IL MANOSCRITTO ANTICO E LE CENTURIE DI NOSTRADAMUS

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IL MANOSCRITTO ANTICO E LE CENTURIE DI NOSTRADAMUS
Christine Delport
Il manoscritto antico
CHRISTINE DELPORT
IL MANOSCRITTO
ANTICO
E LE CENTURIE DI
NOSTRADAMUS
ROMANZO DI FANTASCIENZA Centuria IX, quartina 44: “Migrés , migrés de Genesue trestous Saturne dʹor en fer se changera Le contre Raypoz, exterminera tous Avant dʹadvent le ciel signes fera” Christine Delport
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( “Fuggite, fuggite da Ginevra tutti Saturno si cambierà dʹoro in ferro. Il contrario Raypoz sterminerà tutti Prima dellʹaccaduto il cielo darà segni.”) “Le Centurie” di Michel Nostradamus “La vita è sogno” Pedro Calderon de la Barca, drammaturgo spagnolo. Parte prima
UN ESPERIMENTO A GINEVRA
Sotto quella montagna, in un immenso tunnel sotterraneo e circolare lungo ventisette chilometri, scavato a cento metri di profondità nella roccia, la grande macchina era pronta ad entrare in azione. Era sovrastato, in superficie, il tunnel, da una grande cupola come quella di San Pietro, attorniata a sua volta da edifici a prova di bomba nucleare, con immense vetrate infrangibili e pullulante di strumenti scientifici, di computer, di uomini e donne in camice bianco, fisici delle sub‐particelle, dei quark, dei quanta, astrofisici, specialisti della meccanica quantistica. Sotto la mastodontica cupola, tutti indaffaratissimi, assieme agli assistenti, in quel mese di settembre del 2008 a controllare che tutto fosse a posto. Nessuno faceva caso al maestoso spettacolo delle Alpi. Tutti gli occhi erano puntati sugli schermi e sui simulatori di ʺviaggioʺ. A viaggiare sarebbero stati fasci di protoni, i quali ‐ era stato calcolato dagli scienziati ‐ si sarebbero incrociati quaranta milioni Christine Delport
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di volte al secondo, provocando, in media, ad ogni incrocio una ventina di collisioni protone‐protone. Per un totale, minuziosamente calcolato, di ottocento milioni di collisioni al secondo. Era, per lʹesattezza , il dieci settembre del 2008, quando il direttore del Cern diede il segnale di ʺvia liberaʺ al cosiddetto esperimento del secolo. Il Large Hadron Collider era stato costruito a bella posta per ricreare quelle che gli scienziati avevano, pomposamente, definite le condizioni immediatamente successive al Big Bang. La grande deflagrazione , avvenuta quattordici miliardi di anni fa, che aveva dato origine allʹuniverso. Cʹera una grande aspettativa nel mondo, anche perché uno scienziato tedesco, di cui ormai nessuno più ricordava il nome, aveva provocato, nel ruolo di Cassandra del Ventunesimo secolo, un certo allarmismo mediatico. ʺQuellʹaggeggio infernale, lo LHC ‐ aveva ammonito ‐ provocherà un immenso buco nero primordiale che, nel giro di qualche annetto, risucchierà tutta la Terra.ʺ Alcuni scienziati pessimisti erano dʹaccordo con lui e cʹera stato persino un ricorso allʹ Onu, (settore diritti umani) per bloccare il test. Invano. I fisici del mondo intero avevano accolto lʹallarme con buon umore e ci avevano scherzato su, nelle dirette televisive e nei talks‐ shows. ʺAl massimo ‐ aveva esclamato un fisico britannico ‐ si potrà creare un buchino nero, come ce ne sono tanti nel nostro universo. Capace di ingoiare un quark, neppure, per intenderci la capocchia di uno spillo...ʺ Gli inviati speciali da tutto il mondo erano piovuti a Ginevra, intere équipes televisive, i massimi specialisti del settore, i grandi tenori della fisica come il premio Nobel ,Carlo Rubbia, ideatore del progetto e dellʹastronomia come Margherita Hack, filosofi della scienza come Fritjof Capra , autore del “Tao della fisica”, filosofi e teologi come Marco Ivaldo, specialista di Fichte e Jacobi e docente di filosofia morale presso lʹUniversità “Federico II” di Christine Delport
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Napoli. Giornalisti e scrittori parecchio noti come Vittorio Zucconi , Ennio Caretto, Anna Guaita. venuti appositamente da Washington e New York per seguire lʹevento, direttori di quotidiani e settimanali come Mario Pendinelli , Pietro Calabrese, Giulio Anselmi ,Vittorio Emiliani, Marcello Sorgi, corrispondenti esteri come Antonio Foresi della Rai‐Tv i giornalisti esperti degli affari economici e finanziari dellʹUnione Europea, come Ugo Piccione, Romano Dapas, Renato Proni, Franco Papitto, e tante altre personalità del mondo dei mass media. Politici in vista come Francesco Rutelli, Marco Pannella, Emma Bonino, Paolo Bonaiuti. Cʹera persino, tra gli invitati dʹonore, lo scrittore siciliano Camilleri, il padre del commissario Montalbano. Che ci faceva un ʺgiallistaʺ al Cern ? ʺBeh, avevano scherzato i cronisti, nel caso un buco nero uccida un quark!ʺ Unʹ inviata di un network televisivo aveva chiesto allo scrittore: ʺTutto questo le ispirerà un libro?ʺ ʺNo, a me no. ‐ aveva replicato Camilleri ‐ ma visto che qui stiamo per assistere ad un viaggio nel tempo, forse qualche scrittore di fantascienza troverà lʹispirazione.ʺ Lʹinviato de ʺIl Secolo XIXʺ, Lodovico de Ferraris ,in compagnia del giovane direttore del quotidiano ligure, Umberto La Rocca, era avvantaggiato dal fatto che, al Cern, lavoravano numerosi fisici genovesi. Ne aveva avvicinato uno, Mario Righi, e si era fatto spiegare per filo e per segno come sarebbero andate le cose. Aveva risposto pazientemente, il fisico: ʺ Il Large Hadron Collider è il più grande e complesso strumento scientifico esistente al mondo. Dentro vengono, per così dire, sparati o esplosi come preferite, fasci di particelle nellʹacceleratore Sps. Raggiungono quasi la velocità della luce, si scontrano tra di loro provenienti da direzioni diametralmente opposte. Boom!ʺ Il giornalista aveva avuto un attimo di trasalimento ed era Christine Delport
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sobbalzato. Mario Righi si era messo a ridere: ʺNiente paura, giovanotto. Di quanto avverrà ci accorgeremo soltanto noi scienziati.ʺ ʺAh beh, se è così...ʺ aveva replicato, annotando le frasi sul taccuino, lo scriba. ʺMa certo. Non si preoccupi. Lo dica ai suoi lettori, lo dica: non vi è assolutamente alcunché di cui preoccuparsi.ʺ ʺSe lo dice lei... Ma cosa sperate di trovare esattamente ?ʺ ʺIn primo luogo il bosone di Higgs.ʺ Lʹinviato appariva alquanto smarrito. Era un redattore scientifico. Aveva studiato anche un poco di fisica dalla teoria di Einstein in giù. Il punto non era questo. Lui sapeva più o meno di cosa si stava parlando; ma come spiegarlo con parole semplici al cosiddetto uomo della strada ? Così assieme ad altri colleghi aveva avuto la bella pensata di definire il bosone‐fantasma, la “particella di Dio”. Un fisico che si chiamava per lʹappunto Higgs aveva ipotizzato lʹesistenza del bosone, o meglio della particella di Dio , alias il creatore del Big Bang. Particella fantasma. Potenzialmente , poteva esistere. Era unʹipotesi di studio, frutto di calcoli ed algoritmi, di trigonometria e di scienza dei quanta, dei protoni, dei neutroni, dei neutrini, dei quark, del mondo sub‐atomico, insomma. Poteva esistere la “particella di Dio” così come poteva (o non poteva) esistere Dio. Ma in quellʹuniverso della materia, dellʹantimateria, della materia oscura e dellʹenergia oscura, il termine di materia, come noi comuni mortali lʹintendiamo era caduto in disuso. Si parlava di masse di energia, di avvenimenti casuali che potevano o non potevano accadere. Si parlava di boots strap, la “teoria delle stringhe”, in cui persino essere e non essere perdevano il loro completo significato. Un mondo in cui lʹosservatore e lʹosservato, il soggetto e lʹoggetto si confondevano come in un oceano nirvanico primordiale. Non si parlava più soltanto del nostro Universo, con milioni di galassie e miliardi di stelle come il nostro sole (che è poi è una stella gialla di grandezza medio‐piccola, mentre vi sono giganti blu, giganti rosse, etc), Ma Christine Delport
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di altri possibili universi. Universo‐ madre, universo‐padre, universo‐figlio, universo nipote. Cʹera anche chi aveva avanzato la teoria della panspermia. Essa vedeva i pianeti come possibili ovuli da fecondare e, forse, le comete come possibili spermatozoi fecondanti. Ecco come si sarebbe diffusa la vita. Insomma, ce nʹera davvero per tutti i gusti. ʺIl bosone di Higgs ‐ proseguiva, ormai scaldandosi il professor Mario Righi ‐ dovrebbe comparire nellʹacceleratore una volta ogni diecimila miliardi di collisioni.ʺ ʺNon è molto. ʺ , constatò il giornalista, stando al calcolo delle probabilità.” ʺNo. Ma è sufficiente per vederlo. Questo è il principale obiettivo dellʹesperimento. Ma allʹinterno del tunnel vi sono altri quattro punti di collisione.ʺ ʺPerbacco.ʺ ʺEsattamente: Alice, dove noi fisici potremo osservare un plasma di quark e gluoni, cioé lo stato in cui si trovava la materia prima del Big Bang. Poi cʹè Atlas che dovrà, appunto, dirci se verifica o meno lʹesistenza della particella di Dio, o meglio del bosone di Higgs e della super simmetria. Compito anche di un altro acceleratore chiamato Cms ed , infine , Lhc‐b che studierà come si sia creata la asimmetria tra la materia e lʹantimateria. Le è tutto chiaro ?ʺ ʺAbbastanza. Grazie per lʹintervista, professore.ʺ ʺSi figuri: è stato un piacere. Lo dica ai suoi lettori: nessuno rischia nulla.ʺ ʺOhibò, sono due negazioni! ʺ ʺSì ma se X rischia Y : la radice quadrata di X piùY = rischio zero. Non faccia il furbo con me, giovanotto!ʺ Entrambi si erano messi a ridere, contenti che la fine del mondo fosse stata scongiurata sia a rigor di matematica, che di equazioni quantiche, a rigor di logica e, persino, col buon senso comune. Ecco, quanto a questʹultima garanzia , cʹera il dubbio derivante dai detti popolari: ʺtanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampinoʺ; ʺ chi lascia la via nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trovaʺ; ʺ fidarsi è bene, non fidarsi è meglioʺ ; Christine Delport
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ʺ del senno di poi, sono piene le fosseʺ ; ʺchi va piano va sano e va lontanoʺ ( le particelle si scontravano quasi alla velocità della luce, tanto per capirci); ʺla gatta frettolosa fa i gattini ciechiʺ (al Cern, tutti avevano una gran fretta di vedere) ; ed, infine, lʹecclesiastica esortazione degli oscurantisti di ogni secolo: ʺUomini, non cercate di imitare Dio!ʺ Ma vaglielo a dire ai fisici delle particelle. Tutti illuministi. Più illuministi di Voltaire. Comunque, considerazioni filosofiche a parte, gli scienziati andavano avanti imperterriti, con ammirabile stoicismo (in fondo, anche la filosofia stoica ha la propria dignità essendo lʹunica davvero conosciuta dagli antichi romani non fosse altro che per Epitteto e Marco Aurelio). Era un progetto europeo. Non che gli americani ed i russi se ne fossero disinteressati. Tuttavia, Ginevra era sufficientemente lontana sia da Washington che da Mosca. Lʹultimo vecchio adagio: ʺNon vi è alcun pericolo. Ma tra dire e il fare, meglio se cʹè di mezzo il mare o lʹ Oceano oppure la grande pianura russa, oltre la vecchia cortina di ferro.ʺ Insomma, i politici e gli scienziati statunitensi e russi, figli di Obama o figli di Putin, avevano preferito rimanere cauti e lasciare fare, in massima parte, ai politici ai fisici ed ai finanziatori dellʹesperimento “made in Europe”. Che il Vecchio Continente facesse un pochino la sua parte nella corsa al progresso. Che diamine ! I cinesi avevano inviato osservatori ed anche i giapponesi, i quali , per loro somma disgrazia, avevano avuto unʹidea tristemente ben precisa di cosa poteva voler dire la fine del mondo, nel 1945, ad Hiroshima ed a Nagasaki. La bomba atomica era stata il primo prodotto concreto della scoperta del nucleo dellʹatomo e della sua possibile disintegrazione. Ma era storia già consegnata al grande libro della Storia. Forse non a quello dellʹesperienza; questʹultima, in ogni caso, è pur sempre il pettine dei calvi. Come dice la saggezza popolare – se ci è consentita ancora la citazione di un vecchio, collaudato, proverbio ‐ “il lupo perde il pelo, ma non il vizio.” Era lʹalba del 10 settembre 2008. Il via allʹesperimento era stato Christine Delport
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dato. Tutto era andato bene, a Ginevra, la patria di Jean Jacques Rousseau. Il filosofo che credeva nella bontà dellʹuomo (il buon selvaggio) ed era per un ritorno alla natura. Figuriamoci! Parlare di ritorno alla natura con quelli del Cern. Era anche la patria di Calvino, riabilitato in qualche modo dal Vaticano. Dai laboratori di Ginevra i neutrini venivano inviati ai laboratori sotto il Gran Sasso e lì venivano ricevuti e individuati. Tutto era andato bene. Quel giorno... La prima parte dellʹesperimento era riuscita in modo soddisfacente per gli scienziati. Poi lʹesperimento del super acceleratore aveva dovuto essere sospeso per alcuni mesi, perché qualcosa ‐ pare negli impianti di raffreddamento ‐ non aveva funzionato in modo del tutto soddisfacente. Ma gli scienziati non avevano perso lʹottimismo. Rimanevano in scena i pessimisti, tuttavia. Due scienziati se nʹerano usciti, su tutti i mass media mondiali, per esporre una teoria davvero incredibile. La Natura – sostenevano in buona sostanza i due – aveva talmente paura degli effetti catastrofici della “particella di Dio” allʹorigine del Big Bang da volerne evitare, a tutti i costi, la scoperta da parte degli scienziati. Un complesso schema filosofico matematico era stato messo a punto per dimostrare che lʹUniverso stesso sarebbe intervenuto per sabotare lʹesperimento ginevrino, con incidenti apparentemente casuali, ma in realtà per evitare la scoperta dagli esiti imprevisti e forse fatali per il mondo e per lʹesistenza stessa dellʹuniverso. Come dire che dal futuro una misteriosa entità trascendentale, abituata a viaggiare nello spazio‐tempo, si sarebbe messa di traverso per sabotare gli esperimenti del Cern e negare alla scienza umana la chiave di accesso al temibile bosone di Higgs. Di fatto, lʹesperimento nella grande macchina cacciatrice di particelle subatomiche subiva un ritardo dopo lʹaltro, per diversi intoppi in apparenza banali ma del tutto imprevedibili. I grandi cervelli erano al lavoro per riparare gli strumenti di ricerca. Christine Delport
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Nessun scienziato era disposto a dichiararsi vinto dalla misteriosa entità che forse agiva dal futuro, viaggiando nel tempo. UN INVITO A LOVANIO PER LʹASTROFISICO GENOVESE Durante il periodo di sosta forzata, dovuto allʹinterruzione temporanea dellʹesperimento, la presenza a Ginevra di tutto il personale non era più strettamente necessaria. Per Mario Righi, lʹoccasione per accogliere lʹinvito dellʹUniversità belga di Lovanio che festeggiava i trecento anni dalla sua fondazione, con una serie di conferenze pubbliche cui avrebbero partecipato luminari di varie discipline accademiche. ʺCome sono ingrassato ‐ disse tra sé il Righi, guardandosi di profilo in un grande specchio in stile rococò, nella hall dellʹhotel della città fiamminga dove era sceso, proveniente da Zaventhem, lʹaeroporto di Bruxelles. Dovrò davvero mettermi a dieta. Ma qui con questa cucina grassa e ricca di proteine sarà difficile.ʺ Non era molto alto, anzi era piuttosto basso e corpulento, un pò stempiato da unʹincipiente calvizie, stava mettendo su la pancetta. Assomiglio ‐ pensò ‐ al commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi. Il giorno dopo era in visita allʹateneo. Non capiva una parola di neerlandese, cioé di olandese. Tanto più che il fiammingo ha le sue inflessioni dialettali. Però col francese se la cavava bene. Negli ambienti accademici prevaleva ormai lʹinglese. Ma la lingua di Molière si difendeva con encomiabile coraggio dagli assalti dellʹidioma di Shakeaspeare, seppure dati i tempi di prevalenza imperiale anglo‐americana fosse difficile resistere allʹassedio linguistico. Il rettore magnifico gli presentò diversi docenti, tra i quali un curioso personaggio, dallʹaspetto alquanto distratto, allampanato con i capelli arruffati di un biondo rossiccio. Sempre con la testa Christine Delport
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tra le nuvole. E pensare, disse tra sé Righi, che lʹastrofisico sono io. Mentre la persona con la quale conversava amabilmente era un filologo, ricercatore di vecchi manoscritti, specialista nella ricostruzione dei documenti letterari dellʹepoca di Erasmo da Rotterdam. Era il professor François Van Blum, il quale oltre a venerare Erasmo ammirava la filosofia di Spinoza, cui rendeva a volte omaggio sulla tomba di un cimitero dellʹAja a fianco di una vecchia chiesa, apprezzando lʹacosmismo del grande pensatore (“tutto è Dio e noi siamo parti di Dio”). Si erano seduti uno di fronte allʹ altro nei locali della mensa universitaria nellʹunico tavolo libero con i vassoi colmi di cibi preconfezionati, guardati da entrambi con aria sospettosa. Avevano cominciato a mangiare, con scarso appetito, rivelandosi i rudimenti delle reciproche arti, così distanti eppure entrambe degne di interesse. ʺLa filologia medioevale ‐ aveva detto Righi ‐ per me è davvero fuori portata. Secondo un modo di dire dei miei posti, per me è greco!ʺ ʺPer me, invece, ‐ aveva scherzato Van Blum ‐ è essenzialmente latino. La fisica delle particelle ? Affascinante. Ecco, ma in questo caso per me è sanscrito oppure aramaico perché ne capisco pochissimoʺ. Mario Righi aveva cercato di fornire i dati essenziali di una scienza allʹavanguardia, proiettata sul futuro, ma della quale lʹumanità tutta intera si sentiva ancora esclusa almeno a livello di massa. Così come la gente comune era estranea allʹastronomia nel secolo di Galileo. Vi erano, tuttavia, molte riviste di divulgazione e ‐ avendo letto qualcosa della Vulgata ‐ anche il filologo riusciva in qualche modo a seguire il discorso del suo interlocutore genovese. ʺSi tratta di una materia davvero appassionante ‐ aveva esclamato Van Blum, portandosi in bocca un pezzo di carbonnade flamande, il suo piatto preferito (una specie di spezzatino con la mostarda di Digione) ‐ bisogna avere, però, delle conoscenze matematiche che certamente io non Christine Delport
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possiedo.ʺ ʺHo sempre creduto ‐ replicò Righi ‐ che i numeri così come le singole lettere altro non siano che una forma semplice di linguaggio. Come lo sono, ad esempio, le note musicali. Insomma, è comunicazione. Il reale quesito, secondo me , è di sapere chi ha fornito allʹuomo questi mezzi comunicativi. E con quale fine se di fine si può parlare.ʺ ʺDio ?ʺ provò a suggerire lo studioso dei Paesi Bassi, arrampicandosi sullʹargomento ontologico per mantenere desta la conversazione. ʺForseʺ replicò il fisico genovese. ʺMa anche gli animali hanno mezzi espressivi. Ciò vuol dire che sono anchʹessi figli di Dio...ʺ ʺCi vorrebbe alla nostra tavola anche un teologo, perché le nostre discipline ‐ da sole ‐ non sembrano sufficienti a chiarire il mistero.ʺ ʺBen detto.ʺ Nei giorni successivi, i due professori assieme ai membri delle delegazioni partecipanti al convegno, visitarono Bruges, Ostenda, Anversa, la città di Rubens, le venerabili università di Malines, Bruxelles e Liegi, lʹIstituto Orientalista dellʹUniversità di Lovanio la Nuova. La più bella vista per il professor Righi fu lʹAtomium di Bruxelles, monumento allʹatomo che si può visitare dallʹinterno (dotato di scale mobili) con un ristorante nella bolla superiore ed una vista impareggiabile sulla capitale belga. Era stato inaugurato, come la Tour Eiffel, in occasione di unʹesposizione universale, raffigurava un cristallo di ferro, naturalmente ingigantito diversi miliardi di volte, ed era rimasto lì al suo posto per la gioia dei turisti di tutto il mondo. Una festa per gli occhi, la vista dellʹatomium e la possibilità di entrarci dentro con un sistema di scale mobili non solo per i fisici ma anche per i ragazzini delle scuole di tutti i paesi in visita a Bruxelles che allʹinterno del meraviglioso manufatto ne combinavano di tutti i colori sotto sguardi di riprovazione e rimbrotti degli spazientiti guardiani. Christine Delport
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Per i due professori universitari la visita fu interessante, particolarmente per Mario Righi, esperto del settore. Fu dʹobbligo, invece, per il professor Van Blum compiere una sorta di pellegrinaggio laico alla casa di Erasmo da Rotterdam, nel popoloso quartiere di Anderlecht, uno dei diciannove comuni che compongono lʹagglomerato urbano della capitale belga, ormai capitale europea. Una bella vacanza, tutto sommato, per il professore genovese che ne serbò un grato ricordo. Tanto più che, in seguito, doveva ancora sentir parlare (e molto) del filologo Van Blum. Fu proprio il fiammingo a farsi vivo. Nel modo che narreremo. IL MANOSCRITTO RITROVATO Il professor Righi era tornato a Ginevra (faceva la spola tra Genova e la città elvetica sul lago Leman) perché era ripreso lʹesperimento del super acceleratore al Cern. A Genova, aveva tenuto una serie di conferenze di livello elementare per spiegare la fisica (era una parola!) agli studenti delle scuole medie in occasione delle Giornate della Scienza. Aveva visto con interesse la navicella Soyouz, aveva conosciuto lʹastronauta italiano. Insomma, scienza uber alles ! Col corollario epistemologico della filosofia della scienza perché erano in gioco gli ultimi misteri dellʹUniverso, fatto che – a dire il vero – suscitava in lui una larvata inquietudine. Un giorno, nella sua posta personale, nel quartier generale ginevrino dei fisici del Cern, trovò una lettera proveniente dal Belgio. Lʹaprì con curiosità. Era una missiva dello studioso di filologia medioevale, François Van Blum. Erano divenuti amici. La lettera diceva: ʺCaro professor Righi, le invio alcuni stralci di un libro che intendevo scrivere ma sul quale nutro parecchi dubbi che di Christine Delport
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mano in mano le esporrò. Le sarei molto grato se, alla luce delle sue esperienze di astrofisica ed in base ai risultati di quellʹesperimento che state conducendo, mi potesse dare il suo parere su alcuni punti. Si tratta di congetture che mi tormentano. Poiché, in certo qual modo, come lei vedrà scorrendo gli stralci del mio libro, si tratta di una sorta di viaggio nel tempo. Ricordo che lei usò termini il più possibile semplici per spiegare ad un profano le possibilità teoriche. Ma le confesso che non compresi molto della fisica delle particelle e della meccanica quantistica e neppure dellʹastrofisica. Comunque, veda se queste mie note hanno un qualche interesse nella sfera della sua disciplina. Spero di rivederla qui a Lovanio oppure durante qualche riunione accademica interdisciplinare in una università europea. La saluto cordialmente.ʺ Era firmata dal filologo e proseguiva con gli stralci del libro che egli intendeva scrivere per illustrare la scoperta di un ben strano manoscritto. Ecco come cominciava il suo lavoro letterario‐scientifico: Rotterdam, giugno 20 12,
Gli abitanti di Maubeuge, cittadina delle Ardenne francesi ai confini col Belgio si tramandano la leggenda del dottor Mabuse, personaggio misterioso, studioso, autodidatta ma erudito la cui repentina scomparsa ha lasciato parecchi interrogativi rispetto alla sua stranissima vita. Non fu la vita di un eccentrico, ma di un anacoreta, chiuso nel suo studio, circondato dal rispetto timoroso dei suoi concittadini , seguito dai loro segni di croce superstiziosi al solo nominarlo. Se non era proprio il diavolo, il dottor Mabuse era considerato perlomeno come un potenziale interlocutore del maligno. Una via di mezzo tra Faust e Frankenstein . La verità su questo misterioso personaggio e sulla sua scomparsa misteriosa, potrebbe essere rivelata, se sceglierò di farlo.
Sono un filologo dellʹUniversità di Lovanio. I manoscritti antichi sono stati lo scopo della ricerca di unʹintera vita. Mi chiamo François Van Blum , ho sessantacinque anni. Ho scavato , precedentemente, Christine Delport
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nella vita di Erasmo; ho ritrovato alcuni documenti scritti dal grande umanista , inediti che adesso appaiono nelle bacheche dei musei di Amsterdam e di Rotterdam . Ho ritrovato pergamene antiche scritte in latino da monaci medioevali. Ma una scoperta come quella di cui sono attualmente in possesso non ha forse termini di paragone. Eʹ davvero singolare, perlomeno strana. Lo dimostra il fatto che , pur essendo entrato in possesso‐ in circostanze del tutto fortuite che più avanti spiegherò ‐ del manoscritto del dottor Mabuse ormai da otto mesi, non mi sono ancora deciso a rivelarne al mondo il contenuto . Se una volta rivelato , non venisse creduto, io sarei screditato per sempre negli ambienti scientifici ed universitari. Diventerei lo zimbello dei miei colleghi dellʹUniversità di Lovanio. Questo il dilemma cui sono confrontato , mentre scrivo questo diario personale. Per dire anche come ho ritrovato il manoscritto che risale come lʹuomo di scienza in questione‐ alla fine del diciottesimo secolo. Era scritto in latino. Vi riferirò prima il contenuto esatto , parola per parola, e spetterà ai lettori di questo mio libro crederci o meno. Intendiamoci: Mabuse sembra davvero lʹautore della narrazione che seguirà, ma la veridicità del contenuto non è evidente. Potrebbe essere impazzito e quello che leggerete potrebbe essere solo il delirio di un folle. Storicamente, quindi, una pergamena di qualche interesse , ma nulla al confronto del fatto che il manoscritto sia vero anche nei suoi contenuti . Eppure è un racconto allucinato, una sorta di crinale , una linea di demarcazione tra scienza ed occulto, tra ragione e fede, tra realtà ed illusione. Eʹ un terreno poco sicuro per uno studioso, soprattutto per un ricercatore scientifico che è sempre tenuto al rispetto della più rigorosa obiettività. Fatte queste indispensabili premesse, ecco, dunque, qui di seguito il diario del dottor Mabuse che io ho ritrovato a Maubeuge, in quella indicata da tutti come lʹantica dimora del misterioso scienziato. Era un alchimista, in realtà. Ma tutti sanno che gli alchimisti medievali e dei secoli successivi sono, in definitiva, i padri della scienza moderna.”
Il manoscritto dellʹalchimista Christine Delport
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ʺIl mio nome è Frederick Mabuse, sono un alchimista, la mia famiglia è di origine prussiana, con un ramo genealogico nei Paesi Bassi. Io sono nato qui a Maubeuge, in Francia. Posso definirmi un autodidatta e anche se la gente ha aggiunto davanti al mio appellativo il titolo di dottore, non ho mai ottenuto la laurea universitaria. Il mondo accademico, del resto mi interessa limitatamente. La conoscenza ‐come asserisce la saggezza latina‐ viene dalla vita più che dalla scuola (scuola maestra di vita) . Non Scholae, sed vitae discimus. La conoscenza in tutti i casi non viene dalle chiese e questo è importante da ricordare. Conoscenza sapienziale dalla Bibbia , dal Corano o dai Veda ? Sorrido , sardonicamente, dicendo queste parole, come si conviene ad un ateo convinto, incallito. Eretico ? Sopporterei tutte le accuse di eresia possibili, ma finiamola una buona volta col dire che Dio ha creato lʹuomo a sua immagine e somiglianza, oppure che un signore con la barba bianca seduto su una nuvola rosa ha tratto dal nulla lʹUniverso. Poi il settimo giorno si riposò, perché come ben sanno gli astronomi, creare lʹUniverso stanca. Io, dellʹUniverso ho visto lʹessenza, ho visto lʹinconsistenza. Il suo essere – dirà qualcuno ‐ macché , il suo terrificante non essere. Esperienza sovrumana, forse, ma che cosa importano le definizioni ? Tutto è nome dietro unʹapparenza di forma. Le religioni? Un inganno di preti che hanno occultato il primitivo messaggio dei padri fondatori delle religioni stesse, in modo che la liturgia prendesse il sopravvento, direi quasi ʺistituzionaleʺ sullʹessenza, sui contenuti sul messaggio vero. Così il rituale, le formule trite e ritrite, hanno scacciato il vero contenuto, lʹessenza in nuce delle parabole o dei sutra che contenevano scintille di verità, come i Veda o le Upanishad. Oggigiorno, le verità eterne diluite nella liturgia non significano quasi nulla. Ma lasciamo stare la religione , tanto lʹodore di zolfo Christine Delport
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che si avverte nei miei appartamenti non se ne andrà con qualche esorcismo. Altrimenti sarei davvero un ateo... di poca fede. Patti col demonio? Vi starete chiedendo, nevvero ? No, nessun patto. Né con lʹinchiostro né col sangue. Se non esiste il buono (Dio) come può esistere il cattivo (il diavolo). Non sono il dottor Faust. Era uno stimatissimo collega, ma niente di più. Non ho mai visto in vita mia , vi assicuro , coda o corna di satanassi, quindi nessuna firma in calce ad una pergamena,nessuna anima da vendere, nessun offerente, nessun compratore. Il vuoto? Se si materializza, neppure il vuoto é più vuoto. Ma il termine di vacuità è più appropriato. Come dicono molti matematici, il vero mistero non è lʹuno. Il vero enigma è lo zero, inventato dagli aritmetici musulmani nel II secolo d.C. Lo studio, del nulla, oggigiorno, è diventato scienza. Allora , veniamo alla mia esperienza. Ho visto ʺqualcosaʺ e compito di questo diario ‐ che è anche una sorta di testamento spirituale ‐ è quello di narrarne fedelmente tutti gli aspetti bizzarri o terrificanti. Nessuno vorrà credere che si sia trattato di unʹesperienza reale e farà bene in quanto esiste una bella differenza tra credere e vedere come a quanto pare asseriva un certo San Tommaso. Lʹ unico rischio che corro personalmente è questo: da miscredente essere degradato a mistificatore e ad impostore. Poco male, mi vedranno come un semplice narratore di fiabe. Ma in fondo la vita di ciascuno di noi che cosʹè se non un racconto. Ha alcuni aspetti verosimili, altri meno probabili. Eʹ fatta di sogni, di speranze, di dolci illusioni alternate a delusioni amare, di verità apparenti (alcune ʺsembranoʺ più vere di altre ma può essere ʺveroʺ il contrario). Vi sono opinioni, metri di misura, valori per alcuni, carenza di valori per altri. Scopi raggiunti ed obiettivi falliti. Ma , in genere, una universale insoddisfazione di fondo. Una irrequietezza persino nella fortuna: durerà? Quando finirà ? Chi vede gli affanni provocati Christine Delport
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dalla felicità ritenuta effimera vede anche i vantaggi del distacco e della pace, dicono gli specialisti dellʹinduismo. Sia come sia, non tergiversiamo oltre e che la narrazione cominci. E chi vorrà credere, creda. La mia avventura personale prende avvio in una sera dʹ autunno, in un cupo novembre piovoso come non mai a memoria dʹuomo. Mi trovavo nel gabinetto di lavoro, impegnato in calcoli, formule chimiche ( non magiche, chimiche! ) ad armeggiare con provette ed alambicchi, in un disordine spaventoso come si conviene alla tana dellʹultimo degli alchimisti. La notte lʹavrei trascorsa come tutte le altre dellʹanno, chiuso nei miei studi e nelle mie meditazioni. Tuoni e lampi quella sera erano i miei soli compagni. Avevano sostituito i chiari di luna e le vecchie, care, costellazioni. Eppure, allʹimprovviso piombò nella stanza un chiarore lunare come se lʹintera abitazione fosse invasa da argento vivo. Unʹoscillazione della parete e , mi parve, come il rullare di decine di tuoni successivi, rimbombanti e paurosi, troppo ravvicinati lʹuno allʹaltro per avere una causa naturale. Ero stupito di essere ancora in vita perché il mio primo pensiero fu quello della folgore,entrata casualmente nella mia casa ad uccidermi per imperscrutabile decreto dellʹaltissimo (o Altissimo con la A maiuscola, poco importa). Uccidere me, vecchio, inutile alchimista, anzi ultimo, storicamente parlando, degli alchimisti che ero. Curiosa vendetta, se vogliamo, da parte della Divinità nei confronti del negatore di un dio personale in un universo , sotto tutte le apparenze , rigorosamente impersonale. E poi, la visione (che brutta ecclesiastica parola ma non so trovarne altre). Il mio ʺioʺ , chiamiamolo impropriamente così , che galleggiava nello spazio siderale e ʺvedeva ʺ, anzi , credeva di vedere non pianeti , non costellazioni , non meteore ma solo un immenso specchio che, però , rifletteva immagini: rifletteva soltanto uno specchio più piccolo e, tuttavia, abbastanza grande per contenerne un altro; e così via . Specchi, un mondo di specchi, riflessi policromi, bagliori, fuochi fatui, gelide rocce, tutti i colori dellʹiride, riflessi di occhi felini, di voci. Di voci? Sì, almeno così mi parve. Ma Christine Delport
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immaginate il mio stato dʹanimo in quel frangente. Tutti riflessi di riflessi. Specchi quadrati, rettangolari , triangolari, esagonali, ovali, rotondi. Le forme geometriche più disparate, conosciute ed immaginabili. Specchi poliedrici. Un sogno pensai, come in un lampo ; è solo un brutto sogno, un incubo. Ma per strano che fosse appariva abbastanza realistico. Tastandomi il volto con le mani sentii la mia barba, folta e bianca. Tirai la barba e provai dolore. Però posso anche sognare ‐ pensai con dubbio cartesiano ‐ di toccare la barba, di tirarla e di sentire dolore : è un gesto inconsulto e suggerisce conseguenze dolorose tali da ingannare anche un ipotetico sognatore. Così in cerca di conferme pizzicai la pelle della mano sinistra. Dolore. Altre verifiche dello stesso genere diedero tutte analogo responso. Non stavo dormendo seduto, quindi, non stavo sognando. Ero pertanto...ai confini della realtà. Avrei anche potuto perdere la calma e, con essa, la ragione. Ma in quella circostanza riuscii miracolosamente ‐ecco, qui è il caso di dirlo‐ a pensare da scienziato in modo razionale, con freddezza e raziocinio. In quel mentre, un suono di fondo si materializzoʹ e dal suono scaturì come una voce, cristallina, con echi quasi umani che si diffuse nellʹaria. La voce formulò una frase che alle mie orecchie risuonò come un invito al dialogo: ʺChiediʺ, mi ingiungeva la voce. Sentii la mia raucedine domandare in modo stentoreo:ʺChi sei? Cosa sei?ʺ Un tempo lungo di pausa , poi come unʹ eco in lontananza: ʺImmagini...ʺ. ʺImmagini di cosa?ʺ Stessa pausa senza tempo come la caduta di una foglia autunnale, mantenuta in aria dal vento che volteggia a lungo prima di toccare terra. E la replica: ʺDi idee...ʺ Mi misi a pensare ed in fretta. Tutto quel che stava accadendo era forse la proiezione onirica delle mie lunghe e faticose letture dei testi dei sapienti orientali e di altri studiosi. In ogni caso, non stavo sognando. Questo pareva definitivamente accertato. LʹEuropa erudita del mio secolo conosceva le tesi mistiche dellʹIndia ; la filosofia anche occidentale, del resto, trattava da secoli della distinzione tra fenomeno e noumeno, tra reale ed Christine Delport
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irreale. Tra realtà ed apparenza. Poi pensai: ʺ Teorie, tesi filosofiche, roba da sofisti perditempo; altra cosa, ben più reale la ricerca di noi alchimisti della pietra filosofale generatrice di oro. Che ci veniva a fare là in mezzo ʺLo specchio delle ideeʺ? Il dialogo proseguì. Sia io che lo specchio universale avevamo trovato voce e voglia di comunicare, oltre lo spazio, il tempo, la realtà e in barba, scusate il bisticcio di parole, al Rasoio di Ockam. Al mio quesito: ʺSei reale?ʺ lo specchio aveva risposto in unʹ eco rinviandomi lʹesatta domanda cui ovviamente non fui in grado di dare una risposta certa. ʺRifletto, quindi, sonoʺ, risposi ad un tratto ricordandomi di René Descartes (Cartesio) e del suo cogito ergo sum. ʺAnchʹio rifletto ‐replicò quel burlone dello specchio ‐ ma tu ed io chi siamo?ʺ. Il dibattito (era diventato, un dibattito) si incentrò sullʹessenza dellʹuniverso, delle stelle, dei pianeti. Replicai, citando Shakespeare: “ Sappiamo cosa siamo, ma non sappiamo cosa diventiamo”. E persino : “To be or not to be. That is the question!” Non starò ad annoiarvi con il resoconto esatto di quellʹincredibile conversazione. Lo specchio mi diede chiari segni di saperla lunga, ben più lunga di quel poco che sapevo io povero alchimista del XVIII secolo. Parole per me del tutto sconosciute si misero a volteggiare nella mia mente abbagliata. Quella voce misteriosa mi parlò di cose folli con unʹelencazione di termini che mi parvero scientifici come ʺgalassieʺ, ʺpulsarʺ, stelle di neutroni, neutrini, super‐novae, buchi neri (guardai con una certa vergogna la mia modesta e trascurata dimora di gentiluomo decaduto e squattrinato: più ʺbuco neroʺ di così...). Il dialogo con lo specchio toccò anche argomenti riguardanti un ipotetico viaggio nel tempo. Mai avrei pensato, allora, di poter essere successivamente il protagonista di unʹimpresa che...ma non anticipiamo. Lo specchio, quella notte, disse che poteva vedere anche le idee:ʺQuelle mutano perennemente‐ sostenne con prosopopea‐ Hai mai visto unʹidea centrale? Oppure una fondamentale, eterna,assoluta? Ebbene, nemmeno io. Come mutano le idee, Christine Delport
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mutano i tempi, muta la vita di tutti gli esseri viventi, come ha detto qualcuno: solo il mutevole dura.ʺ Ma in fondo‐ gli chiesi‐ tu cosa rispecchi? L ʹ oggetto rispose: “Rispecchio le vostre illusioni. Quelle dello spazio tempo. Quanto a te, dottor Mabuse, preferisci vivere come hai sempre vissuto, nelle tue futili alchimie, nella perenne ricerca dellʹintrovabile pietra filosofale o preferisci entrare, fin dʹora, nellʹimmenso specchio nero, il più grande di tutti noi , il più profondo ed insondabile? Vedi è quello laggiù in fondo, rischiarato dalla tenue luce che filtra dal tuo laboratorio. Eʹ quello buio. Lì, niente luce , niente riflessi, niente tempo. ʺNiente...vitaʺ azzardai con un tremolio nella voce che si era fatta più fievole. “Questo lo constaterai da te in base alla scelta che farai. I casi sono due:o stai qui con me e parliamo, parliamo, fino ad andare in pezzi, oppure, scegli lʹazione ed entri subito in quello specchio nero. Il libero arbitrio, almeno in questo esiste e tu questa notte ‐ in cui sta per realizzarsi una rarissima congiunzione astrale‐ puoi scegliere. Non capita sovente, credimi.ʺ Christine Delport
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ʺHo scelto. Specchio lucente della vita, dammi però il tempo di scrivere un diario di questa avventura. Su questi misteri riflettano, se vorranno, i posteri. Io , ripeto, ho deciso. Ma lascia che dia memoria dellʹaccaduto. ‐ Non è accaduto nulla. Tempo ne hai finché vuoi perché il tempo, in definitiva, non esiste e, quindi, è ampiamente usufruibile e puoi fare con comodo. Afferrai la penna dʹoca con mano tremante, lʹintrisi nellʹinchiostro nero come la seppia. Ed ecco qui, moderni geroglifici, i segni dellʹinaudita avventura gettati sulla pergamena rugosa. I misteri egizi non sono più misteriosi dei fatti di cui ho appena reso conto e mi creda chi può. Lʹinchiostro non si è ancora asciugato. Poserò la penna e passerò accanto allo specchio di luce. Andrò, deciso, verso lo specchio nero.ʺ I dubbi del filologo Van Blum
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Mario Righi aveva atteso con impazienza unʹaltra lettera del suo amico fiammingo. Poi finalmente era giunta col seguito della storia di Mabuse. Non era più una semplice lettera. Era la storia completa ed il plico che era giunto assieme alla corrispondenza per lʹastrofisico genovese era davvero voluminoso. Eccone il contenuto: Rotterdam, ottobre 2010 Il tempo trascorre ed io sono assalito dai dubbi. Nella prima parte della mia narrazione non ho detto come entrai in possesso del manoscritto del dottor Mabuse. Adesso, più ci ripenso e più sono assalito da incertezze spero non fondate. Eʹ già accaduto in passato. Esimi ricercatori hanno preso spaventose cantonate che li hanno coperti di ridicolo. Nella nostra professione di specialisti il ridicolo uccide più che in qualsiasi altra attività umana esposta a risibili errori. Vi sono stati i casi di quegli archeologi neo‐zelandesi i quali credettero di aver ritrovato i resti di ominidi preistorici in una banale necropoli di scimmie e di quellʹesperto dʹarte italiano che ritrovò statue, da lui attribuite ad un notissimo artista scomparso, nel letto di un torrente in secca: i reperti erano stati confezionati a bella posta da studenti burloni. Ecco, ciò che temo è proprio questo: il ridicolo. Mi assilla il pensiero di uno scherzo perpetrato da studenti ai miei danni, io il professor François Van Blum, ridicolizzato da una banda di studentelli imberbi, Mi viene la pelle dʹoca solo a pensarci. Ma se così fosse? Se il diario manoscritto del dottor Mabuse fosse apocrifo. Secondo la teoria del rasoio di Occam, citata nel manoscritto dal presunto alchimista , lʹipotesi più semplice, la più diretta e in un certo qual senso la più credibile è quella che poi, ad un attento esame, si rivelerà per vera. Ora, cosʹè più verosimile e più probabile ? Che il dottor Mabuse abbia lasciato traccia in un manoscritto del XVIII secolo di unʹincredibile Christine Delport
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esperienza cosmica, nello spazio tempo, oppure che un branco di scriteriati giovani burloni sia intenzionato a divertirsi a mie spese, sghignazzando alle mie spalle?
Ad un esame rigoroso, la pergamena non sembra poi così antica. Mi riservo beninteso esami più approfonditi sullʹinchiostro. Analisi spettroscopiche dovrebbero dare responsi sicuri. Per ora, posso unicamente felicitarmi con me stesso per non aver affrettatamente gridato ʺEureka!ʺ agli occhi del mondo.
Se rifletto sul modo in cui ʺIl manoscritto” fu da me ritrovato, le perplessità anziché svanire si accrescono. Avevo ricevuto un messaggio da Maubeuge. Era firmato da un collega filologo che mi parlava delle sue ricerche sulla vita del dottor Mabuse, scomparso, svanito nel nulla, in una notte di tregenda. Il collega mi esortava a raggiungerlo nella cittadina francese in modo da potergli offrire il mio parere sul manoscritto. Mi sentii lusingato dallʹofferta, implicito riconoscimento della mia fama di ricercatore. Telegrafai senzʹaltro allʹindirizzo fornitomi dal collega per confermargli la mia venuta. Pochi giorni dopo ero al ʺLeon dʹ Orʺ, un hotel di Maubeuge, ma nonostante le ricerche allʹindirizzo in mio possesso del filologo nessuna traccia.
Avevo deciso di andare in fondo alla vicenda. Trovai anche troppo facilmente lʹantica dimora dellʹalchimista. Il borgomastro, venuto a conoscenza della mia presenza in città, mi aveva fatto pervenire un invito a cena, colmandomi di favori e onorandomi in cento modi. Su mia richiesta, fu sollecito e ben disposto nel consentirmi di visitare ʺin qualsiasi momentoʺ la casa di Mabuse. Ma era realmente lʹantica abitazione dellʹalchimista ? Io ho visto solo una vecchia bicocca, soffocata dallʹedera rampante ed ormai in rovina. Dʹaltra parte, penso, è verosimile che unʹintera città (borgomastro in testa) si mobiliti per compiere una colossale burla ai danni di un celebre studioso? Per quale motivo ? Lʹunico che posso trovare è il seguente. Durante le mie ricerche sulla vita di Erasmo, ricevetti parecchie sollecitazioni da cittadine belghe e francesi affinché, come massimo esperto mondiale, fossi disposto ad affermare, en passant, che il grande umanista aveva soggiornato nei loro borghi almeno durante il viaggio verso lʹItalia, quando, sulla via del ritorno per ingannare il tempo Christine Delport
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scrisse ʺLʹelogio della folliaʺ, dedicato al suo amico Tommaso Moro. Le fonti storiche dimostrano un lungo soggiorno di Erasmo ad Anderlecht, odierno quartiere di Bruxelles; sul posto sorge, del resto, la casa‐museo di Erasmo. Non vi è alcuna prova certa di soggiorni in altri piccoli centri belgi o francesi. Sia che il grande umanista vi si fosse fermato davvero, oppure no. Così, non potendo storicamente comprovare le ʺsosteʺ di Erasmo, fui costretto a rispondere negativamente a un mucchio di borgomastri ansiosi di incrementare il turismo a spese mie e di Erasmo, ma soprattutto mie poiché il gioco vi era essenzialmente la mia credibilità.
Detti forse una risposta negativa anche al consiglio comunale di Maubeuge? In verità, non lo ricordo, ma non posso neppure escluderlo. Eʹ possibile che un borgomastro burlone nellʹanimo e vendicativo nellʹinconscio abbia inscenato, a mio uso e consumo, la ʺcaccia al tesoroʺ del presunto manoscritto del dottor Mabuse, inviandomi la falsa lettera del filologo locale, richiedente i miei lumi dʹesperto, con la preparazione scrupolosa e tecnicamente accurata di unʹantica magione di Mabuse, in modo che la mia sagacia di ricercatore di vecchie carte dʹarchivio potesse scovare la pergamena celata allʹinterno ? Possibile, sicuro, ma a ben vedere , poco probabile. Anche il diario avrebbe dovuto essere apocrifo, un accuratissimo falso per trarre in inganno le mie (modestamente) profonde conoscenze professionali. Un eccessivo lavoro per un borgomastro di certo troppo impegnato negli affari correnti e nei problemi della sua città per pensare alle burle ed ai tiri mancini. Appare più verosimile, al contrario, lʹipotesi di uno scherzo (e che scherzo!) goliardico perpetrato da studenti di lettere e filosofia o di storia medioevale ed intrecciatosi tra le università di Mons, Bruxelles e Lovanio ai danni del vostro servitore. Teoria alternativa: è tutto vero , il manoscritto, la storia dello specchio universale, il dialogo con Mabuse e le successive avventure spazio‐temporali dellʹalchimista. Dimostrarne lʹautenticità è già difficile, figuriamoci per quel che riguarda la veridicità del manoscritto..Ho descritto i fatti come si sono svolti, resta da precisare unʹultima cosa, in che modo ho ritrovato il documento. Era mattino di buonʹ ora, quando con il permesso firmato dal borgomastro di Maubeuge in tasca ,mi presentai davanti ai cancelli Christine Delport
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della residenza del dottor Mabuse. Un cancello arrugginito si aprì scricchiolando, sotto la spinta delle mie mani. Un suono lamentevole e sinistro , da far rabbrividire, su quei cardini stridenti. Erbacce ovunque, in giro non unʹanima viva a quellʹora mattutina sferzata dai gelidi venti del Nord.
Entrai da una porticina sul fondo nella penombra di una stretta sala polverosa. Ambienti angusti, pieni di muffe verdi e ragnatele ai soffitti consunti e polverosi, grigi come la cenere. Da una finestra i cui vetri erano rotti si scorgeva nel giardino incolto un mesto e trascuratissimo salice piangente. La mattina sembrava serena, ma era una tregua solo apparente al maltempo che da settimane imperversava sulla Francia del Nord. E allʹimprovviso, lo scoppio di un temporale a rendere ancora più tetra la mia esplorazione nella casa‐rudere di Maubeuge . Un lampo accecante, un tuono da esplosione atomica e giù rovesci di pioggia repentini e feroci. Vento fortissimo e sbattere di vecchie porte tarlate nella bicocca abbandonata, ma inaspettatamente ampia e spaziosa. Un labirinto di corridoi molte camere ormai occupate da schiere di roditori. Un piccolo esercito in fuga davanti ai miei passi sul consunto e tarlato ʺparquetʺ. Dʹun tratto, una indicazione preziosa: uno scrittoio polveroso ma ancora in buono stato: legno di noce. Il tavolo da lavoro di Mabuse ? Con ogni verosimiglianza. Rovistai nei cassetti e finalmente vidi il vetusto calamaio a fianco di una penna dʹoca impolverata e logora. Vi erano diverse pergamene ancora vergini e più oltre scorsi qualcosa di indistinto che rifletteva vagamente i bagliori di luce biancastra, scaturita dalle saette azzurrine del temporale. Era un gigantesco specchio girevole. Con estrema cautela lo spinsi. Non si mosse. Misi tutta la mia forza nellʹimpresa di far ruotare la porta specchio ed alla fine, soffiando come un mantice asmatico ci riuscii. Dietro lo scrigno la pergamena ingiallita e consunta, il manoscritto del dottor Mabuse. Lo presi e mi avviai allʹuscita. Nel voltarmi gettai ancora uno sguardo allʹimmenso specchio. Non rifletteva quasi più la luce. Era completamente annerito dal tempo. Adesso, che sapete tutto, del come ho ritrovato il manoscritto, vero od apocrifo che sia, riprendiamone la lettura perché è una narrazione lunga, quasi infinita come lʹeternità. Christine Delport
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Senza senso, forse, direte voi. Come lʹeternità, appunto. Parte seconda
Maubeuge, la data non importa. ʺSe giammai uno sconosciuto lettore riuscirà a vedere questi miei scarni e apparentemente sconnessi appunti, forse il mondo verrà a sapere cosa trovai oltre lo specchio nero nella spaventosa notte di tregenda della mia scomparsa da Maubeuge. Immagino che i miei concittadini non si saranno neppure dati la pena di organizzare delle sia pur modeste e circoscritte ricerche. ʺUn balordo di meno!ʺ avrà esclamato qualche anima pia. ʺNon poteva che finire così!ʺ avrà sentenziato qualcun altro. A Maubeuge, in Francia come in Prussia, in ogni parte del mondo non mancano certo i balordi, gli eccentrici i folli e moltitudini di cittadini pronti a censurarli. Riprendo, dunque, di ritorno dal lungo viaggio nello specchio nero, la mia narrazione che consegno al manoscritto prima dellʹultima e stavolta definitiva scomparsa. Vi avverto: è una narrazione simile al delirio di un pazzo, oppure, al ragionamento sapienziale di uno gnostico, di un anacoreta. ʺVarcato lʹenorme, e per logica conseguenza imponente, specchio buio, mi ritrovai ‐ potenza dei contrasti ‐ in una vallata tutta bianca. Verde! Correggerete mentalmente voi. Macché, bianca come il latte appena munto, bianca come la neve (che poi, a quanto pare, è nera: ma non divaghiamo). Tutto intorno a me era bianco ma riuscii a scorgere dei contorni grigi. Contorni di alberi in grigio, di case di villaggi. Bianco lo sfondo e grigi i disegni. Mi sembrò di percorrere un sentiero tracciato con due linee grigie. Mi ritrovai davanti ad un casolare e vidi uscire dallʹuscio un vegliardo che mi apparve come disegnato sulla tela. Gli mancava una dimensione, quella della profondità; alzò una Christine Delport
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mano, almeno così credetti e non capii bene se era per salutarmi oppure per arrestare subito il mio incerto avanzare sul sentiero. Lungo silenzio, colmo almeno da parte mia di ansia e di imbarazzo. Poi, il vecchio bidimensionale come stampato sulla pagina di un libro, tutto altezza e larghezza, aprì la bocca e mi parlò. Insomma, emise un inquietante ma, a conti fatti, comprensibile suono gutturale:ʺFermati straniero! La creazione è in atto. Non intralciare lʹopera del creatore!ʺ Stupore, attonito silenzio. Deglutii a malapena. Vidi crollare in un sol colpo le convinzioni ispirate da un sano, rassicurante, irremovibile ateismo, che mi avevano accompagnato per unʹintera vita. Balbettai appena: ʺMa allora esiste!ʺ ʺChi ?ʺ ʺDio...ʺ Il vegliardo apparì più attonito di me. Non replicò subito. Ci pensò sopra e ci ripensò per poi esclamare: ʺNon ne ho la più pallida idea”. ʺMa, risposi a mia volta, avete appena parlato di creazione in atto. Che significa?ʺ ʺ Beh, significa che il maestro, il signore dei colori, ha messo a punto un nuovo studio. Mi pare si dica così. Ci sta lavorando sopra, come altre volte, come sempre. Eʹ la sua tecnica a quel che pare.ʺ ʺTecnica ? Come sarebbe a dire tecnica?ʺ ʺMa sì, certamente, tecnica, arte, magia come vogliamo definirla?ʺ Signore dei colori, pensai tra me e me su quelle linee grigie cui mancava tutto, ma che possedevano qualche cosa che mi era familiare. “Devo già essere stato in questo posto ‐ pensai ‐ o devo aver visto un paesaggio che gli assomiglia in modo portentoso. Il vecchio contadino, come leggendomi nel pensiero, abbozzò un sorriso sdentato e mormorò: ʺPuò anche darsi.ʺ Pensai e ripensai. Intanto, sotto i miei occhi, la ʺcreazioneʺ prendeva forma e colore. Case, campi di grano, agricoltori Christine Delport
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pronti per la mietitura, pascoli, mucche, vitelli, pecore, ed, in cielo, nuvole bianche che sovrastano il bucolico scenario. Sulle aie, scene agresti: tavole imbandite, facce rubiconde e sorridenti di villici, e colori, una pioggia di colori. Nella schiera dei ricordi, un nome mi balenò alla mente in modo repentino: Bruegel , Bruegel, il Vecchio. Sì, non vi era più il minimo dubbio. Si trattava di un quadro, una tela della scuola fiamminga, arcinoto a tutti per giunta, intenditori dʹarte e profani. La scena era talmente realistica che mi sembrava di respirare lʹaria di quella campagna assolata, di sentire lʹodore della paglia appena tagliata, gli odori pungenti, grassi ed inconfondibili dei fienili del mondo campagnolo. Unʹopera di Bruegel, lʹAncien! Benissimo, pensai, tutto andava a posto come in meraviglioso puzzle. Opera magistrale, splendida, come tutte quelle del grande artista che verrà ammirata per secoli e secoli nei musei dai contemporanei e dai posteri fino a quando il supremo tiranno, il tempo, cancellerà tutto, riducendo quadri, colori, figure, arte, notorietà e fama ad immensi cumuli di polvere e cenere che il vento delle pianure del futuro disperderà ovunque, sino alla fine, a sua volta, della terra. Molto bene: anche lʹannessa riflessione filosofica sulla caducità della gloria mundi (sic transit). Un unico inconveniente: ʺIn questo quadro ‐ mi chiesi a voce alta, sotto lo sguardo assente del vecchio canuto ‐ io che ci faccio?ʺ Non ero davanti alla tela di Bruegel, perbacco, cʹero proprio dentro, immerso fino al collo. Ero lì, in quella tavolozza policroma di colori, assieme ai personaggi che ridacchiavano attorno a tavole imbandite, dopo il duro lavoro dellʹaratura, a uomini e donne che coltivavano la terra, che si animavano e sembravano felici di vivere. Pensai, dʹun tratto, che per quanto singolare fosse la mia posizione, mi era andata ancora bene. In un quadro di Bruegel cʹera pace, serenità bucolica, calma , cinguettio di uccelli, raglio di asini, belare di pecore, starnazzare dʹ oche, latrare di cani, Christine Delport
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muggire di mucche e buoi, e tutto ciò in mezzo a paciosi e laboriosi contadini. Un orizzonte sereno, composto ed allegro. Mi dissi, con un pizzico dʹumorismo involontario, che sarei anche potuto finire nella battaglia delle Termopili oppure in una delle tante artistiche e terribili raffigurazioni dellʹinferno dantesco. Chiesi al vegliardo che se ne stava sulla porta a scrutarmi se avesse mai ricevuto ʺvisiteʺ simili alla mia. Mi premeva sapere se lo specchio nero era una sorta di mezzo per il trasporto psichico o che cosa era realmente, forse un veicolo per andare oltre la vita. ʺLa creazione ‐ mi rispose con un sorriso rassegnato, il vecchio ‐ è appena terminata. I colori non sono neppure asciutti, come volete che vi siano stati altri visitatori se noi ancora non cʹeravamo?ʺ Strana ma convincente logica: ʺForse negli altri quadriʺ azzardai. ʺAh, questo non posso dirlo. Io negli altri quadri non cʹero.ʺ sogghignò il vegliardo, restando immobile e ormai silenzioso sullʹuscio della sua dimora, dove avrebbe trascorso il resto della sua esistenza. Il quadro in cui ero immerso aveva preso forma. Colori splendidi, tinte impareggiabili, una meravigliosa campagna piena di creature vive, un inno al regno minerale, vegetale ed animale. Ma riflettei ancora: come tutto ciò fosse potuto accadere. Che parte avevo avuto io in quegli avvenimenti ? Era un sogno? Immaginavo di essere finito dentro un quadro di Bruegel e vivevo come se lʹavventura incredibile fosse vera e reale. Ma che accadrebbe se... Appena il nuovo pensiero mi attraversò la mente, non tardai a scoprire cosa significasse per me quello che generalmente si definisce un mutamento dello stato dʹanimo. Pensavo ad una bella giornata di sole allʹaria aperta, appena varcata la soglia dello specchio nero apparso nel mio gabinetto di lavoro, e mi ritrovai nella quiete di una tela bruegeliana. Allʹimprovviso, però, il vecchio canuto contadino si dissolse, svanì al mio sguardo. Lui non cʹera più e, alle sue spalle, vidi scomparire più lentamente la casa, i campi di grano, i villici , gli animali, le tavole di legno apparecchiate ed imbandite, gli alberi, Christine Delport
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i fiori. Qualche cosa vi si sovrappose : i colori giallo‐aureo dei fienili e dei campi divennero lividi, violacei. La veduta dʹinsieme rimase grandiosa, ma dalla quiete scaturì una tremenda tempesta. Si addensarono sulla mia povera testa nubi grigie e nere con colori rossastri. Non più dolci, sinuose, colline dai contorni illanguiditi, ma ‐ al loro posto‐ orrendi dirupi a strapiombo su acque tormentate e furiose ribollenti di una sorta di primitiva e naturale malvagità. Come se alle scene di una natura in pace con sé stessa si fossero sostituite le anime inquiete delle tragedie greche con in testa le Erinni, le Arpie, Medusa e Megera. Fulmini e saette, squarci vermigli e poi volti orrendi di creature sbucate dagli Inferi, sguardi febbrili, allucinati, folli; teste umane su corpi e membra bestiali, pesci con bocche e denti umani , uomini‐pesce, visioni da incubo che ‐ pensai in un battibaleno ‐ non potevano essere raffigurati da altri, se non da Hieronymus Bosch. Ma certo. Era proprio lui: il pennello di Satana, il supremo interprete di un mondo surrealista ante‐ litteram, il sublime pittore della dannazione e delle pene inflitte ai peccatori. Anche lʹorrore, se in qualche modo ci appare familiare e conosciuto, finisce per avere un effetto rassicurante. Superato il primo attimo di panico, mi sedetti su uno spuntone roccioso e gettai uno sguardo intorno. Terrificante ma bello: come le due definizioni possano andare insieme è uno dei misteri dellʹarte e dellʹestetica. Quanto a me, ero passato di colpo, dalla non richiesta ospitalità (chiamiamola così) di un quadro di Bruegel a quella di uno di Bosch, pittore che ammiravo. Forse per questo motivo fu attutito il trauma psicologico nel mio animo tormentato. Orribile visu: orrendo da vedersi, ma che potenza espressiva, che gamma di colori, che immagini forti e dirompenti, che forme, che quadri . Peccato, pensai , non poterlo ammirare dal di fuori alla luce giusta. Ma esserci addirittura caduto dentro è il massimo (oggi sono disposto ad ammetterlo) per un alchimista e lo sarebbe stato anche per un critico dʹarte desideroso di documentarsi ʺda Christine Delport
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vicinoʺ. Quanto a me, più vicino di così non avrei potuto essere. I miei abiti erano ancora imbrattati di azzurro, verde, giallo , ocra, i colori bucolici del dipinto di Bruegel , poiché quella tela era ancora ʺfrescaʺ. Nel nuovo scenario apocalittico, nessun odore particolare di pittura. Il dipinto era lì da parecchi anni. Aveva avuto tutto il tempo di asciugare. Ma per me si era aperto lʹinferno, anzi si erano spalancati tutti gli inferi danteschi. Non ebbi il tempo e neppure la volontà di analizzare la mia situazione, talmente assurda da apparire onirica. Posso ammettere adesso, mentre annoto sulla pergamena lʹincredibile avventura che ciò che mi stava accadendo mi fece una dannata impressione, facendomi tremare le vene ed i polsi. Il pittore in questione è impressionante per un osservatore esterno , potete , dunque, vagamente immaginare la reazione dellʹosservatore interno divenuto in parte protagonista della fantasmagorica e magistrale interpretazione di uno dei tanti inferni terrestri od extraterrestri possibili. In parole povere, bisogna convenire che ammirare un quadro non è la stessa cosa che caderci letteralmente dentro e dover in tal modo affrontare una nuova ed inaspettata realtà. Eppure, quella era la mia situazione dopo quella notte del dialogo con il dannato specchio. Lui ed i suoi inviti al viaggio! Un sapiente alchimista non è , modestia a parte, un pavido zoticone, un fifone codardo. Ha abitualmente un certo ʺaplombʺ, una sua personalissima ʺallureʺ , ma lʹesperienza ha un potere tutto suo di suscitare inquietudine ed, infatti, se non terrorizzato ero a dir poco inquieto. Ero stato sbalzato, in un sol colpo, dal mio studio della dimora di Maubeuge in terra incognita, in una sorta di Ultima Thule della ragione. Al di là di tutto ciò ‐ riflettei in quei momenti che mi sembrarono eterni‐ vi è lʹ insanità mentale, le ragnatele di un labirinto in cui i fiori del pensiero muoiono e le erbacce della follia crescono rigogliose senza più ostacoli e senza possibilità di ripensamenti. Non vi era più il tempo per ammirare, per stupirsi, per rallegrarsi di un viaggio nellʹignoto, cʹera solo il timore che Christine Delport
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quellʹavventura a dir poco insolita potesse celare qualche cosa di reale. Ciascuno di noi, ricordo di essermi chiesto, può trovarsi repentinamente prigioniero dei propri fantasmi ? Magari fossi stato un fumatore di oppio come certe mie conoscenze. Avrei almeno potuto attribuire al fumo della droga il ʺnuovo mondoʺ che mi sfilava dinnanzi. Invece, no . Virtuoso come un Cicerone e sobrio come un Anabattista. Ricordai confusamente ‐ e chi non sarebbe stato confuso, trovandosi nei miei panni? ‐ che uno dei miei antenati, Van Mabuse, era stato un pittore olandese abbastanza famoso ai suoi tempi. Avevo visto alcune sue opere figurative . Se, varcata la soglia dello specchio cupo ‐ mi chiesi con ansia ‐ho acquisito la poco invidiabile facoltà di finire dentro i quadri, già dipinti o in via di realizzazione, come se si trattasse di scene reali, forse anchʹio sto collaborando allo svolgersi di simili prodigiosi avvenimenti, con una partecipazione mentale. Per cadere in un quadro, bisogna averlo visto oppure esserselo raffigurato. Dunque, riflettei, ciò che potrei provocare con le mie sole facoltà psichiche sarebbe la discesa in un quadro da me immaginato, anche se mai veramente realizzato per semplice mancanza di una tecnica pittorica. Unʹ amica mi raccontò che le capitava spesso, la notte, nel sonno dʹimmaginare favolosi dipinti che, al risveglio, ancora ricordava ma che non riusciva a tradurre in quadri per mancanza di esperienza nellʹarte della pittura. Anchʹio credo di aver sognato dipinti ma anche se li avessi rammentati nei minimi particolari , risvegliandomi non sarei stato capace di dipingerli perché, se come alchimista valgo qualcosa, ahimé come pittore...Non ho mai imparato a dipingere, ma dopo una simile esperienza, forse la tecnica pittorica mi sarà entrata nel sangue. Intanto, riflettevo sulle possibili vie di uscita o di ritorno. Avrei forse potuto immaginare qualche cosa di diverso, un altro dipinto ed allora, addio campagne serene e rigogliosi fienili, addio case e fattorie, ma addio egualmente a mostri mezzi umani e mezzi pesci. Addio Bruegel ed addio Bosch. Christine Delport
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Sentii, però, vicinissimo il pericolo come un sonnambulo sullʹorlo di un precipizio. Attento ‐ dissi tra me ‐ a non pensare a fatti orrendi. Ammettiamo, riflettei, che la mente abbia una sua intrinseca, decisiva potenza, ma guai ad usarla male. In tal caso , potrei autodistruggermi. Eppoi, quanto alla via di uscita, se tutto quello che mi accade è un incubo, bisognerà cercarla altrove perché non sarà entrando e uscendo da un quadro allʹaltro che potrò ritrovare la vecchia dimensione spazio‐temporale che appartiene di diritto a ciascun essere umano ma che io ho smarrito. Sempre seduto sul mio spuntone roccioso, nel mondo di Hieronymus Bosch, ripensai agli ultimi avvenimenti. Mi accorsi allora che , pur essendo allʹinterno di diversi quadri, ero rimasto per tutto il tempo collegato più che altro con i loro mezzi espressivi. Mi spiego meglio: nel paesaggio di Bruegel avevo parlato con il vegliardo: facoltà uditive,quindi, perfettamente funzionanti. Ma quel vecchio sulla soglia di casa parlava realmente o era solo la mia immaginazione che lo faceva parlare, come un automa nelle mani di un ventriloquo ? Ecco quale era il punto. Ricordo che ,in quel frangente, scelsi la seconda ipotesi. In quel quadro, verosimilmente, cʹ ero solo io e la pittura di Bruegel. Il vegliardo non aveva mai aperto bocca. Io lo avevo fatto ʺparlareʺ e sempre io lo avevo ʺascoltatoʺ. Nessuna facoltà uditiva era,dunque, in gioco. Facoltà olfattive ? Non avevo annusato, forse, della paglia e del fieno ? Ma avevo annusato o creduto di annusare. Ricordai, inoltre, che quando mi ero trovato nella tela allucinante di Hieronymus Bosch non mi ero portato dietro fili di paglia, steli di fiori, macchie dʹerba. Nellʹopera di Bosch, nessuna macchia in quanto la tela era più vetusta e nessuna creatura infernale mi aveva molestato. Insomma, per concludere, che io fossi fuori del quadro oppure dentro poco importava ero sempre e soltanto un osservatore; cambiava unicamente la prospettiva della visione , cosa naturalmente di non poco conto mai io non incidevo sulla scena raffigurata in alcun modo e la scena non interferiva con la mia presenza quasi che io fossi incorporeo ed il mio essere sul luogo Christine Delport
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raffigurato, e con i personaggi dipinti, una pura e semplice astrazione mentale. Era altresì evidente che dal quadro in gestazione di Bruegel non avevo portato via alcunché, in quanto ricordavo fin troppo bene quel capolavoro, conoscevo il museo in cui è conservato, perfettamente intatto, integro e gelosamente custodito. Eppure come era parso reale quel mondo di finzione, non lʹavevo visto dal di fuori, da molto vicino, no, lʹavevo visto dal di dentro. Poiché ciò che io ero divenuto era proprio questo: un essere dotato di atemporalità di dimensione variabile , capace di trovarsi in una sorta di spazio‐tempo parallelo. La spiegazione dei perché e dei percome lʹebbi più tardi, molto più tardi. Per ora sappiate che ne uscii in modo semplice, con un sforzo di fantasia banalissimo: immaginai, soltanto, di essere altrove. In un altro quadro? Non necessariamente. Che cosa può desiderare un alchimista se non di conoscere il re degli alchimisti, il più grande di tutti, il fondatore per così dire dellʹonorata professione ? Vedo, caro sconosciuto lettore, che cominci a capire. Se le mie nuove facoltà mentali mi avevano consentito di immergermi, diciamo così, nelle opere di due ammirevoli ed ammirati pittori, cosa avrebbe potuto impedirmi ‐ mi chiesi , con malcelata impazienza‐ di tentare lʹesperimento fino alle conseguenze più estreme e realizzare un vecchio (ovviamente impossibile) sogno, quello di dialogare con un certo personaggio che, ammettiamolo pure, è sempre rimasto in bilico tra lʹocculto e la scienza, tra il gioco di prestigio e la magia, tra la preveggenza ed il mistero. Cagliostro il mago ? Ohibò, siete completamente fuori strada. Anchʹio, come avrete potuto constatare, non percorro i sentieri abituali in questi ultimi tempi, ma di conoscere Cagliostro non mi era venuto in mente (anche se successivamente lo conobbi realmente come riferiròʹ più avanti in questo mio manoscritto). UN INCONTRO IN PROVENZA
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Il personaggio che pensai di incontrare e che incontrai era un altro: Nostradamus. Ero stato ad Arles , in Provenza, avevo visitato, in quellʹoccasione, la casa di Nostradamus, con molto interesse ed un unico rimpianto: non aver trovato in casa il grande veggente per il semplice fatto che era morto e sepolto da diversi secoli. Se il passaggio attraverso lo specchio nero ‐ pensai ‐ mi ha offerto tra le altre facoltà, la possibilità di essere atemporale, un viaggio nel tempo mi è consentito e voglio uscire da questo inferno surreale, popolato di mostri per conoscere a Salon di Provenza, il principe dei veggenti, degli studiosi alchimisti ricercatori della pietra filosofale, Nostradamus. Mi sforzai di ricordare in tutti i particolari, nei minimi dettagli, la casa del veggente provenzale, la sua fisionomia che un ritratto della sua epoca ha tramandato ai posteri. Mi concentrai con tutte le mie forze dicendomi nel contempo che un fallimento di questo tentativo mi avrebbe forse condannato a vivere negli inferi dellʹarte figurativa, oppure mi sarei visto costretto ad immaginare improbabili paradisi pittorici (compito più agevole per un musulmano che può almeno immaginare il paradiso delle Uri, promessogli dal profeta se sarà stato buono in questa vita terrena). Realtà pittoriche inusuali e sicuramente inadatte per un vecchio alchimista più portato al dialogo filosofico, alla ricerca, insomma, ad un certo tipo di cultura accanto al caminetto, confortevole e pantofolaia. Se avventura ha da essere, mi dissi, che si svolga almeno tra persone dabbene, tranquille e ponderate, lontana , questa avventura, dai veri avventurieri (quelle esperienze finiscono sempre male). Dunque, esclusi mentalmente le situazioni che mi avrebbero portato a conoscere tipi storici come i grandi condottieri. Rabbrividii al pensiero di trovarmi a fianco di Alessandro Magno o di Giulio Cesare. Non presi neppure in considerazione lʹidea di comparire alla presenza di pur attraenti (a quel che sostengono gli storici) figure femminili del tipo Semiramide , Cleopatra, Messalina (con Nerone nelle vicinanze) o Lucrezia Borgia (con quel padre e quel fratello) e via dicendo. Christine Delport
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Mettiamola così: per raggiunti limiti di età, simili incontri avrebbero sicuramente rivestito un carattere storiograficamente interessante, ma altamente sconsigliabile per un vecchio saggio dalla reputazione immacolata. In più, buon senso e prudenza mi suggerivano una visita a Nostradamus, veggente tranquillo a Salon di Provenza ben lontano dalla Caterina deʹ Medici sua protettrice ma anche pericolosa e spietata sovrana intrigante nel senso di autrice di inimmaginabili intrighi. I miei sforzi mentali furono coronati da successo. Ignoro quanto tempo ci volle ma alla fine di un lasso di tempo che mi parve, ad ogni buon conto , incredibilmente lungo i contorni del dipinto di Bosch cominciarono a farsi meno nitidi e a sbiadire un poco alla volta; tutte quelle creature del bestiario figurativo del maestro fiammingo persero consistenza e spessore. Lentamente si dileguarono come una nebbia mattutina ai primi raggi del sole trionfante e, dalle livide nebbie dei paesaggi nordici cui ero abituato a Maubeuge mi trovai catapultato verso il solare, azzurro e caldo Midi della Francia. Riconobbi immediatamente la casa a forma di torre appena la vidi. Era quella di Michel de Notre‐Dame, detto Nostradamus, nato a Saint Remy de Provence nel 1503, morto a Salon de Provence nel 1566. Una lapide sulla dimora ricordava che ʺin quella maisonʺ visse e morì Michel Nostradamus , astrofilo, medico di corte del re autore degli Almanacchi e delle immortali Centurie. Bussai alla porta. Era un uscio di tipo rinascimentale e ciò mi indusse ad interrogarmi sullʹepoca in cui mi trovavo. In che anno eravamo ? La risposta lʹebbi alcuni giorni più tardi, consultando uno degli almanacchi del veggente. Eravamo nellʹanno di grazia 1550. Dopo aver bussato allʹuscio, dovetti aspettare parecchio tempo prima di veder arrivare una vecchia domestica che, lanciandomi uno sguardo diffidente, mi chiese chi fossi e cosa volessi. ʺVorrei sollecitare un colloquio col vostro padrone, Maistre Nostradamus, il saggio di Saint Remy. La donna restò a lungo pensierosa. Poi replicò: ʺDovete attendere qui!ʺ e richiuse la porta. Rimasi lì ad aspettare nella strada polverosa, poco lontano Christine Delport
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dalla grande chiesa ; sapevo benissimo che, una volta morto, Nostradamus sarebbe stato sepolto in una cripta di quellʹedificio religioso così vicino alla sua casa. Ma adesso, viaggiatore del tempo, speravo di poterlo incontrare di persona , vivo e vegeto, e, forse, ottenere lʹambitissimo codice criptato che tutti i ricercatori del mondo ambivano scoprire, per poter infine decifrare i suoi oscuri versi divinatori delle Centurie od ottenere, comunque, qualche lume sulla sua chiaroveggenza che, naturalmente, mi lasciava parecchio scettico, in primis, a causa del mio pervicace ateismo opposto a qualsiasi ingresso in una dimensione sovrannaturale. Eppure già il fatto di riuscire a viaggiare nel tempo, di per sé, era lʹeloquente dimostrazione di una sfera sconosciuta, occulta a conferma della limitatezza dei sensi umani ed a riprova di un mistero più vasto che poteva al limite, inglobare, persino la divinità quali che ne fossero le caratteristiche (si tratta soltanto, in ultima analisi, di intendersi sulle definizioni e sulle parole). Insomma, non credevo in Dio eppure sentivo che avrei esitato parecchio prima di fare una simile confessione a Nostradamus che in Dio doveva crederci al punto da asserire di poter svolgere lo sguardo al più lontano futuro, collocandosi nella posizione del motore immobile dellʹUniverso che ingloba con un solo sguardo passato, presente e futuro. In altre parole, un onniveggente che aveva almeno ricevuto da una imponderabile entità divina (o presumibilmente tale) quellʹimpareggiabile dono. Il dono dellʹonnipotenza, invece, no perché i veggenti hanno il dono della divinazione ma non il potere di cambiare alcunché nei destini dei mortali. Ma sul fatto che Nostradamus fosse un ʺcredenteʺ nel senso che comunemente si attribuisce a questo termine non potevano sussistere dubbi di sorta. La sua famiglia di origine ebraica si era convertita da tempo al cristianesimo. Il padre, anchʹegli medico di Montpellier aveva preso questa decisione e la sua fede doveva essere grande poiché, indipendentemente dalla religione professata ‐ doveva essersi detto ‐ il Dio rimaneva uguale per tutti, purché si trattasse di una religione monoteista e non unʹidolatria pagana panteista. Christine Delport
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Il fideismo in coloro che abbandonano una religione per abbracciarne unʹaltra devʹessere necessariamente forte, poiché i convertiti debbono dire a sé stessi ‐ per convincersi ‐ che , indipendentemente dalla religione professata, ciò che realmente conta è la fede comune nellʹAltissimo. Ero disposto, quindi, a mettere da parte lʹ ateismo , almeno durante il colloquio con il Mago di Salon, ammesso che colloquio potesse esservi. La domestica tornò a riaprire la porta e mi chiese di seguirla. Salimmo una rampa di scale a chiocciola ed al secondo piano fui introdotto in una sala dalle finestre oscurate da tende che soffondevano alla luce del giorno riverberi azzurrini nei locali. Dietro un enorme tavolo, la figura a me famigliare di Nostradamus mi apparve come circondata da una sorta di luce vermiglia, effetto di un enorme candelabro con candele che bruciavano alle spalle dellʹimponente personaggio. Ricordo che lʹastrologo indossava la lunga tunica nera sul davanti della quale si adagiava una folta barba bianca. Nostradamus indossava il tradizionale copricapo. Con uno sguardo penetrante ma sereno mi squadrò dalla testa ai piedi; non fece, tuttavia, alcun commento sulla foggia del mio abito che era, ovviamente, del tutto inusuale per la sua epoca, facendo di me ai suoi occhi uno strano tipo eccentrico. Poi mi interpellò allʹimprovviso: ʺQualʹ è , messere, lo scopo della vostra visita?ʺ ʺHo sempre desiderato conoscervi ‐ risposi con la massima cortesia e deferenza ‐ o, per meglio dire, incontrarvi di persona, perché quanto a conoscervi, sono da tempo al corrente della vostra fama di medico, di astrologo e di alchimista...ʺ ʺPer questo motivo avete intrapreso un così lungo viaggio. Ma devo dirvi, in verità, che vi stavo aspettando...ʺ ʺMa come è possibile ?ʺ ʺA me è possibile!ʺ, replicò con un sorriso divertito, mentre un lampo di infantile malizia gli balenava nello sguardo. Sì, appariva enigmatico ma divertito come in un gioco di indovinelli. Ebbi la netta impressione che, in realtà, conoscesse Christine Delport
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tutto di me, ivi compreso il fatto che venivo dal Diciottesimo secolo, vale a dire da un tempo, il Settecento, che si collocava duecento anni dopo la sua morte, una morte che il grande veggente provenzale aveva previsto. Si narrava che avesse profetizzato le circostanze e la data esatta della sua dipartita: 2 luglio 1566 e anche lʹora precisa. Negli ultimi anni della sua esistenza, si era ritirato nella bella dimora in cui stava, per lʹappunto, ricevendomi nel quartiere di Ferreiroux a Salon di Provenza. Lo scrutatore dei destini umani era lʹastrologo di corte durante il regno di Enrico II. Caterina deʹ Medici credeva ciecamente nelle sue arti mediche e divinatorie. A Parigi, ai giorni nostri, ancora viene mostrata ai visitatori la torre vicina alla chiesa di Saint‐Eustache, dove Caterina saliva spesso in compagnia di Nostradamus per scrutare il cielo stellato e trarne auspici. Lʹastrologo rivelò alla regina madre anche la terribile sorte che attendeva Enrico II , mortalmente ferito in singolar tenzone nel celebre duello con Montgomery. Nel torneo cavalleresco, la lancia di Montgomery penetrò , accidentalmente, spezzandosi nel casco dorato del sovrano che cadde da cavallo ed agonizzò due giorni e due notti prima di morire. Profezia contenuta nella Centuria I di Nostradamus e che fece gridare ai sudditi ed ai cortigiani imbestialiti ed in collera: ʺCrepi lʹastrologo!ʺ La profezia era stata così esatta ed inesorabile che , a corte, non erano pochi coloro i quali ‐ spinti, forse, anche dallʹinvidia per i favori che Caterina riservava al vate ‐ volevano addirittura fare uccidere quellʹuccellaccio di malaugurio. Il ʺcorvoʺ nero, però, era protetto dalla regina. Nel colloquio appena iniziato volli ricordargli i suoi successi come medico ed elogiai il fatto, storicamente accertato, che ‐ grazie alle sue raccomandazioni ed alle precauzioni prese ‐ in Provenza era stata debellata unʹepidemia di peste. Il complimento non lo lasciò indifferente e parve fargli enorme piacere, in quanto lo vidi raddrizzarsi impettito sulla sedia e sorridere. Evidentemente, menava maggior vanto dalla propria attività di medico, laureato allʹuniversità di Montpellier, che Christine Delport
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dalle sue arti divinatorie per le quali forse non aveva alcun merito personale, essendo esse innate. Lʹarte medica, invece, gli era costata sforzi, lunghi studi, ricerche ed acutezza dʹingegno. ʺSapete come si sconfiggono le terribili malattie infettive ? Con lʹigiene, mio caro, con lʹigiene.ʺ Gli ricordai che durante le pestilenze, nel Medioevo, la gente si raccoglieva in massa nelle chiese per pregare... ʺOttimo metodo ‐ replicò con una smorfia di disgusto ‐ per diffondere ancor più la terribile epidemia. Io non raccomandai messe e devozioni, ma igiene con lo zolfo e isolamento per i casi accertati. Alcuni guarirono, altri no. Ma almeno il contagio non si estese per contatto.ʺ Un Nostradamus laico, fustigatore delle superstizioni religiose ? Certo, un grande medico nella tradizione familiare. Inaspettatamente, mentre parlavamo di medicina, mi chiese:ʺNella vostra epoca vi sono ancora alchimisti ?ʺ ʺCome ? Sapete, dunque, da che epoca provengo...ʺ ʺMa certo! Però non avete risposto alla domandaʺ. ʺNo! Io sono lʹultimoʺ ʺNon si è mai lʹultimo. Guardate quanti maghi sono alla ricerca della pietra filosofale. La ricerca continuerà. Su questo è dʹaccordo un altro grande profeta Ulrico di Mayenzaʺ. ʺDite sul serio ?ʺ ʺVedete: noi maghi e naturalisti siamo sempre esistiti. Vi basti ricordare, nevvero, Paracelso che firmava le sue pregevoli opere esoteriche con il nome, o meglio lo pseudonimo Filippo Aureolo Teofrasto. Era svizzero e , come me, medico e mago. Si chiamava, in realtà , Theopfrast Bombast von Hohenheim. Nulla di sorprendente che i suoi estimatori abbiano abbreviato il tutto in Paracelso. Ebbene, era convinto a ragione che lʹuomo fosse un microcosmo in cui si rispecchiavano tutti gli elementi naturali dellʹuniverso. Era o non era il decano dei farmacologi , anzi lʹideatore di questa scienza ? E lʹitaliano Bernardino Telesio che ci parla della natura e delle sue leggi che noi dobbiamo seguire per essere in armonia con il cosmo. E ancora Cornelio Agrippa di Nettesheim, teologo , alchimista, astrologo. Fu Christine Delport
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proprio lui ad ispirarmi una sorta di fusione o per meglio dire di osmosi, tra lʹantica tradizione filosofica dellʹ Occidente con quella dellʹEbraismo della Cabala e con il pensiero magico ‐ esoterico dei Rosacroce. Ma queste cose, caro dottor Mabuse, voi le sapete di certo. Sapete anche che vi è unità totale tra il microcosmo umano ed il macrocosmo universale. In miniatura, noi siamo parti essenziali dellʹUniverso, immenso organismo vivente. Telesio ‐ e aveva perfettamente ragione ‐ riteneva che anche i bruti avessero il pensiero. Infatti, gli altri animali pensano, riflettono, decidono in un senso o nellʹaltro in base alla propria natura, ai propri istinti. Anche nel mondo animale ‐ persino in quello vegetale, credetemi‐ esiste lo Spirito universale. Tutto è scritto nellʹimmenso libro della Natura. Basta saperlo leggere e non farsi fuorviare da baliverne umane, da miti, da superstizioni scaturite non dalla madre comune ma da menti fuorviate e contorte.ʺ Ero rimasto ad ascoltarlo, assorto ed ammirato. Una personalità convincente e carismatica come la sua non poteva che impartire lezioni, ma rimanevamo lontani dai misteri. Nessun accenno alla grande piramide, solo unʹallusione di sfuggita ai Rosacroce. Quali segreti erano custoditi nella casa‐osservatorio cosmico di Nostradamus. Ero lì per scoprirlo e decisi di affrontare in modo diretto gli arcani che mi stavano a cuore. ʺAvete previsto il futuro e sapete che io giungo in casa vostra direttamente dallʹavvenire e non ve ne stupite minimamente. Qualʹè, ditemi, la chiave di lettura delle vostre Profezie, il codice per penetrare i criptici segreti delle Centurie ?ʺ ʺHo usato lʹermetismo ‐ mi rispose dopo una pausa di riflessione ‐ perché passato, presente e futuro non hanno mai unʹunica chiave di lettura, un unico codice. Anche qualcosa avvenuto oggi stesso ha un significato diverso per due persone differenti. Ad esempio, per la mia domestica , Juditte, che è venuta ad aprirvi la porta e vi ha introdotto nel mio studio, voi siete uno dei semplici visitatori che vengono frequentemente a consultarmi. Avrà notato la curiosa foggia dei vostri abiti e vi avrà scambiato per un eccentrico elegantone. Ignoro se qualcuno in strada vi ha Christine Delport
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visto entrare, ma qualsiasi abitante di Salon vi avrebbe scambiato per un paziente in visita al suo medico, oppure per unʹanima desiderosa di conoscere il proprio destino dal mago. Soltanto io, ʺvedendoʺ giusto , so chi veramente siete: un viaggiatore del tempo come me. Non siamo in molti, ma sulla Terra ogni tanto ne appare uno. Buddha era un viaggiatore nel tempo ed anche Gesù. Tutti i profeti ed i fondatori di religioni lo erano, compreso Maometto. Lo era Mosé, quando sul monte Sinai, ricevette le tavole astrali della legge universale. Lo era Noé che seppe, in anticipo del Diluvio Universale per il semplice fatto che lo aveva scorto prima, lo aveva visto apparire allʹimprovviso tremendo e devastante. Lʹ idea dellʹArca era sua. Era un ecologista del suo tempo per questo salvò tutte le specie animali che gli uomini delle epoche successivi invece hanno , in molti ‐ troppi! ‐ casi condannato allʹestinzione. I viaggiatori del tempo si dividono solo in tre categorie: quelli che, come voi caro amico, preferiscono il viaggio nel passato. Non offendetevi, ma costoro sono i prudenti, quelli che non accettano, neppure come ipotesi , salti nel buio. Avrebbero la facoltà, beninteso, di volgere lo sguardo al futuro di ritrovarsi nellʹavvenire e scoprire come tutto andrà a finire... ma preferiscono viaggiare nel passato per districare enigmi storici irrisolti, per sfatare leggende, per fare affiorare alla luce misteri irrisolti. La seconda categoria degli avventurosi , arditi ma imprudenti, si lancia a capofitto unicamente nel futuro, senza troppo riflettere, ma poi il futuro porta loro oltre il coraggio la virtù della sapienza e, quindi, diventano saggi. Entrambe le due prime categorie dei viaggiatori, chiamiamoli così a senso unico, poi maturano e diventano i perfetti della terza specie e cioè coloro che indifferentemente volgono la prua sia verso il passato che verso il futuro. Noi vecchi viaggiatori nel tempo , i perfetti della terza categoria, andiamo avanti e indietro senza discriminare , vedendo il tutto come un eterno presente e conoscendo lʹillusorietà e lʹ impermanenza del tempo, la relatività spazio‐ temporale. Gli altri li chiamiamo i novizi, i neofiti, coloro i quali scoprono, come avete fatto voi, di avere una Christine Delport
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rarissima facoltà ed, in genere, proprio come voi ,si volgono al passato e scelgono professioni idonee alle loro innate tendenze, ai loro percorsi mentali. In questʹepoca, come nella vostra, lʹarcheologia non è stata ancora inventata come scienza. Ma in futuro ‐ prendete nota di questa nuova profezia ‐ vi saranno archeologi di professione. Gente che, a suo modo, viaggerà nel passato. Le grandi scoperte saranno dovute ad archeologi viaggiatori nel tempo: verrà trovata la città di Troia, cantata da Omero nellʹIliade. Verrà ritrovata lʹarca dellʹAlleanza sul monte Ararat. Verrà trovata Atlantide che giace in fondo allʹOceano Atlantico poco lontano dalla Colonne dʹErcole (lo stretto di Gibilterra).ʺ ʺDunque ‐ replicai ‐ sono un viaggiatore novizio, per questo ho scelto il passato, ma non andrò mai nel futuro?ʺ ʺSì, voi tornerete nel futuro,anche quello che va oltre il vostro tempo astrale di nascita; ma affinché il viaggio nel futuro diventi abitudine si richiedono altre facoltà, altre prove. Quando si riesce a leggere perfettamente nel passato dellʹumanità, nel passato del cosmo, in tutto il passato anche quello più remoto, quando si è realmente compreso la struttura dellʹuniverso, il viaggio nel futuro viene ricercato e diventa possibile.ʺ ʺAspetterò da buon alchimista di terminare il noviziato.ʺ ʺ Non dovrete aspettare molto, perché la scelta della professione, nel vostro caso lʹalchimia come nel mio, è già indicativa della fase cui un viaggiatore nel tempo si avvicina.ʺ ʺIl concetto non mi è chiaro...ʺ ʺEppure è semplice.ʺ Per la prima volta , scorsi un sorriso di sufficienza ed un involontario atteggiamento di superiorità nel mio interlocutore. Strano. Ma si riprese subito e, assumendo un aspetto meno condiscendente, ma di partecipe simpatia chiarì il suo pensiero. ʺHo parlato prima di una nuova scienza , lʹarcheologia; ad essa vicine saranno la paleontologia, lʹoceanografia e poi altre come lʹastronautica. Tutte scienze del futuro per noi che, tuttavia, avranno per oggetto anche il passato del nostro pianeta. Saranno i sogni realizzati di altri viaggiatori del tempo che li Christine Delport
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trasmetteranno ai posteri, chiamati a tradurli in realtà. Il sogno di volare appartiene ad Icaro. La progettazione del volo a Leonardo da Vinci (ricordatevelo questo nome). La realizzazione del volo ai fratelli Wrigth. Avete mai udito parlare di Egittologia ? Lo sapevate che un giorno , un francese riuscirà a decifrare i geroglifici allʹinterno delle piramidi e sulle tombe dei faraoni. Voi sapete cosʹè un telescopio, come quello che usava Galileo Galilei e che uso io, tutte le notti per scrutare le stelle. Ma certo ignorate lʹesistenza del microscopio non ancora inventato che servirà a leggere nellʹinfinitamente piccoloʺ. Rimasi allibito e perplesso. Nelle parole del saggio provenzale scoprivo una terminologia del tutto nuova, parole e vocaboli a me del tutto ignoti e, per di più, un lessico così poco familiare da lasciare sbalorditi. Nostradamus, compiaciuto, decise di battere il ferro finché era caldo e non mi dette tregua. ʺDeriva dei continenti: lʹAfrica a noi nota era per così dire attaccata al nuovo continente appena scoperto dal genovese Cristoforo Colombo che si chiamerà America in onore di un altro grande navigatore , il fiorentino Amerigo Vespucci. I continenti , mio caro amico, si muovono, si scontrano, si staccano. Lʹurto delle masse continentali ha creato enormi montagne.ʺ Passando di sorpresa in sorpresa, di rivelazione scientifica in rivelazione scientifica, non potevo più nasconderei il mio sbalordimento. Il mago di Salon mi chiese, ad un certo punto vedendomi affaticato, se desiderassi riposare. Forse riteneva che per quel giorno ne avessi avuto abbastanza. Si offrì di ospitarmi nella sua magione. Una stanza per gli ospiti di riguardo mi venne destinata: ʺEʹ inteso che stasera cenerete alla mia tavola e poi domani parleremo nuovamente di viaggi spazio‐tempo. Per oggi basta così. A cena non toccheremo più simili argomenti, troppo pesanti per una buona digestione!ʺ La cena, preparata dalla vecchia governante, Juditte, donna tuttofare della dimora, fu un bellʹesempio di cucina provenzale con dispendio di spezie e di ʺpistouʺ . Brillante conversatore anche a tavola, Nostradamus, si limitò a spiegarmi le ricchezze Christine Delport
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culturali, gastronomiche, artistiche della sua terra, la Provenza, cui era visibilmente legato. “Un tempo – mi disse – vi abitavano le popolazioni liguri. Balzate fuori dalla preistoria. I liguri, grande fortissima razza. Lo sapevate che si diceva che un ligure avesse la forza di almeno tre galli, gli abitanti della Gallia, intendo. Eppoi, un generale romano affermò che i liguri era più facile sconfiggerli in battaglia che scovarli. Naturalmente, erano sempre nascosti nelle loro selve, nei boschi, nelle grotte, negli anfratti. Liguri stazielli, liguri ingauni, liguri montani. Alcuni alleati fedeli di Roma. Altri combatterono come mercenari con Annibale. Come faccio a saperlo ? Ma, mio caro, io cʹero! Non potei modificare nulla di quanto vedevo in quella Liguria così vicina alla mia Provenza. Vidi il generale cartaginese Magone Barca, il fratello di Annibale piombare su Genua, dal mare. Mentre sulla terra, si udiva il barrito degli elefanti di Annibale. La città ligure fedele alleata di Roma subì lo scempio da parte di Magone che la mise a sacco. Lo sapevate che ancora oggi i liguri dicono: “Ho il magun! Per dire che sono tristi. Eʹ un malinconico ricordo del distruttore Magone, fratello di Annibale e di Asdrubale. Ma poi, Scipione castigò i cartaginesi e vendicò sia Genua che Roma. Fu lʹimpero romano a vincere. Liguri e Romani uniti invasero la Gallia Nerbonensis. Ma perché vi narrò tutto ciò ? Ah sì. Volevo menzionare la caducità degli imperi rispetto alla durata del cosmo, dellʹuniverso. Lo sapete che discendo da una famiglia ebraica ?”
Gli dissi che, sì, lo sapevo. “Venivano dalla Spagna. Erano stati cacciati dalla Spagna. Inquisizione, sapete, Torquemada... Si rifugiarono a Genova. Lì nacquero i miei bisnonni, nel ghetto vicino alla cattedrale. Poi, anche da Genova vennero cacciati via, i giudei non erano ben visti. Marrani e giudei. Via da Genova, i Nostre Dame si rifugiarono qui in Provenza, dove nacquero la nonna ed il nonno che si convertirono al cristianesimo per evitare altri traslochi alla famiglia. “ Nostradamus si era immerso in una sorta di soliloquio ; non si capiva più se ricordava il passato o se evocata il futuro. Christine Delport
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Presi congedo a tarda ora perché quando era in vena, scoprii, Nostradamus non la finiva più di parlare. E non sapevi se ricordava o se profetizzava. Dopo una notte di riposo, ritrovai in salotto il mio ospite in compagnia di suo fratello Cesare che riconobbi subito perché era stato , secondo la storia, il curatore delle Centurie, seguendone tutti i dettagli della pubblicazione. Mi chiesi se la famiglia del celebre astrologo fosse stata al corrente della vera natura della chiaroveggenza del suo congiunto. Nostradamus, quella mattina parve leggermi nel pensiero. Dopo aver preso concedo dal fratello Cesare, richiamato ad Arles per affari, mi raggiunse nel suo studio, dove mi aveva invitato ad attenderlo facendo la prima colazione. Esordì con questa frase: ʺNessun membro della mia famiglia conosce le mie doti reali. Il viaggiatore nel tempo è tenuto al segreto. Nessuno sa , a parte voi, e gli altri viaggiatori attraverso lʹeternità.ʺ ʺMa siamo, dunque, immortali ?ʺ ʺNiente affatto. Viaggiamo nello spazio e nel tempo eterni durante lʹarco della nostra vita di mortali. Mentre ʺviaggiamoʺ non vi è alcuna sospensione temporale, se non durante il brevissimo trasferimento che per così dire avviene in un lampo. A parte questa brevissima sospensione tra lʹandata e lʹarrivo e tra la ripartita ed il ritorno, il tempo per noi continua a scorrere come per tutti gli altri mortali. Soltanto che noi conosciamo, per aver attraversato su e giù lo spazio ed il tempo, compreso quello della nostra vita, per così dire, ʺnon viaggianteʺ , il giorno esatto in cui moriremo. E si muore nella propria epoca e nel luogo prescelto in vita perché nessun viaggiatore nel tempo rinuncia a quel ritorno a casa finale, quando smetterà davvero di viaggiare in tutti i sensi.ʺ ʺCome veniamo scelti , perché e da chi ?ʺ ʺLo ignoro. Ricordiamoci soltanto che molti saranno i chiamati e pochi gli eletti...ʺ ʺDio...ʺ ʺE chi altro potrebbe ?ʺ ʺAvete mai incontrato altri viaggiatori ?ʺ Christine Delport
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ʺMa certo. Uno per tutti; ricordate che ieri vi dissi di tenere a mente un nome: Leonardo da Vinci. Ebbene lo conobbi personalmente a Firenze e poi lo rividi in Francia. Curioso tipo davvero quel Leonardo. Aveva una vera mania nel curarsi la barba fluente. Fu lui a ribattezzarla ʺlʹonor del mentoʺ. Uno sguardo acuto, penetrante, fu uno dei pochi che sin dal principio viaggiava nei due sensi passato‐futuro come i profeti e i fondatori delle religioni, ma la sua religione era la scienza. Era divorato dalla curiosità di sapere e di conoscere ed era costantemente in viaggio. Nel presente si concedeva prodigiose invenzioni destinate a colmare di meraviglia i suoi contemporanei e a rendere perenne la sua memoria tra i posteri. ʺBello sforzo ! Avrà visto le invenzioni e , tornato indietro, le avrà copiate...ʺ ʺNo, caro amico, in questo siete totalmente in errore. Sappiate che non ci è concesso modificare alcunché del passato, del presente e del futuro. Assolutamente nulla. Ciò che deve accadere accadrà e ciò che è accaduto resterà immutabile per sempre. No, vi spiego: Leonardo fece nel suo tempo invenzioni assolutamente originali. Viaggiando nel tempo, magari, ne vide gli sviluppi, questo sì ! Ma le invenzioni erano sue. Eppoi riflettete: se avesse visto le macchine volanti nella loro ultima versione, non si sarebbe limitato a copiare, per così dire, il volo degli uccelli, disegnando apparecchi sorprendenti ma tutto sommato rudimentali. Avrebbe disegnato lo Shuttle direttamente o una qualsiasi astronave (sì, lo so. Sto parlando di cose a voi ignote perché sono nel lontanissimo futuro), ma avete afferrato il concetto ?ʺ ʺPerfettamente!ʺ ʺSì, un grandissimo genio che ha disegnato da provetto ingegnere invenzioni incredibili. Ha dipinto la ʺGiocondaʺ nei ritagli di tempo. Il sottomarino lo ha inventato lui, anche se è stato magistralmente descritto in ʺ Ventimila leghe sotto i mari ʺ da un francese, Jules Verne. Va bene, va bene. Sono tutte cose che dovete ancora vedere. Non parliamone più...ʺ ʺSentite, maestro, in quello che mi avete detto, perdonatemi, Christine Delport
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scorgo una fondamentale contraddizione. Voi, ad esempio, avete contravvenuto alla regola aurea, perché avete raccontato ‐ violando il mistero ‐ ciò che avete visto come avvenimenti futuri nelle vostre Centurie.ʺ ʺVi rispondo volentieri. Potere smettere di preoccuparvi di questo: avete mai conosciuto una sola persona che abbia saputo interpretare correttamente le mie profezie ?ʺ ʺBeh, francamente no. Tutti hanno detto ʺdopoʺ e non ʺprimaʺ: Nostradamus lʹaveva predetto!ʺ ʺEsatto. Vedete, quindi, che io non ho modificato alcunché. Era un patto concluso espressamente : le profezie avevano un codice del tutto nascosto e impossibile da interpretare. Del resto, nessuno, a priori, ci ha mai capito unʹacca.ʺ ʺLʹunico che avevo espressamente avvertito, Enrico II, è sceso ugualmente in singolar tenzone con lʹesito ormai noto a tutti. Io, per essere stato troppo esplicito in quellʹoccasione , ho rischiato di essere linciato da cortigiani e sudditi sobillati dai cortigiani stessi, vile razza dannata, invidiosa dei favori di Caterina deʹ Medici nei miei confronti. Era stata la mia punizione per aver infranto parzialmente un segreto, ma intanto nessuno ne aveva tenuto conto. ʺ ʺMa la contraddizione esiste per altri personaggi: Buddha e Gesù, ad esempioʺ. ʺNon credo personalmente che gli orientali abbiano imitato la vita del loro Buddha. E vi risulta che molti cristiani abbiano realmente seguito gli insegnamenti ed il modo di vita di nostro Signore ? ʺ ʺSan Francesco, forse...ʺ ʺVe lʹaccordo. Ma se intimamente Francesco era portato alla santità, avrebbe condotto una vita santa anche senza il grandissimo modello cui si ispirava, vi pare ? Il fatto di aver imitato Cristo non ha mutato la vita di alcun santo. Erano nati per essere tali. Lo sarebbero stati, egualmente, imitando i poveri, stando vicini agli umili e ai perseguitati. Rinunciando alle ricchezze ed alle vanità del mondo. La santità non è un fatto di imitazione. Quindi, nessuna modifica del futuro. Anzi, si può Christine Delport
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dire che le cose non sono andate affatto come avrebbe voluto il viaggiatore nel tempo, Gesù, che ha potuto piangere sui peccati trascorsi dellʹumanità come su quelli, innumerevoli, che lʹattendevano nel futuro, senza che lui potesse farci nulla!ʺ ʺUna cosa mi è del tutto oscura ‐ confidai, chiedendo lumi ‐ se un viaggiatore nel tempo si trova in un determinato posto, in un certo periodo, non potrà scorgere altro che la realtà contingente , quella che scorre sotto il suo proprio sguardo. Io, ad esempio, sono qui nella vostra dimora, oggi, e pur trovandomi nel passato rispetto al mio tempo abituale non posso vedere ciò che accade ‐ poniamo a Parigi ‐ Come mai gli interpreti delle Centurie vi attribuiscono fatti accaduti e da voi profetizzati addirittura in lontani paesi, se non in altri continenti. Come avete potuto ʺvedereʺ tutto?ʺ Nostradamus sorrise: ʺSicuramente saprete ‐ esclamò ‐ cosa erano gli Acta Diurna degli antichi romani...ʺ ʺSì, erano le antiche gazzette, con le notizie scritte. Certo, non stampate perché lʹinvenzione è relativamente moderna, ma erano fogli scritti a mano su papiri e pergamene,incisi su tavolette di cera, contenenti le notizie del giorno.ʺ ʺEsatto. Ammettiamo adesso che un viaggiatore nel tempo, trovandosi nellʹantica Roma, allʹepoca diciamo delle guerre puniche, avesse potuto leggere su unʹ Acta Diurna la seguente notizia: ʺAnnibale sconfitto, Asdrubale il fugaʺ. E nei giorni seguenti: ʺCartagine rasa al suolo!ʺ Non avrebbe avuto bisogno di essere presente fisicamente sui luoghi dellʹ azione per essere informato, vi pare ?ʺ ʺMa certo, che sciocco sono stato a porre una simile domanda. Le gazzette, i libri, il lavoro degli storici, gli annali, i racconti, le dicerie...ʺ ʺCertamente, dottor Mabuse, lʹinformazioneʺ ʺEʹ vero, perbacco, è vero...ʺ ʺE voi siete ancora abbonato magari alla ʹGazette de Maubeugeʹ ma dovete sapere che nel futuro da me frequentato gli uomini e le donne ascolteranno le notizie provenienti da una scatola. Una voce, proveniente , diciamo dagli antipodi , sarà udita via radio ‐ Christine Delport
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ecco, la parola sibillina ‐ poniamo allʹaltro capo del mondo come in casa mia. E non è tutto! Standovene nel salotto della vostra residenza di Maubeuge potrete guardare dentro un quadro luminoso chiamato televisione e vedrete apparire, da Roma, la figura del Papa.ʺ ʺIn un quadro , anzi in due, per la verità ci sono caduto anchʹio; ma non erano luminosi e ignoro se qualcuno mi ha visto.ʺ ʺIo vi parlo di immagini luminose che attraversano spazio e tempo.ʺ ʺCome gli angeli. Miracolo, allora Dio esiste davvero.ʺ ʺChi osa dire il contrario ? Naturalmente Dio esiste. Ma la televisione non è un miracolo. Eʹ solo scienza, dottor Mabuse, solo scienza. Ma questo spiega ampiamente le mie visioni o no ? In quel modo, trovandomi in unʹaltra epoca, ho avuto notizie in audio ed in video di guerre, terremoti, disastri, attentati contro uomini politici. Ho visto scene terribili ed ho fatto , tuttavia, grande fatica a discernere il reale dalla finzione, perché figuratevi che i nostri posteri, pur conservando una spiccata propensione per il teatro, porteranno le immagini degli attori e delle attrici (sì, anche le donne potranno recitare senza lʹinterdizione di nostra santa madre chiesa) prima su grandi schermi in sale buie e poi sulla televisione di cui vi ho parlato. Per parecchio tempo ho scambiato finte storie per avvenimenti realmente accaduti. Poi ho imparato a controllare le presunte notizie radio‐televisive e quelle sulla carta stampata e ho capito a fatica quale era la realtà e quale la finzione. Il XXI secolo comincia ad essere particolarmente indecifrabile, tanto la finzione si confonde con la realtà. Ho dovuto, di conseguenza, correggere più volte le mie profezie, chiamiamole così. Ma in fondo non importava, perché nessuno ha mai capito alcunché della chiave di lettura e dei codici cifrati in cui sono redatte le Centurie. Sono criptate vale a dire illeggibili.ʺ ʺMa allora a che servivano ? ʺ ʺServivano a me, come promemoria di ciò che avevo visto nel tempo, dato che solo io sono in grado di decifrarle. Ma vi sono stati inconvenienti e malintesi davvero curiosi e singolari Christine Delport
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durante i miei spostamenti. Una trasmissione radio, captata dallʹAmerica, mi aveva indotto a credere che i marziani avevano invaso il nostro pianeta. Non cʹero caduto soltanto io! Ma il panico aveva sopraffatto migliaia di uditori. Da allora ero diventato estremamente scettico, così scambiai per finzione un fatto reale: la discesa di due uomini, i primi, sulla Luna.ʺ ʺState celiando. Due uomini sulla Luna ! Era vero ?ʺ ʺEbbene sì, lo era. Ma io credetti ad una commedia anche perché ero stato indotto in errore, certo involontariamente, da un personaggio di cui ho già parlato, Jules Verne.ʺ ʺUn viaggiatore nel tempo ? ʺ ʺNo, un semplice scrittore. Solo che io lʹavevo scambiato in un primo momento per uno storico e quando lʹavvenimento si è davvero verificato, lo sbarco sulla Luna, io lʹattribuii ad una recita.ʺ ʺSiete sicuro che avete visto gli uomini sulla Luna ?ʺ ʺCome vedo voi e se è per questo li ho visti costruire città su Marte... Ma lasciamo perdere. Vi sto dicendo troppo. Del resto vedrete tutto voi stesso quando andrete nel futuro. Comunque, sappiate che anche Marte non sarà la tappa finale,Andremo su quasi tutti i pianeti e lʹintera Galassia, ma non i pianeti gassosi o quelli troppo vicini alle stelle come il Sole ( nel nostro sistema, Mercurio e Venere, per ovvie ragioni).ʺ ʺLʹavete scritto nelle Centurie...ʺ ʺNero su bianco, ma, credetemi, la storia spaziale, in fin dei conti, non sarà il capitolo più felice della storia millenaria dellʹumanità.ʺ Lʹultima affermazione del vate di Salon mi aveva lasciato interdetto. Che altre sciagure sono in serbo per noi, poveri umani?
ʺPosso solo dirvi questo, rispose Nostradamus, un giorno ‐ per fortuna, ancora lontanissimo ‐ per noi viaggiatori nel tempo non vi sarà più nulla da vedere sulla Terra e nellʹintero sistema solare. Dʹaltra parte, anche lʹuniverso avrà una fine. Io sono Christine Delport
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arrivato ad un punto in cui già sulla Terra non vi era più nulla di visibile. Per il semplice fatto che il nostro pianeta era esploso. Gli ultimi uomini da me intravvisti non erano più sulla Terra, distrutta – mormorava qualche archeologo sopravvissuto ‐ da una tremenda collisione con un asteroide gigantesco. Oppure, non riuscii ad accertarlo del tutto, eliminati , gli uomini, dallʹinvenzione di una delle loro tremende diavolerie. Questa, temo, sia stata la causa del grande botto. Alcuni riuscirono, però, grazie alle nuove tecnologie spaziali a porsi in salvo. I superstiti, tra cui mi trovavo, erano partiti da anni a bordo di astronavi ed erano giunti su Marte. Ma anche il ʺpianeta rossoʺ era minacciato come il resto del sistema solare. Unica via di salvezza: uscire dal sistema planetario del Sole e scovare una ʺseconda Terraʺ nella nostra Galassia. Non ci crederete ma lʹimpresa riuscì , poi , però , anche sulla Terra numero due sorsero conflitti e questa volta non fu lʹasteroide a distruggerla ma nuovamente sofisticatissime armi e tecnologie inimmaginabili per noi. Allora, finirà tutto : sarà davvero lʹArmageddon, di cui ci parla la Bibbia. Sarà completato il ciclo dellʹumanità, lʹalfa e lʹomega. Ma sarà stato solo un brevissimo intervallo di tempo nello scorrere dellʹuniverso, il nostro e gli altri universi esistenti. ʺAltri universi ?ʺ chiesi al colmo dellʹincredulità. ʺProprio così. Eppoi, la materia oscura invisibile più numerosa della materia visibile, lʹenergia oscura infinita, il punto di contatto tra la materia e lʹantimateria, i buchi neri spazio‐temporali. Ce ne sono di cose da rivelare. E le ho rivelate, infatti, ma nessuno troverà mai la chiave di lettura delle Centurie. Come ho già affermato. Solo dopo, diranno, ma questo Nostradamus lʹaveva scritto. Andranno a cercare, tenteranno di capire, ma non ci riusciranno. Un decreto dellʹAltissimo vieta di mutare il destino degli uomini, di una cometa, di un pettirosso o di un semplice filo dʹerba. Tutto è scritto, come giustamente hanno intuito, i popoli del mondo arabo e nessuno può cancellare ciò che è scritto nel grande libro del destino.ʺ ʺCome siete tornato qui in Provenza?ʺ Christine Delport
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ʺEʹ stato molto semplice per un viaggiatore nel tempo, lo capirete quando vi spiegherò per filo e per segno i dettagli del mio peregrinare nel futuro. Parte Terza NOSTRADAMUS E LA FINE DEL MONDO “Non mi credete, vero, in fin dei conti vi vedo scettico” esclamò assorto Nostradamus. ʺPer carità, maestro! Certo che credo alla vostra illustrissima e veritiera parola: ma mi state dicendo che avete visto la fine del mondo e siete tornato indietro per narrarlo in forma ermetica. ʺ ʺProprio così. Da Marte non scorgemmo più la Terra. Era la fine del mondo, di un granellino di sabbia nel Sahara dellʹuniverso. Un universo, a sua volta, periferico, limitato , un universo in un oceano di universi, , un continuo proliferare di universi ciclici. Il passato ci ha offerto miracoli difficili da credere come la resurrezione di Lazzaro. Ma il futuro non appartiene agli increduli ed agli scettici. Vi saranno ʺmiracoliʺ inauditi, tutto ciò che possiamo immaginare si realizzerà, quel che oggi sembra incredibile diverrà realtà quotidiana ed il sovrannaturale di oggi sarà la banalità di domani. Non posso rivelarli, come ho già detto, ma una sola cosa non verrà sconfitta: la morte. Vi sarà sempre e comunque un inizio ed una fine per tutto e per tutti. Oltre la ʺfineʺ neppure i viaggiatori nel tempo possono andare perché è il termine dellʹillusione cosmica, al di là vi è unicamente lʹUno, la realtà suprema, ma quella nessuno la vedrà mai. Eʹ lʹindicibile, lʹineffabile , è insieme lʹalfa e lʹomega, il principio e la fine, la causa e lʹeffetto.ʺ ʺStiamo nuovamente parlando di Dio.ʺ ʺChiamate la mente suprema come volete, ma essa sfugge a tutte le definizioni di essere o non essere, di eterno o non eterno, di Christine Delport
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spazio e di tempo. Non è definibile col semplice linguaggio, esula dai nostri schemi mentali, è il tutto‐nulla che trascende ogni cosa.ʺ ʺVedo: il Brahaman dellʹInduismo, il paradiso di noi cristiani, quello dei maomettani, oppure il Nirvana dei buddhisti.” ʺSiete meno ostile alle religioni adesso ?ʺ ʺResto ostile alle superstizioni, alle caste sacerdotali, alla fede cieca e irrazionale, al fanatismo laico o religioso. Accetto , invece, lʹidea della Mente Suprema...ʺ ʺGià, in fondo, persino Massimiliano Robespierre dopo aver devastato chiese, monasteri, conventi ed abbazie, aveva mantenuto nel nuovo calendario rivoluzionario la festa dellʹ Essere supremo.ʺ Il mio soggiorno nella casa di Nostradamus si prolungò per parecchie settimane. Uscimmo a visitare la cittadina provenzale ed il mago fu una guida perfetta . Conosceva ogni angolo della Provenza, la gente lo salutava in modo deferente, inchinandosi al suo passaggio. Aveva un incedere maestoso ed il popolino provava per lui una specie di venerazione. Non si limitava a salutare, chiedeva notizie della salute della gente. Ascoltava pazientemente e dava consigli. A volte , si fermava accanto ad un mendicante e voleva sapere se quel malessere che lo affliggeva era passato ; se aveva preso le erbe che gli aveva prescritto. Capii che gli stavano a cuore le persone più umili. Poi venne il giorno del commiato. ʺNon intendete rimanere ancora per qualche tempo qui a Salon ? Siete sempre il benvenuto nella mia casa e, naturalmente, potete rimanere quanto vi pare...ʺ Lo ringraziai per la sua squisita ospitalità, ma dovetti declinare lʹinvito perché, per quanto fossi un novizio, mi era venuto un irresistibile desiderio di vedere di persona quel XX secolo di cui parlava Nostradamus. Glielo dissi e lui rimase assorto in profonda meditazione. ʺDevo avvertirvi ‐ rispose infine ‐ che nel Ventesimo secolo vi ritroverete nel bel mezzo di due guerre che adesso non riuscite Christine Delport
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neppure ad immaginare, impensabili e raccapriccianti quanto a distruzioni e sofferenze. Posso darvi le date fatali: 1914‐ʹ18 e 1939 ‐ ʹ45 . Due guerre così il mondo non le aveva mai conosciute. Tremende, spietate, devastanti, con milioni ‐ badate bene: milioni ! ‐ di morti. Vi ritenete pronto ad attraversare il Novecento ? E guardate che tutta una serie di conflitti si protrarrà nel Terzo Millennio, lʹultimo...ʺ ʺLʹultimo ?...ʺ ʺProprio così. Lʹultimo per la Terra. Ecco la data dellʹApocalisse :2999. Rovesciando i tre nove avrete la ben nota sigla numerica dellʹAnticristo: 666.ʺ ʺDunque, non vi sarà per la Terra il 3000 dopo Cristo ?ʺ ʺLʹavete detto: non vi sarà. Posso rivelarvelo in quanto nessuno potrà mai venirlo a sapere, perché nessuno al mondo crederà al vostro manoscritto , esattamente come nessuno riuscirà mai ad interpretare correttamente le Centurie. Quindi, tutta questa conoscenza resterà circoscritta a noi, viaggiatori nel tempo, che non siamo in potere di mutare il destino né di rivelare ad altri ciò che avremo scorto negli arcani enigmi dellʹavvenire.ʺ Ammutolii di dolore, ma questo responso era inappellabile. Vi sarebbero,quindi, state riprese apparenti, progressi nel campo medico‐scientifico, persino viaggi interplanetari ma poi, non per opera dellʹuomo bensì per imperscrutabile decreto dellʹAltissimo, uno sconvolgimento nel sistema solare, più vicino di ogni possibile previsione ed apparentemente ineluttabile. Nostradamus mi osservava con un mesto sorriso e cominciava in cuor suo a rendersi conto che né lui né io possedevamo , in fondo, un dono tanto invidiabile: avevamo quello della chiaroveggenza, dovuta alla facoltà di superare le barriere spazio‐temporali, ma non il dono del sereno distacco che ci avrebbe consentito di non rimanere prigionieri di sentimenti umani, troppo umani. Mi congedai , ma non prima di avergli chiesto come potevo tornare nella mia Maubeuge, ma nel futuro, agli albori del ventesimo secolo. ʺEʹ facile ‐ ribatté stringendomi vigorosamente la mano ‐ poiché Christine Delport
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basta volerlo. La vostra mente farà il resto. Ricordate il vostro ingresso nello specchio nero. Fu una scelta volontaristica mentale. Nella vostra immaginazione vedrete apparire un calendario luminoso, fissatelo con attenzione e gli anni vi sfileranno davanti agli occhi. Direzione: futuro, direte ad alta voce. Quando griderete fermatevi! , gli anni sul calendario , che è quello di noi cristiani a partire dalla data di nascita di nostro Signore, si fermeranno. Eʹ beninteso un calendario mentale, quindi, per noi cristiani è quello. Per un ebreo sarebbe diverso e per un musulmano sarebbe ancora diverso, per un cinese altrettanto . Quando, dicevo , griderete “basta” le date anziché continuare a dipanarsi sotto il vostro sguardo, si bloccheranno in base alla vostra volontà.ʺ ʺChe consiglio mi date quanto al periodo esatto, e a proposito non abbiamo neppure parlato della pietra filosofale e dire che ero venuto anche per parlare di questo.ʺ ʺLasciate perdere la ricerca della pietra filosofale e concentratevi sulla mente. Addio!ʺ Direzione: futuro
Ero davvero un ʺnovizioʺ. Invece di bloccare mentalmente lʹorologio cosmico nel secolo della mia scelta iniziale, finii a capofitto nel Ventunesimo secolo, agli albori del terzo millennio. Si fermò nel 2040. I bagliori dei due conflitti mondiali li avevo intravvisti mentalmente attraverso il secolo della grandi guerre. Strano mi parve dʹintravvedere un terzo bagliore dalle parti della Russia o della Georgia, dellʹIraq, dellʹIran, dellʹAfghanistan, della Cina. Forse solo unʹillusione ottica. Mi ritrovai a Maubeuge, nello studio della vecchia dimora. Che sfacelo! Era poco più che un rudere, ma curiosamente, uscendo in giardino per rendermi meglio conto dei danni provocati allʹabitazione durante la mia lunga assenza, notai sul muro esterno sbrecciato e a metà cadente, una lapide marmorea con una iscrizione vetusta, ma ancora leggibile. ʺIn questa casa ‐ diceva la scritta in francese ‐ visse il dottor Frederick Mabuse, Christine Delport
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scienziato ed alchimista, autore del celebre manoscritto, scoperto e rivelato ai posteri dal professor Van Blum dellʹUniversità di Lovanio. Sul dottor Mabuse, negli anni ʹ40 del Ventesimo secolo, fece persino un film il famoso regista Fritz Lang, ma lo mostrò come un uomo misterioso, oscuro e malvagio; al contrario, il nostro concittadino alchimista era la bontà in persona. A perenne memoria, la Municipalità pose. Maubeuge, anno 2025 d.c.ʺ Così i posteri , dopo tutto, avevano saputo del mio diario, del mio viaggio nel tempo; chissà chi diavolo era questo regista Fritz Lang che mi aveva calunniato. E quel Van Blum ? Sicuramente un ficcanaso che non riusciva a farsi i propri affari ma doveva occuparsi delle faccende altrui e curiosare tra le pergamene del prossimo. Professore universitario, non sarà stato forse un gazzettiere ? Quelli sʹ impicciano , di solito , in faccende che non li riguardano... Decisi di compiere un giro in avanscoperta nelle strade della mia cittadina ritrovata. Erano trascorsi oltre tre secoli dalla mia era. Il volto della città era mutato in maniera incredibile. Dallʹaspetto del cielo, potei dedurre che eravamo di primo mattino, un mattino autunnale con le solite nebbie azzurrine nelle strade. Ma le strade erano deserte. Strane carrozze su quattro ruote occupavano tutti i lati delle vie. Dai finestrini, gli occupanti mi scrutavano incuriositi e sorpresi. Molti, indicandomi in maniera sfacciata e villana ridevano schernendomi. Mi resi subito conto che erano i miei abiti a scatenare lʹilarità degli sconosciuti del Ventunesimo secolo. Ma quanto erano buffi loro! Erano fasciati in vestiti di singolare fattura, di color argento che ne rivelavano le forme anatomiche. Gli uomini indossavano stivali colorati. Non i bei stivali neri o marrone , borchiati, austeri, del mio secolo. Macché, in quei calzari moderni vi erano tutte le sfumature dellʹiride: giallo, arancione, turchino, rosso, verde, blu. Avevano perfino delle antenne. Li indossavano uomini e donne sul capo. Sembravano tanti grilli e cicale. Le donne avvolte in mantelline rosa indossavano ben poco a dire il vero, lasciando intravvedere parti Christine Delport
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corporee che il normale senso del pudore vieta di riferire o di, come dire, dilungarcisi sopra. Quanto alle antenne, mi spiegheranno solo più tardi che esse servivano a chi li indossava per collegarsi con la Centrale mondiale e con quella locale. La prima forniva agli utenti informazioni in tempo reale ‐ dicevano così ‐ su tutti gli avvenimenti della più svariata natura in atto sul nostro pianeta e sulla base ʺNumber Oneʺ (sic in inglese) collocata sulla Luna e sulla base ʺNumber Twoʺ che si trovava su Marte. Erano gli evidenti sviluppi dellʹinvenzione della radio e della televisione di cui mi aveva parlato Nostradamus. Ignorando le osservazioni sarcastiche dei rari passanti per i miei vestiti fuori moda, il minimo che si potesse dire, decisi di rifarmi il ʺlookʺ, altro neologismo anglosassone che andava per la maggiore, cioé di cambiare il mio aspetto almeno per ciò che riguardava lʹabbigliamento. Attesi lʹapertura di un negozio che recava la scritta vestiti per ladies and gentlemen. Ma non avendo più toccato cibo dalla colazione provenzale in casa di Maistre Michel de Notre Dame, decisi per ingannare il tempo dʹattesa, di assaggiare alcune ciambelle esposte in una vetrina del ʺMars barʺ posto di fronte al negozio di sartoria. Nel locale, tutto era ridotto al minimo necessario: sgabelli scomodi, ruotanti come sospesi in aria e sui quali non ci si poteva sedere se non dopo una ginnica arrampicata. Mi accomodai alla meno peggio e cercando di nascondere dietro il bancone, dipinto di rosso, il mio singolarissimo vestito dʹaltri tempi (per loro, se non per me) attesi. Arrivoʹ una domestica, sempre dietro il banco e mi chiese senza alcun preambolo, senza alcun cenno di benvenuto come si usa tra persone dabbene, cosa volessi. Il tono era quello di chi chiede: ʺChe diavolo volete?ʺ. ʺMangiare ciambelle e bere del latte.ʺ Mi squadrò come se si trovasse di fronte ad un pazzo. Poi sembrò comprendere. ʺPer il latte, spinga il pulsante numero dieci.ʺ Christine Delport
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Eseguii e venne fuori dal bancone in un recipiente di cristallo multicolore una pillola di color bianco. ʺEcco il suo latte.ʺ ʺE le ciambelle ?ʺ ʺMa quali ciambelle ?ʺ ʺQuelle fuori della vetrata gotica...ʺ “Ma quale vetrata gotica ?” Poi sembrò comprendere, di colpo. Si mise a ridere con voce gracchiante. Dopo aver riso ben bene, proruppe: ʺMa quelle che sta indicando non sono ciambelle, mio buon signore. Sono riproduzioni degli anelli di Saturno, realizzate dal più grande scultore di Francia, André Dufour, il genio della New Art of Space. Si tratta di riproduzioni plastiche. Magari fossero gli originali che valgono una fortuna! Ma in che mondo vive ?ʺ Decisi di lasciar perdere, per forza , le ciambelle che mi avevano fatto venire lʹacquolina in bocca, da vecchio goloso quale ero sempre stato con un debole per i dolci. ʺAvete pane, almenoʺ, chiesi con voce rassegnata, temendo un rifiuto. ʺMa certo. Bottone numero sei.ʺ E poi tra sé: ʺMa questo qui da dove è saltato fuori?ʺ Per farla breve, mi trovai sotto il naso due belle pillole. Bianca (latte) e marrone (pane). Le ingurgitai e seppi quel che temevo: non avevano alcun sapore, chissà che volgarità sarebbe stata se lo avessero avuto. I problemi cominciarono al momento di pagare il conto. In tasca, non trovai neppure un centesimo, un ducato, un fiorino, un sesterzio. ʺAspetti un momento!ʺ disse arcigna la domestica vestita di bianco. Andò a chiamare il padrone del Mars bar. Omaccione dallʹaspetto poco rassicurante, il quale, messo al corrente dei fatti esclamò con disgusto: ʺNon chiamo i sorveglianti, perché è poca cosa. Pane e latte, alimenti preistorici di base. Ma vada via, adesso. Fuori !ʺ Non me lo feci ripetere due volte. Poteva andare peggio, pensai, Christine Delport
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esibendo un sogghigno di sfida per coprire decorosamente la ritirata. Il negozio di abiti unisex aveva aperto ma io avevo cambiato idea ; non era proprio il caso di fare nuovi ʺacquistiʺ: mi resi conto che per indossare, finalmente, nuovi abiti avrei dovuto pagarli e quindi avevo urgente bisogno di denaro, come spesso accade nella vita di noi mortali, sia che si viaggi nel tempo sia che si resti a casa. Del resto, per vivere a Maubeuge, o in qualsiasi altra parte del mondo, in qualsivoglia secolo mi trovassi , avevo bisogno di denaro, definito ʺlo sterco di Satanaʺ dai saggi, i quali devono faticare non poco per procurarselo e sanno benissimo che è lʹorigine di infiniti mali (i ricchi sostengono che si tratta di infiniti beni, ma forse hanno torto). Comunque, guerre , denaro , malattie ci sono sempre state da quando mondo è mondo. Ma non divaghiamo, altrimenti la pergamena non basterà per proseguire la storia. Bisogno di quattrini. Dove cercarli se non a casa mia ? Beh, molti li cercano in casa dʹaltri, ma io non ero un esattore delle tasse, né un politico, né un banchiere. Tornai, dunque, nella mia vetusta dimora in quanto ricordavo perfettamente che in un angolo della stanza da letto avevo un ripostiglio, dove conservavo un piccolo gruzzolo infruttifero ‐ almeno così ritenevo ‐ in sterline e fiorini aurei e dʹargento. Mi intrufolai nel ripostiglio, aprii, anzi smontai, una cassetta di ferro piena di ruggine ed ecco apparire il mio ʺtesoroʺ. Senza perdere tempo e frapporre indugi, mi misi alla ricerca di un cambiavalute. Non lo trovai. Ai miei tempi, ce nʹera uno ad ogni angolo di strada, cambiavalute, tagliaborse, falsari (questi ultimi venivano regolarmente impiccati), finti mendicanti, insomma tutto ciò che un certo signor Victor Hugo ha magistralmente descritto nella sua corte dei miracoli, raffigurata nel libro ʺNotre Dame de Parisʺ. Inutile, quindi, tentare improbabili imitazioni e voli pindarici di genere letterario su cose protette da ʺcopyrightʺ. Un signore anziano , incuriosito dalle mie desuete ed originali vesti (non vedevo, ovviamente, lʹora di sbarazzarmene!) si era Christine Delport
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fermato ad osservare le mie maldestre esitazioni ‐ andavo avanti e indietro senza sapere dove recarmi‐ e si avvicinò chiedendomi, con cortesia, se poteva essermi dʹaiuto. Certo che poteva. Gli spiegai sommariamente le mie necessità, cambiare moneta, abiti e cambiare il digiuno in una bella abbuffata. Sorrise, il vecchio gentiluomo. Ma anche lui da dove era uscito ? Poi mi spiegoʹ che, ormai, esisteva unʹunica valuta universale lʹEuro‐dollaro‐rublo‐yen. Non cʹera più niente da cambiare, ma le banche, anzi ʺla bancaʺ quella cʹera. Mi indicò la strada per approdare, finalmente ,alla succursale di Maubeuge della Universal Bank, una multinazionale finanziaria che si era annessa tutte le ʺpiccoleʺ banche di ogni paese. Ringraziai lʹanziano signore che mi rispose con un cenno del capo ed un sorriso, facendo del suo meglio per evitare di osservare più a lungo la mia logora tonaca nera per non offendermi. Percorsi alcuni isolati, seguendo le sue indicazioni, e giunsi di fronte allʹimponente sede bancaria, vero tempio dellʹalta finanza internazionale, tra marmi di Carrara e soffitti dorati, qui, ricordo di aver pensato lo sterco di Satana, di certo, ʺnon oletʺ , anzi, profuma. Cʹera poca gente. Allo sportello, unʹimpiegata nervosa ‐ il mio aspetto aveva aumentato, forse, il suo naturale nervosismo ‐ mi chiese un documento dʹidentità. Siccome, non riuscivo a capire, cosa volesse, rifiutai. Al mio diniego, vidi che suonava un pulsante ed ecco apparire un robusto energumeno, robusto e tarchiato, sulla quarantina, con indosso una divisa blu ancora più ridicola che la mia vecchia tunica nera. Costui mi afferrò per le spalle e solo di fronte alla mia connaturale passività, non infierì. La presa gli rivelò presumibilmente la fragilità delle mie ossa, e lʹineguaglianza del potenziale confronto, così tolse le manacce dalle spalle e , tenendomi per un braccio, stava per accompagnarmi alla porta, quando dal fondo della sala si spalancò un uscio e apparve il mio salvatore nella persona del general manager, gentiluomo dʹaltri tempi a giudicare dai modi, il quale, con atteggiamento fiero ed energico, mostrandosi imparziale come Salomone, chiese con asprezza allʹenergumeno Christine Delport
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se quello fosse il modo di trattare un... cliente. Questʹultima parola fu pronunciata con tono speranzoso e mi parve che, a questo punto, il general manager si rivolgesse più a me che al ʺsecurity manʺ. Lʹenergumeno in divisa blu, dal canto suo, ammise implicitamente la disfatta , da un punto di vista diplomatico, abbassando lo sguardo e profondendosi in scuse, non rivolte a me, beninteso, ma al suo superiore. Questʹultimo si presentò con un inchino e, vedendo che rimanevo lì impacciato, mi fece cenno di seguirlo nel suo studio. Abbandonammo il sacco di muscoli al centro del salone, tutto confuso ed entrammo in un elegantissimo ufficio. Lʹintuizione ed il fiuto del vecchio banchiere avevano fatto comprendere al volo al ʺgentleman ʺ che nel mio sacchetto di cuoio color rame poteva, forse , nascondersi un piccolo Eldorado. A ciò dovetti il salvataggio, come scoprii di lì a poco. Quando conobbe lo scopo della mia visita, lʹinteresse già risvegliato dal sacchetto, si accentuò. ʺE che cʹè di bello nel sacco ?ʺ chiese con malcelata indifferenza, invitandomi a mostrargli il gruzzolo. Lʹeffigie dei miei baiocchi fece brillare nel suo sguardo di esperto numismatico lampi di cupidigia che non sfuggirono alla mia vigile, ma apparentemente rilassata, attenzione. Mi aveva sicuramente scambiato per un bifolco e il ricordo del detto ʺcontadino, cervello finoʺ lo induceva ora a maggiore cautela; malgrado ciò continuò a tradire il proprio gioco. ʺInteressante, davvero interessante...ʺ mormorò, mordendosi inavvertitamente il labbro inferiore, altro segno di cupidigia e concupiscenza aurea. Non ci voleva Sigmund Freud (poi vi dirò di chi si tratta) per comprendere come la libido dellʹuomo dʹaffari si fosse impadronita di Gaston Louis de Montalban, questo il nome del banchiere capo. ʺBene, bene.ʺ mormorò ancora con accento vorace; sembrava un piranha davanti ad una bistecca caduta nel Rio delle Amazzoni (il lessico viene dal futuro e non lo ripeterò più). ʺLe propongo un affare, signor...signor ? A proposito, qualʹè il suo nome ?ʺ Christine Delport
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ʺDottor Frederick Mabuse, per servirla...ʺ ʺAh, questa è bella. Capisco, vuole mantenere lʹincognito. Qui a Maubeuge, il dottor Mabuse è unʹistituzione. Cʹè una strada che si chiama così. Cʹè la casa... Va bene, cosa chiede per il suo tes... ehm, per le sue monete antiche ?ʺ ʺChiedo di cambiarle con valuta corrente, ma devo riconoscere che sono piuttosto restio ad affidarmi al giudizio di una sola persona per concludere il baratto.ʺ ʺCapisco ‐ esclamò il general manager , diventando paonazzo‐ lei non si fida. Eppure ha avuto lʹardire di presentarsi qui, negli uffici della Mondial Bank, senza documenti , vestito come se si trattasse della notte di Halloween e ,anziché come un banchiere ed esperto numismatico, mi tratta come se fossi un ricettatore, dopo che lʹho salvata dalle grinfie di gatto mammone... Chiamiamo così lʹenergumeno che, giustamente, stava per gettarla fuori. Ma , mi creda, siamo ancora in tempo...ʺ. La tirata non mi impressionò , anzi , la minaccia mi fece infuriare interiormente. Seppi, tuttavia, mantenere il self‐control, come ormai dicevano tutti inglesi, americani e resto del mondo. Vedendo che non facevo una piega, il bel tomo si calmò a sua volta. Accettai , alla fine , il compromesso propostomi dopo una estenuante e serrata trattativa che ci vide impegnati come due venditori di tappeti ed ebbi a disposizione denaro contante e non fuori corso da spendere. Con il denaro ottenuto dal banchiere, in cambio dei miei risparmi in monete antiche, sul cui valore reale continuerò a nutrire seri dubbi, perché ritengo sia stato sottovalutato, comprai abiti meno appariscenti dei miei che erano così austeri da apparire eccentrici. Potei cominciare,quindi , lʹesplorazione della nuova Maubeuge nellʹanno di grazia 2010. Almeno credo, anche il tempo era divenuto evanescente. Ma la vita nella mia cittadina un tempo tranquilla non era di tutto riposo. Ad ogni istante, rischiavo di essere travolto da quegli spaventosi ordigni che correvano allʹimpazzata per i viali e le strade ed avevano sostituito le carrozze già sufficientemente pericolose anche ai miei tempi. Spariti quasi del tutto i cavalli , meno quelli Christine Delport
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che correvano negli ippodromi a beneficio dei giocatori dʹazzardo. In giro, vidi pochissimi animali cani al guinzaglio, colonie di gatti randagi. Ma le strade di Maubeuge, che nel secolo XVIII erano ancora attraversate da daini, cervi, volpi e sorvolate da ogni genere di uccelli erano ormai divenute teatri dellʹassoluto dominio del nuovo tiranno: lʹuomo, spaurito come tutti i dittatori che temono di veder svanire il loro soverchiante ed oppressivo potere. Circondato dalle sue macchine , terrestri, anfibie, volanti, il nuovo despota osservava , malinconico ed ansioso , un cielo raramente azzurro. Il colore prevalente, infatti, era il grigio, lʹaria irrespirabile, lʹacqua torbida, il paesaggio cosiddetto tecnologico triste e desolato. Tra gli abitanti avvertii una sorta di incomunicabilità e mi parvero, insolitamente, aggressivi . Assistetti personalmente a diverbi piuttosto frequenti e , la sera, davanti ai locali rischiarati da strane insegne luminose fluorescenti chiamate ʺneonʺ fui testimone di parecchie risse finite male. Cittadina di provincia , Maubeuge , aveva perduto del tutto una sua caratteristica che, nel tempo passato, le era stata peculiare: la tranquillità. Mais où sont les neiges dʹantan ? dissi a me stesso, con una frase francese che suona così: ma dovʹ è il buon tempo antico ? La Francia del ventunesimo secolo era divenuta, secondo ogni apparenza, multietnica. Riconobbi per le vie cittadini arabi, turchi, russi, africani, e tanti altri giunti da ogni parte del mondo , indù con i loro tipici turbanti, cinesi, giapponesi, sudamericani di origine ispanica , italiani, greci, portoghesi, polacchi , ungheresi, tedeschi, croati, rumeni, bulgari, marocchini, algerini, tunisini. Insomma, tutti. Un giorno, conversando con un anziano belga ingegnere spaziale in pensione e toccando lʹargomento delle varie etnie presenti sul nostro vecchio continente, mi disse: ʺDovreste vedere Bruxelles. Eʹ divenuta, dapprima , la capitale dellʹEuropa occidentale, poi dellʹEuropa unita dallʹAtlantico agli Urali e adesso, città ultra cosmopolita, dove tutti abitano, meno naturalmente i belgi. Io mi ero rifugiato nella casa‐rudere dovʹero sempre vissuto, miracolosamente sfuggita allʹattenzione di barboni e vagabondi Christine Delport
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di ogni genere per il solo fatto di quella placca commemorativa che le conferiva unʹaria ufficiale da luogo pubblico anche un pochino funereo. Conoscendo logicamente in ogni suo angolo la dimora, mi ero scovato un posto ideale per il giaciglio ed avevo reso il più comodo possibile il mio ʺseparéʺ. Nessuno ci faceva caso. Della mia presenza si accorsero per primi i gatti randagi che frequentavano assiduamente il giardino trascuratissimo a caccia di roditori. Poi, mi trovai naso a naso con un vecchio cane miope che ribattezzai col nome di Tobia. Il bravo animale , affettuoso come tutti quelli della sua razza, accettò di buon grado di dividere il mio tetto con me. Anzi , in mezzo a tutti quei gatti che andavano e venivano ,indifferenti, sembrò sollevato di aver trovato un amico. Anche io fui contento dellʹincontro e divenimmo inseparabili. Mi mancavano enormemente i miei libri ed il mio laboratorio. Ma per i libri trovai un semplicissimo rimedio : scovai la biblioteca comunale, uno dei luoghi più arcaici, vetusti e dimenticati della città. Quando mi vide apparire per la prima volta il vecchio bibliotecario, Pierre Louis Dubois, ebbe lʹaria sorpresa ed un poco contrariata. Forse aveva lʹabitudine di schiacciare un pisolino pomeridiano nel suo cantuccio dietro il tavolo principale e la presenza di un candidato ‐ lettore lo costringeva a rimanere sveglio. Tutti ormai leggevano su Internet e lui poteva farsi in pace la sua pennichella. Chi diavolo ero io che chiedevo un libro cartaceo! Avessi chiesto di vedere un dinosauro, lʹeffetto sorpresa sarebbe stato identico. Comunque, mi documentai parecchio, giorno dopo giorno , sul mondo moderno, leggendo libri di storia e vecchie riviste. I giornali mi ragguagliavano sui fatti ʺfreschi di giornataʺ. Poi, una mattina , mentre scorrevo lʹindice del catalogo generale mi balzò allo sguardo un libro , per così dire... familiare, il ʺmioʺ libro :ʺIl manoscritto dellʹalchimista”. Chiesi a Dubois di poter vedere il volume. Il poverʹuomo si arrampicò su una scala di legno e salì gli scaffali. Ne ridiscese imprecando con il libro in questione. Il frontespizio recava il nome dellʹ autore: professor François Van Blum, data della pubblicazione lʹanno 2020 e...nessuna ristampa. Christine Delport
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Il bibliotecario, siccome eravamo nel 2010 non si stupì di avere un libro stampato dieci anni dopo ed io neppure. Non mi stupivo più di nulla. Evidentemente cʹera stata un poʹ di confusione nellʹuniverso spazio temporale. Dieci anni dopo, forse, vi era stata la riscossa dellʹinvenzione di Gutenberg sui computer. Forse, lʹinchiostro era lʹenergia meno cara e più rinnovabile rispetto ai prodotti della Sillicon Valley. Chi poteva dirlo ? Nella prefazione, scritta da questo misterioso dottor Van Blum una premessa: i nomi dei personaggi che apparivano nel volume erano stati modificati, eccezion fatta per le più note figure storiche. Scorrendo le pagine del libro non trovai traccia del nome del banchiere Gaston Louis de Montalban. Lʹappellativo era un altro. Quel volpone di François Van Blum aveva preso le sue brave precauzioni, facendo sparire dal testo il vero cognome di un banchiere, cui nel mio manoscritto avevo dato dellʹusuraio. Sapeva, Van Blum, in che cosa consiste il termine querela . Stessa cosa per personaggi per così dire minori, ma le cui famiglie avrebbero potuto sporgere denuncia , scorgendo elementi di diffamazione nella mia prosa arcaica ma offensiva. Lessi interamente il mio diario. Tutti gli avvenimenti erano riferiti senza ritocchi, comprese le mie visite alla biblioteca comunale ed il fatto che io stessi leggendo il ʺmioʺ libro che per lʹappunto stavo leggendo. Insomma, era questo manoscritto con la sola modifica di certi nomi. Il povero François Van Blum, tutto sommato, non era riuscito a convincere i suoi contemporanei che la mia era stata unʹavventura reale. I lettori gli avevano , verosimilmente , attribuito scarsa attenzione e ben poco interesse , scambiando una vera autobiografia quale emergeva dal manoscritto per un romanzo di avventure. Se Miguel de Cervantes avesse voluto convincere contemporanei e posteri dellʹesistenza reale di Don Chisciotte, di Sancho Panza, del parroco, del barbiere, della pastorella Manuela, del cavaliere Vivaldo, di tutti i suoi fantasiosi personaggi, insomma, avrebbe incontrato difficoltà minori di quelle toccate al filologo Van Blum. Aveva narrato una storia vera, ma nessuno gli credette. Christine Delport
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Mai. A Maubeuge, tuttavia, qualcuno deve essersi accorto del suo libro. Da qui il modesto interesse del Consiglio comunale per la mia persona e la placca commemorativa sulla mia vecchia dimora, da parte di Maubeuge al suo ʺnotoʺ cittadino. Per la cittadina del Nord‐ Pas de Calais un civis di qualche rinomanza era meglio che niente. Nel libro ritrovai a caratteri di stampa la fase più importante e ricca di avvenimenti della mia vita. Potevo essere accusato di plagio per libri che non avevo mai letto, due in particolare :ʺAttraverso lo specchio magicoʺ di Lewis Carroll, lʹautore di ʺAlice nel paese delle meraviglieʺ e la ʺMacchina per esplorare il tempo” di George Wells. Ma il viaggio nel tempo è stato ipotizzato scientificamente con la teoria della relatività e la velocità della luce da Einstein. Quindi, per un tema così generale il plagio è fuori discussione, tanto più che nel mio caso, come avrete certo compreso, i fatti sono reali. Io ho trasformato in scienza la fantascienza più di chiunque altro, giacché lʹho fatto con un ʹ esperienza personale che dimostra unʹunica cosa : solo unʹentità ai confini tra il corporeo e lʹincorporeo come la mente può affrontare un viaggio spazio temporale, in quanto tempo e spazio sono entrambi frutti scaturiti dalle facoltà mentali. Eʹ possibile , dunque , che la mente viaggi in uno spazio tempo da essa stessa immaginato. I testi canonici induisti mi hanno immensamente aiutato a comprendere la mia reale situazione di globe‐trotter del tempo. Il filosofo buddhista, Nagarjiuna, in particolare, mi ha illuminato il percorso. Fortunatamente, nella biblioteca di Maubeuge, trovai la sua ʺCritica del tempoʺ. Eccola dalla ʺMaddhyamaka Karikaʺ tradotta dal sanscrito da un orientalista belga, Louis de la Vallée Poussin : ʺLʹesistenza del presente e del futuro dipende dal passato ? Dunque, presente e futuro ʹesistonoʹ nel passato. Presente e futuro non esistono nel passato ? In tal caso, presente e futuro non dipendono dal passato. Ma lʹesistenza di presente e futuro indipendentemente Christine Delport
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dal passato non è logicamente sostenibile. Un identico ragionamento logico è valido per presente e passato per futuro e presente. Un tempo instabile non è percepibile. Un tempo stabile non cʹè . Il tempo è condizionato dagli esseri ? Ma nessun essere, in senso assoluto, esiste realmente, quindi come può esistere il tempo, se non in base ad una sorta di convenzione mondana ?ʺ Gli studi postmoderni sulla relatività dello spazio‐tempo hanno in certo qual modo confermato la critica logica di Nagarjuna. Annotai, allora, sul mio quaderno di appunti la frase seguente: “Se, in realtà, non esiste il tempo come può esistere il viaggio in qualcosa che non cʹè e da dove nasce lʹ idea di un viaggiatore ? Anche qui , è utile la critica di Nagarjuna: a suo dire, non esiste né il percorso né colui che percorre. Almeno in senso assoluto. Tutto va inteso in modo condizionato e relativo. Ma lasciamo stare le varie interpretazioni della realtà . La vera svolta nella mia vita avvenne quando, in un viale alberato, verso il tramonto (stavo portando a spasso il vecchio Tobia) mi imbattei in una donna che si rivelò essere identica alla mia ex moglie. Ebbene, sì ! Anche il dottor Mabuse era stato giovane, si era sposato, non aveva avuto prole, ma era stato felice (finché era durata con la sua Juliette, figliola di unʹottima famiglia i Delacroix Du Rocq di Givet, paesino al confine tra la Francia del Nord‐Est ed il Belgio del Sud‐Ovest.) A Givet, conobbi, in gioventù, Juliette ‐ capelli biondi, occhi color smeraldo, naso greco, carnagione dʹavorio, piccolina ma curvilinea ‐ sì la conobbi al piccolo museo locale di Arte paleolitica , durante una gita scolastica. Lei era intruppata nei ranghi delle allieve, ovviamente laiche, delle Figlie di Maria (suore, certamente) ed io tra i giovani esploratori di San Giuseppe (preti, beninteso) . Quattro parole sussurrate tra un reperto preistorico e lʹaltro. ʺAnche tu di Maubeuge ? Sì anchʹio. Ci rivediamo a messa domenica. In che chiesa ? Ah, sì la conosco. Au revoir, au revoir !ʺ Lo sguardo penetrante e definitivamente censorio di una monaca aveva messo la parola fine al suo bisbigliare, mentre una sberla sulla nuca più convinta e convincente aveva messo fine al ʺmioʺ Christine Delport
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bisbigliare, strappandomi un ʺPorc...ʺ che non arrivò fino ad essere blasfemo e lasciò fuori la divinità dalla faccenda, ma forse fu la causa non troppo remota della mia perdurante avversione verso le tonache. Dicevo,dunque, di Juliette, prosperosa fanciulla di provincia, che fece innamorare per la prima (e lʹultima) volta in vita sua il futuro austero ed asciutto, rigoroso, dottor Mabuse. Juliette lʹ incontrai nuovamente, nella mia adolescenza, proprio dove ci eravamo ripromessi di rivederci, cioè alle messe domenicali della vecchia chiesetta periferica della nostra cittadina. Questo almeno per gran parte dellʹanno. Eravamo riusciti a parlarci pochissime volte per la presenza dei suoi genitori e per quella di mio padre. Ci eravamo frequentati almeno durante le vacanze estive, quando la sorveglianza si faceva per tutti più rilassata. Lei era sempre seguita da una vecchia governante. Con scatto giovanile, Juliette, riusciva a distanziarla di qualche metro per venirmi incontro e parlarmi e a volte, anzi il più delle volte, solo per punzecchiarmi: ʺ Peccato che ti chiami Frederick e non Romeo, altrimenti avrei potuto essere la tua Giulietta!ʺ E giù a ridere , come solo lei sapeva ridere. Qualche bacio furtivo inviatomi sulla punta delle dita a moʹ di congedo quando si allontanava, prevenendo di un ʺfiatʺ il ʺMadonna santissima !ʺ , puntuale ed inevitabile, che usciva dalla bocca della vecchia governante italiana, Giuseppa, quando questʹultima, giunta a portata di voce e di sguardo (era più miope di una talpa) si rendeva conto che la sua assistita non era più sola in mezzo alla strada. Qualche anno più tardi, dopo quel corteggiamento a distanza, se di corteggiamento si poteva parlare, venne da parte mia lʹidea della richiesta di matrimonio, praticamente senza interporre alcun periodo di fidanzamento. Tutti sarebbero stati in diritto di pensare che i Delacroix‐ Durocq avrebbero detto di no alla richiesta del giovane Frederick Mabuse e , invece, inaspettatamente (anche per me) dissero di sì. Quarantʹanni in due! Ventidue io, diciotto Juliette. Beh, ma ai Christine Delport
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miei tempi ci si sposava piuttosto giovani, non dimentichiamocelo. Matrimonio senza sfarzo. Cerimonia sobria, presente il padre della sposo, Pierre Mabuse (doveva lasciarci tutti solo un anno dopo) e la nobile tribù dei Delacroix‐Durocq, i quali dopo aver detto di sì al matrimonio si accingevano a dire no a qualsiasi richiesta della figlia ormai maritata, soprattutto se di ordine pecuniario. Ma tirammo avanti, anche senza il loro aiuto. Tuttavia, come tutte le cose terrene, anche lʹamore tra me e Juliette, un bel (anzi un brutto) giorno ebbe fine. Lei lo capì prima di me. Io non lo capii, ma me ne accorsi. Non era una donna venale, ma era abituata a certi agi che la modesta vita matrimoniale non riuscì più a garantirle, col mio stipendio di professore di matematica (io non ero laureato, ma a quei tempi le scuole non guardavano troppo per il sottile). Ed era già tanto se avevo un lavoro. Era andata così. Il rettore magnifico della università cattolica (lui sì laureato in matematica) mi aveva semplicemente messo alla prova. Le mie conoscenze matematico‐algebriche e di calcolo infinitesimale (dovute, ovviamente, al mio peregrinare nel tempo) lo avevano lasciato di stucco. Era a tal punto stupito dalle mie audacissime , ma scientificamente provate, formule, da ritenermi sic et simpliciter un vero genio del mondo dei numeri. In breve, mi aveva assunto, se non per le referenze ( del tutto mancanti) o per gli altrettanto inesistenti titoli di studio, bensì per ciò che aveva visto apparire , bianco su nero, sulla lavagna. Si era limitato a commentare allibito: ʺAutodidatta, eh ? Bene,comincerà lunedì alle otto del mattino. Sia puntuale...ʺ Ma la busta‐paga era rimasta leggera e con le rare lezioni private che io davo agli studenti non diventava molto più pesante. Cinque anni erano trascorsi dal giorno del matrimonio quando decidemmo di comune accordo di separarci. Lei si trasferì a Parigi. Seppi solo più tardi del suo secondo matrimonio con un conte polacco. Seppi anche che i Delacroix‐Durocq di Givet, pur essendo una famiglia quasi nobile, anzi realmente aristocratica, Christine Delport
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avevano conservato più che altro il blasone, ma se la passavano piuttosto male. Juliette, sposando il conte polacco, riuscì ad aiutarli finanziariamente. Buon per lei. Buon per loro. Una famiglia numerosa e degnissima. Anchʹio, pochi anni dopo, ereditai una bella somma alla morte di un vecchio zio olandese del ramo dei Van Mabuse, la famiglia del celebre pittore. Lʹeterno ritorno Ma veniamo a Juliette. Anzi al suo preciso ritratto che incontrai in un viale alberato di Maubeuge, al tramonto, mentre portavo a spasso il vecchio Tobia. Quando la vidi, il mio cuore ebbe un sobbalzo, accelerò il ritmo ed io rimasi lì, fermo, senza fiato. Lei non guardava me, ma fissava sorridendo affettuosamente il vecchio Tobia, il quale da par suo, restituiva la cortesia, scodinzolando diligentemente in segno di simpatia canina. ʺBello e tanto caro, ma che cosʹha agli occhi ? ʺ mi chiese la giovane che era il ritratto spaccato di Juliette reincarnata in un altro secolo. ʺEʹ vecchio e miope...ʺ riuscii appena a bisbigliare non ancora del tutto rimessomi dalla enorme sorpresa. ʺMi scusi. Non mi sono presentata, Mi chiamo Therèse. Abito laggiù in quella casa bianca con le persiane verdi, sì quella col giardino. Ho uno studio veterinario, di cui sono la titolare. Se un giorno vorremo dare unʹocchiata a ...come si chiama ?ʺ ʺTobia!ʺ ʺEcco, Tobia. Me lo porti pure.ʺ Le chiesi il suo cognome, ma lo sapevo già: Thèrese Delacroix‐Durocq . E invece, no. Il cognome era...Dupont. Sono i mariti che trasmettono i cognomi, ma la somiglianza fisica viene a volte trasmessa dalle trisavole e dalle più lontane antenate di oltre due secoli prima, come in questo caso! ʺMa la mamma ‐ sparai a bruciapelo, sicuro di cogliere nel segno‐ era una Delacroix‐Durocq, vero?ʺ Ci rimase di stucco e restò lì impalata a fissarmi a bocca aperta. Christine Delport
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Guardò me, guardò Tobia come se fosse un cane parlante e fosse stato lui a suggerire la verità. ʺEsatto. ‐esclamò ‐ ma come fa a saperlo ?ʺ ʺHo conosciuto una sua lontana parente...ʺ ʺChi ? Zia Eveline ?ʺ ʺBeh, no. Una parente. Poi un giorno, forse le dirò di chi si tratta...ʺ ʺUh! Quanto mistero! ‐ disse sorridendo‐ va bene, come vuole lei. Mi porti Tobia, dʹaccordo ? Ciao, cagnolino. Arrivederci...Monsieur... Ma a proposito, lei non si è presentato!ʺ ʺMabuse...Frederick Mabuse, per servirla...ʺ ʺParente del vecchio alchimista di Maubeuge ?ʺ ʺSì, un discendente di quello là...Arrivederci!ʺ Tobia scodinzolò in segno di commiato, ed io e lui riprendemmo la passeggiata, mentre la giovane se ne andava in direzione opposta. Anno 2021. E cʹera un ritratto vivente di Juliette ancora in giro per i viali di Maubeuge. Passando davanti alla dimora bianca col giardino, guardai il numero e vidi unʹinsegna sulla porta:ʺStudio veterinario. Dottoressa Thèrese Dupont‐Duval. Se Dupont era il cognome da nubile, quel Duval doveva essere il marito. Riflettei: nessun titolo nobiliare polacco. Genealogicamente, Thèrese non discendeva da Juliette, ma il legame di parentela e di consanguineità sussisteva ( Juliette aveva due sorelle e tre fratelli). Riflettei, la sera, nel vecchio ristorante che accettava per pranzo e cena me e Tobia (il bassotto aveva le sue ciotole riservate per lʹacqua ed il cibo) che, essendo io un viaggiatore del tempo, avrei potuto seguire non solo gli avvenimenti ma altresì le persone. Così, nel futuro ecco apparire i posteri e, nel passato, gli antenati. Quel pensiero mi turbò e quella notte non riuscii a chiudere occhio. Avevo visto un lembo dellʹavvenire e non mi era piaciuto granché. Quei passanti indifferenti o pronti a farsi beffe di un vecchio per il suo abito demodé (segno inquietante del fatto che nellʹepoca in cui mi trovavo lʹabito faceva il monaco!) ... Quelle macchine striscianti, rombanti, ululanti, volanti sempre in agguato. Un distratto, in questi tempi ʺmoderniʺ non aveva Christine Delport
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scampo. Scendeva distrattamente dal marciapiede ed il suo fato era segnato. Inoltre, la cupidigia del secolo per il denaro ed il profitto era resa evidente dal fatto che vi erano più banche che scuole. In compenso, assieme alla società multietnica cʹera stato il ʺboomʺ dellʹecumenismo:contai solo a Maubeuge oltre alle chiese da me già conosciute (e a quelle nuove che non avevo mai visto prima) della religione cattolica, due moschee,tre sinagoghe, un tempio scintoista, uno buddhista ed in più vari luoghi di culto di nuove sette religiose o pseudo‐religiose. Lʹedonismo ed il materialismo erano causa ‐ oltre che di dilagante violenza ‐ di un vuoto spirituale che veniva colmato dalle nuove spinte religiose. In netto declino, mi parve, la laicità e quello che ai miei tempi veniva definito lo spirito libertino professato dai liberi pensatori. Un conformismo fatale ed ottuso aleggiava ovunque, complici le trasmissioni televisive, vere e proprie fabbriche di cretinismo. Era conformista persino lʹanticonformismo di facciata che si metteva in bella mostra negli shows televisivi. Da una parte, i progressisti (sempre gli stessi) i quali professavano ʺidee aperteʺ a tutti i costi, precipitando nel ridicolo. Erano i difensori dʹufficio di tutte le assurdità che venivano snocciolate durante uggiose giornate davanti al teleschermo. I conservatori, in unʹepoca in cui non vi era più nulla da conservare, passavano per biechi reazionari, per oscurantisti, razzisti, bigotti ed oppressori dei deboli ed emarginati. Mi sarei trasferito in fretta in un altro secolo se non avessi incontrato in quel viale Thérèse Dupont‐Duval. La sua incredibile somiglianza con Juliette che avevo amato e sposato , mi indusse a cercare di rivederla al più presto. E così fu, grazie al vecchio bassotto Tobia, di cui Thérèse divenne la veterinaria titolare. Mi recai da lei nelle ore di visita indicate sulla porta dello studio, assieme ad un Tobia piuttosto recalcitrante e visibilmente corrucciato. Gli animali possono provare simpatia per una ragazza quando la incontrano in un viale alberato e lei si mette a far loro mille moine. Ma lʹincanto cessa di colpo, quando gli Christine Delport
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animali vengono a scoprire che dietro quel volto dolce e quel sorriso accattivante si nasconde in realtà la peggiore delle nemiche: una ...veterinaria! Pensate alla sgradevole sorpresa di Tobia quando scoprì la reale professione di Thérèse. Gli studi veterinari, poi, suscitano negli animali la stessa apprensione che gli studi dei dentisti suscitano in noi poveri esseri umani. Comunque, una volta dentro il mite Tobia era , per così dire, in trappola. Giunto il nostro turno, fummo ammessi per la visita. Io ero più emozionato di Tobia che si lasciò esaminare con lʹaria di un martire della razza canina. Con Thérèse conversai a lungo. Tobia fu dichiarato ʺvecchio ma in buona salute, con vista calante ma senza patologie inquietantiʺ. Tutto normale, insomma, magari una piccola dieta... Tobia abbaiò per protesta. Seppi quello stesso giorno che Thérése era sposata (quasi scoppiai per lʹindignazione) ad un gazzettiere parigino , il quale veniva spesso inviato dalla sua indegna gazzetta (France qualche cosa) in giro per il mondo. ʺAttualmente, segue in Russia gli avvenimenti della seconda rivoluzione. Ci sono ancora ricadute, agitazioni contro‐rivoluzionarie e Philippe (era il nome del marito) è partito col ʺConcordeʺ per Mosca. Ma lo vedo ogni giorno al telefono. Lo vedo e lo sento!ʺ Mi sfuggì un ʺbuon per luiʺ che feci subito dimenticare con indifferenza, spostando il discorso sugli animali, lʹargomento preferito di Thérèse ed anche il mio. Mi preoccupavo più di Tobia che della seconda rivoluzione in Russia, patrocinata dai rifondatori del marxismo‐leninismo che, evidentemente, non ne avevano avuto abbastanza della prima dellʹottobre 1917. I controrivoluzionari non erano più i ʺbianchiʺ zaristi, ma i mercenari sovvenzionati dalle Banche universali che controllavano il resto del mondo. Come dire che lʹesito era scontato: avrebbero vinto stavolta i controrivoluzionari in poche, rapide , mosse. Il che dimostra che il capitale , prima o poi, prevale sul Capitale (quello di Marx). Lʹesito degli avvenimenti, del resto, mi era del tutto indifferente. Christine Delport
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Avevo in politica un solido atteggiamento qualunquista perché, dopo aver studiato (e...visto!) la storia, sapevo che erano tutti uguali, destra, sinistra, centro, riformatori, rivoluzionari, conservatori, progressisti. In tutti, la stessa smania di potere, la stessa sete di potenza, culto della personalità (grande piccola, generosa meschina: non importava nulla) interessi occulti, metodi odiosi nei confronti di amici (pochi) e di nemici (tanti), opportunismi, voltafaccia, presunzione, arroganza, perfidia, tradimenti. Va bene non fare di ogni erba un fascio, ma a tutto cʹè un limite. Meno che in politica. Lì non vi sono limiti. Da ultimo, il leader di turno, messo alle strette, si spingeva fino a chiedere ai suoi di morire per gli ideali comuni. Il suo ideale era quello di morire vecchio come Matusalemme e ricco come Creso. Ricordo di aver udito a Parigi una ballata del troubadour, Georges Brassens, intitolata: ʺMourir pour des idées, mais de mort lente...ʺ che ironizzava, in modo brillante e parecchio divertente, sui politici centenari che erano sempre pronti a morire per la causa. Morire per delle idee, ma di morte lenta... Con Tobia al guinzaglio, incontrai spesso Thérèse, ʺla petiteʺ come la chiamavo, anche per ricordare a me stesso che non si trattava di Juliette, lʹEva della mia vita, cioé la prima (e anche lʹultima, come mi pare di avere già ricordato). Un “Déjà vu “: ricordo di Juliette ʺMi ero ripromesso di non dilungarmi ed allora mi sembra ora il caso di prendere una scorciatoia per descrivere i successivi avvenimenti. In breve, la vista quotidiana di Thérèse mi invogliò a ritrovare la ʺmiaʺ Juliette. Avevo ventisette anni, quando ci separammo .Lei ne aveva ventitre. Ed eravamo nel 1779. Andò a Parigi. Anche questo, mi pare, lʹho già detto. Seppi del suo matrimonio con il conte Ludovic Charles Pomiatowsky, solo alcuni anni dopo. Ritrovare, rivedere Juliette: unʹidea folle, degna dellʹultimo alchimista, degna ‐ ma sì , diciamolo pure ‐ più di un Cagliostro, romantico avventuriero, che di un dottor Mabuse o di un Christine Delport
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Nostradamus. Qualcuno,tuttavia, ha scritto che senza un pizzico di follia, la saggezza non è vera saggezza. Eppoi, che altro era o sarebbe stata la ricerca della mia ex moglie, nel suo tempo, se non una sorta di ricerca della pietra filosofale, della fonte dellʹeterna giovinezza, dellʹelisir di lunga vita, della questua del sacro Graal da parte dei Cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù ? Un Templare dellʹamore, ecco cosa ci avevo guadagnato a trasformare il vecchio alchimista che ero in un viaggiatore del tempo. Tutte le ricerche, per chimeriche che siano, elevano, spiritualmente lʹuomo. Sia che egli cerchi nuove terre per la corona di Spagna,come il visionario navigatore genovese Cristoforo Colombo, sia che egli cerchi di giungere su altri pianeti, sia che ‐pagando di persona‐ voglia trovare una panacea universale per i suoi simili, iniettandosi nelle vene un qualche rischioso vaccino. La ricerca del perduto amore era davvero insolita per uno come me, che ha trascorso unʹintera vita tra alambicchi, formule magiche ed alchemiche che dir si voglia. Oscuro scienziato che per fortuna (per fortuna , direi, etico ‐morale) non ha scoperto lʹatomica, lʹelicottero da combattimento, il bombardiere B‐52, la mitragliatrice, il kalasnikhov. Insomma, un innocuo alchimista alla ricerca dellʹAmor Perenne, da lui chiamato per non fare brutte figure e con un certo sussiego, pietra filosofale. Sì, volevo con tutto il cuore rivedere (e forse riabbracciare) Juliette. Avrei rinunciato per vedere lei ad assistere ad un pubblico dibattito tra Voltaire e Rousseau. Avrei rinunciato, per lei, ad una conferenza di Kant, anche se mi avesse invitato personalmente allʹUniversità di Koninsberg. Non vorrete crederci ma ‐ sempre per lei ‐ avrei rinunciato ad una dotta conversazione con il filosofo Fichte, oppure con quellʹaltro filosofo, nato alla fine del mio secolo. Come diavolo si chiamava ? Ah, sì! Schelling. Rimaneva da mettere in atto il progetto e, stavolta, ancora una Christine Delport
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volta, riportare indietro le lancette gli orologi mentali‐spazio‐temporali. Ma non potevo scomparire così, senza in qualche modo e con il maggior tatto possibile, accomiatarmi da Thérèse. Dirle tutta la verità ? Impensabile. Eppure ero stato quasi in procinto di farlo, durante i nostri cordiali, quasi affettuosi colloqui. Ma come cominciare ad evocare un simile , spinoso, argomento, senza apparire come lʹabbonato più affezionato di un Lunatic Asylum, per dirla con gli inglesi. ‐Sapete, mia cara , lʹuomo che avete di fronte ha più di trecento anni. Non è il dolce, caro vecchietto, padrone del bassotto Tobia, innocuo e conciliante con i vicini, bensì un mefistofelico viaggiatore del tempo, che lascia sul suo passaggio una costante scia di zolfo a causa del suo orgoglio luciferino, del suo ateismo sperimentato in mille modi e , soprattutto, è lʹex sposo di una vostra lontana antenata, la quale ‐ giustamente‐ lo piantò in asso, essendo lui a quellʹepoca uno squattrinato professorino di matematica ed essendo oggi un vecchio rimbecillito e molto, ma molto, stagionato. Vi basta ? Eh, ma non è tutto. Il signore in questione, Frederick Mabuse, sì, quello cui è stata intitolata una strada qui a Maubeuge e dedicata una lapide commemorativa sulla sua magione, quello del manoscritto ritrovato, e riveduto e corretto ‐ per non dire censurato ‐ dal professor François Van Blum , adesso ha deciso, essendo, nevvero, un viaggiatore del tempo, di ripartire alla volta di Parigi (la Parigi del XVIII secolo) e ritrovare la summenzionata Juliette, la quale , nel frattempo, è convolata a giuste nozze con un conte polacco... Se avessi parlato così a Thérèse, la prossima tappa non sarebbe stata Parigi, ma il luogo per lunatici di cui ho già detto. Il manicomio, insomma.Dirò subito che il commiato fu ben diverso. Parlai di un viaggio dʹaffari, di unʹassenza di alcuni mesi ,della necessità di separarmi momentaneamente da Tobia. A PARIGI, SULLE ORME DEL PASSATO Christine Delport
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Fu Thérèse ad offrirsi spontaneamente e con grande entusiasmo riguardo al bassotto: ʺLo terrò io durante la vostra assenza, ormai mi sono affezionata a lui e lui a me...ʺ Il meno che si possa dire è che non era una fanciulla troppo curiosa. Mi chiese semplicemente dove avrei alloggiato a Parigi. Conoscendo la capitale di Francia e sapendo che in quella via vi erano parecchi alberghi, gettai lì a caso: rue Tronchet, nel quartiere della Madeleine...Hotel du Trone... Mi pregò di farle avere mie notizie ʺcompatibilmente con i miei affari pariginiʺ. Notai un poco di ironia in quella frase e mi chiesi se , per caso, Thérèse, non fosse una delle rarissime persone, a Maubeuge, ad aver letto il ʺManoscrittoʺ libro praticamente introvabile da me scovato, come unico esemplare impolverato ed alquanto malconcio nella civica biblioteca. Ma chi mai sarebbe andato a cercarlo lì, in quella topaia ? Con la televisione ed i suoi cento canali, con la rete (la Web) di ʺMondial‐Internetʺ, i libri tradizionali, cartacei, non li leggeva quasi più nessuno. Era diventata lucrosa materia di specialisti, di antiquari. La ragazza, però, conosceva il mio nome. Le avevo fatto credere di essere un lontano discendente di me stesso. Forse, spinta dalla curiosità, aveva fatto qualche ricerca personale e segreta ‐chissà ‐ il tal caso, avrebbe potuto benissimo leggere lʹintera storia, prima ancora che si verificasse... Quanto a ritenere vero il racconto, questa era unʹaltra faccenda; in ogni caso, anche se fosse stata al corrente del mio segreto, non lo dette mai a vedere. Thérése, commossa, mi sorrise e mi abbracciò, mormorando in un soffio: ʺSpero che ci rivedremo!ʺ Poi, prese in braccio Tobia e gli appioppò un bacione sul naso lucido ed umido. ʺAu revoir, ma chèreʺ le dissi. ʺAu revoir, Frederick. Abbiate cura di voi.ʺ Mai commiato fu più semplice, commosso, amichevole. Non mi rimaneva che intraprendere il viaggio a ritroso nel tempo, fino alla Parigi della mia epoca o giù di lì. Per fortuna, Christine Delport
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non avevo gettato via i miei vecchi indumenti. Erano proprio quelli adatti per ripresentarsi, come un gentiluomo povero ma decoroso, nella mia era, alla ricerca di Juliette. Rientrai nella mia magione allʹimbrunire. Avevo ancora nello sguardo lʹimmagine di Thérèse con in braccio il buon Tobia, mentre entrambi, a modo loro, mi inviavano un muto ma intenso messaggio che diceva: ʺFai buon viaggio e torna prestoʺ... Sensazione curiosa: mi era parso che sia la ragazza che il vecchio bassotto sapessero dove io stavo andando e perché. Soprattutto ʺperchéʺ. Sesto senso ? Ormai sono disposto a credere a tutto. Persino in Dio ! Eʹ tutto dire. Giunto nella vetusta abitazione, in una serata serena anche se fredda, misi in pratica il metodo ormai sperimentato della massima concentrazione mentale. Una sorta di Kundalini Yoga, in cui il conscio si fonde in un processo totale di osmosi con lʹinconscio. I saggi tibetani , come Milarepa, avevano codeste facoltà psichiche, puntavano tutto sulla perenne creatrice di illusione: la mente. Lʹimportante per me era che il processo funzionasse; un sistema già collaudato, dapprima casualmente e poi con il viaggio compiuto per scelta e determinazione a Salon de Provence, in modo consapevole e pragmatico. La metafisica non è più in gioco se da un punto di vista pratico la metodologia funziona. Aveva funzionato per realizzare lʹincontro con Nostradamus. Aveva funzionato, ma in modo difettoso, per il ritorno al futuro. Avevo saltato a piè pari, in un fiat, tutto il Ventesimo Secolo. Inesperienza, suppongo. Si trattava adesso di far prova di una certa metodica precisione. Forse, rallentando il processo mentale, avrei avuto lʹopportunità di finire con una sorta di atterraggio morbido nella Parigi del 1779. Così, infatti, avvenne. Il sistema del viaggio nel passato funzionava meglio che il balzo nellʹavvenire. Lʹaveva detto il mago di Saint‐Remy: per i novizi è più semplice tornare indietro che andare avanti, alla scoperta dellʹignoto, spostando in avanti metaforicamente le lancette dellʹorologio. Christine Delport
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Ed ecco, davanti al mio sguardo esterrefatto la Parigi ʺfin de siècle XVIII. Erano finalmente spariti dalle strade tutti quei congegni meccanici rombanti ed assordanti: le moto, le auto, i camion, i bus. Sì, tutti spariti. Finalmente! Niente elicotteri, niente jet nei cieli. Uccelli liberi e giocondi, molte specie animali ancora in circolazione. Tantissimi cavalli, fieri ed impettiti a trainare splendide carrozze, un buon vivere in un secolo di gente bene educata. Ma al mondo nulla persiste, nulla dura che un istante, lʹéspace dʹun matin. Grande secolo per il genio francese, secolo fatale per i destini dellʹumanità. Voltaire, nel 1773, aveva fatto una previsione, rivelatasi poi errata ma ci era andato vicino: ʺFra ventʹanni ‐ aveva profetizzato ‐ non ci sarà più la Chiesaʺ. Secolo dei lumi. Voltaire, Rousseau, lʹ Enciclopedia di Diderot. Trionfo del libero pensiero. Eʹ appena terminato il regno di Luigi XV. Dopo la sua vittoria sui gesuiti, il Parlamento di Parigi è allʹapice del potere. Eʹ da poco asceso al trono Luigi XVI. Il conflitto anglo‐americano rende nervosa lʹEuropa. Queste cose le ho già sapute, le ho lette, nei libri di storia, consultati nella Biblioteca civica di Maubeuge. Facile no. Ho saputo tutto in anticipo ( o in ritardo ? Col tempo non si può mai sapere). Ne ho letti di aneddoti, compreso quello con la famosa domanda di Luigi XVI: ʺEʹ una sommossa?ʺ ʺNo, Sire. Eʹ una rivoluzione!ʺ Siamo ʺsoloʺ nel 1779. Ho ancora tempo a salvare la testa di Juliette, a convincerla a scrollarsi di dosso per tempo quel titolo nobiliare: contessa. Un biglietto da visita che tra non molti anni potrebbe portare alla ghigliottina lei ed il conte Pomiatowski. Certo, quel ʺContratto socialeʺ di Jean‐Jacques Rousseau di guai ne ha combinati allʹ ancien regime. Un falso calcolo , quello della monarchia francese, di appoggiare la guerra dʹindipendenza americana. Va bene fare un dispetto alla corona britannica, ma giocare con le rivoluzioni significa giocare col fuoco. Una, di solito, serve da modello allʹaltra. Ma, beninteso, i parigini questo non lo sanno. Eccoli lì: i vitelloni di sempre. Gli eterni intellettuali parassiti. Leggono, Christine Delport
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comodamente seduti ai caffè degli Champs‐Elisées i commenti delle gazzette alla pubblicazione del Dizionario storico e critico di Pierre Bayle. Polemiche, qualche duello al Bois de Boulogne. In Russia, regna da par suo Caterina seconda e , in Prussia, Federico secondo, due belle volpi che hanno adattato la ʺfilosofiaʺ ai loro rispettivi assolutismi. Despoti illuminati: che contraddizione in nuce, che contraddizione nei termini. Ma tutto scorre, come diceva il grande Eraclito . E gli imperi passano. DAL DIARIO DEL DOTTOR MABUSE A PARIGI Eccomi, dunque, nella capitale francese. Frequento i salotti più in voga. Sono certo che qui potrò incontrare il fior fiore della nobiltà e, quindi, ritrovare Juliette ed il conte Pomiatowsky. Potrò avvertirli del pericolo che minaccia tutto il ʺsangue bluʺ del regno. Potranno fuggire prima dei tragici avvenimenti, prima della Rivoluzione. Sì, li avvertirò e cambierò il loro destino... Sono introvabili Juliette ed il marito. Introvabili! Ho girato in lungo ed in largo tutti i salotti parigini, ma di Juliette e del conte non la minima traccia. Sembrano essersi dileguati nel nulla. Finalmente, una traccia. Una baronessa che conosceva la coppia, lʹaltra sera, mi ha confidato che il conte Pomiatowsky e la moglie erano andati allʹestero. Prima in Prussia e poi avevano viaggiato attraverso lʹintera Europa. Dalle ultime notizie sembrava si fossero stabiliti entrambi nei Paesi Bassi. In salvo, quindi ‐ penso ‐ e la notizia mi è confermata da più parti. Quindi, eccomi qui nella capitale francese per così dire alla vigilia della Rivoluzione, ma non potrò avvertire la mia cara Juliette del pericolo che incombe. Forse, ho sottovalutato quella volpe del conte polacco. Deve aver fiutato il pericolo ed eccoli partiti in tempo. Meno male, davvero! Ho saputo anche che Pomiatowsky è ricchissimo e possiede castelli ovunque in Europa. Meglio così. Christine Delport
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Quando passeggio per le strade di Parigi e vedo le parrucche sulle carrozze, vorrei gridare a quelle teste vuote dei nobili: ʺFuggite, gente. Domani sarà troppo tardi !ʺ Un avvertimento, un monito che solo un viaggiatore del tempo può dare ed io potrei, perché nel tempo sto viaggiando da chissà quando. Ma come farei a convincerli ? Mi prenderebbero per pazzo. Sicuramente. Finirei in un asilo per alienati mentali. E sarebbe poi difficile evadere. Come la prenderebbero i rivoluzionari, i giacobini ? Quel pazzo che avvertiva i nobili del pericolo, quindi, non così pazzo in fondo. E forse finirei anchʹio come Luigi XVI e Maria Antonietta, come migliaia di nobili. O forse no. Potrei persino predire a Robespierre , a Murat e a Danton la loro stessa fine. Profeta inascoltato. In ogni caso non potrei mutare gli eventi... Ecco, anche se avessi rintracciato Juliette ed il conte, qui a Parigi, non avrei potuto cambiare il loro destino. Forse, non mi avrebbero creduto. Anzi sicuramente non mi avrebbero creduto. Si sono messi in salvo ma di loro libera iniziativa. Sempre il libero arbitrio. Il mio viaggio nella capitale francese resta un gesto di generosità nei confronti della mia ex ed unica sposa. Ma non avrei cambiato il destino a nessuno. I viaggiatori del tempo non hanno questo potere. Non ho potuto salvare il conte di Cagliostro che pure ho incontrato una sera ad una seduta spiritica cui mi avevano invitato alcuni nobili amici parigini. Che personaggio Giuseppe Balsamo! Sempre sicuro di sé, ermetico, misterioso. Quella sera, intrattenne piacevolmente gli ospiti con erudite citazioni sullʹoccultismo. Cagliostro era ben lungi dal sapere che lʹaffare della collana della regina sarebbe stato fatale a Maria Antonietta ed alla monarchia ed ai nobili. Io conoscevo il suo destino, ma non poteva cambiarlo. Sarebbe finito, il brillante avventuriero, in una galera della Roma papalina: Castel SantʹAngelo, che prima era il mausoleo dellʹimperatore Adriano. Povero Cagliostro, un avventuriero ‐ mi parve quella sera ‐ con sentimenti umani ed in certo qual modo progressisti. Conosceva la potenza delle superstizioni della sua Christine Delport
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epoca e non si faceva certo pregare per metterle a profitto. Non rubava ai ricchi per dare ai poveri. Non era Robin Hood. Rubava ai ricchi per tenere per sé il maltolto. Però, se non altro, non derubava i poveri come certi personaggi delle epoche successive. Eʹ finita così. Bene, almeno adesso so per certo che il destino di Juliette non era quello di salire sul patibolo, con le tricoteuses sotto a gridare ʺA morte!ʺ. Si è salvata,lei ed il conte suo marito che non conosco e non conoscerò mai. Posso tornare a Maubeuge. Mi aspetta la ʺsosiaʺ , la sua discendente. Mi aspetta il fido cane Tobia. E forse, le mie avventure sono vicine allʹepilogo. Chissà. In verità, non so ancora per certo se rimarrò per sempre a Maubeuge. Oppure se girerò il mondo. Forse girerò il mondo... PARTE QUARTA LA PROFEZIA E UN PAPA GENOVESE
Il festoso scampanio seguiva con i suoi rintocchi lo snodarsi della processione che dalla maestosa piazza San Pietro si dirigeva lentamente attraverso via della Conciliazione, verso Castel SantʹAngelo, seguendo un percorso già tracciato che, toccate le vie principali dellʹantico borgo, con una manovra rotatoria lʹavrebbe riportata in Vaticano verso il crepuscolo. Erano le prime ore pomeridiane di una splendida giornata dʹautunno e lʹottobrata romana era un trionfo di colori. Un venticello di ponentino ancora tiepido era lʹultima eredità di quella che era stata unʹestate rovente definita di tipo tropicale. I pioppi , ai lati della processione, cedevano con avarizia, una ad una, le loro foglie color rame. In testa ai devoti che portavano a spalla una statua della Vergine, circondato da un manipolo di Christine Delport
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chierichetti, camminava con passo lento ed incedere elegante il cardinale, Romolo de Vecchi , rampollo cinquantenne di una delle più antiche casate della nobiltà ʺneraʺ romana. Capelli brizzolati, piuttosto alto con unʹaria di aristocratica distinzione, uno sguardo che si voleva umile come si conviene ad un eminente ecclesiastico, ma nel quale non riusciva a nascondersi un guizzo di altrettanto aristocratica superbia e di orgogliosa fierezza. Romolo de Vecchi portava da par suo la porpora cardinalizia. Il popolino romano, non fosse altro che per campanilismo, faceva il tifo per lui. ʺQuando morirà il vecchio Papa ‐ mormorava la gente ‐ chissà che la ʺfumata biancaʺ che uscirà dal Concistoro e lʹannuncio storico ʺHabemus Papamʺ non riguardi proprio lui, il nostro de Vecchi. Il popolino, in fondo, gli voleva bene.ʺ Vox populi, vox dei ʺ pensava in cuor suo, il porporato, cui venivano riferiti puntualmente i mormorii delle bigotte ed il sussurrare dei bottegai che hanno i loro commerci attorno al Vaticano. Sulla figura del cardinale si vociferava anche di altro, non ultimi di successi galanti. Chiacchiere e forse non solo semplici chiacchiere. Comunque, il cardinale era un ambizioso a ventiquattro carati, questo sì. Ed intanto, aveva lʹorecchio del vecchio pontefice e questo gli bastava. Era il suo più vicino ed ascoltato consigliere. Una sorta di ʺalter egoʺ del Papa. Romolo de Vecchi ci teneva ad apparire simpatico, malgrado la solennità dei paramenti cardinalizi, e ciò anche a costo di qualche concessione mondana a differenza del cosiddetto Papa Nero, il generale dei gesuiti, figura più rigorosa, enigmatica, potentissimo ma defilato e poco esposto allʹammirazione popolare. Lui, invece, era lì, in processione, anzi alla testa della processione, da buon trasteverino che era. Romano de Roma da chissà quante generazioni e , per certo, tra le famiglie nobili dellʹUrbe , malgrado la scomparsa della monarchia ed in una Repubblica, in cui il sangue blu contava poco o niente (eccezion fatta per i principi della Chiesa). Christine Delport
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Intanto, la processione avanzava tra due ali di folla festante. Non si vede tutti i giorni un cardinale alla testa di una celebrazione sacra, ma la statua di quella vergine portata a spalla da alcuni robusti volontari era così venerata che il porporato non poteva esimersi dal compito, non poteva lasciare ad un parroco lʹincombenza e neppure ad un vescovo perché il Vescovo di Roma era il papa il persona. Spettava, dunque, a lui di essere il paladino della Celeste Signora. Dunque, suo primo paladino e servitore e che il popolo romano fosse bene al corrente del suo devoto ed ineccepibile servizio. Camminava lento ed imponente, il cardinale, mentre nella sua testa frullavano mille idee. Ad un tratto, notò la figura di una vecchina di Trastevere, agghindata poveramente con un cappellino rosso in testa, di foggia garibaldina. La conosceva di vista. La vecchina si teneva appartata dalla gente, vicino ad un pioppo, le cui radici sollevate rispetto allʹasfalto lʹinnalzavano di qualche centimetro permettendole una migliore veduta della processione. Per un attimo, anziché la vecchina, al cardinale parve di scorgere una specie di monella. Conservando il sorriso benevolo e paterno e continuando a fissarla le lanciò con il braccio sollevato e con lʹabituale segno delle dita una marcata e personale benedizione. La vecchierella si fece devotamente il segno della croce, mormorando qualche cosa per quella che era stata una benedizione particolare e non il solito Urbi ed Orbi. Ma al cardinale la voce della vecchia parve giungere distintamente:ʺGuardati dalle tre stelle di marzo!ʺ In cuor suo, lʹalto prelato rimase come impietrito. Ma il suo spirito critico, impermeabile al sovrannaturale (cosa piuttosto deplorevole per un ecclesiastico) ebbe subito il sopravvento. Adesso, sento le voci come Giovanna dʹArco, ghignò nel suo intimo, senza dar segno della minima emozione, senza muovere le labbra né un sopracciglio. Staʹ un poʹ a vedere che, siccome la Pulzella dʹOrleans cacciò gli inglesi dalla Francia occupata, a me toccherà di cacciare gli americani da Roma. Christine Delport
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Eh, eh, eh... Le stelle di marzo, le tre stelle di marzo questa è davvero bella e perché non le Idi di marzo come per Giulio Cesare... Marzo, marzo, sì per quel mese sarò ancora in Vaticano e poi ad aprile nella mia tenuta di Ladispoli , per un breve periodo di riposo prima del Mese Mariano che è sempre una bella fatica per tutti i preti dal primo allʹultimo. Va beh, quella vecchina non ha parlato di certo ed io non avrei potuto sentirla data anche la distanza. Non posso aver udito ciò che ha mormorato e del resto, forse, mi stava solo ringraziando per il mio gesto benedicente. Non pensiamoci più!ʺ Invece, a processione finita e nei giorni seguenti ed anche nei mesi successivi il cardinale non pensò ad altro e con lui il Papa e tutte le gerarchie ecclesiastiche,compreso il Sinodo dei vescovi , sorta di organismo democratico‐parlamentare di Santa romana chiesa. Il cardinale Romolo de Vecchi ci pensò, non perché volesse pensarci a tutti i costi, ma perché dovette pensarci per diretto ordine superiore, per ordine del Papa, Pio XIII, al secolo Ubaldo Giannetto de Gregori. Un cardinale genovese che, dopo essere stato vescovo di Imperia era diventato arcivescovo e poi era stato chiamato nellʹUrbe dal suo predecessore che gli aveva attribuito il porporato. Era divenuto presidente della Cei, la Conferenza episcopale italiana. Dopo la scomparsa del papa, il sacro collegio riunito in conclave; fumate nere, fumate nere, fumate nere, fumata bianca. Era stato eletto papa. Ancora un ligure sul trono di Pietro come i Della Rovere, i Fieschi, i Cibo, come Giacomo della Chiesa, Benedetto XV. Genova non è, forse, come la Francia ʺla figlia maggioreʺ della Chiesa? Almeno assieme a Roma. Saranno state città‐gemelle, nella devozione. Il giorno dopo la bellissima processione trasteverina che aveva Christine Delport
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sollevato entusiasmo popolare come sempre, il cardinale ne riferì lʹesito al Papa attendendosi un compiaciuto elogio. Il vecchio Pio XIII si era rimesso da poco a una fastidiosa influenza ed era indebolito ma anche di buon umore. ʺAllora, la processione...ʺ ‐ Un grande successo, Santità, un popolo devoto, spontanea partecipazione e devozione attorno a Nostra Signora, come tutte le volte... ʺMi rallegro. Oggi, le solite udienze, dovrò preparare un discorso pontificale per il viaggio in Iraq. Eh, ma cʹ è tempo. Una voce mi suggerisce di recarmi a Lourdes. Per questo si vedrà, ne riparleremo... ‐ A proposito di voce, Santità, mi permetta di raccontarle uno strano episodio della processione di ieri... Il cardinale raccontò per filo e per segno la storia della vecchina dal cappellino rosso di foggia garibaldina. Il pontefice, dapprima sorrise con aria distratta come se in realtà pensasse ad altro. Poi sembrò riflettere su ciò che il cardinale andava dicendo e sbiancò in volto:ʺAvete udito che diceva: attento alle tre stelle di marzo? Ne siete certo? ʺ Impressionato dallʹaspetto quasi terrificante del Papa, de Vecchi bofonchiò : ʺPer esserne certo, ne sono certo. Ma il fatto è che io ho creduto di udire quella frase, ma pensandoci razionalmente è impossibile che lʹabbia udita; la vecchia era troppo lontana da me. Per farmi sentire avrebbe dovuto urlare il suo avvertimento. E, invece, non lo ha fatto. Ha mormorato qualcosa ma io non potevo udire. Lʹavevo appena benedetta. Avrà risposto così sia, oppure sia lodato Gesù Cristo, vatti a sapere. Eʹ una storia insensata, credetemi, frutto di certo di una mia momentanea immaginazione. Nulla di importante, in ogni caso. Mi dispiace perché mi sembra di aver turbato Vostra Santità con le mie vane ciance, volevo solo narrare una stranezza che mi è capitata durante la processione. Non valeva neppure la pena di parlarne. Vogliate perdonarmi.ʺ ʺNo, no, de Vecchi, no! Qui, non si tratta di perdonare ma di capire. Purtroppo,conosco bene il vostro scetticismo in materia Christine Delport
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di sovrannaturale. Ma non scordatevi mai, vi prego, che la nostra stessa fede ha le proprie fondamenta sulla base del sovrannaturale. Non nella superstizione, de Vecchi, no di certo. Ma nellʹ ultramondano, nellʹultraterreno, nel sacro mistero. Insomma, non sarà un vecchio Papa a dover spiegare queste cose ad un cardinale, che diamine!ʺ ʺNo,no, Santità. Ma, come dire, mi sembra presuntuoso da parte mia attribuire quella voce dellʹanziana donna (ammesso e non concesso che fosse lei ad avvertirmi) ad una sorta di ‐ come vogliamo chiamarla‐ premonizione o addirittura profezia?ʺ Il Papa non lʹascoltava più; negli ultimi tempi , il vecchio pontefice pensava spesso alla morte. Forse, Sua Maestà ,la vecchia falciatrice mai stanca e mai inoperosa, non era poi così lontana da lui nel tempo. Pensava, il vecchio Papa alla profezia di Malachìa. Ebbene, secondo il suo blasone pontificale, era lui lʹultimo pontefice romano: tre stelle filanti, color argento in campo azzurro. Tre stelle comete che secondo la profezia di San Malachìa dovevano segnare la fine del Papato, della Cristianità, del...mondo. Ma cʹera di peggio per riempire la mente di Pio XIII di un ossessivo timore. Quel numero tre che tornava in molti presagi (per lui ormai erano veri e propri presagi) : la sua data di nascita , ad esempio: tre marzo ed il mese di marzo è il terzo mese dellʹanno, e tre più tre fa sei e i tre sei fanno il segno dellʹanticristo e poiché lʹanno di nascita era il 1933 figuriamoci come galoppava lʹimmaginazione dellʹerede di Pietro e rappresentante del Cristo in terra. Hai un bel essere Papa e, quindi, almeno dal punto di vista teorico, necessariamente non superstizioso, ma qui si esagerava con i segni apocalittici; eppoi, altre cose tornavano alla sua mente, cose che più tardi avrebbe spiegato al cardinale, solo a lui perché in fondo quel tipo gli infondeva fiducia, quel romano superbo, in fondo era di pasta buona. ʺSenta, de Vecchi, non voglio trattenerla oltre, vada pure adesso. Torni da me domani, avrò delle disposizioni per lei. Ora devo riflettere su alcune cose.ʺ Christine Delport
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Il porporato rimase interdetto. Prima di prendere congedo baciò lʹanello di sua Santità e il pontefice era già smarrito nei suoi pensieri. Il Papa era,infatti, rimasto assorto con lʹaria assente come se lui neppure fosse stato presente nella stanza delle udienze. Mentre il cardinale si allontanava turbato e visibilmente contrariato, il pontefice guardava la propria mano con lʹ anello pontificale che simboleggiava il matrimonio mistico con santa romana chiesa. Lo sbigottimento del cardinale Romolo de Vecchi fu ancor più grande il giorno dopo, quando, presentatosi al Santo Padre si sentì dire: ʺMi ritrovi quella vecchia e me la porti qui!ʺ , senza preamboli, dopo un breve cenno di saluto. ʺMa, Santità, io...ʺ ʺNiente ma. La ritrovi e la porti qui al più presto. Non discuta, la prego, faccia come le dico e lo faccia in fretta, forse non abbiamo altro tempo da perdere...ʺ ʺHo capito, perfettamente e sarà fatto come Vostra Santità desidera, ma perché vuole ingigantire in tal modo un fatto così banale? Io sono davvero pentito del mio racconto. Sono stato uno sciocco, uno stolto. Mi perdoni, imparerò a tenere la bocca chiusa!ʺ “Ma cosa dice, eminenza ‐ replicò il Papa ‐ non si accorge neppure che sta dandomi del visionario, del pazzo? Ma come, il Papa in persona la prega di fare una cosa e lei mi risponde come se io, povero vecchio dissennato, stessi dando i numeri...guardi che ho i miei buoni motivi oppure crede davvero che il suo racconto mi abbia fatto andare fuori di testa ?ʺ ʺNo di certo. Non intendevo mancare di rispetto. Ci mancherebbe altro. Solo non attribuivo tanta importanza a quellʹaneddoto della processione e alla frase della vecchia .ʺ ʺSì, va bene; ma dica la verità, lei in fondo pensa: il vecchio è diventato matto ed ha preso la mia storiella per chissà quale profezia e adesso vuole che porti in sua presenza lʹoracolo ,la Cassandra di sventure che è una candida , innocua , vecchietta trasteverina, magari stramba e leggermente fuori di testa e per giunta non ha mai pronunciato la frase che io ho creduto di Christine Delport
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udire...ʺ ʺNon lo penso, Santità, non lo penso affatto!ʺ ʺE fa benissimo, perché lo sa cosa cʹè di nuovo, de Vecchi? Quella frase che lei ha udito, quella sullʹattenzione alle tre stelle di marzo , lo sa che cosa era?ʺ ʺUna mia immaginazione.ʺ ʺNiente affatto. Era una profezia bella e buona, come quella dellʹ Apocalisse!ʺ Una pausa di imbarazzato silenzio (il cardinale non sapeva più dove volgere lo sguardo per non rivelare un comprensibile turbamento). Un silenzio interrotto nuovamente da Pio XIII: ʺVada, adesso, de Vecchi e mi porti qui la vecchia...ʺ. Cʹera poco da ribattere. Non restava che passare allʹesecuzione del desiderio papale che poi era unʹordine da non discutere più. Il cardinale si sarebbe volentieri fatto sparire da solo se avesse avuto qualche vaga nozione di magia. Facendosi un esame di coscienza come era abituato a fare fin da quando , aspirante prete, era entrato in seminario, cominciò a lanciarsi ingiustificate accuse : ʺLinguaccia da prete! Potevi startene zitto, sì o no? Che cosa ti è saltato in mente? Se allʹimprovviso senti delle voci, complice forse quel delizioso ʺbiancoʺ di Frascati che lo zio Giuseppe ti ha inviato dal suo podere, che cosa cʹentra il Papa? Eʹ vecchio, è stato malato , ha il diritto che gli concede lʹetà di avere qualche piccola mania e ciò è più che comprensibile da parte sua; da parte tua, invece, è ingiustificabile. Quando imparerai a tacere ed a tenere per te gli aneddoti insignificanti, le storielle banali? A parte che la nostra santa religione è piena zeppa di eventi sovrannaturali e miracolosi, cosa vai a stuzzicare? Non sei i pastorelli di Fatima, non sei Bernadette Soubirou, la ragazza di Lourdes, quindi cosa vuoi? Sei un cardinale, per giunta un papabile, che dovrebbe dar prova di maggiore prudenza e non cadere nelle eccentricità di questo tipo. Pazienza, la frittata è fatta. Le uova non si ricompongono. Adesso trova la vecchietta trasteverina e sbrigati...ʺ. Non fu difficile ritrovare la ʺgaribaldinaʺ. Tutto il borgo la chiamava così per via del berrettino rosso. Era unʹanziana Christine Delport
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levatrice in pensione. Ne aveva visti nascere di piccoli romani e romane e aveva aiutato le loro madri nelle doglie del parto. Quando i due sacerdoti che avevano ricevuto dal cardinale lʹincarico del ʺritrovamentoʺ annunciarono al porporato che avevano trovato la ʺgaribaldinaʺ e gli spiegarono il mestiere che ella aveva fatto da giovane, Romolo de Vecchi pensò, da erudito, alla filosofia socratica, la Maieutica...levatrice di idee. Bellʹidea davvero che aveva avuto! La ʺgaribaldinaʺ abitava in una casetta modesta, linda e ben tenuta e stava quasi sempre nel piccolo soggiorno a conversare con qualche amica o a guardare la televisione. Usciva raramente per andare a messa, per assistere a qualche processione per veder sfilare il corteo papale quando a maggio si recava in piazza di Spagna per rendere omaggio alla Vergine sulla colonna, prospiciente lʹambasciata iberica presso la santa sede. ʺPregatela di seguirvi ed accompagnatela da meʺ disse il cardinale ai due sacerdoti, Giorgio Di Lellis e Armando Fontana, inviati nella ʺmissioneʺ ribattezzata modernamente dai due giovani preti scanzonati e burloni (naturalmente, in inglese): ʺOperation Old Girlʺ. ʺAl più presto, sarà fatto ,Eminenza..ʺ risposero allʹunisono i due ridendosela sotto i baffi. Era la prima volta che Romolo de Vecchi cercava con tanta impazienza una vecchia parrocchiana. Di solito, sʹinteressava maggiormente alle giovani. Quello che i due preti si dissero , recandosi a cercare la ʺgaribaldinaʺ è divertente e vale la pena di essere riferito. ʺAbbiamo ritrovato la vecchia, Giorgio, e adesso la vogliono pure in Vaticano. Che cosa sta succedendo?ʺ ʺArmaʹ ! E come faccio a saperlo? A me ʹsta vecchina me pare ʹna strega. Vorranno farle un esorcismo...ʺ E giù a ridere. ʺNun famme venì li brividi. Beh, però è simpatica con quel berrettino alla garibaldina. Me pareva Nino Bixio...ʺ Risate pazze. I sacerdoti giovani, anime candide e beate, ridono e Christine Delport
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si divertono per un nonnulla, come le giovani suore. Innocenza e gioventù: una miscela irresistibile per scatenare lʹilarità nelle anime pie, anzi soprattutto nelle anime pie. Da qui lʹevangelico ʺbeati i semplici, gli umili e i poveri di spirito”. E ancora la conversazione dei due sacerdoti in missione: ʺScusa, ma perché ti dava i brividi?ʺ ʺTe lo dicevo prima, nun era per nulla sorpresa della nostra prima visita. Anzi era come se ci aspettasse.ʺ ʺMa no.ʺ ʺIo ho avuto questa impressione. Poi aveva in casa almeno sei gatti neri. Ho contato quelli che ho potuto vedere. Saranno stati anche di più.ʺ ʺE che cʹ è di strano? Mia nonna di gatti ne aveva altrettanti. Non hai mai veduto le gattare romane, quelle per le quali ‐ contrariamente a ciò che asseriva quel sindaco di Roma ‐ cʹè sempre trippa pè li gatti?ʺ ʺAh, ah, questa è buona. Eʹ una gattara? Ma a me dà i brividi. Quegli occhi, quasi gialli come quelli dei suoi gatti...Va beh, un pò di pietà cristiana, eh? Dʹaccordo mi pento di aver scherzato sulla vecchia, senza malizia. Trattiamola bene e portiamola con noi, in macchina, in San Pietro.ʺ Era partita la missione ʺOld Girlʺ. La ʺvecchia stregaʺ, la ʺgaribaldinaʺ, o come la storia (sì, la storia!) deciderà di chiamarla, quel giorno era sullʹuscio di casa perché aspettava (sì, aspettava!) i due preti. Si era agghindata alla meglio, per quanto le aveva consentito il suo guardaroba piuttosto modesto ed eccola lì, pronta al viaggio in Vaticano. Da Trastevere. Mezzʹora, al massimo a piedi. Se non cʹera traffico sul Lungo Tevere, dieci minuti in auto. Oppure unʹeternità e anche quel giorno il traffico cʹera, i sensi unici pure. Unʹodissea su quattro o due ruote come sempre nellʹUrbe. I sacerdoti non si erano stupiti per il calvario automobilistico, ma si erano stupiti moltissimo di trovare la vecchina sullʹuscio ad attenderli. Giorgio Di Lellis aveva trovato una clamorosa conferma ai suoi dubbi ed era lì lì per tornare indietro. Cʹera dello zolfo, in questa storia. Comunque, andò avanti assieme al Christine Delport
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suo amico Armando perché non si potevano discutere gli ordini del cardinale, e poi la vecchina appariva così innocua. Senza altri preamboli, la invitarono a salire sulla loro ʺPandaʺ e via, tutti e tre, verso San Pietro. Più o meno seguendo il percorso, sensi unici permettendo, delle strade dove era passata la processione e dove per la prima volta lʹarzilla nonna garibaldina aveva scorto il cardinale e ...gli aveva parlato. LA GARIBALDINA DAL PAPA ʺVi rivedo con molto piacere, signora, ehm, signora...ʺ ʺAh, sì. Mi chiamo Gioacchina de Cesari, signor cardinale..ʺ ʺNon mi chiami signor cardinale. Eminenza può bastare.ʺ ʺAllora, sua Eminenza, si ricorda di me?ʺ chiese ma senza alcun stupore Gioacchina. ʺMa naturalmente, mia cara signora, vi ho visto, devota, alla processione, lʹaltro giorno. Devota ed assorta. Cara la mia signora. Ecco, vi ho pregata di venire qui ed i due sacerdoti lodevolmente hanno eseguito il mio ord... hanno esaudito la mia preghiera, si corresse, perché il Santo Padre desidera vedervi e, quindi, conoscervi. Vedete?ʺ ʺMa voi mi avevate già vista, anche prima della processione, non è vero?ʺ esclamò la vecchina senza scomporsi. ʺMi pare di sì, rispose il cardinale sconcertato, forse per via del berrettino rosso, si nota, sapete, scusate se ve lo dico..ʺ ʺAh, ecco. E ditemi eminenza, perché er Papa vuole vedermi?ʺ Il cardinale, a questo punto, giocò dʹastuzia e volle mettere alla prova le capacità divinatorie (se di capacità divinatorie si trattava) della donna. Lei, comunque, non si era mai vantata con nessuno di essere unʹ indovina. Con nessuno e meno che mai, nel colloquio, con lʹalto prelato. Ma la tentazione era troppo forte per un cartesiano dello stampo di Romolo de Vecchi, una sorta di San Tommaso. Vedere per credere: non era la scritta sul suo blasone ma era il suo motto più intimo e segreto. ʺPerché il Santo Padre vuole vederla ? O bella! Non mi dica che lei non lo sa...ʺ Christine Delport
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ʺPer via del messaggio ?...ʺ Se si fosse trasformato di colpo in una statua di marmo, il cardinale non avrebbe potuto rimanere più immobile. Allibito, esterrefatto, senza parole, anzi, senza lʹuso della parola. Come paralizzato, fulminato sul posto. Si tratta di eufemismi, beninteso, soltanto di pallidi eufemismi perché non vi sono parole per descrivere lo stupore folgorante, lo sbigottimento assoluto dellʹuomo dalla veste rossa che, istintivamente, strinse nelle mani la catena ed il crocifisso dʹoro che portava appeso al collo. Poi con uno sforzo ed uno stoicismo degno di un martire paleocristiano si riprese, tornò per così dire, in sé , si riebbe ed indicò alla vecchina il cardinale camerlengo. ʺAccompagnatela dal Papa!ʺ ebbe appena la forza di dire e poi si accasciò sulla poltrona di damasco rosso, sotto lʹinsegna del suo blasone cardinalizio, fusione tra quello del suo casato e il mondo ecclesiastico: una spada (usata dagli antenati ed un giglio, raffigurante il candore immacolato). Ma il cardinale, in questa occasione, era ben lungi dallʹaver ritrovato il candore infantile. Per la prima volta in vita sua ebbe veramente paura. Quando la vecchia si trovò al cospetto di Pio XIII non parve per nulla impressionata. ʺEʹ al corrente del motivo per il quale si trova in mia presenza?ʺ le chiese con aria paterna il pontefice assiso sul suo scranno. Soltanto il camerlengo, un poʹ in disparte, assisteva al colloquio e di lì a poco si sarebbe aggiunto al terzetto anche il cardinale de Vecchi, che aveva recuperato il suo ʺaplombʺ dopo la terribile e sovrannaturale rivelazione delle capacità esoteriche‐divinatorie della donna. ʺConosco perfettamente le ragioni per le quali sono stata condotta qui, Santità, ‐ rispose Gioacchina de Cesari, mantenendo un atteggiamento perfettamente calmo e tranquillo ‐ è per quella frase che ho pronunciato durante la processione, rivolgendomi al cardinale: guardati dalle tre stelle di marzo! Ignoro perché lʹho detta e proprio non so perché mi sono rivolta a sua eminenza che dʹaltra parte, distante comʹera , non avrebbe dovuto neppure udirmi.ʺ Christine Delport
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ʺE invece, cara signora, la sua frase è stata udita e riferita a me...ʺ La ʺgaribaldinaʺ seduta sulla comoda poltrona sulla quale il Papa in persona le aveva chiesto di accomodarsi cominciava a divertirsi. ʺE che cosa significa, Santo Padre, la frase che ho pronunciato?ʺ ʺEʹ troppo presto per dirlo...ʺ Intanto, il cardinale che era entrato, nella sala delle udienze, si era avvicinato al Papa, mormorandogli :ʺQuesta vecchia sa tutto !ʺ ʺLo so.ʺ rispose anchʹegli bisbigliando , il pontefice. ʺma ‐aggiunse ad alta voce‐ la qui presente signora non conosce il significato della frase di avvertimento che ha pronunciato. Eʹ così o no, signora Gioacchina?ʺ ʺChe il diavolo mi porti allʹinferno se lo so!ʺ Il camerlengo, Ubaldo Rinaldi, dette alcuni colpi di tosse per avvertire la vecchina di non pronunciare mai il nome di Lucifero al cospetto di un Papa, di un cardinale e , ultimo ma non meno ragguardevole, un camerlengo. La ʺgaribaldinaʺ neppure se ne accorse e si limitoʹ a commentare: ʺBrutta tosse, monsignore. Guardi che con alcune aspirazioni di fumo di foglie di eucaliptus bollite le passa tutto. Altrimenti, latte e miele...ʺ ʺLasci perdere lʹ eucaliptus,‐ esclamò il cardinale‐.Sicché lei mi ha avvertito di un qualche pericolo, senza però sapere alcunché della natura di questo monito. Un generico avvertimento di stare attenti a tre stelle, nel mese di marzo. Non è chiaro, le sembra.ʺ ʺEh sì ‐ sospirò la vecchia‐ ma io non ne ho colpa. Qualche cosa, una forza superiore, mi ha spinto a parlare in quel modo e così ho fatto. Non conosco niente di niente, né delle stelle, né di marzo. Eʹ il mese pazzo per via dei mutamenti del clima. Marzo pazzerello, nevvero...ʺ ʺSì, sì, va bene ‐tagliò corto, intervenendo nuovamente nella conversazione il Papa‐ prendiamo atto del suo avvertimento, signora Gioacchina. Vedremo che cosa significa più tardi, cercheremo noi di scoprirlo, stia tranquilla. Vada pure...ʺ . Christine Delport
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Con una benedizione papale, scortata dal cardinale e dal camerlengo, la ʺgaribaldinaʺ uscì da San Pietro e, portata nuovamente a casa in macchina dai due sacerdoti, uscì una volta per tutte anche da questa storia. Ma la sua profezia, invece, rimase al centro dellʹattenzione delle supreme gerarchie vaticane nel più assoluto e rigoroso segreto. Almeno per alcuni mesi, e cioè fino a quando il mondo intero venne, purtroppo, a conoscenza del suo significato. Convocato dal Papa, il Consiglio dei cardinali venne incaricato di stilare un documento che, in un secondo tempo, sarebbe stato reso noto anche al Sinodo dei vescovi. Ma adesso erano i più alti prelati a dover interpretare lʹenigma. Non era un vero e proprio conclave, come quello che si riunisce per designare un nuovo eletto al soglio di Pietro, ma era comunque una conferenza al vertice. I nunzi apostolici erano stati tutti avvertiti con corriere diplomatico nelle rispettive capitali, per contattare eventualmente i governi. Cʹera,naturalmente, in Vaticano chi trovava eccessivi ‐addirittura demenziali‐ tutti quei misteri, i provvedimenti straordinari, e le interminabili riunioni. Il cardinale , Valerio Adriani, era il ministro degli esteri della Santa sede ed apparteneva al partito degli scettici:ʺMa quale profezia? Una vecchia che durante una processione afferma di stare attenti alle tre stelle di marzo. E che significa? Cosa vuol dire? Secondo me, il potere del Papa adesso è male utilizzato, una ricerca sul nulla, tante interpretazioni, tanti misteri ed uno sproloquio senile scambiato per un non si sa bene che di profetico...ʺ ʺSarei dʹaccordo con voi ‐ replicava René Clement, cardinale di Lione‐ se non fosse per il racconto di Romolo de Vecchi e la conferma che la vecchia signora ha parlato di un messaggio come se sapesse cosa aveva udito il cardinale romano durante la famosa processione.ʺ “E se lʹavesse poi udita quella frase anche da una certa distanza, se gliela avesse letta sulle labbra...ʺ ʺImpossibile! E poi se il Papa si comporta così avrà le sue brave Christine Delport
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ragioni, in fondo il capo della Chiesa è lui. Poi teniamo conto delle profezie millenarie, apocalittiche. Cʹ è quella leggenda del calendario dei Maya con quella data precisa ed inquietante: 21 dicembre 2012. Fine del mondo o inizio di una nuova era per lʹumanità ? ʺ ʺAh, per questo niente da dire ‐replicò Adriani‐ il capo ed aggiungo il responsabile di questo trambusto è il nostro pontefice ed avrà sicuramente i suoi motivi . Intanto, siccome nella bandiera dellʹIraq vi sono tre stelle ha già annullato il viaggio papale. Non si farà più...ʺ ʺForse, ha fatto bene, con la guerra scoppiata in quel paese una visita non è certo consigliata. Può difendere la pace da Roma, in modo più efficace che andando a Bagdad e finire per trovarsi coinvolto nel conflitto. Eppoi, ecco quasi una prima conferma della profezia: la bandiera irachena ha tre stelle orizzontali e la visita avrebbe dovuto avvenire allʹincirca nel mese di marzo. Vede, Adriani, che qualche cosa di vero cʹ é in quel monito.ʺ ʺSe lo dice lei, caro Clément...ʺ. Discussioni simili tra gli alti prelati in Vaticano avvenivano quotidianamente e fioccavano le interpretazioni sulla ʺprofeziaʺ. Naturalmente, gli stemma papali erano stati passati accuratamente in rassegna, eterna fonte di ispirazione, quei simboli, delle più svariate divinazioni. Da Nostradamus a Malachìa. Venne notato ( e come poteva essere altrimenti) che Pio VI ,il pontefice che visse nel secolo della rivoluzione francese, la quale raggiunse il suo culmine nel 1793 quando fu ufficialmente soppresso in Francia il cristianesimo aveva tre stelle nel blasone, stelle ciascuna ad otto punte, come le tre che comparivano nello stemma papale di Pio XIII. Lo stesso Papa aveva cercato ansiosamente nelle vite dei suoi predecessori qualche funesta indicazione che potesse sostenere i suoi atroci dubbi. Certo già il nome era poco rassicurante Pio tredicesimo, il dodicesimo era stato il Papa della seconda guerra mondiale,ma il nome almeno se lo era scelto lui. E non poteva avere a che vedere con la profezia. Intanto, si era Christine Delport
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giunti al mese di febbraio. ʺAncora trenta giorni ‐ pensò il Papa ‐ e allora sapremo cosa ci aspetta...ʺ. Nello stesso mese in cui a Roma si svolgevano questi avvenimenti e le più alte gerarchie ecclesiastiche si sforzavano di dare una corretta interpretazione a quella che, ormai, per esplicito volere papale veniva considerata una ʺprofeziaʺ (allo stesso titolo dei segreti di Fatima; il terzo segreto ‐ tra lʹaltro‐ era noto solo al pontefice) in un lontano villaggio del Nepal, Asanga un giovanissimo indù, seguace del Dalai Lama in esilio, appartenente alla religione buddhista, ebbe una visione. Tre stelle lucenti erano apparse allʹimprovviso allʹorizzonte vespertino del suo villaggio. Apparivano più luminose di qualsiasi corpo celeste, più brillanti persino di Sirio ʺil fiammeggianteʺ. Dapprima, raccontò Asanga ai confratelli dalla veste arancione, il sogno era piacevole tutto si svolgeva nel migliore dei modi. Io sulla soglia della mia casa ammiravo le tre grandi stelle che sembravano avvicinarsi sempre più allʹorizzonte del nostro villaggio... ʺPoi, però il mio sogno si trasformò in un incubo. Udivo la gente, che era uscita dalle abitazioni, urlare terrorizzata. Lʹatmosfera si era fatta rovente e le nevi eterne della catena himalayana da bianche avevano assunto un colore rossastro e sembravano sciogliersi in decine di torrenti impazziti. Lʹatmosfera si era fatta irrespirabile. Mi ero risvegliato in un bagno di sudore. Lʹincubo era divenuto insopportabile ed io mi risvegliai gridando...ʺ Nellʹ hashram, il sogno di Asanga venne riferito allʹindovino del villaggio, affinché ne traesse i possibili auspici. Dopo aver interrogato a lungo il giovane, lʹindovino chiese di incontrare il superiore del monastero ʺperché la situazione richiedeva di essere approfonditaʺ. Così anche nel mondo buddhista cominciarono a circolare strane voci su ʺsegni profeticiʺ riguardanti segnali luminosi nel cielo. Christine Delport
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ARRIVANO LE TRE STELLE Nellʹosservatorio astronomico della California, dedicato ad Albert Einstein, il più giovane degli astrofisici americani , Jonathan Wallace, non si stancava di fare gli straordinari pur di scrutare lʹinfinità del cosmo. Per lui lʹastrofisica era una passione tremenda, nata quando ancora era un bambino ed i suoi genitori, in Florida, gli avevano offerto, durante una vacanza natalizia, un meraviglioso telescopio. Da quel giorno, era diventato ‐ secondo una sua spiritosa definizione ‐ un ʺguardoneʺ cosmico. Naturalmente, terminate le scuole normali e giunto alla scelta della facoltà universitaria, il giovanissimo allievo Jonathan, brillante in matematica e, più generalmente nelle materie scientifiche, aveva chiesto ed ottenuto lʹammissione alla facoltà di astrofisica dellʹUniversità di Harvard. Era stato lʹinizio di una carriera promettente. Entrato nellʹ équipe dellʹ ʺEinsteinʺ uno dei più grandi osservatori cosmici del mondo, il trentacinquenne astrofisico si era distinto per una ricerca sui pulsar e sulle super‐novae. Ormai, lʹastrofisica era entrata nella sfera totalmente teorica delle ipotesi sullʹuniverso ma lʹosservazione diretta rimaneva insostituibile strumento di lavoro da affiancare ai calcoli algebrici infinitesimali e alle ricerche sulle particelle elementari sui quark e sui neutrini. Il grande dilemma dellʹastrofisica riguardava sempre i buchi neri e lʹenigma della materia oscura, la materia mancante decisiva per determinare i vari modelli di tutti gli universi possibili (teoria delle stringhe, eccetera). Teorie da dimostrare. Ma il fascino dellʹignoto per lui risiedeva essenzialmente nello scrutare il cielo stellato con gli strumenti tradizionali, i grandi e potenti telescopi, cui lʹastronautica aveva beninteso affiancato da tempo i satelliti del tipo Hubble per lʹosservazione ravvicinata nel sistema solare ed oltre, nellʹintera galassia. Per i viaggi spaziali, la grande incognita rimaneva la cintura Christine Delport
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degli asteroidi. Vera e propria frontiera da superare per raggiungere i traguardi più lontani del cosmo. In orbita tra Marte e Giove la cintura degli asteroidi era il pericolo numero uno in previsione di unʹipotetica missione spaziale che avesse voluto spingersi oltre il pianeta rosso in direzione del pianeta più grande del sistema solare. E fu lʹosservazione attenta di quel punto dellʹuniverso che consentì al giovane di compiere la scoperta che forse avrebbe preferito non fare. La traiettoria di un meteorite gigante gli era apparsa anomala, ma non preoccupante. Tuttavia, da rilievi più attenti poté determinare che quel meteorite dalle dimensioni gigantesche si stava dirigendo verso la cintura degli asteroidi, colpendo i quali avrebbe determinato uno sconvolgimento nel ʺbiliardoʺ cosmico dalle conseguenze davvero imprevedibili. Come nel gioco del biliardo appunto. Un colpo sbagliato e la boccetta impazzisce andando a colpire a casaccio tutte le altre biglie che, in tal modo, schizzano da ogni parte. Poteva accadere qualche cosa di analogo con gli asteroidi? In tal caso, quali pianeti sarebbero stati interessati dalla forza dʹurto o dallo spostamento dʹaria di una verosimile esplosione o di numerose esplosioni ? Marte di sicuro sarebbe stato investito in pieno e la Terra più al riparo ma non di molto. Attese mesi, Jonathan, prima di dare lʹallarme ai superiori dellʹosservatorio ʺAlbert Einstein ʺ. Un annuncio del genere sarebbe rimasto nellʹambito degli specialisti del settore almeno per qualche tempo, ma non così a lungo da rimanere un segreto. Comunque, prima di informare i responsabili del centro astronomico, il giovane astrofisico volle essere sicuro del fatto suo al cento per cento. Non disse niente a nessuno, nemmeno ai più intimi. Non disse nulla alla moglie Karin per non metterla in agitazione con timori forse immotivati , o almeno sperava ardentemente che lo fossero. Invece, i suoi dubbi iniziali trovarono ripetute e puntuali conferme. Sì, il gigantesco meteorite sbucato dallʹiperspazio stava puntando decisamente verso la cintura degli asteroidi. Avrebbe superato Giove, sfiorandolo appena, ma data la natura Christine Delport
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gassosa del pianeta gigante fin lì vi sarebbero state conseguenze per così dire limitate a parte lʹinfluenza di quel ʺpassaggioʺ sullʹorbita stessa del pianeta. Poi il prevedibile impatto con gli asteroidi e lʹincognita maggiore dello schizzare nello spazio degli asteroidi impazziti. Quando entrò nellʹufficio del professor Mortimer Hudson con la documentazione sulla sua scoperta trovò lʹanziano scienziato impegnato a dar da mangiare al suo gatto Mefisto. Hudson era di buon umore, quella mattina, ma dopo qualche minuto, ascoltate le spiegazioni che gli forniva Jonathan, il suo volto si rabbuiò. ʺ Ne è sicuro? In queste cose, un errore sarebbe fatale non solo per la sua carriera ma anche per la mia... Pensi allʹimmagine dellʹosservatorio.ʺ ʺIo i controlli li ho fatti, i calcoli sono precisi. Tutto è ancora oggetto di verifica... Naturalmente, se lei è dʹaccordo di esaminare la documentazione che ho qui con me.ʺ ʺBeh, altro chè se sono dʹaccordo. Viene ad annunciarmi la fine del mondo e vuole che non sia dʹaccordo per controllare se lei ha ragione oppure si sbaglia.ʺ ʺGrazie, per la fiducia. Vedrà che, purtroppo, verificando assieme i miei dati e le mie osservazioni, non avremo perso tempo.ʺ ʺMi auguro, come se lo augura lei, che sia solo tempo perso...ʺ. Invece, nessuno nellʹosservatorio perse il proprio tempo. Furono passati al vaglio più rigoroso di decine di astrofisici tutte le osservazioni di Wallace, tutti i suoi calcoli, vennero verificate tutte le variabili, tutte le equazioni, tutte le orbite possibili, vennero escluse tutte le ipotesi alternative. I calcoli ed i parametri di calcolo furono simulati centinaia di volte. Non restò la minima ombra di dubbio. Fu stabilita la data esatta della collisione tra il ʺbigʺ meteorite, subito ribattezzato ʺOmegaʺ e la cintura degli asteroidi: il 15 marzo. Quella catastrofe cosmica dava alla Terra al massimo quarantotto ore prima di subire, a sua volta, le ricadute dellʹimpatto. Il direttore dellʹosservatorio decise di informare direttamente il Christine Delport
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presidente degli Stati Uniti, Barak Obama. Volle farlo di persona e chiese di essere ricevuto dʹurgenza alla Casa Bianca. Conosceva il portavoce del governo e riuscì a contattarlo, spiegandogli per sommi capi la situazione. Insomma, il presidente Obama, il primo nero della storia americana ad occupare la posizione al vertice, venne messo al corrente delle prospettive a dir poco non rosee che si affacciavano sul futuro del nostro pianeta. Lo staff della Casa Bianca decise di convocare una conferenza mondiale di scienziati per determinare i provvedimenti da adottare dʹurgenza. La conferenza mondiale si tenne a New York, nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Erano stati invitati anche gli esponenti religiosi, compresi il Papa ed il Dalai Lama (malgrado lʹopposizione del rappresentante cinese , contrario ad una presenza tibetana). Ma mentre il Dalai Lama già ospite negli Usa accettò lʹinvito, il pontefice romano dovette declinarlo per motivi di salute ed inviò in sua rappresentanza il ministro degli esteri della Santa Sede quel Valerio Adriani che guidava il partito degli scettici in materia di profezie. A New York, il cardinale si trovò a proprio agio perché qui si trattava di valutare una scoperta scientifica e le sue ripercussioni sulla vita nel nostro pianeta. Si trattava pur sempre dellʹApocalisse, ma chissà perché lui credeva più ad unʹapocalisse preannunciata dagli scienziati che ad unʹapocalisse profetizzata da testi sacri o da visioni sovrannaturali. Tuttavia, dovette riconoscere, il moderno San Tommaso, vi è una ben strana coincidenza tra ciò che hanno scoperto questi scienziati e ciò che noi uomini di chiesa stavamo studiando dopo quellʹ episodio della processione in Trastevere. In una pausa della conferenza, incontrò il Dalai Lama. Affabile e cordiale come sempre, il capo del buddhismo tibetano finì per metterlo al corrente del sogno di Asanga. ʺPerché hanno invitato gli esponenti delle principali religioni mondiali, imam e leader induisti, compresi ?ʺ ʺRitengo ‐ rispose il Dalai Lama ‐ che una previsione algebrica riguardante il campo dellʹastrofisica possa valere a questo punto Christine Delport
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una premonizione di tipo sovrannaturale in quanto si tratta di capire a che livello si colloca la scienza e dove termina lʹintuizione religiosa. Noi buddhisti siamo persuasi che scienza e religione possano coincidere nei risultati finali. Divergono in alcuni casi i processi mentali che portano alle stesse conclusioni. Qui, ad esempio, abbiamo un astrofisico statunitense, il quale in base ad osservazioni dirette e calcoli infinitesimali ci preannuncia lʹarrivo di una catastrofe cosmica. Dallʹaltra parte, le mie fonti nepalesi mi hanno da tempo informato del fatto che uno dei nostri monaci, andandosene semplicemente a dormire ha avuto una ʺvisioneʺ dello stesso tipo... Ma non è per questo che il governo americano ha invitato i rappresentanti delle chiese, Lo ha fatto perché la situazione è così disperata che allʹumanità non rimane altro da fare se non mettersi a pregare in tutte le lingue ed in tutte le fedi conosciute. Il presidente degli Stati Uniti ha chiamato gli scienziati come si chiamano i medici al capezzale di un ammalato molto grave, il nostro pianeta. E poi ha chiamato noi preti per quella che voi cristiani definireste lʹestrema unzione ad un moribondo, e sto sempre parlando del nostro pianeta, purtroppo!ʺ Valerio Adriani rimase molto colpito da quelle parole e volle scoprire le carte. Senza chiedere, telefonicamente, il parere del Papa, decise di riporre nel suo interlocutore la stessa fiducia che egli aveva riposto in lui, svelandogli il segreto del sogno premonitore del monaco nepalese. ʺAnche noi cattolici ‐ esclamò ‐ abbiamo visto qualche cosaʺ. Il Dalai Lama, imperturbabile, continuava a sorridere, socchiudendo gli occhi come in attesa di una confessione da parte del cardinale di Santa romana chiesa. ʺEbbene ‐ disse Adriani, raschiandosi la voce e non senza un tono solenne e commosso‐ una vecchia trasteverina ha detto ad un nostro cardinale, Romolo de Vecchi (credo che sua Santità lʹabbia incontrato durante una delle sue visite romane) di stare attento alle...tre stelle di marzo!ʺ ʺVedo, vedo ‐ replicò il Dalai Lama ‐ e così il mio monaco non è lʹunico ad aver visto ed udito qualche cosa riguardo alle tre stelle Christine Delport
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lucenti...ʺ ʺNo, non è il solo. Ma il fatto ancora più sorprendente è che lʹautrice della nostra profezia parlava da una distanza dalla quale il cardinale non poteva udirla. La vecchia era consapevole della frase pronunciata, ma non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire...ʺ ʺNe ignorava il significato?ʺ chiese, incuriosito, il Dalai Lama. ʺCompletamente!ʺ replicò Adriani. ʺIl Santo Padre ‐ disse il capo del buddhismo tibetano‐ è una persona molto saggia. Vedo che ha dato la dovuta importanza a questo episodio, ma che cosa ne ha dedotto?ʺ ʺNulla. Ci siamo interrogati per intere settimane sul significato della profezia ‐ ammesso che lo fosse, mormorò il cardinale ancora dubbioso ‐ e abbiamo trascorso intere giornate negli archivi vaticani per trovare un nesso logico alle parole della vecchia trasteverina ed alla frase, udita inspiegabilmente da lontano da sua eminenza de Vecchi. Voi tibetani avete interpretato il sogno di Asanga come un sicuro segno di catastrofe?ʺ ʺForse, non di catastrofe. Ma come lʹannuncio di un avvenimento di estrema importanza per noi terrestri...ʺ ʺBeh, ma che la catastrofe sia imminente adesso ce lo dicono gli scienziati della massima potenza mondiale. Non vi sono dubbi...ʺ ʺNon vi sono dubbi ‐ disse sorridendo il Dalai Lama ‐ che assisteremo ad un avvenimento. Ma perché dargli una connotazione negativa ? Potrebbe essere qualche cosa di positivo.ʺ ʺMi scusi, Santità, mi dispiace contraddirla, ma che cosa vuole vi sia di positivo nel fatto che un gigantesco meteorite si dirige quasi alla velocità della luce (come ci hanno detto gli americani) verso la cintura degli asteroidi e che, colpendo gli asteroidi, provocherà un cataclisma spaventoso nei pianeti circostanti, tra i quali beninteso il nostro.ʺ ʺTutto dipende dal meteorite, dunque. Ma quanto alle previsioni, tutto dipende dalla mente. Lʹeffetto dello sconvolgimento delle orbite planetarie sarà catastrofico, oppure‐ chissà ‐ dal caso Christine Delport
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potrebbe nascere un mondo migliore; chissà un clima più mite per la Terra, unʹatmosfera più adatta allo sviluppo della nostra agricoltura anche nelle zone aride. Capisce cosa dico, vero, signor cardinale, questo mondo può essere domani peggiore, ma la nostra mente concepisce anche delle possibili migliorie, quindi, chissà se questo presunto cataclisma sia un bene oppure sia un male.ʺ ʺEppoi‐ esclamò il cardinale‐ cʹè chi definisce il buddhismo una religione pessimista perché si prefigge il raggiungimento del nirvana. Mai conosciuto in vita mia un personaggio più ottimista di lei, Santità.ʺ Il Dalai Lama sorrise e ,questa volta, non ebbe nulla da ribattere. Chissà perché la sua mente allenata alle pratiche dello yoga gli diceva che cʹera forse qualche cosa di buono nellʹarrivo di queste stelle... Ottimista, sì, perché aveva sempre pensato che nella roulette cosmica, la Terra se lʹera sempre cavata piuttosto bene e gli esseri umani ospiti della grande astronave avevano sempre visto uscire il numero giusto. Adesso,si trattava di puntare sul tre rosso, quello delle tre stelle. Ma che cosʹerano poi queste stelle? Gli scienziati parlavano di un gigantesco meteorite in arrivo sulla cintura degli asteroidi. E basta. Tutto il resto erano congetture. La maggioranza degli scienziati stavolta temeva seriamente che alla roulette cosmica per la Terra sarebbe uscito lo zero. Robert Williams era da due decenni un patito di ufologia. Credeva negli extraterrestri ed aveva fondato un Ufo Club nella città universitaria di Harvard, dove raccoglieva come cimeli le ʺproveʺ degli avvistamenti. Williams, era agitatissimo per le notizie che aveva letto sul ʺSentinel of Harvardʺ il giornale locale che riportava notizie della conferenza planetaria degli scienziati e dei governi allʹ Onu. La Casa Bianca, per premunirsi da qualsiasi fuga di notizie che avrebbero messo in grave allarme la popolazione, aveva mantenuto il più rigoroso riserbo sulle finalità del vertice mondiale. Si era parlato di valutare il movimento celeste di un meteorite, ma senza allarmismi. Tuttavia, lʹampia partecipazione di delegati internazionali, Christine Delport
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lʹaltissimo livello dei partecipanti (o capi di stato e di governo oppure ministri degli esteri) aveva sin dallʹinizio insospettito i giornalisti. La fuga di notizie, dati i mille possibili canali e la varietà delle fonti informative, era stata inevitabile ed il grosso pubblico di tutti i paesi, nel mondo della globalizzazione, aveva finito per essere messo al corrente della realtà. ʺUN GIGANTESCO METEORITE IN ROTTA DI COLLISIONE CON LA TERRAʺ titolava, senza scrupoli per lʹeffetto di panico nei confronti dei lettori, il giornale locale. Anzi, i piccoli quotidiani la sparavano ancora più grossa che i grandi media, i quali riportavano fedelmente la versione degli scienziati: meteorite si dirige verso la cintura degli asteroidi. Lʹimpatto previsto per la metà di marzo. Quali conseguenze per il nostro pianeta? Ancora più prudenti i telegiornali governativi dei vari paesi, ma scatenate le radio e le televisioni private ed i piccoli mass‐media di provincia. Per non parlare dei messaggi su Internet. Risultato: nel mondo si stava diffondendo il panico. Ma lʹagitazione dellʹufologo era determinata anche da un altro motivo. Controllando le mail sul proprio computer, lo studioso di oggetti volanti non identificati aveva trovato un messaggio molto singolare: una raffigurazione a colori di tre oggetti luminosi , la scritta: ʺPresto saremo tra voi!ʺ Tutte le ricerche sulla fonte del messaggio si rivelarono inutili. Contattò tutti gli specialisti di computer a sua conoscenza per verificare da dove poteva provenire la mail. Consultò anche alcuni hackers, quelli della pirateria informatica. Ma nessuno seppe rintracciare lʹorigine del messaggio. Non era un virus informatico, non proveniva dagli operatori abituali di telecomunicazioni, aveva delle caratteristiche strane ed era apparso sullo schermo del suo personal computer come se venisse dal nulla, forse si trattava dello scherzo di un collega ufologo. Però era riuscito talmente alla perfezione da rendere la cosa praticamente impossibile. Se il messaggio non era partito da un altro sito informatico, né da un altro computer, quale ordinatore lʹaveva inviato ? Lʹufologo decise di rivolgersi alle autorità locali per informarle dellʹaccaduto. Nei giorni seguenti, Christine Delport
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si presentarono a casa sua agenti dellʹFbi, e della Cia, specialisti degli ordinatori più sofisticati e dei sistemi di trasmissione ultra‐segreti. Tutti i codici criptati furono passati al setaccio. Niente. Le conclusioni delle ricerche anchʹesse coperte dal top secret furono che il messaggio sul computer di Williams non proveniva dalla Terra, bensì dallo spazio. Quale satellite, di quale nazione aveva potuto inviarlo? Tutti gli interrogativi rimasero aperti. Un esame più accurato degli oggetti trasmessi dalla fonte misteriosa rivelò che non si trattava di tre oggetti naturali, ma che erano costruiti con una specie di lega di metalli (se di metalli si trattava) completamente ignota sulla terra, che aveva lasciato tracce sul computer dellʹufologo, come un pezzo di gesso farebbe su una lavagna . Solo che, nel caso specifico, non si conosceva la composizione del gesso! Allʹufologo, che ormai al corrente del segreto, chiedeva spiegazioni sul messaggio apparso sul suo computer, giunse un invito a recarsi a New York per partecipare in veste di osservatore alla conferenza internazionale. Nel Palazzo di vetro dellʹ Onu i conciliaboli andavano per le lunghe. Discorsi‐fiume. Esitazioni, addirittura veti incrociati da parte di paesi sospettosi ed insofferenti di scorgere lʹegemonia americana persino dietro una annunciata catastrofe planetaria. I lavori di un ʺpanelʺ di esperti, in buona sostanza altro non aveva fatto se non confermare , punto su punto, lʹesattezza delle valutazioni e dei calcoli degli astrofisici dei laboratori del centro ʺ Einsteinʺ. Ad affiancare la scoperta degli scienziati, si allineavano i resoconti di avvenimenti strani e curiosi come quello di Williams. Questʹultimo non senza un certo stupore apprese da altri ʺosservatoriʺ invitati alla conferenza di New York che di avvenimenti simili al suo ve nʹerano stati centinaia in ogni parte del globo. Un radioamatore parigino, ad esempio, raccontoʹ alla tribuna il suo caso. Louis Blanche era in contatto con un altro Christine Delport
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radioamatore in Alaska, quando udì unʹinterferenza ed una voce cavernosa che annunciava: ʺCi avviciniamo sempre di più al vostro pianeta, saremo tra voi verso la metà di quello che voi terrestri chiamate il mese di marzo. Arrivederci a presto,dunque, non abbiate timore...ʺ. Il parigino credette ad uno scherzo di qualche altro patito delle radiotrasmissioni internazionali. Il suo interlocutore dalla lontanissima Alaska disse di non aver udito alcunché, ma il collegamento con Parigi era saltato per un breve periodo di tempo e quando era riuscito a comunicare di nuovo aveva udito come un sibilo metallico sul proprio apparecchio ricetrasmittente. Di narrazioni simili ve ne furono parecchie e, intanto, con il trascorrere dei giorni, la situazione di stallo non si risolveva. Jonathan Wallace, lo scopritore del gigantesco meteorite rilevò con sorpresa che lʹoggetto celeste emetteva onde radio. Vi furono notevoli perturbazioni nelle trasmissioni radio‐televisive, e nei programmi tivù di tutto il pianeta apparirono immagini a dir poco incredibili: visioni della nostra galassia che non potevano provenire se non da altre galassie distanti milioni di anni‐luce, visioni del cosmo che nessun satellite terrestre avrebbe potuto inviare da aree dellʹuniverso quasi del tutto sconosciute ai nostri mezzi di osservazione terrestri o spaziali. Ed alla fine, la sorpresa maggiore: il meteorite non era un meteorite. Era composto da tre elementi separati,brillantissimi, ma non si trattava apparentemente di veicoli spaziali, di metalli o di qualsiasi altro elemento materiale conosciuto sulla terra. La forma dei tre oggetti misteriosi, le tre immense stelle, come furono subito ribattezzate dalla stampa di ogni nazione, era sferica, ma cambiava per diventare ovale, rotonda, addirittura quadrata insomma era una forma sempre mutevole una non forma. Secondo la felice definizione di uno scienziato sembrava più la ʺmaterializzazioneʺ di unʹidea che qualcosa di realmente reale. Le tre stelle attraversarono agevolmente, scrutate da migliaia di potentissimi telescopi,la cintura degli asteroidi. Non vi fu alcun impatto. Attraversarono gli asteroidi come la luce attraversa lo spazio vuoto o il vento attraversa qualsiasi fessura. Nessuna Christine Delport
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esplosione cosmica, nessun cataclisma. Il mondo cominciò, nuovamente, a sperare...Spes, ultima dea. LA TERRA SI SALVA Comodamente seduto in una poltrona dellʹHotel ʺAmbassadorʺ il dottor Mabuse sorseggiava un Martini, pregustando lʹeccellente colazione che da lì a poco avrebbe assaporato nella terrazza roof‐garden del moderno grattacielo di Manhattan , sede dello splendido albergo. Da alcune settimane a New York, in viaggio di piacere era stato subito contattato dal Pentagono, il ministero della Difesa statunitense. Il ministro, John Peterson, in persona aveva voluto incontrarlo a Washington e lo aveva supplicato di assistere alla conferenza straordinaria delle Nazioni Unite per tentare di risolvere il mistero delle tre stelle. ʺEʹ in gioco, stavolta, il destino dellʹumanità, dottor Mabuse. Lei non può esimersi dallo studio di questo caso terribilmente serio e grave...ʺ ʺMinistro, inutile ricordarle che io non sono un astrofisico. Ammetto di avere una certa esperienza nei casi misteriosi di ogni genere, ma la mia competenza di scienziato è molto , molto limitataʺ, pronunciando queste parole ‐ come il suo manoscritto ha poi rivelato al mondo‐ Mabuse, naturalmente, sorrideva tra sé e sé. Non vi era sulla terra un uomo della sua competenza in materia di astrofisica, per il semplice fatto che era lui un viaggiatore del tempo. Non vi erano segreti né in terra né in cielo per Mabuse. Viaggio spazio‐temporale continuo al di là dei fenomeni, al di là delle apparenze, in quel grande cosmo che è la mente universale. ʺBene. Le prometto il mio completo interessamentoʺ aveva finito per rispondere a Peterson. Christine Delport
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Il governo degli Stati Uniti lo aveva,quindi, trattato come ospite di riguardo allʹ Hotel Ambassador, dove era sceso per una vacanza che si era ormai trasformata in una vacanza di lavoro. Mabuse aveva già dissipato la matassa e risolto il problema delle tre stelle, sapeva che non vi era alcun pericolo per il genere umano. Il suo problema,tuttavia, era che con il linguaggio comune della gente non sarebbe mai riuscito a spiegarlo o anche lontanamente a farsi capire. Da parte del mondo scientifico avrebbe trovato ascoltatori attenti, ma le parole non erano perfettamente adeguate alla spiegazione del fenomeno che aveva fatto scorrere tanto inchiostro sulle prime pagine di tutti i quotidiani del mondo. Per fortuna, pensò Mabuse, le tre stelle hanno fatto scorrere molto inchiostro, ma non scorrerà il sangue. Stava riflettendo ad una possibile soluzione al dilemma perché sapeva perfettamente che senza una spiegazione il fenomeno del gigantesco meteorite si sarebbe dissolto senza danni lasciando al massimo, una scia di incredulità. Gli uomini avrebbero semplicemente detto: ʺLe tre stelle sono passate come comete nel nostro firmamento e non é accaduto nulla! Come mai? Ma meglio così, siamo tutti vivi. Il mare non si è sollevato, terremoti non ne abbiamo visti, lʹApocalisse non si è verificata, abbiamo ancora un domani, un avvenire. Possiamo mandare a scuola i nostri figli, andare ogni anno in ferie, festeggiare il Natale, la Pasqua, e tutti ‐ a seconda delle rispettive religioni‐ le feste che si presentano nel corso dellʹanno. La vita di sempre, insomma, con i suoi guai e le sue pene, le sue gioie ed i suoi dolori, i fastidi, le angoscie, tutto ciò che rende la vita monotona o interessante, bella o brutta, la vita che abbiamo temuto di perdere.ʺ Il dottor Mabuse sorrise di nuovo: aveva scelto la soluzione al mistero. Sarebbe rimasto un mistero, come quello della Trinità, come quello dellʹEucarestia, della Resurrezione, della Metempsicosi, della Reincarnazione. Come tutti i misteri di cui è pieno il mondo, pensò . ʺLe tre stelle ‐ disse tra sé ‐ hanno mantenuto la parola: sono giunte tra noi e, provocandoci una tremenda paura ci hanno fatto riflettere sulla vita e sulla morte. Per tutti quanti, la paura di Christine Delport
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perdere la vita ci ha fatto apprezzare il valore dellʹesistenza. Eʹ quando si rischia di perdere un bene che ci si rende conto di quanto forte e bello sia il bene. Per apprezzare il dolce bisogna conoscere lʹamaro, per godere il caldo sole bisogna aver patito il freddo. Ma come spiegare alla gente, sogghignò, che il cosmo ci manda messaggi sotto forma di avvenimenti inspiegabili e, soprattutto, come spiegare al mondo che lassù qualcuno o qualche cosa ci segue ed interviene nei modi più opportuni per correggere...la nostra rotta. La nostra è da troppo tempo sbagliata. La vita non ha più valore. Gesti di follia, stragi, guerre spaventose, criminalità dilagante, droga, violenza, odio, scontri etnici, conflitti economici e religiosi, un mondo terrorizzato il quale ha perduto persino la consapevolezza che le più grandi catastrofi sono quelle naturali. Ma quanto a cataclismi lʹopera dellʹuomo è ormai quasi superiore a quella sconvolgente della natura e così la Natura ci fornisce una sorta di ʺMemento moriʺ con i mezzi a sua disposizione. Per qualche tempo la grande paura sarà servita a farci riflettere ad essere migliori, più solidali e più comprensivi verso i compagni di viaggio, dalla culla alla tomba ʺ. Il giorno dopo, il presidente degli Stati Uniti in persona lo chiamò al telefono su suggerimento del ministro per la ricerca scientifica, John Peterson. ʺDottor Mabuse, sono il presidente... Scoperto qualche cosa?ʺ Lʹorgoglio e la vanità, che mai abbandonano gli esseri umani, spinsero Mabuse a dire la verità, ma senza ulteriori spiegazioni: ʺHo scoperto, signor presidente, che non accadrà assolutamente nulla...ʺ ʺCome sarebbe a dire nulla! Quei tre corpi celesti sono in rotta verso la Terra, è una rotta di collisione. Ci distruggeranno... Moriremo tutti. Vedo che non ha scoperto niente, ma dʹaltra parte, non gliene faccio una colpa; lei è un veggente famoso, risolve enigmi intricatissimi. In questo caso, ebbene, era una speranza come unʹaltra. Siamo in un guaio serio; non so più cosa dire agli americani, al mondo...ʺ ʺAllora dica, in una conferenza stampa mondiale, che stiano tutti Christine Delport
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tranquilli: non accadrà nulla. Dica che tutto è sotto controllo, le tre stelle non faranno più danni di quante potrebbe farne una cometa o diverse comete. Saranno visibili, attraverseranno la nostra atmosfera e spariranno dal cielo così come sono venute...Mi creda!ʺ ʺMa è impossibile! Gli scienziati dicono che ci stanno venendo addosso. Sarà un impatto distruttivo! ʺ ʺNon ci sarà alcun impatto...Mi creda, presidente Obama!ʺ ʺCosa sta dicendo ? Ho sperato fino allʹultimo si potesse escludere una causa naturale. Pensavo a tre vettori di una potenza ostile, anche extraterrestre, ma battibile, una potenza che con missili nucleari potesse essere distrutta... Ma non posso credere che non accadrà nulla...Gli scienziati.ʺ ʺCosa suggeriscono di fare gli scienziati, presidente?ʺ ʺBeh, lʹultima speranza sembra essere il classico scenario delle bombe scagliate nello spazio per disintegrare i tre oggetti volanti.ʺ ʺQuesto è rischioso, presidente, glielo hanno detto, vero?ʺ ʺNaturalmente.ʺ ʺInvece, io le assicuro che non ci sono rischi. Lo dica ai suoi scienziati. Vedranno sfilare tre stelle comete che sembreranno investire il pianeta, ma mentre le comete farebbero danni, queste tre stelle, chiamiamole così, saranno solo un grande e spaventoso spettacolo per gli occhi di tutte le popolazioni che vivono su questo pianeta. Avremo molta paura ma il fenomeno sarà come assistere ad unʹaurora boreale, spettacolare e basta.ʺ Prima di mettere giù il ricevitore, il presidente disse, con tono seccato: “La ringrazio, ma devo proprio riflettere, prima di agire.”. Alla Casa Bianca venne convocato tutto lo staff ministeriale. ʺMancano quattro giorni allʹimpatto con la Terra ‐ disse il presidente ai suoi più stretti collaboratori‐ e la conferenza internazionale ha prodotto soltanto chiacchiere. La decisione finale spetta al presidente degli Stati Uniti, come al solito. Il ministro della Difesa qui presente suggeriva in un primo tempo di fare lanciare contro le tre ʺstelleʺ dei missili nucleari per Christine Delport
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disgregarle. Ma le ultimissime osservazioni ed il fatto che i tre oggetti celesti abbiano attraversato la cintura degli asteroidi senza provocare danni non escludono, come dire, una natura incorporea. In altre parole, i missili potrebbero attraversare i tre oggetti non identificati senza fare loro un graffio ed i tre oggetti misteriosi potrebbero passare o vicini al nostro pianeta, oppure attraversarlo senza danni. Questa ipotesi viene adesso ammessa anche dagli scienziati. Suggerisco,quindi, due scelte: non lanciare sulle nostre teste rischiose testate nucleari; oppure lanciarle e vedere se determineranno unʹesplosione sui tre corpi spaziali. Se non dovesse accadere nulla, se non altro lʹimmaterialità dei tre meteoriti (non so più come definirli) sarebbe accertata e lʹimpatto con la Terra dovrebbe avvenire senza conseguenze esattamente come lʹimpatto con i missili che avrebbero attraversato quelle entità sconosciute senza provocare catastrofiche esplosioni. Inutile dire che la seconda opzione è quella che preferisco perché é un test decisivo sulla natura corporea o incorporea dei tre oggetti. Ma certo comporta rischi perché, a quattro giorni dallʹarrivo sulla terra, se quelli vanno in mille pezzi avremo una pioggia di pietre spaziali su tutto il pianeta ed uno scempio nei nostri satelliti di comunicazioni e di osservazione, per non parlare dei rischi sulla stazione orbitale. Quanto alla base lunare, nessun rischio perché almeno quella,come sapete, è composta con i materiali e le attrezzature necessarie per resistere a qualsiasi pioggia di meteoriti. La luna il satellite butterato con tutti i suoi crateri richiedeva una ʺcupolaʺ resistente per la nostra base e così i nostri astronauti ʺlunariʺ non hanno alcunché da temere.ʺ Lʹidea del lancio dei missili fu votata allʹunanimità nella Sala Ovale della Casa Bianca. Il giorno stesso dal Pentagono partirono gli ordini destinati alle basi missilistiche , disseminate sul territorio degli States. Vennero lanciati in tutto dieci missili a testate nucleari, i quali centrarono le tre stelle ma soltanto attraversandole senza far registrare il minimo urto. Non scoppiò nulla. Le tre stelle erano come un arcobaleno. Visibili, ma apparentemente immateriali. I missili si persero nello spazio. Christine Delport
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Provocarono deflagrazioni in qualche remoto angolo della Galassia? Nessuno lo seppe mai. Con lʹabituale indifferenza terrestre, nessuno ‐ passato lʹallarme tre giorni dopo ‐ se ne occupoʹ più. Eppure in quelle cariche nucleari spedite verso lo spazio infinito cʹera esplosivo sufficiente a far saltare in aria un pianetino come il nostro, nel caso di un impatto casuale. Ma sulla Terra dellʹeffimero, della dissennata corsa al ʺprogressoʺ tutto fu dimenticato nel giro di un mese. Tutto meno la ʺgrande pauraʺ. Quella rimase anche dopo il giorno fatidico, quel quindici marzo, in cui la Terra venne attraversata dalle tre stelle. Unʹaurora boreale, uno spettacolo di luci fantastiche. Un film in technicolor, con effetti speciali. Uno spettacolo che affascinò tutte le popolazioni terrestri, facendole passare in pochi istanti da uno stato di timor panico, di terrore, ad una sconfinata ammirazione e ad uno stupore per lo spettacolo fantastico cui avevano assistito tutti senza danni. Allʹattraversamento della Terra, i più sofisticati apparecchi non rilevarono aumenti della radioattività, furono però perturbate le onde magnetiche e si ʹinterruppero improvvisamente tutte le trasmissioni radio‐televisive. Poco male: lo spettacolo era in cielo. Le tre stelle attraversarono la Terra da parte a parte, entrando ‐ apparentemente dal Mediterraneo, per sbucare dalla parte opposta vicino alla Nuova Zelanda. Un viaggio al centro della Terra per poi proseguire verso lʹInfinito. Come aveva predetto il dottor Mabuse, nessun danno né alle cose, né alla fauna, né alla flora; nessun danno agli esseri umani. Vi fu anche un altro avvenimento curioso. Nella baia di New York erano apparse delle balene. Tutti gli abitanti della sterminata metropoli, in quellʹoccasione, sotto i giganteschi grattacieli, udirono il loro malinconico canto. Anche il canto delle balene venne interpretato come un messaggio della natura allʹuomo. Dal giorno della Grande Paura, la collaborazione tra i governi di tutti i paesi si fece più stretta, i rapporti meno tesi, più amichevoli. Si cominciò, almeno per qualche tempo a vedere i problemi in unʹottica meno nazionalistica e più planetaria. Non durò molto, perché anche il panico porta insegnamenti salutari Christine Delport
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ma come tutti i sentimenti umani è mutevole e alquanto effimero. IL MISTERO RESTA TALE Il giorno dopo il passaggio delle tre stelle, il Papa Pio XIII fece celebrare, in San Pietro, un Te Deum di ringraziamento, trasmesso in Mondovisione. Affacciandosi al balcone del Palazzo pontificio per la benedizione Urbi et Orbi, il Santo Padre rivolse ai pellegrini radunati a migliaia nella piazza immensa un cenno di saluto e disse testualmente: ʺEravamo a conoscenza della profezia riguardante le tre stelle. Essa venne comunicata ad uno dei nostri più stretti collaboratori da una signora romana di cui non intendo rivelare lʹidentità. Eʹ un sacro mistero, come il terzo segreto di Fatima non ancora svelato. Non si è avuta lʹApocalisse temuta, ma dal cosmo infinito lʹeterno autore di ogni cosa, colui che dal nulla ha tratto il mondo, ha voluto inviarci un segno della sua infinita misericordia. Abbiamo temuto la morte e ci é venuta una conferma della vita. Una vita che continua e che adesso ciascuno di noi deve apprezzare nel suo giusto valore come dono supremo del Padre. I padri della Chiesa hanno già dato una prima interpretazione allʹaccaduto del 15 marzo: essa attiene al mistero della santissima Trinità, padre, figlio e spirito santo. Di più il vostro pastore non può comunicare a voi miei diletti fratelli. Ha trionfato lʹamore divino e la vita. Benedico lʹUrbe, benedico il mondo...ʺ. Nella prima pagina dellʹOsservatore Romano apparve un editoriale di uno dei più eminenti cardinali , Romolo de Vecchi , il quale senza rivelare alcunché della profezia e della sua autrice si limitò a tracciare suggestivi paralleli tra lʹapparizione delle tre stelle di marzo e la santissima Trinità che, ʺdallʹeternità e per lʹeternitàʺ veglia sulle sorti del mondoʺ. Ma opportunamente de Vecchi ricordò la parabola di quel santo che, su una spiaggia, meditava sul mistero della Trinità . Ad un certo punto, il santo ‐ ricordava lʹeditoriale del cardinale de Vecchi‐ vide sullʹarena un fanciullo che ammucchiava,assorto, i granelli di sabbia. Il santo Christine Delport
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gli si avvicinò e gli chiese cosa stesse facendo. Il fanciullo rispose:ʺLo vedi, conto tutti i granelli di sabbia che ci sono su questa spiaggia...ʺ. ʺMa è impossibile!ʺ esclamò il santo. ʺMa è più facile per me ‐ replicò il fanciullo‐ contare tutti i granelli di sabbia contenuti sulla spiaggia che per te risolvere il mistero della santissima Trinità...ʺ. ʺEcco, concludeva de Vecchi, quel fanciullo era un inviato dellʹAltissimo. E il santo comprese che i messaggi divini, i misteri, non vanno risolti ma accettai come segni. Sono i segnali di luce di un faro che ci avvertono di un potenziale pericolo, che ci inducono a cambiare la rotta per evitare il naufragio delle nostre vite, sulle scogliere della miseria spirituale e della morteʺ. Tutta lʹeloquenza del porporato fece di quellʹarticolo una pietra miliare nella millenaria storia della Chiesa. Unʹaltra profezia, realizzata senza catastrofi, andò ad arricchire la storia miracolistica vaticana. Il cardinale Adriani, scampato il pericolo, non dimenticò la conversazione che aveva avuto, nei giorni precedenti la temuta catastrofe, con il Dalai Lama. Chiese di poterlo incontrare e fu ricevuto, con gli onori dovuti al suo rango. ʺSantità, disse Adriani quando fu nuovamente di fronte al Dalai Lama, mi ricordo benissimo la sua frase sulla relatività delle opinioni. Dunque, tutto dipendeva dai punti di vista. Per un pessimista, eravamo di fronte ad una forse inevitabile catastrofe, per un ottimista, invece, si prefigurava lʹipotesi di un miglioramento planetario...In ogni caso, aveva ragione lei: per vedere, bisognava attendereʺ. ʺPer il pessimista la bottiglia è mezza vuota, per lʹottimista è mezza piena ‐ rispose sempre sorridendo il capo dei buddhisti ‐ per il realista la bottiglia contiene del liquidò a metà...E basta. Forse, bisogna essere realisti e seguire se è possibile, la via di mezzo. In ogni caso, è sempre bene, pur prevedendo il prevedibile, non fasciarsi la testa prima di essersela rotta. ʺ ʺMa come faceva a sapere che le tre stelle non avrebbero Christine Delport
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provocato un cataclisma sul nostro pianeta? Il sogno di quel suo monaco... come si chiamava ?ʺ ʺAsangaʺ ʺEcco, sì. Asanga. In fondo era abbastanza cupo,no? Neve dellʹ Himalaya che diventa rossa e si scioglie in rivoli di sangue...ʺ ʺNessun dubbio che quello del monaco nepalese fosse un incubo. Ma lʹindovino del suo villaggio aveva parlato di segni da interpretare ed approfondire. Quando, prima della conferenza internazionale, mi venne riferito quellʹauspicio, non ne volli dare unʹinterpretazione negativa. Mi limitai a sospendere il giudizioʺ. ʺInsomma, non era certo che quel sogno, anzi quellʹincubo, fosse un presagio di sventura.ʺ ʺProprio così. Vi era solo lʹattesa ma non doveva essere unʹattesa angosciosa, non necessariamente. Un avvenimento devʹessere giudicato per i suoi effetti, come gli atti produttori del karma. Lʹavvenimento in sé poteva essere buono, cattivo o neutro cioé non ʺkarmaticoʺ e così è stato. Ma direi che, a conti fatti, il passaggio di quelle tre luminosissime stelle un effetto positivo lo ha avuto. Ha dimostrato a tutti noi quanto è fragile la nostra posizione nellʹimmensità dellʹuniverso. Un evento fortuito può modificare i destini di milioni di individui. Questo sarebbe lʹinsegnamento da trarre, ma dubito che qualcuno se ne sovvenga per lungo tempo.ʺ ʺIn Vaticano ‐sogghignò Adriani che con lʹaplomb aveva ritrovato lo scetticismo di sempre ‐ sembrano convinti che si sia trattato di un fenomeno legato al mistero della santissima Trinità.ʺ ʺConosco la religione cattolica ‐ replicoʹ il buddhista‐ forse un poʹ meglio di quanto voi cattolici conosciate la mia. Ciò è dovuto al fatto che voi fate del proselitismo ed i vostri missionari sono ovunque. Noi accogliamo chiunque, ma senza tanti sforzi di persuasione. Esponiamo la dottrina del Risvegliato e se un individuo la trova significativa ciò vuol dire che il suo ʺkarmaʺ lo ha portato vicino alla meta, al nirvana. Tornando alla trinità, trattandosi di un mistero, lʹaccostamento con lʹevento Christine Delport
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riguardante i tre corpi celesti era forse inevitabile.ʺ ʺQuindi, aveva ragione lʹeditoriale dellʹOsservatore Romano?ʺ ʺDirei, che aveva le sue buone ragioni per spiegare, secondo una visione religiosa, il fenomeno cui tutti abbiamo assistito. Ma esso resta inesplicabile, come tutti i misteri, per lʹappunto.ʺ ʺMa ai misteri se ne è aggiunto un altro. Tutto qui, vero?ʺ ʺNon potrei dire meglioʺ. Al congresso mondiale di ufologia che si tenne a New York, due mesi dopo lo scampato pericolo della collisione temuta con i tre misteriosi corpi celesti vi fu una ridda di ipotesi. Robert Williams lʹufologo americano, incontrò Louis Blanche lʹufologo francese e la loro conversazione riassume egregiamente quelli che furono gli esiti della conferenza: ipotesi, solo una ridda di ipotesi. ʺNon riesco ancora a spiegarmi un sacco di cose‐ disse Williams a Blanche ‐ ma i messaggi che io ho ricevuto sul computer con la raffigurazione di tre oggetti luminosi erano inequivocabili come il messaggio che ha ricevuto lei quando era in contatto radio con il radioamatore dellʹAlaska...ʺ ʺCertamente. Si è trattato di messaggi diretti a noi terrestri, ma poi non è accaduto niente. Avevano detto in sostanza che presto sarebbero stati tra di noi, di non aver timore e noi che abbiamo visto? ‐ esclamò Blanche ‐ nientʹaltro che tre luminosissimi corpi celesti attraversare di parte in parte il nostro Pianeta. Poteva essere una catastrofe e non è accaduta. Per fortuna, beninteso. Ma tutto ciò che significa ? ʺ ʺUn avvertimento, secondo me ‐ ribattè Williams ‐ unʹintelligenza superiore ha voluto comunicarci qualche cosa, ma noi con le nostre limitate tecnologie non siamo stati in grado di comprendere il significato di quel ʺsegnaleʺ...Non le sembra Blanche ?ʺ ʺSì, può essere. Ma come mai nella frase sul suo computer ed in quello che ho udito io, via radio, sono stati così espliciti ?ʺ ʺForse, con quei mezzi si aspettavano una risposta e , tuttavia, noi non lʹabbiamo data...ʺ ʺDunque, potevano non sapere che lei, io e tanti altri terrestri Christine Delport
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avevano perfettamente ʺricevutoʺ ma non erano in grado di rispondere a quello che doveva essere un messaggio in attesa di un ʺokayʺ. Si aspettavano che qualcuno sulla Terra rispondesse: ʺVi aspettiamo. Non abbiamo paura. Atterrate pureʺ o qualcosa del genere...ʺ ʺSembra plausibile, almeno secondo la nostra logica. Ma da tutti i messaggi che altri ufologi come noi hanno riferito al congresso mondiale non traspare la minima attesa di una risposta. Sembrava che dallo spazio siderale arrivasse solo questo: stiamo arrivando! Non vi era una richiesta del tipo: voi accettate la nostra visita o no? ʺUn avvenimento ineluttabile, quindi, che dovevamo osservare e forse meditare.ʺ ʺSembra essere così. Ed, infatti, tutti sulla Terra, si stanno ancora chiedendo appunto questo: di che fenomeno sinora sconosciuto si è trattato? Si ripeterà ?ʺ ʺEppoi, di che cosa erano composte le cosiddette tre stelle ?ʺ ʺAltro bel mistero ‐ sogghignò Williams ‐ fino allʹultimo spaventandoci tutti quanti a morte sono parsi giganteschi meteoriti. Invece, sono passate attraverso alla Terra come raggi di luce. Non erano fatti di materia. Non erano fatti di luce perché le ricerche degli scienziati hanno dimostrato che, a calcoli fatti avevano una velocità leggermente inferiore a quella della luce. Eppoi la luce non attraversa la Terra da un emisfero allʹaltro. Era antimateria? Ma ho sempre sentito dire che se la materia e lʹantimateria vengono ad incontrarsi provocano un annientamento reciproco.ʺ ʺSiamo ridotti a semplici congetture e temo che non avremo presto una risposta ai nostri dubbi.ʺ ʺMa è certo che lʹufologia esce rafforzata da questʹennesima esperienza, ormai anche i più scettici hanno dovuto arrendersi allʹevidenza, Da altri mondi a noi sconosciuti, giungono ʺsegnaliʺ. Non si è trattato per fortuna dei soliti dischi volanti, ma di un fenomeno cosmico innegabile che ha messo in allarme il mondo. Il fatto che non siamo soli nellʹuniverso è stato dimostrato da quella serie di messaggi cui ha fatto seguito Christine Delport
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lʹavvenimento che ha suscitato, nel mondo una comprensibile angoscia, il timore, rivelatosi per fortuna infondato, della distruzione definitiva dellʹintero pianeta...ʺ I due avevano sintetizzato quello che in tutti i paesi gli specialisti dello spazio continuarono a chiedersi ma senza trovare risposte. Nellʹosservatorio, ʺAlbert Einstenʺ, il giovane Jonathan Wallace rivedeva tutte le sequenze relative al passaggio dei tre ʺcorpiʺ celesti. Era stato lui lo scopritore scientifico del preannunciato avvenimento cosmico e, come tutti, aveva temuto che fosse ormai giunta la fine. Adesso, più che osservare, rifletteva. Anche lui doveva riconoscere che non vi era soltanto la parte visiva dellʹosservazione oppure soltanto la via sperimentale e quella dei calcoli infinitesimali, delle tesi della scienza. ʺQuello che non conosciamo, si sorprese a dire, è infinitamente superiore a quello che conosciamo. Anzi, per meglio dire conosciamo poco o nulla di una miriade di cose. Ad esempio, prendiamo i mezzi di comunicazione: noi comunichiamo con radio, computer, televisori, telefoni, fax, ma che cosa sono, in fondo, i nostri mezzi di comunicazione ? Sono onde, sono fasci di elettricità, sono impulsi. Quali altri mezzi di comunicazione umani noi trascuriamo ? I sentimenti, lʹintuizione, le sensazioni , le premonizioni che sono comunicazioni che precedono lʹavvenimento, la telepatia, il mondo inesplorato della mente, mente singola e mente universale. La paura, a quanto pare, è una forma di comunicazione e sembra che proprio di questo si sia trattato della trasmissione cosmica di un sentimento di paura (se non di panico) a ʺbeneficioʺ dellʹumanità.ʺ A Wallace sarebbe probabilmente piaciuto conoscere il dottor Mabuse, colui che nel suo manoscritto rivelò lʹultimo mistero, quello delle tre stelle, e lo fece tornando in Francia, nella sua Maubeuge, dove si rifugiò in attesa della sua ultima ora perché anche viaggiando nel tempo, non aveva ottenuto lʹimmortalità. Le Parche che tessono i destini degli uomini avevano ʺfilatoʺ il suo fato anche quando materialmente si trasferiva in altre epoche in altri mondi. Eʹ il destino dei rarissimi viaggiatori nel tempo: i Christine Delport
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loro giorni vengono contati ugualmente come i loro capelli sulla testa. E quando il ʺsuoʺ tempo è scaduto, il viaggiatore nel tempo muore, indipendentemente dalla epoca in cui si trova e indipendentemente dallo spazio. Ma lasciamo le ultime parole di questa storia allʹautore del manoscritto che meglio di chiunque altro saprà spiegare cosa gli è accaduto. ʺEccomi qui, per lʹultima volta, nella mia casa di Maubeuge. Tra una settimana, avrò esattamente ottantʹanni e quel giorno morirò. Il fatto di aver viaggiato non solo nello spazio ma anche nel tempo non ha allungato di unʹora, né di un minuto o di un secondo, la durata prevista dal destino per la mia vita. Sono rimasto, pur viaggiando attraverso lo spazio‐tempo, un mortale. Come mai riesco a predire esattamente lʹora della mia morte, come prima di me fece Nostradamus ? O bella ! Perché viaggiando nel tempo, lʹho vista. Ma prima di sparire per sempre concludo il mio diario con la spiegazione dellʹultimo mistero, quello delle tre stelle di marzo. Ascoltatemi, dunque. Esisteva, in un tempo lontanissimo, unʹantica civiltà che come tutte le civiltà giunse al suo apogeo, prima di intraprendere un lento ed inesorabile declino che la portò alla totale estinzione. Questa civiltà, detta degli Omicroniani, non si sviluppò sul nostro pianeta, bensì su un pianeta gigante di una remota galassia. Non interessa la forma degli Omicroniani, ma posso dire che il loro intelletto giunse a livelli estremamente sviluppati, le loro stupende invenzioni costituirono traguardi insuperati da altre civiltà cosmiche. Trascorsero millenni in anni luce, prima di veder apparire i segni di decadenza che dovevano portare allʹautodistruzione. In sintesi, era accaduto che i risultati raggiunti da quella avanzatissima civiltà tecnologica non corrispondevano alle risorse disponibili sul loro pianeta. Di quelle risorse avevano bisogno per vivere e, anno dopo anno, gli abitanti di Omicron vedevano assottigliarsi le risorse naturali assolutamente indispensabili per mantenere quei livelli di Christine Delport
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sviluppo. Cominciò unʹaffannosa ricerca attraverso la galassia per scovare possibilità di salvezza. Non vennero trovare altre risorse se non in quantità insufficienti e difficilissime da trasportare. Una migrazione in massa si rivelò impossibile e, per non venire meno ai loro principi di eguaglianza assoluta, decisero che non poteva esservi un destino diverso per una ristretta élite di privilegiati. Un destino comune. Se la maggioranza della popolazione doveva soccombere ciò voleva dire che tutti sarebbero periti nella catastrofe generale. Il gran consiglio del pianeta stabilì, tuttavia, che tutta lʹesperienza e la documentazione accumulata non doveva perire. Il sapere omicroniano venne condensato in tre oggetti luminosissimi, documenti‐faro da lanciare nel cosmo, affinché la tragica esperienza di Omicron potesse essere ʺlettaʺ da altre civiltà sconosciute ma sufficientemente sviluppate da comprendere il significato esatto dei messaggi. Questo erano le tre stelle che hanno attraversato la nostra galassia e praticamente tutto il nostro sistema solare, messaggi in codice, da decifrare al loro passaggio nellʹatmosfera. Questa volta, noi terrestri non abbiamo saputo farlo. Ma le tre stelle torneranno e i messaggi verrano interpretati correttamente. Come faccio a saperlo? Lo so perché ho viaggiato nel tempo e ho visto come noi terrestri , pur decifrando i messaggi di quella civiltà scomparsa non ne abbiamo tenuto conto se non per un limitato periodo di tempo. Finito il clamore, abbiamo ricominciato daccapo e la terra ha fatto la fine che ho descritto nella prima parte di questo manoscritto, giunto come ogni altra impresa umana o extraumana, al suo termine. Poiché questo è il vero segreto dellʹuniverso e di tutti gli universi. Ciò che ha un inizio ha anche una fine.” GENOVA. NELLA REDAZIONE DEL “DECIMONONO” Christine Delport
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La prima edizione era ancora in cantiere ed il redattore capo de “Il Secolo XIX”, nella riunione pomeridiana, aveva convocato i responsabili delle varie pagine per stabilire lʹimpostazione del quotidiano, già tracciata nella prima riunione mattutina. Quel giorno, Lodovico de Ferraris, aveva scritto un articolo a commento di una conferenza stampa che si era tenuta nella sede dellʹOrdine dei giornalisti, dove erano stati invitati tutti i fisici delle particelle genovesi che avevano partecipato, mesi prima, allʹesperimento europeo del Cern. Cʹera, tra i fisici genovesi che si erano distinti per i posti chiave che occupavano assieme a colleghi europei nella sede ginevrina, il professor Mario Righi. Veniva commentata, con ricchezza di particolari, ancora una volta la scoperta della “particella di Dio”, annunciata nelle settimane precedenti dai massimi responsabili del progetto di ricerca. “Sì, il bosone di Higgs – confermò un professore davanti alla stampa ligure molto attenta – è stato individuato. Adesso, sappiamo molto di più sul come è nato il nostro Universo. Naturalmente, le ricerche continuano, poiché questo è davvero un settore che apre prospettive infinite agli studiosi. Eʹ un poʹ come il codice genetico, la scala a spirale contenente i mattoni della vita. Anche il codice ha impegnato gli studiosi del settore, la genetica,in ricerche interminabili ; ma ormai i misteri, uno ad uno, cadono e non sono più tali. Così è per quella che voi giornalisti avete ribattezzato la particella di Dio, cioé il bosone di Higgs che ha dato origine al Big Bang.” Un giornalista chiese con tono apparentemente provocatorio: “Scienziati voi dite bene. Apparite tutti contenti e soddisfatti per le vostre ricerche scientifiche, per i risultati brillanti che si susseguono al Cern di Ginevra. Ma che ci dite del sisma in Abruzzo ? Eʹ stata una tremenda catastrofe e siete sicuri che i fasci di neutrini e di particelle che vengono sparate dai laboratori ginevrini, con un percorso sotterraneo di 730 chilometri Christine Delport
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sotterranei (attraversando in pratica la Penisola italiana)e vanno a finire nei rilevatori di particelle e di neutrini piazzati nei sotterranei laboratori del Gran Sasso non cʹentrino proprio nulla col terribile terremoto che ha devastato LʹAquila ed altri centri dʹAbruzzo ?” Lʹatmosfera si surriscaldò di colpo. “Come potete avanzare una simile ipotesi mostruosa, attribuendo a noi scienziati la colpa di un evento naturale come un terremoto ?” saltò su uno scienziato, rosso in volto in preda alla collera. “Non sostengo nulla.” ribatté il giornalista provocatore.”Mi limito a porre delle domande come, probabilmente, farà lʹuomo della strada. E penso che certe domande sul Cern e sui laboratori sotterranei del Gran Sasso se le saranno poste anche i terremotati dʹAbruzzo...rallegrati dalla visita dei grandi della Terra, durante lʹultimo G8.”
“Ma taccia, ignorante!” urlò un ricercatore. Il presidente della conferenza, con tono più conciliante, prese la parola e, rivolto alla stampa, affermò con fare sicuro ed autorevole: “Posso darvi la mia parola dʹonore di scienziato e di galantuomo. I laboratori del Gran Sasso non hanno neinte da vedere con il sisma 2009. Non confondiamo, vi prego, la fantascienza con la scienza!” Il cosiddetto mot de la fin. Anche una persona che de Ferraris conosceva bene, per averlo consultato a Ginevra, era presente alla conferenza, ma appariva singolarmente taciturno ed imbronciato, per lʹappunto il professor Righi.
“Avrà la luna di traverso il professore...” aveva pensato il responsabile del settore scientifico del quotidiano genovese. Poi era corso in redazione a buttar giù il “pezzo” e , adesso, intorno alle diciassette, per lui il lavoro era praticamente terminato. Non doveva fare il turno di notte, almeno non quel giorno, e si accingeva a mettere insieme le sue cose e ad uscire dal giornale. Christine Delport
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Gettò unʹocchiata distratta al foglietto, datogli dalla moglie, con la lista della spesa da fare. Lei non poteva uscire, quel giorno, i due figlioli ancora piccoli, si erano beccati lʹinfluenza e lei aveva chiesto un permesso allʹufficio ed era rimasta nella loro abitazione ad accudire i marmocchi. “Comprami queste cose e già che ci sei fai un salto in farmacia per i ragazzi. Senti che tosse.” E poi dicono, alcuni colleghi miei – pensò – che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare! Eʹ da stamattina che corro e, adesso, a fare il giro dei negozi prima che chiudano. Poi dal farmacista. Un usciere si avvicinò alla sua scrivania e gli mormorò qualcosa allʹorecchio, indicandogli un uomo che lo aspettava nel corridoio. Avendolo riconosciuto subito attraverso la vetrata, gli andò incontro con fare premuroso. gProfessor Righi, quale onore, prego si accomodi.” Era proprio il fisico che non aveva aperto bocca alla conferenza stampa del mattino. Il giornalista pilotò lʹospite in un salottino riservato ai visitatori di riguardo, lo invitò a sedere su una poltroncina e gli si sedette di fronte. “Mi dica, professore, in che cosa posso esserle utile ?” “Senta, giovane amico – cominciò lo scienziato con una certa enfasi – io sto per rivelarle cose grosse. Ma prima di parlare ho assoluto bisogno di avere da lei unʹassicurazione, la sua parola dʹonore.” “ Ma certamente, le posso garantire....” esclamò Lodovico che, con il fiuto del cronista, cominciava a sentire odore di scoop.
Mi assicura che non rivelerà la fonte ?” Posso metterglielo per iscritto, se vuole” quasi si sorprese a gridare il giornalista . Non stava più nella pelle. Dimenticata la lista della spesa, moglie e figli, influenza e tutto il resto. Cʹera tempo per la prima . Forse per unʹedizione straordinaria, chissà. “Professore, io sono tutto orecchi. Mi consente di aprire il registratore ?” Christine Delport
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“Non potrebbe stenografare ?” “Che il diavolo mi porti se conosco la stenografia!” “Credevo che voi giornalisti...” “Beh, ai tempi dei pionieri; soprattutto, i vecchi cronisti della giudiziaria. Per i processi.” “Ma la mia voce resterà registrata. Non posso parlare a queste condizioni. Bisognerebbe che una volta trascritto il testo lei cancellasse il nastro, in modo da impedire qualsiasi possibilità di risalire fino a me.” “Facciamo così. Le garantisco, professore, che ciò che mi dirà sarà protetto dal segreto professionale. Lʹetica giornalistica stessa prevede che non si riveli, qualora la persona lo richieda, la fonte di una notizia. Ha la mia parola. La registrazione, una volta trascritta, verrà cancellata per sempre.” “Voglio fidarmi di lei. Parliamo, dunque, del famoso esperimento di Ginevra.” ”Ecco, professore, mi dica tutto.” “Lei ricorda quel ricercatore tedesco, il quale aveva fatto il diavolo a quattro, preannunciando la fine del mondo a causa della creazione di un buco nero in grado di assorbire tutta la luce, tutta la materia terrestre.” “Altro che!” esclamò de Ferraris; aveva acceso il registratore portatile e lʹaveva posto con mano tremante vicino al professore. “Ecco. Aveva torto. La Terra non è sparita. Noi siamo tutti più che soddisfatti di come sono andate le cose. Un esperimento storico per la scienza delle particelle, per la Scienza in generale e per il Sapere.” “Giustissimo. Come è stato ribadito da tutti i fisici liguri, stamattina, in conferenza stampa...” “Appunto. Ma un piccolo particolare è stato taciuto.” “Quale ?” chiese con la voce resa roca dallʹemozione il giornalista. “In fondo, un buco nero nella camera a bolle o nello scontro del tunnel è stato in realtà creato dal bosone Higgs. Un avvenimento previsto. Noti bene. Pensavamo che , al massimo, quellʹinfinitesimale buco nero avrebbe potuto assorbire tanta Christine Delport
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materia quanto la capocchia di uno spillo o qualcosa di simile. Un quark di materia, forse anche niente. “ Il fisico appariva stanco; non faceva particolarmente caldo in redazione, ma lui col fazzoletto si asciugava gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. “E invece...” suggerì, improvvisamente allarmato, lʹintervistatore. “Invece, disse quasi con tono di sfida lo studioso, abbiamo visto apparire un buco nero in grado di spedire nello spazio‐ tempo più materia di quella prevista nel peggiore dei casi, di catturare più luce di quella prevista, di far viaggiare nel futuro o nel passato, chi può dirlo, non una sola ma almeno cinque o sei persone o cose oppure animali. Tutto dipende dal raggio dʹazione e dal volume di quelli che sono andati a farsi un giretto nel tempo.” “Non può assumersi la responsabilità di queste dichiarazioni ?” “Ehì, non facciamo scherzi. Cʹè un patto tra di noi. Mi ha appena assicurato...” “Mio caro professore, se io pubblico quello che lei mi sta dicendo senza uno straccio di prova, senza una fonte ufficiale, senza niente, minimo vado a finire in manicomio. Ma è più probabile che dal manicomio – in seguito allʹ inevitabile smentita del Cern – io passi direttamente alla cassa integrazione come giornalista disoccupato. O in tribunale, se qualcuno sporgesse querela. Per bene che mi vada, tutta Genova, ma che dico Genova, lʹItalia, il mondo , riderebbe alle mie spalle. Perché per fare il giro del mondo, stia pur tranquillo, che una storia del genere lo farebbe. Eccome! Eppoi cʹè la storia del terremoto dʹAbruzzo e dei laboratori del Cern, sotto il Gran Sasso... Come la mettiamo con il sisma 2009 ? “Lasci perdere il sisma. Eʹ del tutto fuori strada. I neutrini con la terra che trema non cʹentrano. “Ne è proprio sicuro ?” ”Più che sicuro!” “Ma resta il fatto del piccolo buco nero temporale. Questo almeno lo ammette. Ma io come faccio, senza prove....” Christine Delport
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“Non vuole pubblicare ?” Non posso pubblicare. Eʹ diverso.” “Non le racconto più nulla, dunque. Oppure devo continuare ?” Il giornalista si era fatto pensieroso e dentro di sé si chiedeva come fare ad annunciare lo scoop senza coinvolgere la fonte. Avrebbe dovuto, minimo,. parlarne immediatamente al suo direttore, Umberto La Rocca. Il quale forse avrebbe richiesto, per una simile notizia‐bomba , il parere di altri fisici. Insomma, qui occorreva che qualcuno accettasse di uscire allo scoperto. Su Mario Righi, certo, non poteva contare. Perché ormai era più che titubante. Era decisamente pentito di essere entrato nella tana di un ficcanaso, poco coraggioso. Si era alzato e stava per andarsene. La risposta di Lodovico de Ferraris, invece, lo fece ricredere quanto al coraggio. “Va bene, me ne assumo io tutta la responsabilità. Attribuirò il suo racconto ad una fonte scientifica anonima, ma mi dica tutta la verità. Come sono andate le cose ?” “Come le ho detto – rispose lo scienziato ‐ rimettendosi a sedere, un buco nero può essere stato creato dagli immani urti delle particelle, lungo il tunnel. Ammesso che ciò sia accaduto come io sono propenso a credere. Ma molti miei colleghi sono , tuttora, molto scettici ed escludono questa eventualità, Se tutto ciò, dicevo, si è prodotto, il bosone è diventato una sorta di apertura, come dire, sullʹeternità. Una porta sullʹignoto. Chi è stato, per così dire, catturato da questa fonte di energia ? Non lo sappiamo e probabilmente non lo sapremo mai.”
“Mi sta dicendo che dovremo rivolgerci a “Chi lʹha visto ?” per trovare delle persone scomparse ?”Non mi pare il caso di scherzare. Anche perché non è così. Conosce la teoria di Einstein sullo spazio‐tempo che si curva, vero ? Ecco, non sappiamo in che epoca lʹipotetico buco nero abbia esercitato – se lʹha esercitata – la sua influenza.” “Significa che può essersi assorbito, tanto per dire, Giulio Cesare, sparito davanti a tutto il Senato di Roma e perciò sfuggito ai pugnali dei congiurati, giusto in tempo.” Christine Delport
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“Ecco. Diciamo così: il buco nero, nel quale in teoria anche la luce si arresta e perde la propria velocità di fuga rimanendo intrappolata, non dovrebbe avere preferenze temporali. Una sorta di tunnel da qui allʹeternità. Un animale, una roccia, una pianta, la materia dei vari regni dovrebbe poter viaggiare nel tempo. Se poi lʹazione coinvolge la mente umana, il viaggio (data la conformazione per così dire elettrica del cervello) lʹentità fatta di neuroni può viaggiare, superando persino la velocità della luce. Cosa può viaggiare più veloce della luce ?” “Mi sembra di essere allʹesame di fisica.” pensò tra sé il povero cronista. “Il pensiero. Certo, questo in filosofia può essere comparato ad una sorta di idealismo di Fichte o di Hegel. Ma il pensiero cosʹè ?Se lo chiedeva Cartesio col suo cogito ergo sum. Se lo è chiesto Kant e , dopo di lui, gli idealisti tedeschi fino ai giorni nostri con Husserl ed Heiddeger.”
“Cʹè modo, professore, di sapere se effettivamente qualcuno, in unʹepoca che può essere la nostra, passata o futura, è stato spedito nello spazio‐tempo ?” “No.” “E allora su cosa basa le sue teorie ?” “Su nulla. Ho soltanto detto che è una possibilità, tra le altre. Si è soltanto prodotto un buco nero. Tutto lì. Di dimensioni non eccezionali. Sappiamo ancora troppo poco. Ma la ricerca continua. ” “Un giorno troverete anche il resto ?” “Non vi è dubbio.” “Professore, adesso, dovrei proprio lasciarla. Ho i figlioletti a casa, a letto con lʹinfluenza, mia moglie poveretta è lì che aspetta il mio rientro. Le dispiace se prendo commiato ? La riaccompagno. Anzi, usciamo insieme. Poi io, dopo il salto a casa a portare le medicine, tornerò qui al giornale per scrivere, per lʹultimissima, le notizie che lei mi ha rivelato. Me ne assumerò la piena responsabilità.” “Ha registrato tutto ?” “Certamente.” Christine Delport
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“Cancellerà, dopo la pubblicazione ?” “Cancellerò, professore, stia tranquillo. Ho una parola sola.” Uscirono insieme, nella galleria prospiciente la sede del quotidiano genovese. Si salutarono da buoni amici. Lʹindomani , il fisico Mario Righi corse allʹedicola per acquistare il giornale. Se cʹera, era in prima pagina la presunta notizia bomba. Invece, sfogliando il quotidiano non trovò altro, allʹinterno nella pagina scientifica, che il resoconto della conferenza stampa ufficiale, firmato da Lodovico de Ferraris. Con le stesse identiche notizie apparse, quella mattina, su tutti i giornali. La conferenza stampa dei fisici genovesi. Niente di più, niente di meno. La versione ufficiale, insomma. Il professore sorrise, avviandosi verso il taxi che lʹavrebbe portato all ʹaeroporto “Cristoforo Colombo” dove lʹattendeva il volo per tornare a Ginevra. Sempre sorridente e sereno, Mario Righi esclamò: “In fondo, per tutti noi è meglio così. Continuiamo il nostro viaggio sulla nostra astronave terra. Per il tempo che il buon Dio vorrà concederci. I superiori non hanno consentito al mio amico giornalista di pubblicare la storia sensazionale che gli ho raccontato. Senza lʹavallo di un luminare della scienza, quella narrazione incredibile non poteva certo essere offerta in pasto allʹopinione pubblica. Bene, bene. Come volevasi dimostrare. ” UNA TELEFONATA A LOVANIO Il professor François Van Blum, il filologo dellʹUniversità di Lovanio attendeva, pazientemente, notizie del suo amico, Mario Righi. Da ormai parecchie settimane. Finalmente, quel giorno squillò il telefono di casa. “Pronto, Van Blum...Ah, è lei caro Righi. Allora, è stato a Genova? Ha visto il giornalista ? Come è andata ?” “Sì, sono stato nella mia città ed è per questo che la chiamo qui da Ginevra. Sono tornato ieri. Dunque, il giornalista mi ha creduto, ma non ha potuto Christine Delport
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pubblicare alcunché. Insomma, la notizia non è uscita. Direi che il test è concludente. Se avessi impegnato il mio nome, forse, attribuendomi la paternità dellʹinformazione, qualcosa sarebbe trapelato. Ma è chiaro che così comʹè la storia non è credibile. Né dimostrabile con prove certe ed irrefutabili.” “Se pubblico il manoscritto del dottor Mabuse, quindi, nessuno prenderà per vero il racconto dellʹalchimista...” “Ne sono sicuro, mio caro Van Blum; la sua verrà scambiata per una semplice storia di fantascienza. Adesso, decida lei se rendere noto il manoscritto o meno. Ha fatto bene, in ogni caso, a mettersi in contatto con me, prima di pubblicarlo, inviandomi una copia del testo che ho trovato molto interessante. Quanto a me, sono ormai convinto, in qualità di fisico, che il viaggio nel tempo sia una possibilità reale. Forse, è lì che ci aspetta nel futuro assieme al bosone Higgs. A proposito, secondo le mie ricerche, vi potrebbe essere unʹaltra particolarità della cosiddetta particella di Dio. Le spiego: sarebbe in grado non solo di trasportare un soggetto attraverso lo spazio‐tempo, ma, presumibilmente anche di clonarlo, insomma di riprodurlo creando, come dire ? Un sosia o più sosia. In fondo, è credenza popolare che ciascuno di noi abbia almeno cinque sosia, cinque persone nel mondo esattamente simili a noi. In tutto e per tutto, meno che, forse, nel carattere, nella professione, nella nazionalità , nel destino; ma per il resto, uguali identici. Dei cloni, insomma.” “Potrebbero esserci diversi Mabuse, diversi Righi, diversi Van Blum. Eʹ questo che mi sta dicendo?” “Precisamente.” “Adesso, sono ancora più indeciso se pubblicare o meno il manoscritto...” “Veda lei. Io ho fatto del mio meglio. Trovandomi a Genova alla conferenza stampa dei fisici genovesi appartenenti al Cern, ho voluto tentare un esperimento mediatico, per così dire. Le accordo che gli esperimenti sono il mio pane quotidiano. Come le dicevo, la notizia sensazionale senza lʹavallo di un nome Christine Delport
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scientifico non è stata pubblicata. Lo prevedevo, diciamo la verità. Però lei è un autorevole filologo e se dice che il manoscritto è autentico, che Mabuse nel XVIII secolo è realmente esistito, tutti le crederanno. “ “La ringrazio. Penso che, in effetti, finirò per dare alle stampe il manoscritto del dottor Mabuse. Ma mi dica ancora un cosa, professor Righi. Quel buco nero che avete creato dal nulla, insomma quella particella misteriosa e primordiale, quel bosone, è un pericolo per lʹumanità?” “Proprio non direi. A pensarci bene siamo tutti viaggiatori nel tempo. Il bosone Higgs ha determinato il big bang, il quale ha dato vita allʹUniverso, nellʹuniverso si sono sviluppate le cellule e lʹevoluzione ha fatto il resto: le alghe marine, gli anfibi, i vertebrati, i dinosauri, i mammiferi, la comparsa dellʹuomo, la metamorfosi continua.” “Non è un seguace del creazionismo , mi sembra...” “In che senso ?” “Da un punto di vista religioso...” “Sono un agnostico, come molti miei colleghi scienziati.” “Io non ho capito cosʹè un buco nero, cosʹè lʹantimateria, la materia oscura e lʹenergia oscura. Sono stato troppo sui manoscritti antichi. Tutto ciò è troppo moderno per le mie conoscenze .” ʺScienziati tedeschi, come Rosencranz, continuano a sostenere che abbiamo creato, col nostro esperimento ginevrino, un buco nero destinato a crescere. Capace, mettiamo tra un paio di secoli di inghiottire tutta la terra...ʺ ʺMa non avevano detto un paio dʹanni?ʺ ʺBeh, a quanto pare, dopo lʹesperimento e siccome non è successo apparentemente nulla, hanno spostato la data fatidica di qualche secolo.ʺ ʺLei cosa ne pensa ?ʺ ʺEʹ la sua storia, caro Van Blum, che mi dà da pensare. Se quel Mabuse si è ritrovato nel raggio dʹazione della particella di Dio che lo avrebbe raggiunto nella sua casa in una determinata Christine Delport
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epoca in una cittadina di Francia, chiamata Maubeuge, vorrebbe dire che lʹesperimento può anche provocare limitati effetti retroattivi. Insomma, dopotutto la particella di Higgs avrebbe fatto la sua comparsa quattordici miliardi di anni fa. Eʹ unʹentità atemporale. Quanto alle dimensioni del buco nero, chi può dire ? Eʹ la porta per unʹaltra dimensione. Possibile anche questo.ʺ ʺCerto che sarei curioso di vedere come si comporta uno di questi misteriosi oggetti.ʺ “Asimov, lo scienziato che amava la fantascienza ha scritto: volete sapere che cosa è un buco nero? Forse, è il nostro stesso universo. Quindi, se vogliamo sapere quali sono le condizioni in un simile oggetto non abbiamo che da guardarci intorno.”
“Può essere le mot de la fin. La saluto e la ringrazio, per lʹinteressamento professor Righi.”
“Stia bene, professor Van Blum. Leggerò con molto interesse il suo libro quando uscirà e se uscirà. Tanti auguri. A proposito, se dovesse rivedere, in quale dimensione non saprei, lʹalchimista Mabuse lo saluti da parte mia e gli dica che io non sapevo che Nostradamus fosse di discendenza genovese. Ma, trovandomi nella mia città, ho voluto consultare alcuni medievalisti. Per verificare certe affermazioni contenute nel manoscritto di cui lei mi aveva inviato alcuni estratti. Effettivamente, il veggente provenzale, apparteneva ad una famiglia di origine ebraica, poi convertitasi al cristianesimo, verosimilmente per sfuggire alle persecuzioni. Questa famiglia, i Nostre Dame, erano forse stati scacciati da Genova, assieme a tanti altri, nel periodo in cui vi furono persecuzioni nel ghetto, in cui vivevano ebrei esuli dalla Spagna. . ” “Quindi, almeno una cosa ha trovato un riscontro storico.” “Esattamente.” “Dica la verità, professor Righi, da scienziato , questo alchimista può essere in qualche modo entrato in contatto con la “particella di Dio” e tutta la sua avventura può essere riconducibile allʹesperimento che avete tentato a Ginevra ?” “Qui lo dico e qui lo nego, mio caro Van Blum. Ebbene, sì. Ciò Christine Delport
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che può essere accaduto al misterioso alchimista del XVIII secolo potrebbe essere stato un effetto dellʹesperimento.”
“Ma ci saranno altri nel suo caso ?” “Quando lei mi inviò stralci del manoscritto, chiedendo il mio parere, anchʹio stentavo a credere che potesse essersi verificata una simile eventualità. Poi sono andato a rileggermi una teoria minimalista di un astrofisico australiano. La conosce ?” “Per carità, professor Righi. Io mi occupo solo dei vecchi manoscritti di Erasmo da Rotterdam. Come vuole che conosca le ultime teorie dei cosmologi !” “Ebbene, secondo questo mio collega, lʹUniverso non sarebbe poi così esteso come si pretende negli ambienti scientifici del mondo intero...” “Ah no ?” “Niente affatto. Non ci sarebbero milioni di galassie e altri universi.” “Perbacco!” “Vuol sapere cosa pensa questo esimio collega ?” “Ma certo.” “Ebbene, tutto ciò che noi vediamo, infiniti ammassi di galassie, altro non sarebbe che il riflesso globale di una sorta di specchio cosmico che ci rinvierebbe allʹinfinito unʹimmagine moltiplicandola per mille. Insomma, la nostra modesta Via Lattea, specchiandosi, per così dire ci manderebbe indietro sui nostri strumenti, la visione sterminata dellʹuniverso con milioni di galassie che altro non sarebbero che unʹimmagine della nostra galassia, vista da diversi punti di osservazione e sotto tutte le possibili angolazioni.” “Un gioco di specchi ?” chiese al telefono con voce strozzata, François Van Blum. “Precisamente.” “Come quello...” “Come quello che avrebbe visto il suo vecchio alchimista nel laboratorio, prima di scomparire per sempre.” “Ho deciso: pubblicherò il manoscritto. La saluto, professor Righi.” Christine Delport
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“Lo leggerò con molto interesse. Arrivederci, professor Van Blum. Ma comunque sia, grazie al fatto che mi ha spedito in anteprima tutta la documentazione, io il manoscritto lʹho già letto. ʺ UNA VISITA ALLʹOSPEDALE “ERASMO” DI BRUXELLES Era lʹorario di visita, nellʹospedale Erasmo di Bruxelles ed il filologo Francois Van Blum attendeva nella sala dʹaspetto il permesso di potersi recare nella stanza singola dovʹera ricoverato un suo caro e vecchio amico, il dottor Frederick Mabuse, un chimico laureato allʹ Università di Mons, che però lavorava negli stabilimenti Solvay, e risiedeva nella cittadina francese di Maubeuge. Recentemente, Mabuse, che Van Blum conosceva dai tempi dellʹ università, aveva accusato malesseri sempre più frequenti. In particolare, lamentava acute emicranie. Gli era stato diagnosticato un aneurisma cerebrale , per fortuna , operabile.
Il compito di eseguire il delicatissimo intervento era toccato ad un luminare del settore, il chirurgo francese, di origine italiana, il professor Adamo Nostra. Questʹultimo aveva compiuto meraviglie e Mabuse era stato ormai dichiarato fuori pericolo. Aveva ripreso tutte le sue facoltà mentali e fisiologiche. Era in convalescenza e di ottimo umore. Accompagnato da unʹinfermiera, François Van Blum, venne introdotto nella stanza del paziente che, ormai da giorni, stava per la verità diventando impaziente di tornarsene a casa, nella sua Maubeuge. Quando vide apparire il vecchio amico Van Blum, Mabuse emise una gioiosa esclamazione: ʺPerbacco, François, che piacere vederti. Entra , siediti...ʺ ʺCome stai, Frederick ?ʺ chiese premuroso Van Blum. ʺAdesso, bene. Certo, ho passato momenti non facili, come tu sai. Ma devo anche dire che quel Adamo Nostra è un mago della chirurgia cerebrale! Se non era per lui, probabilmente, non saremmo qui a discuterne. Christine Delport
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ʺBeh, è sicuramente uno dei migliori nel suo campo. Eʹ risaputo. Lieto di vedere che sei ormai completamente ristabilito.ʺ ʺSì, certamente, sarò dimesso a giorni e potrò riprendere il lavoro di chimico. Non vedo lʹora. Devi venirmi a trovare a Maubeuge. Organizzerò una festicciola con alcuni amici per la mia guarigione e tu sarai dei nostri. Così rivedrai mia moglie, Juliette, che sarà felicissima di ritrovare un nostro vecchio e caro amico, quale tu sei. Dʹaccordo, promesso?ʺ ʺVerrò di sicuro. Sono davvero contento. E lʹoperazione...ʺ ʺBeh, anestesia totale, ovviamente. Eʹ durata parecchio, a quel che mi ha detto il primario e Adamo Nostra ha fatto miracoli. Eʹ chiaro che non rammento nulla dellʹintervento, ma ho come vaghi ricordi di unʹavventura, di un sogno in cui cʹentravi tu, altri conoscenti, eppoi quadri di pittori famosi, Maubeuge vista in diverse epoche, un annuncio da fine del mondo, un viaggio a New York con il presidente americano che voleva il mio parere sullʹarrivo di tre stelle, una profezia, il canto delle balene...ʺ ʺPerbacco! Se questo è lʹeffetto di unʹoperazione al cervello non si può davvero dire che ti manchi la fantasia.ʺ ʺSai come stanno le cose: la chimica è una scienza esatta, ma non dimentichiamoci che nasce dalla vecchia fucina degli alchimisti, dagli alambicchi medievali , dalla ricerca della pietra filosofale per fabbricare lʹoro trasformando del semplice piombo e della fonte dellʹeterna giovinezza che non poteva essere altro che una ʺfonte chimicaʺ. Per cui i voli di fantasia sono connaturati alla mia professione, almeno alle sue radici anche se oggi nei moderni laboratori chimici cʹè ben poco spazio per il pittoresco ed il sovrannaturale. Le nostre formule sono matematicamente esatte, oppure non lo sono (ed in questo caso, che guaio!) ma da tempo abbiamo smesso di ricercare la pietra filosofale. Insomma, lʹalchimia rimane relegata ad una epoca storica e da lì non si muove più.ʺ ʺComunque, ti sei fatto un sogno e ti sei risvegliato nella tua camera, bello e guarito...ʺ ʺProprio così. E figurati che , nel mio sogno parlavo con Nostradamus!ʺ Christine Delport
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ʺMa va! Non ci credo. Il veggente di Saint Remy. Lui in persona ?ʺ ʺLui in persona. E ci ho riflettuto. Sai perché ho sognato di parlare con Nostradamus?ʺ ʺNon saprei. Aspetta. No, ma certo. Eʹ più o meno un anagramma di Adamo Nostra, il professore che ti ha operato...ʺ ʺBravo. Eʹ così! Eppoi il professore non è francese ? ʺ ʺSì, di origine italiana, mi sembra.ʺ ʺEsatto. E sai dovʹè nato ? In Provenza, ad Arles, vicino quindi alla città di Nostradamus.ʺ ʺMa cʹè di più. Nel mio sogno, cʹ eri anche tu ed eri lo scopritore del manoscritto che io avevo lasciato nella mia dimora di Maubeuge. Soltanto tu eri esattamente il personaggio moderno che sei tuttora, ricercatore, specialista di Erasmo, filologo, mentre io ero finito nel diciottesimo secolo; pensa che bel viaggio mi sono fatto durante lʹoperazione al cervello! Ne ho viste di cose strane,posso assicurartelo. Ho visto più cose mentre ero incosciente che nellʹabituale stato di veglia.” “Un viaggio nel passato e nel futuro, quindi. Una storia ben strana. Eri addirittura finito nella Francia di Luigi XVI. Caspita!” “ Giusto in tempo per vedere quasi, come ti ho già detto, la rivoluzione francese e tante altre cose. Senti , te le racconterò quando verrai a Maubeuge. Penserà a tutto Juliette, che organizzerà una festicciola per il mio rientro a casa. ʺ ʺA proposito non te lʹho chiesto, che sbadato, come sta la signora ?ʺ ʺBeh, è venuta sempre a trovarmi, in tutto questo tempo di ricovero, facendo avanti e indietro da Bruxelles a Maubeuge. Pensa che durante un viaggio ha trovato un cagnolino abbandonato e se lʹè portato a casa nostra. Quando verrai, conoscerai anche lui, si chiama Tobia...Eʹ un bassotto molto affettuoso, mi assicura Juliette, ma io non lʹho mai visto. Sai i cani non entrano in corsia...ʺ ʺ Beh è normale. Quanto al tuo generoso invito, verrò volentieri. Verrò senzʹaltro. Fa sempre piacere rivedere vecchi amici.ʺ Christine Delport
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ʺSai, certe cose le ho sognate durante lʹoperazione. Altre, beninteso, sono reali. Ma sai che fatico a fare la differenza tra il sogno e la realtà . Non ci crederai, ma Tobia, il cagnolino che non ho mai visto era nel mio sogno e si chiamava proprio così!ʺ ʺ Perbacco! Sembra incredibile. Ma lʹoperazione è durata davvero tanto !?ʺ ʺA me è parsa unʹeternità. Una vera eternità!ʺ ʺQuesto è dovuto alla relatività del tempo, nevvero, segno che Einstein aveva ragione con la sua teoria.ʺ ʺPenso che avesse davvero ragione. Se hai ancora tempo ti posso raccontare qualche particolare in più di questa storia...ʺ ʺPer me va benissimo, racconta pure. Ho preso tutto il pomeriggio libero per venirti a trovare. Se non ti affatica racconta. Finché le infermiere non mi cacciano via resto qui ad ascoltarti. Sono davvero troppo curioso di conoscere i particolari e non credo che la mia curiosità possa aspettare fino a quando verrò a trovarti a Maubeuge.ʺ E così Mabuse raccontò e raccontò... Ma quello che disse che cosa fu ? Un sogno ? Un sogno come può essere, in fondo, la vita. Oppure lʹ illusione di una persona in pericolo di vita in preda ad una sorta di delirio durante unʹoperazione chirurgica sotto anestesia totale ? Mabuse si spiegò tutto quello che aveva sognato di vivere , per lʹappunto, con il fatto dellʹoperazione che aveva dovuto subire. Ormai, lʹincubo era finito. Poteva tornarsene a casa. Però come erano vividi quei ricordi. Come pareva reale tutto ciò che era accaduto. Quanti dubbi per il dopo... Quel viaggio senza spazio, senza tempo, in una sorta di continuum atemporale; in fondo non legato ad alcuna data precisa. Come se vi fossero stati per lui e la sua memoria dei punti istanti in un vuoto che tutto spersonalizzava. Non vi era realmente un “io”. Vi erano una serie di “io” istantanei che facevano astrazione della personalità; mancava nella sua esperienza il principium individuationis, come se i tanti personaggi che lui ricordava in viaggio nel tempo fossero in Christine Delport
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realtà legati soltanto da un nome e da una forma apparenti.
Ma, in realtà, quei personaggi in sequenza, fossero come soggetti ad una serie di morti e di rinascite istantanee; condizionate le une dalle altre in una serie ininterrotta senza inizio e senza fine. Come lʹUniverso mai nato e forse immortale. Un qualcosa di assoluto, unʹentità che sfuggiva al tempo ed allo spazio. Qualcosa di inclassificabile secondo i termini relativi, condizionati dalla materia quale noi la conosciamo. Inutile ricercare la cosa in sé in quellʹeterno fluire dellʹeffimero. La caducità dellʹistante nel fiume ininterrotto ed impetuoso dellʹeternità mutevole. Quasi la rivelazione che solo la relatività era lʹ assoluto. Che la vera “cosa in sé” altro non era che il “fuori da sé” o lʹinesistenza stessa di una “cosa in sé”; lʹinesistenza dellʹio fenomenico e del mondo correlato in una vacuità del tutto estranea alle umane definizioni dellʹessere e del non essere. In questo quadro apparentemente assurdo persino la morte perdeva il suo dominio assoluto. Infatti, era anchʹessa solo realtà condizionata. Cosa poteva essere, infatti, la morte senza la vita; e come poteva sussistere una vita senza il termine contrario della morte. Un poco come chiedersi cosa sarebbe il tempo senza un cronometro, orologio, una clessidra, una meridiana, un oggetto deperibile. Senza il sole per determinare gli spostamenti dellʹombra ed il vagare della luce. Tutte condizioni, condizionanti e condizionate. Legate al mondo fenomenico, alla vita, al dolore, alla morte. Il chimico Mabuse, tuttavia, non si poneva simili questioni metafisiche. Era solo felice che lʹintervento fosse pienamente riuscito. Felice di tornarsene a casa. Di ritrovare la moglie Juliette, gli amici, il nuovo amico, il bassotto Tobia. La vita sarebbe andata avanti come sempre. Qualche torneo di bocce, qualche partita a carte al bar. Televisione, un paio di film, qualche buon libro. Le vacanze in un paese del Sud ( Provenza, Languedoc‐ Roussillon, Cote dʹAzur, sì insomma il Midi della Francia, di preferenza o la Riviera Ligure ) per sfuggire alla Christine Delport
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atmosfera nordica nebbiosa, fredda e piovosa. I suoi laboratori con gli alambicchi. La vita normale di sempre. Ma per tutto il resto dei suoi giorni, il chimico non poté fare a meno di chiedersi cosa gli fosse realmente accaduto durante quello spazio‐tempo, durante il quale aveva subito lʹoperazione chirurgica allʹ Ospedale Erasmo di Bruxelles. Davvero un bel mistero. Ma anche lʹUniverso – ammettiamolo – resta un mistero affascinante. O meglio, il dubbio fondamentale. Lʹenigma di tutti gli enigmi. Fine Lʹ AUTRICE Christine Delport è una scrittrice italo‐belga. Eʹ nata a Bruxelles. Ha vissuto per lunghi anni a Roma. Questo è il suo primo romanzo. Aveva scritto finora racconti brevi e favole per lʹinfanzia. Eʹ anche lʹinizio della collaborazione a “Trucioli Savonesi” che prosegue con la rubrica da lei ideata “Il personaggio ligure del mese”, il cui primo numero era dedicato al filosofo sanremese di rinomanza europea, Marco Ivaldo.