Scarica il volantino di “Pig invasion”

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Scarica il volantino di “Pig invasion”
Pig Invasion
I maialini di Florencia Martinez hanno invaso la galleria degli
EMMECI
EMMECI
MM Loreto, MILANO
cell. 331 8773108
www.tubegallery.it
BRENNA
w w w. a r s p r i m a . i t
BUSNELLI
VALTORTA
GALBIATI
vetrina TUBE GALLERY
VILLA
bureau ATM
L’INVASIONE DEGLI ULTRAPORCI
di Ivan Quaroni
Vive il maiale e muor nella sporcizia, ma
nelle mense nostre è gran delizia
(Proverbio Italiano)
Il Sus scrofa o Sus domestico, volgarmente conosciuto come “maiale”
compare in numerose mitologie come simbolo ambivalente di fertilità
e ricchezza oppure di voracità, ingordigia e lussuria. La sua importanza simbolica è pari alla sua
rilevanza nutrizionale. Questo suide addomesticato della specie dei Mammiferi Artiodattili Suiformi
costituisce, infatti, uno dei principali alimenti della dieta occidentale. Tuttavia, proprio la sua
proverbiale ricchezza di grassi è all’origine di alcuni precetti religiosi che ne vietano il consumo,
soprattutto nelle aree calde del pianeta. Non è un caso che due delle tre grandi religioni
monoteistiche, quella ebraica e quella islamica, considerino il maiale una bestia immonda. Nel
Levitico (11, 7-8) è scritto: “il porco, perché ha l’unghia bipartita da una fessura, ma non rumina, lo
considererete immondo […] Non mangerete la loro carne e non toccherete il loro cadaveri”. Nel
Corano (II, 173) si legge: “In verità vi sono state vietate le bestie morte, il sangue e la carne di porco
e quello su cui sia stato invocato altro nome che quello di Allah”. Anche nel Cristianesimo il maiale
assume una valenza negativa, comparendo spesso sotto forma di allegria della lussuria e della
sensualità e, in generale, della natura ferina degli uomini. Nel famoso “Discorso della montagna”,
Gesù ammonisce: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci,
perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi”. Il Vangelo secondo
Matteo racconta, nella parabola “Gli indemoniati di Gadara”, l’incontro tra Gesù e due
indemoniati che lo implorano di liberarli e di scacciarli, mandandoli in una mandria di porci che
pascola lì accanto: “ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci…”.
L’episodio evangelico ha qualche vaga affinità con quello omerico della maga Circe, che
trasforma i compagni di Ulisse in porci. Proprio qui, nella suggestione classico-cristiana di una
allegorica identità tra l’uomo e il suino, ha origine la riflessione di Florencia Martinez, artista da
qualche tempo impegnata in una disanima critica dei rapporti tra uomini e donne. Le ultime
due mostre personali dell’artista argentina, intitolate Il pasto nudo e L’amore mio buonissimo,
hanno infatti indagato rispettivamente il dramma della deperibilità e consunzione della bellezza
femminile e le idiosincrasie e nevrosi degli uomini. Nella visione post-femminista dell’artista, il
maiale diventa il simbolo di una tipologia specifica di uomini, quelli appunto in cui la natura ferina
prevale su quella razionale, spesso a spese delle donne. Conferma questa interpretazione anche
la considerazione della natura ambigua del maiale nella cultura cinese, per la quale questo
animale rappresenta la natura selvatica, che una volta addomesticata si rivela utile. Quindi, se
il maiale buono è solo quello domestico, in qualche modo “civilizzato”, per equivalenza anche
l’uomo buono è quello che, attraverso l’educazione, ha saputo dominare l’istintiva brutalità.
I coloratissimi maialini di Florencia Martinez potrebbero, dunque, raffigurare l’uomo colto nello
stato iniziale di una trasformazione alchemica che, solo al termine, gli garantirà lo statuto di
umanità. Prima del cambiamento culturale e spirituale, c’è quindi la bestia bruta, che grufola
e razzola e calpesta perle. Perle che nessuna donna avrebbe dovuto incautamente gettare,
prima che il processo fosse compiuto. Sono maialini simpatici, che ispirano tenerezza, come
qualsiasi cucciolo danimale, ma sono sempre, in fondo, esseri bruti, non senzienti. Proprio come
certi uomini, educati alla violenza e al sopruso.
Con questa sorta di invasione gioiosa, che è insieme un nascondino e una caccia al tesoro, l’artista
occupa gli spazi “underground” degli Arredatori Milanesi, là dove è ubicata la Tube Gallery. Il
suo è un gioco che, lo abbiamo capito, ammanta significati scomodi e tematiche urticanti. Un
gioco amaro, con le sembianze di una festa pop e l’allegria di una fiera agricola di paese. Quel
tipo di allegria che lascia sempre uno retrogusto malinconico. Ecco, con le sue sculture di resina,
Florencia Martinez ha trovato il modo di filtrare il suo pensiero, di passarlo al setaccio dell’ironia,
diluendo gli effetti dell’impatto iniziale, senza indebolire la forza del messaggio.