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Direttore: Pier Luigi Amata
IL CENTRO BIOS DELLA CHIRURGIA E MEDICINA ESTETICA A ROMA
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bimestrale di informazione e aggiornamento scientifico
n. 4 - 2011
Nefropatie croniche e insufficienza
renale cronica (IRC)
Sincizi formatisi in infezione
da HIV: immagini rivelatrici
Promuovere la salute e la prevenzione
delle malattie: il check-up intelligente
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Periodico della bIoS S.p.A. fondata da Maria Grazia Tambroni Patrizi
L’editoriale
Giuseppe Luzi
Nefropatie croniche e insufficienza renale cronica (IRC)
Giovanni Stirati
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Direttore Responsabile
Fernando Patrizi
Direzione Scientifica
Giuseppe Luzi
Segreteria di Redazione
Gloria Maimone
Coordinamento Editoriale
Licia Marti
Mixing
Alessandro Ciammaichella
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Comitato Scientifico
Armando Calzolari
Carla Candia
Vincenzo Di Lella
Francesco Leone
Giuseppe Luzi
Gilnardo Novellli
Giovanni Peruzzi
Augusto Vellucci
Anneo Violante
Hanno collaborato a questo numero:
Alessandro Ciammaichella, Giuseppe Luzi,
Mario Pezzella, Giovanni Stirati,
Maria Giuditta Valorani, Augusto Vellucci,
Vincenzo Vullo.
Sincizi formatisi in infezione da HIV: immagini rivelatrici
Mario Pezzella, Giuseppe Luzi, Vincenzo Vullo
11
La responsabilità delle affermazioni
contenute negli articoli è dei singoli
autori.
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bioS S.p.A. Via D. Chelini, 39
00197 Roma Tel. 06 80964245
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A tutto campo
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Vinci&Partners srl
Impianti e Stampa
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Edizioni bIoS S.p.A.
Autorizzazione del Tribunale di Roma:
n. 186 del 22/04/1996
Promuovere la salute e la prevenzione delle malattie: il check up intelligente
Augusto Vellucci
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In merito ai diritti di riproduzione la BIOS S.p.A.
si dichiara disponibile per regolare eventuali
spettanze relative alle immagini delle quali
non sia stato possibile reperire la fonte
Pubblicazione in distribuzione gratuita.
Finito di stampare nel mese di settembre 2011
From bench to bedside
Giuditta Valorani
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Dir. Sanitario: Dott. Francesco Leone
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pubblicati sulla rivista Diagnostica bios, possono
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EDItoRIALE
Giuseppe Luzi
Direzione Scientifica di Diagnostica-BIOS
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L’EDItoRIALE
CHECk-UP E SALUtE: UN IMPEGNo DELLA MEDICINA CLINICA
L’uso del termine check-up è ormai diffuso nel
comune linguaggio: significa letteralmente visita di
controllo (routine medical examination) e ha lo scopo di sorvegliare lo stato di salute in un individuo
“sano”. Nella buona pratica medica questo controllo, di solito annuale, si basa su una serie di indagini
generiche che alcuni criticano per una sorta di aspecificità che non sarebbe di grande aiuto nella reale prevenzione delle malattie.
Serve dunque il check-up?
La risposta è sì, e vediamo perché.
La salute è definta dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) una “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non la semplice assenza di malattia”. Ben si comprende che lo stato di salute, della buona salute, rappresenta per l’individuo
e la comunità una vera risorsa per le attività di lavoro, per migliorare il proprio status economico, per avere una miglior qualità di vita. è naturale attribuire una
valutazione utopistica allo stato di salute così come
delineato dall’OMS, ma è giusto che sia stato proposto
in questi termini: la salute non è non-malattia.
Con la nascita e lo sviluppo dell’approccio biologico (fine Settecento, inizio dell’Ottocento) alla conoscenza delle cause di malattia ovviamente l’attenzione della ricerca e della pratica clinica si è rivolta
alla “malattia” (entità da descrivere nell’eziologia e
nella patogenesi del danno anatomico e funzionale)
e assai poco al “malato”. Il progredire delle nostre conoscenze ha poi incrementato la visione specialistica e ha provocato una perdita dell’approccio olistico. è soltanto da pochi anni che si parla seriamente
di promozione e prevenzione della salute, tenuto conto della realtà ambientale, dei costi necessari alla sanità, del grande impiego dei farmaci. Puntare a una
definizione del livello o del grado di salute di una popolazione implica un lavoro complesso nel quale le
variabili, se non opportunamente codificate e interpretate, possono fornire dati di difficile e talora erronea
interpretazione. L’essenza di ogni individuo si basa
sul suo patrimono genetico, sull’assetto ambientale
che lo circonda e sulle modalità di vita (qualcuno parla di stile di vita).
Il concetto di salute si riferisce quindi alla persona
nella sua integrità fisica e psicologica, nel contesto
ambientale dove si svolge la vita e in funzione del la-
voro che esercita per procacciarsi la propria possibilità
di vivere e non di “sopra”-vivere.
Il medico deve essere consapevole della complessità della sua professione proprio in quanto collegata e correlata al mondo nel quale viviamo e allora come possiamo quantificare una lettura di orientamento per promuovere e difendere la salute?
Il check-up è un metodo, sicuramente non perfetto,
ma utile e se ben gestito capace di ridurre la spesa sanitaria e identificare i fattori di rischio che devono essere considerati nella storia biologica, naturale di ogni
individuo. Si prendano due esempi, banali, l’iperglicemia e l’ipertensione arteriosa.
Si considerino le abitudini del mondo occidentale
(eccesso di alimentazione, fumo, ridotta attività fisica, stress e competitività proprie delle civiltà industriali): quanti sanno di avere una stato di pre-diabete e conoscono i valori della propria pressione arteriosa?
Può il check-up avere un ruolo nella diagnosi precoce?
Probabilmente su questi temi il dibattito non finirà mai ed è assai difficile definire un check-up perfetto in assoluto, come “pacchetto” di analisi e di indagini ottimali. Questa è la vera sfida, il progetto. In
questo numero della nostra rivista viene illustrato un
progetto di “check-up intelligente” con lo scopo di arrivare a un’azione conoscitiva/preventiva mirata al singolo individuo, alla sua specifica area di rischio. Premessa di questo progetto è la visita medica, il classico approccio “internistico”, il colloquio con la persona: elementi che possono incidere sulla modificazione delle abitudini a rischio, su un’accurata conoscenza e valutazione dell’anamnesi, personalizzando la proposta di intervento e di azione.
Bisogna evitare nella persona che si sottopone al
check-up di ridurre la valutazione del proprio stato
di salute alla sola lettura delle analisi, alla percezione “numerica” di indici che hanno possibilità di essere valutati e interpretati soltanto in un contesto unitario e con l’integrazione di competenze specialistiche. Alla visita medica, alla raccolta dei dati deve seguire una sintesi del materiale acquisito e questo va
posto a disposizione del medico di fiducia del singolo
individuo che potrà giovarsi di informazioni recenti e appropriate secondo l’indagine effettuata.
NEFRoPAtIE CRoNICHE E INSUFFICIENZA
RENALE CRoNICA (IRC)
Giovanni Stirati
Professore associato di Nefrologia
3
INtRoDUZIoNE
Le malattie renali croniche (glomerulonefriti, nefropatia diabetica, nefroangiosclerosi
conseguente ad ipertensione arteriosa cronica,
rene policistico, nefriti tubulo-interstiziali, nefropatie vascolari) progrediscono, generalmente
in modo irreversibile, nel corso di anni, verso la
IRC (1).
La progressione può essere più o meno rapida, a seconda della presenza di fattori variabili,
rappresentati sia dalla natura della malattia di
per sé, sia dalla presenza di elementi che, pur facendo parte del quadro clinico della stessa nefropatia [ipertensione arteriosa (IA), entità della
protenuria, iperlipidemia, ecc.], ne possono peggiorare l’evoluzione (2).
Sono attualmente disponibili farmaci che possono influire favorevolmente sull’andamento
della progressione. D’altra parte, sono da evitare,
se possibile, farmaci o altre sostanze usate a
scopo diagnostico (per es. antinfiammatori non
steroidei, alcuni antibiotici, mezzi di contrasto iodati per esami radiologici) che possono affrettare
l’evoluzione verso stadi più gravi di IRC.
Nello studio delle malattie renali croniche si distinguono attualmente 5 stadi, sulla base dell’entità della compromissione dei valori del filtrato
glomerulare (FG), che rappresenta il grado della
funzione renale residua (3) (v. tabella seguente):
StADI DELLA IRC
Stadio
1
Presenza di segni di danno renale all’es. urine (protenuria e/o ematuria)
Stadio
2
FG = 60-89
ml/min
Funzione renale lievemente compromessa
Paziente asintomatico
Stadio
3
FG = 30-59
ml/min
Funzione renale moderatamente compromessa idem
Paziente asintomatico o presenza di IA, anemia,
alterazioni minerali ossee
Stadio
4
FG = 15-29
ml/min
Funzione renale gravemente compromessa
Paziente sintomatico
Stadio
5
4
FG > 90 ml/min Funzione renale normale
Paziente asintomatico
FG < 15 ml/min Funzione renale gravemente compromessa
Paziente gravemente sintomatico, con necessità
di terapia sostitutiva (dialisi o trapianto)
I pazienti sono generalmente asintomatici fino
allo stadio 4 avanzato e possono quindi non essere consapevoli della presenza della malattia renale. Tuttavia, già nello stadio 3 possono comparire alcuni sintomi: poliuria (aumento della
quantità di urine nelle 24 ore) e nicturia (minzioni
durante la notte), espressione della ridotta capacità di concentrare le urine, e possono comparire alcune complicanze (IA, anemia, alterazioni minerali ossee, anomalie del metabolismo
dell’acqua, del sodio e del potassio), che dovrebbero essere riconosciute, studiate e eventualmente trattate prima che il paziente divenga
sintomatico.
Quando il FG si riduce al di sotto dei 15
ml/min, i pazienti presentano generalmente una
sintomatologia grave che compromette le attività quotidiane, il senso di benessere, lo stato di
nutrizione e l’equilibrio idro-elettrolitico. Con
l’ulteriore peggioramento si arriva allo stadio
terminale della IRC, cioè
l’uremia, in cui è impossibile la sopravvivenza
senza la terapia sostitutiva
(emodialisi, dialisi peritoneale, trapianto renale).
La progressiva riduzione del FG può essere seguita riportando in grafica
il reciproco della creatininemia (ordinate) vs il
tempo (ascisse). In tal
modo il decremento as-
idem
idem
idem
sume un andamento lineare. Ciò permette, nel
caso in cui il decremento della funzione renale sia
relativamente costante, di prevedere la fase terminale della IRC e, quindi, la necessità della terapia sostitutiva.
D’altra parte, se, nel corso di un intervento terapeutico prolungato, fosse dimostrabile una attenuazione della ripidità della retta, ciò potrebbe
deporre per l’efficacia della terapia (1).
La dialisi viene generalmente iniziata quando
il FG è < 10 ml/min nei pazienti non diabetici e
< 15 ml/min nei pazienti diabetici.
Quando la retta di decremento diviene più ripida rispetto al previsto, si deve postulare la presenza di fattori aggravanti sovrapposti (disidratazione, dieta eccessivamente iposodica, farmaci
nefrotossici, mezzi di contrasto iodati, infezioni
delle vie urinarie).
La figura seguente riassume le varie possibilità:
PEGGIoRAMENto DELLA FUNZIoNE
RENALE: FAttoRI DI RISCHIo.
Il tipo istologico della nefropatia, l’entità
della proteinuria e la risposta alla terapia rappresentano, il più delle volte, le variabili responsabili della progressione del danno renale. Tuttavia
un ulteriore peggioramento della funzione renale
(2) può essere indotto da i fattori che seguono.
Riduzione della irrorazione (perfusione) renale
Può verificarsi in conseguenza della riduzione del volume plasmatico circolante (grave disidratazione, emorragie, dieta prolungata priva di
sale, scompenso cardiaco, cirrosi epatica). In
queste condizioni e nel caso in cui la funzione renale sia già significativamente compromessa a
causa della malattia renale cronica, l’uso dei
FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei)
può ulteriormente peggiorare il grado di insufficienza renale, poiché si verifica un blocco dei
meccanismi di autoregolazione renale che, nelle
nefropatie croniche, si attivano per preservare il
FG residuo.
Con meccanismo analogo alcuni farmaci antiipertensivi (gli ACE-inibitori e i sartanici, antagonisti dei recettori della angiotensina II) possono provocare una riduzione del FG nei
pazienti portatori di stenosi bilaterale dell’arteria renale.
iodati (6), usati per urografia, arteriografia e
angio-TC, il gadolinio in certe circostanze (vedi
in seguito) e alcuni antibiotici (aminoglicosidi).
Per altri antibiotici si rende necessaria una riduzione delle dose o il diradamento della somministrazione, sulla base dei valori di FG. La necessità di una coronarografia o di una angio-TC
o di una RMN con mezzo di contrasto deve essere valutata clinicamente, secondo un criterio
costi/benefici. Se l’esame deve essere comunque eseguito, si dovrebbe attuare una profilassi
dell’aggravamento del danno renale. Per altri
farmaci (es. ciclosporina, digossina, ecc.) se ne
dovrebbero monitorizzare frequentemente i livelli ematici.
Infezione e/o ostruzione delle vie escretrici
La possibilità di infezione e/o ostruzione delle
vie escretrici è da considerare in tutti i pazienti
nei quali si sia verificato un non altrimenti spiegabile declino della funzione renale
Fattori vascolari
Il peggioramento di una stenosi dell’arteria
renale (fig. 1 e fig. 2) o di uno stato ipertensivo
in precedenza ben controllato può giustificare
un declino della funzione renale. Analogamente
può agire la trombosi della vena renale, che può
verificarsi come complicanza di una sindrome
nefrosica e si associa frequentemente a ematuria
e dolore al fianco
Ipertensione arteriosa non adeguatamente
controllata
Il trattamento della IA rappresenta uno dei fattori fondamentali per arrestare la progressione
delle nefropatie croniche. Si ricorda che, secondo
le moderne linee-guida della terapia dell’IA, il
controllo si ritiene ottimale se PAS ≤ 130 mm Hg
e PAD compresa tra 70 e 80 mm Hg. Nella pratica clinica non sempre si raggiungono tali obiettivi. è tuttavia necessario motivare fortemente il
paziente attraverso una stretta collaborazione tra
specialista e medico curante (4, 5).
Agenti nefrotossici
Sono considerati tali i mezzi di contrasto
Fig. 1
5
può essere arrestata l’inesorabile evoluzione della
nefropatia diabetica verso la IRC terminale. A
tale proposito si ricorda che la nefropatia diabetica rappresenta una delle principali cause dell’ingresso in dialisi. (7, 8).
Fig. 2
ESAMI DIAGNoStICI
Esami di laboratorio
6
Esame delle urine
Nel soggetto affetto da una malattia renale
cronica l’esame fondamentale rimane l’esame
delle urine (esame chimico ed esame del sedimento). L’esame chimico, che si esegue attraverso il dipstick, è necessario per la determinazione del pH, del peso specifico e della presenza
di proteine, sangue, glucosio, nitriti, esterasi leucocitaria.
Una più accurata determinazione della proteinuria si ottiene con la misurazione delle proteine nelle urine delle 24 ore. Sono da considerare
patologici valori > 150 mg/die.
Nella nefropatia diabetica uno dei segni più
precoci è la presenza nelle urine di piccole quantità di albumina (una delle proteine del plasma),
non rilevabile con le comuni metodiche di laboratorio. In questo caso si parla di microalbuminuria, che deve essere ricercata con test specifici
ed è presente quando ancora mancano gli altri segni della nefropatia diabetica. La semplice presenza della microalbuminuria impone un più rigoroso controllo dei valori glicemici che, a sua
volta, può rallentare la progressione della nefropatia. Ciò assume particolare importanza perché
Esame del sedimento urinario
L’esame può rivelare la presenza di emazie
(> 3 per campo microscopico a 400 ingrandimenti), la cui origine può essere infettiva, infiammatoria o neoplastica. La presenza di emazia dismorfiche (fig. 3) (globuli rossi di dimensioni e conformazione non uniformi) suggerisce
una origine glomerulare dell’ematuria, come avviene nelle glomerulonefriti. Lo stesso vale per
la presenza di cilindri ematici.
L’assenza di globuli rossi in pazienti con
urine “rosse”, che risultano positive all’esame
chimico per il sangue, suggerisce emolisi o rabdomiolisi (presenza di mioglobina da grave
danno muscolare).
La presenza di leucociti depone per la presenza di un processo infettivo o infiammatorio,
come si osserva nelle infezioni delle vie urinarie
o nella nefrite interstiziale acuta.
Fig. 3
Esami particolari sulle urine
La sodiuria “spot” permette la diagnosi differenziale tra insufficienza renale acuta funzionale (o prerenale) e necrosi tubulare acuta.
Quando il sodio è praticamente assente (< 20
mEq/l), ciò depone per una conservata funzione
tubulare. In tal caso l’insufficienza renale acuta
può ancora essere ritenuta funzionale e, quindi,
reversibile. In presenza di sodiuria elevata (> 40
mEq/l) si fa generalmente diagnosi di danno tubulare e, quindi, di necrosi tubulare acuta.
La determinazione di sodiuria e potassiuria
delle 24 ore è spesso necessaria in numerosi contesti clinici (per es. nelle nefriti interstiziali con
grave perdita di sale e nell’iperaldosteronismo
primitivo).
La determinazione dell’osmolalità nel corso
del test di privazione dei liquidi, test che va condotto con le dovute cautele, permette la diagnosi
di diabete insipido.
Con la immunoelettroforesi è possibile la
scoperta della presenza patologica di catene leggere (paraproteinemie), non rilevabili con il dipstick di routine.
L’esame citologico viene infine utilizzato per
la ricerca di atipie cellulari, nel sospetto di neoplasie delle vie urinarie
Esami ematochimici
Nel sospetto di una nefropatia cronica si dovrebbero eseguire basalmente azotemia o BUN,
protidemia totale con elettroforesi, esame emocromocitometrico (determinazione di sodio, potassio, cloro, calcio, fosforo), uricemia, lo studio
elettrolitico e creatininemia. Questi dati vanno
naturalmente controllati frequentemente nel
tempo, allo scopo di seguire l’evoluzione della
nefropatia cronica. Quando il FG si riduce al di
sotto di 50 ml/min è opportuno anche il controllo dei valori del paratormone (PTH) e della vitamina D plasmatici.
La creatininemia rappresenta un attendibile
marker del FG. La determinazione più precisa di
tale importante indice di funzione renale si ottiene attraverso la clearance della creatinina. Tuttavia il FG può essere calcolato, senza necessità
di raccolta urinaria delle 24 ore, attraverso la
formula di Cockroft-Gault (9):
(140-età) x peso ideale (kg) x 0.85 (nelle
donne) / 72 x creatininemia (mg/dl)
Esami di imaging
L’ecografia renale permette di definire le dimensioni dei reni, la loro morfologia, il grado di
ecogenicità cortico-midollare e l’eventuale presenza di idronefrosi o di cisti.
La presenza di reni di volume ridotto (diametro longitudinale < 9 cm) depone per una nefropatia cronica. Tuttavia, nella nefropatia diabetica, nella nefropatia membranosa, nella
nefropatia da HIV, nel rene da mieloma e nel rene
policistico le dimensioni renali possono mantenersi conservate anche in presenza di insufficienza renale.
Una differenza di diametro longitudinale tra
i due reni > 2 cm suggerisce una stenosi dell’arteria renale nel rene di minori dimensioni (atrofia da ischemia cronica).
L’urografia è utile per lo studio della ematuria non glomerulare, della calcolosi urinaria e
delle varie forme di difficoltà minzionali. Tuttavia, a causa dell’impiego del mezzo di contrasto
iodato, l’urografia è indicata solo nei pazienti
con normale funzione renale.
La scintigrafia renale, che utilizza isotopi
del tecnezio, non trova indicazioni in nefrologia
per determinare lo stato funzionale globale dei
reni. è invece particolarmente indicata per definire il contributo funzionale di ciascuno dei due
reni alla funzione complessiva, specie quando
questo dato diviene di particolare importanza in
vista dell’asportazione di un rene (nefrectomia)
a causa di una neoplasia maligna. Altre indicazioni importanti sono lo studio preliminare alla
donazione di rene da vivente e lo studio del rene
trapiantato in caso di insorgenza di insufficienza
renale.
Gli studi di risonanza magnetica, la MRI
(Magnetic Resonance Imaging) e la MRA (Magnetic Resonance Angiography) sono utili per lo
studio di masse renali, stenosi dell’arteria renale
e trombosi della vena renale. L’impiego del
mezzo di contrasto (composti del gadolinio) è
controindicato nei pazienti in dialisi o con IRC
negli stadi 4 e 5, a causa del rischio di insorgenza
di una grave complicanza, la sclerosi sistemica
nefrogenica (10, 11).
Nei pazienti con IRC anche la TC comporta
il rischio di peggioramento della funzione renale, allorché si renda necessaria la sommini-
7
strazione del mezzo di contrasto iodato. Tuttavia
non vi sono riserve per l’impiego della TC spirale
senza mezzo di contrasto.
Altre procedure diagnostiche
8
Nello studio delle malattie glomerulari (glomerulonefriti, vasculiti, nefropatie associate a paraproteinemie) la biopsia renale permette, oltre a
una diagnosi precisa, di formulare spesso una prognosi e di guidare la terapia. La biopsia va eseguita
sotto guida ecografica, in regime di ricovero presso
strutture altamente specializzate che siano in grado
di eseguire uno studio completo di microscopia ottica, microscopia elettronica e immunofluorescenza.
Nella insufficienza renale post-trapianto la
biopsia renale è spesso indicata per la diagnosi
differenziale tra rigetto acuto, tossicità da farmaci
immunosoppressivi e altre cause di disfunzione
renale.
Negli adulti con proteinuria > 3.5 g/die (sindrome nefrosica) la biopsia renale è sempre indicata, a meno che non si tratti di una forma di
nefropatia diabetica avanzata, la cui diagnosi è
possibile sulla base di elementi clinici e anamnestici, senza necessità di esame bioptico.
Nei pazienti con ematuria di origine glomerulare (presenza, all’esame del sedimento urina-
Fig. 4
Fig. 5
rio, di emazie dismorfiche) la biopsia è indicata
solo se la proteinuria è > 1g/die e se il FG (clearance della creatinina) è ridotto, ma non al di
sotto di 50 ml/min.
Nella nefropatia da lupus eritematoso sistemico la biopsia è generalmente indicata, per permettere la stadiazione della malattia e indicare la terapia più appropriata.
Si deve comunque osservare che, indipendentemente dalla natura della nefropatia, se, all’esame ecografico, le dimensioni renali risultano nettamente ridotte (diametro longitudinale <
9 cm) e il parenchima appare significativamente
iperecogeno, la biopsia non è indicata (fig. 4). Si
tratterebbe di un esame inutile a causa della irreversibilità della forte componente fibrosa ormai
presente nei reni.
In tali casi la biopsia potrebbe essere addirittura pericolosa a causa del rischio di sanguinamento di un parenchima particolarmente resistente alla puntura bioptica.
La figura 5 mostra l’aspetto ecografico di un
rene normale.
La preparazione all’esame bioptico comprende l’ecografia renale (anche per essere certi
della presenza di entrambi i reni; in caso di monorene congenito vi sarebbe una controindicazione relativa), lo studio della coagulazione sanguigna e dell’esame emocromocitometrico per la
determinazione dei livelli basali di emoglobina.
Nelle ore successive alla biopsia l’emoglobina va
monitorizzata con frequenza, per il rischio di
emorragie post-bioptiche.
Si deve infine tenere presente che va sospesa,
almeno 7 giorni prima dell’esame, una eventuale
terapia antiaggregante piastrinica, mentre l’eventuale somministrazione di eparina può essere
continuata fino al giorno precedente l’esame
bioptico e, se necessario, ripresa dopo 48 ore,
dopo essersi accertati dell’assenza di sanguinamento nella sede della biopsia.
bibliografia
1) Jaber b.L., Madias N.E.
Progression of chronic kidney disease: can it be prevented or arrested? Am. J. Med. 118, 1323, 2005.
2) Sheridan A.M. et al.
Secondary factors and progression of chronic
renal disease. Up-to-date, Sept. 2009.
3) kDoQI
Clinical practice guidelines for chronic kidney
disease evaluation, classification and stratification. Am. J. Kid. Dis., 39 (Suppl), 46, 2002.
4) kDoQI
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10) Chrysochou C. et al.
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11) kim k.H. et al.
Change in use of gadolinium-enhanced MR studies in kidney disease patients. Am. J. Kid. Dis. 56,
458, 2010.
Il prof. Giovanni Stirati, già docente di nefrologia dell’Università degli
Studi di Roma “La Sapienza” è il responsabile del Servizio di Nefrologia
della Bios S.p.A. di via D. Chelini 39.
info cup 06 809641
9
bRUXISMo
è il frequente digrignamento dei denti, specie
di notte e talora inavvertito, che può alterare l’articolazione temporo-mandibolare con possibile
sub-lussazione del menisco (alla RMN): causa
dolori nella massima apertura della bocca. Diagnosi permessa dalla stratigrafia, ma soprattutto
dalla risonanza magnetica.
mento dei radicali liberi di ossigeno, dovuto al
sistema ACE e alla distensione arteriosa: inattiva
l’ossido nitrico e stimola l’endotelina.
10
MIXING
CIStI DELLA MILZA: RottURA?
Quanto più la cisti è distante dal perisplenio
tanto minore è il pericolo che si rompa, ad esempio per trauma. Tale rischio aumenta se la cisti è
grande: diametro 4 5 cm o più.
CoMA FARMACoLoGICo: QUANDo CoME PERCHé?
Attuato con barbiturici, è indicato in tutte
quelle condizioni di grave compromissione anatomo-funzionale dell’encefalo, quali emorragie
cerebrali e impegnativi interventi di neuro-chirurgia. Ha lo scopo di ridurre il metabolismo basale e quindi la richiesta di ossigeno per evitare
l’ischemia encefalica.
EMoRRAGIE DIGEStIVE RARE
Nel 5 % dei casi di sanguinamento gastroenterico la gastroscopia e la colonscopia risultano
negative: si deve allora studiare il tenue mediante
l’enteroscopia con videocapsula.
NICotINo-DIPENDENZA
è strettamente legata alla capacità di inattivare
la Nicotina a Cotonina. I fumatori si distinguono
in merito in 2 varianti: a) “Normal metabolizers”
che inattivano rapidamente la nicotina, per cui tendono a fumare di più; b) “Slowers metabolizers”
che la metabolizzano lentamente, onde fumano di
meno.
ULCERE DoLENtI AL RISVEGLIo
Le ulcerazioni degli arti inferiori diventano
spesso molto dolenti al mattino quando ci si alza:
ciò per aumento del circolo locale. Terapia: un
analgesico 1 ora prima di mettersi in piedi
(caso di oss. pers.).
VINo RoSSo E RESVERAtRoLo
Il paradosso francese “bassa mortalità coronarica e alimentazione ricca di colesterolo” si
spiega con l’alto consumo in Francia di vino,
specie quello rosso, che protegge le coronarie:
analoga azione hanno le Procianidine.
IPERtENSIoNE E StRESS oSSIDAtIVo
Operano due meccanismi: a) distensione della
parete arteriosa, dovuta all’ipertensione: aumenta la produzione di anione superossido; b) au-
ZANZARA tIGRE
Anche se non veicola il plasmodio della malaria, questo fastidioso insetto, specie in estate, va
combattuto soprattutto non mettendo i sottovasi con acqua in giardino ed evitando di accatastare i copertoni delle auto.
A cura di A. Ciamaichella
SINCIZI FoRMAtISI IN INFEZIoNE DA HIV:
IMMAGINI RIVELAtRICI
Mario Pezzella - Biochimico Clinico
Giuseppe Luzi - Specialista in Immunologia Clinica
Vincenzo Vullo - Specialista in Malattie Infettive
11
Sincizio è la fusione di due o più cellule tra
loro, con la formazione di una sola cellula multinucleata. Entrando nella specifica definizione
una cellula multinucleata è chiamata sincizio
vero (caso tipico del muscolo striato scheletrico)
se esistono più nuclei all’interno del citoplasma
mentre in alcuni casi, come si verifica a livello
delle cellule muscolari del miocardio, le singole
cellule conservano la loro individualità, non si
fondono tra loro, ma esprimono connessioni di
tipo funzionale (canali ionici), rendendo l’intero
tessuto, in sostanza, un sincizio. In questo caso si
parla di sincizio funzionale.
Se i macrofagi si fondono tra loro formano
cellule polinucleate (macrofagi polinucleati).
Un altro esempio di sincizio (sinciziotrofoblasto) viene a costituirsi nella differenziazione
delle cellule trofoblastiche dell’embrione, proprio
nelle prime fasi di sviluppo embrionale.
La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (da cui l’acronimo AIDS Acquired Immune Deficiency Syndrome - AIDS in ingleseutilizzato in prevalenza) è un insieme di manifestazioni dovute alla deplezione del numero di
linfociti T CD4+ derivante da infezione con virus HIV-1 o HIV-2.
L’infezione virale provoca un deficit funzionale e quantitativo del sistema immunitario. Sono
interessate varie cellule dell’organismo ma
evento cardine nel danno biologico è l’interessamento dei linfociti T CD4+, linfociti più noti
come T helper, perché essenziali nel coordinare
le diverse fasi della risposta immunitaria.
In generale se una risposta immunitaria è sufficientemente forte la replicazione virale è abbastanza ben controllata, anche per anni, ma l’evoluzione nel tempo (in assenza di adeguate terapie)
causa un progressivo esaurimento della risposta
12
immunitaria e clinicamente compaioni gravi infezioni e/o varie neoplasie.
In corso di infezione da HIV vengono a
crearsi due compartimenti del virus distinti ma tra
loro in relazione:
- un compartimento è attivo e risulta costituito
sia dal virus libero nel sangue sia da particelle
in elevata replicazione all’interno dei linfociti;
- un compartimento è considerato di latenza ed
è rappresentato da linee cellulari e strutture
anatomiche nelle quail il virus persiste in uno
stato di latenza; questo reservoir del virus
svolge un ruolo patogenetico importante perché provoca un danno cronico nel sistema
immunitario e rappresenta lo status critico
responsabile della mancata eradicazione del
virus dall’organismo infetto.
Le modalità con le quali il virus provoca un
danno a carico del sistema linfatico sono state
studiate per lungo tempo e hanno consentito la
messa a punto di approcci terapeutici che hanno
modificato radicalmente la prognosi della malattia da HIV.
In questa rassegna vengono illustrate alcune
immagini ottenute osservando cellule infettate da
virus HIV in grado di formare sincizi. Infatti
l’HIV è in grado di generare sincizi per la fusione
delle membrane di cellule infette tra loro oppure
dopo fusione con cellule sane a causa del legame
che si può formare tra gp120 (una proteina
espressa dal virus) e CD4 (struttura di membrana
dei linfociti T helper). A seguito della fusione si
determina un marcato rigonfiamento e ne consegue morte cellulare in poche ore. La capacità di
formare sincizi sembra caratterizzare alcuni ceppi
del virus HIV.
Le immagini sono un interessante contributo
“storico” alle ricerche effettuate quando l’epidemia esplose all’inizio degli anni Ottanta del XX
secolo e mostrano con chiarezza alcune delle
condizioni che sono alla base della formazione
dei sincizi in cellule infettate dal virus HIV.
Lo studio è stato effettuato usando un sistema
noto come ibridazione in situ utilizzando cellule
mononucleate ottenute da sangue periferico di in-
dividui con infezione da HIV in diverso stadio
clinico. La dimostrazione di sincizi, assieme alla
carica virologica, ha rappresentato uno degli strumenti essenziali per una valutazione del danno
biologico e talora per monitorizzare i risultati di
un trattamento antivirale.
La morfologia delle cellule è risultata varia e
dipendente dallo stato clinico dei pazienti.
Nei soggetti sieropositivi nei primi stadi di
infezione abbiamo evidenziato cellule singole
separate una dall’altra con morfologia circolare
sferica ben conservata. La presenza degli ibridi
molecolari è stata evidenziata dalla colorazione
granulare a livello citoplasmatico in un numero
variabile di cellule comunque <0,1 %. In alcuni
casi le cellule ibridate sono apparse scarsamente
colorate significando una minima quantità di virus (fig. a).
In alcuni casi le cellule risultavano intensamente colorate, a causa della presenza di maggiore quantità di virus in numero variabile tra
1-10 % (fig. a1).
Fig. a
Fig. a1
Fig. b
Nei casi di soggetti in fase avanzata di infezione le singole cellule appaiono con nuclei
frammentati come avviene nel processo di apoptosi (fig. b).
Talvolta le singole cellule apoptotiche presentano estensioni in forma di pseudopodi di diversa grandezza, utilizzati per coinvolgere la cellula nel processo di adesione e fusione di altre
cellule (fig. c, d, e).
In alcuni soggetti abbiamo rilevato anche la
presenza di cellule infette con dettagli morfologici consistenti con quelli dei monociti (fig.
f, g).
L’interazione cellulare che porta alla fusione
e quindi alla formazione dei sincizi è espressione
di attività virale e indice della presenza di un
clone virale attivo.
in vivo, la formazione dei sincizi è dovuta alla
presenza di isolati virali che formano sincizi con
un maggiore effetto citopatico.
13
Fig. c
Fig. d
Fig. f
Fig. e
Fig. g
Fig. h
14
La fusione di due o più cellule è assunta come
dipendente dalla interazione dei recettori CD4 e
la proteina virale gp120 inserita nella membrana
plasmatica delle cellule infette. Studi sperimentali in vitro hanno evidenziato che nel processo di
sviluppo dei sincizi si osservano le seguenti fasi
che noi abbiamo rilevato su linfociti freschi non
coltivati e riconosciuti infetti tramite la tecnica di
ibridazione molecolare:
- singole cellule si fondono tra loro;
- singole cellule fondono con i sincizi;
- sincizi fondono tra loro.
Fig. i
L’incontro tra le cellule nelle tre condizioni
inizia per contatti dinamici.
Nelle figure h) e i) osserviamo il processo di fusione di due cellule di cui una intensamente colorata, e quindi intensamente infetta, che presenta una
protrusione verso l’altra trasmettendo l’infezione.
In altri casi abbiamo rilevato la presenza di
due cellule collegate attraverso uno pseudopodo
talvolta di lunghezza maggiore a quella del diametro cellulare (fig. l, m, n, o)
Sincizi maggiori sono conseguenti al legame
fra tre o più cellule.
Fig. l
Fig. n
Fig. m
Fig. o
Fig. p
Fig. r – Grande sincizio con almeno 10/15 cellule
fuse
Fig. q
Fig. s
15
Vengono illustrati nelle figure p, q e r tre tipici esempi di sincizi a 3, 4 e almeno dieci cellule
fuse.
La figura s) consente di fare alcune considerazioni. Appare evidente la formazione di
uno pseudopodio che lega una terza cellula a
due già fuse mentre la morfologia cellulare
delle altre cellule non è ben conservata esi-
stendo delle protrusioni indicatrici della tendenza alla fusione.
In conclusione le immagini presentate ottenute su linfociti periferici freschi, non coltivati,
rappresentano le tappe fondamentali della formazione dei sincizi e nello stesso tempo possono indicare l’evoluzione verso uno stato della
malattia in senso peggiorativo.
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16
A tUtto CAMPo
tUMoRI NEL tERZo MILLENNIo
L’Oncologia è una delle branche della Medicina nella quale si stanno accumulando sempre
più le acquisizioni della Genetica. Sono infatti le
anomalie dei geni che predispongono ai più vari
tipi di tumore: i soggetti a rischio vanno identificati anche sotto il profilo genetico. All’“Oncologo molecolare” spetta di individuare quei farmaci antineoplastici altamente selettivi, capaci
cioè di agire solo contro le cellule staminali
neoplastiche, responsabili delle metastasi.
Anche la chirurgia urologica è diventata robotica: nei pazienti sottoposti a cistectomia totale
per carcinoma oggi si ricostruisce la “vescica
ileale”. L’inquinamento ambientale da amianto è
ancora responsabile delle neoplasie.
Il fumo resta fra gli agenti più spiccatamente
cancerogeni: in tutto il mondo aumentano le
donne fumatrici e, parallelamente, le donne che
decedono per cancro polmonare. Negli U. S. A.
i fumatori sono in diminuzione. In Italia ai monopoli di Stato è stata inflitta una mega-multa di
l milione di euro per risarcire la famiglia di un dipendente impiegato come “assaggiatore di tabacco” e deceduto per tumore dei polmoni.
GEMELLI E PRobLEMAtICHE CoRRELAtE
I gemelli dizigoti sono dovuti a impianto contemporaneo di 2 embrioni originati da 2 distinti
ovociti, fecondati da 2 diversi spermatozoi. I gemelli omozigoti derivano dalla divisione di 2
cloni cellulari totipotenti di un singolo disco embrionario, proveniente da un unico zigote: avviene così l’impianto di 2 embrioni distinti ma
geneticamente identici.
I nati da gravidanze multiple hanno un rischio di morbilità e di mortalità maggiore rispetto ai nati singoli, correlato con la prematurità
e la malnutrizione fetale. Frequenti il parto prematuro e il basso peso alla nascita.
Da circa 30 anni si sta verificando un’aumentata incidenza delle gravidanze gemellari dovuta a:
a) innalzamento dell’età materna del concepimento;
b) induttori farmacologici dell’ovulazione;
c) metodiche di riproduzione medicalmente assistita.
IL SoLE: UtILE MA PERICoLoSo
Un bambino non sufficientemente esposto al
sole, almeno 15 minuti al giorno, è a rischio di rachitismo: il rischio aumenta se è di carnagione
scura poiché -per questa fotoprotezione naturale
riceve solo una piccola porzione del suo fabbisogno in vitamina D.
Ma l’eccessiva esposizione alla luce solare, e
in particolare ai raggi ultravioletti (UV), comporta molti effetti negativi. Luglio è il mese con
la maggior potenza degli UV. Tra le ore 11 e le 15
si libera circa il 30 -50 % dell’energia UV. Salendo di altitudine l’energia UV aumenta del 4 %
ogni 300 metri.
Gli effetti acuti delle radiazioni solari causano
colpo di calore, eritema attinico, ustione solare.
Il sole è tra gli agenti più sicuramente carcinogeni, anche per la contemporanea depressione
immunitaria. Il rischio di fotocarcinogenesi diminuisce se vi è una buona risposta pigmentaria
al sole. Il danno al DNA nucleare e ai mitocondri determina fotoinvecchiamento e anche, specie nelle prime due decadi di vita, la comparsa di
nevi melanocitici.
UN FARMACo PER IL DIAbEtICo tIPo
2 obESo
Se un diabetico obeso in cura con ipoglicemizzanti orali non riesce ad avere un buon controllo glicemico può essere candidato al passaggio all’insulina, ciò che non fa sempre piacere.
Ecco allora, per cercare di evitarla, l’exenatide sottocute, che va aggiunta all’antidiabetico
orale. Iniziare con la dose di 5 microgr., due
volte al dì, 1 ora prima dei pasti principali per almeno un mese: se la risposta non è ottimale si
può aumentare a 10 microgr. x 2, non oltre. Se poi
neppure questo aumento non è sufficiente per
un buon controllo si deve passare all’insulina.
Il farmaco è sconsigliato oltre 70-75 anni e
nei soggetti piuttosto magri, con BMI inferiore a
25. Nei magri è preferibile il Sitagliptin, incretino-simile. Tenere anche presente che il farmaco
rallenta lo svuotamento gastrico: se il paziente, ad
esempio, deve assumere anche antibiotici per os,
questi vanno assunti almeno 1 ora prima dell’iniezione di Exenatide.
A cura di A. Ciammaichella
17
PRoMUoVERE LA SALUtE E LA
PREVENZIoNE DELLE MALAttIE:
IL CHECk UP INtELLIGENtE
Augusto Vellucci
Specialista in Malattie Infettive e Clinica Medica
18
PRoMoZIoNE E CoNtRoLLo DELLA
SALUtE
La Salute è il nostro bene più prezioso! è necessario salvaguardarla!
Nella nostra Costituzione (1947) è scritto, all’articolo 32: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, definendo la salute nella sua Costituzione dell’aprile 1948 (“a state of complete
physical, mental and social well-being”), afferma che assicurare alle persone il più alto standard di salute possibile è uno dei fondamentali
diritti dell’uomo; che quindi l’impegno delle autorità nella promozione e nella protezione della
salute, individuando e modificando tutti i fattori
che influiscono negativamente su di essa, assume
il più alto valore nel mondo; e che la utilizzazione di tutti i benefici derivanti dalle conoscenze
mediche costituisce elemento essenziale per tale
impegno.
Il ruolo della Medicina contemporanea non
può più essere limitato alle classiche prestazioni
di diagnosi e di terapia delle malattie. Oggi infatti
si riconosce una fondamentale importanza al controllo di tutti i fattori fisici, psichici, comportamentali e ambientali che influenzano lo stato
della salute.
L’evento di maggior rilievo è stato proprio la
nascita della Medicina Preventiva, così come sostenuto, tra gli altri, da uno dei più grandi medici della storia, Sir William Osler, che, agli inizi
del 1900, nella sua memorabile opera intitolata
“L’evoluzione della Medicina Moderna” dedicò
il principale capitolo proprio al “the rise of Preventive Medicine”. Quindi, a parte le condizioni
socio-economiche sfavorevoli che debbono essere migliorate da altre istituzioni, la nuova Medicina può operare a tutto campo per la salvaguardia della salute, basandosi soprattutto sulle
conoscenze derivate dalle tre seguenti aree di
studio:
1) igienica: finalizzata al miglioramento della
salubrità ambientale e all’individuazione di
comportamenti non idonei, la cui correzione
possa ridurre i fattori nocivi;
2) epidemiologica: tendente alla valutazione dei
rischi per la salute, esistenti per una data po-
polazione in relazione a età, sesso e stili di
vita;
3) diagnostica (clinica, strumentale, laboratoristica) per individuare le malattie al loro esordio.
Gli obiettivi principali della prevenzione medica sono due:
1) evitare che le malattie insorgano, contrastando tutti i fattori di rischio che possano
causarle (prevenzione primaria);
2) se, nonostante tutto, si verifica uno stato patologico, riconoscerlo al suo inizio, affinché
il necessario intervento terapeutico possa ottenere il migliore successo (prevenzione secondaria).
La prevenzione primaria si attua con il
controllo dei comportamenti (dieta, esercizio
fisico, fumo, consumo di alcolici, ecc.), delle
principali caratteristiche fisiologiche (peso corporeo, colesterolemia, trigliceridemia, glicemia,
pressione arteriosa, densità minerale ossea, ecc.)
e dell’esposizione a condizioni ambientali sfavorevoli, consigliando le modifiche necessarie
per evitare i fattori nocivi, che possano alterare
la salute e indurre malattie. I più recenti, ampi
studi epidemiologici hanno fornito una notevole serie di conoscenze che permettono di consigliare i comportamenti di vita più utili a questo fine.
La prevenzione secondaria si attua con il
controllo delle principali caratteristiche biologiche e fisiologiche dell’individuo, per rilevarne
eventuali variazioni patogene, al fine di individuare le malattie al loro inizio, prima che il nostro intervento sanitario possa divenire inefficace. Si usa il termine inglese di “screening” per
definire le indagini impiegate per identificare le
malattie presenti in una comunità in una fase
precoce, permettendo così di giungere a interventi terapeutici tempestivi.
Come si deve operare per attuare una salvaguardia, la più efficace possibile, della nostra salute?
Si definisce “check-up” l’effettuazione di una
serie di indagini, previste e scritte in successione
in un elenco, dal quale si cancellano (si “spun-
tano”: “to check up”) quelle che via via vengono
eseguite.
E quindi dobbiamo prevedere gli interventi
necessari da effettuare e riportarli in programmi
prefissati.
Ma, attenzione! Noi riteniamo che i controlli
della Medicina Preventiva non possano e non
debbano essere attuati secondo schemi uniformi
e analisi standardizzate; ma debbano essere mirati alla singola persona in studio, in relazione all’età e al sesso, e dopo un attento esame, da parte
del medico, alle sue caratteristiche familiari e
personali.
Un corretto check-up deve necessariamente
essere basato su test di screening acquisiti dopo
rigorose valutazioni scientifiche, soprattutto in relazione alla loro sensibilità, specificità, impatto
sulla malattia e rapporto costo-efficacia. Per
quanto riguarda questo rapporto, esso deve essere
valutato, oltre che in termini economici, anche e
soprattutto per evitare effetti dannosi sul soggetto in studio, sia fisici (come può talvolta avvenire con l’impiego esagerato di tecniche radiologiche o comunque invasive), sia psichici,
per l’eventuale insorgenza di paure immotivate
causate da riscontri sospetti di patologie anche
gravi, poi risultati del tutto irrilevanti. Spesso
molti degli esami proposti appaiono privi di
quella utilità loro attribuita. Insomma le indagini,
utilizzando il vasto armamentario dei test di laboratorio e strumentali oggi a nostra disposizione, vanno effettuate nel rigoroso rispetto di un
piano preventivo mirato, il più possibile personalizzato, con la finalità di valutare, integrando
tutti i dati alla fine raccolti, il migliore inquadramento clinico della persona esaminata.
IL CHECk-UP INtELLIGENtE
Senza ombra di dubbio, il primo atto del nostro check-up non può che essere la visita del Medico Internista che valuta il soggetto in studio effettuando un esame clinico il più completo
possibile, raccogliendo una anamnesi familiare e
personale molto precisa ed estesa, e accertando le
sue condizioni cliniche al momento dell’esame.
è importante poi rendersi ben conto degli stili di
19
20
vita della persona in esame, relativi soprattutto al
fumo di sigaretta, al tipo e all’entità dell’alimentazione, all’uso o abuso di alcolici, all’eventuale
assunzione di sostanze tossiche, ai comportamenti che espongono a infezioni sessualmente
trasmesse, al rispetto di una giornaliera attività fisica, al tipo della sua attività lavorativa, ecc. è poi
utile, specialmente nei giovani, accertare se sono
state effettuate correttamente le vaccinazioni consigliate o i loro richiami, e, nelle persone oltre i
65 anni di età, indagare su insufficienze uditive
e problemi vestibolari, che possono favorire cadute e traumi.
La visita medica è l’elemento più importante
e insostituibile di un’indagine intelligente per la
promozione e la protezione della salute; diceva il
già citato grande clinico Sir William Osler: “se
ascoltate attentamente i pazienti, saranno loro a
dirvi quello che hanno” (“if you listen carefully
to the patients they will tell you the diagnosis”).
Appaiono pertanto del tutto errati i frequenti
comportamenti che si limitano a effettuare una
serie di analisi di laboratorio, con la convinzione
che bastino a conoscere lo stato della propria salute. Si sta arrivando addirittura all’assurdo, come
è stato proposto in Inghilterra, di effettuare i controlli presso un “chiosco”, costruito negli USA,
chiamato proprio “il dottor Kiosk, il bancomat
della Salute”, posto nei supermercati per effettuare facilmente e rapidamente le indagini più
note e popolari!
è sempre consigliabile che il medico completi la visita, oltre che ovviamente con la misurazione della pressione arteriosa, anche con l’effettuazione di un ECG, ben sapendo che possono esistere alterazioni cardiache anche importanti, del tutto silenti all’esame obiettivo. Noi riteniamo inoltre di grande aiuto nella valutazione
dello stato clinico di un soggetto un’altra indagine, non da tutti ritenuta sempre utile, e cioè l’esame ecografico completo dell’addome e della
pelvi, i cui organi possiedono spesso alterazioni
che la sola obiettività clinica non permette di accertare (malformazioni, calcoli colecistici o urinari, epatosteatosi – fegato grasso –, iperplasia
prostatica negli uomini, condizioni dell’utero e
delle ovaie nella donna, ecc., fino alla rilevazione di neoformazioni tumorali ancora piccole e silenti). D’altro canto l’ecografia è una metodica di
indagine che utilizza gli ultrasuoni e non è nociva né dolorosa né invasiva e, se occorre, può essere ripetuta anche più volte.
Il medico può ora proporre il check-up più
idoneo al soggetto, e anche il calendario delle indagini da effettuare nei successivi anni, sempre
tenendo conto dell’età e del sesso. Le conoscenze
della medicina moderna suggeriranno i comportamenti migliori da seguire, che sono numerosi e
molto particolareggiati, specie se si tengono nel
debito conto le indicazioni riportate nella più importante letteratura medica specializzata in questo campo, come “The Guide to Clinical Preventive Services of U.S. Preventive Service Task
Force”, “Disease Prevention and Health Promotion – CMDT”, “Screening and Prevention of
Disease – The Safety and Quality of Health
Care” (Harrison’s internal Medicine 17th ed.),
“2011 Preventive Service Guide – University of
Rochester”, ecc.
I PRINCIPALI FAttoRI DI RISCHIo E LE
PAtoLoGIE ASSoCIAtE
Esaminiamo quali sono i principali fattori
nocivi da considerare per la salvaguardia della
nostra salute e quindi gli accertamenti strumentali e di laboratorio da proporre. Oggi assumono
rilevanza particolare, per attuare una prevenzione primaria che impedisca l’insorgenza delle
malattie, due gruppi di fattori di rischio, che
sono alla base delle principali alterazioni metaboliche, particolarmente dannose sulle nostre
arterie, specie quelle coronariche e quelle cerebrali:
1) l’aumento dei grassi nel sangue (iperlipidemia: da colesterolo e/o trigliceridi), l’obesità,
spesso correlata al diabete mellito tipo due, e
la vita sedentaria;
2) il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa,
l’esposizione a tossici ambientali o voluttuari
e le tensioni emotive (con danno su vari organi, ma con particolare effetto lesivo sulle
nostre arterie, dove causano proprio quella
“disfunzione endoteliale” che permette ai lipidi circolanti di insinuarsi nell’intima arteriosa e di dare inizio all’insorgenza della aterosclerosi).
L’associarsi nello stesso soggetto di alcuni dei
suddetti fattori di rischio viene oggi definita “Sindrome Metabolica”.
Gli effetti negativi di queste condizioni sfavorevoli per la nostra salute sono alla base soprattutto della patologia cardio-vascolare, prima
causa di morbosità e di mortalità in tutto il
mondo, ove i decessi causati da queste malattie
sono stati circa 17 milioni nel 2002, e quest’anno
se ne prevedono oltre 18 milioni!
Le malattie vascolari sono dovute soprattutto
all’alterazione che i vari fattori patogeni causano
sulle pareti dei vasi che regolano il flusso del sangue al cuore (coronarie), al cervello (arterie cerebrali), ad altri organi importanti (reni, ecc.), e
agli arti (arterie periferiche), con la progressiva e
talora improvvisa riduzione di tale flusso. è per
questo che i fattori di rischio di maggior rilievo
per la nostra salute sono tutti quelli che possono
danneggiare le arterie. Riteniamo utile far cono-
scere, ovviamente in modo molto sintetico, le
situazioni cliniche sulle quali incidono negativamente questi fattori.
La patologia più importante delle arterie,
quella che col tempo può determinare proprio le
alterazioni del flusso ematico e quindi l’irrorazione degli organi, è l’aterosclerosi, nella cui
genesi assumono preminente importanza i disordini lipidici.
Aterosclerosi
L’aterosclerosi è un processo patologico che
interessa le pareti arteriose, con formazione sulla loro superficie interna di placche costituite da
tessuto fibroso e materiale lipidico; queste si formano per la elevata presenza in circolo dei grassi (colesterolo e trigliceridi, facilmente dosabili
in laboratorio) che, nei tratti dove si determina
disfunzione endoteliale con alterata permeabilità
di barriera, si infiltrano nella parete arteriosa e la
danneggiano, attivando poi localmente una risposta infiammatoria (rilevabile con il dosaggio
della Proteina C Reattiva) che aggrava e consolida le placche. Successivamente si può verificare l’adesione di piastrine all’intima denudata e il
formarsi di trombi sulla parete interna dei vasi,
conseguenti all’erosione delle placche aterosclerotiche, con possibile riduzione del lume arterioso fino alla sua progressiva lenta o rapida occlusione.
Per rilevare alterazioni parietali delle arterie
e il loro eventuale restringimento, nel check-up
si effettua sempre uno studio ecografico (impiego degli ultrasuoni)-Doppler (analizzando anche la velocità del sangue in movimento nei vasi)
o (utilizzando i colori) eco-color-Doppler, dei
vasi arteriosi sopraortici e transcranico arterioso.
L’indagine consente di individuare precocemente
coloro che sono predisposti a sviluppare la patologia aterosclerotica e a consigliare in tempo i
trattamenti che possano contrastarla. La BIOS
S.p.A. è dotata di apparecchiature di ultima generazione, che permettono di studiare, oltre al circolo arterioso, anche il circolo venoso cerebrale,
con rilevazione di eventuali cause vascolari per
le vertigini, le cefalee, gli acufeni, ecc.
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Colesterolemia
Il colesterolo è un componente essenziale
della membrana cellulare di tutte le cellule animali e costituisce un elemento importante nella
fisiologia del nostro organismo, che lo produce,
negli adulti, tra 1 e 2 grammi al giorno. Solo una
piccola parte (al massimo 0,5 grammi) viene assunta con l’alimentazione: la maggior parte del
metabolismo del colesterolo avviene nel fegato,
organo preposto alla sua regolazione, dato che lo
sintetizza e lo libera in circolo, ma anche lo ricapta dal circolo e lo elimina con la bile, mantenendone la concentrazione ematica entro certi
livelli considerati normali.
Il colesterolo, come i trigliceridi, non è solubile nel sangue. Per il trasporto ematico i lipidi
devono essere aggregati a sostanze proteiche,
chiamate lipoproteine. Secondo la loro composizione in colesterolo, fosfolipidi, proteine, trigliceridi e acidi grassi, queste vengono ulteriormente distinte in diverse classi, soprattutto in relazione alla loro densità. A noi interessano le
LDL (low density), più ricche di colesterolo, che
trasportano questa sostanza verso i vasi sanguigni, dove lo depositano (lipoproteine “cattive”) e
le HDL (high density) che invece portano il colesterolo al fegato, che poi lo elimina con la bile
(lipoproteine “buone”). Quando si dosa in laboratorio la colesterolemia, è importante quindi conoscere sia il colesterolo totale, sia quello HDL
e LDL; è evidente che più sono alte le LDL (specie quelle di dimensioni più ridotte), e più sono
basse le HDL, più facilmente avviene la deposizione del colesterolo nelle arterie. La colesterolemia dipende dalla quantità della sostanza introdotta con il cibo, da quella sintetizzata dal fegato, dal ritorno del colesterolo al fegato (tramite le HDL e anche le LDL circolanti), e dalle capacità del fegato stesso di prelevare dal sangue
queste lipoproteine attraverso i suoi recettori e di
eliminare il colesterolo con la bile.
è evidente che queste conoscenze ci permetteranno di consigliare il comportamento più idoneo per ridurre la colesterolemia; ricordando comunque che, fortunatamente, possediamo diversi
farmaci che possono agire sul metabolismo del
colesterolo, riducendone il livello ematico. L’altra sostanza grassa implicata nella genesi della
aterosclerosi è costituita dai trigliceridi.
trigliceridemia
Un trigliceride è formato dall’unione di una
molecola di glicerolo (un alcool oleoso) con tre
acidi grassi, e i grassi contenuti negli alimenti sono in gran parte trigliceridi (oltre il 90 %). Come
il colesterolo, anche i trigliceridi non sono solubili nel sangue e il loro trasporto nel sangue avviene nelle lipoproteine. Raggiunti i capillari, gli
acidi grassi vengono staccati dal glicerolo e distribuiti ai tessuti, per i fabbisogni energetici delle cellule; il quantitativo in eccesso viene depositato sotto forma di tessuto adiposo in cellule chiamate adipociti. La quota di trigliceridi presente
nel sangue (trigliceridemia) è normalmente compresa tra valori di 50 e 150/200 mg/dl. Si considera alto il valore tra 200 e 500, molto alto se supera i 500 mg/dl. Per misurare correttamente il
tasso dei trigliceridi è necessario essere a digiuno
al momento del prelievo da almeno 12 ore e aver
consumato la sera precedente un pasto leggero.
Anche il fegato ha la capacità di sintetizzare trigliceridi a partire da altre sostanze alimentari come gli aminoacidi e il glucosio; è noto ad esempio come una dieta ricca di zuccheri sia spesso
correlata a un aumento della trigliceridemia.
A differenza della ipercolesterolemia, che
può essere ben controllata con i farmaci, sono ancora poche le medicine in grado di tenere a bada
il livello dei trigliceridi e quindi la prevenzione
resta un’arma irrinunciabile contro l’ipertrigliceridemia, che è per lo più dovuta ad abitudini di
vita scorrette (diete errate, sovrappeso, sedentarietà con ridotta attività fisica, ecc.).
è necessario consigliare diete ipocaloriche,
senza eliminare del tutto i grassi (ma solo abolendo quelli saturi animali e mantenendo quelli
insaturi vegetali) e riducendo anche gli zuccheri
(specie quelli “semplici” come i dolci, rispetto a
quelli più complessi della pasta) che vengono
depositati proprio come trigliceridi nel tessuto
adiposo; vanno prescritte diete ricche di vegetali
e di pesce ricco di acidi grassi polinsaturi omega-
3 e va proibito l’alcool. Accanto alle attenzioni
dietetiche va consigliata una necessaria attività fisica, anche moderata ma giornaliera.
obesità
La capacità di immagazzinare nel tessuto adiposo sia grassi sia carboidrati (trasformati in
grassi), dopo i pasti, ha assicurato una adattabilità metabolica, che ha contribuito in maniera
determinante alla sopravvivenza dei nostri antenati, esposti frequentemente a carenze di cibo. Il
tessuto adiposo è come una banca dell’energia,
con depositi fatti al momento dei pasti e con possibilità di prelievo quando è necessario. Ricordiamo che la cellula adiposa è uno dei principali
bersagli sui quali agisce l’insulina nel trasformare
il glucosio in grassi di deposito, da riutilizzare nei
momenti del bisogno. Come nel diabete di tipo 2,
anche nell’obesità si instaura spesso una insulinoresistenza, cioè una diminuita capacità dell’insulina a svolgere la sua usuale attività sui tessutitarget periferici, specie fegato e muscoli.
La capacità del nostro corpo di conservare
energia per poi poterla utilizzare nel momento del
bisogno era essenziale per la vita, quando il cibo
era scarso. Ma, nella storia umana più recente, la
quantità di energia che l’uomo accumula come
adipe è notevolmente aumentata, oltre alle vere
necessità della sua vita (almeno nei paesi sviluppati); quando l’accumulo di adipe si avvicina a livelli che compromettono la salute della persona,
si parla di obesità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene che l’obesità rappresenti uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo, una ve-
ra e propria epidemia globale, che si sta diffondendo in molti Paesi, a causa di un’alimentazione scorretta e di una vita sedentaria.
L’eccesso di grasso corporeo può essere valutato sia come quantità assoluta sia a seconda
della sua distribuzione in punti precisi del corpo:
sono utili a tal fine le seguenti metodiche:
1) l’indice di massa corporea (BMI: body mass
index) è definito come il rapporto tra il peso
(in chilogrammi) e il quadrato dell’altezza (in
metri). Si parla di sovrappeso corporeo se
l’indice supera i 25; oltre i 30 si parla di obesità, di I classe fino a 35, di II classe fino a 40
e di III classe per valori superiori;
2) il cosiddetto Waist-hip ratio (WHR): indica il
rapporto della circonferenza dell’adome (misurata circa all’altezza dell’ombelico) e quella delle anche (misurata all’altezza delle teste
femorali), in centimetri, stando il soggetto in
piedi e con i muscoli addominali rilassati.
Negli uomini questo rapporto deve essere inferiore a 0.90-1.0 e per le donne inferiore a 0.800.90.
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WAISt HIP RAtIo (WHR)
Uomini
Donne
Rischio malattie vascolari
meno di 0.90
meno di 0.80
basso rischio
da 0.9 a 0.99
da 0.8 a 0.89
Rischio moderato
oltre 1.0
oltre 0.9
Alto rischio
Comunque l’adiposità concentrata nella zona
addominale rappresenta un rischio più elevato per
le malattie cardiocircolatorie, anche se recenti
indagini hanno contestato tale assunto. Questo
grasso, chiamato “viscerale”, è molto attivo metabolicamente e produce più acidi grassi di quello
delle cosce o delle anche.
Il rischio si valuta anche sulla sola circonferenza addominale, cioè quella minima tra la gabbia toracica e l’ombelico; per un individuo adulto:
- valori superiori a 94 cm nell’uomo e a 80 cm
nella donna sono indice di obesità viscerale e
si associano a un “rischio moderato”;
- valori superiori a 102 cm nell’uomo e a 88 cm
nella donna sono associati a un “rischio accentuato”.
Nei soggetti con sovrappeso corporeo va inoltre sempre studiato, periodicamente, il livello
glicemico, data la frequente associazione di uno
stato diabetico tipo 2. Il dosaggio della glicemia
e della emoglobina glicosilata ci permette di seguire l’andamento di questo settore metabolico.
Ricordiamo infine che attualmente la prevalenza dell’obesità è più che raddoppiata negli
adulti e specialmente nei bambini. In Italia è
obeso il 10% della popolazione (in Germania il
21%). Si tratta di una “bomba a tempo” per le altre patologie che possono derivarne, come ad
esempio per il rischio dell’insorgenza del diabete
tipo 2, che aumenta da 3 a 20 volte a seconda dei
valori che raggiunge il già ricordato BMI. Riteniamo molto valida l’esortazione che compare ripetutamente nella letteratura medica anglosassone: “lose weight, live longer”.
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Disfunzione endoteliale
Abbiamo detto che l’iperlipidemia danneggia
le arterie in quanto i trigliceridi e il colesterolo
presenti in eccesso nel sangue trasudano e si accumulano all’interno di alcune regioni dell’intima
vasale, facilitati da una qualche disfunzione endoteliale con alterata permeabilità di barriera. E
qui entrano in gioco tutti i fattori di rischio che
possono ledere la funzionalità delle pareti intimali delle arterie, soprattutto determinando a
loro carico quello che oggi viene definito “stress
ossidativo”. Lo stress ossidativo è un danno chimico indotto dalla presenza, in un organismo vivente, di un eccesso di specie chimiche reattive
(come le ROS o reactive oxygen species). è la
conseguenza di uno squilibrio tra processi antiossidanti e pro ossidanti, causato da numerosi
fattori, come radiazioni, inquinanti atmosferici (le
cosiddette polveri sottili, specie i sottoprodotti
della combustione, tra cui quelli che avvengono
nei motori a scoppio, negli impianti di riscaldamento, in molte attività industriali, negli inceneritori e nelle centrali termoelettriche), ecc. Per la
patologia cardio-vascolare assumono particolare
importanza il fumo e l’ipertensione.
Fumo di sigaretta
Il fumo ha un’azione dannosa sulle arterie, sia
diretta (danno alla parete vascolare e formazione
di placche trombotiche) sia indiretta (vasocostrizione, esaltata aggregabilità piastrinica, iperincrezione di catecolamine, aumentata produzione
di fibrinogeno, alterazioni metaboliche con elevato consumo di ossigeno miocardico, ecc.). è la
causa principale di infarto e di malattie coronariche in uomini e donne e si associa al 30% delle
morti causate da questa patologia con un aumentato rischio di morte improvvisa.
Ovviamente non possiamo non ricordare che,
oltre a danneggiare le arterie, il fumo di sigaretta, che contiene circa 60 cancerogeni certi, altera le cellule delle vie respiratorie e costituisce un
sicuro fattore di rischio per la malattia polmonare cronica ostruttiva e per il cancro sia polmonare, sia anche delle alte vie respiratorie e digestive, cioè lingua, laringe, esofago. E il carcinoma
del polmone rappresenta la prima causa di mortalità per cancro nell’uomo e la seconda nella
donna (dopo il cancro della mammella). La misura preventiva più efficace per limitarne l’incidenza è ridurre al minimo l’esposizione al fumo
di sigaretta, sia esso attivo o passivo. Purtroppo
i risultati delle argomentazioni mediche che noi
regolarmente esponiamo alle persone che fumano per indurle a smettere sono spesso senza esito. Non dobbiamo dimenticare che il fumatore
ha una doppia dipendenza: fisica (legata alle sostanze introdotte) e psicologica (legata alla ritualità). è stato calcolato che, ogni anno, oltre il
40% dei fumatori tenta in vario modo di smettere, ma che solo il 4% ci riesce. Comunque durante il nostro check-up l’impegno di far cono-
scere i danni che produce il fumo di sigarette e di
invitare a smettere di fumare continua e continuerà.
Nei soggetti che fumano noi consigliamo
sempre di effettuare un esame assolutamente innocuo e non invasivo, che però fornisce dati importanti sulla funzione respiratoria: la spirometrìa, che misura flussi e volumi aerei mobilizzati
con gli atti respiratori lenti o forzati, e può evidenziare soprattutto difetti ventilatori ostruttivi.
Ipertensione arteriosa
Le malattie cardio- e cerebro-vascolari sono
spesso associate all’ipertensione arteriosa. Un
importante problema nel controllo dell’ipertensione risiede nel fatto che si tratta di una situazione morbosa per tanti anni silente, non dando
luogo a sintomi evidenti. Pertanto il primo incontro con l’ipertensione arteriosa è per lo più occasionale, e spesso ci si accorge di una pressione
elevata dopo molti anni dalla sua insorgenza,
quando già si sono determinati danni a carico degli organi più colpiti, come cuore, reni e cervello. L’ipertensione arteriosa è infatti il principale fattore di rischio in termini di morbosità e
mortalità per la cardiopatia ischemica (infarto
miocardio), lo scompenso cardiaco, la rottura di
aneurismi aortici e le malattie vascolari cerebrali
(ictus) e renali. I danni possono comparire dopo
parecchi anni dall’inizio della malattia e sono
favoriti da altri fattori di rischio come il diabete,
l’abitudine del fumo, l’obesità e un eccessivo
contenuto di grassi nel sangue. In tutto il mondo
le persone con ipertensione arteriosa sono più di
800 milioni. Dalle statistiche risulta che il 33%
degli uomini e il 31% delle donne in Italia sono
ipertesi e che, dopo i 65 anni, il 52 % degli uomini e il 57 % delle donne presentano ipertensione arteriosa. E, come già accennato, oltre il
27% degli ipertesi non sa di esserlo, e solo 2 individui su 10, ipertesi, pongono la dovuta attenzione al problema. Ne deriva la necessità che
nei controlli proposti, la misurazione della pressione arteriosa deve essere posta in primo piano.
Il livello da non superare, in assenza di altri
fattori di rischio, è quello dei 130/80, comunque
mai superiore a 140/90 mmHg. Talora non è sufficiente la misurazione nel solo momento della
visita medica, anche se più volte ripetuta. Esistono metodiche di studio della pressione arteriosa che possono determinare il valore pressorio
anche per 24 ore, come il cosiddetto monitoraggio ambulatoriale, che viene effettuato applicando sulla persona da studiare un piccolo strumento di misurazione da portare per 24 ore, al
termine delle quali può essere registrato e studiato l’andamento che la pressione arteriosa ha
avuto in questo periodo (la metodica viene talvolta chiamata, un po’ impropriamente “Holter
pressorio”, analogamente al test di Holter che studia invece, sempre per 24 ore, il tracciato elettrocardiografico).
Come abbiamo già detto, riteniamo sempre
necessario il completamento della visita medica
con effettuazione di un ECG; se si ha il sospetto
di una eventuale ipertrofia ventricolare, indotta
dall’ipertensione, si proporrà di effettuare anche
un ecocardiogramma, che fornirà preziosi elementi di valutazione. Non dimentichiamo che
all’ipertrofia miocardica spesso si associa la presenza di danni cerebrali asintomatici e il rischio
di insorgenza dell’ictus.
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Rischio cardiovascolare
Abbiamo esposto a grandi linee quali sono i
principali fattori di rischio per le malattie vascolari. Come abbiamo già accennato, oggi è di
moda parlare della cosiddetta sindrome metabolica, condizione clinica che si realizza per la
contemporanea presenza nello stesso soggetto di
almeno tre dei seguenti fattori: ipertensione, ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, obesità addominale, iperglicemia; tutto ciò aumenta significativamente le probabilità di subire un incidente
cardiovascolare.
è possibile fare in un paziente previsioni in
tal senso?
A tal fine, sono nate metodiche per tentare di
stimare, in soggetti sani, il rischio di insorgenza
della patologia cardio-vascolare nei 10 anni di
vita successivi all’indagine. Attualmente si impiega o il “Framingham Risk Score” o il “Reynolds Risk Score”.
Il primo metodo studia soggetti da 20 anni in
su, non diabetici, e tenta di valutare il rischio di
infarto miocardico o di morte coronarica; oltre che
sulla età e sul sesso, esso si basa sui seguenti fattori: colesterolemia totale (media di 2 misurazioni), colesterolemia HDL (media di 2 misurazioni), fumo (almeno nel mese precedente, qualsiasi
numero di sigarette) e pressione arteriosa sistolica (rilevata al momento dell’indagine), precisando se è in atto un trattamento farmacologico.
Il Reynolds Risk Score, utilizzato sempre per
soggetti non diabetici, tenta di valutare il rischio
di attacchi cardiaci o di ictus; oltre al sesso, all’età, alla colesterolemia totale e HDL e alla pressione arteriosa sistolica (come nel Framingham),
valuta anche se vi siano stati attacchi cardiaci nei
genitori prima dei 60 anni e il livello della Proteina C Reattiva ad alta sensibilità, quale marker
ematico dell’infiammazione a livello arterioso.
In base ai risultati di queste indagini, si possono distinguere i soggetti a rischio cardiovascolare basso (meno del 10%), moderato alto
(più del 10% ma meno del 20%) e alto (più del
20%) e si possono giustificare interventi farmacologici più aggressivi nei soggetti delle classi di
rischio più elevato.
LE PRINCIPALI INDAGINI DA EFFEttUARE
Abbiamo finora esaminato soprattutto i più
importanti fattori di rischio da conoscere e da influenzare positivamente per la prevenzione primaria della salute, cioè le metodiche di valutazione e controllo dei comportamenti vitali (dieta, esercizio fisico, fumo, ecc.), e delle principali caratteristiche fisiologiche (peso corporeo, colesterolemia, trigliceridemia, pressione arteriosa, ecc.), consigliando le opportune modifiche.
Ora vediamo, in breve, le più idonee linee
guida preposte all’accertamento dello stato di salute, con la possibilità di riscontrare alterazioni
fisiopatologiche anche minime che possano far
riconoscere l’inizio di una malattia.
Analisi di laboratorio
Il laboratorio fornisce elementi preziosi per il
controllo della salute; le indagini che si propongono, oltre a quelle già indicate nell’esame dei
fattori di rischio (come colesterolemia totale e
frazionata, trigliceridemia, glicemia), sono quelle
che studiano i vari aspetti dell’andamento fisiologico del nostro organismo, potendo accertare:
- la funzionalità di molti organi, come il fegato
(transaminasi, gamma-GT, bilirubinemia,
ecc.), i reni (creatininemia, azotemia, ecc.), la
tiroide (TSH, FT3, FT4 e, se si sospetta una
patologia autoimmune, i vari anticorpi antitiroide), e così via, e di alcuni metabolismi
(uricemia, calcemia, ecc.);
- il normale assetto ematologico (esame emocromocitometrico, con il rilievo e le caratteristiche dei globuli bianchi, della emoglobina
e delle emazie, eventualmente associato al
dosaggio della sideremia e della ferritinemia
per conoscere il metabolismo del ferro e tipizzare eventuali stati anemici) e siero-proteico (come l’esame del protidogramma elettroforetico e, quando necessita, il dosaggio
del livello delle immunoglobuline); importante poi la determinazione della VES (velocità di eritrosedimentazione delle emazie, indice aspecifico di flogosi, che aumenta in alcune situazioni, come malattie reumatiche,
-
-
neoplasie, ecc.) e della Proteina C Reattiva
(PCR, che oggi viene anche considerata come indice di attivazione infiammatoria nella
patologia cardio-vascolare); utile in molti casi studiare l’assetto emocoagulativo (tempo
di protrombina, ecc.);
numerosi elementi diagnostici possiamo poi
rilevare nell’esame delle urine (note infiammatorie, abbondanza di alcuni cristalli, eventuale glicosuria, cilindruria, ecc.) e delle feci
(insufficienze digestive, note di infiammazione, uova di elminti, presenza di sangue
occulto: la positività di quest’ultimo rilievo,
da effettuare in almeno tre prelievi, va attentamente studiata per la possibilità che possa
essere correlata a un tumore colon-rettale);
per gli uomini si effettua, tra i 40 e i 75 anni
di età, anche il dosaggio del PSA (Antigene
Prostato-Specifico), che è un enzima prodotto
dalla prostata. Si considera normale sotto 4
ng/mL; valori tra 4 e 10 ng/mL e soprattutto
quelli che superano i 10 indicano un rischio di
tumore più alto del normale. Esistono altre indagini per definire meglio questi valori (rapporto tra PSA libero e PSA totale, ecc.), ma attenzione: molti soggetti con tumore prostatico
non hanno livelli elevati di PSA e la maggioranza di uomini con un elevato PSA non ha il
tumore; infatti il suo aumento può essere più
frequentemente legato a iperplasia della prostata o a sue infezioni (prostatiti).
Siamo entrati in un campo minato, quello dei
cosiddetti “marker tumorali” che possono essere
riscontrati nel nostro siero; ciò richiede, per effettuare un check-up intelligente, alcune precisazioni. Si definisce “marcatore tumorale” qualunque sostanza la cui comparsa o elevazione
nel vivente può essere indicativa della presenza
e della attività di una neoplasia. è infatti nota da
molti anni la possibilità di dosare, nel siero di
soggetti con tumore maligno, biomarcatori circolanti, in qualche modo correlati al tumore
stesso, di diversissima natura e struttura (antigeni
tumore-associati, citocheratine, mucine, ormoni,
enzimi, ecc.). I principali marker che possono essere riscontrati nel siero sono: Alfafetoproteina
(AFP), Antigene carboidrato 15-3 (CA 15-3),
Antigene carboidrato 19-9 (CA 19-9), Antigene
carboidrato 125 (CA 125), Antigene carcinoembrionario (CEA), Antigene prostatico specifico
(PSA), Calcitonina (CT), Cromogranina A, Enolasi neurono-specifica (NSE), Citocheratina 19,
(Cyfra 21-1), Gonadotropina corionica umana
(HCG) S-100 Tireoglobulina.
Va subito messo in evidenza che la maggior
parte dei marcatori oggi noti sono antigeni on-
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cofetali o di differenziazione e che la loro sintesi
può essere correlata anche a eventi biologici diversi da quelli tumorali, come processi infiammatori o displasici o di rigenerazione cellulare;
insomma si può avere una elevazione significativa del marcatore, pure in condizioni di patologie benigne e addirittura di completa normalità,
soprattutto nei soggetti anziani.
Il marcatore ideale (dotato di grande sensibilità e specificità e correlato al volume della massa
tumorale) non è stato ancora identificato per alcun tipo di neoplasia. Questo rende ragione dell’incertezza che tuttora esiste nell’utilizzare questi marker per lo screening di soggetti
asintomatici.
La ricerca di tali biomarcatori è specificamente indicata in 3 casi: 1) per confermare una
diagnosi sospettata con altre indagini più significative; 2) per monitorare, in caso di neoplasia,
la risposta alla terapia; 3) per svelare eventuali recidive a distanza.
Comunque i marcatori di maggiore specificità
rivelatisi più attendibili in alcune neoplasie, oltre
al PSA per il carcinoma prostatico, sono: l’alfafetoproteina per l’epatocarcinoma, il CA-125 per
il carcinoma dell’ovaio, la beta-HCG per il coriocarcinoma e i tumori germinali del testicolo, la
calcitonina per il carcinoma midollare della tiroide, l’NSE nel microcitoma polmonare. I cosiddetti marcatori dei tumori gastro-enterici sono
dotati solo di “un potenziale valore diagnostico”,
come il CEA nel cancro del colon e il CA 19-9
nelle neoplasie dell’apparato digerente e del pancreas in particolare.
Inoltre il laboratorio può essere di notevole valore nella rilevazione di alcune diffuse patologie infettive, come ad esempio la ricerca nel sangue dell’antigene di superficie del virus della epatite B
(HBsAg) e degli anticorpi contro il virus della epatite C, ricordando che esistono molti portatori cronici di queste infezioni, spesso senza saperlo. Importante nelle donne anche il test per la Clamydia
(batterio che rappresenta oggi l’eziologia più comune delle infezioni sessualmente trasmesse) che
si effettua sia sulle urine sia su fluidi raccolti nelle
zone infette; il test è indicato dal momento nel
quale inizia l’attività sessuale, fino ai 24-25 anni.
Tra le indagini di laboratorio da includere nel
check-up femminile assume particolare importanza l’esame citologico del materiale prelevato
dal collo dell’utero con una spatola e un tampone cervicale, effettuando il cosiddetto test di Papanicolau o PAP-test, esame di screening per individuare nella popolazione femminile donne a
rischio di sviluppare un cancro del collo uterino.
Il test può dare utili indicazioni anche sull’equilibrio ormonale della donna e permettere il riconoscimento di infezioni batteriche, virali o micotiche. è corretto associare anche la ricerca dell’HPV (papilloma virus umano) con l’HPV-DNA
Test, che solitamente può essere effettuato sullo
stesso campione di cellule usato per l’analisi del
Pap test, e sfrutta la tecnologia molecolare per
rilevare la presenza del virus. Riferendoci ai vaccini disponibili, ricordiamo che i tipi 16 e 18 dell’HPV sono la causa primaria dell’alterazione
delle cellule cervicali in senso neoformativo, mentre i tipi 6 e 11 non sono oncogeni, ma possono
causare i condilomi genitali (“genital warts”).
L’Italia è il primo paese europeo a pianificare
una strategia di vaccinazioni pubblica gratuita
contro l’HPV, e per le ragazze fra 11 e 12 anni il
vaccino è gratuito. Non è dimostrato però che
esso sia efficace contro infezioni da HPV già
presenti a causa di contatti sessuali precedenti.
Per questa ragione da vari autori è consigliato
vaccinarsi, sia nelle femmine sia nei maschi, entro i 26 anni, comunque prima che inizi l’attività
sessuale. Anche se vaccinate, le donne debbono
continuare a effettuare annualmente il PAP-test
per lo screening del cancro cervico-uterino.
Accenniamo ora ai cosiddetti “test genetici”
cioè alle analisi a scopo clinico di DNA, RNA,
cromosomi, proteine, metaboliti o altri prodotti
genici, fatte per evidenziare genotipi, mutazioni,
fenotipi o cariotipi correlati o meno con patologie ereditabili umane; questi test dovrebbero permetterci di quantificare il rischio dei nostri pazienti di ammalarsi di alcune particolari patologie. Ricordiamo, come esempio, l’importanza
che si dà alle mutazioni di due geni (BRCA1 e
BRCA2 – BReast CAncer 1 e 2), riscontrate nel-
le donne malate con neoplasia mammaria ma
non in quelle sane della stessa famiglia; si può
solo affermare che donne portatrici di mutazioni
dei geni BRCA e appartenenti a quel tipo di famiglie sono ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno e all’ovaio. I test genetici però non
possono ancora essere effettuati estesamente nello screening generico di soggetti “sani”, sia perché le malattie riconoscono in genere l’influenza di più geni alterati e sia perché il loro impiego deve essere mirato per ora solo a soggetti appartenenti a famiglie a rischio.
Ricordiamo che sono in studio alcune nuove
analisi per l’individuazione precoce di importanti
patologie, come, ad esempio, quelle che oggi cominciano a essere proposte per scoprire l’insorgenza della malattia di Alzheimer (grave patologia senile neurodegenerativa). Utile la ricerca
delle proteine a-beta-42 o tau-181, marker spesso associati alle alterazioni neuropatologiche tipiche della malattia, come gli ammassi cerebrali di sostanza beta-amiloide. Noi seguiamo costantemente questi studi, pronti ad aggiungere al
nostro check-up le nuove analisi quando avranno assunto una sicura validità clinica.
INDAGINI StRUMENtALI
Abbiamo già accennato all’utilità di alcuni
esami importanti come l’ECG, la spirometria,
l’ecografia addomino-pelvica completa e l’esame
Eco-doppler delle arterie sopraortiche e dell’aorta
addominale, che noi consigliamo sempre di effettuare. Ricordiamo che l’esame Doppler va effettuato anche sui vasi degli arti inferiori, soprattutto quando esiste il sospetto di patologia
venosa (varici, flebotrombosi, ecc.).
Sempre per l’identificazione di processi tumorali in fase iniziale, a fianco del PSA (per l’eventuale neoplasia prostatica), del PAP-test (per il
tumore uterino) e alla ricerca del sangue occulto
nelle feci (tumore del colon), già ricordati, viene
oggi consigliato di effettuare nelle donne lo screening del tumore mammario con la mammografia
e, in ambedue i sessi, quello del cancro del colonretto con la colonscopia; un discorso a parte meritano la radiografia del torace e la TAC Spirale.
Mammografia
è un esame radiografico che dura pochi minuti e non causa particolari fastidi; è considerata
l’indagine più importante per scoprire in anticipo
i tumori mammari. Se ne consiglia l’effettuazione annuale dai 50 anni di eà, mentre dai 30 ai
50 il controllo può essere fatto, sempre annualmente, mediante ecografia, con associata una
mammografia biennale dopo i 40. L’eventuale
predisposizione per la presenza di più casi in famiglia deve suggerire controlli più personalizzati;
resta sempre l’importanza di rendere edotte tutte
le giovani donne sull’effettuazione di una efficace
auto-palpazione periodica delle mammelle.
Colonscopia
Permette di esaminare visivamente la superficie interna del colon tramite un fibroendoscopio, sottile e flessibile. Può essere studiato l’intero colon o soltanto la parte sinistra, cioè il
sigma e il retto (retto-sigmoido-scopia, meno fastidiosa e con ridotti rischi di complicazioni).
L’indagine permette di evidenziare lo stato della
mucosa del grosso intestino e anche di prelevarne frammenti (da studiare poi in laboratorio),
di tamponare eventuali sanguinamenti e soprattutto di riscontrare la presenza dei polipi, tumori
benigni, che vanno asportati (polipectomia) perché possono degenerare in senso maligno e dare
29
origine al cancro. Attualmente si ritiene che tutti
dovrebbero, dai 50 agli 80 anni, oltre che effettuare annualmente la ricerca del sangue occulto
nelle feci, sottoporsi alla colonscopia ogni 5 anni.
Altri ricercatori consigliano di effettuare la rettosigmoidoscopia ogni 5 anni e la colonscopia
ogni 10. Ovviamente i controlli dovranno essere
più precoci in caso di familiarità positiva per polipi o neoplasie del colon e più frequenti se si riscontra la presenza dei polipi.
30
Radiografia del torace e tC Spirale
Come è noto la radiografia del torace è stata
ed è tuttora una delle indagini di più frequente
impiego nella pratica clinica, per studiare il nostro apparato respiratorio; le indicazioni dell’esame sono numerose, ma spesso ne viene fatto un
uso eccessivo, specie quando viene effettuata in
soggetti sani, del tutto asintomatici, senza rischi
specifici, per la individuazione precoce del tumore polmonare. Ma numerosi studi, effettuati su
larga scala in diversi centri, non hanno dimostrato
reali utilità dello screening per il cancro del polmone con la radiografia del torace, che in genere
evidenzia la neoformazione quando già è evoluta.
Noi riteniamo di non effettuare in tutti i casi questa indagine come screening nei soggetti privi di
patologie o di elementi di rischio. Diverso valore
si deve invece assegnare alla TC spirale che,
sempre usando i raggi X ma con una scansione
rapidissima (meno di 10 secondi), permette di misurare la densità del tessuto polmonare in ogni
millimetro cubo, evidenziando precocemente la
presenza di un eventuale nodulo polmonare. Un
recente studio italiano è stato effettuato con questa metodica su 1.000 volontari, tutti forti fumatori (un pacchetto al giorno per oltre 20 anni), studiati annualmente per cinque anni. Ogni anno
sono stati rilevati tra i 10 e i 15 casi di carcinomi
polmonari, di cui più dell’80% in fase iniziale;
tutti trattati e guariti. Ma gli inconvenienti dell’indagine non sono pochi, soprattutto perché
noduli e opacità fuori della norma compaiono
perfino in ¾ dei forti fumatori, e non certo tutti
di natura neoformativa, ma che comunque inducono ad effettuare altre indagini, come la PET o
addirittura una biopsia; necessitano insomma
protocolli molto precisi per effettuare la TC spirale come esame di screening, protocolli ancora
non definiti.
MoC (Mineralometria ossea Computerizzata)
Ricordiamo poi l’utilità del controllo della
massa ossea, al fine di rilevare note di osteoporosi, patologia caratterizzata da un progressivo
processo di demineralizzazione della struttura
scheletrica; inizia frequentemente nella donna
dopo la menopausa e nell’uomo dopo i 65 anni,
del tutto silente per tanti anni, fino alla insorgenza della prima frattura dovuta appunto alla
fragilità ossea. Il processo può essere facilitato
dalla immobilizzazione prolungata, dalla assunzione di alcuni farmaci, come i cortisonici,
ecc. La MOC misura la massa e la densità minerale ossea in certi distretti scheletrici (vertebre, femore, ecc.); l’indagine si dovrà ripetere
per controllare nel tempo l’eventuale evoluzione e per definire i rischi di fratture, specie
vertebrali. Il controllo, da effettuarsi almeno
ogni due anni, tra i 60 e gli 85 anni, permette di
consigliare, per i soggetti con osteoporosi, i
principali comportamenti per la prevenzione
delle fratture, utilizzando farmaci che possono
inibire il riassorbimento osseo, quelli che ne
stimolano la formazione, e altri ancora con ambedue le azioni.
L’apparecchiatura MOC di ultima generazione, di cui la BIOS S.p.A. è fornita, permette di
accertare meglio il grado di impegno delle vertebre e di definire il rischio di fratture a 10 anni,
così come codificato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.
Per completare il nostro check-up dobbiamo
ricordare che assumono particolare utilità alcune
visite specialistiche, come quella dell’oculista,
che può riscontrare difetti di rifrazione o alterazioni retiniche e, nei soggetti oltre i 45 anni, con
la tonometria, la possibile elevazione della pressione endoculare (glaucoma); dell’otorinolaringoiatra, che effettua l’esame del faringe, delle
cavità nasali (rinoscopia), del laringe (laringoscopia) e dell’orecchio esterno (otoscopia), e può
valutare eventuali disturbi dell’udito (audiometria) e dell’equilibrio vestibolare.
Nelle donne deve essere sempre consigliata
la consulenza ginecologica, che ha un ruolo molto importante per la loro salute, permettendo di
esaminare gli organi genitali femminili, sia esterni che interni, valutandone gli aspetti fisiologici
e le eventuali patologie; la visita andrebbe effettuata la prima volta verso i 16-18 anni (e sempre
prima di utilizzare contraccettivi) e va ripetuta
una volta all’anno.
31
32
Infine, se il soggetto presenta nèi sul corpo, si
ritiene utile un controllo del dermatologo, prima
clinico e poi, se occorre, con la dermoscopia in
epiluminescenza; tutto ciò va attuato per la prevenzione del melanoma, tumore maligno che si
origina dal melanocita (cellula che produce melanina), presente nella cute e nelle mucose. Raro
prima della pubertà, il melanoma si sviluppa in
genere in soggetti di età compresa tra i 30 e i 60
anni; oggi mostra un’incidenza in crescita in tutto
il mondo, forse raddoppiata negli ultimi 10 anni.
La prognosi dipende dallo spessore raggiunto
nella pelle al momento della sua diagnosi e asportazione. Se è ancora rimasto confinato agli strati
cutanei superficiali, il tumore è curabile e si ottiene per lo più la guarigione del paziente. Se il
melanoma ha raggiunto gli strati più profondi, essendo stato diagnosticato in ritardo, i rischi di vita
per il paziente sono molto elevati. è fondamentale quindi il controllo periodico dei nèi per individuare il melanoma quanto più precocemente
possibile.
Abbiamo esposto, anche se necessariamente a
grandi linee, quali sono le visite e le indagini cliniche più importanti da realizzare periodicamente
per il controllo della nostra salute, con un
CHECK-UP che noi definiamo “intelligente” (e
che, nella BIOS S.p.A. si riesce a svolgere – visite
mediche, prelievi e indagini strumentali – in una
sola mattinata, con risparmio temporale e economico per l’interessato che si sottopone al controllo).
Gli elementi raccolti permetteranno al medico responsabile di redigere una valutazione complessiva di tutti i risultati ottenuti (eventualmente da esporre e discutere con il soggetto in un
successivo incontro), al fine di rilevare situazioni patologiche da combattere, definire tutti i
comportamenti a rischio della persona in studio
(suggerendo le modifiche più importanti) e consigliare i migliori intervalli di tempo per il controllo periodico delle indagini effettuate.
Riteniamo inoltre necessario e estremamente
utile che la valutazione conclusiva di un checkup, con l’esito di tutte le indagini effettuate,
venga sottoposta dall’interessato al controllo del
proprio medico curante di fiducia, il quale solo
potrà ulteriormente definire i comportamenti terapeutici più efficaci e stabilire la eventuale utilità di ulteriori controlli.
Il servizio check-up di Bios S.p.A. di Via D. Chelini 39 si avvale delle
competenze di medici specialisti nell'area Internistica (cardiologia, immunologia clinica, allergologia, endocrinologia, broncopneumologia, clinica medica, infettivologia) e della consulenza di altri specialisti
(ginecologia, urologia, chirurgia, gastroenterologia, diabetologia, nefrologia, otirinolarngoiatria, radiologia, nutrizionistica) in relazione alle esigenze di completamento e/o integrazione diagnostica, al fine di
ottimizzare un check-up personalizzato.
info cup 06 809641
CELLULE StAMINALI PLURIPotENtI
INDottE PER CAPIRE I MECCANISMI
ALLA bASE DELLE MALAttIE GENEtICHE
brennand k.J., Simone A, Jou J., Gelboinburkhart C., tran N., Sangar S., Li Y., Mu Y.,
Chen G., Yu D., McCarthy S., Sebat J., Gage
F.H.
Modelling schizophrenia using human induced
pluripotent stem cells.
Salk Institute for Biological Studies, Laboratory
of Genetics, 10010 North Torrey Pines Road, La
Jolla California 92037, USA.
Nature, 2011 May 12, 473 (7346).
http://www.nature.com/nature/journal/v473/n73
46/pdf/nature09915.pdf
Liu G.H., barkho b.Z., Ruiz S., Diep D., Qu
J., Yang S.L., Panopoulos A.D., Suzuki k.,
kurian L., Walsh C., thompson J., boue S.,
Fung H.L., Sancho-Martinez I., Zhang k.,
Yates J. 3rd, Izpisua belmonte J.C.
Recapitulation of premature ageing with iPSCs
from Hutchinson-Gilford progeria syndrome.
Salk Institute for Biological Studies, Gene Expression Laboratory, 10010 North Torrey Pines
Road, La Jolla, California 92037, USA.
Nature, 2011 Apr 14, 472 (7342).
http://www.nature.com/nature/journal/v472/n73
42/pdf/nature09879.pdf
Le Cellule staminali pluripotenti indotte,
abbreviate comunemente in iPS o iPSCs (dall’inglese induced Pluripotent Stem Cells) sono
un tipo di cellule staminali pluripotenti, derivate artificialmente da una cellula non-pluripotente, tipicamente una cellula somatica adulta, attraverso l’induzione di una “forzata”
espressione di specifici geni. Le cellule iPS
FRoM bENCH to bEDSIDE
I bENEFICI CLINICI DELLA RICERCA:
SELEZIoNE DALLA LEttERAtURA
SCIENtIFICA
33
stanno rivelando il loro immenso potenziale
come mezzo per capire i meccanismi alla base
delle malattie genetiche.
Nel laboratorio del professor Fred Gage in
California, USA, si è realizzato un importante
passo avanti nella comprensione delle cause alla base della schizofrenia. Attualmente si conoscono le alterazioni morfologiche macro e
microscopiche causate da questa malattia. Non
si è però a conoscenza di quali siano i tipi di
cellule nervose che vengono colpiti e i meccanismi che portano all’insorgenza di questa grave malattia. Questo importante risultato, pubblicato nella rivista Nature nel maggio 2011, è
stato ottenuto mediante la derivazione di cellule iPS da cellule non-pluripotenti di pazienti affetti da schizofrenia. Le cellule iPS sono state
indotte a differenziarsi in neuroni ottenendo
così un elevato numero di queste cellule che
non possono essere raccolte dai pazienti. Questo ha permesso di studiare l’intero profilo d’espressione dei neuroni malati e di osservare che
34
Esempio di mappa dal sito http://prtr.ec.europa.eu
le cellule nervose ottenute dai pazienti schizofrenici hanno una minore capacità di interconnettersi tra loro.
Utilizzando la stessa strategia sperimentale, il
gruppo diretto dal Professor Juan Carlos Izpisua
Belmonte, sempre in California, ha compreso la
genesi della Progeria, un’altra malattia genetica
molto più rara della schizofrenia, che causa l’invecchiamento precoce del soggetto senza alterarne la mente.
MAPPE DELL’INQUINAMENto AtMoSFERICo IN EURoPA oN LINE, A PoRtAtA DI tUttI
http://prtr.ec.europa.eu/DiffuseSourcesAir.as
pxen
L’inquinamento atmosferico è un importante
problema per la salute e ora c’è la possibilità di
consultare un documento interattivo, disponibile
on line, che certifica la qualità dell’aria. Si tratta
esattamente di 32 mappe sovrapponibili, che riportano i dati relativi alle principali informazioni
sull’inquinamento, sulle principali fonti e sui relativi inquinanti in Europa. Il nuovo servizio è
frutto di un’iniziativa congiunta della Commissione Europea e dell’Agenzia europea dell’ambiente.
La Dottoress Jacqueline McGlade, direttrice
esecutiva dell’Agenzia europea per l’ambiente,
ha voluto fortemente la creazione e, soprattutto,
la diffusione delle mappe proprio per rendere
consapevoli i cittadini dei rischi che corrono e, di
conseguenza, spingerli a una reazione decisa nei
confronti delle autorità locali.
“L’inquinamento atmosferico è una seria minaccia per la salute e in particolare per i soggetti
vulnerabili come i bambini e le persone che soffrono di malattie respiratorie” afferma la direttrice. “Informando i cittadini sull’inquinamento
atmosferico determinato dai trasporti, dalle case
e da altre fonti presenti nell’ambiente dove vivono, queste mappe danno la possibilità ai cittadini di agire e sollecitare le autorità a migliorare
la situazione”.
Le fonti di inquinamento considerate sono il
traffico stradale, l’industria, i consumi residenziali, l’agricoltura, l’aviazione e la navigazione.
Per ciascuno di questi settori sono disponibili diverse mappe, ognuna relativa a una specifica sostanza inquinante: gli ossidi di azoto (NOX), gli
ossidi di zolfo (SOX), il monossido di carbonio
(CO), l’ammoniaca (NH3) e il particolato
(PM10).
Le mappe hanno una risoluzione di 25 chilometri quadrati: il livello di emissioni di una certa
sostanza proveniente da una determinata fonte è
espresso con un puntino colorato che rappresenta
un’area di 5 chilometri per 5. Il colore indica la
concentrazione.
Il sistema permetterà a tutti i cittadini interessati di accedere facilmente alle informazioni.
Le mappe saranno utili anche agli esperti di qualità dell’aria, per elaborare modelli più precisi e
aggiornati, e infine ai politici, per prendere con
maggiore cognizione di causa le decisioni in materia di protezione dell’ambiente.
LA CULtURA CI MANtIENE SANI E PIù
FELICI
Cuypers k., krokstad S., Lingaas Holmen t.,
Skjei knudtsen M., olov bygren L., Holmen
J.
Patterns of receptive and creative cultural activities and their association with perceived
health, anxiety, depression and satisfaction
with life among adults: the HUNT study,
Norway.
J Epidemiol Community Health. 2011 May 23.
http://jech.bmj.com/content/early/2011/05/04/jec
h.2010.113571.full.pdf
Da uno studio che si è svolto presso la Norvegian University of Science and Technology di
Trondheim, il gruppo di ricerca guidato dal Professore Koenraad Cuypers ha messo in evidenza
che la cultura può aiutare a mantenerci sani. Infatti, sulla base dei risultati raccolti da questionari distribuiti a 50.797 persone, si è potuto
osservare che chi va ai concerti, a teatro, al cinema, s’interessa di letteratura, visita musei o addirittura si cimenta con la pittura, la musica, la
scrittura, è più sano e contento di chi non è interessato al mondo della cultura.
Nella prima parte dei questionari gli interessati dovevano dare un giudizio sul loro stato di
salute fisica e psichica; successivamente dovevano rispondere a domande relative a interesse e
attività culturali. Risultato: il grado di soddisfazione per la propria salute appariva direttamente
proporzionale alla curiosità culturale (intesa in
senso ampio). I ricercatori parlano di un legame
causale. Più un individuo è in contatto con la cultura, da fruitore o da produttore, e meno soffre e
si lamenta di dolori fisici o psichici. La cosa curiosa è la differenza di genere. Se infatti all’uomo
fa bene anche la semplice fruizione passiva, la
donna per star bene deve tradurre l’interesse in
qualcosa di concreto.
Rifacendosi anche a studi precedenti, il Professor Cuypers spiega che partecipare a eventi
culturali abbassa la pressione sanguigna e, col
tempo, il calo di stress incide positivamente sul-
35
l’intero organismo. Buona notizia finale: i risultati prescindono da reddito e formazione.
LA SALUtE NEI PAESI INDUStRIALIZZAtI: SEMPRE MENo INFARtI
Hardoon S.L., Morris R.W., Whincup P.H.,
Shipley M.J., britton A.R., Masset G., Stringhini S., Sabia S., kivimaki M., Singh-Manoux A., brunner E.J.
Rising adiposity curbing decline in the incidence of myocardial infarction: 20-year followup of British men and women in the Whitehall
II cohort.
Eur Heart J. 2011 Jun 8.
http://eurheartj.oxfordjournals.org/content/early/
2011/06/04/eurheartj.ehr142.full.pdf+html
36
Medici e epidemiologi britannici, diretti dalla
Professoressa Sarah Hardoon dell’University
College of London, UK, hanno indagato sull’entità della riduzione degli infarti nei Paesi più sviluppati e sui possibili motivi (European Heart
Journal, online). “L’evidente calo di infarti in
due decenni mostra quanto si possa ottenere se
si combattono i fattori di rischio e cambiando il
proprio stile di vita”, sostiene la professoressa
Sarah Hardoon. I ricercatori hanno osservato la
situazione di 10.308 impiegati di Londra nello
studio chiamato: Whitehall.
All’inizio i partecipanti avevano un’età compresa tra i 35 e i 55 anni. La valutazione periodica dei dati ha consentito di stabilire che in
vent’anni (1985-2004) la quota di infarti è scesa
del 74%, e in misura simile per uomini e donne.
Le indagini condotte in altre nazioni industrializzate giungono a risultati analoghi.
Nello studio in questione, i ricercatori segnalano che oltre la metà del calo è riconducibile a
mutamenti intervenuti in cinque fattori di rischio.
In confronto al 1985, vent’anni dopo gli impiegati fumavano meno, la pressione sanguigna era
più bassa, il “colesterolo buono”, le lipoproteine
ad alta densità (HDL), era più alto e il colesterolo
“cattivo”, le lipoproteine a bassa densità (LDL),
era più basso. Inoltre, queste persone mangiavano
più frutta e verdura; l’effetto era palese, anche se
ancora non rilevabile statisticamente.
La tendenza a meno infarti sarebbe stata ancora maggiore, se nel frattempo non fosse aumentata la percentuale dei sovrappeso, dicono i
ricercatori.
a cura di Maria Giuditta Valorani
HANNo CoLLAboRAto IN QUESto NUMERo
Prof. Alessandro Ciammaichella
già Primario Medico Ospedaliero
Medico Internista
Prof. Giuseppe Luzi
Specialista in Immunologia Clinica e Allergologia
Professore associato di Medicina Interna (f. r.)
Docente “La Sapienza” Università di Roma
Facoltà di Medicina e Psicologia
Dott. Mario Pezzella
Biochimico Clinico
Professore associato di Medicina di Laboratorio (f. r.)
Docente “La Sapienza” Università di Roma
Prof. Giovanni Stirati
Medico Chirurgo Specialista in Nefrologia
“La Sapienza” Università di Roma
Dott.ssa Maria Giuditta Valorani
Postdoctoral Research Assistant
Blizard Institute of Cell and Molecular Science,
“Queen Mary” University of London - GB
Prof. Augusto Vellucci
Specialista in Malattie Infettive e Clinica Medica
già Primario di Malattie Infettive
Dott. Vincenzo Vullo
Specialista in Malattie Infettive
Direttore della Cattedra di Malattie Infettive
dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
DIAGNOSTICA PER IMMAGINI
AD ALTA TECNOLOGIA
SERVIZIO PRIVATO
DI RISONANZA
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