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Il Malpensante.com
Kongo Sauvage
16/08/2016
Qualche giorno fa, come è mia abitudine, gironzolavo per il web alla ricerca di qualche notizia
curiosa o semplicemente per informarmi su quello che accade nel mondo e mi imbatto in questo
articolo, la testata è l’Huffington Post, un quotidiano web che frequento per la presenza di
blogger interessanti e tutto sommato perché poco incline a perseguire l’inflazionata
abitudine giornalistica italica che è perennemente alla disperata ricerca della notizia
(anche inventata, non importa) che possa scatenare la morbosa curiosità del popolo abituato a
intavolare discussioni che nemmeno al Bar Sport avrebbero cittadinanza.
È per questo forse che mi sono stupito e non poco della tesi portata avanti dall’autore: in un
periodo di terrorismo sarebbe stato meglio sospendere le gare olimpiche di tiro con armi
da fuoco. Come principale ragione viene riportato quel “rumore” così tanto simile agli spari del
Bataclan o di altri drammatici eventi.
Premessa numero 1: si può stare a discutere sull’opportunità di considerare sport olimpico il
tiro a piattello o magari semplicemente di considerarlo uno sport, ma partendo dalla
considerazione che alle Olimpiadi queste specialità sono ammesse e che gli atleti non sono né
membri di truppe d’assalto e nemmeno dei cecchini che abitualmente sparano sulla folla inerme, ma
sono uomini e donne che si applicano con dedizione e sacrificio a questa attività sportiva, credo che
si debba comunque avere un po’ di rispetto nei loro riguardi e non schernirli con frasi del tipo “tutti
sparatori indefessi e maniacali, tutti pistola, sacrifici e famiglia”.
Premessa numero 2: non amo le armi. Anzi, le detesto e mi fanno paura, ma come anche
nell’articolo si ricorda, alle Olimpiadi e nello sport in generale, viene riprodotta la simulazione della
guerra, per decidere chi è più forte senza provocare morti, sofferenze e dolori infiniti. Dati i tempi
potrà essere considerato ipocrita, ma è comunque così e mi sembra decisamente meglio che sia così.
D’altra parte dai tempi antichi si fanno queste cose anche per dirimere questioni
internazionali. Gli stessi romani, maestri di pragmatismo dell’antichità, optarono per far scontrare
due drappelli, gli Orazi ed i Curiazi, di tre uomini ciascuno per evitare la guerra e risolvere una
questione politica. Insomma, l’aggressività fa parte del lato animale sempre vivo nel genere
umano, ma lo sport sembra essere il vaccino in grado di alleviare questo bisogno degli
uomini di uccidersi a vicenda. Anche se poi negli stadi del calcio si vedono cose che nemmeno nei
combattimenti tra gladiatori. Ma qui rischiamo di scivolare in altri discorsi.
Premessa numero 3 (ed ultima): nel guardare i volti di due signore dai visi paciosi, non mi è venuto
in mente nemmeno per un momento che quello che stavano facendo era comunque un atto
violento. Potevano usare al posto di una carabina (che al confronto di un AK47 è una spada di latta,
non dimentichiamolo) un sasso, ma la cosa stupefacente è stata l’incredibile capacità di
concentrazione nell’esecuzione dell’esercizio. Ho trovato la cosa particolarmente bella come
particolarmente bello mi è sembrato il dopo gara con il pianto di prammatica e l’abbraccio tra le due
signore italiane, così diverse da quelle atlete dai fisici “spartani” e costellate di tattoo spesso di
cattivo gusto e dal simbolismo violentissimo (teschi, spade, aquile); tutti simboli riconducibili a
culture di destra molto violente e per niente disposte alla “sportività”.
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Fatte queste premesse mi domando: perché tirare fuori in un contesto come quello olimpico,
così lontano dalla violenza proprio per la natura stessa dell’evento, una questione così
insulsa? Non ne capisco proprio il nesso e non riesco a seguirne nemmeno l’utilità del mettere in
luce un eventuale “allarme” che sinceramente faccio fatica a riscontrare.
L’unica risposta che mi viene in mente non è lusinghiera per il giornalismo nostrano che, per
vocazione o anche soltanto saltuariamente, si occupa di sport: tiriamo fuori qualcosa che faccia
scatenare il web (si, proprio il web, ritenuto ormai l’unico vero palcoscenico su cui confrontarsi)
perché si parli di noi. Non importa il senso di quello che si dice, tanto nella modalità “Bar
on” dell’utente medio dei social, l’importante è scrivere un titolo su cui far partire
un’epidemia di fesserie. E a ben vedere ne ho lette di meravigliose, pur andando contro una legge
della mia religione che mi vieta di leggere i commenti agli articoli, per ovviare ad una probabile
infezione da stupidità acuta.
Poi, riflettendo ancora un po’, mi sono reso conto che questo è proprio il modo in cui testate
giornalistiche di ogni tipo parlano abitualmente di calcio. La ricetta è facile: l’atleta ha a
disposizione alcune possibilità di peccato:
1. Ha incontrato un/a uomo/donna segreto/a prima dell’impegno sportivo quando avrebbe dovuto
soffrire da solo in camera sua spaccandosi il fegato per la tensione dell’evento. Non è
importante il fatto che poi magari abbia vinto.
2. Nel suo passato ha vestito un abito femminile/maschile durante un carnevale e quindi ci sono
sospetti che sia gay
3. Ha da poco iniziato una relazione con un/a uomo/donna famoso/a e quindi non è più
concentrato per poter vincere, salvo poi essere stato rigenerato da questa nuova relazione se è
stata conseguita una vittoria. (L’ultimo caso eclatante è la vittoria di Iannone in MotoGP
accreditata di fatto alla sua presunta relazione con Belen; ok non è calcio, ma potrebbe
benissimo esserlo).
4. Nel passato dell’atleta ci sono punti “oscuri” (di vario genere) che minano il significato di una
vittoria.
5. Varie ed eventuali dettate dalla fantasia dello scrittore.
In sintesi: la trasformazione dello sport in un rotocalco di gossip, perché questo vuole il
popolo e questo gli si dà. Passati i tempi in cui per leggere e capire un articolo di Gianni Brera
bisognava aver fatto almeno il liceo.
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Se leggete l’articolo del Huffington Post non troverete altro, come giustificazione del fatto che non si
sarebbe dovuto “sparate” alle Olimpiadi, solo ed esclusivamente il fatto che gli spari “ricordano
quelli del Bataclan”. Come dire che siccome ascolto Richard Clayderman allora sono un
amante della musica classica.
Per estremo rispetto per i morti che gli atti di terrorismo causano ed hanno causato, non mi sarei
mai permesso di associare le due cose. Ma il bisogno di avere “clic”, “mi piace” o altri generi di
commenti, e quindi scalare la classifica Google di chi occupa le prime posizioni nelle ricerche, fa fare
anche queste cose. Magari un po’ meno di cinismo avrebbe acceso delle luci, seppur flebili, nelle
menti di chi scrive e di chi avidamente legge questa nuova forma di “pornografia” ed il
riconoscimento dell’impegno, anche di coloro che solo apparentemente non fanno uno sport atletico,
avrebbe fornito un miglior servizio informativo di quanto si possa leggere in questi giorni in quello
ed in tanti altri articoli.
Se penso che mi trovo a difendere lo sport del “tiro”, mi viene da sorridere. Io che per non voler
prendere in mano un arma decisi a vent’anni di fare 17 mesi di servizio civile.
A me di tutta questa storia resteranno impresse la faccia da massaia emiliana sorridente e
soddisfatta delle due strepitose tiratrici italiane e di tante e tanti loro colleghi con la faccia più
buona dell’orso Yoghi.
Amen
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