SPERANZA
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la parola del f i losofo Umberto Curi SPERANZA Il poeta greco Esiodo, vissuto all’incirca nello stesso periodo di Omero, nei suoi poemi (Le opere e i giorni e Teogonia) ci tramanda la prima versione scritta di quello che è considerato il più importante e pregnante mito di tutta l’antichità classica. Ne è protagonista Prometeo, il Titano che si è ribellato alla volontà di Zeus, intenzionato a distruggere il genere umano, al quale invece il “pre-vidente” (questo è il significato etimologico del nome Prometeo) conferisce un dono che salverà l’umanità dalla prospettiva dell’estinzione. L’intervento filantropico del Titano ribelle implicherà per lui anche una condanna atroce: incatenato alle rupi del Caucaso, egli sarà sottoposto al supplizio di un’aquila che ogni tre giorni gli divorerà il fegato. Con ciò, egli diventerà l’esempio di un gesto di generosa oblazione, pagato con una severissima punizione. Nelle diverse versioni con le quali il mito è stato tramandato lungo tutto il corso della cultura occidentale (fra Esiodo e Kafka, solo per indicare due estremi cronologici), il dono elargito da Prometeo agli uomini ha assunto forme diverse. Si è ritenuto prevalentemente – ma a torto – che esso consistesse nel fuoco, assunto come simbolo del sapere tecnico. L’umanità potrebbe insomma evitare di essere distrutta, giovandosi dei vantaggi assicurati dalla tecnica. In realtà, nelle prime versioni classiche del mito (oltre a quella di Esiodo, quella espressa da Eschilo nella tragedia Prometeo incatenato), la tecnica è considerata del tutto insufficiente a garantire la salvezza del genere umano. Ciò che davvero potrà consentire di sfuggire alla persecuzione di Zeus sarà un altro dono, apparentemente molto meno importante, che si rivelerà invece decisivo. Nell’orcio recato da Pandora a Epimeteo, fratello di Prometeo, e da questi consegnato agli uomini, una volta che ne siano fuoriusciti tutti i mali che affliggeranno il mondo, resta un’ulti175 La fede nel cinema oggi INT.indd 175 11/03/13 16.01 ma cosa – elpis, la speranza. Malattie e vecchiaia, miseria e morte, renderanno certamente grama e difficile la vita degli uomini. Ma ad alleviare le sofferenze, rendendole sopportabili, vi sarà la speranza, il dono più autentico elargito dal Titano ribelle. Il mito antico evidenzia due punti fondamentali, relativi allo statuto della elpis. Anzitutto la differenza della speranza rispetto alla conoscenza. Non ho ragione di “sperare” che l’unione di due molecole di idrogeno e una di ossigeno diano origine all’acqua: lo “so”. Mentre non posso dire di sapere – e posso dunque solo sperare – che dopo la morte mi attenda un’altra vita, più autentica e compiuta di quella terrena. In secondo luogo, la speranza condivide la stessa “natura” di ciò che i Greci chiamavano pharmakon, e cioè di qualcosa che è – insieme – medicina e veleno, tossico e antidoto. Da un lato, infatti, la speranza mi presenta una possibilità di salvezza che non è garantita, e che potrebbe rivelarsi ingannevole. Ma dall’altro, proprio questa possibilità mi consente di sopportare i molti affanni connessi col vivere. Concetto fondamentale in tutto il mondo classico greco-latino, elpis assumerà un significato nuovo, e ancor più pregnante, con la predicazione del Cristo. La speranza diventerà “beata speranza”: attesa di una salvezza che non è possibile prevedere con la certezza della conoscenza scientifica, verso la quale tuttavia apriamo il nostro cuore e le nostre migliori energie. Al sacrificio di Prometeo subentra quello di Gesù sul Golgota. La tormentata esistenza degli uomini trova nel simbolo intenso della croce la premessa per un riscatto a lungo atteso e agognato. 176 La fede nel cinema oggi INT.indd 176 11/03/13 16.01