'accento viene
posto sulla fine dell'intermittenza del
processo politico per quanto riguarda
la presenza dei cittadini, e sul fatto che
la nuova continuità non è resa possibile
da impulsi o stimoli provenienti dall'alto, ma è affidata anche, o soprattutto,
all'iniziativa diretta degli interessati. Ma
la continuità non riguarda soltanto la
dimensione temporale. Si distende nello
spazio dove le reti creano appunto la
fine delle interruzioni determinate dalla
distanza, aprendo la prospettiva di una
face-to-face democracy senza più confini.
Proprio questo continuum spazio temporale individua la dimensione istituzionale
dell'agire politico e della costruzione
della cittadinanza.11” Insomma “Oggi
pensare che basti votare ogni cinque anni per essere governati bene è un'illusione vista la complessità dei problemi che
abbiamo davanti, ma è anche uno spreco.
Uno spreco di talenti: i nostri.12”
Sempre a proposito di democrazia
partecipata e continua nel Forum PA
si è discusso anche di piattaforme e
dei software più adatti a sostenere
iniziative di cittadinanza in rete, evitando le scorciatoie a volte barbare dei
social-networks più popolari. Sembrano
questioni tecnicistiche, invece ogni
piattaforma crea un vero e proprio
10. iniziative.forumpa.it/expo13
9. Esempi in Gianluigi Cogo, La cittadinanza
digitale. Nuove opportunità tra diritti e doveri,
Edizioni della Sera 2010 (anche e-book).
11. Stefano Rodotà, Tecnopolitica, Laterza 1997
12. Riccardo Luna op.cit.(anche e-book)
Strumenticres n.61 – settembre 2013
ambiente in cui si sviluppano certi
valori piuttosto che altri. Al forum si è
ironizzato sull'“amicizia” in casa Facebook, puntualizzando che socialità non
è necessariamente sinonimo di civismo
e che bisogna poter scegliere tra gli
ambienti digitali dove si incontrano
solo i propri simili e quelli dove invece
i diversi possano generare qualcosa di
utile, come per esempio le “reti civiche”. Il servizio informatica del senato
ne ha appena pubblicato un censimento che ci fa capire le differenze e quindi
ci aiuta a scegliere quella più adeguata
ai nostri obiettivi13. Fiorella de Cindio
dell'Università di Milano ha opportunamente ricordato che l'Italia è costellata
di reti civiche “precoci”, come quella
nata a Milano nel '94, che promuovono
ed ospitano iniziative di cittadinanza
e le assecondano anche progettando
software specifici per esigenze diverse
come (magari in sequenza) raccolta
di idee, consultazione, deliberazione.
Insomma la gente non va più a votare,
siamo delusi dalla politica, ma sempre
più cittadini digitali hanno acquisito
il gusto di dedicarvi tempo e impegno,
ma pretendono le condizioni per poter
generosamente donare. Tra queste
condizioni c'è la liberazione dei dati
che giacciono inutilizzati o illeggibili
presso le pubbliche amministrazioni,
e di questo scrive in questo inserto
Fulvio Benussi.
la città intelligente
La galassia sempre più densa dei
possibili usi di Internet per migliorare
la vita di ciascuno di noi e del nostro
ambiente ha generato il mito delle
smart cities o città intelligenti, che
sono però interpretate in modo diverso:
per alcuni è smart una città dotata di
infrastrutture digitali che consentono di migliorare l'esistente; per altri
invece l'intelligenza sta nello sfruttare
il potenziale rivoluzionario della rete
(connessione tra persone, ma anche
condivisione di dati nel cloud e, ormai,
anche connessione con gli oggetti)
per “rivoluzionare” il nostro modo di
informarci, di muoverci, di lavorare e di
13. I Media Civici in ambito parlamentare.
Strumenti disponibili e possibili scenari d'uso,
Maggio 2013. Scaricabile da: www.senato.it
(poi cliccare: leggi e documenti→dossier di
documentazione→servizio informatica)
WEB E INTERCULTURA
Il network di Intercultura, organizzazione nata nel 1955 come
sezione italiana dell'American Field Service, comprende 55
Paesi, ha coinvolto circa 35.000 studenti italiani che han
vissuto un periodo di scuola superiore all'estero e si dedica
alla promozione degli scambi internazionali. È un esempio
di “ponte” tra web e realtà, nel quale la mente dei protagonisti,
spesso convinta di aver ottenuto dalla rete tutte le informazioni
possibilmente disponibili, si arricchisce di nuove connessioni,
semplicemente attraverso l'esperienza diretta della diversità.
a cura di Elisabetta assorbi
stare insieme, di vivere insomma, nel
mondo che cambia. Michele Vianello14
analizza ciascuna di queste situazioni
di vita mostrando con esempi che la
sfida è possibile e in che modo i cambiamenti potrebbero diventare sinergici
e straordinariamente positivi, se chi
governa la città si rendesse consapevole delle opportunità che potrebbero
essere aperte anche solo dalla raccolta
dei dati generati dai cittadini sul web,
normalmente abbandonati all'iniziativa
privata. Ancora una volta “la materia
prima diventa l'informazione, la conoscenza e le città si possono qualificare
nel modo in cui informazione e conoscenza sono prodotte, raccolte e condivise per
produrre innovazione15”. Sono decisioni
che ci riguardano? Possono i cittadini
rimanere indifferenti? Può rimanere
indifferente la scuola?
la scuola
Penso che chi ci ha seguito fin qui non
abbia dubbi sulla risposta.
Così come una città diventa intelligente non perché digitalizzata, ma
perché fa un uso intelligente del digitale, così la cittadinanza digitale a scuola
non può esaurirsi (anche se la implica)
in una competenza digitale ridotta a
destrezza, ma si dovrebbe esprimere in
azioni di cittadinanza che impegnino
direttamente gli studenti e abbiano un
14. M. Vianello, Smart Cities. Gestire la
complessità urbana nell'era di internet,
Maggioli 2013 (anche e-book)
15. G.Dominici,“smart-cities”, istruttiva mappa
mentale scaricabile da saperi.forumpa.it/
story/70156/la-italiana-alle-smart-cities-losservatorio-nazionale-anci-forum-pa
effettivo impatto sociale.
Perché lasciare che internet ci renda
stupidi passando dalle profondità del
pensiero alle paludi della distrazione,
alimentando l'ignoranza?16 Sappiamo
per esperienza che gli studenti danno
il meglio di sè realizzando progetti che
prevedono la soluzione di problemi nel
confronto con altri, in una logica non
esclusivamente scolastica. Internet li
può aiutare a costruire conoscenza condivisa e a rivalutare lo studio mentre e
perché realizzano un giornale, piuttosto
che una trasmissione radiofonica, o
una mostra, o anche semplicemente
un blog. Sono tutte buone occasioni
per utilizzare la rete in modo riflessivo
e inciampare nei problemi di accesso,
disponibilità, plausibilità, leggibilità
dei dati, necessità di incrociarli per
farli parlare, magari con linguaggi non
solo verbali. Cruciale è il passaggio da
consumatori a produttori (consum-attori li chiama Rivoltella) perché muoversi
nello spazio pubblico della comunicazione comporta responsabilità di cui
prendere consapevolezza.17
Fin qui mi sono riferita a pratiche
già presenti nelle scuole per ricordare
che possono essere facilitate dalla rete,
che però, soprattutto oggi essendo
disponibile in mobilità, ne suggerisce
altre più direttamente mirate alla
partecipazione, alla condivisione, alla
cittadinanza, come: la generazione di
16. Nicholas Carr, The Shallows: What the
Internet Is Doing to Our Brains, New York 2011
17. PC.Rivoltella, E. Bricchetto, F. Fiore,
Educare ai media. Una questione di
cittadinanza, Ed. La scuola 2012 pp.7-24
17
18
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
codici QR18 da disseminare nel quartiere per riscoprire, con la collaborazione
dei residenti più anziani, luoghi che
hanno avuto un senso nella sua storia
per poi organizzare “passeggiate della
memoria”; la proposta al Comune di
una bonifica visiva, da realizzare sostituendo agli schermi che contaminano il
territorio per segnalazioni puramente
commerciali schermi progettati dagli
studenti per dare informazioni utili
alla popolazione di quel quartiere;19 la
scelta della narrazione digitale e crossmediale come modalità di insegnamento-apprendimento;20 il confronto
sistematico con altre classi per discutere ipotesi ed esperimenti scientifici;21
18. Si tratta di un particolare codice a barre
che permette di trasmettere un testo (che
può essere un link) attraverso un cellulare
su cui installare un particolare software.
Consente esperienze di realtà aumentata,
cioè di aggiunta di informazioni alla realtà
sfruttando la geolocalizzazione. Esempi in
xmedialab.acmos.net
19. Laboratorio “Smart Giambellino” tenuto
nel citato seminario IPR da Annnamaria Poli
di Università Milano-Bicocca
20. Petrucco, Le narrazioni digitali per
l'educazione e la formazione, Carocci 2013
21. P. Samek, E. Giordano, Laboratori in rete,
Franco Angeli 2003
COMPUTER
DEL FUTURO
I microprocessori in silicio
stanno arrivando alle
loro estreme possibilità
d'impiego, perciò ferve
nella comunità scientifica
la ricerca di nuovi materiali,
che aprono orizzonti
ancora da esplorare.
La canadese D-Wave ha
annunciato di essere vicina
alla realizzazione del
primo modello completo
di computer quantistico,
fornito di inimmaginabili
capacità di calcolo, grazie
la partecipazione attiva alla locale rete
civica, l'interlocuzione diretta con le
istituzioni o l'apertura di un café civico
per introdurre e dibattere problemi,
magari proprio relativi alla cittadinanza.22 In questa logica andrebbe riconsiderata la questione dei telefonini, che
effettivamente distraggono e dei social
networks, che effettivamente intrappolano i nostri allievi. Possiamo farglieli
usare anche in modo intelligente, per
valorizzare il loro sapere informale e far
posto alle loro emozioni?23
Questo elenco di attività è molto
sommario (ma in nota trovate indicazioni ed esempi) perché mi è sembrato
più importante condividere riflessioni
sulla cittadinanza digitale con gli
insegnanti in quanto cittadini, coinvolti
(travolti?) anch'essi in un cambiamento
che, come abbiamo visto, non è solo
tecnologico. Siamo gli skipper di una
barca che in un mare agitato va verso
terre nuove o sconosciute. Anche a noi
vengono richieste consapevolezza e
responsabilità.
22. Un contatto con
www.connessionepubblica.it può aiutare a
prepararlo
23. M.Ranieri, I.Bruni, Piagge mobili:
narrazioni digitali tramite facebook mobile, in
TD Tecnologie didattiche 55
(www.tdjournal.itd.cnr.it/journals/view/55)
all'uso del germanio,
materiale che possiede
proprietà conduttive
migliori del silicio, anche
se in assoluto è il grafene,
strato ultrasottile di grafite,
il materiale migliore, ma
è poco compatibile con i
processi produttivi attuali.
Il computer quantistico
usa un linguaggio diverso
da quello binario attuale,
fatto di zero e di uno, ma
le difficoltà di costruirlo
sembrano ancora notevoli.
L'elemento base, chiamato
qubit, è multilivello, cioè
formato da un numero
elevato di componenti,
con struttura interna
molto complessa, che gli
permetterà di risolvere
problemi, appunto,
complessi.
Del resto lo scrittore Dave
Barry (premio Pulitzer
statunitense) diceva che
il computer più adatto
all'utente “è quello
commercializzato due
giorni dopo che ne avete
acquistato un altro”, perciò
… diamo tempo al tempo!
E. A.
La scuola
che verrà:
tra sussulti
tecnologici
e persistenti
riluttanze
di michele crudo
spunti di riflessione
La scuola è l'istituzione deputata all'apprendimento. È il luogo fisico e l'apparato amministrativo grazie ai quali il
sapere delle generazioni passate viene
trasmesso alle nuove generazioni. La
scuola è dunque l'organismo culturale
incaricato di far sedimentare e organizzare le conoscenze per consegnarle ai
ragazzi, che stanno imparando a porsi
delle domande e a darsi delle risposte
sia sul mondo in cui vivono, sia sulla
società in cui vivranno da adulti. Un
tale organismo, strutturato per poter
funzionare prevalentemente come un
archivio ben congegnato delle esperienze culturali già convalidate, è inevitabilmente scosso quando le trasformazioni
in atto sollecitano l'istituzione scolastica a operare dei cambiamenti. È ciò
che è successo con lo sviluppo delle
tecnologie della comunicazione, che
hanno moltiplicato e decentrato le
fonti mediante le quali s'impara prima
e più velocemente fuori dai confini
dell'edificio scolastico.
Oltre trent'anni fa il mondo della
scuola aveva percepito e registrato l'erosione, avviata dalla penetrazione dei
modelli educativi propagandati dalla televisione, della dimensione istituzionale
socialmente attribuita alla centralità del
processo formativo. Perso il monopolio
della formazione, la scuola ha rivelato
la propria inadeguatezza nello studiare
gli inediti approcci cognitivi veicolati
dall'uso del computer e dalla frequentazione di Internet. La tardiva risposta
ministeriale, concretizzatasi nella realizzazione di laboratori di informatica e
l'introduzione delle lavagne interattive
Strumenticres n.61 – settembre 2013
“Riflettere è considerevolmente laborioso,
ecco perché molti preferiscono giudicare”
–j. ortega y gasset–
“Per pensare ci vuole serenità,
per arrivare a delle conclusioni ci vuole pazienza,
e per metterle in pratica ci vuole coraggio”
–a. g. bartlett–
multimediali (LIM), ha creato disagio
negli insegnanti, i quali, abbandonati a
se stessi nel fronteggiare il conflittuale
impatto con lo stile dei nativi digitali, si
sono divisi tra coloro che oppongono un
ostinato rifiuto ai canali multimediali e
coloro che provano ad adeguarsi.
I due schieramenti, che rimandano
alla contrapposizione tra apocalittici
e integrati –tracciata da U. Eco in un
saggio sulla cultura e i mezzi di comunicazione di massa1– sono entrambi
legittimi e vanno presi attentamente in
considerazione, perché sono lo specchio di un attrito che rischia di rendere
cronica un'incomprensione destinata ad
ampliare il divario tra l'accelerazione
imposta dalle innovazioni tecnologiche
e la lentezza necessaria alla scuola per
assorbire i mutamenti in corso. La problematicità della questione è innegabile
e, comprensibilmente, la divergenza
delle opinioni è emersa anche negli
ambienti accademici. Schematizzando
le posizioni prese, mi limito a citare
i pronunciamenti di due studiosi. Da
una parte, Domenico Parisi che, pur
ritenendo pericoloso il percorso di
svecchiamento della scuola, reputa
irrinunciabile l'ingresso e l'uso delle
tecnologie multimediali perché stimolano negli allievi l'apprendimento diretto.
“Per tutto il Novecento pedagogisti e
psicologi hanno detto chiaramente quello
che non andava nell'educazione scolastica. A scuola s'impara in modo passivo
quando invece l'apprendimento richiederebbe una maggiore attività da parte dei
1. U. Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani,
Milano, 1964.
ragazzi, con la possibilità di esplorare, di
prendere l'iniziativa, di compiere azioni
sulle cose e di osservare gli effetti di
queste azioni”2.
Per Parisi la supremazia del canale
verbale, che procede unidirezionalmente dal docente agli studenti,
produce un apprendimento meccanico
e superficiale, mentre l'opportunità
di connettersi in rete, per accedere
a una variegata quantità di informazioni, induce a riflettere sulle opzioni
da scegliere. Di questo parere non è
Raffaele Simone che, già in un libro di
dieci anni fa, aveva lanciato l'allarme
sui pericoli che si corrono nel perdere
forme di sapere emarginate dall'incontrastato dominio del computer3. Nel
testo pubblicato l'anno scorso, riprendendo l'avvertimento tratteggiato nella
sua ipotesi iniziale, egli ammette la
progressiva affermazione della “visione
non-alfabetica” su quella “alfabetica”.
Quest'ultima, infatti, dovendo rispettare
la successione lineare e l'ordine logico
dell'intelligenza di tipo sequenziale,
risulta più impegnativa e faticosa della
prima.
Al contrario, l'intelligenza simultanea del “cibernauta” che naviga
nella “mediasfera”, non seguendo un
itinerario intenzionalmente delineato
e non essendo vincolata da procedure
preventivamente impostate, è facilmente indotta a seguire indicazioni casuali,
così imprevedibilmente affiorate da un
2. D. Parisi, [email protected], Mondadori, Milano,
2000 (p. 229).
3. R. Simone, La terza fase, Laterza, Bari, 2003.
magma di siti da far dimenticare quale
percorso è stato compiuto per arrivare
dove ci si trova. L'arbitrarietà della
navigazione in rete fa quindi propendere R. Simone per la tracciabilità del
sapere formalizzato e comunicato con la
scrittura. Una modalità, questa, che si
perfeziona con un continuo esercizio, il
perseguimento del rigore terminologico
e l'articolazione di un pensiero gerarchicamente strutturato. “La gerarchia
che si è venuta così a creare deve essere
rispettata nelle fasi dell'apprendimento
scolastico che nella scuola è organizza in
cicli […] Il modello ciclico comporta certo
qualche grado di ripetizione, ma al tempo
stesso consolida il fissarsi delle conoscenze e favorisce la loro graduale espansione
[…] Inoltre, l'enciclopedia (ossia una rete
di conoscenze interconnesse) è ripresentata ad ogni ciclo con un raggio via
via allargato e con l'aggiunta di qualche
segmento nuovo, che va a integrarsi al
resto”4.
Le riflessioni di D. Parisi e R. Simone
così sinteticamente riportate omettono
la gamma di sfumature che attenuano
tesi in apparenza inconciliabili. Nondimeno, esse rappresentano i due punti di
vista che esprimono la polarizzazione
degli atteggiamenti assunti dagli insegnanti nei confronti dei social network e
dell'impiego delle tecnologie multimediali in classe. Personalmente, tra l'entusiastica accoglienza di una minoranza
di integrati e la rassegnata impotenza
della maggioranza degli apocalittici, ho
seguito come sempre l'invito di U. Eco
a confrontarsi con le novità, convinto
che, non potendo incidere sugli epocali
cambiamenti in atto, posso però decidere che il mondo non continui a cambiare
senza la mia vigile partecipazione e il
mio critico contributo. Perciò, da autentico e inossidabile gutenberghiano, che
si nutre dell'emozione della lettura e del
contatto materico con la penna a sfera,
mi sono volenterosamente misurato con
il linguaggio della multimedialità per
capire se sarebbe stato possibile aggiornare la didattica con l'acquisizione
delle funzioni operative degli strumenti
digitali. Quello che segue è lo scarno
resoconto dei risultati ottenuti nel corso
degli ultimi tre anni.
4. R. Simone, Presi nella rete, Garzanti, Milano,
2012 (p. 144).
19
20
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
dalla riflessione a una
operativa progettazione
L'installazione in aula della LIM avrebbe
potuto lasciarmi indifferente, ma la
sua inutilizzata presenza sarebbe stata
uno spreco. Provando un'epidermica
allergia agli sprechi, ma anche mosso
da un'istintiva curiosità per gli intrusi,
ho cominciato a maneggiare l'attrezzo
usandolo all'inizio come proiettore
di immagini, reperite in Internet sia
per mostrare documenti storici (fonti
materiali, visive, ecc.), sia per illustrare
ambienti naturali e paesaggi antropizzati. Spinto dalla reazione positiva degli
alunni - che dall'osservazione delle
immagini traevano spunto per porre
domande - ho gradualmente riorganizzato il curricolo geostorico-sociale,
apportando modifiche alle modalità di
svolgimento delle lezioni e delle verifiche. Con il passare dei mesi, ho infatti
messo a punto un impianto standard
delle Unità di lavoro, che è fondamentalmente basato sugli aspetti metodologici
descritti qui di seguito.
L'insegnante, integrando la lettura selettiva dei capitoli del manuale,
presenta e spiega i contenuti trattati
con l'ausilio di immagini accuratamente selezionate per rendere visibile e
cognitivamente fruibile ciò di cui si sta
parlando; i ragazzi prendono appunti,
mentre la lezione prosegue con un fitto
scambio di domande e risposte che
valorizzano l'interazione dialogata tra
docente e discenti.
Gli alunni ripassano a casa gli
appunti, visionando le stesse immagini
che hanno visto in classe. Le immagini
si trovano nella piattaforma studenti,
dove ogni area disciplinare ha il suo
spazio con la relativa programmazione. All'interno dello spazio di Storia
sono presenti i files delle singole Unità
didattiche, composti da: un'introduzione
panoramica, la narrazione iconografica
degli argomenti, reti concettuali, schemi
semplici e complessi.
Prima dell'avvio delle successive
lezioni, gli allievi chiedono spiegazioni
sulle lezioni precedenti e sui dettagli
di alcune immagini che non hanno
ben compreso; le precisazioni servono
anche a riassumere ciò che si è già
studiato.
L'Unità di lavoro, della durata di circa
otto ore, termina con l'illustrazione di
quadri d'insieme, schemi riassuntivi
e mappe concettuali, che aiutano a
ricostruire l'articolazione delle tematiche affrontate. Il ripasso prima della
verifica abitua i ragazzi a scomporre
e ricomporre i contesti in una visione
generale che racchiude le parole-chiave
e raccoglie i nuclei informativi più
significativi. È da tenere presente che le
mappe, gli schemi, la contestualizzazione dei personaggi all'interno di precise
coordinate spazio-temporali, sono
accuratamente elaborati dall'insegnante
perché siano comprensibili, funzionali
alla memorizzazione e terminologicamente accessibili.
La verifica, a seconda delle classi, ha
una differente modulazione. In prima
media consiste nell'osservazione e
descrizione delle immagini, che non
sono identiche ma molto simili a quelle
viste e analizzate in classe sulle civiltà
e gli ambienti naturali. A questa prima
parte, della durata di 60 minuti, segue
una essenziale relazione sui contenuti
studiati. A coloro che sono caratterizzati da una memorizzazione frammentaria
è permessa, in alternativa alla formula
discorsiva, una concisa riproduzione
dei quadri d'insieme. L'impianto della
verifica non prevede una diversificazione tra storia e geografia.
In seconda media la relazione scritta
prende il posto dell'osservazione e
descrizione delle immagini, con una
transizione dal codice prevalentemente
iconico a quello verbale. Il linguaggio
analogico delle immagini funge da filo
conduttore della narrazione storica nel
corso delle lezioni, ma nella prova finale
si punta a una corretta stesura della
relazione, che richiede il rispetto della
successione cronologica dei fatti e la
coerenza logica dell'esposizione delle
variabili che contraddistinguono un
determinato periodo.
In Geografia, invece, l'esposizione
orale è svolta con l'utilizzo della LIM, e
la comunicazione è preparata a casa
sul modello esemplificato in classe dal
docente. Il quale, dopo aver spiegato e
applicato i criteri di analisi degli Stati
europei, fa vedere come si procede su
Internet per la selezione delle cartine, la
ricerca dei dati statistici, l'individuazione delle informazioni da abbinare alle
immagini nell'assemblaggio di una comunicazione in Powerpoint o in OpenOffice. La lezione esemplificativa dura due
ore, mentre l'addestramento si prolunga
per quattro ore in un laboratorio provvisto di 25 computer, davanti ai quali
gli allievi si siedono per confezionare il
loro prodotto. In questa fase operativa
l'insegnante interviene per correggere,
consigliare, indirizzare.
Pur restando un irrinunciabile punto
di riferimento, il docente mira a rendere
autonomi i ragazzi nell'assemblare la
comunicazione che, dopo l'esposizione
individuale, viene valutata dalla classe
in base alla completezza dei materiali
raccolti, alla fluidità dell'esposizione,
alla pertinenza delle immagini. Faccio
notare che, ai fini dell'efficacia comunicativa, non sono stati irrilevanti
l'impostazione grafica; il dosaggio
dello spazio occupato dalle immagini e
quello destinato ad accogliere il testo
scritto; la cura nella scelta dei caratteri
e dei colori usati sia per vivacizzare lo
sfondo, sia per far risaltare le parole.
Al contrario, il ricorso all'animazione
nella presentazione non ha riscosso un
successo unanime e, comunque, è stata
ininfluente nella formulazione del giudizio finale che, tranne qualche eccezione,
ha trovato concordi alunni e insegnante.
In terza media, classe che segna il
consolidamento delle abilità acquisite,
le procedure applicate per gli Stati europei vengono reiterate per illustrare i
continenti, la composita configurazione
dei quali viene affrontata con l'esplorazione permessa da Google Maps. Rispetto all'anno precedente, il prodotto
espositivo si arricchisce dei dati e delle
cartine tematiche dell'UNDP sull'Indice
di Sviluppo Umano (speranza di vita
alla nascita, grado d'istruzione, reddito
medio pro capite). Particolarmente interessanti sono state le comunicazioni dei
ragazzi arrivati dai Paesi extraeuropei
(Perù, Filippine, Egitto, Sri Lanka), in
cui sono apparse slides sugli ambienti
di provenienza e le rispettive tradizioni
culturali. Un fattore non trascurabile
che ha orientato gli allievi nella ricerca
delle immagini è stato la risonanza di
eventi a loro televisivamente noti: lo
tsunami del 2004 nel Sud-Est asiatico;
l'uragano Katrina del 2005 su New Orleans; il terremoto del 2011 in Giappone
e il cedimento strutturale di un reattore
nucleare a Fukushima; l'esplosione nel
2012 della piattaforma petrolifera nel
Golfo del Messico. Ognuno di questi
avvenimenti ha suggerito lo spunto per
discutere sulla problematicità della
Strumenticres n.61 – settembre 2013
RETE E
SCIOVINISMO
FRANCESE
Se in Italia l'inglese
sta inesorabilmente
colonizzando la lingua,
visto che il 16 per cento
dei neologismi è angloamericano, in Francia
il cancelletto di Twitter
(hashtag) si dovrà
chiamare, per legge, “motdièse”, cioè parola-diesis,
come il segno musicale.
Del resto per i cugini
francesi il computer è, da
sempre, l'ordinateur.
a. E.
WEB E LAVORO
Secondo un'indagine della
piattaforma statunitense
di monitoraggio Repper, il
75% delle aziende utilizza
Twitter e Facebook per
reperire informazioni
sui futuri dipendenti:
l'autopresentazione
azzeccata spesso paga. I
network come ufficio di
collocamento, primo fra
tutti Linkedin, che conta
ben 200 milioni? di iscritti
nel mondo, viene usato per
strutturare inserzioni di
farmaceutica, ingegneria,
ma anche nel campo della
moda. L'ultima novità
è catchawork.com, che
serve per condividere
curricola in formato video:
dopo l'iscrizione, si può
personalizzare il proprio
profilo caricando un video,
che il comitato scientifico,
dopo valutazione, segnala
direttamente alle aziende.
a. E.
crescita economica in rapporto allo
sfruttamento delle risorse del pianeta
e alla vulnerabilità delle popolazioni
esposte sia all'imprevedibilità dei fenomeni naturali che alle conseguenze dei
mutamenti climatici.
Lo stesso lavoro di ricerca, assemblaggio ed esposizione di un Powerpoint/OpenOffice è stato parallelamente
portato avanti nella ricostruzione dei
contesti storici contemporanei. Infatti,
avvalendosi delle competenze già assimilate nei due anni precedenti, i ragazzi
si sono mostrati capaci di padroneggiare un dispositivo rivelatosi adatto
a interconnettere la molteplicità delle
componenti che concorrono a definire
i contesti storici dell'Ottocento e del
Novecento. Molti di loro se la sono cavata egregiamente, dimostrando di saper
utilizzare al meglio il pluralismo dei
linguaggi, in particolare quello delle arti
figurative e della cinematografia. Per
esempio, reperendo in Internet tele di
pittori impressionisti e sequenze cinematografiche estrapolate da film come
“Oliver Twist” e “Sherlock Holmes”, essi
hanno saputo descrivere alcuni tratti
tipici della vita nelle metropoli europee
della seconda metà del secolo XIX.
Insistendo sulla interdisciplinarità,
ho impostato, su delega del Consiglio di
classe, il progetto per la realizzazione
della tesina d'esame. Forti dell'esperienza già vissuta, i ragazzi si sono
motivatamente impegnati per prepararsi all'esame orale di giugno con la
presentazione di un prodotto espositivo
multimediale. Il successo del percorso
didattico è stato garantito sia dall'occasione di poter lavorare per due ore
settimanali, da febbraio a giugno, nel
laboratorio dotato delle 25 postazioni
di computer; sia dall'opportunità di usufruire nella piattaforma studenti di una
piazza telematica dove depositare on
line lo sviluppo in itinere del prodotto.
Ne è scaturito un working in progress
che ha consentito di mettere a fuoco gli
ostacoli incontrati e, di volta in volta,
di risolvere le difficoltà con un problem
solving al quale hanno partecipato i
docenti di diverse aree disciplinari.
prudenti conclusioni
Con alle spalle un triennio non avaro
di scoperte e gratificazioni, posso a
posteriori concedermi un bilancio che,
limitatamente alla mia pratica didatti-
ca, mi porta ad esplicitare le seguenti
constatazioni:
↘↘il fiducioso approccio al linguaggio
iconografico comporta solo una riduzione quantitativa e non qualitativa
del canale verbale/semantico, che
rimane il linguaggio privilegiato
della comunicazione;
↘↘l'utilizzo di programmi come PowerPoint e affini non inaridisce le facoltà
creative dei preadolescenti che, anzi,
possono persino essere stimolati dalla varietà di opzioni che essi hanno a
disposizione per manipolare/modellare l'impaginazione;
↘↘l'ampia e rapida reperibilità degli
elementi che vanno a comporre il
prodotto della comunicazione non
obbligatoriamente convergono
verso un sommario taglia e incolla;
del resto, anche quando si studia
mnemonicamente sul manuale si fa
ricorso a un taglia e incolla mentale,
se l'operazione cognitiva si limita
alla ripetizione di ciò che è stato
depositato nell'involucro esterno
della memoria;
↘↘connettersi, navigare in rete, reperire fonti non inibisce la capacità di
interpretare e ragionare, se l'identificazione e la raccolta del materiale
grezzo serve a supportare e strutturare un discorso corroborato da
immagini organicamente funzionali;
↘↘il protagonismo degli studenti,
che sono chiamati a diventare i
consapevoli autori delle proprie
prestazioni, valorizza la competenza
ideativa, perché le strategie attuate
per superare i problemi implicano un
attento monitoraggio in itinere delle
soluzioni trovate;
↘↘l'uso del computer, se è finalizzato alla produzione di conoscenze,
può affiancare all'apprendimento
per accrescimento, fondato sulla
stratificazione cumulativa dei saperi,
l'apprendimento per progressive
destrutturazioni/ristrutturazioni,
innescato dal costante bisogno sia di
trasferire informazioni e testi dalla
vastità del web al contesto didattico
della classe, sia di far transitare
significati dal codice alfabetico al codice analogico/simbolico e viceversa;
↘↘la frequentazione di molteplici
linguaggi genera nell'insegnante un
atteggiamento di apertura, che lo
sollecita ad accogliere e applicare
21
22
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
codici e canali comunicativi familiari
alla nuova generazione.
Alla luce di quanto è stato detto, i traguardi raggiunti possono essere ritenuti
lusinghieri, soprattutto tenendo conto
degli scarsi prerequisiti tecnici del
conduttore. Non faccio tuttavia fatica
ad ammettere che ho agito in condizioni
favorevoli, nell'ambito di una scuola
provvista di un'avanzata apparecchiatura tecnologica, di uno spazio laboratoriale adeguato e dell'assistenza di
due esperti addetti alla manutenzione.
Senza il positivo concorso di queste tre
variabili, confesso che le mie intuizioni e la mia abnegazione sarebbero
andate incontro a un'insormontabile
serie di ostacoli. Una tale situazione
di privilegio, orientandomi verso uno
scetticismo propositivo, mi ha tenuto
lontano dall'intransigenza dei riottosi e
dall'euforia degli apprendisti stregoni.
Ritengo quindi che un sano equilibrio,
tra una reazione di spaventata chiusura
e quella diametralmente opposta di
ingenua credulità, rappresenti la giusta
via di mezzo da intraprendere nella
gestione di dispositivi tecnologici che “…
crescendo su se stessi per autoproduzione,
generano conseguenze che sono indipendenti da qualsiasi azione diretta e imprevedibili in quanto ai loro esiti ultimi”5.
Come opportunamente mette in
guardia U. Galimberti, il dislivello tra il
“massimo di capacità” delle applicazioni
tecnologiche e il “minimo di conoscenza”
sulle finalità delle innovazioni tecnologiche può comportare il rischio di una
acquiescente subalternità. Consapevole
di questi incontrollabili effetti, dopo
aver superato una diffidenza iniziale, mi
sono mosso con convinzione e, così come in passato non mi sono sottomesso
al dispotismo del manuale, cerco ora di
scongiurare la tirannia delle tecnologie
multimediali. In che modo? Facendo
ricorso alle mie risorse professionali
ho rielaborato il curricolo autonomamente, prima di vedermi costretto a
subire l'umiliante subordinazione a una
scelta pilotata dalle case editrici più
competitive, che, con la produzione e
la circolazione delle versioni digitali
dei libri di testo (LIM-BOOK), daranno
un'impronta eterodiretta alla didattica
multimediale.
5. U. Galimberti, Il cristianesimo. La religione
dal cielo vuoto, Feltrinelli, Milano, 2012 (pg. 35).
Io non so cosa il futuro riserva alla
scuola. Non so se la scuola che verrà,
per non lasciarsi travolgere dal tumultuoso incalzare dei mutamenti, tenterà
di evitare l'attuale deriva varando un
radicale piano d'interventi, a cominciare dalla creazione di un sistema di reclutamento, aggiornamento e valutazione dei docenti; oppure, dopo un'ondata
di sbrigativi aggiustamenti di facciata,
indugerà in una letargica inerzia. Può
darsi anche che la scuola persista in
una paralizzante oscillazione impressa
dall'insistenza a restare prigioniera di
un modello d'istruzione anacronistico e
l'impulso a promuovere un rigenerante
rinnovamento culturale, finora sistematicamente frustrato da una deprimente
inadeguatezza di fondi e di iniziative. A
giudicare da ciò che sta accadendo, è illusorio sia cercare riparo nella staticità
di un'istituzione scolastica erroneamente giudicata inalterabile, sia invocare
un suo urgente impegno nel configurare
un'attendibile prospettiva a medio e
lungo termine.
Intanto, in attesa che la successione
degli eventi dia vigore all'agire collettivo, faccio appello alle mie energie e
intreccio quotidianamente la trama e
l'ordito della relazione pedagogica con
gli allievi “…secondo il modello delle api
baconiane, che elaborano e danno sapore
a quanto hanno pazientemente raccolto,
in contrasto con le formiche, che si limitano invece ad accumulare materiali altrui,
e a differenza dei ragni che secernono
autarchicamente le idee dalla propria
bocca”6.
6. R. Bodei, Geometria delle passioni,
Feltrinelli, Milano, 2010, (p. 22).
Nativi
e immigrati digitali
Un possibile incontro davanti
al computer
di marina medi
Che gli adulti, chi più chi meno, ma
tutti un po', guardino i giovani e i loro
comportamenti con preoccupazione (Ma come faranno a cavarsela…),
sorpresa (Ma noi non eravamo così…),
rammarico (Ma quante cose si stanno
perdendo…) o sgomento (Ma dove
andremo a finire…) fa parte del normale
scontro che esiste tra le generazioni.
I giovani, da parte loro, ricambiano,
considerando gli adulti convenzionali,
borbottoni, noiosi. Ogni generazione
esprime infatti una sua cultura fatta
di linguaggi, codici di comportamento,
gusti nell'alimentarsi, vestirsi ed acconciarsi, valori, eroi e miti diversi e, come
spesso succede con le culture, è facile
pensare che la propria sia migliore di
quella degli altri. Per fortuna, accanto
agli scontri culturali tra generazioni ci
sono anche incontri e scambi quando,
come ci ha insegnato l'educazione
interculturale, si è capaci di ascoltarsi,
capire il punto di vista dell'altro e riunire creativamente i contributi differenti.
Così gli insegnanti, diversi per generazione oltre che per ruolo, possono
trovare stimoli di rinnovamento negli
studenti e questi possono scoprire nei
docenti dei maestri.
una nuova sfida interculturale tra adulti e giovani
Alla diversità tra le generazioni in questi anni si è aggiunto un elemento in più,
che l'ha resa più profonda e radicale:
l'uso delle nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione. Queste
infatti sono sicuramente tra i principali
protagonisti del cambiamento epocale
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Rivisitazione di un particolare
della “Creazione di Adamo”
dipinta da Michelangelo
Buonarroti nella Cappella Sistina
a Roma.
che sta caratterizzando la fine del secondo millennio non solo per la velocità
degli scambi che permettono, per la
sterminata massa di informazioni che
veicolano, per la possibilità che offrono
di sperimentare modalità espressive
innovative, ma anche perché comportano un modo diverso di intendere la
realtà e di organizzare le conoscenze. E
questo cambiamento investe in modo
particolare noi insegnanti, che per mestiere cerchiamo di aiutare i giovani a
leggere e interpretare la realtà naturale
e sociale e di trasmettere il sapere delle
generazioni passate a quelle future.
Centrale è il fatto che oggi il supporto che conserva e veicola l'insieme
delle conoscenze comincia a non essere
più il libro, ma sono le nuove tecnologie digitali, così come la comunicazione, tra le persone e nei diversi ambiti
professionali, sta abbandonando il
mondo della carte da lettere, delle
riviste e dei quotidiani, per trasferirsi
on line. Il cambiamento del supporto
non è di poco conto, infatti nella storia
dell'umanità il sapere è stato trasmesso
solo in tre modi: inizialmente e per
migliaia di anni in modo orale, magari
appoggiandosi alla pratica, poi in modo
scritto e ora in modo digitale. Ogni
cambiamento ha avuto conseguenze
rivoluzionarie: quando nel XVIII secolo
nel mondo occidentale si passò da una
trasmissione delle conoscenze (non solo quelle accademiche, ma anche quelle
professionali dell'artigiano all'apprendista e quelle della vita quotidiana
della madre alla figlia) sostanzialmente
centrata sull'oralità a una basata sulla
scrittura diffusa in gran numero di
copie di carta stampata, il risultato fu
la nascita delle discipline così come le
intendiamo oggi e, con esse, la possibilità di sistematizzare il sapere, di
approfondirlo in ambiti specialistici
e di lasciarlo in eredità ai posteri
senza rischi di essere deformato. Che
cosa comporterà la nuova rivoluzione
digitale è ancora presto per dirlo, ma
sicuramente sappiamo che, se cambia il
supporto all'espressione, cambia anche
il linguaggio e, dato che linguaggio
e pensiero sono intimamente legati,
inevitabilmente cambierà anche il
modo di organizzare il pensiero. Sono
in molti oggi a parlare di una futura
rivoluzione antropologica. Intanto
oggi, noi insegnanti, nati nel mondo
della scrittura e formati sulle discipline
e le materie scolastiche, abbiamo il
compito professionale di fare scuola
ad alunni nati in un mondo digitale e
sempre più abituati al multitasking e ai
collegamenti olistici. È comprensibile
allora che nella scuola sia così diffusa
un'ansiosa mancanza di certezze a cui
alcuni docenti rispondono cercando di
rincorrere le novità, altri arroccandosi
nelle antiche pratiche, altri ancora,
appena possono, andando in pensione…
È possibile invece affrontare questa
situazione di disagio in modo interculturale? È possibile, cioè, che noi, adulti
e insegnanti, sfruttiamo la scoperta
della diversità della cultura digitale
per riflettere sulle potenzialità e i
limiti della cultura dei libri, sui valori
fondanti del nostro modo di pensare,
sui contenuti essenziali a cui pensiamo
che non sia giusto rinunciare? Perché,
ovviamente, a qualcosa bisognerà
per forza rinunciare, così come chi
nel passato ha affidato alla carta la
conservazione e trasmissione delle
conoscenze ha inevitabilmente ridotto
la propria capacità di memorizzazione e di esposizione orale. Ma su altri
aspetti non possiamo cedere, perché li
consideriamo essenziali per qualunque
processo di conoscenza.
Tra questi ne prenderò in considerazione due: la capacità di valutare
criticamente l'informazione e quella di
tener in conto gli aspetti della complessità. Sono due aspetti molto sottolineati da chi critica l'utilizzo di internet a
scuola. Si dice infatti: di fronte alla valanga di informazioni reperibili sul web,
come valutarne l'attendibilità? come
evitare che gli studenti si accontentino
di copiare la prima cosa che trovano?
come sviluppare vere competenze disciplinari, dato che su internet si trova
tutto su tutto già bello e fatto?
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
tre percorsi di apprendimento tra potenza del web
e nuclei fondanti dell'area geostorica
In una classe terza di scuola primaria i bambini
devono affrontare il problema della rappresentazione cartografica dello spazio. Hanno già lavorato
sullo spazio della classe e della scuola e quindi
sanno che cosa sono la visione zenitale, la riduzione di scala, la legenda, la simbolizzazione in una
mappa. Il lavoro ora si deve spostare al quartiere
e alla mappa del comune. Per prima cosa i bambini sono invitati a osservare dall'alto la loro scuola
e lo spazio intorno utilizzando Google maps in versione satellitare e a riconoscere oggetti presenti
in questi spazi di cui hanno esperienza. Passano
poi alla versione mappa di Google maps e cercano
le somiglianze e differenze delle due rappresentazioni, riflettendo sui vantaggi dell'una e dell'altra.
Scoprono poi che ogni via o piazza ha un
nome, segnalato sia nella realtà che sulla mappa,
e ragionano sull'utilità di questa nominazione.
Si domandano chi siano i personaggi citati, chi
ha deciso di dedicare a loro una strada e perché.
Cercano su Google i diversi personaggi e riflettono
sulla volontà e sulle modalità con cui si conserva
la memoria storica. Se, come nel caso della classe
che ha sperimentato questo percorso, una delle
strade era dedicata a una persona che non appariva su Google, i bambini possono provare a capire
perché. Un'ipotesi è che si tratti di un personaggio
locale, che quindi non appare sul web, e allora ci
si può informare presso chi conosce la storia del
paese per avere informazioni e fare una piccola
biografia del personaggio.
Il lavoro può continuare allargando l'immagine all'intero quartiere o comune, scoprendo
le abitazioni dei bambini, il percorso da casa a
scuola e altri elementi conosciuti di questo spazio
più ampio, mettendo poi tutto a confronto con
una mappa stampata della zona. L'utilizzo dello
stradario può permettere di scoprire altri personaggi storici.
In questo esempio è chiaro il ruolo dell'insegnante che sollecita gli studenti a farsi domande
e a cercare risposte su quelle che sono questioni
fondanti della geografia (la rappresentazione
dello spazio e la sua utilità) e della storia (chi,
come e perché si conserva la memoria del passato), ma il web offre strumenti facili da reperire e
motivanti.
Un momento della sfilata evocativa che
precede la corsa del Palio di Legnano 2013.
In una classe seconda di scuola secondaria di
primo grado del Legnanese gli studenti stanno
realizzando un lavoro sul Palio di Legnano, festa
che si svolge tradizionalmente nell'ultima decade
di maggio per ricordare la battaglia tra i Comuni
lombardi e l'imperatore Federico I e che negli
ultimi decenni ha assunto un'importanza sempre
maggiore sia per ragioni turistiche che politiche.
Per raccogliere materiale i ragazzi utilizzano il
web, ma non trovano nulla su due elementi centrali della storia, Alberto da Giussano e il Giuramento
di Pontida, anzi scoprono che non sono mai esistiti. La scoperta motiva gli studenti a una ricerca
più approfondita su quel periodo storico, che li
porta ad avere un'immagine molto più complessa
dei fatti e delle ragioni del Barbarossa, di quelle
dei Comuni che aderirono alla Lega lombarda e di
quelle dei Comuni che non vi aderirono. Inevitabile allora è la riflessione sulle cause che portano
all'invenzione di tradizioni storiche e, magari,
come in questo caso, alla successiva reinvenzione della tradizione con un significato diverso da
quello precedente. Sia il web sia brani di testi
scritti procurati dall'insegnante permettono di
approfondire l'argomento, di scoprire altri casi di
tradizioni inventate, come per esempio quella del
kilt scozzese, e quindi di riflettere sul rapporto tra
realtà, invenzione letteraria e storiografia.
In questo caso sono le informazioni di internet
che sollecitano negli studenti una ricerca, ma poi
è l'insegnante che li sostiene nella riflessione sui
materiali raccolti e nello sviluppo dell'atteggiamento critico alla base della competenza storica.
Strumenticres n.61 – settembre 2013
In una classe quarta liceale alla fine dello studio
sul Risorgimento italiano gli studenti sono invitati
a rispondere attraverso una web quest a una
domanda conclusiva: l'unificazione italiana è stata
un bene o un male? La web quest è una ricerca in
internet su un problema disciplinare o interdisciplinare concordato, utilizzando siti che, se non
sono preselezionati dall'insegnante, richiedono
molto rigore nell'analisi critica delle informazioni.
È un'attività centrata sulle ipotesi pedagogiche
del costruttivismo (perché implica un lavoro di
ricerca per arrivare a dare risposte a un problema) e sull'insegnamento cooperativo (perché
normalmente viene svolta in gruppo e richiede un
confronto tra le diverse posizioni che emergono).
In questo caso agli studenti viene già dato un
ventaglio di posizioni, che probabilmente hanno
avuto modo di cogliere dato che, a 150 anni dalla
proclamazione del unità d'Italia, il dibattito se
questo fatto sia stato positivo o negativo è più
acceso che mai. Accanto a chi vede l'unificazione
come l'unico modo che ha permesso alla penisola
di decollare sia economicamente che politicamente, si presentano tre posizioni critiche: una
leghista al Nord che lamenta che l'Italia abbia
dovuto tirarsi dietro un Sud pigro e arretrato; una
“neoborbonica” meridionale che accusa il Nord di
aver sfruttato e maltrattato il Sud e ripensa con
nostalgia al Regno delle Due Sicilie; una relativa
a una parte del mondo cattolico che si rammarica
che l'unità dell'Italia sia stata fatta contro e a danno della Chiesa. Gli studenti devono cercare nel
web siti che sostengano queste posizioni e presentarle in un blog di gruppo, descrivendo come il
tema viene trattato. In particolare devono vedere
se le posizioni sono espresse in modo chiaro, se le
affermazioni che vengono fatte sono sostenute da
qualche documentazione qualificata e se il dibattito scade nella polemica o addirittura nell'offesa.
Alla fine ciascuno studente dovrà provare a prendere posizione sull'argomento, facendo attenzione
a non fare affermazioni senza motivarle.
È chiaro che in questo caso la ricerca dà molto
spazio all'iniziativa degli studenti e potrebbe
essere pericolosa perché potrebbe portare chissà
dove, così come il confronto nel gruppo potrebbe
arenarsi nelle polemiche o nell'accettazione di
un'unica opinione. Ma i paletti che l'insegnante ha
posto sia in fase di ricerca che di valutazione personale dovrebbero servire a contenere l'eccessiva
dispersività del web e ad aiutare gli studenti a
trarne informazioni in modo critico e consapevole.
In questi esempi abbiamo visto in gioco
aspetti fondanti della storia, modalità
di lavoro attive e motivanti, stimoli alla
riflessione e alla presa di posizione
individuale. Quanto sarebbe stato possibile farlo utilizzando solo un lavoro
sul libro di testo? Quanto invece è il
risultato di un modo di stare insieme,
nativi e immigrati digitali, usando computer e libri, ma specialmente l'intelligenza e l'emozione?
Stampa allegorica del
periodo sulla situazione
politica post-unitaria:
l'Italia turrita indica
a Cialdini, (con la
sciabola sguainata), i
suoi nemici abbarbicati
attorno a Napoleone
III (trasformato in
albero): briganti, nobili
borbonici (raffigurati dal
pazzariello napoletano),
il clero e il Papa Pio IX;
sullo sfondo Garibaldi, a
Caprera, ara un campo
come Cincinnato.
(Fonte: Wikipedia).
NATIVI DIGITALI, cioè GEEK
Si definiscono con il termine
geek tutti gli “affascinati dalla
tecnologia”, soprattutto quella
informatica e dei nuovi media;
ormai i nostri hanno quindicisedici anni e, nel 2012, all'annuale
convention dell'Intel International
Science and Engineering Fair ben
1500 partecipanti hanno presentato
un'invenzione, che ci porta nel
futuro. Tre ragazzi italiani di Lecce
hanno presentato un processo per
rendere idrorepellente ogni tipo di
materiale; il vincitore,
Jack Andraka, ha inventato uno
sticker per l'analisi delle urine
che non solo rileva la presenza
di un cancro al pancreas, ma
è pure 28 volte meno costoso e
scientificamente più efficace di
quelli attualmente in commercio.
Gli utilizzatori della rete geek
rappresentano uno dei possibili
percorsi dell'evoluzione dei
nativi digitali e dimostrano come
l'importante sia sfruttare al meglio
le offerte di conoscenza che la rete
mette a disposizione.
a. E.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
Come
nodi
nella
rete
Affrontare a scuola i comportamenti
prepotenti e di vessazione nella società digitale
di simonetta muzio, docente a Rinascita-Livi – Milano
Sullo schermo della sala oscurata appaiono, in rapida successione, un lap
top, una lavagna multimediale, immagini di studenti che scattano foto con un
cellulare e le “appendono” su una bacheca virtuale, fotogrammi di una classe
assorta in un'esercitazione con gli instant messaging sul blog di classe.
Quando la luce si riaccende, sui volti degli insegnanti e degli educatori
presenti al convegno, ci sono espressioni diverse: stupore, curiosità, diffidenza,
fastidio, entusiasmo…invidia(?)
Al di là dell'esempio, inventato ma
abbastanza verosimile, delle differenti
reazioni a un ipotetico convegno, è un
dato di fatto che nella scuola italiana il
tema dell'informatica, e in particolare
delle nuove tecnologie, sia vissuto in
modo ambivalente. Ognuno di noi naturalmente sa che la presenza dei media
è una realtà che non può più essere
messa in discussione perché ha rivoluzionato il nostro mondo e, in particolare, quello dei nostri studenti. Ma se
da una parte la rivoluzione mediatica è
stata accolta come una indispensabile
occasione per rinnovare la didattica
o ampliare la propria“cassetta degli
attrezzi”, dall'altra suscita una sensazione di turbamento e di estraneità, se
non di vero e proprio rifiuto.
Così nella scuola italiana, la distanza
culturale e di conoscenza tecnologica
che separa inevitabilmente gli adulti
dalle nuove generazioni si somma
al ritardo endemico delle istituzioni,
creando un gap davanti al quale la
risposta è spesso la più prevedibile e
inefficace. Ciò che per altre generazioni è stata la censura dei film o della
musica, il divieto di leggere fumetti o di
vedere cartoni animati, si traduce oggi
nel blocco degli accessi alla rete, o nel
divieto del telefonino a scuola, ossia in
un atteggiamento di chiusura e censura
quanto mai anacronistico.
Si tratta di una posizione perdente e che confonde la protezione con
l'educazione: noi ci possiamo illudere
che i nostri studenti navighino sicuri
in Internet poiché la loro postazione
telematica è filtrata, che non scarichino scoprono, all'inizio dell'anno scolastico
illegalmente o che non vi sia bullismo
'06/07, che esiste il web 2.0 e che i
nelle loro relazioni, ma così facendo
suoi utenti, loro studenti, non ne sono
non otterremo mai che i nostri studenti passivi fruitori, ma attivi produttori
si educhino alla legalità, a riconoscere
di contenuti, talvolta anche crudeli o
e valutare in maniera critica i siti che
idioti.
stanno visitando o le ferite che possono
La risposta delle istituzioni arriva
provocare usando il web in modo incosolo nel febbraio 2007 quando il minisciente, padroneggiando i meccanismi
stro della Pubblica Istruzione, ministro
ma senza comprenderne la forza.
Fioroni, introduce vari dispositivi di
Nel 2006 in Italia è avvenuto un
contrasto al bullismo e al cyberbulliepisodio eclatante che ha scosso
smo; nel primo caso con un reticolato
tutto il Paese e fatto scoprire come la
di sanzioni utili, nel secondo con il
sicurezza sul web non consistesse solo
divieto di portare i cellulari a scuola. Si
nel proteggere i ragazzi dalla Rete (“da
tratta del primo intervento coerente di
gruppi estremistici, fanatici, sette, ade- sistema che rappresenta un successo
scatori, pedopornografia e altre cose
nella lotta contro il bullismo, ma che
immonde”) ma che, come scrive Beppe
non si dimostra affatto incisivo rispetto
Severgnini (Corriere della sera 8-05ai comportamenti di prepotenza e di
13), ha fatto scoprire che “le vittime
vessazione agiti attraverso i dispositivi
possono diventare carnefici”.
tecnologici; il cosiddetto cyberbullismo.
Il fatto avviene a maggio in una
Proibire i cellulari per impedirne gli utiscuola superiore di Torino dove un
lizzi impropri ha la stessa valenza che
gruppo di ragazzi picchia e sbeffeggia
avrebbe il divieto di portare a scuola i
in classe un compagno con la sindrome
pennarelli per frenare il problema dei
di Down, riprendendo tutta la sequenza muri imbrattati o delle frasi indecenti
con il cellulare e postandola su youtube. sui muri dei bagni. Ogni strumento,
A settembre il video viene segnalato e
si sa, presenta delle spigolosità e gli
denunciato e tutta la stampa inizia ad
utilizzi impropri ne rappresentano
occuparsene: in quello stesso perioconseguenze naturali che è compito
do si scopre come su quel medesimo
dell'educazione correggere.
canale, e altri analoghi, vi siano
Oggi che le tecnologie (“ubiquitarie
numerosi filmati di bravate, molestie e
e pervasive”) sono entrate a pieno
atteggiamenti scomposti, fino ad atti di titolo nella nostra vita quotidiana e che
vero e proprio bullismo, tutti avvenuti
la loro presenza non può più essere
all'interno delle nostre aule scolastiche. messa in discussione, la scuola ha più
In quel momento di shock la società
che mai la responsabilità di educare le
e la scuola italiana si ridestano sotto
nuove generazioni ad abitare questo
la doccia gelata della consapevolezza e
nuovo ambiente facendo sperimentare
Strumenticres n.61 – settembre 2013
una dimensione di cittadinanza in cui
esercitare responsabilità e diritti. È
una sfida complessa e affascinante che
sposta e dilata il campo di intervento
educativo, in quanto le azioni compiute
attraverso il web, travalicano le aule
scolastiche e obbligano a creare nuove
alleanze con le altre agenzie educative, sviluppando in pieno le specifiche
intenzionalità formative.
dalla scuola-comunità alla
scuola-comunità di rete:
un'esperienza di contrasto al
cyber bullismo in una scuola
media milanese
Dal 2006 la scuola media RinascitaLivi ha avviato il nuovo Progetto “dalla
scuola-laboratorio verso la Wiki School”
che si propone di sperimentare l'idea di
innovazione, anche grazie alle opportunità offerte dalle tecnologie del web 2.0.
La scelta di porre particolare attenzione alle potenzialità educative dei
nuovi media si è integrata in modo coerente al modello educativo della scuola,
basato sul concetto di scuola-comunità
ossia sulla co-progettazione ed il patto
educativo insieme ai genitori.
L'accesso alla rete infatti rompe
l'idea di un luogo interno/esterno alla
scuola e quindi di un luogo di competenza dei genitori o degli insegnanti e
rende ancora più indispensabile avere
un luogo per una progettazione educativa condivisa e partecipata in quanto
solo attraverso l'alleanza è possibile
accompagnare i ragazzi verso un utilizzo più critico, riflessivo e creativo degli
strumenti digitali.
Quando qualcosa si è inceppato e la
scuola ha affrontato il suo primo caso
di cyber bullismo, è sembrato naturale
affidare l'elaborazione e la gestione
dell'intervento alla scuola-comunità,
per tutelare le vittime, sanzionare i
responsabili ma anche per definire la
strategia della scuola in termini di prevenzione e declinare il proprio compito
di educare alla cittadinanza rispetto
agli strumenti digitali.
L'episodio che ha dato il via all'intervento, è partito come un gioco: due
ragazze di seconda, compagne di classe,
hanno creato a casa propria un account
anonimo su Facebook e da lì hanno iniziato prima a interagire con i compagni
e gli ex alunni a cui avevano chiesto
l'amicizia, poi a diffamarli e a offenderli.
La situazione è degenerata, è sfuggita
al loro controllo, oltre che a quello
degli adulti, tutti ignari, e a scuola si è
scatenata una specie di “caccia” su chi
fossero gli autori, complicata dal fatto
che le due ragazze avevano disseminato nelle chat degli indizi per far ricadere la responsabilità su altri compagni.
Quando il preside è stato informato
di quanto stava capitando, direttamente dalle due ragazze, ha coinvolto il
gruppo dei coordinatori della scuola e
affidato alla commissione mista scuolacomunità il compito di elaborare un
progetto che non si rinchiudesse solo
sui soggetti direttamente coinvolti ma
sfociasse in un protocollo utile a tutta
la scuola.
Si è deciso preventivamente che l'intervento sarebbe stato su tutte le classi e
rivolto a tutte le sue componenti, non
isolando quindi le ragazze ree dell'episodio, ma considerando tutti “responsabili” nei vari significati che la parola
comporta.
Gli interventi sono stati agiti attraverso diversi livelli di comunicazione
e su tutta la popolazione scolastica: in
ogni classe si è svolta contemporaneamente per cento minuti un'attività che
partiva dalla comunicazione ufficiale
dei fatti ricostruita in modo oggettivo
dal preside, in modo che non si creassero ipotesi fantasiose e fascinazioni
improprie sulle protagoniste.
Si è cercato di ricomporre il clima
con la lettera di scuse scritta dalle
ragazze responsabili e si è soffermata
l'attenzione sugli aspetti del problema
chiedendo perché potessero succedere
tali cose, spostando così l'interesse dalle responsabilità dei singoli al coinvolgimento di tutta la comunità. È parso
significativo far vedere ai ragazzi che si
attingevano alcune informazioni (video
Stop al cyber bullismo) da internet per
mostrare concretamente che non c'era
una demonizzazione dello strumento
ma piuttosto del suo utilizzo scorretto.
Sono trascorsi abbastanza anni dalla
vicenda, che si è conclusa positivamente, per considerarla significativa sotto
diversi punti di vista. Poter fermare le
attività della scuola per riflettere tutti
insieme sul conflitto ha permesso di
porre in evidenza alcuni elementi:
↘↘La rete ci fa riflettere sulla corresponsabilità e l'interdipendenza.
Attraverso internet il bullismo non è
più sotterraneo ed esce dalla clandestinità. Non c'è più il singolo che
commette un reato, ma rende tutti
corresponsabili. Questo è visibile
concretamente quando uno clicca su
“mi piace”
↘↘La rete costituisce una risorsa in
quanto impedisce al gruppo di voltarsi dall'altra parte e distogliere lo
sguardo. Se siamo collegati nessuno
può dire “non mi ero accorto di
quanto stava succedendo”.
↘↘L'accesso alla rete infrange l'idea di
un luogo di competenza dei genitori
o degli insegnanti. Nel caso dell'episodio raccontato anche se i contatti
avvenivano da casa è sembrato giusto e “naturale” che la scuola fosse
coinvolta e intervenisse.
↘↘Ciò che succede, attraverso la rete
risulta amplificato. Insulti e pettegolezzi sgradevoli, ma non gravi,
hanno avuto un effetto dirompente
in quanto permanevano nel tempo
e godevano di un gran numero di
spettatori.
Le tecnologie informatiche digitali
offrono non solo l'opportunità di rigenerare i contenuti delle nostre discipline
e di ampliarne i linguaggi, ma ci danno
l'occasione per osservare e intervenire
in maniera più precisa sui comportamenti di affermazione della leadership
che si verificano puntualmente, a prescindere dallo strumento che li veicola,
quando si formano dei gruppi.
In questo modo le problematicità
che inevitabilmente affiorano possono
essere viste come opportunità per
evolvere. I “nodi” possono essere delle
strozzature oppure dei collegamenti e
dei passaggi che tengono insieme una
struttura e la rendono solida facendola
evolvere (come nelle reti neuronali).
Nel caso della Rete diventano veri e
propri “snodi” che ci permettono non
solo di cambiare il punto di osservazione ma di intravedere un altro orizzonte.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
ADOLESCENTI
E RETE/DATI
Una recente ricerca
svoltasi all'Università
di Bari su un campione
di 1200 studenti di
scuola superiore, rileva
che solo il 5 per cento
degli intervistati fa “uso
patologico” di Internet,
cioè maggiore alle
cinque ore al giorno;
circa il 20 per cento lo
usa per più di tre ore; il
10 per cento preferisce i
contatti virtuali a quelli
reali; in media ciascuno
ha circa 500 amici nei
social network, contro i
circa dieci amici veri, del
mondo reale.
Scuola e nuove tecnologie
La lavagna
interattiva
multimediale
(LIM)
di antonella bertoldo, docente IC Pezzani – Milano
a. E.
Nell'era dei nativi digitali, caratterizzata dall'immediatezza e dalla velocità,
dalle icone e dai pixel, è ormai consuetudine vedere giovani e giovanissimi intenti a digitare su tastiere, messaggiare,
chattare, twittare con i più disparati e
sofisticati mezzi, dall'iPhone di ultima
Particolare di un'illustrazione generazione ai tablet ormai diffusi in
di Shigeru Komatsuzaki, modo massiccio.
pubblicata da SHONEN SUNDAY
La scuola ha dovuto pertanto tener
Magazine, nel 1969, intitolata conto di questa evoluzione e mettersi
“The Rise of the Computerized al passo con le nuove esigenze di una
School” (L'ascesa della scuola società e di una generazione in conticomputerizzata). nuo cambiamento, sempre più rivoluzionate dall'introduzione di tecnologie
avanzate.
Ma qual è l'impatto vero di queste
nuove tecnologie in ambito scolastico?
A fronte di chi le ritiene semplici
strumenti ausiliari di cui noi insegnanti
possiamo servirci nella nostra didattica
quotidiana, c'è anche chi le vede come
un potente mezzo per sviluppare una
nuova forma di pedagogia.
Un ruolo chiave per l'innovazione
della didattica scolastica in questo senso lo sta giocando la lavagna interattiva
multimediale (LIM): entrata ormai
da diversi anni nelle scuole italiane,
consente di integrare le Tecnologie
dell'Informazione e della Comunicazione (TIC) nella didattica in classe, in
modo trasversale alle diverse discipline.
È davvero un'innovazione così
significativa? Cosa porta veramente la
lavagna interattiva nella didattica?
In effetti la LIM, mezzo indubbia-
mente più moderno e versatile, non si
limita a supportare l'insegnante durante la spiegazione, ma può funzionare
da vero e proprio catalizzatore per un
cambiamento delle pratiche didattiche, indipendentemente dalla materia
insegnata.
Per gli studenti assume certamente
una valenza sia didattica che simbolica, poiché è un segno concreto di una
scuola che può rinnovarsi e adeguarsi
ai loro bisogni, che si avvicina al loro
mondo e non lo respinge.
E noi insegnanti? O assistiamo
diffidenti, indifferenti, a questa nuova
forma di interazione, o scegliamo di
partecipare anche noi in modo attivo e
formativo a questo processo educativo
che ci vede in prima linea.
vantaggi e opportunità di
un linguaggio più visivo e
multimediale
↘↘La comodità di poter utilizzare
contestualmente in classe linguaggi
differenti (parole, testi, schemi,
immagini, animazioni) fa della
LIM uno strumento indubbiamente
potente ed efficace, una “finestra”
sul mondo, uno spazio nel quale
aprire molteplici percorsi paralleli
per spiegare, lavorare in gruppo,
interrogare… Con la LIM è oggettivamente più semplice proporre
approfondimenti e collegamenti tra
le varie discipline e soprattutto con
l'attualità. La geografia, per esem-
Strumenticres n.61 – settembre 2013
pio, può diventare più “concreta” e
accattivante navigando con Google
Maps tra mari e città, non più così
lontani e astratti, ma quasi tangibili.
La vecchia cartina appesa al muro
viene integrata con mappe interattive da creare, assemblare, scegliere e
sfruttare collettivamente. Nel caso di
materie come le scienze, costrette a
fare i conti con strumenti e laboratori spesso inesistenti, la LIM rappresenta una rivincita: il microscopio,
per esempio, può essere sostituito
da filmati multimediali, animazioni,
simulazioni, perdendo forse un po'
di concretezza, ma con grande impatto e pertinenza didattica. E così
per tutti gli ambiti disciplinari.
↘↘Il confronto con qualcosa di “vivo” e
tecnologico, più vicino al loro mondo e alle loro modalità di fruizione di
notizie, aumenta la partecipazione
dei ragazzi, catturandone l'attenzione e spingendoli all'interazione, sia
tra di loro che con noi insegnanti.
Il docente si pone così sullo stesso
piano dello studente, anzi, lo porta
su un terreno a lui conosciuto che lo
sprona e lo coinvolge maggiormente.
↘↘L'interattività dello strumento
consente la compartecipazione
all'attività didattica da parte degli
studenti, non solo fruitori passivi di
un servizio formativo, ma finalmente
attori attivi, che apprendono facendo,
secondo un metodo laboratoriale: i
ragazzi sanno aggiornare i software,
navigare nel web, organizzare e registrare lezioni, aiutano noi insegnanti
dimostrando di essere in grado di
utilizzare anche meglio di noi questi
nuovi strumenti tecnologici. Sentono
che possono “dare” e non solo “ricevere”, possono insegnarci qualcosa e
dare suggerimenti, trovano soluzioni
a quotidiani inconvenienti legati
all'uso di LIM e computer, si divertono, ma sono anche più responsabilizzati. Il tutto diventa un'esperienza
formativa, stimolante e affascinante
e non più solo un'imposizione.
↘↘È in qualche modo la risposta alla
sfida formativa che gli studenti oggi
ci pongono: il flusso di informazioni
non è più unidirezionale, dal docente
al discente, ma è anche caratterizzato da “saperi” propri degli studenti
dai quali noi adulti possiamo
apprendere non solo nuovi linguaggi,
ma anche l'uso di nuove tecnologie.
↘↘Per la peculiarità d'uso che la
caratterizza, la LIM va incontro
alle esigenze anche dei ragazzi con
DSA (disturbi specifici dell'apprendimento –dislessia, disortografia,
discalculìa–), facilitandone la concentrazione e l'apprendimento: l'uso
in classe del libro digitale o della
penna intelligente, piuttosto che di
mappe concettuali o di presentazioni strutturate (preventivamente
preparate) sono solo alcuni esempi
di come la LIM può diventare un
utile strumento compensativo.
↘↘Il terreno delle abilità digitali offre
anche una grande opportunità di
valorizzazione degli alunni “difficili”
che spesso si dimostrano particolarmente a proprio agio nell'uso della
LIM, dimostrandosi competenti, capaci di gestire lo strumento e quindi
risorsa per tutti i compagni di classe.
↘↘La potenza degli aspetti ipertestuali,
sonori, delle immagini e delle animazioni rende più efficace anche il
coinvolgimento dei ragazzi stranieri
facilitando l'apprendimento della
lingua e la condivisione dei saperi
trasversali.
la lim e il lavoro
dell'insegnante
L'introduzione della LIM nelle scuole
ha suscitato tra i docenti non pochi
dibattiti e perplessità:
↘↘L'utilizzo della LIM richiede preparazione e competenza in ambito
tecnologico: da qui il timore di molti
di non essere ancora pronti, di essere
spiazzati da allievi che appaiono più
abili di noi insegnanti nell'uso di queste tecnologie e di essere quasi sottoposti a “giudizio”. E la paura appare
più che legittima, gli alunni sono
spesso davvero più bravi dei docenti,
ma anche questo può rivelarsi un
punto di forza della didattica con la
lavagna interattiva: la necessità di
imparare insieme un nuovo modo
di lavorare in aula crea una sorta di
complicità, funzionale alle dinamiche
di classe e a una buona circolazione
di conoscenze da condividere.
↘↘In una nuova metodologia didattica che apparentemente privilegia
l'utilizzo di tecnologie informatiche
rispetto alla classica lezione frontale,
l'insegnante può sentire di perdere
la centralità della funzione docente
e diventare quindi figura marginale
nella trasmissione di conoscenze e
competenze. In realtà l'uso della LIM
in qualche modo potenzia la centralità dell'insegnante, poiché l'efficacia
dello strumento non è automatica,
anzi è strettamente vincolata alla
preparazione del docente che deve
organizzarne l'utilizzo. Un buon insegnante non sarà mai sostituito da
una LIM. Viceversa, se un insegnante
non sa insegnare, non sarà usando
la LIM che imparerà a farlo!
↘↘Con l'uso della LIM l'attività didattica passa da un approccio prettamente verbale a uno più visivo e multimediale. Ciò richiede a noi docenti
un cambiamento non solo del metodo di lavoro, ma anche del modo
di preparare le attività: è necessario,
ovviamente, ricorrere maggiormente
alla tecnologia informatica anche
nella preparazione delle lezioni,
il che prevede evidentemente un
grande dispendio di tempo (extrascolastico, a casa) e di energie personali.
Una lezione per la LIM veramente
multimediale, in cui se ne sfruttino
tutte le caratteristiche, richiede ore
e ore di lavoro e progettazione, oltre
che conoscenze approfondite del
web, delle fonti in rete, dei programmi di videoscrittura o di creazione di
mappe concettuali…
↘↘Senza questo considerevole impegno di tempo e senza una formazione appropriata, c'è il rischio che
uno strumento così ricco non venga
utilizzato al massimo delle sue potenzialità, riducendosi a sostituire la
vecchia lavagna di ardesia o ad essere semplicemente utilizzato come un
comodo proiettore di classe.
È evidente perciò che la LIM da sola
non può rinnovare la didattica e anche
quando noi docenti impariamo ad usarla tecnicamente, non significa che ciò si
traduca automaticamente in qualcosa
di nuovo in ambito didattico educativo.
L'obiettivo finale della scuola, anche
utilizzando strumenti innovativi, deve
continuare ad essere quello di aiutare i
ragazzi a sviluppare uno spirito critico,
suscitando la loro curiosità affinché si
rendano conto della ricchezza e della
complessità del mondo e diventino
veramente futuri cittadini consapevoli.
29
30
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
Open data,
democrazia e formazione alla criticità
nella scuola
di fulvio benussi, docente
Sulla base del rapporto ISTAT1 il 8
gennaio 2013 molti giornali on-line, e
il giorno successivo varie testate cartacee, riportavano la notizia:
Fra i ragazzi che hanno tra i 15 e i 24
anni (e che rientrano tra le forze attive,
in grado quindi di lavorare) più di uno
su tre sono in cerca di un impiego: mai
erano stati così tanti dal 1992, anno
in cui l'ISTAT ha iniziato a raccogliere
i dati sul settore.
perché questa notizia
interessa la scuola?
Inizierò questo intervento, che proporrà alcune buone pratiche sperimentate nel Liceo delle scienze sociali ad
orientamento economico Carlo Tenca
di Milano, indicando alcuni perché in
risposta a questa domanda.
1. Istat è Istituto nazionale di statistica e Ente
pubblico di ricerca.
BIG DATA
Accorpate, lette e interpretate, le
informazioni digitali che si producono
ogni giorno diventano informazioni
che, se contestualizzate, diventano
conoscenza. Che significa? Le grandi
aziende, incrociando le strisciate dei
bancomat, le carte di credito, la lista
degli acquisti dei clienti e i commenti
sui social network, capiscono come
migliorare i propri prodotti, offrire
sconti e perfezionare gestione e
distribuzione dei prodotti. La diga
della privacy fa acqua da tutte le parti
E. A.
Me spiego: da li conti che se fanno seconno le statistiche
d'adesso, risurta che te tocca un pollo all'anno:
e se nun entra nelle spese tue, t'entra ne la statistica
lo stesso, perché c'è un antro che ne magna due
trilussa
prima risposta
La notizia diffusa interessa la Scuola
non solo e non tanto per l'allarme occupazione che diffonde, ma soprattutto
perché l'evidenza statistica propagandata non era corretta.2
Infatti nel comunicato stampa
pubblicato sul sito Open data dell'Istat
col titolo: Precisazioni sui dati della
disoccupazione giovanile (www.istat.it)
l'Istituto scrive:
A seguito di quanto pubblicato da
alcune testate online in merito ai dati
mensili su occupati e disoccupati
diffusi questa mattina, l'Istat torna a
precisare che non è corretto affermare
“più di un giovane su tre è disoccupato”.
Infatti, in base agli standard internazionali, il tasso di disoccupazione
è definito come il rapporto tra i disoccupati e le forze di lavoro (ovvero
gli “attivi”, i quali comprendono gli
occupati e i disoccupati). Se, dunque,
un giovane è studente e non cerca
2. In un mondo ideale, e democratico, due
sono i compiti fondamentali assegnati ai
mass media: primo, informare i cittadini
dei fatti e dei principali temi della politica,
secondo, controllare l'operato del governo
e degli eletti alle cariche pubbliche. Questi
due compiti costituiscono una vera e propria
responsabilità civica. In un contesto dove i
mass media sono divenuti la principale fonte
di informazione politica, i cittadini sarebbero
privati di ogni possibilità di esercitare un pur
minimo controllo sui propri governanti con
grave danno per il processo democratico. P. C.
Jr. Goldmark, Old Values, New World Harnessing
the Legacy of Indipendent Journalism for the
Future, Washington (DC) Aspen Institute, 2001.
attivamente un lavoro non è considerato tra le forze di lavoro, ma tra gli
“inattivi”.
Per quanto riguarda il dato sulla
disoccupazione giovanile diffuso oggi
e relativo al mese di novembre 2012,
va ricordato che i “disoccupati” di età
compresa tra i 15 e i 24 anni sono 641
mila, cioè il 37,1% delle forze di lavoro
di quell'età e il 10,6% della popolazione complessiva della stessa età,
nella quale rientrano studenti e altre
persone considerate inattive secondo
gli standard internazionali. Quindi
sarebbe corretto riportare che “più di
1 giovane su 10 è disoccupato” oppure
che “più di uno su tre dei giovani
attivi è disoccupato”.
Tenere memoria di quanto accaduto,
o di episodi analoghi che dovessero
verificarsi, per proporre ai ragazzi un
approfondimento e una riflessione
fondata sui documenti originali può sicuramente aiutarli nella loro formazione
alla criticità. Dice un antico proverbio
spagnolo “quando c'è un'inondazione
la prima cosa che scompare è l'acqua
potabile”. La stessa cosa accade nel
diluvio informativo cui siamo quotidianamente sottoposti: solo chi ha acquisito le competenze critiche necessarie
a discernere riesce a smascherare le
“bufale” e a individuare informazioni
attendibili e di qualità.
Strumenticres n.61 – settembre 2013
seconda risposta
L'amara considerazione del presidente
dell'Istat Enrico Giovannini che: “Le
statistiche non sono più un ‘prodotto di
nicchia’, ma sono divenute una commodity, cioè un prodotto di largo consumo. In questa situazione, dove finisce
il legittimo desiderio di comunicare
informazioni statistiche elaborate o
semplicemente analizzate, e dove inizia
la statistica spettacolo?”3
E, aggiungiamo noi, come può il
cittadino o il cittadino-piccolo (=lo studente) imparare a difendersi da notizie
non corrette che i media veicolano?
L'importanza di offrire a Scuola risposte a questa domanda è fortemente
legata alla seguente riflessione sulla
connessione tra accesso a un'informazione di qualità e diritti di cittadinanza. Proponiamo in tal senso il seguente
brano tratto da Donatella Campus,
Comunicazione politica, Editori Laterza,
Bari, 2008, p. IX: Si è infine considerata la connessione tra democrazia e
comunicazione politica: “il modello della
teoria democratica classica presuppone
che i cittadini si interessino alla politica
e sviluppino nel tempo un bagaglio di
conoscenze che consenta loro non solo
di decidere per chi votare, ma anche di
esercitare un certo grado di controllo
sull'operato dei propri rappresentanti
e governanti. Purtroppo la realtà dei
fatti, così come è registrata dalla ricerca
empirica, ci racconta una storia diversa: i cittadini sono mediamente poco
informati e prendono decisioni di voto
basate su ragionamenti approssimativi
e scorciatoie cognitive”. Quanto qui proposto viene ulteriormente confermato,
anche relativamente alle considerazioni
economiche, nella successiva terza
risposta.
3. Fonte: Internazionale 4/10 maggio 2012,
Numero 947 p. 3
terza risposta
Un tempo gli economisti erano convinti
che gli esseri umani fossero intrinsecamente razionali, ma Kahneman e il suo
collega Amos Tversky hanno scoperto
che non è così. Per elaborare le informazioni, dicono, il nostro cervello può
accedere a due sistemi diversi. I test
di intelligenza ne misurano solo uno,
il processo cosciente, che svolge un
ruolo fondamentale nel risolvere i problemi. Ma nella vita quotidiana, quello
che usiamo di più è il nostro intuito.
Tanto per cominciare, sono stati questi
meccanismi intuitivi a garantirci un
vantaggio evolutivo, offrendoci le
scorciatoie cognitive che ci aiutano ad
affrontare il sovraccarico di informazioni. Di queste scorciatoie fanno parte
pregiudizi cognitivi come la tendenza
a usare stereotipi, a cercare conferma
delle proprie convinzioni,4 a opporre
resistenza all'ambiguità, cedendo
quindi alla tentazione di accettare la
prima soluzione a un problema che ci
viene in mente anche se palesemente
non è la migliore. Anche se questi
pregiudizi, cosiddetti “euristici”, in
certe situazioni possono aiutarci, se li
accettiamo in modo acritico possono
anche indebolire il nostro giudizio.
Sally Adee, Il senso della stupidità, New
Scientist, Regno Unito, Traduzione: Internazionale 997 - 25 aprile 2013 PP. 56-58
tornando all'attività
didattica a scuola…
Tralasciamo ora i perché e torniamo a
Martina, Matteo, Brenda, Luca, Camilla
e a tutti gli altri studenti e studentesse
che ritroviamo ogni mattina a scuola…
La disponibilità di siti Open data attivati da varie Amministrazioni pubbliche
italiane consente di approfondire, da
fonte certa, quei fenomeni economici o
giuridici che se malintesi impoverirebbero le possibilità di giudizio dei nostri
cittadini-piccoli.5 Quest'anno scolastico
4. Lo scrivente ha sentito più e più volte
riproporre dai relatori l'evidenza statistica
(errata) citata all'inizio dell'articolo in vari
convegni di natura politica e sindacale
5. È importante ricordare costantemente che
lo studente oltre che ragazzo o bambino è
innanzitutto un piccolo-cittadino che si sta
formando per diventare cittadino in senso pieno
a Scuola abbiamo svolto varie esercitazioni fondate sui dataset presenti negli
Open data. Ad esempio inseriamo una
doppia proposta di lavoro che è stata
svolta con buoni feed-back in alcune
classi prime ( nella pagina seguente proposta di lavoro 1 e proposta di lavoro 2).
La seguente esercitazione invece
considerava, incrociava, più media
(Televisione e sito Open data dell'Istat):
Proposta di lavoro 3:
censimento istat
Premessa
Scarica sul tuo computer il video Censimento Istat 2012 –il video.mov– e le
tabelle Excel: 1.xls, 2.xls, 3.xls e 4.xls.
Proposta di lavoro
Guarda il video e rispondi alle due
seguenti richieste:
̚̚Posizione dopo il primo spezzone
Per illustrare quanto appena detto
nel servizio giornalistico quale tra le
tabelle fornite andrebbe inserita a
questo punto del video?
̚̚Posizione dopo il secondo spezzone
Per illustrare quanto appena detto
nel servizio giornalistico quale tra le
tabelle fornite andrebbe inserita a
questo punto del video?
Facendo riferimento sia al video che
alle 4 tabelle Excel prodotte dall'Istat
rispondi alle seguenti domande:
̚̚Domanda 1
I dati emersi dal censimento dimostrano che sono in aumento le nascite
di cittadini italiani?
̚̚Domanda 2
Dai dati emersi dal censimento risulta
che gli stranieri presenti nel nostro
Paese stanno aumentando?
̚̚Domanda 3
Cosa emerge dal censimento relativamente alla salute della popolazione
italiana?
In chiusura di questo articolo segnaliamo infine il seguente Progetto di ricercAzione sulla cittadinanza digitale1
che punta alla costruzione di percorsi
didattici “a ponte” tra ordini di scuola
dove classi di scuole diverse collabo1. it.wikipedia.org/wiki/Ricerca_-_azione
31
32
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
Proposta di lavoro 1: Consumi
e risparmi delle famiglie italiane
Proposta di lavoro 2: Consumi
e risparmi delle famiglie italiane
dal sito Open data dell'ISTAT (Istituto nazionale di statistica)
dal sito Open data dell'ISTAT (Istituto nazionale di statistica)
Premessa
Dal sito Open data dell'Istat www.istat.it/it/archivio/66276 è
stata estratta la tabella: Tavola 1_3 di 1QSA tavole Famiglie
Totali - 2012Q1 con le serie storiche trimestrali del reddito
disponibile, del risparmio e degli investimenti delle famiglie
consumatrici italiane. I valori percentuali presenti nelle colonne
H e I vengono proposti come valori dal sito Istat mentre sono
evidentemente ottenibili effettuando gli opportuni calcoli sui
dati persenti nelle altre colonne della tabella
Premessa
Dal sito Open data dell'Istat www.istat.it/it/archivio/66276 è
stata estratta la tabella: Tavola 1_3 di 1QSA tavole Famiglie
Totali - 2012Q1 e il grafico riportato qui sotto:
4%
16%
Propensione al risparmio delle famiglie consumatrici
e tassi di crescita congiunturali delle sue componenti
(I trimestre 2007-I trimestre 2012, dati destagionalizzati)
14%
2%
12%
0%
10%
Proposta di lavoro
̚̚Attività 1:
individui la formula da applicare nelle celle della colonna I
(Tasso di investimento) affinché il valore calcolato coincida
col valore indicato nella tabella Tavola 1_3 di 1QSA tavole
Famiglie Totali - 2012Q1.
̚̚Attività 2:
individui le formule da applicare per poter poi inserire nelle
celle della colonna H (Propensione al risparmio) dei risultati
il cui valore così calcolato coincida col valore indicato nella
tabella Tavola 1_3 di 1QSA tavole Famiglie Totali - 2012Q1.
reranno per lo sviluppo di un obiettivo
comune: lo sviluppo di competenze di
cittadinanza digitale. Il fine è complesso: sono molte le sfaccettature da
considerare nella costruzione di tali
competenze che devono diversamente
caratterizzarsi a seconda dell'età degli
alunni/studenti cui vengono proposte.
La ricercAzione si svilupperà nel
presente e nel prossimo anno scolastico e si muoverà lungo due possibili
filoni di sviluppo delle competenze di
cittadinanza dei ragazzi.
Il primo filone prevede la collaborazione di classi del Liceo delle scienze
sociali a orientamento economico Carlo
Tenca e della Scuola primaria Ferrante
Aporti con l'obiettivo di predisporre coi
ragazzi possibili contenuti informativi
per la costruzione dello smart district
della zona circostante la scuola con
dati storici, sociali, economici, ecc.
reperiti anche dai dataset presenti nel
sito open data del Comune di Milano
dati.comune.milano.it. Con questa
proposta si vuole far comprendere ai
ragazzi il collegamento tra la Demo-
-2%
8%
-4%
6%
I
II III IV
2007
I
II III IV
2008
I
II III IV
2009
I
II III IV
2010
I
II III IV
I
2011
̒1 2
Proposta di lavoro
Il grafico analizza il fenomeno economico considerando l'andamento nel tempo di:
̚̚Reddito disponibile: ▪ scala di sinistra)
̚̚Spesa per consumi finali: ▪ scala di sinistra (consumo)
̚̚Propensione al risparmio: − scala di destra (risparmio)
Commenti il grafico specificando in particolare:
̚̚che collegamenti ci sono tra gli andamenti delle tre variabili
considerate (reddito, consumo, risparmio)
̚̚le cause che, a suo avviso, possono essere collegate all'andamento del risparmio negli anni considerati nell'analisi dell'Istat.
crazia deliberativa e il FOIA Freedom
of Information Act, “atto per la libertà
di informazione” che è una legge che
impone alle amministrazioni pubbliche
di consentire ai cittadini l'accesso ai
documenti in loro possesso che viene
realizzato pubblicando i dataset, contenenti i dati da rendere pubblici, negli
appositi siti Open data delle pubbliche
amministrazioni coinvolte.
Il secondo filone, di cui nel presente
articolo abbiamo ampiamente illustrato
la necessità, si occuperà dello sviluppo
di percorsi didattici di Educazione alla
criticità pensati per classi di diversi
ordini di scuola con l'obiettivo di
migliorare le competenze critiche e di
discernimento dei ragazzi per renderli
capaci di estrarre dai diversi media
le sole informazioni attendibili e di
qualità.
enti e istituzioni coinvolte
Il progetto di ricercAzione è fondato sulla
collaborazione tra insegnanti della scuola primaria, secondaria di primo grado
e secondaria di secondo grado mentre
la qualità del percorso verrà monitorata
e sostenuta col contributo di Docenti
dell'Università degli studi di Milano Bicocca Dipartimento di Scienze Umane per
la Formazione “Riccardo Massa”, dell'Università degli studi di Torino Dipartimento Filosofia e Scienza dell'Educazione,
dall'Istituto Pedagogico della Resistenza
www.resistenza.org e dall'Associazione
MED www.mediaeducationmed.it.
un'ultima riflessione su open
data e scuola
Per valutare il grado di apertura dei
file pubblicati nei siti open data si può
utilizzare il modello di Tim Berners-Lee
che prevede una graduatoria correlata
al numero di stelle attribuito (da 1 a 5
stelle). Il livello più basso è quello a
una stella. Ogni livello successivo (con
una stella in più) possiede le caratteristiche del livello precedente cui si
aggiungono nuove possibilità operative.
Una sola stella indica la semplice
disponibilità delle informazioni in dati
on line, in un formato qualsiasi, purché
distribuito con licenza aperta. I dati di-
Strumenticres n.61 – settembre 2013
stribuiti in questo formato sono leggibili
e stampabili dagli utenti, ma non sono
strutturati: ad esempio immagini (con
formati come .gif, .jpg, .png), documenti
in formato Microsoft Word, Adobe Pdf
e non è possibile effettuare su di essi
alcuna elaborazione.
Due stelle segnalano la possibilità di
effettuare elaborazioni sui dati, a patto
di disporre del software necessario a
gestire i file che vengono distribuiti
codificati con un formato proprietario,
es. Microsoft Excel.
Tre stelle. Con questo livello si ha la
possibilità di effettuare elaborazioni sui
dati senza essere costretti ad utilizzare
software proprietario infatti i dati sono
strutturati e codificati in un formato non
proprietario. Ad esempio il formato .csv
(Comma Separated Values).
Quattro stelle: il singolo dato di
un dataset è disponibile on line in un
formato aperto (tipicamente XML/RDF)
e può essere richiamato attraverso il
suo specifico indirizzo Internet (URL,
Uniform Resource Locator). Si può così
puntare al dato o insieme di dati da
una applicazione o da un programma
che poi potrà effettuare le elaborazioni
desiderate
Cinque stelle indica quelli che sono
definiti Linked Open Data che –dal punto
di vista del formato presentano nella
struttura stessa del dataset, collegamenti ad altri dataset. È possibile così collegare dinamicamente tra loro più dataset,
incrociare informazioni provenienti
da fonti differenti ed eventualmente
distribuite da Pubbliche Amministrazioni diverse. (www.dati.gov.it/content/
conferenza-opengeodata)
Nello sviluppo del primo filone della
ricerca-azione sulla cittadinanza digitale
verranno utilizzati i dati sul quartiere
forniti dal Comune di Milano. Si utilizzeranno quindi file codificati in formato
.csv. Ciò ha una valenza positiva e una
negativa.
La positività è legata al fatto che
le competenze informatiche diffuse
tra il personale della scuola sono
generalmente sufficienti a consentire
un'utilizzazione didattica di dataset così
codificati.
La negatività è legata al fatto che
non è possibile alcun collegamento
dinamico tra dataset, né un costante aggiornamento real time delle elaborazioni.
Internet ci
rende stupidi?
di piera hermann
Guardo Vittorio, 5 anni. Gioca una
partita a scacchi con un amichetto.
Non sulla scacchiera reale, ma
sull'I Pad. Gioca molto velocemente
e seriamente. Lo schermo, infatti,
quando lui poggia il dito su una
pedina, gli indica subito quali sono
le mosse possibili. Lui decide e avanti
così. Per seguire un po' il gioco
chiedo di rallentare, ma inutilmente.
Le partite si susseguono velocemente
con vittorie tanto gradite e sconfitte
tanto rabbiose, come è proprio
dell'età.
Che bello! penso. Cominciando così
questi bambini saranno molto più
avvantaggiati di noi se vorranno
diventare veramente bravi!
Errore! Forse le cose non stanno
affatto così.
Nicholas Carr
Internet ci rende stupidi?
Come la rete sta cambiando
il nostro cervello
Raffaello Cortina Editore –Scienze e
idee–, 2011 pp. 318.
Per una storia
della tecnologia
(da “La fine dell'educazione”
di Neil Postman, Armando,
1997, p. 167).
Ogni cambiamento tecnologico è un
patto faustiano. Ad ogni vantaggio
offerto da una nuova tecnologia corrisponde sempre uno svantaggio.
Internet. Fra entusiasmi e scetticismi o
addirittura paure. Prossima democrazia
globale o caos e superficialità. Un dibattito quanto mai attuale e senza alcuna
certezza. Ma una certezza vuole darcela
il libro di Nicholas Carr “Internet ci rende
stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello”. La certezza è appunto quella anticipata dal sottotitolo: al di là del
discorso sui contenuti, è l'uso stesso del
mezzo, la nuova tecnologia intellettuale,
che, sia pure lentamente, ci cambierà.
Non è un concetto nuovo. Lo aveva
formulato McLuhan con la famosa (e
spesso poco capita) frase: il mezzo è il
messaggio. Ma la novità c'è: negli anni
più recenti le nuove, straordinarie possibilità di ricerca della neurofisiologia del
cervello permettono di dimostrare questo
assunto con prove sperimentali.
Ci siamo abituati, dice Carr, ad accettare piano piano il web come metafora
del cervello, le sinapsi come le connessioni, Web (o Internet?) come la memoria.
Ma così non è! Il primo è solo quantità
pressoché infinita, sottile e omogenea
(SI/NO). La seconda è una struttura immensamente complessa, qualitativamen-
33
34
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
Vantaggi e svantaggi determinati
dalle nuove tecnologie non sono
mai distribuiti equamente nella
popolazione. Ciò significa che ogni
nuova tecnologia beneficia alcuni e
danneggia altri.
All'interno di ogni tecnologia c'è un'idea molto influente, a volte due o tre
idee molto influenti. Come la stessa
lingua, una tecnologia ci predispone
a favorire e a valutare determinate
prospettive e risultati e a subordinarne altri. Ogni tecnologia ha una sua
filosofia, che viene espressa attraverso il modo in cui essa fa utilizzare alle
persone la loro mente, attraverso ciò
che ci fa fare con i nostri corpi, attraverso il modo in cui codifica il mondo,
attraverso l'amplificazione di una
parte dei nostri sensi, attraverso il
disinteresse verso alcune delle nostre
tendenze emotive ed intellettuali.
Una nuova tecnologia generalmente
combatte contro una vecchia. Compete con essa per acquisire tempo.
attenzione, denaro, prestigio e una
‘visione del mondo’.
Il cambiamento tecnologico non è
additivo: è ecologico. Una nuova tecnologia non solo aggiunge qualcosa:
cambia ogni cosa.
A causa delle forme simboliche in cui
le informazioni sono codificate, le
differenti tecnologie hanno differenti
tendenze intellettuali ed emotive.
A causa dell'accessibilità e della
velocità delle loro informazioni, le
diverse tecnologie hanno differenti
tendenze politiche.
A causa della loro forma fisica, le
diverse tecnologie hanno differenti
tendenze sensoriali.
A causa delle condizioni nelle quali
le frequentiamo le diverse tecnologie
hanno differenti tendenze sociali.
A causa della loro struttura tecnica ed
economica, le diverse tecnologie hanno differenti tendenze nei contenuti.
te varia e costantemente variante.
Si perché il cervello è plastico. Si
struttura e ristruttura costantemente e
diversamente nelle sue parti a seconda
del vissuto, dell'esperienza e delle emozioni e dell'uso.
I software hanno come loro compito
proprio quello di essere il più possibile
amichevoli, cioè di facilitare e velocizzare l'attività che vogliamo svolgere. Ma,
dice Carr con una provocatoria sintesi,
“più brillante è il software, più imbranato
è l'utente”. “Tanto più le persone dipendono dalle indicazioni esplicite dei software, tanto meno si sentono coinvolte
nel compito da svolgere e tanto meno imparano”. Detto in altro modo: “quanto più
esternalizziamo la soluzione dei compiti
cognitivi ai nostri computer, tanto più
riduciamo le capacità del nostro cervello
di costruire strutture stabili di conoscenza”. E ancora: “mentre la nostra mente
lavora con le tecnologie intellettuali esse
lavorano sulla nostra mente”. Come? Le
capacità che trascuriamo o eliminiamo
si atrofizzano a tutto vantaggio di quelle
che usiamo. E questo non solo durante la
crescita, ma per tutta la nostra vita. Sia
come individui che come specie.
Se la risultante di questi processi sarà
migliore o peggiore è un altro discorso. Molte voci autorevoli si schierano
su visioni opposte. Secondo Francesco
Antinucci “ci sono due modi di apprendere. Uno è per esperienza e con esso
la conoscenza si costruisce cercando,
sperimentando, tentando. È il modo
che preferiamo, quello che si è evoluto
con noi più lungamente. Poi c'è quello
scolastico: consiste non nel costruire la
nostra conoscenza ma nell'assorbire la
conoscenza già preparata da altri con
un lungo e faticoso processo di assimilazione […] richiede attenzione, sforzo
e non ci piace affatto. Il primo è quello
che avviene naturalmente favorito dalle
nuove tecnologie, mentre il secondo
domina nella scuola […]. O la scuola se
ne rende conto o diventerà inutile oltre
che sorpassata. […]” Secondo il filosofo
Giovanni Reale invece, “la scuola dovrà
aiutare il giovane a non diventare vittima
dell'informatica come già sta accadendo
[…] Molti sacerdoti dei nuovi mezzi di
lettura confessano che non saprebbero
più leggere un romanzo di Dostoevskij o
un'opera come Guerra e pace di Tolstoj.
La lettura informatica mi sembra che
limita la capacità di concentrazione e
di astrazione[…] (e se ha ampliato le
possibilità di ricerca) ha tolto le capacità
di assimilare l'oggetto della ricerca e di
capirlo a fondo […] si confonde l'abilità
della ricerca con l'abilità del taglia e
incolla.
Non possiamo certo dire qui chi ha
ragione e chi torto. Sicuramente c'è
del vero nelle due posizioni. Carr è ben
consapevole non solo che indietro non
si torna, ma anche che i vantaggi e le
possibilità di Internet sono incredibili e
irrinunciabili, ma smentisce anche con
chiarezza l'idea così spesso ripetuta, che
si tratta solo di uno strumento e che gli
strumenti in quanto tali non sono né
buoni né cattivi, dipende tutto da come
vengono usati. Già McLuhan, che pure
non aveva le prove sperimentali che il
Nostro racconta nel suo libro, diceva che
questa è “l'opaca posizione dell'idiota
tecnologico”. Il suo pensiero implicito
però percorre la sua limpida esposizione
e nell'Epilogo del suo libro significativamente dice: “Sarebbe molto triste se
dovessimo accettare senza discussioni
l'idea che gli ‘elementi umani’ sono fuori
moda e superflui, specialmente se si tratta di alimentare le menti dei nostri figli”.
e la scuola?
Il problema non è se aprire fino in fondo
la scuola a queste tecnologie o fare una
magari nobile ma inutile opposizione
perdente. Carr non parla di scuola, ma
dalla lettura si possono facilmente
dedurre quali sono quegli ‘elementi
umani’ che, secondo lui come molto altri,
rischieremmo di perdere: la capacità
di applicarsi ad una fatica intellettuale
e quella di fare inferenze personali e
complesse, l'esercizio della memoria e
dell'attenzione, lo spazio e gli stimoli per
la creatività, per il non prevedibile e non
convenzionale; e poi le abilità manuali, i
sensi, la comprensione del paesaggio e la
capacità e la responsabilità del giudizio
(“i computer seguono regole, non danno
giudizi”)…E un altro risultato sperimentale che ci viene raccontato ci sembra di
fondamentale importanza come elemento di riflessione: “una situazione di
pura contemplazione rafforza la nostra
capacità di controllo sulla mente”. Questo significa spazi di silenzio, di calma, di
quiete!!!
Non illudiamoci: Internet farà tutto
meno che togliere oneri a noi insegnanti
e genitori di buona volontà!
Strumenticres n.61 – settembre 2013
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
2013
Contro il colonialismo
digitale. Istruzioni per
continuare a leggere
Roberto Casati
Laterza, Roma-Bari
Il libro di carta sarà pure a rischio
commerciale a causa del suo
cugino elettronico, ma è assolutamente insostituibile dal punto di
vista cognitivo, perché protegge e
non aggredisce la nostra risorsa
mentale più preziosa: l'attenzione.
Non abbiamo nessuna ragione –
sostiene l'A. - di subire la novità
tecnologica, e non abbiamo nessuna ragione di rifiutarla a priori;
possiamo sempre negoziare. La
tecnologia va studiata e affrontata
con pragmatismo e creatività,
mantenendo un atteggiamento
aperto. L'A. mostra anche gli
intrecci, mai sufficientemente spiegati, tra l'uso della tecnologia e le
logiche di potere grandi e piccole
che stanno dietro anche agli usi
più semplici, come una richiesta
inviata a Google, e indica alcune
strategie di autodifesa. Spiegare
questo intreccio dovrebbe essere
uno dei compiti della scuola se
deve formare dei cittadini tecnologicamente consapevoli.
2012
Neurodidattica.
Insegnare al cervello
che apprende
Pier Cesare
Rivoltella - Raffaello
Cortina, Milano
Che cosa hanno da suggerire le
neuroscienze cognitive a chi si
occupa di didattica? Quali indicazioni forniscono per la comprensione dell'apprendimento e per
renderlo più efficace? Il volume
risponde a queste domande attraverso un percorso che, muovendo
dalla discussione critica di alcune
“neuromitologie” (nativi digitali,
cervello destro e cervello sinistro),
delinea lo statuto epistemologico
della neurodidattica e ne individua
i principali ambiti di indagine: i
processi attraverso cui conosciamo (memoria, emozioni, attenzione, motivazione), il cervello
visivo (la funzione dell'immagine
per l'apprendimento), i neuroni
specchio e le dinamiche dell'azione
(modellamento, esperienza), il
rapporto tra tecnologie della
conoscenza e plasticità cerebrale.
In ogni capitolo, i risultati della
ricerca neuroscientifica vengono
messi in relazione con temi e
motivi della ricerca e dell'agire didattico, con l'obiettivo di delineare
un quadro operativo in grado di
suggerire linee di lavoro e ipotesi
di intervento.
Enciclopedia digitale
per insegnanti. 1:
Le tecnologie per la
didattica
Paolo Ferri, Davide
Diamantini, Nicola
Cavalli - Guerini e
Associati, Milano
Agili manualetti cartacei che fanno
parte della collana l'Enciclopedia
Digitale per Insegnanti, che si
propone di fornire gli strumenti
di base per conoscere e per far
utilizzare gli “attrezzi” informatici
nella pratica didattica quotidiana.
L'obiettivo è facilitare il compito
degli insegnanti nel rapporto con
gli studenti, con i genitori, con il
consiglio di classe, con i colleghi
e anche con le strutture organizzative. È prevista la possibilità di
collegarsi alla piattaforma online,
sul sito guerinionline.com, per
approfondire i contenuti presentati
nel manuale cartaceo, misurarsi con esercizi interattivi per
autovalutare il proprio grado di
apprendimento. Il secondo volume
ha per titolo Il computer, il terzo Il
blog e l'ebook
L'agire didattico:
manuale per
l'insegnante
Pier Cesare
Rivoltella, Pier
Giuseppe Rossi (a cura
di) - La Scuola, Brescia
La didattica sta vivendo una
nuova centralità: le trasformazioni del contesto socio-culturale, il
protagonismo dei media digitali, i
nuovi stili e ritmi di apprendimento dei più giovani, le esigenze di
aggiornamento nelle professioni
ne spiegano le ragioni. Questa
centralità trova conferma nei
nuovi paradigmi e linee di ricerca
(neurodidattica, enattivismo,
semplessità), tutti accomunati
dall'importanza dell'insegnante
nel contesto della classe. Una
ricca selezione di contenuti digitali
disponiblii online ne costituisce la
funzionale estensione.
2011
Dal banco al satellite:
fare geografia con le
nuove tecnologie
Gino De Vecchis,
Cristiano Pesaresi Carocci, Roma
Pensato come guida di riferimento soprattutto per docenti
di scuola primaria e secondaria
di primo grado, il volume indica
le potenzialità didattiche delle
nuove tecnologie e dei visualizzatori di immagini dall'alto che
offrono importanti risvolti in
chiave geografica. Utile sia per la
linearità con cui vengono illustrati
gli aspetti teorici e tecnici sia per le
particolareggiate esemplificazioni,
supportate da numerose immagini,
il volume accompagna gli insegnanti in un viaggio virtuale con i
propri allievi.
Nativi digitali
Paolo ferri Bruno Mondadori, Milano
La nuova cultura digitale è stata
accompagnata, durante gli ultimi
vent'anni, dall'affacciarsi sulla
scena di una nuova forma evolutiva dell'Homo sapiens: il “nativo
digitale”. Chi sono i nativi digitali?
Come comunicano? Come si relazionano al sapere? Nati e cresciuti
all'ombra degli schermi interattivi,
i Nativi fin da piccoli videogiocano,
hanno un blog, e comunicano sui
social network come Facebook o
My Space. E con questa specie in
via di apparizione che dovremo
confrontarci noi immigranti digitali. Non sono nuovi barbari… Sono
i nostri figli e sono, semplicemente,
diversi.
La democrazia
nell'era di Internet.
Per una politica
dell'intelligenza
collettiva
(Con un saggio inedito di
Pierre Lévy)
Luca Corchia - Editore
Le Lettere, Firenze
Le discussioni sulle tecnologie
digitali e Internet e sulle loro
applicazioni nel campo della
politica sono l'inevitabile portato
di un mutamento di più ampia rilevanza che coinvolge ogni aspetto
economico, sociale e culturale
della contemporaneità. Alle ICT
(Information and Communication
Technologies) si guarda con la speranza di sincronizzare finalmente
l'operato del sistema politicoamministrativo alla rapidità dei
nuovi tempi. Un sano scetticismo
verso la capacità dell'apparato
istituzionale di rigenerarsi spinge
a credere che sarà un'occasione
sprecata se lasciata alla sola
iniziativa dei politici: è necessario
che la società civile si faccia carico
del suo futuro. La proposta non
è così irrealistica; le comunità
del XXI secolo potranno sfidare
un divenire sempre più incerto
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – dossier
solamente promuovendo la
responsabilità dei loro membri e
creando le condizioni per sprigionare un'”intelligenza collettiva”
attualmente disconosciuta.
2010
La quarta rivoluzione:
sei lezioni sul futuro
del libro
Gino roncaglia Laterza, Roma-Bari
Se la scrittura si avvale già da
tempo degli strumenti offerti dal
mondo digitale, la lettura - e in
particolare la lettura di libri - è
rimasta finora legata prevalentemente ai supporti cartacei. Ma
l'introduzione di libri elettronici e
biblioteche digitali, la diffusione di
tecnologie come la carta e l'inchiostro elettronici, o di dispositivi di
lettura come il Kindle di Amazon,
il Nook di Barnes & Noble e l'iPad,
sembrano destinati a cambiare
le nostre abitudini e il mercato
librario. Il mondo della lettura si
avvia a conoscere una rivoluzione
che molti ritengono per ampiezza e importanza paragonabile
all'invenzione della stampa. Una
rivoluzione al cui interno non è
affatto facile orientarsi.
A scuola con i media
digitali. Problemi,
didattiche, strumenti.
(Con DVD-ROM)
Pier Cesare
Rivoltella, Simona
Ferrari - Vita e Pensiero,
Milano
I media digitali stanno trasformando le pratiche di consumo dei
giovani. Più che come strumenti,
essi si pongono come veri e propri
ambienti nei quali si comunica,
si scambiano informazioni, si
svolgono infinite funzioni che riguardano il lavoro, l'apprendimento, il tempo libero. Questo scenario
rilancia la necessità per la scuola
di raccogliere la sfida. Con l'introduzione delle lavagne interattive
multimediali (LIM) nelle classi e i
progetti volti all'innovazione della
didattica (come Cl@ssi 2.0), il
Ministero pare essersi sintonizzato sulla giusta lunghezza d'onda.
Ma la dotazione tecnologica è solo
il primo passo nella direzione del
cambiamento. È necessaria anche
la capacità degli insegnanti di
mettersi in gioco e di sviluppare
nuove competenze.
La competenza digitale
nella scuola
Antonio Calvani Centro Studi Erickson,
Trento
Il tema della competenza digitale
è destinato a rimanere a lungo presente nella discussione educativa,
nel quadro della riflessione sulle
competenze che dovranno caratterizzare i cittadini del XXI secolo,
in quanto chiama in causa la
stessa scuola e la sua identità per
le scelte significative che questa
deve compiere riguardo a problemi
fondamentali come quello della
natura della/e alfabetizzazione/i
su cui deve fondarsi. Il problema
non è quello di fornire semplici
conoscenze o abilità tecniche
(ECDL, Patente Europea), in linea
con gli orientamenti internazionali
recenti (OECD-PISA),ma di pro-
porre un modello di competenza
digitale fondato su basi educative,
per valutare (e anche favorire)
la competenza digitale ai vari
livelli scolastici, in un'ottica che
integra la dimensione tecnologica
con quella cognitiva ed etica.
L'obiettivo è fornire a insegnanti e
educatori lo spunto per poter realizzare autonomamente iniziative
mirate a migliorare la competenza
digitale dei loro studenti, e per avviare efficaci comunità di pratiche
in questo settore.
2009-2006
Guinzaglio elettronico:
il telefono cellulare tra
genitori e figli
Daniela Brancati,
Anna Maria
Ajello, Pier Cesare
Rivoltella - Donzelli,
Roma, 2009
All'estero lo chiamano telemothering o teleparantage: è il ruolo
assunto dal telefono cellulare nel
rapporto fra genitori e figli. Per gli
adulti è uno strumento di controllo
a distanza, un mezzo per tenere
a bada le ansie per i pericoli che
insidiano i figli, una sorta di
cordone ombelicale, un guinzaglio
elettronico che crea negli adulti
l'illusione di seguire e proteggere i
ragazzi, anche se non consente di
sapere dove essi realmente siano o
cosa stiano davvero facendo. Ma
un cordone ombelicale oltre la nascita è innaturale, e non solo non
favorisce l'autonomia e la sicurezza, ma ostacola un armonioso
sviluppo psicologico. Nato da due
innovative ricerche complementari
condotte su un campione di ragazzi delle scuole elementari, medie
e superiori, questo libro ha i pregi
dell'indagine sul campo accanto a
quelli dell'analisi rigorosa e aggiornata di un fenomeno che tocca la
gran parte delle famiglie italiane.
Sarà pure perennemente scarico,
più usato per giocare che per comunicare, costoso da acquistare e
da mantenere, ma qual è quel genitore davvero disposto a privare il
proprio figlio del cellulare?
Sempre in contatto.
Relazioni virtuali in
adolescenza
Matteo Lancini, Laura
Turuani - F. Angeli,
Milano, 2009
Quali sono le ragioni evolutive,
affettive e profonde che spingono
un adolescente ad utilizzare
la tastiera per dialogare con la
migliore amica o con i compagni di
scuola? Cosa possiamo suggerire
ai genitori sbigottiti dal figlio che
chiamato per cena risponde dicendo “Aspetta! Non vedi che sono
con un amico” oppure “Un attimo…
sono di là con Francesca” descrivendo una presenza reale, fisica,
praticamente corporea del proprio
interlocutore, in realtà seduto in
un'abitazione situata dall'altra
parte della città? Quali comunicazioni, significati e contenuti
transitano in internet e nella rete
telefonica, attraverso l'utilizzo di
programmi come Messenger, nella
scrittura degli sms e nell'invio degli
“squilli”? Questo volume intende
fornire una chiave di lettura per la
comprensione di quella particolare
forma di relazione che si stabilisce
attraverso la comunicazione mediata tecnologicamente. In modo
crescente ragazzi e ragazze si
avvalgono di strumenti tecnologici
che rappresentano un'estensione
personale delle moderne forme di
prolungamento del sé.
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Screen Generation:
gli adolescenti
e le prospettive
dell'educazione nell'età
dei media digitali
Pier Cesare Rivoltella
- Vita e Pensiero Milano,
2006
Naufraghi nella rete:
adolescenti e abusi
mediatici
Luca Vallario Psicoterapie, F. Angeli,
Milano, 2008
Assistiamo ad una sommersa ma
perentoria mutazione antropologica, che tocca il pensiero e l'identità
dell'uomo: la multimedialità costituisce una produzione sociale
e culturale, ma anche psicologica.
Per gli adolescenti, eterni Ulisse
alla ricerca di un orizzonte perduto,
il mondo del virtuale si propone
come il riparo di Circe, una tentazione cui non sanno resistere. Si
materializza un incontro fruttuoso
che propone copie del reale indolori
e morbide, scorciatoie prive del
pedaggio problematico e sofferto
di questa fase evolutiva. Il virtuale
rafforza l'idea di una vita in cui
non c'è spazio per la complessità,
che risponde alle leggi della fuga
e dell'onnipotenza. Una fuga rafforzata dalla debolezza di sistemi
di riferimento significativi come
la società, la scuola, la famiglia.
Una fuga che atrofizza il rapporto
con il reale. Il testo offre chiavi di
lettura rinnovate e una proposta
terapeutica multidisciplinare ed
integrata, empirica e provvisoria,
tesa a riportare nel cortile del reale
esistenze sempre più perse nel mare
del virtuale.
Quali trasformazioni comportano
i nuovi media? Quali nuovi usi
individuali e sociali promuovono?
In particolare, che posto occupano
nella vita delle giovani generazioni
e come interpellano l'educazione
che di esse deve occuparsi? Sono
alcune delle domande alle quali
questo libro prova a rispondere
indagando valori e comportamenti
degli adolescenti italiani in relazione ai contesti della scuola e della
famiglia, nel quadro più ampio di
una ricerca europea che ha coinvolto università e centri di ricerca
di dieci Paesi. L'indagine aveva
un duplice obiettivo: da una parte,
verificare i consumi culturali degli
adolescenti in ordine ai personal
media, in modo particolare Internet,
i videogiochi e il telefono cellulare;
dall'altra, individuare alcune
linee per l'intervento educativo da
suggerire alle famiglie e alla scuola.
Il risultato dell'indagine interpella con forza le proposte della
Media Education. Le risposte degli
adolescenti chiedono anche agli
educatori – genitori e insegnanti
anzitutto – di sviluppare competenze specifiche per essere in grado di
accompagnarli nella pratica mediale, non tanto dal punto di vista
delle abilità tecniche – che i ragazzi
sanno acquisire da soli – quanto
nella ricerca di un utilizzo sempre
più critico e consapevole.
SITOGRAFIA
www.robertosconocchini.it/tutti-i-video/81-formazione-eaggiornamento/1338-i-nativi-digitali-e-la-screen-generation-ilcontributo-di-pier-cesare-rivoltella.html
I Nativi Digitali e la Screen Generation: il contributo di Pier Cesare
Rivoltella, ordinario di Tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento presso l'Università Cattolica di Milano, uno dei massimi
esperti di Media Education. Nel video il prof. Rivoltella illustra
come le nuove generazioni elaborino forme e processi di apprendimento sempre diversi ed anche come il concetto di Nativi Digitali
evolva nella direzione di una vera e propria nuova generazione: La
Screen Generation. Un video da non perdere per tutti gli educatori
che utilizzano le tecnologie in classe.
www.comeweb.it
Insegnare con le nuove tecnologie
www.mediappro.org
Sito del progetto europeo Mediappro che ha coinvolto università
e centri di ricerca di dieci Paesi. L'indagine aveva due obiettivi:
verificare i consumi culturali degli adolescenti in ordine ai personal media, individuare alcune linee per l'intervento educativo da
suggerire a famiglie e scuole. Si possono scaricare alcuni materiali.
In inglese e francese.
piercesare.blogspot.it
MEDIALOG è il Personal Blog di Pier Cesare Rivoltella. Il luogo
dove è possibile parlare di Media, ICT e Education.
www.cremit.it
CREMIT (Centro di ricerca sull'educazione ai media all'informazione alla tecnologia). Le attività toccano tre fronti di lavoro: 1)
la progettazione di corsi di formazione sui media e con i media
rivolti al territorio e alla scuola (corsi di aggiornamento, interventi
di animazione sui media, percorsi nella scuola); 2) la gestione di
attività di monitoraggio e valutazione; 3)la predisposizione di ricerche e indagini attorno al tema della medialità e delle tecnologie
come strumenti e oggetti sociali, includendo famiglia, insegnanti
e ragazzi in un percorso comune e interrelato che lega inscindibilmente i tre soggetti.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – parole, musiche, immagini
PAROLE,
MUSICHE,
IMMAGINI
Le sorgenti del male
Zygmunt Bauman
Erickson, 2013
Il male, la violenza umana
nella vita e nella storia, il male
dentro di noi e fuori di noi: un
angoscioso problema che lascia
sempre interdetti ed impotenti,
tanto impotenti che spesso lo
si tabuizza o semplicemente
si dimentica. (Si pensi per
esempio al fatto che nella lunga
e ricca storia della letteratura
italiana solo due grandi, Dante
e Manzoni, si confrontano con
il problema del male dandone
una risposta che potremmo
definire cristiano-cattolica).
Di fronte alla difficoltà di
trovare una risposta adeguata,
capace di risolvere il problema
qui ed oggi, ci siamo illusi che
la civiltà/ il progresso potesse
essere la soluzione; abbiamo
sperato che la violenza fosse
solo un residuo di barbarie
collettiva, un residuo del
passato destinato a sparire: la
ragione e la scienza ci emanciperanno dal male. In questo
mondo dimentico di Caino,
portato a pensare che il male
sia al massimo un problema
individuale o una “deformità”
dei popoli primitivi piomba
come una bomba l'Olocausto
che con la sua malvagità pianificata distrugge ogni illusione o
rimozione.
Cosa rappresenta l'Olocausto? Un unicum irripetibile o
un evento atroce, ma ripetibile? Un quadro angoscioso da
contemplare, ma finito in sé o
una finestra sul nostro mondo?
Da qui scaturisce una tormentata meditazione: “Unde
malum?” o forse perché il male
a cura di elena la rocca
oggi? Questa violenza spersonalizzata, quasi impiegatizia,
che utilizzando la tecnologia
moderna è capace di massacri
una volta impensabili.
Proprio all'interno di questa
problematica si colloca l'ultimo
saggio di Bauman “Le sorgenti del male”. L'autore inizia
ricordandoci che la ragione non
riesce a dimostrare la perfetta simmetria delle relazioni
umane, né che il male ricade su
chi lo fa, al contrario la ragione
genera potere ed il potere è di
sua natura asimmetrico. Sgombra così il campo da qualsiasi
illusione che la ragione da sola
sia in grado di allontanare
il male dal mondo. Bauman
affronta poi il problema
dell'unde malum individuando
tre piste differenti che illustri
pensatori hanno seguito e “con
ogni probabilità continueranno
a seguirle tutte e tre per molto
tempo a venire, poiché nessuna delle tre traiettorie sembra
avere un punto di arrivo in cui gli
esploratori possano riposare…”
(p. 45)
La prima pista vede il male
come frutto di predisposizione
naturale e prende le mosse
dallo studio di Adorno sulla
personalità autoritaria: “studio
influente e memorabile…che
avvalorava l'idea dell'autoselezione dei malfattori, per dir
così, e che suggeriva che tale
autoselezione fosse determinata
da predisposizioni naturali,
più che culturali, del carattere
individuale.” (p.47)
Una seconda pista, “forse la
più cospicua e la più massivamente seguita” (p.47) punta la
sua attenzione sul condizionamento comportamentale:
convinti che i fenomeni sociali
non possano ridursi alla psiche
individuale, i teorici di questa
corrente mettono sotto accusa
la società, meglio un certo tipo
di società. Partendo da queste
premesse Hannah Arendt in
un primo momento analizza la
figura di Himmler, che organizzò un sistema di dominazione
totale partendo dall'idea che “
nella loro assoluta maggioranza
gli uomini non sono né vampiri
né sadici bensì lavoratori e
padri di famiglia” (p.51) e di qui
nel libro “ Eichmann a Gerusalemme” la Arendt approda
alla banalità del male, sintesi
famosa del suo pensiero. Come
sottolinea Bauman “Ciò che
Hannah Arendt intendeva nel
pronunciarlo, era che le mostruosità non hanno bisogno di
mostri, che gli oltraggi esistono
senza che vi siano personaggi
oltraggiosi…” (p.52)
Sulla stessa linea si colloca
l'opera di Philip Zimbardo
che studia i carcerieri di Abu
Ghraib: un gruppo di normali
ragazzi americani, bravi e
simpatici che in Iraq si trasformano in sadici fantasiosi, nel
momento in cui devono sorvegliare/custodire dei nemici
prigionieri, recepiti forse come
“meno che umani”. Nulla nella
loro vita precedente faceva
prevedere un simile comportamento. Nel libro (L'effetto
Lucifero, Raffaello Cortina,
2008) Zimbardo ricorda e chiarisce l'esperimento sociologico
che aveva tentato nel 1971,
esperienza che prefigurava
Abu Ghraib: aveva diviso un
gruppo di volontari in carcerati
e carcerieri. In una prigione
fittizia gli uni dovevano sorvegliare gli altri, ma dopo pochi
giorni l'esperimento era stato
interrotto per la violenza che si
era sviluppata tra i “carcerieri”,
cui faceva riscontro la rivolta,
la depressione, lo shock tra i
“carcerati”.
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Viandanti
della storia
Chinua achebe
Edizioni Lavoro, 1991
Nella grotta
della Madre
Idoto
La scomparsa dello
scrittore nigeriano
Chinua Achebe
di anna di sapio
pace di immaginare le conseguenze
Dopo aver illustrato i primi due
delle proprie azioni: schiacciare un
filoni di pensiero, prima di passare
tasto per avviare la lavatrice o per
al terzo, che per altro gli pare più suscatenare l'Apocalisse è la stessa
scettibile di sviluppi futuri, Bauman
distoglie la propria attenzione dall'O- cosa, il gesto è lo stesso. A questo si
aggiunge l'orgoglio di aver inventato
locausto per analizzare altri eventi
macchine così potenti da superare
terribili del '900 come la distruzione
qualsiasi aspettativa, tanto potenti
nel 44/45 delle città tedesche e
l'atomica di Nagasaki nel 45. Quando che sembrano sottolineare la nostra
inadeguatezza. Come scrive Anders
ormai la Germania era prossima alla
resa alcune città furono bombardate “L'affinità tra l'impero tecnico-totalitario che ci minaccia e il mostruoso
semplicemente perché le bombe erano già state fabbricate e sarebbe stato impero nazista è evidente.” (p. 107)
Bauman sottolinea che simile
contrario alla razionalità economica
affermazione voleva essere una
non usarle. È questo per esempio il
caso di Wuerzburg, 107.000 abitanti, provocazione, ma una provocazione
necessaria per svegliare le coscienze
ricca di storia ed opere d'arte, ma
dato che dobbiamo essere sempre in
priva di industrie: fu bombardata
allarme, perché tutti i nostri timori
per ore perché facile da localizzare
hanno valide ragioni.
e nello stesso tempo abbastanza
Con queste pagine cupe si chiude
lontana dalle truppe alleate da non
il saggio, mentre ci vengono in mente
porre problemi di “fuoco amico”. Allo
i droni, le bombe intelligenti, le
stesso modo anche la distruzione
atomica di Nagasaki sembra ubbidire tecniche per ammazzare senza sporcarsi le mani. Il libro è molto denso,
ad una logica di tipo economico: non
chiaro e scorrevole, ma in un certo
si può sprecare quello che si è coqual modo lascia insoddisfatti, si ha
struito con un forte investimento di
capitale. La macchina bellica una vol- quasi l'impressione che dia troppe
cose per scontate, che rimandi ad
ta messa in moto vive di vita propria,
altro, in effetti se si riprende in mano
inoltre ciò che è stato fatto una volta
si può rifare con minori remore; dopo “ Modernità e Olocausto” (Il Mulino
1992) il discorso diventa più chiaro,
Hiroschima, Nagasaki diventa più
per meglio dire appaiono più chiare
facile e solleva meno dubbi morali,
le premesse teoriche e l'oggetto del
come suggerisce Anders parlando di
contendere, come se le pagine di “Il
“sindrome di Nagasaki”.
male assoluto” fossero un ripensaDa qui la terza pista che Bauman
mento, una precisazione, un'agdefinisce prima antropologica e nelle
giunta da leggere e meditare perché
pagine seguenti metafisica: gli studi
ci ripropone l'ambiguità strutturale
di Guenther Anders sul predominio
del nostro mondo e delle sue grandi
della tecnica arrivata a una tale
conquiste tecnologiche.
potenza che l'uomo diventa inca-
Eravamo agli inizi degli anni '90, ero da poco entrata a far
parte del CRES, un giorno in una libreria mi imbatto in
un romanzo di Chinua Achebe, Il crollo, mi incuriosisce,
lo compro. Un colpo di fulmine, un'esperienza che mi ha
segnato e ha dato inizio a un “viaggio” che, in compagnia
di alcune amiche/colleghe, ci ha condotte dall'Africa ai
Caraibi, riportate poi all'Italia tra gli scrittori migranti; in
seguito la lettura di opere di autori/ci africani/e provenienti dalle ex colonie italiane ci ha spinte a rivisitare la
storia del nostro colonialismo.
Il crollo racconta la storia di Umuofia, un villaggio
ibo della Nigeria sudorientale all'epoca dell'arrivo dei
colonizzatori britannici, e di Okonkwo, personaggio
coraggioso, dal temperamento aggressivo, che incarna i
valori della tradizione su cui poggia la vita della piccola
comunità. Il suo tragico destino riassume il destino
del suo popolo, che non riesce a resistere al trauma
provocato dall'arrivo degli europei (fine XIX secolo).
Achebe descrive questo mondo in modo oggettivo, quasi
da antropologo, presentando gli aspetti essenziali della
vita del villaggio (matrimoni, funerali, pratiche religiose,
educazione dei figli, feste…), ma non lo idealizza anzi
ne mostra i difetti e le tare oltre alla grandezza. Ma quel
mondo aveva regole proprie, valori propri “che lo tenevano insieme e nessuno avrebbe dovuto arrogarsi il diritto
di sconvolgere”.
Lettura affascinante eppure provavo un forte senso di
spaesamento, di straniamento, perché quel mondo era
del tutto nuovo per me, erano molte le cose che non capivo: come andavano pronunciati i nomi dei personaggi,
dei villaggi, degli alimenti, delle divinità? Che significato
avevano?
Per la prima volta il colonialismo mi veniva raccontato da qualcuno che lo aveva vissuto. Una cosa è leggere
un saggio sul colonialismo e un conto è soffrire con gli
abitanti di Umuofia che subiscono angherie da parte dei
nuovi venuti, che vedono il loro mondo bollato come
primitivo, le loro divinità dichiarate false, che sentono
proclamata la superiorità della civiltà occidentale.
Devo a questo fortuito incontro con Achebe lo stimolo
a leggere altri suoi libri e altri autori africani; a poco a
39
40
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – parole, musiche, immagini
poco lo spaesamento iniziale si attenuava,
l'Africa cominciava ad essermi più familiare, ma, allo stesso tempo si presentava più
complessa, variegata, sfaccettata di quella
del nostro immaginario. Mi sono trovata a
riflettere sull'immagine che l'occidente ha
degli africani, sull'immagine che ne danno
i media, le guide turistiche, i libri di testo, e
a poco a poco ho acquisito una maggiore
sensibilità. Un viaggio in altri spazi letterari
induce a riflettere anche sulle connotazioni culturali del proprio mondo, spinge ad
affrontare con occhi nuovi la lettura della
propria realtà, della propria cultura e della
propria storia. “Solo quelle persone che escono
dalla cornice vedono il quadro per intero” dice
Salman Rushdie.
Il crollo, tradotto in più di trenta lingue
e venduto in milioni di esemplari in tutto il
mondo, resta un testo fondamentale soprattutto per l'Africa perché ha contribuito a formare la coscienza civica dei cittadini africani.
L'incontro/scontro della civiltà africana con
l'occidente cristiano è stato raccontato anche
da altri autori, da Cheick Hamidou Kane
nell'Ambigua avventura o da Camara Laye in
Un bambino africano, per citarne qualcuno,
ma il testo di Achebe ha segnato in profondità perché ha detto agli africani che non erano
i selvaggi descritti dai colonizzatori, ma
avevano una storia e una cultura. All'immagine dell'Africa immobile, senza tempo e
senza storia, costruita secondo gli stereotipi
coloniali, a questa immagine sprezzante
creata dagli europei, Achebe contrappone
una realtà storica diversa.
Il crollo compare nel 1958, due anni prima
della proclamazione dell'Indipendenza della
Nigeria, in un periodo quindi di transizione
e di mutamento rapido di valori culturali,
permeato di attesa e di speranze nel futuro.
L'eroe che nasce nelle pagine del giovane
Achebe è destinato a diventare popolare fra
il pubblico dei nuovi lettori; e Il crollo, oltre
ad assurgere a libro prediletto di questo
pubblico, stabilisce un metro di confronto
per i narratori che verranno dopo, perché
l'operazione culturale compiuta da Achebe,
dando vita a un classico tutto africano,
crea una pietra di paragone autoctona con
cui misurarsi. (…) Il crollo è infatti la visione epica di un passato cui l'autore guarda
con occhio partecipe, perché si tratta del
suo passato, della sua cultura, della sua
storia, sinora negati e negletti; nella rappresentazione narrativa egli dà nuova forma a
quella dimensione di ricordo collettivo che
esisteva a livello di tradizione orale e che
mai sino ad allora aveva trovato espressione nell'universo del romanzo. 1
Al Crollo seguono Ormai a disagio e La freccia
di Dio, una trilogia con cui Achebe, attraverso le avventure di Okonkwo, Ezeulu e Obi,
ripercorre le tappe principali della storia nigeriana dall'epoca coloniale all'Indipendenza.
Con Un uomo del popolo, mette invece in
scena la corruzione dei governi nigeriani, il
problema dell'identità della classe politica,
quello della responsabilità degli intellettuali.
Esprime tutta la disillusione e il disincanto
per le promesse mancate delle Indipendenze.
Seguiranno vent'anni durante i quali a parte
qualche racconto, poesie, libri per l'infanzia,
saggi politico-letterari, tace la voce creativa
di Achebe. Lo shock della guerra del Biafra
(1967-1970), che vede lo scrittore schierarsi
a difesa dei diritti del suo popolo, lo segna
profondamente e contribuisce a determinare
il periodo di silenzio, che si conclude poi con
la pubblicazione del romanzo I viandanti
della storia.
Ambientato nello stato africano immaginario di Kangania, due anni dopo un colpo di
stato militare che ha spazzato via un governo
corrotto, il romanzo vede come protagonisti due intellettuali, Chris e Ikem, e le loro
compagne Beatrice ed Elewa, che reagiscono
e combattono quando la nuova dittatura si
rivela lontana dalla realtà e dai bisogni della
gente. Il romanzo riprende il tema dell'interrelazione tra presente e passato, riflette sul
ruolo e la responsabilità degli intellettuali
nell'Africa postcoloniale, ma si chiude con
una nota di speranza: la nascita di una nuova
generazione fa intravedere la possibilità che
alcuni dei sopravvissuti raccolgano qualcosa
dal naufragio del loro recente passato che
li aiuterà nel cammino verso il futuro. Con
quest'opera il discorso di Achebe esce dai
confini della Nigeria per divenire universale:
la Kangania, il paese dove avvengono i fatti
narrati, presenta situazioni riconoscibili in
tante altre parti del mondo così come in altre
parti del mondo può avvenire quella perdita
della memoria denunciata come evento
letale.
In There was a country: A Personal History of Biafra, la sua ultima opera, Achebe racconta la sua esperienza di tre anni di guerra
civile. Gli Ibo proclamano la secessione dalla
Nigeria in seguito ai massacri di cui erano
stati vittime. Il Biafra diventa il teatro di una
guerra terribile e di una tragedia umanitaria.
1. Itala Vivan, Interpreti rituali. Il romanzo
dell'Africa nera, Dedalo, Bari 1978, pp. 26-27.
Il crollo
Ormai a disagio
Chinua achebe
Oscar Modadori, 1990
Fino alla fine Achebe ha mantenuto fede
alla sua idea circa il ruolo dell'artista che
ha l'obbligo morale di schierarsi dalla parte
di coloro che non hanno il potere, di dare
voce a chi non ha voce; non ha mai smesso
di criticare i mali del continente africano
come la dittatura, la corruzione, le forme di
violenza, di battersi contro qualsiasi forma di
discriminazione, di razzismo, di pregiudizio.2
Coerentemente, per ben due volte ha rifiutato titoli onorifici assegnati dalle autorità
nigeriane.
Per il suo contributo alla letteratura
mondiale Achebe ha ricevuto numerosi riconoscimenti, premi letterari e lauree honoris
causa da università di diversi paesi, ma non
ha mai gradito la definizione di padre della
letteratura africana perché in questo modo si
oscurava il ruolo di molti altri scrittori.
Achebe nasce il 16 novembre 1930 a
Ogidi in una zona di cultura ibo da genitori
cristiani.
Viene battezzato col nome di Albert Chinualumogu, ma in seguito rinuncia al primo
nome , optando per un'abbreviazione del
secondo. “Mi disfeci di quell'omaggio all'Inghilterra vittoriana –dirà– quando andai
all'università”. Chinua è il quinto di sei figli,
la cui istruzione sta molto a cuore ai genitori.
Compie studi regolari e frequenta l'università
di Ibadan, dove assieme a Wole Soyinka,
John Pepper Clark e Christopher Okigbo
2. Sulla sua visione del ruolo dell'artista
v. Jane Wilkinson, Interview with Achebe, in
Bernth Lindifors (a cura di), Conversation with
Chinua Achebe, University Press of Mississipi,
1997, pp. 141-153.
Strumenticres n.61 – settembre 2013
è tra i fondatori dello “Mbari Club”.3 Nel
1956 segue a Londra un corso della BBC poi
inizia a lavorare alla Radio Nigeriana. Fonda
e dirige per molti anni la collana “African
Writers” dell'editore londinese Heinemann.
Ha insegnato letteratura nelle università di
Ibadan e Nsukka, poi in università europee
e americane. Dal 1990, in seguito a un grave
incidente stradale che lo priva dell'uso delle
gambe, viveva negli Stati Uniti e ultimamente insegnava alla Brown University.
Alla notizia della sua scomparsa, avvenuta a Boston nella notte tra il 21 e il 22 marzo,
Wole Soyinka e J. P. Clark dichiarano al
Nigerian Tribune:
“la perdita di Chinua Achebe è, prima di
tutto, intensamente personale. Abbiamo
perso un fratello, un collega, un precursore
e un combattente valoroso. Del “Quartetto
dei pionieri” della letteratura contemporanea nigeriana, due voci sono state messe a
tacere - una, quella del poeta Christopher
Okigbo4, e ora, quella del romanziere
Chinua Achebe. È forse difficile per chi è
estraneo a quel circolo comprendere questo
senso di vuoto, ma confidiamo nelle giovani generazioni di scrittori a cui il testimone
è stato passato, coloro che hanno già creativamente assicurato che non c'è rottura
nel continuum della vocazione letteraria.
Abbiamo bisogno di sottolinearlo in un
momento critico della storia della Nigeria,
dove le forze delle tenebre sembrano oscurare l'illuminazione dell'esistenza che la letteratura rappresenta. Si tratta di forze che
3. Creato nel 1961 fu luogo di incontro
e di effervescenza culturale, favorì la
creazione di un movimento di artisti africani
contemporanei (scrittori, pittori, musicisti)
che tentavano di ridefinire il loro ruolo
culturale, di generare una nuova cultura.
4. Christopher Okigbo (1931-1967) nato in
una famiglia cristiana (il padre insegna in
una scuola missionaria) si sente tuttavia
attratto dalla religione tradizionale ibo
(il nonno materno è sacerdote della dea
Idoto). Uomo di due mondi nella sua opera
coniuga cultura africana, in particolare la
sua cultura ibo, e cultura europea. Muore
a 36 anni combattendo nella guerra di
secessione, nel momento in cui stava per
raggiungere maturità e coerenza nella sua
visione dell'arte, della vita, della società.
Achebe definisce la sua opera “un incredibile,
inquietante firmamento poetico di una
bellezza selvaggia e violenta”.
con arroganza si vantano di essere implacabili e brutali nemici di ciò che Chinua e la
sua penna hanno rappresentato, non solo
per il continente africano, ma per l'umanità.
Non aiuta chiedersi se il recente e insensato
massacro della gente di Chinua a Kano5,
solo pochi giorni fa, abbia accelerato il
fatale indebolimento di quella volontà forte
che lo aveva sostenuto tanti anni dopo il
suo incidente invalidante. Non importa la
realtà, dopo lo shock iniziale, e un senso
di abbandono, con fiducia asseriamo che
Chinua vive. Le sue opere offrono la loro
testimonianza duratura al dominio dello
spirito umano sulle forze della repressione,
del bigottismo e del regresso.”6
5. Il riferimento è a quanto accaduto il
18 marzo a Kano (Nigeria settentrionale),
abitato per lo più da ibo, dove decine di
persone hanno perso la vita in un attentato
suicida presso la locale stazione di bus.
La scomparsa di Achebe ha destato una
vasta eco in tutto il mondo, lascia un grande
vuoto in amici e colleghi, nella nuova
generazione di scrittori africani, arrivati alla
scrittura proprio sulla sua scia, e che si sono
detti orfani di questo padre spirituale. La
sua morte ha suscitato grande emozione
anche nei suoi numerosi lettori sparsi un
po' ovunque nel mondo. Io vorrei ricordarlo
con i versi del suo amico poeta Christopher
Okigbo, immaginarlo ormai giunto nella grotta di Madre Idoto, che Achebe stesso nella
conversazione con Jane Wilkinson descrive
come il luogo dove tutti gli artisti sono
diretti. Esservi accolti – dice - vuol dire veder
approvata la propria opera da parte di questa
dea che è la Padrona dei racconti. La grotta
di Madre Idoto è il paradiso degli artisti che,
al contrario dei fanatici, non hanno una sola
visione della vita, della luce, della verità.7
Daalu8 Achebe
6. www.tribune.com.ng/news2013/index.php/
en/component/k2/item/7961-literary-iconchinua-achebe-dies-at-82-jonathan-govssenate-soyinka-j-p-clark-others-mourn;nenanews.globalist.it/Detail_News_Display?
7. Jane Wilkinson, Interview with Achebe, op.
cit., p. 152
8. Grazie in lingua ibo
ouverture
Before you, mother Idoto,
naked I stand,
before your watery presence,
a prodigal,
leaning on an oilbean,
lost in your legend…
Under your power wait I
on barefoot,
watchman for the watchword
at heavensgate;
out of the depths my cry
give ear and hearken.
Innanzi a te, madre Idoto
ignudo io sto,
dinanzi alla tua acquea presenza,
figliol prodigo,
appoggiato a un tronco,
perduto nella tua leggenda…
In tuo potere io attendo,
scalzo,
sentinella in attesa della parola d'ordine
alla porta del cielo;
dalle profondità sale il mio grido,
presta orecchio ed esaudisci.1
1. Lucilla Sbicego (cura di), Voci d'Africa.
Poesia africana di lingua inglese, Edizioni
Accademia-Sansoni, Milano, 1970, pp. 68-69.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – parole, musiche, immagini
L'ultimo Abate:
l'epica del romanzo
di formazione
a cura di gianluca bocchinfuso
La collina del vento
Carmine Abate
Mondadori, Milano 2012
La produzione letteraria di Carmine Abate
Novecento porta fino all'oggi– segna l'epoha ormai acquisito una consistenza temati- pea di un popolo e di diverse generazioni.
ca e linguistica da consolidarne storie, perGli Arcuri che lottano e non si arrendono
sonaggi, situazioni narrative non solo su
–rappresentati simbolicamente anche
un piano interculturale e plurilinguistico.
dall'albero piegato della copertina del libro,
Il Campiello 2012 è solo un momento –
l'albero che non si spezza e non cede mai,
seppur formale e ufficiale– che sottolinea il nonostante il vento delle avversità– sono
suo percorso da quando, a sedici anni, emi- l'emblema che si può vivere affinché venga
grato in Germania, aveva iniziato a scrivere riconosciuto il senso dell'uguaglianza, la
i primi testi narrativi e poetici. Era il tempo differenza tra bene e male, tra corretto e
della reazione allo status di “immigrato
sbagliato. Queste azioni avvengono in una
arbëreshë” oltre i confini calabri: una rabbia cornice realistica e riconoscibile che ha
vissuta ed espressa con la parola, come
come luogo principe la collina esistente
atto di denuncia dell'ingiustizia subita con
tra Carfizzi e Cirò Marina con tutti i paesi
gli altri emigranti, in tempi e luoghi diversi
toccati - Strongoli, San Nicola, Cirò - e con i
e comuni, dentro argini inesistenti di uma- siti sopravvissuti alla storia e alla leggenda,
nità. Quella scrittura permette ad Abate di
come Punta Alice, il Castello Sabatini, il
passare dal mito e dalle visioni di racconti
tempio di Apollo Aleo.
e rapsodie incamerate a pelle durante la
La collina è tutt'uno con gli elementi
fanciullezza e la preadolescenza alla realtà
della natura nella loro profonda essenza e
cruda del suo essere al mondo, tra i vinti,
forza. Ad iniziare dal vento, energia pretra gli ultimi: quelli costretti a sradicare le
sente e viva che sarà motivo degli appetiti
proprie radici in cerca di futuri e contesti
delle società legate all'eolico:
migliori.
Queste vite tagliate, mozzate, rasseIl vento non smette mai di fiatare sulla
gnate– col tempo e dopo tanti momenti
collina, sale dalle timpe, dalla fiumara
e passaggi– diventano invece vite ricche,
o dal mare, scuote le cime degli alberi,
vite che si sommano e «si legano per
accarezza il cucuzzolo giorno e notte,
addizione»1, recuperando il senso più
ruzzola lungo i pendii come un bambino
felice, ma quando si arrabbia sono guai:
profondo e vivo della pluralità di mondi, di
vortica risucchiando ogni cosa, polvere,
radici, di linguaggi. Un passaggio che ha
rametti spezzati, foglie, spine e breccia,
determinato negli anni la ricchezza della
che scaglia tutt'intorno con la furia di un
produzione letteraria di Abate che trova,
vulcano impazzito.
in questo ultimo romanzo, l'apice della
«Se c'è una cosa che qui non manca è il
maturità stilistica e narrativa.
vento» ha detto l'uomo che si era presenLa collina del vento è un decisivo salto
tato a noi come ingegnere di una società
in avanti, nella dimensione piena del
del Nord specializzata in pale eoliche. 2
romanzo epico in cui l'epopea di una famiglia –attraverso un secolo che dagli inizi del
1. Carmine Abate, Vivere per addizione e altri
viaggi, Mondadori, Milano 2010.
2. C. Abate, La collina del vento, Mondadori,
Milano 2012, p. 89.
In questi luoghi e per questi luoghi si svolgono le azioni e le reazioni della famiglia
Arcuri: una famiglia che vive per la terra,
per questa lotta e spera, con un passaggio
di testimone tra le generazioni, dei padri
e dei figli. Tra epoche e situazioni diverse:
Fascismo, 'Ndrangheta, speculazioni affaristiche sull'eolico, speculazioni urbanistiche
sul territorio. Tutto fa parte di una visione
della vita –dei potenti di turno– come malaffare: dai ricatti di don Lico agli interessi
per lucrare sul sangue della propria terra
anche deturpando il paesaggio oggi con le
pale eoliche, il cemento e il fuoco, domani
con altro.
Dopo cena, Alberto aveva intenzione
di recarsi da don Lico, non soltanto per
evitare rogne, confidò ai familiari, ma soprattutto per sapere cosa volesse di preciso da loro. Arturo lo convinse che sarebbe
stato un passo sbagliato: «don Lico tiene
solamente una cosa nella crozza: fricarci
la nostra terra con le buone e con le male.
Sta dicendo in giro che vogliamo vendere
le quote migliori proprio a lui. Ohi pa',
quello ci sta preparando un tranello, lo
capisci o no? Noi non dobbiamo cascarci,
non siamo ciòti come crede lui».
Le rogne cominciarono quattro o cinque
giorni dopo: il grossista della Marina, che
ogni anno passava puntuale per acquistare l'olio degli Arcuri, non si presentò,
né fece sapere il motivo del suo comportamento. E neanche il vino riuscirono a
vendere in quel periodo, e neanche un
quintale del loro grano fu richiesto dai
compratori forestieri e paesani. Un vero
e proprio boicottaggio, di cui tutti conoscevano l'artefice senza nominarlo mai.
Solo la cooperativa di consumo comprò
ad Arturo modeste quantità di olio e vino.
Troppo poco per tirare avanti a testa alta.
Come se le rogne private non bastassero,
dopo l'avvento del fascismo le cooperative fallirono dappertutto e i più strenui
difensori furono minacciati o costretti a
emigrare nelle Meriche o addirittura, in
qualche caso, arrestati.3
[…]
Quel giorno di vigilia della Pasqua erano
ritornati quassù perché sapevano che vi
avrebbero trovato anche me e volevano il
mio appoggio.
Ho dato un'occhiata al progetto; il parco
eolico sembrava un paesaggio di dune
meravigliose sullo sfondo del mare, con
3. C. Abate, La collina del vento, op. cit., pp. 40, 41.
Strumenticres n.61 – settembre 2013
trenta palme imponenti che proiettavano le loro ombre sul terreno. Una era
collocata al posto dell'ulivo gigante,
l'altra quasi all'imbocco della mulattiera
che entrava nel bosco di Tripepi. […] Poi
mio padre mi ha detto: «Queste società
mi sembrano peggio di don Lico, hanno
tante teste nascoste sotto una caterva di
sigle; è difficile combatterle perché non le
vedi in faccia.4
È un ambiente naturale che dialoga con il
lettore: un ambiente che narra le vicende
in modo organico e avvolgente invitando a
capire, indagare, porsi domande, accelerare risposte. La collina del Rossarco –tra
il rosso tappeto di sulla, il suo profumo e i
suoi ornamenti– è la terra che tiene unita
la tradizione familiare: è un elemento di
umanità semplice e di cultura trasversale. La terra diventa obiettivo di un'intera
esistenza, oltre le vicende negative, le
morti impreviste e le sofferenze umane e
personali. Il Rossarco come la collina di
Roccalba, scenario principale del romanzo
Tra due mari.
Il paese è appoggiato come un ferro di cavallo su una collina tra due mari, lo Ionio
e il Tirreno. Ha un bel nome, Roccalba,
ma io lo chiamavo Roccalda, per via
della cappa afosa che lo schiaccia tutta
l'estate senza pietà.5
Una terra –di significati e di vicende– che
appartiene specificatamente ad una regione come la Calabria: legata al suo estinto
passato che storicamente e archeologicamente narra e spiega luci e grandezze,
civiltà e miti; vittima di un secolo, quello
del Novecento narrato nel romanzo, in cui
l'arrivismo, il cinismo e l'arroganza tentano
di cambiare equilibri, storie, umanità.
Il collante del tempo, della positività del
tempo, è rappresentato dalla vicinanza e
dallo scambio tra l'archeologo Paolo Orsi e
il meridionalista Umberto Zanotti-Bianco:
scoperte, reperti, simulacri, oggetti fanno
da sfondo storico al romanzo e ai suoi riferimenti espliciti all'antica città di Krimisa
fondata da Filottete; le lotte contadine, la
strage di Melissa, le rivendicazioni delle
genti del Sud nel pensiero di Zanotti4. C. Abate, La collina del vento, op. cit., pp.
90, 91, 92.
5. C. Abate, Tra due mari, Mondadori, Milano
2002, p. 10.
Bianco segnano la cornice contemporanea
alle vicende.
«Mi chiamo Paolo Orsi. Sono un archeologo e vengo dal Trentino».
«E ch’è un arcologo?»
«Faccio scavi e con il materiale che trovo
costruisco la storia di antiche civiltà»
rispose calmo il forestiero.
«Cosa cercate quassù?»
«Cerco l'antica cittadina di Krimisa e il
suo famoso santuario di Apollo Aleo,
entrambi sepolti da millenni in una di
queste colline dinanzi a Punta Alice».6
[…]
Krimisa era una piccola città della Magna Grecia e sorgeva su una collina tra
l’'attuale Cirò Marina e il mar Jonio. Secondo lo storico Strabone, a fondarla fu il
famoso arciere Filottete, che veniva dalla
Tessaglia e aveva combattuto nella guerra di Troia. Rientrato in patria, in seguito
a una sanguinosa rivolta era fuggito con
un gruppo di greci epiroti ed era sbarcato
a punta Alice. Da lì aveva perlustrato i
dintorni. Non gli fu difficile scegliere dove
costruire la nuova città perché i luoghi ti
attraggono come le persone, ti seducono
con il loro sguardo luminoso, la lingua
di vento, il profumo mai sentito prima.
Infatti, quando Filottete salì sulla collina
e vide il promontorio che si incuneava
in un mare solenne, non ebbe il minimo
dubbio: lì, in quel pianoro, avrebbe
eletto un tempio in onore di Apollo Aleo,
mentre la città sarebbe sorta più in su,
sul versante dello Jonio.7
[…]
«Diamo ora la parola all’'anglopiemontese Umberto Zanotti-Bianco,
nato a Creta nel 1889, meridionalista
militante, archeologo e scrittore di valore,
patriota di vecchia data, eroico combattente della Grande Guerra, fondatore
dell’ANIMI, Associazione Nazionale per
gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, e
della Società Magna Grecia, che tanto
bene hanno operato per la Calabria,
presidente della Croce Rossa Italiana e
ambientalista…».8
Orsi e Zanotti-Bianco rappresentano - da
prospettive e obiettivi diversi –l'Italia
migliore, quella a cui, in modo semplice
6. C. Abate, La collina del vento, op. cit., p. 16.
7. C. Abate, La collina del vento, op. cit., p. 75.
8. C. Abate, La collina del vento, op. cit., p. 185.
ma vero, si rifanno gli Arcuri, rappresentanti di un Sud mai fermo, un Sud vivace
e volenteroso che lascia segni e traccia
strade. Anche quando tutto si appiattisce
e tutti si adeguano, ogni membro della
famiglia Arcuri emerge e fa le sue scelte,
diventa testimone di azioni fuori dal coro,
quasi come una «rondinella janca», raro
uccello col becco ad uncino che vola con il
beccuccio aperto fino a sera gridando tanto
e non si capisce se è «grido di cuntentizza o
di dolore, finché sparisce nella ciaramìde della casella, dove ha il nido»9. La rondinella
albina cerca la verità, si muove tra l'invidia,
lotta per la vita.
La collina del vento ha l'abilità di avere
dentro il meglio della storia, della memoria,
delle lingue, degli incontri, delle lotte, dei
viaggi, delle narrazioni di Abate, compreso
le esperienze delle sue proesie.
Un romanzo epico nella modalità del
racconto e della coralità; un romanzo di
formazione su un piano di “educazione
alla cittadinanza” verso chi il Sud lo vive,
chi ci ritorna, chi lo lascia per ritrovarlo.
Un romanzo che ha il volto del mistero e
dell'incrocio di energie negative e positive
sin dall'inizio segnando una netta linea di
demarcazione tra il bene e il male umano,
tra l'incontro positivo e negativo dell'uomo
con l'ambiente in tutte le sue forme. Il
lettore è guidato alla scelta migliore. A
schierarsi. Ed è guidato attraverso i tanti
elementi impliciti che si annidano nel
romanzo.
Abate regala un pagina di memoria
densa. Parla attraverso le emozioni di un
racconto limpido che segna sempre un
altrove che sappia dare risposte e preparare
gesti concreti. Un altrove che esiste e genera conoscenza se sa tenere dentro il luogo
da cui siamo partiti e verso cui tenderemo
sempre, portando con noi integre le esperienze dei nostri tempi in addizione.
La verità è che i luoghi esigono fedeltà
assoluta come degli amanti gelosi: se li
abbandoni, prima o poi si fanno vivi per
ricattarti con la storia segreta che ti lega
a loro; se li tradisci, la liberano nel vento,
sicuri che ti raggiungerà ovunque, anche
in capo al mondo. 10
9. C. Abate, La collina del vento, op. cit., p. 20.
10. C. Abate, La collina del vento, op. cit., p.
241.
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Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – parole, musiche, immagini
Il cantore
dei poveri cristi
di Massimiliano Lepratti
“Di un pianto suo dolce sfiorì in una sera
a nulla le nere mani valsero a salvar”
sfiorisci bel fiore (1964)
Lo scorso venerdì della passione ci ha
lasciato il dottor Vincenzo Jannacci, un
uomo la cui vita è stata “troppa roba per
una canzone sola”1. Cantautore, cardiologo,
cabarettista, appassionato di karate, schettinatore folle, pianista con i mostri sacri del
jazz (da Stan Getz a Chet Baker), applaudito attore protagonista nel cinema di Marco
Ferreri, nominato all'Oscar come autore di
colonne sonore, compagno di poesia di un
Nobel…e tutto fatto senza ostentazione, nel
silenzio tranquillo di una persona che non
amava la pubblicità.
Ma soprattutto il dottor Jannacci era un
uomo dal “cuore urgente”2 un cuore che ha
sempre battuto dalla parte di quei diseredati a cui ha dedicato alcune delle canzoni più
belle della storia musicale italiana.
Tra i tanti poveri cristi che ha raccontato ci piace iniziare ricordando il “Soldato
Nencini, soldato d'Italia/semianalfabeta
e per giunta terrone/l'han messo a Alessandria perché c'è più nebbia/ben presto
ha capito che a volergli bene/c'è solo quel
cane che mangia la stoppia/tra i vecchi
autoblindo, pezzato, marrone…”3. Nel racconto di militari e di immigrati, poveracci
spaesati, spesso portati in un ambiente in
cui nessuno ti vuole bene, c'è tanta della
biografia del cantautore a partire dal padre
che fu costretto a fare entrambe le guerre
mondiali e continuando con la famiglia
pugliese, trasferita a Milano in cerca di
fortuna. Ma l'empatia di Jannacci per quel
soldato Nencini, capace di sorridere anche
nel muro d'antipatia che lo circonda, va
oltre il racconto familiare e ne fa un umile
antieroe, sperso e gentile anche nel dolore
1. Amapola (1985)
2. Giovanni telegrafista (1968)
3. Soldato Nencini (1966)
dell'abbandono finale.
Proseguendo in questa rapida sintesi
sull'opera ci sembra giusto sottolineare
come a differenza di molti uomini nati alla
metà degli anni '30 la sensibilità di Jannacci fosse capace di narrare con intensità anche l'altra parte del cielo. Alle figure femminili ha rivolto uno sguardo dolce e partecipe,
dalla piccola Vincenzina, il cui mondo non
può andare oltre un'orribile fabbrica, alla
giovane donna delle periferie milanesi per
la quale nel lontano 1966 Jannacci scrisse
quel capolavoro misconosciuto che è Dona
che te durmivet. La situazione è di una
quotidianità assoluta, ma raccontata con
tocchi psicologici di grande sensibilità: una
sposa che dopo 5 anni di un matrimonio
in via di spegnimento trova un barlume di
gioia perché il marito le ha promesso il cinema di giovedì sera. Ma la gioia si spegne
presto quando lui uscendo vuole fermarsi
in latteria a parlare di calcio con gli amici. E
lei pian piano si rende conto che una donna
sola col suo cappottino nuovo, spersa in
mezzo a soli uomini che la guardano come
una bestia rara, il suo cinema non lo vedrà
più… e neppure il pianto liberatorio le è
permesso, gli sfottò del branco e la paura
del marito la costringono a trasformare le
lacrime nella finzione del riso: “Dona che te
durmivet giuedi sera/dona t'avean prumis de
purtat al cine/e poeu s'enn ferma' giò in latteria/parlar de fútbal cunt i amis…/Dona col
paltò neuv/in mess a tucc chi omen/omen
che t'han guardaa 'me una bestia rara/e lì, a
dés minut, t'è vegnú el magún/t'et piangiù
brasciada al to cou…”4
Nella sua ricerca verso gli ultimi del
mondo, il dottor Jannacci Vincenzo non
ha dimenticato neppure di guardare fuori
dall'Europa, verso le periferie del pianeta.
4. Dona che te durmivet (1966)
E incontrando un giovanissimo Chico
Buarque d'Hollanda in fuga dalla dittatura
brasiliana, il medico poeta milanese ha
contribuito più di chiunque altro a far
conoscere in Italia il cantore degli oppressi
latinoamericani, l'autore della celebre O
que serà.
Intrecciando la sua poesia con quella di
Chico Buarque, Jannacci ha voluto tradurre
due indimenticabili ritratti di poveri cristi,
brasiliani e universali al tempo stesso:
Pedro il muratore che “aspetta l'allegria/ e
la fortuna col biglietto della lotteria/Ogni
anno aspettando aspettando aspettando/
aspettando il sole, aspettando il tram/aspettando sempre quel famoso aumento […] e la
moglie di Pedro sta aspettando un figlio che
dovrà aspettare, aspettare, aspettare…”5. E
poi ancora il suicida protagonista de La Costruzione “E quella volta amò come se fosse
macchina/e poi baciò sua moglie come se
fosse logico/Lì sull'impalcatura quattro muri
flaccidi/Seduto a riposare come se fosse un
passero/E fluttuò nell'aria come se fosse un
principe/E cadde giù per terra come ubriaco
fradicio/…È morto contromano disturbando
5. Pedro Pedreiro (1968)
Strumenticres n.61 – settembre 2013
Monsieur Lazhar
Regia di Philippe Falardeau
Québec-Canada 2011
a cura di laura morini
A sinistra:
Enzo Jannacci canta
dal vivo L'ombrello
di suo fratello.
Sopra e sotto:
alcune copertine di
dischi di Jannacci.
il traffico”6.
Ma da ultimo ci piace ricordare Vincenzo Jannacci detto Enzo senza dimenticare
un altro aspetto fondamentale della sua
ricchezza umana: la sua immensa stralunata ironia e la capacità di mescolare tutti i
registri dell'espressione, dai più struggenti
ai più scanzonati e surreali. Questo gli permetterà di arrivare all'apogeo del successo
con un pezzo apparentemente allegro e
in realtà amaro e surreale in cui insieme a
Dario Fo oserà canzonare in versi anche la
morte e la sua sacralizzazione: “Si potrebbe
andare tutti quanti al tuo funerale/per vedere se la gente poi piange davvero”7.
Riposi sereno dottor Jannacci e non
tema, chi scrive è voluto andare al suo funerale e le può assicurare che eravamo in tanti,
e che la gente la piangeva davvero.
6. La Costruzione (1977)
7. Vengo anch'io (1967)
Il giovane regista canadese Philippe Falardeau ha ambientato in una scuola elementare di Montreal una vicenda drammatica,
trattata con delicatezza e sensibilità.
Il protagonista del film, Bachir Lazhar, è
un immigrato algerino, in attesa di ricevere
il permesso di soggiorno in Canada come
rifugiato politico. Alle sue spalle una
dolorosa vicenda, che scopriremo gradualmente, lo ha portato a perdere tutta la sua
famiglia.
Per sopravvivere e sopportare il suo
dolore Monsieur Lazhar decide di proporsi
come supplente alla dirigente di una scuola
elementare alle prese con un'inattesa
emergenza: una giovane e amata insegnante si è suicidata in classe, prima dell'inizio
delle lezioni.
I bambini sono sconvolti, in particolare
Simon e Alice che hanno direttamente
visto la scena.
Bachir ha fatto “carte false” per ottenere
quel posto, ma la preside, nonostante le
iniziali perplessità per la scarsa conoscenza
del paese d'accoglienza da parte del suo
interlocutore e l'evidente divario culturale,
45
46
Democrazia al tempo del cyberspazio: una sfida possibile – parole, musiche, immagini
Nelle fotografie due
scene con alcuni
protagonisti del film.
Sopra: Bachir Lazhar
(Fellag) in classe.
A sinistra: Simon
(Émilien Néron) e
Alice (Sophie Nélisse).
non valuta con attenzione i documenti presentati e lo
assume, spinta dall'impossibilità di trovare in tempi
brevi un'altra soluzione.
In realtà Lazhar nel suo paese non ha mai insegnato, ma è una persona colta, ama la letteratura e
la lingua francese, sta in classe come un insegnante
d'altri tempi, severo e attento ai ragazzi.
Superato il disagio iniziale, gli alunni capiscono che
possono fidarsi di lui, insieme elaborano il dolore per
la perdita che entrambi hanno subito, stabiliscono una
relazione nuova e positiva.
Questo il nucleo centrale del film che riflette sul
modo di vivere una perdita, di elaborare il lutto e di
aiutarsi reciprocamente fra adulti e bambini.
La scuola, in questa vicenda, è solo uno sfondo,
uno scenario casuale? In realtà il regista delinea con
tocco leggero il contesto scolastico accennando a molti
temi, pur secondari nell'economia del racconto. Il prof.
Lazhar, mirabilmente interpretato da un attore maghrebino emigrato in Francia, ha uno spessore umano,
una dignità d'altri tempi. Per questo sembra più
autentico, più capace di aiutare i suoi allievi dei “veri”
insegnanti, più preparati sul piano didattico, ma anche
troppo inclini ad affidare agli specialisti il compito di
trattare ogni problema che abbia a che vedere con le
emozioni, i sentimenti, le paure profonde degli allievi.
Con una certa ironia vengono criticati gli atteggiamenti
“politicamente corretti” imposti dal regolamento scolastico: la proibizione assoluta di ogni contatto fisico, la
delega alla psicologa, che impedisce ogni intervento
naturale e spontaneo a sostegno dei bambini. Anche
la quasi totale assenza di figure maschili nella scuola
di base è qui rappresentata come una carenza che
trova riscontro anche nell'ambito familiare per la totale
assenza o scarsa autorevolezza dei padri.
Il regista, intervistato, ha precisato che la scuola
rappresenta un “luogo universale” perché nel film si
parla di umanità piuttosto che di migrazione, questio-
ni sociali o pedagogiche. Tuttavia sembra interessato
ai problemi educativi che non ha approfondito. Prima
di iniziare le riprese, ha passato alcuni giorni in una
scuola elementare, osservando le dinamiche di una
classe e il lavoro dei professori. Ci tiene a precisare che,
anche se critica alcune rigidità del sistema educativo,
non intende screditare il lavoro degli insegnanti di
cui apprezza impegno e “resistenza”, fino a definirli
“moderni gladiatori”….
Lo appassiona il tema del rapporto fra istruzione ed
educazione; per questo ha inserito la scena in cui una
coppia di genitori contesta il “prof ” Lazhar, precisando
che il suo compito è solo di istruire la figlia perché ad
educarla ci pensano loro! ”hanno torto –soggiungeperché secondo me le due cose sono inscindibili … poi
alle elementari i bambini passano più tempo in classe
che con i genitori … il film è un'ode all'atto fondamentale che è quello di insegnare … fra le persone che
hanno avuto influenza nelle nostre vite c'è sicuramente un insegnante”.
Certo l'originalità del film non risiede in questi
aspetti, volutamente secondari, ma nella capacità di
ritrarre con lo stesso rispetto e attenzione i bambini
come il maestro mentre sono posti di fronte alla
necessità di superare un trauma improvviso e violento.
Aiutando i piccoli ad esprimere il dolore, la paura, il
senso di colpa di fronte alla morte, Lazhar compie lo
stesso cammino e riprende a vivere.
La naturalezza dei personaggi e dello sviluppo della
storia sono insieme una scelta estetica ed etica che
rende il film una convincente riflessione sul senso della perdita. La rappresentazione di una relazione così
profonda fra insegnante e allievi ci ricorda quanto sia
vitale per noi adulti saper imparare dai bambini. Tutti
spunti di riflessione piuttosto interessanti, in particolare per educatori e insegnanti.
Pagina a fianco:
1. ARTICO
Chiara Tebaldi
2. PAY FOR YOUR AIR
Alessandra Teruzzi
3. LAND TO SERVE
Chia Ying Hsieh
4. ARIA FRITTA
Roberta Calandria
5. ACCENDI LA LUNA!
Michela Vernazza
6. IL CAMERIERE
Anita Di Rienzo
Strumenticres n.61 – settembre 2013
L'asta della terra
1
2
3
Con “L'asta della terra” Mani Tese
ha sfidato gli studenti universitari
e delle scuole superiori a mettere
in gioco creatività e ironia in
una Social Poster Competition.
Obiettivo della sfida: inventare un
manifesto pubblicitario per vendere al miglior offerente uno dei
quattro elementi naturali (acqua,
aria, terra e fuoco).
Vi sembra assurdo che si possano
comprare le foreste, i mari o i
ghiacciai? Purtroppo non è una
cosa così strana. Tuttʼoggi può
diventare merce. Basta pensare
agli elementi naturali come a delle
risorse e il gioco è fatto. Potremo estrarli, imbottigliarli, tagliarli,
trasformarli, raffinarli ed inquinarli. La corsa è a chi arriva prima,
poco importa se bisogna cacciare
chi ci abita vicino, costringendo
intere popolazioni a vivere nella
povertà. D'altronde poter disporre
gratis di una di una merce scarsa
e di cui non si può fare a meno,
come ad esempio l'acqua, è l'affare
perfetto. Zero rischi, profitti sicuri.
Per questo acqua, aria, terra ed
energia (fuoco) sono al centro di
tensioni sempre crescenti.
Alla nostra chiamata hanno risposto quasi 100 ragazzi inviandoci
le loro opere originali da tutta
Italia. Mani Tese ha inoltre attivato
una collaborazione con la Nuova
Accademia di Belle Arti NABA
di Milano, con l'Associazione
culturale Good Design e con il
Liceo Artistico Preziosissimo
Sangue di Monza per la realizzazione di due workshop intensivi
sul concept del concorso, dedicati
in particolare agli elementi Terra e
Aria (qui riportati alcuni dei lavori
prodotti nei workshop).
4
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6
47
social poster
competition
L'asta della terra: I premiati
Organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli.
Redazione
categoria terra
Giada lo Duca
Istituto di Istruzione
Superiore Statale C.E.
Gadda di Paderno
Dugnano
Valerio Bini (dir.),
Luca Manes (dir. resp.),
Chiara Cecotti, Angela Comelli,
Alberto Corbino, Giosuè De Salvo
Elias Gerovasi, Giovanni Mozzi,
Giacomo Petitti, Lucy Tattoli.
Gruppo redazionale
per il supplemento
“Strumenti Cres”
Donatella Calati (segretaria di
redazione), Giacomo Petitti
(responsabile di redazione),
Elisabetta Assorbi,
Gianluca Bocchinfuso,
Anna Di Sapio, Piera Hermann,
Elena La Rocca, Laura Morini,
Shara Ponti.
categoria fuoco
Paolo Pastorino
Istituto Secondario
Superiore Statale
“Mazzini Da Vinci” di
Savona
Direzione, redazione e
amministrazione
Piazzale Gambara 7/9,
20146 Milano
Tel. 02/4075165
[email protected]
www.manitese.it
Stampa:
Staff S.r.l. - Buccinasco (MI)
Progetto grafico
e impaginazione:
Riccardo Zanzi
Hanno collaborato
a questo numero:
Elisabetta Assorbi, Fulvio Benussi,
Antonella Bertoldo, Gianluca
Bocchinfuso, Gabriella Buzzi,
Michele Crudo, Anna Di Sapio,
Piera Hermann, Elena La Rocca,
Massimiliano Lepratti, Marina Medi,
Laura Morini, Simonetta Muzio,
Ilaria Pasotti, Pinuccia Samek
Lodovici.
categoria aria
Laura Antonini
Istituto Secondario
Superiore Statale
“Mazzini Da Vinci” di
Savona
Gli articoli pubblicati
rispecchiano il punto di
vista degli autori, non
necessariamente quello
della Redazione.
Quando non specificato, gli
autori sono formatori Cres.
Realizzato con il contributo finanziario di:
Il Cres,costituito da esperti ed insegnanti, cura le attività formative
di Mani Tese in campo scolastico. Obiettivo fondamentale della
sua iniziativa di ricerca e di innovazione didattica è la diffusione di
una nuova cultura dello sviluppo e della mondialità nella scuola.
categoria acqua
Ilaria Merlino
Istituto Secondario
Superiore Statale
“Mazzini Da Vinci” di
Savona
Si può sostenere la rivista StrumentiCres con una offerta
minima di 10,00 € specificando “Sostegno a StrumentiCres”:
Versamenti on-line su www.manitese.it,
su c.c.p. 291278 intestato a Mani Tese,
con bonifico bancario Banca Popolare Etica
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