Viaggio in Bosnia ed Erzegovina

Transcript

Viaggio in Bosnia ed Erzegovina
Viaggio in Bosnia ed Erzegovina
Spada Giulia
Classe 3°A
Tutor: Maria Oggioni
Indice
1 Il territorio, la popolazione e l’ordinamento
2 La guerra in Jugoslavia
3 Srebrenica
4 Il ponte di Mostar
5 Surmanci
6 Situazione attuale
7 L’Arpa
8 Prospettive per il futuro
Mappa concettuale
Premessa
Inizialmente avevo scelto come argomento della mia tesina d'esame il cioccolato, ma poi,
dopo aver fatto il mio secondo pellegrinaggio di carità con l’Associazione Regina della Pace
e seguendo il consiglio della prof. Oggioni, ho deciso di cambiare totalmente argomento.
Questo mi rappresenta molto di più ed è molto significativo per me. I miei, già più di dieci,
viaggi in Bosnia ed Erzegovina mi hanno insegnato molte cose e ogni volta che parto verso
quel Paese che ha tanto bisogno di aiuto mi sento un po’ come se stessi tornando a casa. Le
persone che si conoscono, specialmente nel campeggio di Medjugorje, sono sempre molto
simpatiche e ci si sente parte di un’unica e grande famiglia. La Bosnia ed Erzegovina ormai è
una parte di me e questo mi è parso un motivo più che valido per scegliere “Viaggio in
Bosnia ed Erzegovina” come titolo per la mia tesina.
Introduzione
Nella mia tesina intitolata “Viaggio in Bosnia ed Erzegovina” racconto le cose principali che
si possono vedere durante un viaggio in questo Stato. La maggior parte di ciò che ho scritto
l'ho imparato o visto durante le mie vacanze nel Paese: sono dunque informazioni di prima
mano, altrimenti difficilmente reperibili visto che anche in internet sono scritte
esclusivamente in croato.
Si tratta dunque di un lavoro storico-geografico, a cui ho collegato altre due materie:
tecnologia attraverso lo Stari Most, il famoso ponte di Mostar, e arte attraverso la bella
icona di Surmanci, a pochi chilometri da Medjugorje, che ho avuto modo di visitare
quest’estate.
1. Il territorio, la popolazione e l’ordinamento
La Bosnia Erzegovina è una nazione dell'Europa sud-orientale che appartiene alla regione
dei Balcani. La sua capitale è Sarajevo; il Paese confina con la Croazia a nord, con la Serbia e
il Montenegro a sud e con il Mar Adriatico solo per un breve tratto di 23 km circa a sudovest. Ha una superficie di 50.000 km², all'incirca il doppio della Sicilia. Il Paese è diviso in
due fasce climatiche: quella a ridosso del mare, dove il clima è mediterraneo, con inverni
piovosi; l’altra che presenta un clima continentale, con estati brevi e con inverni gelidi.
Nella prima area il terreno è brullo e sassoso, la vegetazione è principalmente costituita da
cespugli. Nella seconda il territorio è invece occupato da rigogliose foreste, che di tanto in
tanto lasciano spazio a grandi distese erbose attraversate da fiumi o punteggiate da piccoli
laghetti. Secondo una stima precedente alla guerra di Jugoslavia (1991-1995) le terre arabili
erano il 14% della superficie totale, ma dopo la guerra, con la grande quantità di terreni
che sono stati minati, la percentuale deve essere scesa ulteriormente.
Il modo in cui noi chiamiamo questo Paese, ossia Bosnia Erzegovina, non è completamente
corretto; la giusta traduzione di “Bosna i Hercegovina” sarebbe Bosnia ed Erzegovina. Il
nome Bosnia deriva dal nome del fiume Bosna; mentre il nome di Erzegovina deriva dal
titolo di "herceg", duca, e il nome della regione significa letteralmente la "terra del duca".
Noi spesso generalizziamo tutto accorciando il nome e dicendo solamente “Bosnia”. In
realtà, la Bosnia e l’Erzegovina sono due regioni geografiche distinte, e ho voluto fare
questa precisazione perché gli abitanti del luogo tengono molto alla distinzione.
La popolazione della Bosnia ed Erzegovina è di quasi 4 milioni di abitanti, residenti nelle
aree urbane per il 43%. L'aspettativa di vita è di 68,5 anni, il tasso di disoccupazione si
attesta al 34%, la mortalità infantile è del 13 per mille e il tasso di analfabetismo è
dell'8,5%.
In questo Stato convivono molte etnie, le tre principali sono:
-
i bosgnacchi, chiamati in gergo “i musulmani”, discendenti dei turchi ottomani e
delle popolazioni locali al tempo della conquista. Prima della guerra
rappresentavano il 44% della popolazione;
-
i serbi, di religione cristiana ortodossa, che prima della guerra rappresentavano il
31% della popolazione;
-
i croati, cristiani cattolici, la maggior parte dei quali stanziati in Erzegovina, che
rappresentavano il restante 17%.
Dopo la guerra non è stato eseguito alcun censimento ufficiale, esistono solamente le
stime, secondo cui la Bosnia ed Erzegovina è etnicamente formata:
-
al 48% da musulmani
-
al 37,1% da serbi
-
al 14,3% da croati
-
allo 0,6% da altre etnie.
Fino allo scoppio del conflitto nazionalista, la Bosnia ed Erzegovina veniva considerata
come esempio di Paese multietnico in cui si era raggiunto un sereno equilibrio tra le diverse
comunità. I problemi tuttavia erano solo sopiti e si manifestarono durante la guerra. La
presenza di queste tre etnie principali fa sì che la Bosnia ed Erzegovina sia uno Stato
federale costituito da due entità politico-amministrative, la Federazione di Bosnia ed
Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, entrambe dotate di un ampio
margine di autonomia.
2. La guerra in Jugoslavia
La Jugoslavia era costituita da sei repubbliche socialiste, di cui la più grande era la Serbia.
Alla morte di Tito, nel 1980, l’esercito era in mano quasi solo ai serbi. Per questo motivo il
dirigente del partito comunista Milošević seppe scatenare la guerra facendo leva sull'idea
della “Grande Serbia” e sulle tensioni etniche interne.
La Bosnia ed Erzegovina nel 1992 proclamò la propria indipendenza e la guerra si abbatté
con inaudita furia su Sarajevo e sulle altre parti del Paese. Inizialmente i Musulmani e i
Croati combatterono alleati contro i Serbi, i quali controllavano gran parte del territorio,
con l'eccezione delle grandi città di Sarajevo e Mostar. Successivamente, però, scoppiò
anche un conflitto territoriale tra Musulmani e Croati, i quali si allearono poi con i Serbi.
Dopo quattro anni di assedio della capitale, dopo il massacro di Srebrenica e gli errori
commessi in quella circostanza e in altre occasioni da parte della forza di protezione ONU,
la Comunità Internazionale decise di intervenire militarmente in modo concreto, ponendo
così fine alla guerra e imponendo i contestatissimi Accordi di Dayton. Questi prevedevano
la creazione di due entità interne allo stato della Bosnia ed Erzegovina: la Federazione
Croato-Musulmana e la Repubblica Serba.
I morti, secondo cifre documentate (ma non definitive), furono 93.837.
3. Srebrenica
Durante il mio viaggio più recente in Bosnia ed Erzegovina ho potuto visitare uno dei due
punti più “caldi” della guerra: la cittadina di Srebrenica. Questa è una piccola città in una
zona montuosa non molto distante dal confine serbo.
Il paese era una piccola enclave musulmana in una zona a maggioranza serba. Per questo
costituiva un'"area di sicurezza" controllata dalle forze dell’ ONU che risiedevano in una ex
fabbrica metallurgica, in disuso dall’inizio della guerra.
L'11 luglio 1995 Srebrenica venne occupata e i
cittadini si riversarono disperati all’interno
della recinzione della fabbrica, chiedendo
protezione. Ratko Mladić, il comandante che
guidava le truppe serbe, entrò all’interno della
fabbrica e parlò con le forze dell’Onu, le quali
cacciarono i civili dalla fabbrica e li lasciarono
nelle mani dei serbi. Gli uomini dai 13 ai 65
anni furono separati dalle donne, dai bambini
e dagli anziani, e vennero fucilati. Le donne
subirono violenze indescrivibili, vennero caricate insieme a bambini e anziani su camion e
deportati a 150 kilometri di distanza. I cadaveri degli uomini vennero letteralmente fatti a
pezzi e buttati in diverse fosse comuni, le quali vennero poi ulteriormente devastate con
bulldozer. In due giorni vennero uccise, secondo le istituzioni ufficiali, oltre 8.372 persone,
sebbene le famiglie delle vittime affermino che furono oltre 12.000. Fino ad oggi 6.414
salme riesumate dalle fosse comuni sono state identificate mediante oggetti personali
rinvenuti oppure in base al loro DNA, che è stato confrontato con quello dei consanguinei
superstiti e ogni anno, all’anniversario
del massacro, viene data sepoltura ai
cadaveri identificati durante l’anno nel
Memoriale di Potocari. Questo è un
cimitero musulmano, ma molto più
grande dei tanti altri che abbiamo visto
in Bosnia, con l’elenco di tutte le vittime
identificate e una moschea costruita
appositamente “aperta”, in modo che
ognuno sia libero di pregare il proprio
Dio, idea molto bella a mio parere.
Ciò che colpisce della strage, oltre alla crudeltà ed alla sistematicità con cui è stata
commessa, è la sporca complicità delle forze dell’ONU, alle quali venne assegnata la
medaglia d'onore per il coraggio mostrato a Srebrenica. Recentemente, tuttavia, una corte
olandese ha giudicato le truppe olandesi ONU corresponsabili di quanto accaduto a
Srebrenica ed accordato alle famiglie delle vittime risarcimenti economici.
A dieci anni dalla sanguinosa strage i suoi responsabili politici e militari sono ancora
largamente impuniti: solamente sei dei 19 accusati dal Tribunale Penale Internazionale
per il massacro di Srebrenica sono stati finora processati e condannati.
4. Il ponte di Mostar
Il ponte di Mostar, o più propriamente Stari Most (ponte vecchio), è un ponte del XVI
secolo simbolo della città a cui dà il nome, che attraversa il fiume Neretva per unire le due
parti della città che esso divide, quella croata e quella musulmana.
Il ponte è a schiena d'asino, largo 4 metri e lungo 30, e
domina il fiume da un'altezza di 24 metri. È protetto da due
torri, chiamate Helebija (a nord es t) e Tara (a sud ovest),
chiamate mostari (cioè "le custodi del ponte"). Invece che su
fondamenta, l'arco del ponte poggia su due piedritti calcarei
collegati a muri lungo gli argini del fiume, per poi alzarsi per
circa 12 metri.
Il costruttore, un certo Mimar Hayruddin, era un discepolo del
celebre architetto ottomano Sinan. Essendogli stato ordinato
di costruire un ponte di dimensioni senza precedenti, pena la
morte, egli costruì, a pochi metri da dove avrebbe poi
costruito l’originale, un ponte “di prova”, esistente tuttora e
chiamato “Ponte Storto”, nonostante sia perfettamente dritto.
Alcune cose riguardo alla sua costruzione restano (e probabilmente resteranno per sempre)
sconosciute, come per esempio il metodo utilizzato per erigere l'impalcatura e come fece
questa a rimanere in piedi per un periodo così lungo.
Lo Stari Most venne distrutto volontariamente dai Croati la mattina del 9 novembre 1993,
probabilmente perché, unendo le due diverse parti della città, rappresentava anche un
“collegamento” tra le due diverse etnie, e perché era considerato una parte integrante
della cultura bosniaca e da distruggere in quanto tale.
Il ponte, incluso recentemente nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità, venne ricostruito
sotto il controllo dell’UNESCO. È stato riaperto il 22 luglio 2004,
con cerimonie basate sull'idea di una riconciliazione fra le
comunità bosniache dopo gli orrori della guerra, anche se il
rancore e la diffidenza restano evidenti e palpabili.
Per i giovani della città di Mostar il salto nella Neretva dalla cima
del ponte è una radicata tradizione, anche se estremamente
rischiosa a causa dell'altezza e della temperatura bassissima
dell'acqua del fiume. Ogni anno, d’estate si tiene una gara di tuffi
che viene anche trasmessa in tv.
5. Surmanci
Surmanci è una frazione della parrocchia di Medjugorie, da cui dista circa 8 km. È un
piccolo paesino nella valle della Neretva, fiume che attraversa l’Erzegovina e passa per
Mostar, reso speciale dall’icona di Gesù Misericordioso che si trova nella nuova chiesa a Lui
dedicata. L’icona è stata realizzata da un’iconografa di Padova per essere donata alla
parrocchia di Medjugorie e benedetta da papa Giovanni Paolo II, in occasione della sua
visita nella città veneta. Per una serie di vicissitudini, non riuscendo a farla arrivare a
destinazione, fu collocata nella cappella di una villa a Trento. Proprio qui avvenne il
miracolo che ha reso famosa l’icona: un signore affetto da grave malattia degenerativa che
lo costringeva a vivere in carrozzina guarì miracolosamente. Questo, fin da piccolo affetto
da sclerosi multipla, a cui si aggiungevano la distrofia muscolare, l’epilessia, una grave
forma di deformazione della spina dorsale e crisi convulsive o gni giorno, dopo tre giorni di
preghiera davanti all’icona si trovò completamente guarito.
Dopo circa due anni, in piena guerra, siccome Medjugorie era a forte rischio di
bombardamenti, su richiesta del vescovo di Spalato, finalmente l’icona raggiunse la
parrocchia con un convoglio umanitario. Prima venne posta nella cappella dell’Adorazione e
poi trasferita a Surmanci, nella cappella cimiteriale. Tanti fedeli chiedevano di poterla
vedere e di pregare davanti a essa. Aumentava così la sua fama e il numero di miracoli di
Gesù Misericordioso, che spinsero alla costruzione di una nuova chiesa a lui dedicata che
potesse adeguatamente contenere l’icona. La nuova chiesa venne progettata sempre da un
italiano, ed è stata inaugurata nel 2002 e benedetta dal vescovo Mons. Ratko Peric.
L’icona rappresenta il gesto di Gesù che si fa presente nel mezzo “del luogo dove erano
raccolti e nascosti i discepoli per paura dei Giudei ” (Gv 20, 19), inoltre è molto particolare
perché unisce il soggetto, l’icona di Gesù misericordioso, ai classici simbolismi
dell’iconografia.
I segni dalla resurrezione di Gesù sono le sue vesti splendenti, le mani, i piedi e il petto
trafitti; le porte sbarrate invece sono il segno della paura dei discepoli, il buio che c’è nei
loro cuori. Nell’icona questi non vengono rappresentati, poiché Gesù raduna chiunque
aderisca a Lui.
Gesù poggia i piedi su un quadrato: la Terra, che è sgabello sei Suoi piedi e che è illuminata
dalla Sua presenza. Con la punta dei Suoi piedi Egli tocca il limite del quadrato: significa che
è terminato il suo cammino e che sta tornando dal Padre. Il quadrato d’oro posto
internamente rappresenta il Paradiso, dove ogni uomo può finalmente entrare con Lui.
Il tappeto verde significa le promesse della Nuova Creazione.
I cardini delle porte sono i simboli dei quattro Vangeli, cioè della parola di Dio che si è fatta
carne in Gesù Cristo: i sette chiodi, simboli dei Sacramenti della Chiesa.
Gesù porta una veste bianca e dorata (significa gloria eterna): ha una lunga tunica (significa
le Sue opere giuste), la spalla sinistra coperta dal mantello (rappresenta il pellegrino, il
Messia), la destra porta la stola d’oro (significa che la Sua missione è stata compiuta), i
fianchi cinti dalla fascia sacerdotale (è Lui l’eterno Sacerdote): il nero che circonda la Sua
figura rappresenta la divina tenebra, il
mistero di Dio che si rivela all’uomo
senza mai esaurirsi, l’oro rappresenta
l’eternità di Cristo.
Sulla fronte porta una “Tau” simbolo
della vita, segno destinato a tutti coloro
che aderiscono a Lui.
Il corpo di Gesù è anche la Croce:la linea
verticale che congiunge la testa ai piedi
e quella orizzontale che passa dietro le
spalle attraverso i due cardini superiori
della porta si intersecano a forma di
croce nella ferita del petto. Nelle
proiezioni, la croce del Suo Corpo è
coperta dall’arcata della porta che crea
la simbologia del tempo nuovo e cioè
del Suo Corpo divenuto tempio.
Dalla ferita sul petto parte una raggiera
di quattordici raggi: i primi sette, rossi,
significano il sangue di Gesù, gli altri
sette, bianchi, rappresentano l’acqua e
cioè il dono dello Spirito Santo.
Il triangolo entro il quadrato della porta
è formato dai raggi che esprimono il
dono dello Spirito Santo, la cui punta,
rivolta verso l’alto, indica la nostra
ascensione
con
Cristo.
Tale
trasfigurazione si realizza entro il
quadrato, cioè sul fondamento dei
quattro Vangeli.
6. Situazione attuale
Ho compiuto i miei primi viaggi in Bosnia ed Erzegovina come pellegrina di Medjugorie, ma
in questo modo non ci si rende conto della vera situazione di questo Stato. Durante le
testimonianze delle varie comunità si sente spesso: “Medjugorie è un’isola felice … ci sono
tanti poveri … lo Stato non si è ancora ripreso dalla guerra …”. Tutti annuiscono con
dispiacere e pietà, ma nessuno capisce veramente.
Basta fare qualche chilometro fuori dalla parrocchia per rendersi veramente conto di quale
povertà si parla. A partire dalle signore che quest’estate appena giunti a Surmanci ci hanno
assalito tentando di vendere braccialettini e rosari fatti a mano da loro stesse, fino ad
arrivare alle persone, non poche, che d’inverno con la neve rimangono isolate e muoiono
di freddo o di fame. E per queste persone riscattarsi dalla povertà è praticamente
impossibile: l’istruzione e la sanità sono a pagamento e i terreni sono o minati o brulli e
rocciosi. Le fabbriche sono state distrutte dalla guerra e sono a migliaia le vedove con dei
bambini che non sanno come tirare avanti. I meravigliosi paesaggi e boschi della Bosnia
non possono essere sfruttati in nessun modo perché minati, e per sminarli occorrono i
soldi. Numerose sono le persone che durante la guerra avevano lasciato le proprie case
scappando e al loro ritorno le avevano trovate occupate da rifugiati. I profughi sono ancora
ben 800.000 nella sola Bosnia. Una situazione veramente drammatica.
Le città sono ancora devastate. Io ho avuto
modo di visitare Mostar durante un
pellegrinaggio di carità guidato da Alberto
Bonifacio: gli edifici sono ancora com’erano alla
fine della guerra, diciotto anni fa, abbandonati,
semidistrutti, crivellati dai proiettili, ridotti in
rovina. Qualche cosa è stata ricostruita, ma i
numerosissimi cimiteri sparsi qua e là mi hanno
dato l’impressione di una città triste, dilaniata
da guerra, povertà, freddo, fame, paura e odio.
Quest’ ultimo ha trovato conferma quando,
nella casa di una cristiana che abita nella parte musulmana, ho scorto, appoggiata sul letto,
una pistola. Di Mostar ho portato a casa un cattivo ricordo, ma anche la speranza che un
giorno possa tornare come prima.
Purtroppo non ho ancora avuto occasione di visitare Sarajevo, l’ho vista soltanto dal
finestrino del furgone durante il mio ultimo convoglio. Mi ha dato un’impressione migliore
di Mostar, ma i segni della guerra sono sempre dietro l’angolo, pronti per ricordare a tutti i
fatti orribili avvenuti durante il conflitto.
7. L’Arpa
Subito dopo la guerra numerose organizzazioni e
associazioni organizzavano convogli e la situazione
in Bosnia ed Erzegovina compariva fra le notizie
principali di tutti i telegiornali, poi pian piano si è
smesso di parlarne, ma il Paese non ha smesso di
avere bisogno.
Rimasta a fare i “pellegrinaggi di carità” in Bosnia ed
Erzegovina c’è l’A.R.PA., l’Associazione Regina della
Pace, guidata da Alberto Bonifacio.
Tutto è iniziato una sera del 1991, dopo 5 mesi dall’inizio della guerra nell’ex Jugoslavia, che
fino ad allora stava insanguinando soprattutto la Croazia: Alberto Bonifacio, durante la
trasmissione su Medjugorje che teneva per Radio Maria, ascoltata in tutta Italia, lanciò
l’idea di un convoglio per portare aiuti ai profughi, che già pullulavano sulla costa dalmata,
e per raggiungere poi Medjugorje nella festa dell’Immacolata. Non immaginava che
quell’appello incontrasse così tante e generose risposte, né tanto meno che dopo oltre
quindici anni si sarebbe trovato a dover organizzare e guidare ancora almeno un convoglio
al mese, assieme a tanti bravissimi volontari da varie parti d’Italia, che dedicano ai poveri
un po’ del loro tempo, delle loro forze, dei loro stipendi, del loro amore.
I molti volontari che partecipano con i furgoni a questi pellegrinaggi di carità fanno una
forte esperienza di vita e di fede. Non pochi sono stati toccati nel profondo del cuore fino a
portare alcuni a scelte vocazionali speciali. Il toccare con mano quella povertà, dà ai
partecipanti la forza di coinvolgere altri, di sensibilizzare,
raccogliere, caricare e ripartire.
L´ Associazione fin dall’inizio, più che mandare aiuti, ha voluto
coinvolgere molte persone, tutti volontari, che si autofinanziano e
vivono così una forte esperienza, instaurando importanti rapporti
umani con quelle popolazioni.
In un convoglio vengono portati beni di prima necessità, in
particolare alimenti a lunga conservazione, detersivi vari e
pannoloni per adulti malati, che vengono consegnati non nei
magazzini ma direttamente ai poveri.
Quelli che danno offerte e aiuti sono soprattutto gli amici che ci hanno conosciuto, che
hanno magari fatto l’esperienza di qualche viaggio, alcuni sono ancora i vecchi ascoltatori di
Radio Maria che seguivano le trasmissioni di Alberto Bonifacio, altri sono gruppi di
preghiera, parrocchie e associazioni dove a volte Alberto è andato a tenere incontri di
sensibilizzazione, o enti commerciali che ci hanno conosciuto ed hanno avuto fiducia in noi.
La maggior parte dei donatori sono comunque persone non ricche, spesso sono pensionati
che affidano all´Arpa parte della loro magra pensione.
I beneficiari sono tanti e, lungo tutti questi anni, sono spesso cambiati. All’inizio venivano
aiutati i profughi croati che affollavano le strutture sportive e alberghiere della costa
dalmata. Nella primavera del’ 92 è scoppiata la guerra in Bosnia e quindi si sono aggiunti
molti profughi bosniaci.
Per diversi bambini di famiglie poverissime o disastrate è possibile fare anche di adozioni a
distanza: sia come A.R.PA., sia con la Caritas diocesana di Crema che partecipa spesso ai
nostri convogli.
8. Prospettive per il futuro
La situazione attuale della Bosnia ed Erzegovina è veramente
drammatica. L’A.R.PA., finché ci saranno persone in situazione
di grande povertà e di abbandono, continuerà nel suo
impegno, confidando nell’aiuto di Dio e nella sua Provvidenza.
Io, da parte mia, spero di continuare e fare ancora molti viaggi
in questo Paese che ha tanto bisogno di aiuto. I pellegrinaggi di
carità guidati da Alberto Bonifacio sono veramente
un’esperienza meravigliosa e quando ci ripenso le immagini e
le situazioni che mi si affollano alla mente sono tante e tutte
emozionanti: i bellissimi boschi della Bosnia, la consapevolezza
di star facendo del bene a persone in difficoltà, i numerosi
racconti che Alberto fa al CB, le tante persone che si
incontrano sempre e che vanno a costituire una specie di
grande famiglia, e le soste a Medjugorje, sempre molto
piacevoli.
Sitografia
http://it.wikipedia.org/wiki/Bosnia_ed_Erzegovina
http://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_jugoslave
http://it.wikipedia.org/wiki/Stari_Most
http://nuke.associazionereginadellapace.org/
Bibliografia
Libro giuda del pellegrino di Medjugorie, Padre Slavko Barbaric Padre Jozo Zovko
editrice Mir, anno di pubblicazione 1993