lezione3

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lezione3
Verso il 1300 la prosperità che aveva
reso possibile le grandi costruzioni di
Micene e Tirinto cominciò a declinare
per ragioni non del tutto chiare. Alcuni
suppongono l’invasione dei Dori abbia
determinata la disgregazione della
cultura micenea. Intorno al 1100 la
cultura dell’età del bronzo era in rovina
i suoi tesori dispersi i suoi palazzi
saccheggiati. I quattro secoli successivi
furono un oscuro periodo di barbarie, di
povertà, di ignoranza.
Nel IX secolo ebbe largo impiego il ferro
la cui tecnologia era già nota dall’XI: più
duro del bronzo il ferro si prestava ad
un genere di vita fondato sulla spada e
sull’aratro. Fu probabilmente nell’VIII
secolo che Omero rimpiangeva la perduta
civiltà del bronzo: l’inizio della cultura
ellenica è databile all’800 a.C. quando la
scrittura greca assorbendo alcune
lettere dell’alfabeto fenicio il lineareB
che nulla deve alla scrittura minoica nota
come linea A, usata per le transazioni
commerciali.
La cultura greca non ebbe confini ben
definiti, era diffusa dalla Grecia alle
isole dell’Egeo, alle coste della Turchia e
del Mar Nero, all’Italia Meridionale, alle
coste mediterranee della Spagna.
Il
mondo
cantato
da
Omero
era
caratterizzato da cittadelle dominate dal
palazzo del signore, quello ellenico successivo
all’800 aveva città con templi che accoglievano
le statue degli dei.
L’acropoli di Atene con i
suoi edifici il Partenone
l’Eretteo, i Propilei viene
considerato l’acme della
cultura greca. Ovviamente
lungi
dalla
cultura
contemporanea l’adesione
ad una interpretazione dei
fatti storici in termini di
sviluppo biologico dando
per scontato un periodo di
ascesa, maturità e declino.
Negli anni di Pericle 450429
a.C.
verifichiamo
tuttavia la nascita della
prima cultura umanistica in
quell’architettura che Zevi
definisce a scala umana. Gli
anni di Pericle sono quelli
di una grande crescita
economica dopo le guerre
persiane:Ictino, Callicrate,
Mnesicle e Fidia danno il
loro
contributo
alla
realizzazione di un’opera
che doveva essere il
manifesto della rinascita
politica. La costruzione del
Partenone rientra in un
vasto programma politico.
L’acropoli di Atene con i suoi edifici il Partenone
l’Eretteo , i Propilei viene considerato l’acme della
cultura greca. Ovviamente lungi dalla cultura
contemporanea l’adesione ad una interpretazione dei
fatti storici in termini di sviluppo biologico dando per
scontato un periodo di ascesa, maturità e declino.
Negli anni di Pericle 450-429 a.C. verifichiamo tuttavia
la nascita della prima cultura umanistica in
quell’architettura che Zevi definisce a scala umana. Gli
anni di Pericle sono quelli di una grande crescita
economica dopo le guerre persiane: Ictino, Callicrate,
Mnesicle e Fidia danno il loro contributo alla
realizzazione di un’opera che doveva essere il
manifesto della rinascita politica. La costruzione del
Partenone rientra in un programma politico
Il tempio di Era è il più antico ha
un numero inconsueto di
colonne
L’acropoli di Agrigento
Il tempio è un edificio profondamente autonomo, autarchico,
autosufficiente. Esso si erge in un luogo consacrato al dio, i
suoi gradini lo estraniano dal suolo, la fitta serie di colonne
determina un netto confine tra il suo corpo e quanto lo
circonda. Come oggetto che porta in sé la perfezione esso
rimane identico in qualsiasi luogo venga costruito: sui pendii
montuosi, negli affossamenti paludosi, nelle strette contrade
delle città, sulle rive del mare. Forse è un altro elemento che lo
lega al paesaggio, quello mitico. Il tempio è autarchico anche
perché non ha alcun rispetto degli edifici vicini, non si cura di
chi lo osserva. La cella non è più grande di quanto fosse
strettamente necessario a contenere l’immagine del culto ed
era accessibile solo a pochi addetti al culto stesso. Riunioni,
sacrifici
e preghiere, tutto quanto prevedeva la
partecipazione della comunità si svolgeva all’esterno, aveva
luogo intono all’altare allestito a cielo aperto
Se si rifiuta al tempio quello che per noi rappresenta il concetto di architettura, cosa rimane? Come nell’uomo la misura
delle cui membra è condizionata da regole interne, così le membrature del tempio crescono gradatamente secondo
proporzioni determinate. E se nei piccoli edifici dei primi templi i gradini e le porte erano condizionati dal passo e dalla
statura dell’uomo, nei monumentali templi del VI secolo i gradini non sono più agevolmente praticabili, le porte immense
non sono più commisurate alla statura umana. Ciò rivela l’autonomia, l’autarchia di questa architettura le cui misure non
dipendono dalla figura umana perché la sua struttura è condizionata da leggi immanenti e perciò più legata all’uomo.
Quando nel 447 a.C. i cantieri del Partenone entrano in una fase di grande attività, il terreno è ben lungi dall’essere
sgombro, numerose sono le costruzioni preesistenti. Dopo l’occupazione della roccia da parte dei Persiani l’immagine
della desolazione configurata da Tucidide è eloquente “Delle mura ben poco restava e le case per la maggior parte
erano state abbattute. Gli ateniesi fortificarono la città in breve tempo: e anche adesso è evidente che la
ricostruzione delle mura avvenne in tutta fretta..“ Gli ateniesi si occuparono di far ricostruire la cerchia di mura e far
installare il Pireo e il suo porto, indispensabili a riprendere i commerci e alla politica ateniese.
La ricostruzione del Partenone iniziò in un
cantiere aperto nel quale Ictino e
Callicrate dovevano tener conto di quanto
era già stato realizzato in quello che viene
indicato come il Prepartenone. Il tempio
corrispondeva alle strutture tradizionali
con 6x16 colonne, cella a due camere e
opistodomo con quattro colonne.
Le esigenze di Fidia e della sua statua
crisolelefantina sconvolsero i precedenti
programmi affinchè si fosse realizzato una
sala idonea ad ospitare la statua. Bisogna
tener conto che l’architetto doveva
utilizzare le colonne in parte già realizzate
del vecchio Partenone perché solo un
volume esterno più imponente avrebbe
consentito uno spazio interno adeguato alla
dimensione della statua
Esisteva un tempio esasitlo 6x16. Il nuovo Partenone si realizzò interamente in marmo pentelico. Il prepartenone aveva
quattro colonne davanti alla cella invece delle consuete tra i muri della cella. Vano ovest e vestiboli prostili
costituiscono la vera novità planimetrica del prepartenone. Ma perché allora costruirne uno nuovo? Ictino doveva
adoperare i rocchi delle colonne esistenti del diametro di soli 1,90 mt.
Guardando il tempio colpisce la fitta trama corposa del colonnato, che non ha
l’eguale in nessun altro tempio dorico. Tale impressione è controbilanciata dalla
snellezza svettante delle colonne che non ha l’uguale in nessun altro tempio
dorico. Benché la linea evolutiva tendesse a diradare i colonnati, qui si ha il caso
inverso di colonne eccezionalmente ravvicinate. La particolare strettezza dei
deambulatori esterni accentua la compattezza della trama. Il rapporto tra
diametro delle colonne e intercolunnio è di 1:2,25. Anche il deambulatorio
frontale resta al di sotto della consueta profondità di un interasse e mezzo
Conflitto angolare. Un triglifo angolare,
sviluppato sia nel lato frontale che nel lato
longitudinale, occupa l’angolo del fregio. Se
trigli e architrave fossero della stessa
larghezza il triglifo cadrebbe esattamente
sopra l’asse centrale della colonna
angolare. Questo accdeva nei templi lignei.
Quando i triglifi divennero più stretti
dell’architrave, dovendo necessariamente il
triglifo rimanere sull’angolo dell’architrave,
esso dovette essere spostato dall’asse
della
colonna
verso
l’angolo
–
e
precisamente di metà della differenza tra
l’ampiezza
del
triglifo
e
quella
dell’architrave – perché l’architrave doveva
inevitabilmente per ragioni statiche
poggiare sull’asse della colonna.
Se si voleva lasciare gli altri triglifi al loro
posto la metopa vicina doveva risultare più
ampia. Una irregolarità così evidente fu
sentita come elemento di disturbo, perciò
in Grecia si preferì di regola contrarre
l’interasse angolare per eliminare questa
discrepanza del fregio in modo da poter
condurre regolarmente tutti i triglifi.
Nelle colonie occidentali gli architetti si
dedicarono a questo problema con
singolare ansia sperimentativa. Vengono
messe alla prova tutte le possibili soluzioni,
allargamento
dei
triglifi
angolari,
ampliamento
delle
metope
angolari
(Paestum), contrazione dell’interasse
Il Partenone
Nel Partenone la particolare strettezza
dei deambulatori esterni accentua la
compattezza della trama; la contrazione
d’angolo teoricamente necessaria doveva
essere di 30 cm, verifichiamo una
contrazione doppia degli intercolunni (cm.
61,5).
Il
portico
si
assottiglia
enormemente e il tempio nel suo complesso
si infittisce e solidifica, dall’altro agli
angoli critici della peristasi, proprio dove
viene a mancare lo sfondo della cella le
forze portanti si infittiscono e si
solidificano.
Ad
accentuare
tale
impressione , si aggiunge un ispessimento
notevole delle colonne d’angolo. La
differenza è di cm. 4,3 che annulla
praticamente la contrazione d’angolo.
Sicchè
fu
necessario
restringere
progressivamente le metope.
Se si entra nella cella ci si trova
immediatamente in presenza di movimenti
contrapposti.: contro la corposa densità
dell’esterno,
l’ampiezza
spaziale
dell’interno ottenuta con l’allargamento
della cella fino a cinque settimi la
larghezza dell’intero tempio, ma anche con
una
distribuzione
straordinariamente
semplice e geniale delle colonne interne,
poste su due piani. Queste non corrono
semplicemente da una parete all’altra
perché una terza fila collega le due file
longitudinali sulla parete di fondo. Lo
spazio acquista così una nuova dimensione.
E’ evidente da queste immagini che sono
associati due effetti: ampliamento e
concentrazione dello spazio, il cui cuore
continua ad essere il simulacro della
divinità e non l’uomo.
La cella ha sicuramente le sue origini in quella del
Partenone col suo doppio colonnato che continua anche
lungo la parete di fondo; ma qui la tradizione è violata
con libertà e ardimento maggiori in quanto il doppio
ordine dorico con il suo architrave interposto che
spezza l’unità dello spazio è sostituito dallo slancio
ininterrotto delle colonne ioniche che, per dare più
ampiezza alla piccola cella , sono accostate da ambo i lati
alle pareti: Ictino dovette inventare un capitello ionico su
tre lati. Rivoluzionaria per quei tempi l’idea di adottare
per la colonna isolata sul fondo (e forse per le due vicine)
un capitello nuovo, il corinzio che inizia la sua ‘marcia
trionfale’ e in breve metterà in ombra sia il dorico che il
corinzio. La maniera di Ictino di coniugare tradizione e
innovazione lo ha fatto da alcuni archeologi accostare a
Michelangelo.
Apollo a Basse
L'intrusione dello stile ionico crea un netto contrasto fra i
colonnati dorici esterni e gli ordinamenti interni, che diventano
completamente autonomi e indipendenti. Il tempio di Apollo a
Basse illustra questa nuova concezione. Secondo Pausania, essa
va attribuito a Ictino. E, in effetti, l'idea nuova potrebbe
essere stata dell'architetto ateniese, ma l'esecuzione fu
lasciata a équipes locali, la cui tecnica rimane tradizionale e
ancora incerta.
La pianta porta i segni di un certo arcaismo per le sue
proporzioni allungate (metri 14,48 per 38,24 e 6 colonne per
15 invece che delle canoniche 6x13), per la profondità del
pronao, e per lo stile un po' scarno dell'ordine esterno. Ma
l'interno è improntato a una concezione completamente nuova;
una disposizione di colonne ioniche e corinzie, che sostengono
una trabeazione con fregio di marmo scolpito e cornice di
calcare, non ha nessun rapporto architettonico con le
strutture esterne, poiché il soffitto a doppio spiovente e
l'ossatura non prendono appoggio che sui muri della cella; il
sistema ionico è incastonato come un ornamento indipendente.
Una prima sala viene così a essere delimitata sui lati da due
semicolonne appoggiate alle estremità di muretti trasversali, e
in fondo da due semicolonne e da una colonna intera di stile
corinzio, il primo esempio che l'architettura greca presenta di
quest'ordine. I capitelli ionici, dalle volute sviluppate con
ampiezza, sono stati adattati alla loro funzione e alla loro
posizione; il canale che collega le volute segue un'incurvatura
abbastanza pronunciata, che accentua la funzione di supporto.
L'architrave di calcare è adornata di modanature lisce (gola
rovescia e guscio) e coronata da un fregio marmoreo scolpito,
e quindi da una cornice di calcare. Di là dalle colonne corinzie si
stende una seconda sala, più piccola, la cui funzione rimane
incerta. I.a sua indipendenza è accentuata dall'inconsueta
presenza di una porta aperta a nord; è forse la sopravvivenza
dell'adyton primitivo o il segno di una cella trasformata nel
corso della costruzione?
Il tempio di Apollo a Basse
W. Tatarkiewicz, Storia dell’estetica. L’estetica antica, 1979
1. Le idee degli artisti sull'arte. Noi conosciamo l'architettura greca del V e del IV secolo soprattutto dalle rovine, la scultura classica dalle
copie e la pittura soltanto dalle descrizioni; ma queste rovine, queste copie e queste descrizioni sono sufficienti a convincerci che l'arte
classica greca fu una grande arte. Età posteriori produssero un'arte diversa, ma è opinione generale, formatasi attraverso i secoli, che tale
arte è rimasta insuperata.
Parallelamente a questa grande arte si sviluppò, in stretta connessione, la teoria. Artista e teorico si identificavano persino nella stessa
persona: infatti molti tra gli artisti di quel tempo, non soltanto costruivano, scolpivano e dipingevano, ma scrivevano anche sull'arte. I loro
trattati non consistevano soltanto in informazioni tecniche e in principi fondati sull'esperienza pratica, ma anche in discussioni generali
intorno «alle leggi e alla simmetria» e ai «canoni dell'arte » e contenevano principi estetici che servivano da guida agli artisti
contemporanei.
Tra gli architetti che scrissero intorno alla loro arte troviamo Sileno, autore di un libro dal titolo Sulla simmetria dorica , Ictino, l'artefice
del Partenone, e molti altri. Il grande Policleto scrisse sulla scultura, al pari di Eufranore. Il celebre pittore Parrasio lasciò un trattato
Sulla pittura e cosí pure il pittore Nicia. Il pittore Agatarco scrisse intorno alla pittura per le scene e sollevò al suo tempo grandi
discussioni circa l'effetto scenico del trompe d’oeil. Come dice Filostrato, «i saggi dei tempi antichi scrissero intorno alla simmetria nella
pittura», e per «saggi» egli intendeva gli artisti.
Tutti questi scritti teorici sono andati perduti; alcune opere d'arte classiche sono però sopravvissute e permettono allo storico di scoprire
le idee estetiche di quel periodo. Egli noterà che a) in linea di principio tali opere si conformano a canoni, b) in certi casi si allontanano
consapevolmente da essi, e c) che abbandonano i modelli tradizionali piuttosto schematici, in favore di forme organiche. Dobbiamo ora
analizzare separatamente ognuna di queste tre caratteristiche dell'arte classica, giacché esse hanno un significato estetico generale.
Figg.
1.2.
I
disegni
mostrano le proporzioni
costanti
degli
antichi
templi.Secondo
Vitruvio
erano determinate in modo
che l’ampiezza del portico
a 4 o a 6 colonne misurasse
27 moduli (il modulo era
pari al raggio di base della
colonna
2. Il canone. L'arte classica dei Greci presumeva che in ogni opera
esistesse un canone (kànon), cioè una forma a cui l'artista è vincolato. Il
termine kànon è l'equivalente, nelle arti plastiche, del termine nómos nella
musica; fondamentalmente entrambi i termini hanno lo stesso significato.
Come i musicisti greci avevano fissato il loro nómos o legge, cosí gli artisti
dediti alle arti plastiche fissarono il loro kanon o misura; lo cercarono, si
convinsero di averlo trovato e lo applicarono alle loro opere.
La storia dell'arte distingue tra periodi «canonici» e «non canonici», Ciò
significa che in alcuni periodi gli artisti cercano e rispettano un canone,
quale garanzia di perfezione, mentre in altri lo evitano, considerandolo un
pericolo per l'arte, una limitazione della propria libertà. L'arte greca del
periodo classico fu «canonica».
3. Il canone nell'architettura. Tra gli artisti greci, gli architetti furono i
primi a fissare delle forme canoniche. Nel v secolo le applicarono ai templi
e le enunciarono in trattati; í frammenti che risalgono a questo periodo
dimostrano come il canone fosse già allora comunemente applicato, sia agli
edifici nel loro complesso, sia alle loro parti, quali colonne, capitelli,
cornicioni, fregi e timpani. Le forme canoniche fisse conferirono
all'architettura greca un aspetto oggettivo, impersonale e necessario. Le
fonti di rado ci forniscono i nomi degli artisti, quasi essi fossero degli
esecutori piuttosto che dei creatori, e le opere architettoniche seguissero
leggi eterne indipendenti dall'individuo e dal tempo.
Il canone dell'architettura greca classica aveva un carattere matematico.
Il romano Vitruvio, che seguiva la tradizione degli architetti greci del
periodo classico, scrive: «La composizione dipende dalla simmetria, le cui
leggi gli architetti dovrebbero rigidamente osservare. La simmetria è
creata dalle proporzioni... noi definiamo le proporzioni di un edificio per
mezzo di calcoli relativi sia alle sue parti sia al tutto, conformemente a un
modulo stabilito». (Gli archeologi non sono concordi sul fatto che il modulo
del tempio dorico fosse il triglifo oppure il raggio di base di una colonna,
ma entrambe le ipotesi rendono possibile la ricostruzione dell'intero
edificio).
Nel tempio greco ogni particolare si attiene a proporzioni stabilite. Se
prendiamo come modulo il raggio di una colonna, il tempio di Teseo ad
Atene ha una facciata a sei colonne di 27 moduli: le sei colonne misurano
12 moduli, le tre navate centrali comprendono 3,2 moduli, le due navate
laterali 2,7 ognuna e 27 in tutto. Il rapporto tra una colonna e la navata
centrale è di 2: 3,2 oppure di 5: 8. Il triglifo ha la larghezza di un modulo e
la metopa è 1,6, di modo che il loro rapporto è di nuovo di 5: 8. Gli stessi
numeri si possono ritrovare in molti templi dorici (figg. 1 e 2).
Fig. 3. L’architettura greca era regolata da un canone
generale che definiva le proporzioni dei suoi vari elementi, ma
entro la struttura di questo canone vi erano almeno tre ordini:
il dorico, lo ionico e il corinzio. Queste proporzioni potevano
risultare più pesanti o più leggere , producendo un effetto di
maggiore rigidità o di maggiore scioltezza.
Vitruvio scrive: «Il modulo è la base di ogni calcolo.
Il diametro di una colonna deve corrispondere a 2
moduli, l'altezza della colonna, incluso il capitello, a
14 moduli. L'altezza del capitello deve essere di 1
modulo, la larghezza di 2 moduli e 1/6...
L'architrave insieme al fregio e alle gocce deve
avere l'altezza di 1 modulo... Sopra all'architrave
devono essere posti i triglifi e le metope; i triglifi
devono avere un'altezza di mezzo modulo e una
larghezza di 1 modulo». Egli descrive in modo
analogo altri elementi dell'ordine. I dati spiccioli
presentano scarso interesse per lo storico
dell'estetica, paragonati al fatto estremamente
importante che tutti gli elementi erano
determinati numericamente (fig. 3).
Nell'antichità il canone era soprattutto applicato
ai templi, ma da esso dipendeva anche la
costruzione dei teatri (fig. 4).
Il canone architettonico regolava anche dettagli
quali le colonne (fig. 5), la trabeazione e persino le
volute dei capitelli e le scanalature delle colonne.
Col sussidio dei metodi matematici gli architetti
applicavano il canone con accuratezza e
meticolosità a tutti questi dettagli. Il canone
prescriveva le volute nei capitelli ionici e gli
architetti tracciavano geometricamente la curva di
questa voluta (fig. 6). Il canone decretava non
soltanto quale dovesse essere il numero delle
scanalature della colonna (20 nelle doriche, 24
nelle ioniche) ma anche la loro profondità.
Fig. 4. Un teatro romano costruito su principi
geometrici. Il teatro greco è simile anche se si
basa su quadrati invece che su triangoli
Fig.5. L’altezza e la disposizione delle colonne
nei templi greci era generalmente in accordo
con i cosiddetti triangoli pitagorici, i cui lati
erano nella proporzione 3:4:5.
Fig.6. L’altezza e la disposizione delle colonne
nei templi greci era generalmente in accordo
con i cosiddetti triangoli pitagorici, i cui lati
erano nella proporzione 3:4:5.
4. Il canone nella scultura. Gli scultori greci tentarono di definire un canone anche per la loro arte. E’noto
che Policleto ottenne i risultati più soddisfacenti in questo tentativo. Anche il canone della scultura era
numerico e dipendeva da una proporzione fissa. Come attesta Galeno, la bellezza nasce «dall'esatta
proporzione non degli elementi ma delle parti, di un dito rispetto a un altro dito, di tutte le dita rispetto
al carpo e al metacarpo, di questi rispetto all'avambraccio, e insomma di tutte le parti tra di loro, com'è
scritto nel Canone di Policleto». Vitruvio insiste nello stesso senso: «La natura ha disposto il cor-po
umano cosí che il capo, dal mento alla parte superiore della fronte e alla radice dei capelli, corrisponde a
un decimo dell'altezza del corpo» e prosegue definendo numericamente le proporzioni delle varie parti
del corpo . Questo canone veniva strettamente rispettato dagli scultori classici.
L'unico frammento rimasto del trattato di Policleto afferma che in un'opera d'arte «la perfezione [tó
éu] dipende da vari rapporti numerici, e anche le piccole varianti sono decisive».
Il canone degli scultori di fatto non riguardava l'arte ma la natura; misurava le proporzioni quali
apparivano in natura, in particolare in un uomo ben fatto, piuttosto che quelle che avrebbero dovuto
figurare in una statua. Era quindi, come lo definisce Panofsky un canone «antropometrico».
Vitruvio continua: «Pittori e scultori celebri si valsero della loro conoscenza di queste proporzioni (che
sono in realtà le proporzioni di un uomo ben fatto) ed acquistarono fama perenne». (I Greci davano per
scontato che la natura, e in particolare il corpo umano, contenesse proporzioni matematicamente
definite, e ne deducevano che la rappresentazione della natura nell'arte doveva conservare le stesse
proporzioni).
Durante il periodo greco classico si afferma anche l’idea secondo cui il corpo umano idealmente costruito
può essere compreso entro semplici figure geometriche del cerchio o del quadrato. «Se distendiamo un
uomo sul dorso con braccia e gambe allargate e disegniamo un cerchio avente per centro l’ombelico, la
circonferenza del cerchio toccherà le punta delle dita delle mani e dei piedi».
I Greci pensavano che il corpo umano potesse analogamente essere inscritto entro un quadrato e ciò
diede origine all’idea dell’uomo quadrato, idea sopravvissuta nell’anatomia artistica sino ai tempi moderni.
Gli artisti greci erano convinti di applicare e di rivelare nelle loro opere le leggi che governano la natura,
di rappresentare non soltanto l'apparenza delle cose, ma anche la loro struttura eterna. Il concetto per
loro fondamentale di simmetria designare proporzioni che non sono inventate dagli artisti ma sono una
proprietà della natura stessa. Vista sotto questo aspetto, l'arte era una forma di scienza. Soprattutto la
scuola di scultura di Sicione considerava la propria arte come scienza. Questa concezione era simile a
quella assai diffusa in Grecia per cui i poeti, e Omero in particolare, erano «maestri di saggezza». Plinio
ci racconta che il pittore Panfilo, maestro del grande Apelle e insigne matematico, asseriva che nessuno
poteva essere un buon artista senza conoscere l'aritmetica e la geometria. Molti artisti greci, non
soltanto scolpirono e dipinsero ma studiarono anche la teoria della loro arte. Il canone nell'arte era
considerato una scoperta e non una invenzione, una verità obiettiva piuttosto che un espediente umano.
7. Il triplice fondamento dei canoni. Nel fissare i loro canoni i Greci tennero conto di parecchi principi:
a) Anzitutto esisteva un fondamento filosofico generale. I Greci erano convinti che le proporzioni del cosmo fossero perfette, per cui le opere
umane dovevano conformarsi a esse. Vitruvio scrive: «Poiché la Natura creò il corpo in modo che le sue membra fossero proporzionate al
complesso della corporatura, gli antichi si attennero al principio per cui anche nelle costruzioni il rapporto tra le parti doveva
corrispondere al tutto».
Un altro fondamento dei canoni risiedeva nell'osservazione dei corpi organici, la quale aveva una funzione decisiva per la scultura e per il suo
canone antropometrico.
Un terzo fondamento, significativo nell'architettura, era rappresentato dalla conoscenza delle leggi della statica. Più alte erano le colonne, più
pesante doveva essere la trabeazione, e maggiore il sostegno necessario: di conseguenza le colonne greche erano distanziate in modo
diverso, a seconda dell'altezza (fig. I2). La struttura del tempio greco era il frutto dell'esperienza tecnica e della conoscenza delle
proprietà dei materiali usati. Questi fattori erano in larga misura responsabili di quelle forme e proporzioni che i Greci e noi stessi
sentiamo perfette.
8. Arte ed esigenze visive. Sebbene i Greci eseguissero le loro opere in conformità alle proporzioni matematiche e alle forme geometriche, in
certi casi se ne scostarono. Queste deviazioni sono troppo coerenti per non essere consapevoli, deliberate, ed effettuate con una chiara
intenzione estetica. Alcune di queste irregolarità avevano lo scopo di adattare le forme alle esigenze della vista umana. Diodoro Siculo
scrive che sotto questo aspetto l'arte greca differiva da quella degli Egizi, che calcolavano le proporzioni senza tener conto delle
esigenze della vista. I Greci invece ne tenevano conto, cercando di compensare le deformazioni ottiche; essi davano alle figure dipinte o
scolpite forme irregolari, consapevoli che proprio per mezzo di questo procedimento, esse sarebbero apparse regolari.
Metodi simili erano usati nella pittura, in particolare nella pittura teatrale. Poiché questi dipinti dovevano essere visti da una certa distanza, si
dovette adottare una tecnica specifica che tenesse conto della prospettiva.
Gli architetti lavoravano con lo stesso sistema, e nel loro caso queste modificazioni assumevano un'importanza speciale. I templi dorici costruiti
a partire dalla metà del v secolo in avanti, presentano un ampliamento delle parti centrali. Nei porticati le colonne laterali sono piú
distanziate e leggermente inclinate verso l'interno, poiché con questo accorgimento sarebbero sembrate diritte. Giacché le colonne
colpite dalla luce sembrano piú sottili di quelle in ombra, si correggeva questa illusione ottica con opportune rettifiche allo spessore delle
colonne in questione (figg. 14-16). Gli architetti ricorsero a questi metodi perché, come Vitruvio avrebbe osservato piú tardi, «l'illusione
ottica deve essere corretta per mezzo di calcoli».
Fig. 12. Il disegno mostra come erano distanziate le colonne: più alte erano, più piccolo era lo spazio che le
separava. Il disegno a mostra nel primo caso le colonne di altezza 10 moduli e l’intercolunnio di un modulo e mezzo;
il disegno b l’altezza di 9 moduli e ½ e l’intercolunnio di 2 moduli; il disegno c l’altezza di 8 moduli e ½ e
l’intercolunnio di 3 moduli; il disegno d l’altezza di 8 moduli e l’intercolunnio di 4 moduli
9. Le deviazioni. Gli architetti greci andarono anche oltre nello scostarsi dalle linee rette, e curvarono quelle linee che si
presumerebbero rette. Nell'architettura classica i contorni di piedistalli, cornici e colonne, così come le linee verticali e
orizzontali, sono lievemente incurvati. Lo si osserva nelle più belle costruzioni classiche quali il Partenone e i templi di
Paestum. Queste deviazioni dalla linea retta sono lievi e sono state scoperte soltanto di recente. La scoperta risale al
1837 ma non venne resa nota che nel 1851. Dapprima accolta con incredulità, è ora considerata un fatto indiscutibile,
anche se ne rimane dubbia la spiegazione.
Queste deviazioni possono essere interpretate come tentativi di correggere le deformazioni ottiche? La figura 18
attesta questa possibilità. Era questo il caso di quegli edifici, la cui ubicazione determinava il punto da cui avrebbero
dovuto essere guardati, in particolare quando — come per il Partenone — questo punto era a un livello diverso da quello
dell'edificio stesso. Le deviazioni dalle linee e dagli angoli retti nelle costruzioni greche avevano senza dubbio un duplice
scopo: evitare sia la deformazione ottica sia la rigidezza. Questo duplice scopo era particolarmente evidente nel caso
delle linee verticali: gli architetti antichi davano alle colonne esterne una inclinazione verso il centro, per evitare che
l'illusione ottica le facesse apparire divergenti dal centro. Tuttavia questo espediente aveva probabilmente anche lo
scopo di rafforzare l'impressione di solidità e di stabilità dell'edificio. Tutto sommato, a questi architetti riusciva piú
facile costruire piuttosto che spiegare perché le loro costruzioni erano perfette. Essi avevano sviluppato nella pratica la
loro abilità, in modo empirico e intuitivo, piuttosto che sulla base di premesse scientifiche, e tuttavia formularono una
teoria per fondare la loro prassi: questo era il modo di procedere tipico dei Greci.
a. Mostra l’aspetto che un tempio deve avere: deve dare l’impressione di un
rettangolo. Gli architetti greci osservarono però che se l’avessero costruito
come un rettangolo dato il nostro tipo di percezione , le linee verticali
sarebbero apparse divergenti, come mostra il disegno b, mentre le linee
orizzontali si sarebbero incurvate come mostra il disegno c. Così per
neutralizzare le deformazioni di b e di c e per raggiungere l’effetto a gli
architetti dell’antichità costruivano
nel modo illustrato dal disegno d.
Modificavano le forme in modo che dessero l’impressione di non essere
deformate.
10. L'elasticità dei canoni. Se è certo che gli architetti greci possedevano un canone e si conformavano a proporzioni semplici, è
anche vero che non esistono due templi greci che siano uguali. Se il canone fosse stato applicato rigidamente, ce ne sarebbero. La
varietà si spiega col fatto che gli architetti si permettevano una certa libertà nell'applicazione dei canoni e delle proporzioni; non li
seguivano ciecamente, li consideravano piuttosto come indicazioni che come precetti. Il canone aveva un valore generale, e le
deviazioni non erano soltanto permesse ma largamente praticate. Queste deviazioni dalla linea retta e dalla verticale, le curvature e
le inclinazioni, diedero origine a delle varianti che, anche se lievissime, erano nondimeno sufficienti a dare libertà e individualità agli
edifici, e a rendere perciò più libera la severa arte greca.
L'arte classica ci dimostra che i suoi creatori erano consapevoli dell'importanza estetica sia della regolarità, sia della libertà e
dell'individualità.
L'arte greca approfondì la conoscenza delle forme organiche con incredibile rapidità. Il processo ha inizio nel v secolo a. C. e si
completa verso la metà del secolo stesso. Mirone, il primo grande scultore del secolo, riesce a liberare la scultura dallo schema
arcaico ed a portarla più vicina alla natura, mentre Policleto, che viene dopo di lui, ne stabilisce il canone, che già si fondava
sull'osservazione della natura organica. Ben presto Fidia, un altro scultore del v secolo, avrebbe raggiunto il vertice della perfezione,
secondo il consenso unanime dei Greci.
Fig. 14. Il disegno a mostra come una colonna che si elevi in piena luce appaia più
sottile di un’altra in ombra. Poiché si volle che tutte le colonne apparissero
identiche, quelle esterne in piena luce erano più massicce, quelle interne in ombra
più sottili.
Questo era uno dei tanti accorgimenti impiegati dagli architetti antichi per
neutralizzare le deformazioni ottiche. Un procedimento analogo è illustrato nel
disegno b: le colonne esterne sono inclinate verso il centro perché appaiano dritte,
altrimenti avrebbero dato l’impressione di divergere dal centro
Fig. 15 Il principio di
inclinare le colonne
esterne per
neutralizzare le
deformazioni ottiche
I templi dorici del VI-V sec. a.C. nell'equilibrio proporzionale delle forme, nella
semplificata chiarezza e severità dell'insieme, rappresentano l'espressione più
felice dell'evoluzione dell'arte greca dall'arcaico al classico. Colonne, gradini e
trabeazione costituiscono gli elementi fondamentali della perfetta unità della
struttura del tempio ed avvolgono in un sottile gioco di pieni e di vuoti il nucleo
centrale della cella. I fusti scanalati e rastremati delle colonne, gli echini rigonfie
arrotondati dei capitelli sviluppano una tensione longitudinale, arrestata soltanto
dal piano orizzontale della gradinata e della trabeazione col suo geison (insieme di
architrave, fregio e cornicione). "E solo col tetto però che viene ristabilito il giusto
equilibrio tra le varie parti del sistema `trilitico', unendo l'architettura
all'immagine vivente della casa-tempio" (F. Krauss). La perfetta compiutezza e
l'esemplare concretezza dell'edificio trovano infine la loro unitaria conclusione nel
rivestimento policromo, che sottolinea e valorizza la già ricca articolazione degli
elementi architettonici, rendendoli indipendenti dall'incidenza della luce naturale.
In base a tali considerazioni è facilmente desumibile l'appartenenza
all'architettura dorica classica del tempio periptero, detto di Poseidone, a
Paestum. Sorto intorno al 450 a.C. nell'area in cui nella metà del V sec. a.C. venne
edificata la basilica, presenta ancora leggeri arcaismi, riscontrabili nel numero delle
colonne sui lati lunghi, 14 invece delle consuete 13 o12, e nelle scanalature, 24
invece delle canoniche 20,1e quali, pur alleggerendo la struttura possente e un po'
tozza delle colonne, determinano sempre un'articolazione plastica e mai grafica
della superficie del fusto. Il tempio si innalza su un basamento di tre gradini: i
greci, per sollevarlo rispetto alla zona circostante, avevano creato una collina
artificiale che, essendo col tempo franata, aveva lasciato allo scoperto le
fondamenta rendendo necessaria l'aggiunta, in epoca romana, di una scalinata.
leggermente curva, di ingresso all'edificio. Il tempio di Poseidone rappresenta uno
dei casi più rari di adozione in Occidente della "curvatura delle orizzontali", in base
alla quale tutte le linee, invece di essere parallele al piano presentano una leggera
convessità, onde correggere le deformazioni prospettiche. Per raggiungere lo
stesso risultato, nei templi greci le colonne angolari sono inclinate verso l'interno; a
Paestum l'inclinazione si realizza non nelle colonne, perfettamente verticali, ma
nelle soluzioni angolari rappresentate dalle colonne "ellittiche" finora inusate. A
differenza dei templi dorici greci, quello di Poseidone non ha decorazione plastica
sul frontone e rilievi nelle metope. All'interno, preceduta da un vestibolo, si innalza
la cella, posta ad un livello più elevato, con doppio ordine di colonne a sostegno della
travatura del tetto. Si ricorse a tale sistema in quanto le proporzioni delle colonne
doriche potevano variare soltanto entro certi limiti ed era quindi difficile per
ragioni di spazio renderle di eguale altezza di quelle esterne. Alla riduzione delle
misure corrisponde un notevole ingrandimento dei capitelli. I fusti delle colonne
interpretano liberamente i moduli proporzionali di quelli esterni: le scanalature non
sono più 24, ma 20 nell'ordine inferiore e 16 in quello superiore. Davanti al
frontone orientale del tempio sorge l'altare, ricostruito di minori dimensioni in
epoca romana, allorché si ridusse l'area sacra per costruirvi strade di accesso al
Foro.
A Paestum quando si decise di costruire il nuovo tempio lo si fece lasciando in situ il vecchio
tempio di Era. La città, nonostante la grande distanza aveva preso parte ai giochi olimpici. Il suo
artefice aveva avuto con ogni probabilità l’occasione di studiare il tempio Zeus di Olimpia e a far
proprio quanto aveva visto.
Il tempio è pervenuto a noi pressocché intatto con le sue 9x18 colonne
Un famoso gruppo di templi dorici
sopravvive a sud di Napoli in quella che
era una colonia greca divenuta poi
romana Poseidonia, la romana Paestum.
Il più antico dei tre templi, quello di Hera
chiamato anche la basilica, della metà del
secolo VI. Accanto ad esso quello di
Poseidone costruito un secolo più tardi
con l’imponente interno a due piani è il
meglio conservato. Su un rilievo poco
più a nord il tempio di Atena.
I profili incurvati delle colonne del primo
tempio Hera e del tempio di Atena, che
conferiscono al loro fusto l’effetto di un
rigonfiamento, propriamente detto entasi,
sono i più vistosi di tutti i templi antichi.
A Paestum i profili sono ripresi nelle
sagome dilatate dei tozzi capitelli che le
sorreggono. Questa pesantezza radicata
alla terra, questo senso di vicinanza alla
natura sono involontariamente
sottolineati dalle grezze superfici porose
del calcare locale.
Tempio di Poseidone
6x14 colonne
I templi dorici del VI-V sec. a.C. nell'equilibrio proporzionale delle forme, nella semplificata chiarezza e severità dell'insieme, rappresentano l'espressione più felice
dell'evoluzione dell'arte greca dall'arcaico al classico. Colonne, gradini e trabeazione costituiscono gli elementi fondamentali della perfetta unità della struttura del
tempio ed avvolgono in un sottile gioco di pieni e di vuoti il nucleo centrale della cella. I fusti scanalati e rastremati delle colonne, gli echini rigonfi e arrotondati dei
capitelli sviluppano una tensione longitudinale, arrestata soltanto dal piano orizzontale della gradinata e della trabeazione col suo geison (insieme di architrave, fregio e
cornicione). "E solo col tetto però che viene ristabilito il giusto equilibrio tra le varie parti del sistema `trilitico', unendo l'architettura all'immagine vivente della casatempio" (F. Krauss). La perfetta compiutezza e l'esemplare concretezza dell'edificio trovano infine la loro unitaria conclusione nel rivestimento policromo, che
sottolinea e valorizza la già ricca articolazione degli elementi architettonici, rendendoli indipendenti dall'incidenza della luce naturale. In base a tali considerazioni è
facilmente desumibile l'appartenenza all'architettura dorica classica del tempio periptero, detto di Poseidone, a Paestum. Sorto intorno al 450 a.C. nell'area in cui nella
metà del V sec. a.C. venne edificata la Basilica, presenta ancora leggeri arcaismi, riscontrabili nel numero delle colonne sui lati lunghi, 14 invece delle consuete 13 o12, e
nelle scanalature, 24 invece delle canoniche 20, le quali, pur alleggerendo la struttura possente e un po' tozza delle colonne, determinano sempre un'articolazione
plastica e mai grafica della superficie del fusto. Il tempio si innalza su un basamento di tre gradini: i greci, per sollevarlo rispetto alla zona circostante, avevano creato
una collina artificiale che, essendo col tempo franata, aveva lasciato allo scoperto le fondamenta rendendo necessaria l'aggiunta, in epoca romana, di una scalinata.
leggermente curva, di ingresso all'edificio. Il tempio di Poseidone rappresenta uno dei casi più rari di adozione in Occidente della "curvatura delle orizzontali", in base
alla quale tutte le linee, invece di essere parallele al piano presentano una leggera convessità, onde correggere le deformazioni prospettiche. Per raggiungere lo stesso
risultato, nei templi greci le colonne angolari sono inclinate verso l'interno; a Paestum l'inclinazione si realizza non nelle colonne, perfettamente verticali, ma nelle
soluzioni angolari rappresentate dalle colonne "ellittiche" finora inusate. A differenza dei templi dorici greci, quello di Poseidone non ha decorazione plastica sul
frontone e rilievi nelle metope. All'interno, preceduta da un vestibolo, si innalza la cella, posta ad un livello più elevato, con doppio ordine di colonne a sostegno della
travatura del tetto. Si ricorse a tale sistema in quanto le proporzioni delle colonne doriche potevano variare soltanto entro certi limiti ed era quindi difficile per ragioni
di spazio renderle di eguale altezza di quelle esterne. Alla riduzione delle misure corrisponde un notevole ingrandimento dei capitelli. I fusti delle colonne interpretano
liberamente i moduli proporzionali di quelli esterni: le scanalature non sono più 24, ma 20 nell'ordine inferiore e 16 in quello superiore. Davanti al frontone orientale del
tempio sorge l'altare, ricostruito di minori dimensioni in epoca romana, allorché si ridusse l'area sacra per costruirvi strade di accesso al Foro.
Soltanto due facciate sensibilmente diverse l'una dall'altra e due
contrastanti linee diagonali, potevano togliere la preminenza a
quel proporzionato equilibrio di verticali ed orizzontali che,
attraverso l'ininterrotto colonnato e la trabeazione continua,
cingono il volume del tempio, conferendo così alla struttura un
senso di maggiore compattezza. Alla base, tre gradini, privi di
ombra e modellati in relazione alla loro collocazione ambientale
e visiva, distaccano ed innalzano l'intera facciata dal terreno,
esaltandone l'aggettante frontone. Mentre a scendere con lo
sguardo dalla punta estrema del timpano, i gradini appaiono
ricollegare complessivamente l'edificio al territorio. Come in
tutta la costruzione ogni elemento diventa più ricco e raffinato
verso l'alto, così anche la colorazione, che una volta rivestiva il
tempio, cresceva d'intensità man mano che si raggiungeva
l'estremità superiore dell'organismo architettonico, quasi ad
esaltare e valorizzare cromaticamente le forme plastiche, su
cui, tra l'altro, l'incidenza della luce creava già vibranti effetti
Il tempio di Era è il più antico ha
chiaroscurali. Bianchi erano quindi le colonne, l'architrave, le
un numero inconsueto di
metope, le parti della cella; rossi gli elementi divisori; neri i
colonne
triglifi, gli anelli sopra le colonne, i capitelli, il tenia e il fondo
della parte sottostante del geison. Il tutto infine inglobava la
complessa e ricca decorazione pittorica del frontone. Quasi a
sottolineare che l'immutabilità dell'edificio è pura apparenza e
che esso è, invece, una struttura animata, le facciate dopo un
attento esame, ci appaiono diverse, e giustamente, perché
differente è l'approccio al sito, differenti le funzioni da svolgervi.
Ad est, dove si apre l'unico ingresso al naos, all'inclinazione
apparente delle colonne d'angolo, corrisponde infatti una
leggera curvatura verso l'alto degli elementi orizzontali del
timpano, che in tal modo acquista un senso di allargamento in
avanti e di ampliamento verso i lati. Tali correzioni, sebbene
impercettibili (2 cm) in una lunghezza dell'architrave di 23,55 m,
sono tuttavia chiaramente individuabili allorché ci si pone
frontalmente al tempio. E mentre le colonne, tutte eguali della
facciata orientale vengono ingrandite esclusivamente nel
mezzo, in corrispondenza del diametro maggiore, in quella
occidentale "i capitelli sono allargati gradualmente e si pensa
con intenzione, poiché le misure crescono simmetricamente
dall'angolo al centro" (Krauss). Ad ovest quindi prevalgono
invece le linee orizzontali, che conferiscono all'architrave e alla
fascia inferiore del geison, qui non incurvata, una maggiore
compattezza di insieme.
Molteplici furono gli accorgimenti cui ricorse l’architettura greca per correggere le deformazioni prospettiche . Al leggero
andamento convesso degli elementi orizzontali quali stilobati, architravi e cornici … corrispondeva per analoghe esigenze
ottiche una inclinazione verso l’interno e verso l’alto degli elementi verticali. Le colonne angolari inoltre , non solo
risultavano più vicine a quelle adiacenti ma avevano anche dimensioni maggiori, in modo che il loro diametro venisse a
coincidere, rispetto al punto di vista dell’osservatore , con quello delle colonne che avevano come fondale il muro della cella.
Nel caso del tempio di Poseidone il conflitto angolare è risolto magistralmente , sebbene si apportino sensibili
trasformazioni alle pur sofisticate soluzioni adottate in Grecia. Le colonne d’angolo sono infatti disposte secondo una
perfetta verticale e solo le scanalature vengono fatte convergere leggermente verso l’interno, a partire dalla base: questa
di conseguenza non risulta più in pianta perfettamente rotonda, ma di forma elissoidale, ricavata dall’accrescimento di uno
dei due diametri. Viste frontalmente tali colonne appaiono identiche a quelle laterali con il diametro normmale, viste dal lato
sembrano invece colonne della facciata. Si realizza così un equilibrio proporzionale che conferisce all’edificio un senso di
unità sintattica sinora mai raggiunta. La soluzione del conflitto angolare implica, comunque, necessariamente il
coinvolgimento della zona alta della struttura. Nel Partenone per ampliare l’effetto prospettico prodotto dalla diminuzione
dell’intervallo tra le colonne angolari e quelle adiacenti, si avvicinarono i triglifi, l’un l’altro dal centro verso l’esterno, sui due
lati brevi, in modo tale da non porli esattamente in asse sopra la colonna. A Paestum invece essi cadono esattamente al
centro dell’intercolunnio, sebbene all’estremità bisognasse spostarli fuori , a causa dell’allungamento dell’architrave. A tal
fine si sono allargate le due metope estreme e si è ridotto lo spazio dell’ultimo intercolunnio. Questa discordanza è
avvertita per chi osserva il monumento da vicino, mentre sfugge a chi lo osserva nel suo insieme.
Il teatro di Segesta
Il teatro di Epidauro