Papiro di Teramene

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Papiro di Teramene
Frammento delle "Elleniche di Ossirinco"
PMich inv. 5982 + 5796b
Sec. IIp in.
Prov.: Karanis
Cons.: PMich inv. 5982: Ann Arbor, Michigan University Library; PMich inv. 5796b: El Mathaf El
Misry, El Qahira (The Egyptian Museum, Cairo), inv. Michigan 5796b (olim, Ann Arbor).
Edd.: R. MERKELBACH - H. YOUTHIE, Ein Michigan-Papyrus über Theramenes, ZPE 2 (1968), 161169; M. CHAMBERS, Hellenica Oxyrhynchia, post Victorium Bartoletti edidit Mortimer
Chambers, Stuttgart-Leipzig 1993, XVII, 56 e seg.; A. LOFTUS, A new fragment of the
Theramenes Papyrus (P. Mich. 5796b), ZPE 133 (2000), 11-20.
Tavv.: PMich. inv. 5982: MERKELBACH-YOUTIE, taf. III; http://www.columbia.edu/cu/lweb/projects/
digital/apis/search; PMich inv. 5796b: LOFTUS, 13.
Comm.: MP3 2190.2; LDAB 4766; A. HENRICHS, Zur Interpretation des Michigan-Papyrus über
Theramenes, ZPE 3 (1968), 101-108; A. ANDREWES, Lysias and the Theramenes papyrus, ZPE 6
(1970), 35-38; C. SAN CLEMENTE, Teramene e un nuovo papiro di Karanis, RIL 104 (1970), 202218; M. TREU, Einwande gegen die Demokratie in der Literatur des 5./4. Jh., Studii Clasice 12
(1970), 17-31; P. HARDING, The Theramenes myth, Phoenix 28 (1974), 101-111; R. SEALEY,
Pap.Mich. inv. 5982: Theramenes, ZPE 16 (1975), 279-288; G.A. LEHMANN, Ein Historiker
namens Kratippos, ZPE 23 (1976), 265-288, in part. 283 e seg.; R. MERKELBACH, Egotistic and
altruistic motivation in historiography. An excursus to the Papyrus of Theramenes, in Ancient and
Modern. Essays in Honor of Gerald F. Else, Ann Arbor 1977, 111-117 (anche in Hestia und
Erigone. Vorträge und Aufsätze, Stuttgart-Leipzig 1996, 479-484); W. LUPPE, Die Lücke in der
Theramenes-rede des Michigan-Papyrus inv. 5982, ZPE 32 (1978), 14-16; M.F. GALIANO, Dies
años de papirologia, EClás 23 (1979), 237-304, in part. 269 e seg.; P.J. RHODES, A commentary on
1
the Aristotelian "Athenaion Politeia", Oxford 1981, 22; Hellenica Oxyrhynchia, edited with
translation and commentary by P.J. MCKECHNIE, S.J. KERN, Warminster 1988, 6 e seg.;
H.R. BREITENBACH, Der Michigan Papyrus über Theramenes. Historische Problemes und
autorschaft, in Labor omnibus unus. Gerold Walser zum 70. Geburtstag dargebracht, WiesbadenStuttgart 1989 = Historia Einzelschriften 60 (1989), 121-135; G.E. PESELY, The origin and value
of the Theramenes Papyrus, AHB 3 (1989), 29-35; L. CANFORA, Eduard Meyer tra Cratippo e
Teopompo, in Eduard Meyer. Leben und Leistung eines Universalhistorikers = Supplements to
Mnemosyne 112 (1990), 74-131, in part. 81 e seg., 87; C. BEARZOT, Per una nuova immagine di
Teramene. P.Mich. inv. 5982 e il processo di Eratostene, in L'immagine dell'uomo politico: vita
pubblica e morale nell'antichità = Vita e Pensiero. Scienze storiche 46 = CISA 17 (1991), 65-87;
J. ENGELS, Der Michigan Papyrus über Theramenes und die Ausbildung des "Theramenes
Mythos", ZPE 99 (1993), 125-155; M. SORDI, Temistocle e il Papiro di Teramene, RIL 127 (1993),
93-101; A. NATALICCHIO, Atene e la crisi della democrazia, Bari 1996, 135 e seg.; C. BEARZOT,
Tajpovrrhta poiei'sqai. Ancora su Ermocrate e Teramene, RIL 128 (1994), 271-281, in part. 273275; C. BEARZOT, Lisia e la tradizione su Teramene. Commento storico alle orazioni XII e XIII del
Corpus Lysiacum, Milano 1997 = Biblioteca di Aevum Antiquum 10 (1997), 2-8, 190 e seg., 201204;
T.
RENNER,
Towards
Plato
in
context,
in
Akten
des
21.
Internationalen
Papyrologenkongresses, II, Berlin 1997, 827-834, in part. 834; P. VAN MINNEN, Boorish or
bookish?, JJP 28 (1998), 99-184, in part. 133-135; G. BASTIANINI, Osservazioni sul "papiro di
Teramene", in Poivkilma. Studi in onore di Michele R. Cataudella in occasione del 60°
compleanno, I, La Spezia 2001, 81-87; C. BEARZOT, Il "papiro di Teramene" e le Elleniche di
Ossirinco, in Le "Elleniche di Ossirinco" a cinquanta anni dalla pubblicazione dei frammenti
fiorentini, 1949-1999 = Sileno 27 (2001), 9-32; S. BIANCHETTI, "Atene sul mare" e la prospettiva
delle Elleniche di Ossirinco, in ibid., 33-46; C. BEARZOT, Tacere all’assemblea nella democrazia
greca: silenzio, rifiuto della trasparenza e tendenze autocratiche, Rivista online della Scuola
superiore dell’economia e delle finanze, II 8/9 (agosto/settembre 2005), in part. § 4; R. LÉRIDA
LAFARGA, Comentario histórico de las Helénicas de Oxirrinco, Zaragoza 2007, 100-111;
G. SCHWENDNER, Literature and literacy at Roman Karanis: maps of reading, in Preoceedings of
the XXIV International Congress of Papyrology, II, Helsinki 2007, 991-1006, in part. 1003.
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Stato del rotolo.
PMich inv. 5982 + 5796b, contenente sul recto un'opera storiografica anonima e
bianco sul verso, è composto da due frammenti (cui si aggiungono minimi resti di un terzo), non
collocabili con certezza, il maggiore dei quali restituisce una colonna di scrittura quasi completa.
Il frammento maggiore – che, privo di una precedente numerazione, si denominerà qui fr. 1 – è
costituito a sua volta dall'unione di tre frammenti, dalla dimensione complessiva di 7,2 x 18 cm. Il
frammento, così composto, si trova custodito presso la Michigan University Library di Ann Arbor,
contrassegnato dalla sigla di PMich inv. 5982. Il suo testo è stato pubblicato nel 1968 da Merkelbach e
Youtie (MERKELBACH-YOUTIE, 166-169).
Il fr. 2 (4,1 x 3,2 cm) è formato dal ricongiungimento di due frustuli, che si trovano attualmente
separati perché custoditi in due diversi luoghi: il frammento che costituisce la parte destra del fr. 2,
contrassegnato dal medesimo numero d'inventario del fr. 1 (PMich inv. 5982) e conservato insieme a
questo, è stato pubblicato da Merkelbach e Youtie nella stessa ed.pr. (MERKELBACH-YOUTIE, 165).
L'altro, PMich inv. 5796b, che costituisce la metà sinistra del fr. 2, consegnato dall'Università del
Michigan al Museo Egizio del Cairo nel 1954 (dunque, prima della pubblicazione dell'ed.pr. di
Merkelbach e Youtie; per questa data, cfr. T. GAGOS, The University of Michigan Papyrus Collection:
current trends and future perspectives, in Atti del XXII Congresso internazionale di papirologia, I,
Firenze 2001, 511-537, in part. 517), è stato successivamente identificato da G. Schwendner come
pertinente al frammento già noto, in seguito al ritrovamento di una sua riproduzione conservata alla
Michigan University Library (LOFTUS, 11); il frammento è stato pertanto pubblicato nel 2000 da A.
Loftus (LOFTUS, 13). La pertinenza di PMich inv. 5796b è testimoniata dal fatto che sia fisicamente
ricongiungibile al frammento di PMich inv. 5982 rimasto isolato (in quanto il lato destro combacia con
quello sinistro dell'altro), cosicché l'accostamento dei due frammenti dà luogo a una continuità sia del
testo, in tutte le linee di scrittura, sia del margine superiore della colonna.
I frammenti furono rinvenuti a Karanis nel 1930 nel corso degli scavi svolti dall'Università del
Michigan (MERKELBACH-YOUTIE, 161; LOFTUS, 11) e provengono da due aree prossime fra loro: quelli
pubblicati nell'ed.pr. (PMich. inv. 5982) furono scoperti presso le rovine di una via, denominata con la
sigla CS 190 (LOFTUS, 16, n. 32), che conduceva dalla parte ovest del villaggio al centrale tempio di
Pnepheros (VAN MINNEN, 133); PMich inv. 5796b proviene invece dall'area della cosiddetta "casa del
Nilometro" (edificio B224; cfr. LOFTUS, 11; SCHWENDNER, 1003), situata nei pressi dell'inizio della
suddetta via per il tempio: l'edificio è forse identificabile con un santuario, che sembra essere stato
dedicato al dio Soknopaios (T. Gagos in LOFTUS, 16, n. 30; VAN MINNEN, 133-135). Si tratta di aree
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– appunto, quelle della "casa del Nilometro" e della strada del tempio – in cui sono state rinvenute altre
opere letterarie (Plat., Phaed., II/IIIp: MP3 1390.11, LDAB 3750; Demosth., Ol., IIp, ined.: LDAB 653,
MP3 add.; Herod., Hist. VII, ined., IIp: LDAB 1132, MP3 add.) e testi documentari relativi a sacerdoti
egiziani (segnalati in LOFTUS, 16, n. 32; cfr. RENNER, 834; VAN MINNEN, 134 e seg.; T. RENNER in
Corpus dei Papiri Filosofici (CPF), Parte I: Autori noti, vol. 1***, Firenze 1999, 212 e seg.); come
rilevano questi studiosi, la compresenza di testi letterari e documentari può testimoniare che le opere
letterarie reperite fossero possedute e lette dagli stessi sacerdoti egiziani, secondo un uso non raro, che
risulta attestato anche in altre località, quali Soknopaiou Nesos e Tebtynis.
Scrittura. La scrittura è una maiuscola libraria informale di tipo rotondo, assegnabile alla prima
metà del II secolo d.C. (MERKELBACH-YOUTIE, 161): salvo che per la presenza, comunque non
costante, di alcuni elementi – quali l'inclinazione dell'asse delle lettere, il contrasto chiaroscurale, gli
apici ornamentali – , la scrittura è avvicinabile a quella di PBerol inv. 9782 (comm. a Plat., Theaet.;
MP3 1393, LDAB 3764), databile appunto alla prima metà di quel secolo, come mostra l'analogia con
testi documentari del periodo (Corpus dei Papiri Filosofici (CPF), Parte III: Commentari, Firenze
1995, 236). Rispetto agli altri testi trovati nelle rovine della stessa area – almeno, rispetto a quelli editi,
la cui datazione è perciò verificabile – , la scrittura del PMich risulta un po' più antica: l'esemplare del
Fedone e i testi documentari pubblicati sono infatti assegnati alla seconda metà del secolo o all'inizio di
quello successivo; alla seconda metà del II secolo sono datate anche le rovine della "casa del
Nilometro": la scrittura risulta perciò più antica anche rispetto ad almeno una parte del contesto
archeologico.
La scrittura di altri tre esemplari provenienti da Karanis (PMich XVIII 761, Ps. Kallisth., I/IIp: MP3
0236.03, LDAB 3862; PMich inv. 4733, Men., Epitr., IIp in.: MP3 1301.04, LDAB 2643; PMich inv.
5451a, lessico omerico, I/IIp: MP3 1218.30, LDAB 295), che è stata accostata a quella del papiro (come
segnalato in LOFTUS, 11), condivide con questa una somiglianza che ne indica, appunto, l'appartenenza
alla medesima tipologia grafica, ma non la realizzazione da parte di una stessa mano. Difatti, oltre a
presentare, rispetto alla scrittura di tutti e tre gli esemplari, una maggiore distensione delle lettere in
senso orizzontale, quella del PMich rivela, in confronto alla scrittura di PMich inv. 4733, un diverso
tratteggio nella forma di alcune lettere: alpha ha l'occhiello realizzato con un disegno morbido e ny
mostra sempre il tratto obliquo terminante alla base del tratto verticale di destra, anziché ad altezza
mediana; rispetto a PMich VIII 761, presenta un tratteggio più irregolare e rivela una datazione un po'
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più bassa; PMich inv. 5451a presenta una scrittura ancora maggiormente diversa, in confronto alla
quale quella di questo papiro è realizzata con un tratteggio più arrotondato, come si osserva
particolarmente nell'occhiello di alpha, nei tratti curvi di delta e omega, e nel calice di hypsilon, e
risulta di datazione un po' posteriore.
Disposizione del testo.
Il testo si presenta disposto in una colonna stretta, di altezza media,
fortemente inclinata, con linee di scrittura separate da stretti interlinei; in relazione ai criteri che sono
stati individuati dal Johnson (W.A. JOHNSON, Bookrolls and scribes in Oxyrhynchus, Toronto 2004)
come legati alla disposizione testuale nei rotoli letterari – cioè, principalmente, la tipologia del testo
contenuto (se in versi o in prosa), l'epoca di produzione dell'esemplare e il grado di formalità della
scrittura impiegata – , il formato del PMich risulta molto diffuso, come si riscontra, appunto, tra gli
esemplari di età romana con testi in prosa, vergati in scrittura libraria informale.
La colonna di scrittura si presenta vistosamente inclinata a destra secondo la "legge di Maas", come si
rileva sia sulla base della conservazione, nella parte iniziale del fr. 1, dell'incipit di alcune linee di
scrittura (rr. 1-13), sia per il calcolo delle lettere in lacuna nella parte finale della colonna, nei casi in
cui l'integrazione è sicura (cfr., per es., rr. 34-40). Sulla base della documentazione raccolta dal
Johnson, si rileva che l'inclinazione della colonna, di poco superiore ai 4°, rientra appunto nella
categoria denominata "strong tilt" (JOHNSON, 91): come risulta dall'indagine del Johnson, si tratta di un
tipo di inclinazione piuttosto frequente, secondo solo alla tipologia maggiormente diffusa, definita
"moderata" ("moderate tilt"; meno ricorrenti sono i casi di colonne leggermente inclinate o del tutto
prive di inclinazione).
La colonna contenuta nel fr. 1 si è conservata in tutta la sua altezza: è infatti visibile parte dei margini
superiore e inferiore, i quali, benché assai lacunosi, sono individuabili poiché risultano comunque un
po' più ampi dello spazio interlineare, che peraltro in questa scrittura si presenta particolarmente stretto
in relazione al modulo delle lettere; mentre l'interlineo misura cm 0,2 ca., il margine superiore è visibile
fino a un massimo di cm 0,6, come si constata nel fr. 1 (si veda, in particolare, la riproduzione del
papiro in formato digitale, segnalata in bibliografia); nel fr. 2, il margine superiore è conservato nella
medesima misura; il margine inferiore è visibile fino a cm 0,6, come si rileva nel fr. 1.
Benché non si conservino linee di scrittura per intero (anche se in fr. 1, rr. 8, 10, le linee di scrittura
sono pressoché integre, poiché vi è solo una lacuna parziale della lettera finale), la misura della
larghezza della colonna è individuabile sulla base del calcolo della lunghezza dei righi nei numerosi
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casi in cui l'integrazione delle lettere iniziali o finali è sicura. Si rileva, dunque, che la larghezza della
colonna oscilli fra i cm 5,3 e 5,7; la variazione è dovuta al fatto che l'allineamento a destra non è rigido,
nonostante lo scriba ricorra, talvolta, alla diminuzione del modulo delle lettere in fine rigo e alla loro
compressione laterale (ad esempio, notevole è la compressione dell' -hn finale in fr. 1, rr. 35 e 36, in
cui il primo tratto verticale di ny risulta coincidente con quello di destra del precedente eta); talora, per
le esigenze di divisione di parola, lo scriba lascia un ampio spazio vuoto in fine rigo (ad esempio, nelle
divisioni ejpi|≥ªceirºh≥vs≥ousin fr. 1, 27-28, ta;| ªperºi;≥ fr. 1, 42-43; particolarmente vistoso risulta lo
spazio lasciato dopo la parola uJmi'n, finale del r. 30, che precede un luogo lacunoso nell'incipit del rigo
successivo). In base alla larghezza, la colonna di scrittura del papiro rientra nella "class I" individuata
dal Johnson, che comprende le colonne definite "narrow" (4,5-6 cm; JOHNSON, 108). Riguardo
all'ampiezza della colonna, il Johnson ha riconosciuto un suo legame sia con il grado di formalità della
scrittura impiegata nel testo, sia con l'epoca di produzione dell'esemplare: benché, naturalmente,
l'ampiezza della colonna non costituisca, di per sé, un criterio per valutare la qualità del prodotto
librario, il Johnson rileva come, di fatto, nella documentazione i testi riportati in una scrittura corsiva
siano disposti in colonne larghe, mentre gli esemplari vergati in scrittura libraria presentino colonne di
larghezza media o breve (JOHNSON, 103); inoltre, mentre la tendenza a disporre il testo in colonne
ampie è documentata soprattutto negli esemplari di età tolemaica, e una certa varietà è attestata tra il I
sec. d.C. e l'inizio del secolo successivo, nel pieno II sec. d.C. le colonne del tipo "narrow"
rappresentano il tipo più comune, fra gli esemplari con testi in prosa (JOHNSON, 108). Rispetto alla
documentazione, il PMich, che (come detto) presenta una scrittura libraria informale, databile al II
secolo, risulta dunque del tutto corrispondente.
In altezza, la colonna di scrittura raggiunge cm 17: si tratta di una colonna di altezza media, secondo i
criteri stabiliti dal Johnson (la misura rientra infatti nella seconda delle tre classi individuate, la quale
comprende le colonne di altezza fra i 16 e i 21 cm: cfr. JOHNSON, 124). Il formato del PMich, che
prevede un testo disposto in colonne strette e di altezza media, risulta quello maggiormente diffuso nei
rotoli di età romana con testi in prosa: in base alla tendenza generale messa in luce dal Johnson, per la
quale la larghezza della colonna è direttamente proporzionale alla sua altezza, la maggioranza delle
colonne definite "narrow" presenta, appunto, un'altezza medio-bassa (JOHNSON, 125; si confronti il
numero di esemplari appartenenti a questa classe, elencati nella tab. alle pp. 201 e seg., sezione "Width
class I + height class II").
La colonna di scrittura contiene 45 righi, ognuno comprendente 17-21 lettere ca. L'intercolunnio è
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visibile fino a un'ampiezza di cm 1,2; non è possibile indicare quale fosse la misura più probabile
dell'intercolunnio nella sua interezza: secondo il Johnson, l'unica tendenza individuabile nella
dimensione dell'intercolunnio è quella presentata dagli esemplari di lusso, i quali dispongono perlopiù
di intercolunni ampi (sono, dunque, classificati nella "prose intercolumn width class II": JOHNSON,
113), ma ciò non implica necessariamente che gli esemplari vergati in scrittura informale rientrino nella
diversa classe ("class I"), definita "narrow", che comprende gli intercolunni di ampiezza intorno agli
1,5 cm (1,2-1,7 cm); è comunque verosimile che, nel PMich, la misura non si estendesse oltre il limite
massimo di 2,5 cm, attestato per gli esemplari in scrittura informale (JOHNSON, 112, graf. 3.2.2, a
p. 112).
Se, come è emerso sinora, la disposizione testuale del PMich risulta diffusa nella documentazione
della propria epoca, si può supporre che anche la misura dei margini rientrasse in quella più usuale, che
è di 3-4 cm per il margine superiore e di 3-5 cm per l'inferiore (con una differenza massima, tra i due,
di 1,5 cm in favore di quello inferiore), escludendo misure più ampie, le quali sono attestate raramente
e solo in esemplari formali (JOHNSON, 136, 141). Se queste ipotesi possiedono un certo fondamento, si
può calcolare che l'altezza totale del rotolo fosse compresa fra i 23 e i 26 cm, e che fosse maggiormente
vicina al limite massimo di 26 cm, dal momento che, in generale, la misura più frequente dell'altezza
dei rotoli si estende a partire da un minimo di 25 cm (JOHNSON, 141 e seg.). La misura che si è ora
ipotizzato trova effettivamente corrispondenza nella documentazione: si può considerare, ad esempio,
POxy XVII 2101 (Xen., Cyr., del IIIp in.: MP3 1545, LDAB 4205; cfr. JOHNSON, tab. a p. 213), le cui
colonne di scrittura possiedono un'altezza vicina a quella del PMich (cioè, 16,2 cm) e sono redatte,
ugualmente, in una scrittura libraria informale; i margini del POxy, che il Johnson indica come integri,
possiedono un'altezza di 3,9 (quello superiore) e 5,3 (l'inferiore), per un'altezza totale del rotolo di 25,4
cm.
Il contenuto del fr. 1 è costituito da una colonna di scrittura quasi completa, della quale si conserva
anche parte dei margini, sia superiore sia inferiore, e degli intercolunni (quello di sinistra, nella parte
superiore del frammento, e quello di destra, nella metà inferiore). Il fr. 2 conserva la parte iniziale di
alcune linee di scrittura appartenenti all'incipit di una colonna, come è indicato dalla conservazione di
parte dell'intercolunnio sinistro e del margine superiore. Riguardo alla collocazione dei due frammenti,
si può dire con certezza unicamente che la colonna di scrittura parzialmente conservata dal fr. 2 non è
immediatamente successiva a quella del fr. 1, poiché non vi è continuità nel testo: la parola iniziale del
fr. 2, di cui restano le ultime lettere (-siwn), non è infatti conciliabile con la quella finale dell'ultimo
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rigo del fr. 1 (Lak≥e≥ªdºa≥i≥m≥ªoºn≥ivoªi", r. 45), dopo la quale non vi è spazio per ulteriori lettere in lacuna.
Il fr. 3 presenta tracce di due lettere; benché la prima traccia sia compatibile con la parte destra di un
omega, il frammento non sembra accostabile al fr. 2, presso i rr. 2 o 6, sebbene vi si conservi, in fine
rigo, proprio la metà sinistra di un omega: la seconda traccia nel frammento, che si trova addossata alla
precedente, non risulta però compatibile con un ny, che è necessariamente richiesto in entrambi i
luoghi; né il frammento sembra in qualche modo accostabile al fr. 1.
Segni di lettura, ortografia, errori e correzioni.
Il testo è privo di prosodiai e di segni di
scansione testuale.
L'ortografia dello scriba si rivela complessivamente accurata: scevra da gravi errori, presenta
un'irregolarità nell'uso dello iota mutum, che spesso è tralasciato (è sicuramente omesso in fr. 1, r. 39;
sembra omesso ai rr. 22 e 32, anche se in quest'ultimo luogo (r. 32) la ricostruzione testuale è incerta; è
invece presente in fr. 1, rr. 2, 18). Sono assenti errori iotacistici. L'uso del ny efelcistico è abbastanza
regolare (è impiegato indebitamente, davanti a consonante, solo in fr. 1, r. 45).
La parola oujdevn ricorre anche nella grafia con theta (fr. 1, r. 25; con delta, invece, al r. 16); la grafia
oujqevn, che è attestata nelle iscrizioni a partire dalla prima metà del IV sec. a.C. e risulta la più frequente
nei papiri documentari di età tolemaica, è invece poco ricorrente in quelli di età romana (GIGNAC,
Gram., I, 97; cfr. SAN CLEMENTE, 214, n. 12): è dunque possibile che risalga all'autore, mentre quella
oujdevn costituisca la normalizzazione di uno scriba. È sempre impiegata la grafia -tt- (fr. 1, rr. 4, 27,
42).
Un'omissione di due parole che si era verificata nella stesura originaria è stata corretta reintroducendo
nell'interlineo le parole saltate (fr. 1, r. 10), iniziando a scrivere al di sopra del breve spazio compreso
tra la fine della parola precedente l'omissione e l'incipit di quella successiva (BASTIANINI, 83; cfr. la
nota ad loc.). La correzione è stata riportata in una scrittura corsiva; non si può, però, affermare con
certezza che si tratti di una mano diversa da quella dello scriba – dunque, della mano appartenente al
diorqwthv" dello scriptorium nel quale l'esemplare è stato trascritto, o di quella di un lettore del
rotolo – , in quanto lo stesso scriba può avere qui impiegato una grafia più veloce di quella nel testo,
poiché condizionato dalla ristrettezza dello spazio interlineare (BASTIANINI, 82).
A parte le omissioni di iota mutum, le quali non sono state corrette, non sembra che vi siano errori
rimasti privi di correzione (in fr. 1, r. 9, non vi è necessità di correzione: cfr. HENRICHS, 106, n. 9, su
cui si veda il comm. ad loc.).
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Contenuto e stile.
Il testo del fr. 1 contiene il resoconto di fatti che si evincono accaduti
nell'inverno 405/04 a.C., dopo la sconfitta degli Ateniesi a Egospotami e prima della pace conclusiva
con Sparta: è riportata la discussione di una seduta dell'assemblea ateniese, nella quale Teramene
prende la parola per difendersi dalle accuse degli oppositori; col favore del popolo, Teramene riesce
dunque a farsi inviare come ambasciatore plenipotenziario a Samo da Lisandro per trattare la pace.
Nel loro complesso, gli eventi riportati nel papiro trovano corrispondenza con quelli noti da
Senofonte (Hell. II 2, 16-17) e da Lisia (XII Contra Erat., 68-69; XIII Contra Agor., 9-11, 13).
Rispetto alla versione di Senofonte, quella del papiro contiene una divergenza di un certo rilievo, in
quanto Teramene è presentato come plenipotenziario sin dal principio delle trattative (rr. 35-38):
secondo il resoconto di Senofonte, invece, Teramene fu nominato autocrator in una seduta successiva
della bule, svoltasi al suo ritorno dal colloquio con Lisandro; allo scopo di concludere le trattative,
seguendo l'ordine dello stesso Lisandro, Teramene si recò, poi, a Sparta, presso l'assemblea preseduta
dagli efori.
La versione dei fatti riportata nel papiro risulta maggiormente corrispondente a quella che si desume
essere attestata in Lisia (SEALEY, 284-286; BEARZOT 1991, 70 e seg.; BEARZOT 1997, p. 3;
diversamente, MERKELBACH-YOUTIE, 164; HENRICHS, 105; BREITENBACH, 124 e seg.): dalle
informazioni contenute nelle sue orazioni, si evince che Lisia conoscesse lo svolgimento di un'unica
assemblea, svoltasi verosimilmente all'inizio della vicenda, nella quale Teramene fu nominato
plenipotenziario. Questa versione dei fatti appare quella tenuta presente dall'"anonimo", poiché, nel
papiro, risulterebbe piuttosto immotivato il ritorno di Teramene ad Atene dopo il colloquio con
Lisandro, dal momento che Teramene è descritto come già investito dei pieni poteri nelle trattative; non
sarebbe, perciò, perspicuo lo scopo di una seconda seduta della bule, come quella menzionata da
Senofonte. Rispetto alla versione di Lisia, l'anonimo aggiungerebbe la notizia del colloquio preliminare
con Lisandro, non riportato dall’oratore intenzionalmente (SAN CLEMENTE, 217; BEARZOT 1991, 71 e
seg., n. 27) o, più probabilmente, tralasciato perché non immediatamente decisivo nell’esito delle
trattative (questa ipotesi è prospettata come possibile in SAN CLEMENTE, 215, 216; BEARZOT 1991, 71 e
seg., n. 27).
Si può osservare, per inciso, che le assenze di alcune notizie, nelle orazioni di Lisia rispetto al
resoconto di Senofonte, non sembrano dipendere dalla conoscenza di una vera e propria "versione" dei
fatti, bensì sono attribuibili al diverso contesto in cui la menzione di Teramene compare, che è appunto
quello oratorio, anziché di un'esposizione di carattere storico; a ciò, si può aggiungere la particolare
9
esigenza di sintesi avvertita da Lisia, secondo quanto dichiarato proprio in principio dell'excursus su
Teramene: peri; Qhramevnou" wJ" a[n duvnwmai dia; bracutavtwn didavxw Lys. XII 62 (come
osserva Pesely, "the two orations are designed to win convictions, but they are only incidentally
concerned with Theramenes": PESELY, 30). È allora plausibile che Lisia intenda porre in rilievo
esclusivamente alcune notizie ritenute indispensabili per la formulazione dell'accusa, quali il
conferimento dei poteri plenipotenziari a Teramene, che Lisia presenta come avventato, e la lunga
lontananza da Atene in occasione dell'ambasceria, mostrata come intenzionale (Lys. XIII 10-11).
L’autore scrive in uno stile letterario piano, con caratteristiche del dialetto attico (MERKELBACHYOUTIE, 162), come indicato da elementi della grafia (cfr. sopra, p. 8). Gli elementi stilistici più
rilevanti appaiono la frequente coordinazione per mezzo della correlazione mevn/dev o del participio
congiunto, e una certa frequenza dello iato (TREU, 31, n. 46); ricorre l'uso della litote, in fr. 1, 20, e del
discorso diretto, in fr. 1, 14-33 (TREU, 31, n. 46).
L'episodio contenuto nel testo.
La versione dei fatti conosciuta dall'"anonimo" si discosta da
quella tradizionale, come è in parte già emerso dall'esame del contenuto sopra condotto.
Confrontandola più dettagliatamente con il resoconto di Senofonte e con le informazioni ricavabili da
Lisia, si osserva che nel testo ricorrano due notizie non altrimenti attestate, e che, negli altri casi,
relativi, cioè, a fatti già noti, il papiro presenti una maggiore corrispondenza con Lisia, che con
Senofonte; rispetto a Lisia, il resoconto del papiro si mostra comunque indipendente, poiché riporta una
versione dei fatti più completa.
Risultano attestati unicamente nel papiro il contenuto della difesa pronunciata da Teramene (fr. 1, rr.
12-33) e la notizia della nomina di plenipotenziario già nella prima ambasceria (rr. 35-38; cfr., d'altra
parte, Xen., Hell. II 2, 17). Entrambe le notizie possono essere considerate autentiche: se il testo è
un'opera storica, come qui si propone (cfr. dopo, pp. 12-14), il discorso di Teramene può riprodurre,
nella sostanza, il contenuto di quello realmente pronunciato, secondo l'uso tucidideo. Riguardo all'altra
notizia, cioè quella della nomina di autocrator sin dall'inizio delle trattative, la versione del papiro è
stata considerata deteriore da Henrichs poiché la consuetudine di concedere pieni poteri a un unico
ambasciatore non è altrimenti attestata (HENRICHS, 105); ma, nonostante il papiro non menzioni la
presenza di colleghi di Teramene, questo particolare, che comunque è riportato da Senofonte, in Hell. II
2, 17, poteva essere stato tralasciato perché considerato trascurabile, dato il rilievo presentato dalla
figura di Teramene nel complesso della vicenda (SEALEY, 285); la versione del papiro si qualifica come
10
maggiormente giustificata in relazione agli eventi precedenti: una prima ambasceria, che era avvenuta
alla presenza del re Agide e degli efori (come già accennato), era risultata inconcludente proprio perché
i delegati ateniesi non avevano potuto trattare la pace con gli Spartani, bensì avevano dovuto limitarsi a
farsi portavoce delle proposte decise dall'assemblea, con la conseguenza di non potere agire di fronte al
rifiuto degli avversari (MERKELBACH-YOUTIE, 165; cfr. Xen., Hell. II 2, 11-13). In base a questo fatto,
il conferimento dei poteri plenipotenziari a Teramene nella prima ambasceria era stato ipotizzato già
prima della scoperta del PMich: cfr. E. MEYER, Geschichte des Altertums, IV4 2, Basel 1956, 362
(segnalato in MERKELBACH-YOUTIE, 164).
Nel caso delle altre notizie, già note dalle fonti, si rileva che il papiro non mostri una corrispondenza
specifica con uno dei due autori (Senofonte o Lisia): la menzione del colloquio di Teramene con
Lisandro è riportata unicamente da Senofonte (rr. 38-45; Xen., Hell. II 2, 16-17), mentre trovano
corrispondenza esclusivamente in Lisia la notizia dell'opposizione dei buleuti alla nomina di Teramene
(rr. 1-10; Lys. XII 69 ajntilegovntwn de; pollw'n Qhramevnei), il contenuto dell'accusa (rr. 5-10; Lys.
XII 69) e la menzione del conferimento dei pieni poteri all'inizio della vicenda (rr. 35-38; Lys. XIII 910). La puntuale analogia intercorrente fra il PMich e Lisia nel riportare l'accusa a Teramene può non
essere necessariamente dovuta all'impiego di Lisia come fonte, da parte dell'"anonimo" (sia che
attingesse a Lisia in modo diretto: HENRICHS, 105 e seg.; SAN CLEMENTE, 211; ANDREWES, 35; sia
che ricorresse a una fonte intermedia, ora perduta, identificata dalla Bearzot con la difesa di Eratostene
pronunciata dopo la relativa orazione di Lisia: BEARZOT 1991, 82-84), bensì può significare che quelle
furono le parole realmente proferite in assemblea dagli accusatori (TREU, 19-21; SEALEY, 281;
BREITENBACH, 127; BASTIANINI, 86); Lisia e l'autore del PMich possono avere impiegato due diverse
fonti letterarie (BREITENBACH, 127), oppure possono essersi basati su testimonianze orali (TREU, 21).
Non sembra invece possibile valutare l'assenza, nel papiro, della notizia del protrarsi della lontananza
di Teramene da Atene durante l'ambasceria (cfr. Xen., Hell. II 2, 16, 17, in cui l'episodio è riferito alla
prima ambasceria, e Lys. XIII 11, in cui è invece indicata Sparta come luogo della permanenza di
Teramene; cfr. HENRICHS, 103, SAN CLEMENTE, 205). Ma, quantunque il prolungamento dell'assenza
da Atene sia attribuito con asprezza, sia da Senofonte, sia da Lisia, alla volontà di Teramene di
accrescere la gravità della situazione per la popolazione, così da indurla ad accettare qualsiasi accordo
egli avesse raggiunto con Sparta, non sembra certo che l'assenza di questo fatto, nel papiro, sia indice,
in sé, di un atteggiamento filoterameniano da parte dell'"anonimo" (si veda, per questa ipotesi,
BEARZOT 1997, 68 e seg.; BEARZOT 2001, 22): l'omissione di una notizia così rilevante sarebbe, sì,
11
inusuale nel papiro, il cui resoconto è altrimenti dettagliato, ma non sembra da escludere l'eventualità
che tale riferimento ricorresse nella parte perduta del testo: o perché, nella versione dell'"anonimo",
Teramene assumeva la decisione di rimanere a Samo dopo avere ricevuto l'ordine di Lisandro (anziché
precedentemente, secondo quanto riporta Senofonte), o perché la lunga permanenza fuori da Atene non
avvenne in questa circostanza, bensì a Sparta, come riferisce Lisia, e dunque, durante la seconda parte
dell'ambasceria.
In base alla ricostruzione che qui si accoglie, complessivamente il papiro conserva una versione che
integra quelle offerte da Senofonte e da Lisia; come si rileva nell'ed.pr., "präzisiert der neue Text
unsere Kenntnisse von den letzten Monaten des peloponnesischen Krieges" (MERKELBACH-YOUTIE,
165).
L'identificazione dell'opera.
Il testo, individuato da molti studiosi come un pamphlet composto da
un sostenitore di Teramene (HENRICHS, 108; ANDREWES, 37; HARDING, 108 e seg.; LEHMANN, 283 e
seg.; RHODES, 22; MCKECHNIE-KERN, 6 e seg.; ENGELS, 145-155) o come una biografia relativa allo
stesso Teramene (PESELY, 33-35), non sembra, in realtà, configurarsi come uno scritto prodotto per le
esigenze del momento, come rivela la discreta fattura del formato librario nel quale l'opera è stata
copiata, peraltro ancora a una distanza di cinque secoli (BASTIANINI, 86 e seg.). Le caratteristiche
contenutistiche si addicono in effetti a un'opera storica, anziché a una propagandistica (MERKELBACHYOUTIE, 161; SEALEY, 280 e seg.; BASTIANINI, 87; BEARZOT 2001, 10-12; BIANCHETTI, 46; in
particolare, Breitenbach e la Loftus hanno ipotizzato che l'autore possa essere Eforo: cfr.
BREITENBACH, 130-135, LOFTUS, 15-19), in quanto gli eventi sono riferiti in una narrazione scarna,
priva di commenti, che corrisponde all'atteggiamento di uno storiografo, anziché a quello di un
sostenitore (cfr. SEALEY, 281: "Seine Haltung ist eher die eines Historikers, der einen Anspruch auf
Unvoreingenommenheit erhebt");.
Anche se l'autore non esplicita il suo pensiero, il metodo con cui alcuni degli eventi sono presentati e
il lessico impiegato non sembrano comunque rivelare affatto una disposizione favorevole a Teramene
(cfr. SEALEY, 280 e BASTIANINI, 87; diversamente, TREU, 21, n. 10; BEARZOT 1991, 77-84; BEARZOT
1997, 6 e seg.; BEARZOT 2001, 21 e seg.; BIANCHETTI, 37). L'introduzione della notizia
dell'approvazione del discorso di Teramene (fr. 1, rr. 33-35) non implica necessariamente che l'autore
condividesse tale giudizio positivo, poiché il fatto è riportato dalla prospettiva del popolo (uJp≥ol≥ aªbºw≥;n
d≥e; ojrqw'" levgein aujªtovºn, oJ≥ dh'mo" ktl.); pur non potendo dire, dunque, con certezza, se l'anonimo
12
concordasse o meno con quanto riporta in questo passo, si può però rilevare che il vocabolo impiegato
in riferimento al popolo (il verbo uJpolambavnw) non sembra riflettere un giudizio positivo, dato il suo
significato di "supporre", che implica un giudizio non ponderato, una decisione assunta in tempi rapidi.
Nel quadro dell'identificazione del PMich con un'opera storica, che dunque qui si segue, il testo è
identificabile con un frammento delle Elleniche di Ossirinco (ed. in: Hellenica Oxyrhynchia, post
Victorium Bartoletti edidit Mortimer Chambers, Stuttgart-Leipzig 1993; in questa edizione, il PMich è
aggiunto, con la dovuta cautela, ai frammenti tradizionalmente considerati come sicuri, cioè P.Oxy. V
842: MP3 2189, LDAB 583; PSI XIII 1304: MP3 2190, LDAB 582; PCair temp.inv. 26/6/27/1-35r:
MP3 2190.1, LDAB 581), in base a molteplici aspetti, che si possono ricavare dall'esame del testo sin
qui condotto.
Si può ritenere che il PMich condivida con i frammenti delle Elleniche una corrispondenza sia
contenutistica (cfr. MERKELBACH-YOUTIE, 161) – costituita dal resoconto dettagliato di eventi compresi
tra la fine del V e l'inizio del IV secolo – sia stilistica (TREU, 31, n. 46; si considerino anche le
caratteristiche sopra delineate, a p. 10; riguardo allo stile delle Elleniche, si vedano, ad es., The
Oxyrhynchus Papyri. Part V, edited with translations and notes by B.P. GRENFELL, A.S. HUNT, London
1908, 110-242 (POxy V 842), in part. 123 e seg.; Hellenica Oxyrhynchia, edidit V. BARTOLETTI,
Leipzig 1959, XVIII e seg.; L. KOENEN, Papyrology in the Federal Republic of Germany and
Fieldwork of the International Photographic Archive in Cairo, StudPap 15 (1976), 39-79, in part. 62 e
seg.). Si può aggiungere che, come è emerso precedentemente, il lessico del testo del PMich e quello
delle Elleniche presentino un'analogia nell'impiego nel verbo uJpolambavnw (fr. 1, 33-34) secondo uno
specifico valore: in base alla ricostruzione che qui si accoglie (cfr. sopra), al verbo uJpolambavnw si
addice l'accezione con cui ricorre nelle Elleniche di Ossirinco, che è quella "di un pensare immediato,
senza ponderata riflessione o basi concrete" (BASTIANINI, 87); si può inoltre rilevare che, nelle
Elleniche, il vocabolo uJpolambavnw, sempre impiegato nel significato di "supporre, pensare", ricorre
più frequentemente degli altri verbi di significato affine, come
hjgevomai,
nomivzw,
oi[omai
(BASTIANINI, 87).
Non è purtroppo verificabile la corrispondenza della versione del PMich con quella riportata nella
Biblioteca Storica di Diodoro Siculo, con la quale – come è noto – le Elleniche mostrano un accordo
notevole: in Diodoro, l'episodio contenuto nel papiro è solamente accennato (cfr. Diod. XIII 107, 4). Si
può comunque osservare che il PMich, conservando una versione dei fatti più completa di quella di
Senofonte (in base alla ricostruzione che qui si segue, come riportato alle pp. 9 e seg.) e in parte
13
divergente da essa, mostra un'analogia con le Elleniche anche dal punto di vista della particolare
posizione che queste assumono nella tradizione (su tale aspetto delle Elleniche, si veda, ad es., Nuovi
frammenti delle "Elleniche di Ossirinco, ed. V. Bartoletti, in Papiri greci e latini (Pubblicazioni della
Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto) XIII.1, ed. M. Norsa, V. Bartoletti,
Firenze 1949, 61-81 (PSI XIII.1 1304), in part. 63.
Motivazioni in favore dell'identificazione del PMich con le Elleniche di Ossirinco sono apportate
anche in BEARZOT 1991, 80 e seg., BEARZOT 2001, 12-14 e in BIANCHETTI, 43, 46, in cui si rilevano
elementi comuni al pensiero di Cratippo (cioè, l'atteggiamento favorevole a Teramene, individuato
dalla Bearzot, e la visione di un Teramene ostile ai democratici radicali, rilevata dalla Bianchetti),
considerato dalle due studiose come probabile autore delle Elleniche.
L'impiego del discorso diretto, addotto contro l'identificazione con le Elleniche poiché, in queste,
risulta pressoché assente (MERKELBACH-YOUTIE, 161 e seg.; BREITENBACH, 129), può tuttavia essere
giustificato dalla diversa ambientazione dell'episodio del PMich, che è, appunto, quello della seduta
della bule: si tratta di un contesto per il quale non ricorrono, invece, paralleli nei frammenti delle
Elleniche considerati sicuri. Si vedano inoltre, sulla possibilità che le Elleniche contenessero discorsi
diretti nella parte andata perduta, E. MEYER, Theopomps Hellenika, Hildesheim 1966, 122 e seg.;
TREU, 31, n. 46; CANFORA, 81 e seg.; BEARZOT 1991, 80; CHAMBERS, XVII).
14
TRASCRIZIONE
Il testo del fr. 1 è costituito sulla base dell’ed.pr. (MERKELBACH-YOUTIE, 166-168); ove non segnalato
diversamente, le integrazioni sono dovute agli editori.
Fr. 1
5
10
15
20
25
30
tou;" Lake≥da≥i≥m≥onivªou", ajn<
tevlegon aujt≥w'/ f≥avskoªn<
te" aJpavntwªnº a≥jtopwvªta<
t≥on aujto;n dia≥p≥ravttes≥ªqai:
tou;" me;n g≥a;r a[llou" tªaj<
povrrhta poiei'sqai pro;ª"
tou;" pole≥ªmºi≥vou", ejkei'nªon
de; peri; w|n≥ toi'" ejcqroi'"≥
ejrei'n mevllein tau'ta pªro;"
tou;" polivta" ;mh; tolma'nV levgein. oJ de;≥
pro;≥"≥ t≥ou'to≥ parelqw;n eªi\<
pen≥: «ªto;º plei'ston tou' dev<
onto" aJºmartavnous≥in
oiJº rJhvto≥r≥e≥"≥: ei\ me;n ga;≥r ejf∆ h\\≥ªmi'n
geº h\n» e[fh «th≥;n≥ ªeijºr≥h≥vªnhn ejpitav<
xºa≥i≥, oujde;n dªiºevfere≥n a[≥ªn uJ<
mºa'≥" ajkouvein ejf j o≥i|" aujt≥ªh;n
hJgºou'mai th/' povlei poih≥vªsa<
sºq≥ai kalw'"≥ e[cein: ejpe≥i≥<
dh;º d≥e; oij pole≥vmioi kuvrioªi
kaºqest≥a≥'s≥i≥n≥, ªoºujk ajsfalev"≥
ejsºtin eijkh/' p≥e≥ri; aujth'" lev<
geiºn. ouj ga;r≥ d≥hlonovti tw'ªn
diºd≥omev≥nwn aujt≥o≥i'≥" pa<
r j hJºm≥w'n oujqe;n≥ a≥jx≥iwvsou<
sinº a≥jfairei'n, e{tera d≥e; pro;"
touvºt≥oi≥ª"º ejpitavttein ejpi<
ceirºh≥vs≥ousin: th;n ou\n ai{re<
sinº ou|toi me;n ejp∆ ejkeivnoi"
qhvsºousin, ejgw; d∆ ejf∆ uJmi'n.
≥ ≥ ≥º ≥u≥ ≥ ≥ g≥a;r t≥a;≥ ªpºa≥r∆ ejkeivnwn
≥ ≥ ≥º ≥ª ≥º ≥anta"≥ t≥w/' bouleuv<
15
35
40
45
saºs≥q≥a≥i peri; aujtw'n». uJp≥o≥la<
bºw≥;n d≥e; ojrqw'" levgein auj<
tovºn, oJ≥ dh'mo" presbeut≥h;n
aujºtokr≥avtora th;n eijrhvnhn
poºi≥hsovmenon ajpevstei<
leºn≥. Q≥h≥ramevnh" de; para≥u<
tivkºa≥ m≥e;≥n, wJ" h/Jrevqh, pro;"
Luvsºa≥n≥d≥rªoºn e[pleusen e≥ij"
Savºm≥on ka≥i;≥ pro;" ejkei'no≥n
ejpeºc≥e≥ivrei pravttein ta;
perºi;≥ th'" eijrhvnh". ejpeid≥h;
de;º L≥uvsand≥ro" aujto;n ejk≥ªev<
leuºen Lak≥e≥ªdºa≥i≥m≥ªoºn≥ioª
2-3 f≥avskoªnºte": così, nell'immagine digitale (cfr. la voce Tavv. nella bibliografia iniziale);
31 º ≥u ≥ ≥ : dopo la lacuna, traccia puntiforme alla sommità del rigo,
f≥avskªonºte" ed.pr.
prossima a u; di u resta la metà superiore, costituita dalla sommità dei due tratti obliqui: poiché questi
si presentano ravvicinati, sono, appunto, identificabili piuttosto con il calice di uno u, anziché con le
braccia di un c; dopo u, alla sommità del rigo, traccia di tratto arcuato aperto in basso
32 º ≥ª ≥º
≥anta": traccia di asta verticale nella metà inferiore del rigo, seguita, dopo la lacuna, da tracce
puntiformi
1
oiJ
de;
peri;
tou'
crhmativzein
Lake≥da≥i≥m≥onivªou" e.g., ed.pr. in comm., 167
mevlleiønØ emendavit ed.pr.
;mh; tolma'nV ed.pr.
CANFORA, 82
aujto;n
presbeuth;n
aujtokravtora
pro;"º
tou;"
9 mevllein HENRICHS, 106, n. 9 (accipit Chambers);
10 ;mh; tolma'nV levgein legit Bastianini (BASTIANINI, 82-86); levgein
12 ªto;º: ªo{tiº CANFORA, 82, n. 18
ªo{tiº - rJhvto≥r≥e≥" oratio obliqua
14 ei\ me;n ktl.: incipit oratio directa CANFORA, 82
24-25 paªr j hJºm≥w'n
supplevit ed.pr. in textu (accipit TREU 22, BREITENBACH 123, Chambers in app.); paªr j ≥ºm≥w'n
Chambers in textu; paªr j uJºm≥w'n proposuit ed.pr. in comm. (169, ad l. 25) et Chambers in app.
31-32
≥ ≥ ≥º ≥u≥ ≥ª ≥º g≥a;r t≥a;≥ ªpºa≥r∆ ejkeivnwn ª ≥ ≥ ≥º ≥ª ≥º ≥anta"≥ t≥w/' bouleuvªsaºs≥q≥a≥i peri; aujtw'n:
kelºe≥uvw≥ g≥a;r t≥a;≥ ªpºa≥r∆ ejkeivnwn ªeij|d≥ov≥t≥aº≥"≥ p≥avnta o≥u{≥t≥w bouleuv|ªsaºs≥q≥a≥i peri; aujtw'n Parsons per
litt.; ≥ ≥ ≥º ≥u≥ ≥ª ≥º g≥a;r t≥a;≥ ªpºa≥r∆ ejkeivnwn ª ≥ ≥ ≥ ≥ ≥ ≥º ≥anta ej≥n≥ t≥w/' bouleuvªsaºs≥q≥a≥i ktl. ed.pr. in
textu, e[plºe≥us≥e≥ ga;r ta≥; ªpºar∆ ejkeivnwn ªajpanthvºsanta vel deivkºn≥ut≥ªaºi≥ ga;r t≥w'≥ªi pºa≥r∆ ejkeivnwn
ªskopw'iº p≥avnta (sed hoc vestigiis non aptum videtur) proposuit ed.pr. in comm. (169, ad l. 31);
16
locºe≥uve≥ªi≥º (e.g.) g≥a;r t≥a;≥ ªpºa≥r∆ ejkeivnwn ªh{kontaº p≥avnta TREU, 22, n. 14; fanºo≥u's≥ªiº ga;r th'≥ªi
pºar∆ ejkeivnwn ªskoph'i ?º p≥avnta LUPPE, 15 vestigiis non congruenter; ajkouvºo≥u≥s≥ªiº g≥a;r t≥a≥; ªpºa≥r∆
ejkeivnwn ªrJhqevntaº p≥avnta BREITENBACH, 123, n. 4 longius spatiis (cf. comm. ad loc.)
≥ª ≥º :≥
≥ ≥ ≥ ≥ ≥ ≥º ≥ ed.pr. longius spatio videtur
spatio videtur
32
≥ ≥ ≥º
º ≥anta"≥ t≥w:/' º ≥anta ej≥n≥ t≥w/' ed.pr. longius
45 Lak≥e≥ªdºa≥i≥m≥ªoºn≥ioª : Lak≥e≥ªdºa≥i≥m≥ªoºn≥ivoªi" ed.pr.
"… gli Spartani, gli replicavano affermando che lui compiva l'azione fra tutte più riprovevole: gli
altri facevano cose segrete nei confronti dei nemici, lui invece non osava dire ai concittadini ciò che
aveva intenzione di dichiarare agli avversari.
Ma lui, riguardo a questo, si fece avanti e disse: «Per la maggior parte, gli oratori si sbagliano su ciò
che è necessario. Infatti, se dipendesse da noi – disse – disporre la pace, non sarebbe affatto
importante che voi ascoltaste a quali condizioni ritengo che per la città sia bene concluderla; ma dal
momento che si trovano ad esserne padroni i nemici, non è sicuro parlarne a caso. Infatti,
evidentemente riterranno di non togliere niente a quanto dato loro da parte nostra, e oltre a questo
cercheranno di ingiungere altro. Dunque, questi offriranno la scelta a loro, mentre io a voi. … infatti...
le proposte da parte loro… al decidere riguardo ad esse».
Supponendo che parlasse bene, il popolo lo inviò come ambasciatore plenipotenziario per trattare la
pace. Teramene, come fu scelto, navigò immediatamente a Samo da Lisandro e cercava di svolgere
con lui le trattative per la pace. Ma dopo che Lisandro gli ebbe ordinato di… gli Spartani..."
Il testo del fr. 2 è basato sull'edizione in LOFTUS 2000, 13.
Fr. 2
siwn eij" to;n
≥ª
Korinqivwn ≥ª
tw'n povlewªn
5
∆Argeivwn kai; tª
wJ" a]n duvo m ≥ª
tw'n trihvrwªn
diap≥e≥m
v ya≥"≥ ª
- - 17
1 º ≥ traccia di tratto diritto, prossima a n
rigo, a una certa distanza dal precedente n
2 º ≥ traccia puntiforme sporgente al di sopra del
5 º ≥ traccia di tratto curvo, aperto in basso e a destra,
nella metà superiore del rigo
"a... dei Corinzi... delle città... degli Argivi e... come due... delle triremi... avendo inviato..."
Il fr. 3 (di dimensioni minime: 0,3 x 0,4 cm), non noto agli editori, è visibile nell'immagine digitale
del papiro (segnalata in bibliografia).
Fr. 3
- - º ≥ ª≥
- - nella metà inferiore del rigo, traccia di tratto circolare aperto a sinistra, compatibile con omicron
o con il secondo tratto ricurvo di omega; traccia puntiforme alla sommità del rigo, addossata alla lettera
precedente
18
COMMENTO
Fr. 1
1 tou;" Lake≥da≥i≥m≥onivªou"
La proposizione che presentava questa menzione degli Spartani, con la
quale il papiro si apre, conteneva presumibilmente il resoconto di un primo tentativo di Teramene
di ottenere il proprio invio a Sparta come ambasciatore plenipotenziario; l'impiego, all'inizio della
proposizione successiva, dell'espressione ajntevlegon aujtw'/ (rr. 1-2) implica infatti un precedente
discorso di Teramene: sia che questo fosse riportato in forma diretta (come il successivo: rr. 1233), sia che fosse riferito indirettamente, come intendono gli editori, che integrano, appunto, e.g.,
oiJ de; peri; tou' crhmativzein aujto;n presbeuth;n aujtokravtora pro;"º tou;" Lake≥da≥i≥m≥onivªou"
(MERKELBACH-YOUTIE, 167); meno probabilmente, SAN CLEMENTE, 211, n. 8 "avendo Teramene
chiesto che lo inviassero pro;" tou;" tou;" Lake≥da≥i≥m≥onivªou", alcuni ajntevlegon aujt≥w'/ ktl.":
poiché nella proposizione aperta dal verbo ajntevlegon il soggetto – costituito dagli oppositori di
Teramene – è lasciato implicito, si deduce che ricorresse identico nella proposizione precedente).
Data l'esiguità del testo, non si può conoscere con certezza il contenuto di questo primo
intervento di Teramene: non sappiamo, cioè, se, come in Senofonte (Hell. II 16), Teramene
promettesse di accertarsi se gli Spartani richiedessero l'abbattimento delle Grandi Mura allo scopo
di invadere la città, oppure soltanto per cautelarsi riguardo al futuro, senza procedere a ulteriori
azioni. È comunque verosimile che Teramene assicurasse, come riferisce Lisia (XII 68-69), di
conoscere un espediente segreto per ottenere la pace senza che Atene subisse alcuna perdita,
poiché nel proseguimento del testo del papiro (rr. 1-10) si menziona l'accusa di segretezza mossa
dagli avversari; inoltre, si nota che la successiva difesa di Teramene (rr. 12-33) consista nel
mostrare la segretezza come necessaria per la salvezza dello Stato, e non nel respingere l'accusa
come falsa, cosicché è verosimile che egli avesse precedentemente dichiarato la sua scelta.
1-10
La notizia, presente in questo passo, dell'esistenza, in assemblea, di un'opposizione all'invio di
Teramene come ambasciatore, trova una corrispondenza con la testimonianza di Lisia
(ajntilegovntwn de; pollw'n Qhramevnei Lys. XII 69), che può dunque risultare confermata.
Gli oppositori di Teramene in assemblea erano numerosi, come Lisia riferisce nel passo ora
citato. Sebbene i loro nomi non siano identificabili con certezza, si può ritenere altamente
probabile che tra loro figurasse Cleofonte, autore di un discorso nella medesima seduta
dell'assemblea, immediatamente prima dell'intervento di Teramene (Lys. XIII 8; cfr. TREU, 19):
19
anche se il contenuto del discorso di Cleofonte, quale è riferito da Lisia, non coincide con l'accusa
riportata nel papiro, è possibile che questa vi ricorresse ugualmente, in quanto Lisia sta ricordando
la vicenda solo per rapidi accenni (cfr. sopra, p. 10). Non sembra invece affatto certo che tra gli
accusatori sia identificabile Cleomene, almeno in questa seduta dell'assemblea (diversamente,
PESELY, 33): il discorso di Cleomene riferito da Plutarco (Vita Lys. 14, 9), nel quale Teramene fu
contrapposto a Temistocle – in quanto distruggeva, in accordo con gli Spartani, quelle stesse mura
che l'altro, invece, aveva fatto erigere opponendosi alla volontà dei nemici – , è riportato come
avvenuto in una seduta successiva, cioè quella che seguì il ritorno di Teramene dalla seconda
ambasceria, e bisognerebbe pertanto presupporre un errore o una modifica dello stesso Plutarco nel
riportare l'episodio. Rispetto al resoconto di Lisia, quello del papiro si distingue per riferire anche
il contenuto dell'accusa rivolta a Teramene; o meglio, le frasi che nel papiro sono attribuite agli
accusatori presenti in assemblea, sono riportate da Lisia come proprie: tau'ta de; eijpei'n me;n
oujdeni; hjqevlhsen ª...º oiJ me;n a[lloi a[nqrwpoi tw'n polemivwn e{neka tajpovrrhta poiou'ntai,
ejkei'no" d∆ ejn toi'" auJtou' polivtai" oujk hjqevlhsen eijpei'n tau'q∆ a{ pro;" tou;" polemivou"
e[mellen ejrei'n (Lys. XII 68-69). La testimonianza del papiro può dunque indicare che le accuse
rivolte da Lisia contro Teramene furono anche pronunciate all'epoca dei fatti, alla presenza di
Teramene stesso, in assemblea (sulla diversa ipotesi, formulata da alcuni studiosi, di una
dipendenza del papiro dall'orazione di Lisia, si veda l'Introduzione, a p. 11).
L'impiego, da parte di Lisia, dell'espressione oujk hjqevlhsen ("non volle dire ciò che stava per
riferire ai nemici") in luogo di mh; tolma'n del papiro (r. 10: "non osava dire", ecc.), può forse
implicare una maggiore ostilità di Lisia, rispetto all'"anonimo" (TREU, 21, n. 10), ma non sembra
comunque sufficiente a individuare nel testo un atteggiamento filoterameniano (cfr., d'altra parte,
TREU, 21, n. 10). Il verbo scelto nel papiro può indicare un diverso giudizio sulla causa
dell'atteggiamento di Teramene, cioè, anziché la volontà di non lasciare spazio a un dibattito
democratico per motivi personalistici (come suggerito dal verbo ejqevlw), il timore di subire una
condanna se avesse dichiarato la sua intenzione di venire a un accordo con gli Spartani (come può
essere espresso dall'impiego di
tolmavw, nel papiro); quest'ultima motivazione trova un
fondamento nei fatti svoltisi immediatamente in precedenza: come riporta Senofonte, la bule aveva
appena approvato un decreto che proibiva anche soltanto di consigliare un accordo con Sparta, e un
cittadino, Archestrato, era stato imprigionato per aver compiuto questo atto (Xen., Hell., II 2, 15;
cfr. MERKELBACH-YOUTIE, 164 e seg., MERKELBACH, 481 e seg.).
L'atteggiamento di reticenza nei confronti della bule, da parte di un cittadino di primo piano,
20
ricorre in altre descrizioni di uomini della politica, soprattutto ateniese, del V secolo: si tratta di
Milziade (Herod. VI 132; cfr. TREU, 22), Temistocle (Thuc. I 91, 3; Diod., XI 42; Plut., Vita Them.
20, 1-2; cfr. SORDI, 94-98; BIANCHETTI, 40-43), Pericle (Plut., Vita Per. 23, 1; Aristoph., Nub. 859)
ed Ermocrate (Thuc. VI 72, 5; cfr. BEARZOT 1994). Come emerge dal contributo della Bearzot
(BEARZOT 2005), in cui sono state raccolte e discusse le testimonianze sopra segnalate, in tutti gli
episodi la richiesta del segreto nei confronti dell'assemblea, che avviene esclusivamente in
circostanze di eccezionale gravità, proviene da un cittadino di primo piano, che fosse, cioè,
consapevole che la sua domanda potesse essere approvata in virtù della sua autorità; pertanto, la
richiesta della segretezza si presenta, talvolta, associata a quella del conferimento di poteri
plenipotenziari, come si verifica, oltre che nella vicenda di Teramene, anche in quella di
Ermocrate; si può aggiungere che, rispetto agli altri casi, nei quali i protagonisti ricoprono una
carica di alto livello (arconte o stratego), Teramene risulta un cittadino di livello politico inferiore,
in quanto non è investito di alcuna magistratura: emerge dunque ancora maggiormente la sua
abilità, sia politica, sia oratoria, nel persuadere l'assemblea. Malgrado il prestigio di cui
dispongono queste autorità, talora si diffonde tra i cittadini il sospetto di personalismo, ciò che
avviene per Teramene e per Temistocle, ma in tutte le circostanze l'assemblea risulta infine
favorevole alla concessione della richiesta.
Tra gli episodi che sono stati individuati, uno risulta particolarmente avvicinabile alla vicenda di
Teramene riportata nel papiro (come è stato sottolineato dalla Sordi e dalla Bianchetti, nella
bibliografia sopra segnalata): si tratta dell'episodio relativo a Temistocle, specificamente nella
versione riportata da Diodoro, in un passo in cui questo storico attinge da Eforo. Sebbene la
modalità con la quale Temistocle riesce a mantenere la segretezza sui propri piani sia diversa da
quella di Teramene – in quanto Temistocle è costretto a riferire all'assemblea, pur ottenendo
comunque di mantenere il segreto nei confronti del popolo – , l'analogia è data dalla particolare
insistenza con cui il motivo della segretezza ricorre e dalla presenza di un'opposizione; la
giustificazione della convenienza per la città stessa, addotta da Temistocle, non è però argomentata
altrettanto specificamente, forse per la maggiore autorevolezza che la sua carica, in sé, già gli
conferiva.
Sono attestati anche episodi di riunioni svolte dalla bule mantenendo il segreto nei confronti del
popolo: cfr. Andoc. I 45, II 19; Ps.Dem. XXV 23; Aeschin. III 125; Diod. XI 39,5, XIII 2,6;
Hell.Oxy. VI 1 (9,1 CHAMBERS), come segnalato in Oratori attici minori, vol. II: Antifonte,
21
Andocide, Dinarco, Demade, a c. di M. Marzi, S. Feraboli, Torino 2000, p. 380, n. 20.
5-6
tajpovrrhta poiei'sqai "facevano cose segrete"
L'espressione è di uso raro: con questo
significato ricorre, oltre che nel papiro, unicamente nel passo di Lys. XII 69, precedentemente
menzionato. Diversamente, in Plat., Leg. 932c e Aristoph., fr. 633 PCG, vol. III 2: Aristophanes,
Testimonia et Fragmenta, ed. R. Kassel, C. Austin, Berlin 1984), l'aggettivo presenta il significato
di "cose vietate"; in Herod. IX 94 è invece impiegato in funzione predicativa.
9
mevllein
Il verbo non necessita di una correzione al modo indicativo (mevlleiønØ, ed.pr.): l'uso
dell'infinito in una proposizione relativa dipendente da un'oggettiva è infatti attestato, e risponde al
fenomeno dell'attrazione del modo del verbo principale (HENRICHS, 106, n. 9, seguito in
CHAMBERS, 56, ad l. 5).
10
;mh; tolma'nV levgein
Le parole inserite nell'interlineo, mh; tolma'n, considerate dagli editori
successive alla parola levgein, cui sono sovrascritte, sono invece riportate in modo da segnalare
che la loro lettura è precedente a tale vocabolo: difatti, la lettera iniziale, my, è collocata
precisamente all'altezza dello spazio compreso tra la fine della parola precedente (polivta") e
l'incipit della successiva (appunto, levgein), come a indicare che le parole aggiunte siano da
leggere come inserite fra le due sottostanti. Questa lettura è comprovata dall'osservazione della
prassi attestata nella documentazione: numerosi casi, nei quali l'ordine delle parole è noto con
certezza (o perché si tratti di un testo letterario noto per tradizione medievale, o perché un
determinato ordine delle parole sia necessariamente richiesto dal senso), testimoniano che le parole
nell'interlineo sono da leggersi prima dell'incipit della parola sottostante. Si vedano, in proposito,
gli esempi raccolti in BASTIANINI, 82-86, con una relativa discussione, in base alla quale si propone
la lettura nel PMich che qui è accolta.
12-33 Come si è detto, la difesa di Teramene, riportata in questo passo, consiste nell'attribuzione di un
giudizio positivo al fatto che, secondo i suoi avversari, costituisce invece un capo d'accusa, cioè il
tentativo di evitare la discussione sulle trattative di pace: Teramene ritiene che, in quella
circostanza, tale mossa rappresenti una necessità per la salvezza dello Stato, poiché si
scongiurerebbe il rischio della conoscenza della reale situazione ateniese da parte degli Spartani.
Più in dettaglio, non è certo quale sia, precisamente, il mezzo con cui gli Spartani potrebbero
entrare in possesso di maggiori informazioni, secondo quanto prospettato da Teramene: forse, una
fuga di notizie che potrebbe avvenire precedentemente alle trattative, ad opera di spie presenti
nell'assemblea (MERKELBACH-YOUTIE, 169, ad l. 31; LUPPE, 15; BEARZOT 1991, 75); tuttavia, la
22
parola "spia", o "spionaggio", integrata nel testo dagli editori e da Luppe, rispettivamente – cioè
skopov" o skophv, r. 32 – cadrebbe interamente in lacuna, e dunque non è sicuramente presente nel
papiro. Sembra allora preferibile intendere, secondo una spiegazione data successivamente dallo
stesso Merkelbach (MERKELBACH, 481), che Teramene percepisse il rischio che, qualora fossero
gli Ateniesi a proporre per primi delle condizioni di pace agli Spartani, questi le ritenessero
facilmente sostenibili, in quanto provenienti dalla parte avversaria, e pertanto cercherebbero di
imporre richieste ancora più pesanti: questo sembra essere il senso della frase tw'ªn diºd≥omev≥nwn
aujt≥o≥i'≥" paªr∆ hJºm≥w'n oujqe;n a≥jx≥iwvsouªsinº ajfairei'n, e{tera d≥e; pro;" ªtouvºt≥oi≥"≥ ejpitavttein
ejpiªceirºh≥vs≥ousin, rr. 23-28. Al contrario, secondo il suggerimento di Teramene, se gli Ateniesi
lasciassero agli Spartani la facoltà di formulare per primi delle richieste, sarebbero maggiormente
liberi di discuterne: così si può intendere il passo th;n ou\n ai{reªsinº ou|toi me;n ejp∆ ejkeivnoi"
ªqhvsºousin, ejgw; d∆ ejf∆ uJmi'n, rr. 28-30. Il discorso di Teramene si configura come una reazione
all'evento, immediatamente precedente, della fallita ambasceria presso il re spartano Agide (Xen.,
Hell. II 2, 11-13; cfr. sopra, p. 10), nella quale la richiesta ateniese di conservare intatti le Mura e il
Pireo era stata rifiutata proprio perché giudicata troppo favorevole agli Ateniesi stessi.
L'argomento presentato da Teramene circa la necessità di garantire la sicurezza per Atene si
presenta convincente (MERKELBACH, 481); tuttavia, è possibile che dietro si celino altre
motivazioni, che Teramene non poteva dichiarare apertamente (si rinvia, in proposito, alla
discussione condotta sopra, a p. 20).
La scelta del discorso diretto può essere dovuta all'esigenza di conferire un maggiore rilievo
all'intervento di Teramene rispetto alle accuse degli avversari (BEARZOT 2001, 21); purtuttavia, ciò
non sembra implicare necessariamente un atteggiamento favorevole a Teramene da parte
dell'"anonimo" (come invece presuppone la studiosa), poiché la soluzione può essere stata dettata
dal motivo oggettivo di far pronunciare la propria difesa a un personaggio di primo piano nella
politica ateniese, che era inoltre reputato uno dei maggiori oratori del suo tempo: Cicerone,
affermando di avere udito di lui ("multa Lysiae scripta sunt, nonnulla Critias, de Theramene
audimus" De or. II 93), lo ritiene infatti degno di essere annoverato fra i principali oratori del V
secolo (cfr. anche Cic., De or. III 59, Brut. 29, come segnalato in HENRICHS, 107).
12
ªto;º plei'ston
Lo spazio in lacuna può contenere sia due lettere, quali ªto;º, secondo
l'integrazione degli editori, sia tre lettere, di cui una di piccolo modulo (cfr. MERKELBACHYOUTHIE, 167, ad l. 12: "in der Lücke nach ei\pen können auch 3 Buchstaben gestanden haben"),
come avviene nella congettura ªo{tiº, formulata da Canfora (CANFORA, 82, n. 18). Se si accoglie
23
ªo{tiº, il discorso di Teramene sarebbe riportato in forma indiretta in questa parte iniziale (rr. 12-14:
plei'ston - ªoiJº rJhvto≥r≥e≥"), mentre il discorso diretto inizierebbe solo successivamente, con le
parole ei\ me;n (r. 14), e sarebbe segnalato mediante l'inciso e[fh (r. 15; cfr. CANFORA, 82); si
nota, tuttavia, che la frase introdotta da ei\pen è di contenuto forte, poiché comprende un giudizio
negativo espresso da Teramene nei confronti dei suoi avversari, lì presenti, che lo hanno appena
accusato ("per la maggior parte, gli oratori si sbagliano su ciò che è necessario"): la frase presenta
perciò un effetto maggiore se considerata come pronunciata dallo stesso Teramene, anziché come
una rielaborazione dell'autore.
12-13 tou' devon≥ ªto" "ciò che è necessario"
Si può intendere tou' devonto" come riferito alla
proposta, avanzata da Teramene, di non discutere in assemblea le condizioni della pace e di
accogliere, invece, le proposte che proverranno dagli Spartani (cfr. BREITENBACH, 123: "das
Nötige"; MERKELBACH-YOUTIE, 167: "das Richtige"); diversamente, in TREU, 18, 21, si intende
"conoscenza della situazione" ("In der Verkennung der Lage begehen den gröβten Fehler").
L'espressione tou' devonto" aJmartavnein è frequentemente attestata: cfr., ad es., Isocr. 8 (De
pace), 28, 6; Plat., Pol. 276e 1; Plut., Mor. 1 (De lib. educ.) 9D, 4-5.
14 oiJº rJhvto≥r≥e≥" "gli oratori"
Con questo vocabolo, Teramene indica verosimilmente i buleuti che
hanno preso la parola precedentemente a lui, e cioè, i suoi accusatori (rr. 2-10; così, in
MERKELBACH-YOUTIE, 167, in cui si traduce, appunto, "die Leute, die eben gesprochen haben").
Diversamente, Treu e Breitenbach (TREU, 18 e seg., 21; BREITENBACH, 125) traducono il vocabolo
rJhvto≥r≥e≥" con "Rhetoren", intendendolo come un sinonimo di dhmagwgoiv: con questo vocabolo,
l'autore alluderebbe ai rappresentanti della corrente democratica radicale, che rifiutava qualsiasi
accordo con gli Spartani; in base a questa ipotesi, Teramene impiegherebbe un tono deprezzativo
nei confronti dei suoi oppositori. Tuttavia, il riferimento a tale corrente politica, benché sia
certamente implicato dal contesto, non è però individuabile nel significato del vocabolo in sé, che
è, appunto, quello di "oratori", con riferimento specifico ai buleuti (in effetti, nei passi addotti dal
Breitenbach, il vocabolo non sembra presentare l'accezione di "demagoghi", presupposta dallo
studioso).
24-25 paªr j hJºm≥w'n
Questa integrazione sembra preferibile a quella, proposta alternativamente dagli
editori, paªr j uJºm≥w'n: in questo contesto, Teramene sta contrapponendo gli Ateniesi agli Spartani,
ed è pertanto plausibile che, nel riferirsi alla propria città, includa se stesso, impiegando, quindi, il
pronome hJmei'"; così avviene anche al r. 14. Il pronome uJmei'" è invece usato da Teramene nei
24
passi ai rr. 16-17, 30, in cui è presente un diverso contesto, in quanto l'oratore sta esprimendo una
contrapposizione fra se stesso e gli altri buleuti.
25 oujqe;n
32
Sull'impiego di questa grafia per oujde;n, si veda l'Introduzione, a p. 8.
º ≥anta"≥ t≥w/'
Dopo la sequenza di lettere sicure anta, si distingue la traccia - che ho
interpretato come sigma in base al contesto - costituita da tratto curvo aperto in alto, situato alla
base del rigo; al di sopra di tale traccia si nota, nella riproduzione pubblicata nell'ed.pr., la traccia
di un tratto orizzontale, collocata anch'essa nella metà inferiore del rigo: la traccia sembra però
troppo in basso per appartenere al tratto mediano di un epsilon o di un theta, e pertanto sembra
appartenente a un frammento mal collocato. Segue, alla base del rigo, una traccia puntiforme
prossima alla precedente, seguita dall'estremità di un tratto orizzontale posto alla sommità del rigo,
che giunge a toccare il successivo omega; in base al contesto, ho interpretato queste due tracce
come appartenenti a un'unica lettera, identificata con tau. L'altra possibile sequenza di lettere, che
darebbe p≥avnta ejgw;, non appare adatta al contesto poiché il pronome di prima persona risulterebbe
distante da un eventuale verbo ad esso unito, che si troverebbe in lacuna. Rispetto alla
ricostruzione proposta nell'ed.pr., si può forse rilevare che lo spazio in lacuna, calcolato dagli
editori come corrispondente a tre lettere, sembra essere di due lettere soltanto, in base alla
descrizione delle tracce proposta; oltretutto, la reale dimensione della lacuna è un po' minore di
quella visibile nei frammenti così collocati: poiché i frammenti in realtà combaciano, anziché
essere leggermente separati (come si desume chiaramente dalla misura eccessiva dello spazio
intercorrente tra i frammenti nei due righi successivi, nei quali la scrittura è ben leggibile: cfr. la
sequenza tw in aujtw'n, al r. 33, e sigma in ojrqw'", al r. 34).
Le integrazioni proposte dagli studiosi presentano alcune difficoltà: la congettura e[plºe≥us≥e≥ ga;r
ta≥; ªpºar∆ ejkeivnwn ªajpanthvºsanta (MERKELBACH-YOUTIE, 169, ad l. 31: "denn die Vorschläge,
welche von ihnen (den anderen Rednern) kommen, werden zu Schiff (dem Gegner) überbracht,
noch während wir darüber beraten"), compatibile con le tracce e con lo spazio in lacuna, contiene
tuttavia un'espressione che non si concilia con il sobrio stile dell'autore, cioè, l'impiego del verbo
plevw in senso figurato, in quanto avente come soggetto "le richieste" dei nemici; inoltre, plevw è
altresì impiegato poco successivamente (r. 40), dove presenta il suo significato proprio, dimodoché
la sua ripetizione in un diverso valore risulterebbe insolita. La congettura proposta in alternativa
dagli stessi editori, deivkºn≥ut≥ªaºi≥ ga;r t≥w'≥ªi pºa≥r∆ ejkeivnwn ªskopw'iº p≥avnta (MERKELBACHYOUTIE, 169, ad l. 31: "der allgemeine Sinn ist aber doch wohl, dass die Spitzel der Spartaner
25
ihnen alles hinterbringen werden, was hier in der Volksversammlung gesagt wird"), presenta, oltre
alle difficoltà stilistiche rilevate in LUPPE, 15, problemi nella compatibilità con le tracce: il tau in
deivkºn≥ut≥ªaºi≥ non si adatta alla forma circolare della traccia nella parte alta del rigo (cfr. LUPPE, 15)
e la lettera identificata con omega in t≥w'≥ªi è piuttosto corrispondente a un alpha, poiché la traccia
puntiforme presente sulla base del rigo è molto ravvicinata a tau, ed è quindi compatibile con
l'occhiello di alpha, il quale è, appunto, sporgente verso sinistra. Anche la congettura di Luppe,
fanºo≥u's≥ªiº ga;r th'≥ªi pºar∆ ejkeivnwn ªskoph'i ?º p≥avnta (LUPPE, 15 e seg.), simile alla precedente
per il senso, sembra presentare una difficoltà con le tracce: quelle identificate con il tratto verticale
sinistro di eta in th'≥ªi non risultano allineate, bensì quella superiore è molto più spostata a destra,
come se si trattasse della sommità del tratto obliquo di un alpha e, in basso, dell'estremità sinistra
del suo occhiello (come già detto). La congettura di Breitenbach (ajkouvºo≥u≥sª≥ iº g≥a;r t≥a;≥ ªpºa≥r∆
ejkeivnwn ªrJhqevntaº p≥avnta "denn sie hören alles, was von jenen gesagt wird, noch während den
Beratungen", in BREITENBACH, 123, n. 4) sembra inconciliabile con lo spazio in lacuna: sia
l'integrazione ajkouvºo≥u≥s≥ªiº, sia quella ªrJhqevntaº p≥avnta richiedono uno spazio maggiore, di circa
una lettera, di quello che si riscontra; l'osservazione dello studioso, per cui lo spazio in lacuna
sarebbe più ampio di quello calcolato dagli editori a causa dell'inclinazione della colonna, non è
corretta, come mostrato dal confronto con lo spazio in lacuna dei righi immediatamente precedenti
e successivi.
Si può assumere, come contesto di questo passo lacunoso, la precedente richiesta di Teramene di
evitare il dibattito assembleare sulle trattative di pace, presentando la sua proposta come
vantaggiosa per la città, e il suo tentativo di ottenere la nomina di ambasciatore plenipotenziario,
del cui conferimento l'autore riferisce immediatamente dopo (rr. 33-38). Il passo in lacuna è
strettamente legato alla proposizione precedente, della quale contiene una spiegazione, come è
indicato dalla presenza di gavr in principio di frase (r. 31); l'impiego di gavr segnala, inoltre, che
l'inizio del passo coincida con l'incipit di una nuova proposizione (così, appunto, intendono gli
editori). Procedendo nel testo, troviamo l'espressione, di sicura lettura, t≥a;≥ ªpºa≥r∆ ejkeivnwn "le
richieste da parte loro" (r. 31); qui, il pronome ejkei'no", inteso dagli editori come riferito agli
oppositori di Teramene nella bule, cosicché l'espressione indicherebbe la loro richiesta di avviare il
dibattito assembleare (MERKELBACH-YOUTIE, 169, ad l. 31; LUPPE, 15 e seg.; BREITENBACH, 123,
n. 4), può essere considerato come riferito, piuttosto, agli Spartani: è infatti maggiormente
probabile che il pronome ejkei'no" (r. 31) abbia mantenuto il medesimo riferimento che presenta
26
nell'occorrenza poco precedente (r. 29); in tale passo, inoltre, gli oppositori di Teramene sono
invece indicati con ou|toi (r. 29); secondo l'ipotesi che qui si propone, l'espressione ta; par∆
ejkeivnwn denota dunque le richieste che gli Spartani avanzeranno nelle trattative di pace.
Il verbo principale, mancante nella parte perspicua del passo, si trova evidentemente in lacuna,
senza che sia possibile dire, più precisamente, se in quella ricorrente all'inizio del passo (r. 31), o in
incipit del r. 32. Dopo la sequenza di lettere sicura (-anta-, r. 32), non sembra probabile la lettura
ejn t≥w/' proposta nell'ed.pr.: mentre le prime due tracce sono compatibili con l'ipotesi di una lettura
en, per la quale la seconda traccia corrisponderebbe al tratto sinistro di un ny, in questa sequenza
non rimarrebbe tuttavia spazio sufficiente per la successiva integrazione di tau. È però possibile
l'identificazione con sigma della prima traccia successiva alla sequenza -anta-, cui può seguire un
tau, cosicché può presentarsi una sequenza -anta" tw'/.
Pur ammettendo di non potere qui proporre alcuna congettura alternativa a quelle avanzate dagli
studiosi, sembra possibile individuare un senso generale del passo diverso da quello che è stato
sinora presupposto. In base agli elementi considerati, si può proporre che il concetto che risulta in
comune fra i termini sicuri del passo sia l’affermazione, da parte di Teramene, che, nonostante
preferisca evitare il dibattito assembleare in quella determinata circostanza, egli intenda comunque
riferire in assemblea, al suo ritorno dall'ambasceria, le proposte che riceverà dagli Spartani (t≥a;≥
ªpºa≥r∆ ejkeivnwn, secondo l’interpretazione che si è sopra riportato); in quel momento, i buleuti
avranno la facoltà di decidere se approvare o meno le richieste spartane (bouleuvªsaºs≥q≥a≥i peri;
aujtw'n). Teramene, dopo avere sostenuto l'inopportunità di un dibattito assembleare che si svolga
prima dell'ambasceria, proseguirebbe ora la sua autodifesa rassicurando i concittadini sul fatto che
la discussione pubblica sulle proposte di pace non sarà eliminata, bensì soltanto rinviata, ed egli
non potrà prendere decisioni definitive sulle trattative senza che l'assemblea abbia concesso la
propria approvazione.
33-38
La notizia, qui riportata, della nomina di Teramene come ambasciatore plenipotenziario è
attestata anche in Lys. XIII 10 e in Xen., Hell. II 17, con alcune divergenze, come segnalato
nell'Introduzione (pp. 9-11). In seguito al conferimento di questa carica, all'assemblea ateniese
rimaneva unicamente la facoltà di ratificare le condizioni della pace che l'ambasciatore
plenipotenziario poteva trattare senza limitazioni (MERKELBACH-YOUTIE, 164).
In Senofonte si aggiunge, rispetto al resoconto del papiro e a quello di Lisia, la notizia che
Teramene abbia svolto la sua ambasceria nell'ambito di una delegazione composta
27
complessivamente da dieci inviati (hj/revqh presbeuth;" eij" Lakedaivmona aujtokravtwr devkato"
aujtov" Xen., Hell. II 2, 17). Questa notizia, considerata autentica dagli studiosi (in proposito, si
può rilevare anche che negli autori di epoca antica l'espressione presbeuth;" aujtokravtwr
ricorra, appunto, esclusivamente al plurale: cfr. Diod. XI 24, 4, 9; Dion. Hal. VI 71, 2, 5; Polib.
XXXVI 3, 7, 3), può essere stata tralasciata da Lisia e dall'"anonimo" perché giudicata irrilevante
rispetto alla centralità assunta dal personaggio di Teramene (si veda la discussione condotta a p.
10).
39-43 In questo passo il papiro contiene una notizia ulteriore rispetto a Senofonte e Lisia, cioè il nome
del luogo in cui avvenne il colloquio con Lisandro, che è, appunto, Samo. L'autenticità della
menzione è confermata implicitamente dalla testimonianza di altre fonti, dalle quali è desumibile
che Lisandro si trovasse a Samo all'epoca dei fatti descritti nel papiro: si vedano i passi, segnalati
in BEARZOT 1991, 72 e seg., n. 32, di Lys. XII 71, Diod. XIV 3, 4 e, più genericamente Plut., Vita
Lys., XIV 2.
La notizia del papiro trova inoltre corrispondenza con il fatto che Samo fosse, all'epoca, l'unica
alleata rimasta fedele ad Atene nel corso della Guerra del Peloponneso (Xen., Hell. II 2, 6), e con
la notizia che la stessa Samo cadrà proprio per mano di Lisandro, breve tempo dopo l'episodio
descritto nel papiro (MERKELBACH-YOUTIE, 169, ad l. 41).
Sull'omissione, da parte di Lisia, della menzione dell'ambasceria presso Lisandro, si rinvia alla
discussione presente nell'Introduzione, a p. 10.
La consuetudine di un incontro preliminare con un'autorità, prima dell'ambasceria ufficiale da
svolgersi nell'assemblea spartana, è attestato in altri due episodi, riportati rispettivamente in Thuc.
VIII 71, 3, e Xen., Hell. II 2, 11-12, nei quali gli Ateniesi, prima di compiere le vere e proprie
trattative di pace nell'assemblea spartana, si rivolsero al re Agide (SEALEY, 284; BEARZOT 1997,
70, n. 24). Alla luce di questi due precedenti – dei quali quello narrato da Senofonte era inoltre
molto recente all'epoca dello svolgimento dei fatti riportati nel papiro, essendo immediatamente
precedente all'ambasceria di Teramene – gli Ateniesi erano consapevoli del fatto che Lisandro, così
come Agide, non disponesse della facoltà di trattare la pace: il colloquio con Lisandro, considerato
dunque di carattere meramente esplorativo (BEARZOT 1997, 70, n. 24; E. MEDDA, Lisia. Orazioni
I-XV, Milano 20089, 368, n. 3), può però anche essere individuato come una precisa scelta degli
ambasciatori, necessaria per avere una legittimazione nelle successive trattative ufficiali: in effetti,
si nota, soprattutto nel passo tucidideo e nel racconto completo dell'ambasceria di Teramene
28
riportato da Senofonte (Hell. II 2, 18), che gli ambasciatori ricevono consigli da Agide e da
Lisandro e, come avviene nel caso di Teramene, vengono segnalati agli efori, ottenendo un
riconoscimento come interlocutori delle trattative di pace.
43-45 Il senso generale di questa frase, il cui proseguimento è in lacuna, doveva essere, sulla base del
resoconto di Senofonte, che Lisandro avesse ordinato a Teramene di recarsi a Sparta per la
conclusione delle trattative di pace: a differenza di lui, gli efori disponevano dei poteri necessari
per concludere l'accordo (Xen., Hell. II 2, 17).
Poiché la continuazione del periodo non è nota, non sembra possibile integrare con certezza la
parola Lak≥e≥ªdºa≥i≥m≥ªoºn≥ioª (r. 45), restituita al dativo nell'ed.pr. (Lak≥e≥ªdºa≥i≥m≥ªoºn≥ivoªi"): anche un
accusativo (Lak≥e≥ªdºa≥i≥m≥ªoºn≥ivoªu") potrebbe essere ugualmente ricorrente.
La scelta, da parte dell'"anonimo", di riportare l'ordine di Lisandro proprio nel momento del suo
svolgimento – laddove, in Senofonte, l'episodio è invece narrato da Teramene al suo ritorno ad
Atene – , può indicare che l'autore ritenesse questo fatto realmente accaduto, mentre Senofonte
intenderebbe il racconto di Teramene come pretestuoso e mirante a ingannare i concittadini (per
questa interpretazione relativa a Senofonte, cfr. BEARZOT 2001, 22); l'ordine in cui il fatto è
riportato non sembra implicare necessariamente una visione dell'autore favorevole a Teramene
(presupposta, invece, dalla studiosa), ma può riflettere la scelta di riprodurre l'ordine dei fatti
considerato reale.
Come è stato notato, rispetto ai resoconti di Senofonte e di Lisia il papiro non menziona il
protrarsi della sosta compiuta da Teramene presso Lisandro (Xen., Hell. II 2, 16, 17; cfr. anche
Lys. XIII 11, in cui, tuttavia, è indicata Sparta come luogo della permanenza di Teramene, anziché
Samo, peraltro senza che si menzioni Lisandro; cfr. HENRICHS, 103, SAN CLEMENTE, 205); tale
prolungamento della lontananza da Atene è attribuita con asprezza, sia da Senofonte, sia da Lisia,
alla volontà di Teramene di accrescere le difficoltà della popolazione, così da indurla ad accettare
qualsiasi accordo con Sparta. Non sembra tuttavia certo che l'assenza, nel papiro, della menzione
di questo fatto, sia indice di un filoteramenismo da parte dell'"anonimo" (BEARZOT 2001, 22):
anche se, sicuramente, risulterebbe inusuale l'omissione di un fatto così rilevante nel resoconto del
papiro, che si presenta complessivamente dettagliato, non sembra da escludere l'eventualità che il
riferimento a tale episodio ricorresse nella parte perduta del testo. Infatti, anche se in Xen., Hell. II
2, 17 la notizia della permanenza da Lisandro è riferita prima della menzione dell'ordine di recarsi
a Sparta, è altresì ipotizzabile che nel papiro la mancata menzione in questo punto della narrazione
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sia indice della conoscenza di una diversa versione dei fatti: i fatti potevano essere riportati in
ordine diverso, e cioè Teramene poteva avere deciso lui stesso di trattenersi a Samo, dopo avere
ricevuto da Lisandro l'indicazione di trattare con gli efori, a Sparta, anziché avere ricevuto tale
ordine dallo stesso Lisandro, come riporta invece Senofonte; anziché a Samo, Teramene poteva
altresì essersi trattenuto a Sparta, come secondo la versione di Lisia.
Fr. 2
Nel fr. 2, l'esiguità del testo non consente un'identificazione sicura del contenuto: poiché le parole
distinguibili con certezza sono costituite dagli aggettivi "corinzi" e "argivi", e dal sostantivo
"trireme", si può ipotizzare che il frammento contenga la descrizione di un'azione militare, nella
quale si menzionino contingenti di quelle città: specificamente, in SEALEY, 287 e seg. (cfr. anche
CHAMBERS, 57, ad ll. 25-27) si propone di individuare l'episodio dell'assedio di Atene guidato da
Pausania (Xen., Hell. II 4, 29), avvenuto nel 403, dunque circa un anno dopo l'episodio, relativo a
Teramene, descritto nel fr. 1; in LOFTUS, 11-13 si ipotizza, invece, l'identificazione con una delle
battaglie navali avvenute nel corso della Guerra corinzia (395-387), cioè un episodio distante circa
un decennio da quello riportato nel fr. 1.
Oltre alle ipotesi formulate da Sealey e dalla Loftus, si può considerare, exempli gratia,
un'ulteriore possibilità di identificazione, inerente un episodio maggiormente vicino nel tempo a
quello del fr. 1. Si tratta dell'evento, precedente di pochi mesi l'assemblea ateniese, della raccolta
dei contingenti alleati da parte degli Spartani, in vista dell'assedio di Atene (Xen., Hell. II 2, 7):
come nel fr. 2 del PMich, vi ricorre la menzione di una flotta (specificamente, di quella spartana,
nel passo senofonteo) e degli Argivi, dei quali Senofonte riporta la defezione. Nell'eventualità di
questa identificazione, il frammento andrebbe collocato prima del fr. 1, escludendo la colonna
immediatamente precedente, poiché fra i due episodi doveva intercorrere uno spazio ampio, come
si desume dalla narrazione di Senofonte, che presenta un intervallo pari a otto paragrafi.
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