Una visita ad Altomonte

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Una visita ad Altomonte
Una visita ad Altomonte
Visitare
Altomonte, tra spunti culturali, storici, archeologici,
demografici, sociali e d'attualità, diviene estremamente interessante sotto il profilo artistico,
preminenti pittura, scultura, architettura e paesaggistico.
Altomonte è un'isola d'arte del
'300 toscano in Calabria, ospita
il più importante museo medievale della regione, immersa nel
sole e nel verde spazia in un paesaggio tra i più suggestivi della
Calabria interna, tra Sila, Pollino e Mare Jonio, oasi di pace,
aperta al turismo con la gastronomia, mostre, teatro e concerti
musicali nell'ambito del "Festival Euromediterraneo".
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Il Municipio, tra i più belli di
Calabria, ha sede nel vetusto
e ridente ex Convento dei Minimi, recentemente recuperato
dall'Amministrazione comunale
nel rispetto delle sue strutture
originarie. Di grande fascino le
ampie arcate settecentesche del
chiostro. Iniziato nel 1636 ed ultimato nel 1978, ospitò i Minimi
fino alla prima soppressione, poi
residenza del generale francese
Des Vernois, ultimo comandante delle truppe napoleoniche in
Calabria, quindi, dopo un breve ritorno dei frati, nuovamente
soppresso nel 1861, e adibito,
secondo necessità, a scuole, caserma, abitazioni private, prigione e, ulteriormente degradato, a
rifugio e sosta per le greggi che
scendevano dai monti. Al primo
piano, nella sala del Consiglio,
vi è una tela del pittore Domenico Purificato. Nell'ufficio del sindaco fa bella mostra la seggiola
feudale del priore dei Domenicani di Altomonte, nominato, a suo
tempo, barone di Firmo, casale
albanese.
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La Chiesa di San Francesco
di Paola, patrono di Altomonte,
in stile barocco settecentesco,
presenta sulle pareti affreschi
del Ginesio, affini a quelli della
Basilica di Paola, che presentano alcuni miracoli del Santo.
Chiesa di S. Giacomo_Portale.
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Più antica, datata 873, di origine
bizantina, resta la matrice arcipretale Chiesa di San Giacomo.
Il centro storico, come l'antica
acropoli, è posto al vertice della
collina, di cui si ammira la pavimentazione medievale che ulteriormente lo inquadra, lo abbellisce, lo valorizza.
Non è difficile trovare interesse
nell'architettura e nell'urbanistica dell'antico centro feudale,
in qualche bottega artigiana,
nell'abbigliamento di qualche
popolana e, se si è verso l'ora
di pranzo, essere raggiunti da
onde profumate dei cibi genuini ed aromatici, in cottura nelle
case, preludio alle squisitezze
gastronomiche dei vari ristoranti, ognuno con le sue caratteristiche e le sue originalità.
In una zona centrale troneggia
un imponente teatro all'aperto,
chiamato Teatro Costantino
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Il teatro nel centro storico.
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Belluscio, che nasce dalle nostre antiche radici classiche e
da feconda cultura umanistica e
che dal 1988 offre a circa 2000
spettatori, durante la stagione
estiva, il Festival Euromediterraneo con prosa, cabaret, operetta e musica con artisti di fama
nazionale ed internazionale.
La Torre Normanna, alta, quadrata, salda sulla motta rocciosa, come un'unghia di ferro, segno e testimonianza di antiche
dominazioni feudali, svetta nel
cielo. Detta anche "angioina",
superstite dongione originario,
innalzato intorno al 1050 da Roberto il Guiscardo, con ritocchi
in periodo svevo che lo rendono
affine alla torre dell'Olio di Spoleto, operati da Rainaldo di Vasto,
figlio di Corrado di Urslingen, signore di quella città e, dagli Angioini ulteriormente soprelevato
e reso minaccioso con una corona di merli, oggi scomparsi.
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La torre normanna vista dal Castello dei
Principi.
Accanto, sul piazzale quadrato
in cui si riconosce l'antico "Balium", si affaccia il Castello dei
Principi di Bisignano, conti di
Altomonte. Si additano alcuni
balconi bombati, le feritoie, i loggiati, lo scalone e l'atrio interno
e, affacciandosi dal cosiddetto
"Balcone d'Oriente", sull'orizzonte l'altopiano della Sila, le
vette della catena del Pollino che
superano i 2000 mt, e l'ampia
pianura di Sibari, prospiciente il
mare jonio. Chi vuole fare il periplo del castello donde è possibile scorgere i resti del primitivo
impianto urbanistico con influenze arabo-bizantine, in gran parte
diruto, e rilevare l'imprendibilità
della rocca a picco su burroni e
strapiombi, tra i quali si apriva la
cosidetta "Porta Grande", attraverso la quale passava appena
un uomo a cavallo.
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Entrata al Castello dei Principi di
Bisignano
Santa Maria della Consolazione (Foto a destra) è il più cospicuo
monumento gotico-angioino in
Calabria, riedificato con autorizzazione di Clemente VI papa
avignonese, esplicitata in 5 bolle, e ingrandita da Filippo Sangineto, signore di Altomonte, intorno al 1340, anno in cui a Napoli
era stata inaugurata la sontuosa
basilica di Sanata Chiara, voluta
da Roberto D'Angiò che Filippo
Sangineto emulava nel mecenatismo e nella sensibilità artistica,
seguendone altresì gli orientamenti politici e culturali.
Già dall'esterno c'è da ammirare e di che rimanere stupiti: la
splendida facciata, col suo portale archiacuto ed il gigantesco
rosone; a fianco la massiccia
torre campanaria, anch'essa
un tempo merlata e cuspidata
la quale, più che un campanile,
ci richiama alla mente le chiese
fortificate francesi, alle quali la
nostra si ispira; dove, e non nel
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Ai lati interni dell'ingresso, da
una parte e dall'altra, le ante di
una antica porta istoriata, datata
1588, proseguendo a sinistra,
un battistero in legno, da innalzare sulle sue cariatidi; la lastra
tombale in marmo di un giovane guerriero, Giovannetto, figlio
di Filippo II, ultimo e superstite
probabilmente dei Sangineto;
più avanti, a media altezza, un
affresco del '300 che rappresenta – dicono – Santa Maria della Consolazione, cui è dedicata
la Chiesa. Da entrambi i lati gli
stipi dell'antica sacrestia, che
custodivano paramenti sacri di
rarissimo pregio, ora esposti nel
Museo; all'altezza del transetto,
negli opposti bracci della croce latina, da un lato la cappella
gentilizia dei principi di Bisignano con altare ligneo barocco e
statua di San Michele Arcangelo e, nella cappella a destra, che
porta alla sacrestia, la grande
campana del trecento, un tempo largamente echeggiante lungo valli e pendici, ora prezioso
cimelio storico, fusa nel 1336
davanti alla porta della chiesa,
al cospetto del signore feudale,
dei notabili e della popolazione
festante, da Cosma de Laurino, giusta l'iscrizione, fonditore
reale. I francesi, nel 1807, la
danneggiarono irreparabilmente, sperando di ricavarne oro e
argento.
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castello, in caso di estremo pericolo, gli abitanti cercavano rifugio sperando, ai piedi dell'altare,
di aver salva la vita.
Sul portale lo stemma in pietra
di Filippo Sangineto (scudo con
fascia bleu) ricorda la sua munificenza: blasone che si ritrova meglio conservato nel coro,
sull'arca funeraria del Sangineto.
L'interno, a croce latina, colpisce
per l'estrema semplicità del gotico, arricchito tuttavia da archi
acuti, monofore, bifore, trifore,
soffitto a capriate, coro a vela ed
elementi integrativi vari.
Il Sarcofago di Filippo Sangineto. Nel coro, pigliando posto
negli stalli monastici in noce,
opera di valenti artigiani locali
del tardo Cinquecento, finemente intarsiati, l'occhio è attratto,
in alto a sinistra, da una cassa
ossario destinati ai resti esumati
di alcuni principi di Bisignano e
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loro familiari, per poi posarsi a
lungo, sotto la elegante trifora
sul sarcofago marmoreo di Filippo I, fondatore della chiesa,
opera in cui molti riconoscono
l'impianto architettonico di un
grande scultore senese, Tino da
Camaino, e particolari di scuola
napoletana che a lui si ricollegano, certamente la più importante
tappa dell'arte funeraria in Calabria.
Il mausoleo, ricco di simbolismo,
esprime e riflette egregiamente
l'arte, la cultura ed il pensiero religioso del trecento.
Accovacciati sul pavimento
giacciono tre leoni, simboli delle passioni umane che, però, la
teologia cristiana afferma poter
essere dominate dalle virtù teologali, fede, speranza e carità,
rappresentate nelle tre statue
che fanno da cariatidi al sarcofago, su cui è affigiata, in bassorilievo, in sette scomparti, tutta
una serie di Santi: al centro San
Giorgio che uccide il drago, simbolo del paganesimo, il guerriero
cristiano in cui Filippo Sangineto
riconosceva in qualche modo se
stesso; simmetricamente ai lati,
San Pietro con le chiavi, simbolo della sua potestà, e San
Paolo, apostolo delle genti; la
Maddalena e Santa Lucia; San
Filippo apostolo e Sant'Antonio
abate, patrono degli animali, riconoscibile dal porcellino che gli
sta ai piedi; sul lato destro Santo
Stefano, giovane diacono protomartire, che morì lapidato, come
evidenziano alcuni sassi sul suo
capo; sul lato sinistro San Ladislao d'Ungheria, il cui culto si
era diffuso nella zona al seguito
di una colonia di minatori ungheresi venuti a lavorare nella salina di Lungro, un tempo territorio
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alla morte di Roberto D'Angiò, il
più illustre committente feudale
d'arte toscana in Calabria: ce lo
additano due angeli, scostando
garbatamente le tende.
Coronano il superbo mausoleo,
detto "delle 19 statue", tre gruppi
marmorei trecenteschi: al centro
Madonna con Bambino in braccio e, nell'altra mano, il pomo
questa volta della salvezza; alla
sua destra San Giovanni Battista con ai piedi, ginocchioni, la
seconda moglie di Filippo Sangineto, Margherita d'Aquino, parente di San Tommaso e, sulla
sinistra, prostrato davanti a San
Nicola di Bari, ma rivolto verso la
Vergine, Filippo Sangineto che
sul capo, trasformata in elmo,
porta non un elmo, ma una testa di cane, simbolo di una sua
indefettibile fedeltà agli Angioini
ed alla Chiesa.
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Sarcofago funebre dei Sangineto.
di Altomonte, dando così il loro
nome a quel centro abitato, che
tale rimase anche quando ai primi del '500 furono soppiantati da
Albanesi fuggiaschi. Sovrastano
la iconografia sei stemmi gentilizi del Sangineto: scudo con fascia azzurra.
Avvolto nelle gramaglie, con la
spada al fianco, giace disteso
sul marmo, Filippo, conte di Altomonte, amministratore della
Provenza per conto degli Angioini di Napoli, giustiziere del
Regno, capo e condottiero dei
guelfi napoletani in Toscana;
signore di Sangineto, Belvedere, San Marco, Bollita, Regina
ed altri paesi; autorevole membro del consiglio di Reggenza,