RIMARIO DEI CANTI DI GIACOMO LEOPARDI

Transcript

RIMARIO DEI CANTI DI GIACOMO LEOPARDI
1
RIMARIO DEI “CANTI” DI G. LEOPARDI
Opera di
Franco Scalenghe
Redatta nel mese di Maggio dell’anno 2002
1 – All’Italia
2 – Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze
3 – Ad Angelo Mai quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica
4 – Nelle nozze della sorella Paolina
5 – A un vincitore nel pallone
6 – Bruto Minore
7 – Alla primavera o delle favole antiche
8 – Inno ai Patriarchi o de’ principii del genere umano
9 – Ultimo canto di Saffo
10 – Il primo amore
11 – Il passero solitario
12 – L’infinito
13 – La sera del dì di festa
14 – Alla Luna
15 – Il sogno
16 – La vita solitaria
17 – Consalvo
18 – Alla sua donna
19 – Al conte Carlo Pepoli
20 – Il risorgimento
21 – A Silvia
22 – Le ricordanze
23 – Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
24 – La quiete dopo la tempesta
25 – Il sabato del villaggio
27 – Il pensiero dominante
28 – Amore e Morte
29 – Aspasia
30 – Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di
partire, accomiatandosi dai suoi
31 – Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima
32 – Palinodia al marchese Gino Capponi
33 – Il tramonto della luna
34 – La ginestra o il fiore del deserto
35 – Imitazione
36 – Scherzo
FRAMMENTI
37 – Odi, Melisso
38 – Io qui vagando
39 – Spento il diurno raggio
2
40 – Ogni mondano evento
41 – Umana cosa
A
Della mia prima età:
Grato il sentir ci fa.
Nella novella età?
Tutto un piacer mi dà.
L’infausta verità.
Che miserar non sa.
Il mondo e la beltà.
Che lo spirar mi dà.
20/4
20/8
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20/116
20/120
20/156
20/160
ABBRA
D’alta pietà, su le convulse labbra
In su la terra ancor; ben quelle labbra
Baci scoccavi nelle curve labbra
17/73
17/82
29/22
ABBRI
Lasciando a prova agricoltori e fabbri,
32/112
ABBRO
Tengon la notte e il giorno; a lui dal labbro
Dolce parola di rosato labbro,
Felicità principio, ostenta il labbro
19/68
19/74
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ABILI
Così quegl’ineffabili
20/77
ACCI
A chi giovi l’ardore, e che procacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
23/75
23/76
ACCIA
Nascondendo la faccia
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
La gallinella, ed al balcon s’affaccia
E col funereo ceffo il core agghiaccia
Di strappar dalle braccia
Universal, che terra e cielo abbraccia,
Gli uomini, e tutti abbraccia
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
Che alla sparsa ruina ancor minaccia.
1/16
1/13
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16/3
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ACCIO
Che non vedesti in braccio
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
2/105
13/12
3
Un lungo vaneggiar, contento abbraccio
29/105
ACE
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l’altro tace,
Ha per natura; e por quegli odii in pace
Essa indefatigata; insin ch’ei giace
Come sinistra face
22/124
25/31
25/32
32/102
32/180
34/284
ACI
Tu primo il giorno, e le purpuree faci
Lati cercando, mille inefficaci
Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci
8/22
19/60
32/89
ACIO
Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio
17/50
ACITA
Deserto il dì; la tacita
20/21
ACQUA
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Del domestico pozzo ode mai l’acqua
24/14
34/259
ACQUE
Già sempre infin dal dì che il mondo nacque
Pensoso di cessar dentro quell’acque
Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque
Degli uomini giammai, dal dì che nacque
Sovra campagne inargentate ed acque,
19/28
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29/80
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ACRIME
Quante querele e lacrime
20/9
ACRO
E di dolor custode, il simulacro
31/6
ADE
In estranie contrade
E fumo e polve, e luccicar di spade
S’ai patrii esempi della prisca etade
Oggi vedove son le tue contrade,
I monumenti vostri; e di viltade
Siam fatti esempio alla futura etade.
Ma libera ne’ boschi e pura etade
Che nella ferma e nella stanca etade,
Angelica beltade!
Appar felice, invade
De’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
Che cingon la cittade
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4
ADI
Così, dell’uomo ignara e dell’etadi
34/289
ADRE
Per la patria correan le genti a squadre;
Ad onorar nostra dolente madre
O dell’etrusco metro inclito padre,
Cadeano a squadre a squadre
Membrando questa desiata madre,
Prole de’ campi, o duce antico e padre
De’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre,
1/63
2/70
2/74
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2/147
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9/50
ADRI
Voi dell’umana prole incliti padri,
Io gli studi leggiadri
Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri
8/2
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32/115
AGA
Ch’oggi non fa, pur consolata e paga
L’alma terra nativa. Ecco alla vaga
Ancor non sei tu paga
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
4/93
4/95
23/5
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AGE
Che nell’altra è la strage,
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AGGE
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l’odorate spiagge.
Di primavera, né per colli e piagge
Voi, collinette e piagge,
Che il deserto consola. A queste piagge
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AGGI
De’ colorati augelli, e non de’ faggi
9/30
AGGIA
Mover profumo di fiorita piaggia,
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AGGIO
Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio;
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Ignota immensa terra al tuo viaggio
Dell’umana progenie al dolce raggio
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E tu su l’alpe l’immutato raggio
Non te, dell’atra morte ultimo raggio,
Solo e muto ascendea l’aprico raggio
Placida notte, e verecondo raggio
Pur mi restava, e nell’incerto raggio
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3/81
3/85
4/33
4/35
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6/109
8/33
9/1
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5
O cara luna, al cui tranquillo raggio
Mesto riluce delle stelle il raggio,
Né cor fu mai più saggio
Amor, nasce il coraggio
Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio
Torna al celeste raggio,
Dove vai tu? Dal faggio
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27/17
27/23
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AGHE
A poco a poco vinti dalle piaghe,
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AGI
Fur giardini e palagi,
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AGINI
Chiedea l’usate immagini
Moti soavi, immagini,
Dalle mie vaghe immagini
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20/85
20/117
AGLIA
Tornami a mente il dì che la battaglia
Oimè, se quest’è amor, com’ei travaglia!
Posan l’erbe e le frondi, e m’abbarbaglia
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AGNA
Di voi già non si lagna
Sì ch’ella sempre amaramente piagna
Passero solitario, alla campagna
Della rana rimota alla campagna!
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
La donzelletta vien dalla campagna,
E d’afflitte fortune ognor compagna.
Dal bosco alla campagna,
Dalla valle mi porta alla montagna.
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AGNE
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
E in un con l’usignol che sempre piagne
Limpido il mar da lungi, e le campagne
Le cime si scoprian delle montagne.
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39/13
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AGNI
Varca torrenti e stagni,
Di lingua che dal latte si scompagni.
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AGNO
Ed io seggo e mi lagno
E per li poggi, ov’io rimembro e piagno
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
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6
AGO
Di riscontrarsi fuggitivo e vago
Che la illibata, la candida imago
Come all’aure si turba onda di lago.
Spira nel pensier mio la bella imago,
Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago.
Sovra un rialto, al margine d’un lago
L’alta specie serbar; che dell’imago,
Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.
Colmano i saggi, io d’ammirar son pago.
Non mi dorrò, che già del tutto il vago
Quasi una finta imago
La tua sovrana imago
Altro che gli occhi tuoi veder più vago?
La donna a torto. A quella eccelsa imago
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AI
Se mai cadesti ancor, s’unqua cadrai,
E in sempiterni guai
La cara voce al core, e de’ cavai
Orbo rimaso allor, mi rannicchiai
Strinsi il cor con la mano, e sospirai.
In ripensar che più non vivi, e mai
La qual pavento, e pur m’è lunge assai.
Favilla alcuna, o di pietà, giammai
In sul fior dell’età; nell’altro, assai
Viva mirarti omai
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Sorgi la sera, e vai,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quasi libera vai;
Già per gran tempo assai
Senza te sopportai;
Se beato chiamò s’indi giammai
Se celebrata mai
Ricompensar tentai,
Chiudi alla luce omai
Posa per sempre. Assai
Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai
Su tue molli foreste. E piegherai
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27/103
27/106
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AL
Or d’altro a lei non cal.
Schernisce ogni mortal.
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ALA
E non onda incresparsi, e non cicala
16/29
ALBA
Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
25/37
7
Imbiancar nuovamente, e sorger l’alba:
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ALDA
Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda,
T’abbandonava. Ombra reale e salda
La favilla che il petto oggi ti scalda,
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ALE
Ch’alleggiò per gran tempo in nostro male?
Né sorgerà mai tale
Di noi qualche immortale:
Veggiam che tanto e tale
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
La noncuranza avviene ai sommi? O quale,
Schiavi di morte: e se a cessar non vale
Si consola il plebeo. Men duro è il male
Al gener tuo, padre infelice, e quale
Morta non mi parea, ma trista, e quale
La mattutina pioggia, allor che l’ale
La più degna del ciel cosa mortale.
Quel tempo della tua vita mortale,
Dimmi, o luna: a che vale
Il tuo corso immortale?
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
E forse del mio dir poco ti cale.
Che dell’esser mio frale,
Avrà fors’altri; a me la vita è male.
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s’avess’io l’ale
Forse in qual forma, in quale
È funesto a chi nasce il dì natale.
Dolce a veder, non quale
Come, non so: ma tale
Che sostener nol può forza mortale,
O cede il corpo frale
Pel fraterno poter Morte prevale;
Anguste fronti ugual concetto E male
Se danno è del mortale
Perché sovra ogni male,
Prole mortal, se dir si dee mortale
I fusi delle Parche. Ogni giornale,
Tal si dilegua, e tale
Lascia l’età mortale
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
E il basso stato e frale;
2/184
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33/20
33/21
34/97
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8
Verso te finalmente il cor m’assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Povera foglia frale,
La giovanezza come ha ratte l’ale,
In sul varco fatale
ALI
Far ai passati onor; che d’altrettali
Quella schiera infinita d’immortali,
Te compagna alla via, te de’ mortali
Cittadini consorzi e le fatali
Pure all’aspro desire onde i mortali
Destini investigar delle mortali
D’intelletti immortali
Che veramente è rea, che de’ mortali
E la sede e i natali
Meno inferma dell’uom, quanto le frali
O dal fato o da te fatte immortali.
Così di mille mali
I miseri mortali
34/200
34/201
35/2
41/17
41/21
2/8
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7/48
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33/44
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34/315
34/317
40/26
40/27
ALLA
Delle nubi la grave ombra s’avvalla;
7/4
ALLE
Ed erra l’armonia per questa valle.
Vidi per muto calle,
Invan sonò la valle
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
11/4
20/54
20/55
23/23
23/24
ALLI
E di carri e di voci e di timballi:
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
L’italica virtude, onde alle valli
Il calpestio de’ barbari cavalli
Quando le rupi e le deserte valli
Noi per le balze e le profonde valli
Il fragor delle rote e de’ cavalli
Di riandare i sempiterni calli?
Di mirar queste valli?
1/42
1/46
6/3
6/5
8/27
9/14
16/79
23/6
23/8
ALLIDO
Non all’autunno pallido
20/49
ALMA
Di noi men lacrimabili nell’alma
Cotesta cara e tenerella salma
Avess’ella da lui. Sempre in quell’alma
Portiam sempre, vivendo, innanzi all’alma,
E da Boston a Goa, correr dell’alma
8/5
15/42
17/20
30/68
32/30
9
ALME
Nostre misere menti e nostre salme
Sempre i codardi, e l’alme
15/92
26/53
ALPITI
Mancar gli usati palpiti,
Proprii mi diede i palpiti,
20/13
20/109
ALSE
Verso il misero amante il cor t’assalse
15/63
ALTI
Incalzar degli assalti,
34/140
ALTO
E lamentar nell’alto
Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
In altrui s’affisò; quel labbro, ond’alto
Stupende, e il senno, e le virtudi, e l’alto
Che sia dell’alma generoso ed alto,
7/73
9/36
31/9
32/27
34/88
ALTRA
Che picciol danno è cader l’una o l’altra
37/26
ALTRI
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
22/149
ALTRO
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Sarà per queste piagge, ove non altro
E indarno a preservar se stesso ed altro
13/15
16/93
32/165
ALZA
Felicità per l’imo sole incalza.
8/117
ALZE
Quel desterà le valli, e per le balze
6/98
ALZO
Mezzo vestito e scalzo,
23/22
AMA
Nei corporali amplessi, inchina ed ama.
Dove vai? Chi ti chiama
29/45
30/1
AMI
Mostra che per signor l’accolga e chiami?
E procedere il chiami.
22/130
34/58
AMO
Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
6/91
10
Strider, né batter penna augello in ramo,
E pur nulla non bramo,
Lungi dal proprio ramo,
16/30
23/122
35/1
AMPA
E libertade avvampa
Terra il marte latino arduo s’accampa
Aure, le nubi e la titania lampa
Rara traluce la notturna lampa:
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
4/99
4/101
7/41
13/6
23/26
AMPI
Come tra nebbia lampi.
A che pugna in quei campi
Stolta virtù, le cave nebbie, campi
Che lieti colli e spaziosi campi
Non di greggi dovizia, o pingui campi,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
In altri volti; o per deserti campi,
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ai vigneti, che a stento in questi campi
1/48
1/51
6/16
16/94
19/51
22/168
29/4
33/62
34/241
AMPIE
Il cammino, anzi il volo: e sotto l’ampie
32/125
AMPO
Dominatrice dell’etereo campo,
Fugaci giorni! A somigliar d’un lampo
Ratto d’intorno intorno al par del lampo
In solitario campo,
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così qual fora in campo
Suo nido, e il picciol campo,
Fora cader la luna in sul tuo campo.
16/102
22/131
26/16
26/19
34/137
34/138
34/264
37/22
ANA
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Mi sedetti colà su la fontana
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Se te d’ogni dolor morte risana.
Di tua natura arcana
E di gran lunga errai. Misera e vana
22/23
22/107
24/50
24/54
26/7
32/2
ANCA
Oggi nel vano dubitar si stanca
Dal dì che nasce; e l’affatica e stanca,
Non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca?
Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.
15/66
32/179
36/17
36/18
ANCE
E di lacrime sparso ambe le guance,
1/81
11
Ch’offriste il petto alle nemiche lance
1/85
ANCHI
Forse le chiome polverose e i fianchi
Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
5/20
5/23
ANCO
In sempiterno? Ed anco,
Onda rigasse intemerata il fianco
M’affaticavi in su le piume il fianco,
E dove io tristo ed affannato e stanco
Rotto e deliro il sonno venia manco.
Per le contrade cittadine il bianco
Porser mille diletti allor che al fianco
Giammai finor sì stanco
Abbandonando all’alba il corpo stanco,
Non rilevasse il fianco,
L’angelica tua forma, inchino il fianco
Divino al pensier mio. Così nel fianco
Un già de’ tuoi, lodato Gino; un franco
O pel montano fianco
7/16
8/93
10/20
10/22
10/24
16/86
22/65
26/96
27/52
27/54
29/18
29/28
32/227
34/218
ANDA
Tratte l’opre divine a miseranda
Non udisti gli oltraggi e la nefanda
L’ora estrema ti fu. Morte domanda
Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
La stagion ch’or si volge. Intolleranda
Seggo la notte; e su la mesta landa
Si ritrovò nel mezzo ad una landa
Spandeva il suo chiaror per ogni banda
Gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda.
2/110
2/114
3/134
3/135
32/4
34/161
39/5
39/7
39/9
ANDE
Furor novello incesta, e le nefande
Lascia le case e per le vie si spande;
Militar, di gelati e di bevande
La donna, e il vento che gli odori spande,
Se lieta fosse, è van che tu dimande:
Che il cor le prometteva era più grande.
8/41
11/34
32/16
39/20
39/22
39/24
ANDI
Chiama i gotici brandi;
Fermo già di morir, gl’inesorandi
6/9
6/12
ANDO
Chi ti discinse il brando?
Come cadesti o quando
Prima divelte, in mar precipitando,
La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando
Agguagliar figurando?
1/30
1/34
1/121
1/125
2/59
12
Fia vostra gloria o quando?
O giardini, o palagi! A voi pensando,
Si componea l’umana vita: in bando
Se d’angoscia sei vago, o miserando
Che ti parve sì mesto e sì nefando,
Per l’aere il nembo, e quando
Or vieni il rinascente anno cantando,
Per l’atre nubi e le montagne errando,
Ti si offeriva nella notte, quando
Tu inquieto, e felice e miserando,
Ad ogni or fortemente palpitando.
Appressommi la destra, e sospirando,
Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Di rincontro alle ville soffermando,
Quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando
Alle ruote, alle faci ito volando
Come al nome d’Elvira, in cor gelando,
Speme de’ giorni miei; di te pensando,
Nel secol tetro e in questo aer nefando,
L’età spendendo, e mari e poggi errando,
Studio de’ carmi e di ritrar parlando
Della mia prima età! Sempre parlando,
Alla fioca lucerna poetando,
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Suo venir nella vita, ed inchinando
Dico fra me pensando:
Con l’opra in man, cantando,
I fanciulli gridando
E qua e là saltando,
Sott’altra luce che l’usata errando,
Tanto dolor, che sopravviva amando
Felicità su l’orme a gara ansando
Alle miserie sue, l’uomo incolpando
Congiunta esser pensando,
E sparger fuga e fulminar col brando
Dell’uomo? E rimembrando
In un punto; così d’alto piombando,
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ANDRA
Come lion di tori entro una mandra
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ANE
Scienze ed arti e facoltadi umane,
Fingon l’ombre lontane
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ANGE
Tra le ginocchia, e piange.
Con le macchine sue, né con un Gange
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ANGERE
Chi mi ridona il piangere
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13
ANGO
Polve e scheletro sei. Su l’ossa e il fango
Furo alcun tempo: or fango
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ANGUE
Sudato, e molle di fraterno sangue,
Preparano i destini! Ecco di sangue
Chi per te sparga con la vita il sangue!
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ANI
Sonar d’agresti Pani
Spazi di là da quella, e sovrumani
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ANIMA
Mancano, il sento, all’anima
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ANIME
Piansi spogliata, esanime
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ANNA
Di cedere inesperto; e la tiranna
Error che l’uman seme alla tiranna
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ANNE
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Fatal cagione, o di melate canne,
E le barbe ondeggiar lunghe due spanne.
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ANNI
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
E il conforto perì de’ nostri affanni.
Gli oltraggi lor, de’ necessarii danni
Di colpa ignare e de’ lor proprii danni
Lavinia prole, e gli anni
Tacita verserai quando ne’ danni
Perché i celesti danni
E se de’ nostri affanni
Luce prodotti. Immedicati affanni
Amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanni
Già tanto desiata, e per molt’anni
Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
Della prima stagione i dolci inganni
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O speranze speranze; ameni inganni
Provar gli umani affanni,
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14
E sostener molt’anni
Cagion diletta d’infiniti affanni,
Altri gentili inganni
E tu, cui già dal cominciar degli anni
Tu sola al mondo dei terreni affanni,
In noi di cari inganni,
La speme giovanil; piena d’affanni
Colei che i nostri danni
Velar di neri panni,
O di lana o di seta. I rozzi panni
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ANNO
Pallido e scapigliato esso tiranno;
Cagione ai Persi d’infinito affanno,
E duolo e sdegno di cotanto affanno
Ma dell’ingegno e della man daranno
In seno al vostro smisurato affanno
Al cui supremo danno
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
Lor suadesse affanno;
Né dell’umano affanno,
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
E degli affanni suoi, vota d’affanno
E scolorato dal mortale affanno,
Del dì fatal tempererà d’affanno.
Non sol perché d’affanno
Ch’ogni stento, ogni danno,
E gran parte dell’anno
Piacer figlio d’affanno;
Letti, ed ogni altro arnese, adorneranno
La decima o la nona, e non potranno
Tristi e miseri tutti, un popol fanno
Del secol che si volge, anzi dell’anno,
E menti che fur mai, sono e saranno,
Ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno
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ANO
Italo egregio, il fato? O con l’umano
Valor forse contrasta il fato invano?
Son l’opre de’ mortali? Ed è men vano
Natura stessa; e là dove l’insano
In freddo orror dissolve; e poi ch’estrano
N’armaro incontra, e la negletta mano
Tue forme il core e le pupille invano
Amore indarno, e lunga fede, e vano
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Anzi rovente. Con sua fredda mano
Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
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Lei, già mossa a partir, presa per mano,
Fuggitivo Consalvo? Egli la mano,
Ma noi, che il viver nostro all’altrui mano
Luce odiando, l’omicida mano,
Della brama insanabile che invano
Ogni tenero affetto, ignoto e strano;
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Tu, misera, cadesti: e con la mano
Mostravi di lontano.
Star così muta in sul deserto piano,
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E, dalla via corrente, odi lontano
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Immobilmente collocato invano
Già di desio; quell’amorosa mano,
Onde per mar delizioso, arcano
Erra lo spirto umano,
Ardito notator per l’Oceano:
Sangue de’ suoi non asterrà la mano
Cerca il confuso aviatore invano
Esso a lei veramente è fatto estrano.
L’una di quelle mi pigliò per mano;
Cento dolci pensieri educa invano,
Cura di morbi ha l’uom gagliardo e sano.
Poco il rogo è lontano.
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ANTA
Io chieggo a voi. La santa
Per vostra mano? Attenuata e franta
Vivi tu, vivi, o santa
Chiamata fosti, e lamentata, e pianta!
Madre temuta e pianta
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ANTE
Chi pingerà l’attonito sembiante?
Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante
Eran calde le tue ceneri sante,
Movi ad alto desio. Te l’echeggiante
O tenebroso ingegno. A voi, fra quante
Dell’umana famiglia, e tu l’errante
E tu dall’etra infesto e dal mugghiante
Della gelida morte. Ecco di tante
Dolcezza palpitando all’anelante
Esser solea dell’infelice amante:
E non lo sguardo tenero, tremante,
Mi fieno, a ricordar, bramate e piante.
Il garzoncel, come inesperto amante,
Scolorar del sembiante,
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Morte, sei tu dall’affannoso amante!
Quante la sera, e quante,
Pari alla donna che il rapito amante
Già del fato mortale a me bastante
Scrisser natura e il fato in adamante;
Ch’han principio d’allor che il labbro infante
Gl’ispidi genitori, o prole infante,
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
Dall’utero tonante
Dell’ostel villereccio, alla vagante
E la cresta fumante,
E muggia tra le nubi il tuono errante,
O care nubi, o cielo, o terra, o piante,
Pietà nel mondo un infelice amante.
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ANTI
Muta sì lunga etade? E perché tanti
Serbaro occulti i generosi e santi
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Taci, taci, diss’io, che tu mi schianti
Sguardi furtivi, erranti,
Voi de’ gentili amanti
Sul paterno giardino scintillanti,
Allettatrice, fervidi sonanti
E ciò che inspira ai generosi amanti
Perché mille discordi e repugnanti
Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti
Dal risorto pensier segnato innanti
Del ritornar ti vanti,
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ANTO
Mai non potrebbe il pianto
Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Né le spose vi foro o i figli accanto
Senza baci moriste e senza pianto.
Ma voi di quale ornar parola o canto
I sensi e le virtudi eterno vanto
Tua mente allora, il pianto
Oh misero Torquato! Il dolce canto
V’incresca esser nomate. I danni e il pianto
Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto
Al mattutino canto
E voi de’ figli dolorosi il canto,
Al misero mortal, nascere al pianto,
Profana destra, e la sciagura e il pianto
Il mattutino albor; me non il canto
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Odo non lunge il solitario canto
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
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Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto.
Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto
Il fior dell’età mia. Nascemmo al pianto,
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
Sovra tutti i felici. Ahi, ma cotanto
Un altrettale amor. Quanto, deh quanto
Del faticoso agricoltore il canto,
Vai sostentando? In che pensieri, in quanto
Non aula puote e non purpureo manto
Le dilettose immagini, che tanto
Né degli augelli mattutini il canto
Al tuo perpetuo canto,
Quel che prometti allor? Perché di tanto
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
In sul languir cantai funereo canto.
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Là dove spesso il tuo stupendo incanto
De’ tuoi bambini, il niveo collo intanto
Della mia vita un dì: se non se quanto,
Bella non solo ancor, ma bella tanto,
Mutar forma e color. Cadde l’incanto,
Da Londra a Liverpool, rapido tanto
Esplorar che ti val? Materia al canto
Ond’io, degli astri desioso, al canto
E l’uom d’eternità s’arroga il vanto
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Che sembra star. Cagiono i regni intanto,
E l’uom d’eternità s’arroga il vanto.
Ma più saggia, ma tanto
Di sommergermi, o nembi, insino a tanto
S’apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto
Le luci il crudo Sol pregne di pianto.
Sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto,
Spiegarsi ella il vedea per ogni canto,
E far sovra il suo capo a quella ammanto.
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ANTRI
Della saggia natura! I lidi e gli antri
8/112
ANZA
Dove l’armi e il valore e la costanza?
O qual tanta possanza
Non si conviene a sì corrotta usanza
Se di codardi è stanza,
Novo d’amor desio, nova speranza
Stupidamente per la muta stanza,
Amarissima allor la ricordanza
Ad ogni voce il core, a ogni sembianza.
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18
Battendo esulta nella chiusa stanza
Se core e lena a sospirar m’avanza.
Nulla spene m’avanza;
Per novo calle a peregrina stanza
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Che di cotanta speme oggi m’avanza;
Che qui sola di te la ricordanza
Così meco ragiono: e della stanza
Angelica sembianza,
Nella terrena stanza,
Nell’immenso universo, e non l’avanza,
Se non quella del fato, altra possanza.
Il mio secolo e tuo! Con che costanza
All’amante natura. E la possanza
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Anche tu presto alla crudel possanza
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ANZE
Furo i liquidi fonti. Arcane danze
Odo sonar nelle romite stanze
Lui giochi e cene e invidiate danze
Non valser gl’intelletti e le possanze
Van l’ombre e le sembianze
Le lontane speranze,
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ANZI
Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi
Al parer mio, che tutte l’altre avanzi.
Supplichevol vedesti, a te dinanzi
Divien quel che fu dianzi
Più gravi, intera, e non veduta innanzi,
Non sien diversi! E di che tratto innanzi,
Codardamente supplicando innanzi
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29/76
29/94
31/34
32/108
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APO
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Degl’infelici è la sembianza. Al capo
Il quinto lustro, gli pendea sul capo
9/12
15/10
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APRE
E irrevocabil tempo, allor che s’apre
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AR
Meco favella il mar.
Cangiato il mondo appar?
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20/104
ARA
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
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5/13
19
Questo gelido cor, questo ch’amara
Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
Ali di morte il divo etere impara.
Al sangue nostro e dilettosa e cara
Il pastorel; ma di suo fato ignara
In che peccai bambina, allor che ignara
Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
O sventurato. Io di pietade avara
Speme dei nostri dì, concedi, o cara,
Anima voli? O te la sorte avara
Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?
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ARCA
A che d’affanni e di miserie carca
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ARCHI
O patria mia, vedo le mura e gli archi
Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi
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ARCO
Vie del Tamigi fia dischiuso il varco,
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ARDA
A ricercar s’a questa età sì tarda
Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
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ARDI
O miseri o codardi
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
Al vivo sfolgorar di quegli sguardi
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ARDO
Vide, e stupì, che non palese al guardo
Indugio in altro tempio: e intanto il guardo
Conscia del suo poter, conscia che un guardo
La bellissima donna; e fiso il guardo,
Suo dì felice gli fuggia dal guardo.
Di due nere pupille, il caro sguardo,
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Ad un segno cortese, ad ogni sguardo
Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo,
La terra e il ciel, come sfavilla il guardo
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Ricco d’or né gagliardo,
Ancor leva lo sguardo
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34/243
ARE
Su per quello di neve orrido mare
Con quel de’ tardi e vili. Anime care,
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
L’erta sonante e l’alma terra e il mare
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3/76
3/89
20
Al fanciullin, che non al saggio, appare.
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare
E tu, lieta e pensosa, il limitare
E chiaro nella valle il fiume appare.
Beltà grandeggia, e pare,
Gl’inimici obbliando, acerbe gare
Che un punto a petto a lor son terra e mare
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ARGI
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
34/5
ARGINI
Se al ciel, s’ai verdi margini,
20/93
ARI
Pugnan per altra terra itali acciari.
Consorte e i figli cari,
Amor d’Italia, o cari,
In ogni petto omai, perciò che amari
Agli avi suoi deggia la terra impari.
Siccome or fai che tutta la rischiari.
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Porgendo, e lor di tue cagioni ignari
A tutti noi che senza colpa, ignari,
Meglio ch’or son, benché sicure al pari,
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ARLA
Nostra vita a che val? Solo a spregiarla:
Con riposato cor: che a sostentarla
Ed io, ma di rifarla
5/60
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36/16
ARME
Le sitibonde agnelle, arguto carme
7/31
ARMI
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Non temuta, la morte; e lieto apparmi
Non si nega a chi muor. Né già vantarmi
Son de’ guerrieri e il perigliar nell’armi;
Quasi incredibil parmi
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17/53
19/21
26/37
ARNI
Quanto peso di sal, quanto di carni,
32/141
ARNO
Certo si renda com’è tutta indarno
E tu d’amore, o sfortunato, indarno
Ch’aprii le luci al dì. Non vissi indarno,
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15/90
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21
D’esser beati sospiraro indarno,
Ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno
Ma non piegato insino allora indarno
19/29
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34/307
ARO
È peggiorato il viver nostro. O caro,
Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Nelle pallide torme; onde sonaro
Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
Del soave licor del doglio avaro
Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro,
A deserti edifici, in su l’acciaro
Il caro tempo giovanil; più caro
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Terribile, ma caro
L’uom della villa, ignaro
Che da se stessi il villanello ignaro,
Già dal principio conoscente e chiaro
A polizze di cambio. E già dal caro
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
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27/82
29/82
32/59
34/25
ARRE
Agli atroci del fato odii sottrarre.
15/50
ARRO
Polveroso de’ Noti, e quando il carro,
9/11
ARSE
Quanto più vogli o cumulate o sparse,
32/78
ARSI
Verso lei di lontano ad atterrarsi;
Questi campi cosparsi
30/32
34/17
ARSO
E spezzato con esso, a terra sparso
29/102
ARTA
E figurato è il mondo in breve carta;
O caro immaginar; da te s’apparta
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
3/98
3/102
7/3
ARTE
Nostre corone al suol fien tutte sparte?
Che ti rassembri in qualsivoglia parte?
Oh casi! Oh gener vano! Abbietta parte
E questa siepe, che da tanta parte
Talor m’assido in solitaria parte,
La tua diletta immagine si parte
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2/187
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12/2
16/23
17/145
22
Havvi chi le crudeli opre di marte
Ogni beltate o di natura o d’arte,
Talor lasciando e le sudate carte,
E di me si spendea la miglior parte,
Delle sere io solea passar gran parte
Non resterete; che dall’altra parte
Fia ricondotto in parte
Il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte,
Mostrommi a parte a parte
Gli strumenti dell’arte,
19/88
19/134
21/16
21/18
22/11
33/55
34/150
34/187
36/7
36/8
ARTI
Pensa qual terra premi; e se destarti
Che stai? Levati e parti.
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E chi virtute o sapienza ed arti
L’ultimo istante. Al nido onde ti parti,
L’umana compagnia principii e parti
Ma della vita in tutte l’altre parti,
2/194
2/196
14/3
19/94
30/19
32/101
32/194
ARTO
Fiamma n’increbbe, e detestato il parto
Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
8/19
9/55
ARVE
Dell’inquiete larve
Al seno ascoso e disiato. Apparve
Raggio divino al mio pensiero apparve,
6/17
29/26
29/33
ARVI
Tornare ancor per uso a contemplarvi
22/2
ASCE
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Studi rinnova e le seguaci ambasce
L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce
Con certo cor giammai, fra tante ambasce,
Non l’amerà quant’io l’amai. Non nasce
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
3/69
3/73
8/66
16/4
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22/63
34/226
ASI
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
Ogni nato sarà. Ma novo e quasi
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
22/125
32/197
34/34
ASO
Allor mirando in ciel, vidi rimaso
37/17
ASPRO
23
Tal io dal secco ed aspro
26/33
ASSA
A pensar come tutto al mondo passa,
13/29
ASSE
Qual nell’acerbo fato amor vi trasse?
Parea ch’a danza e non a morte andasse
1/90
1/94
ASSI
Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Come da’ nudi sassi
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Di ceneri e di pomici e di sassi
Di liquefatti massi
Il volar polve e frondi e rami e sassi,
Ella dal lampo affaticati e lassi
Gia pur tra il nembo accelerando i passi.
11/14
11/15
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34/56
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34/220
39/65
39/67
39/69
ASSO
Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso,
Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso
Così vennero al passo,
Serena adduce al non previsto passo
Ne’ rudi tronchi, o da montano sasso
D’estiva notte, il vagabondo passo
2/27
2/30
2/156
6/63
6/65
16/61
ASTA
Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta
9/15
ASTI
Se di costei che tanto alto locasti
Verso la fama che di te lasciasti,
E quanto al femminile ozio sovrasti
Piena degli anni il tuo valor contrasti
Amore, amore, assai lungi volasti
2/76
2/80
5/3
5/6
16/39
ASTO
E rotto di natura ogni contrasto,
Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
3/84
3/88
ATA
Le genti a vincer nata
Siede in terra negletta e sconsolata,
Disdegnando e fremendo, immacolata
Preme il destino invitto e la ferrata
Di febo e l’aurea luna. Oh fortunata,
Ne’ consorti ricetti: onde negata
O greggia mia che posi, oh te beata,
D’alcun dolor: beata
1/19
1/15
3/166
6/31
8/34
8/50
23/105
24/53
24
Quante volte implorata
Se cara esser nomata,
Se misera tu debbi o fortunata.
Parve, e fu, la mia lingua alla beata
27/48
30/16
30/17
32/5
ATE
I silenzi lasciando, e le beate
Tragge il destin; l’obbrobriosa etate
Ragion di nostra etate
Da voi nostra natura? E le assonnate
L’alta ruina ignora e le mutate
La ricordanza, e il noverar l’etate
Di medicina in loco apparecchiate
Dovea, già son molt’anni. Illuminate
Che di selve odorate
Chi sa? Non veggiam noi spesso di state
Benché l’umana etate,
Di sembianze beate,
4/2
4/6
4/38
4/42
6/94
14/11
19/30
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34/298
37/23
40/7
40/11
ATI
Al peregrino affanno, agl’ignorati
Me sedendo e mirando, interminati
La gioventù del cor diedero i fati;
Anche negaro i fati
Gli ozi, i commerci usati,
Guardando attorno, all’ore ai lochi usati
Di sovrumani fati,
Guida i pubblici fati.
8/115
12/4
19/114
21/51
26/25
30/96
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34/77
ATO
Beato te che il fato
L’itala moglie a barbaro soldato;
Dal tocco di tua destra, o sfortunato
Del tedio che n’affoga. Oh te beato
Quando nell’alto lato
Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato,
E nove Soli, in questo a pianger nato
Quando in ispregio ogni piacer, né grato
Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato.
La morte ai giovanetti, e duro è il fato
E mai più non vivrai: già ruppe il fato
Di taciturne piante incoronato.
Dai più diletti amici abbandonato:
A consolare il suo deserto stato,
Dissimulando l’appressar del fato,
Né questo dì rimemorar m’è dato.
Quanto all’umana età propose il fato,
Questo viver beato:
All’umana famiglia; onde agitato
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
2/103
2/106
3/68
3/72
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9/5
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Tristo; ma non turbato
Ma placido il mio stato,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Se non concedi al fato,
Non chiamerò spietato
La vita umana e il fato!
Acerbo e sconsolato,
Volentier con la morte avrei cangiato.
Di gioventù, quando spegneali il fato,
Il prende a consolar dell’esser nato.
E consolarlo dell’umano stato:
Altro ufficio più grato
Senza noia consumi in quello stato.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Torna il lavoro usato.
Recheran l’ore, ed al travaglio usato
Sola discolpa al fato,
Il mio terreno stato
L’uno o l’altro di voi conceda il fato,
Fosti da me, s’al tuo divino stato
L’onte del volgo ingrato
Erta la fronte, armato,
E renitente al fato,
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Così riduce il fato
Quale splendor vibrato
Dare al mortale stato:
O incapace o inesperto, il proprio fato
Ridi, o tenera prole: a te serbato
Parve lassù, se il giovanile stato,
Di mar commosso, un fiato
Vede lontan l’usato
Che crepitando giunge, e inesorato
Alla finestra che risponde al prato,
La luna, come ho detto, in mezzo al prato
20/66
20/67
20/86
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34/263
34/267
37/4
37/14
ATRA
La bella età, cui la sciagura e l’atra
7/12
ATRI
Per li vacui teatri,
34/281
ATRO
Insultino gli armenti, e che l’aratro
Abiterà la cauta volpe, e l’atro
5/42
5/45
ATTA
Come solinga è fatta
Forse il mortale inabitabil fatta
26/13
27/36
26
ATTE
Nostra caduca età. Non che di latte
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Studi fia noto, e imprenderà col latte
8/92
23/25
32/139
ATTI
Dar possa il labbro mio. Premio daratti
E credo anco del mar gl’immensi tratti,
17/33
32/148
ATTO
Chi non si duol? Che non soffrimmo? Intatto
Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto
Stette sospesa e pensierosa in atto
Non è dato con gioia. E ben per patto
Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto
Asciutto il ciglio ed animosa in atto,
Preme il fragil mortale, a perir fatto
Dice: a goder son fatto;
2/117
2/119
15/80
17/59
17/114
29/97
30/8
32/175
34/101
AVA
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
Tal fra le Perse torme infuriava
Nostra patria vedendo ancella e schiava,
Lo spietato dolor che la stracciava
Tua destra, allor che vincitrice il grava,
Locommisi nel petto, e mi serrava
E lunga doglia il sen mi ricercava,
Malinconicamente e i campi lava.
Pentimento, che l’anima ci grava,
Per li fuggiti dì mi stimolava
Suo morso in questo cor già non oprava.
Ferveva e il petto, nelle fauci stava
Per assidui terrori io vigilava,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Dell’impietrata lava,
Corre il baglior della funerea lava,
In riveder la luna. Io me ne stava
Che quanto nel cader s’approssimava,
Tal che a forza era desto e svolazzava
E la nube, crescendo, in giù calava
Toccava i monti, e l’altro il mar toccava.
1/104
1/107
2/124
2/128
6/41
10/62
10/64
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34/19
34/286
37/3
37/7
39/41
39/43
39/45
AVE
Domo il vigor natio, languide, ignave
Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave
Provveder commettiamo, una più grave
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
8/54
17/146
19/45
25/48
25/51
AVI
27
Sorella mia, che in gravi
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
Che pensieri soavi,
E co’ fulmini suoi Volta né Davy
Fraterne, ancor più gravi
4/8
4/12
21/28
32/82
34/120
AVVI
Sangue la man tinge per ozio; ed havvi
19/90
AZZE
Ordinator, fra le percosse tazze
32/17
AZZO
O di tempio o di torre o di palazzo,
32/156
E
Questa che sento in me?
Questo mio cor non è?
Quel bianco petto in sé.
Disprezzo è la mercé.
20/84
20/88
20/140
20/144
EA
Ver lo balcone al buio protendea
La voce ad ascoltar, se ne dovea
La voce, ch’altro il cielo, ahi, mi togliea.
Nel petto, cui scaldar tanto solea,
Né gli occhi ai noti studi io rivolgea,
Vano ogni altro desir creduto avea.
Di te mi dolse e duol: né mi credea
Un sovrano timor. Così l’avea
Postasi al cor, che gli ultimi battea
Quando beltà splendea
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Della sua mente, l’amorosa idea,
Io mirava, e chiedea:
Musa, la lima ov’è? Disse la Dea:
Distaccasi la luna; e mi parea
Vomitava una nebbia, che stridea
Guardava sbigottita, e poi correa,
E il duro vento col petto rompea,
In sul volto soffiando le spingea.
10/44
10/46
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17/79
21/3
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36/13
36/14
37/6
37/11
39/56
39/58
39/60
EBA
Cavati in molle gleba
34/206
EBBE
Legge arcana farebbe
Figli di Prometeo, la vita increbbe;
Bastato sempre il rimembrar sarebbe
Grazia il morir, chi però mai potrebbe,
Quel che pur si dovrebbe,
6/69
6/72
17/109
30/84
30/85
28
Preme chi troppo all’età propria increbbe.
34/69
EBE
Quella l’inferma plebe
Siam delle cose: e non le tinte glebe,
Fin la negletta plebe,
6/99
6/102
27/62
EBRE
Gli occhi al sonno chiudea, come per febre
Oh come viva in mezzo alle tenebre
La contemplavan sotto alle palpebre!
10/23
10/25
10/27
ECA
E del fato e d’amor, Diva più cieca.
19/158
ECCHIA
Qui mira e qui ti specchia,
34/52
ECCHIO
Natura? Vivi e il dissueto orecchio
Placido albergo e specchio
Del pallido ladron ch’a teso orecchio
Della speranza al mio profano orecchio
Cui di lontan fa specchio
7/21
7/24
16/78
32/241
34/164
ECE
Di cui lor sorte rea padre ti fece
34/60
ECHI
Non gli ululati spechi
Il disperato pentimento i ciechi
Eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi
6/103
8/48
19/140
ECITA
Che non del ben sollecita
20/121
ECO
E il crudo fallo emenderà del cieco
All’immatura sapienza il cieco
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Di questo mal, che teco
9/57
15/36
22/109
34/70
ECOLO
Che ignora il tristo secolo
20/129
EDA
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Elvira, addio. Non ti vedrò, ch’io creda,
Morte, deserto avviva. A te conceda
4/22
17/30
19/118
EDDO
29
Or quando al tutto irrigidito e freddo
19/127
EDE
E il petto ansante, e vacillante il piede,
Per amor di costei ch’al Sol vi diede;
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede.
Bruto per l’atra notte in erma sede,
Sotto barbaro piede
Rintronerà quella solinga sede.
Umane menti riede
Questa flebil riguardi umana sede.
Come colonna adamantina, siede
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Stolta, che l’util chiede,
Quindi più sempre divenir non vede;
Quale affetto non cede?
Se non quell’uno intra i mortali ha sede?
Spera l’uomo ingannato, e mal richiede
Valor vero e virtù, modestia e fede
Meta o ragione; e vede
Che a sé l’umana sede,
Così star suole in piede
Quale star può quel ch’ha in error la sede.
Sta natura ognor verde, anzi procede
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
Ma stolto è chi non vede
Tu presso a porre il piede
Della plutonia sede,
1/82
1/86
5/64
5/65
6/11
6/89
6/90
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34/156
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34/292
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41/16
41/20
41/22
EDI
Oggi ridotta sì che a quel che vedi,
Qual tu forse mirando a te non credi.
Rive del gregge tuo nutrici e sedi,
Da presso né da lunge odi né vedi.
Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi
2/95
2/98
8/76
16/32
16/80
EDO
Ma la gloria non vedo,
1/4
EDOVO
D’ogni dolcezza vedovo,
20/65
EE
Se dell’eterne idee
18/45
EGA
Degl’inchinati salici dispiega
Odi il martel picchiar, odi la sega
Che reina bellezza si dispiega
9/32
25/33
30/29
30
Durabilmente sovra quei si spiega.
34/268
EGGA
In tutto il viver mio? Grazia ch’ei chiegga
17/52
EGGE
Questa, immutata legge
Per essenza insanabile, e per legge
30/63
32/195
EGGHIE
Sudar nelle officine, ozio le vegghie
19/20
EGGI
Delle balze materne, o con le greggi
Cui franger glebe o curar piante e greggi
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Dall’ignea forza, i popolati seggi,
8/94
19/13
34/160
34/239
EGGIA
Teco il prode guerreggia
Indomito scrollando si pompeggia,
La sua vita ingannevole vagheggia,
Ovver con la mia greggia
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Per abitati lochi a me lampeggia
Paion sovente rivelar. Vagheggia
Là ‘ve zefiro aleggia,
6/39
6/42
22/75
23/82
23/137
29/3
29/37
33/3
EGGIO
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che lividor, che sangue! Oh qual ti veggio,
E morte lo scampò dal veder peggio.
Età né suolo. Altri anni ed altro seggio
Di vil caterva? In peggio
1/12
1/9
3/168
3/170
6/112
EGGO
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
13/21
EGHI
A disusati preghi,
Che tu le penne al mio pregar dispieghi,
27/105
27/109
EGLIA
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia
Dolcemente picchiando, mi risveglia ;
Del legnaiuol, che veglia
13/42
16/7
25/34
EGLIO
Che seguirà; poiché di meglio in meglio
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
32/52
34/76
31
EGNA
Né v’è chi d’onorar ti si convegna.
E piangi e di te stessa ti disdegna;
Regi, o la terra indegna,
A novi liti e nove stelle insegna.
Felicità, vive tristezza e regna.
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
I moti tuoi, né di sospiri è degna
2/10
2/13
6/107
8/70
19/87
22/157
28/8
EGNE
Fiamma di gioventù dunque si spegne
Menti, e le voglie indegne,
Gridar volendo, e spasimando, e pregne
4/40
4/43
15/96
EGNI
Non degl’itali ingegni
Non gli aspri cenni ed i superbi regni;
Padre, se non ti sdegni,
Squallide piagge, ahi d’altra morte degni,
Tu le cure infelici e i fati indegni
Scellerato ardimento inermi regni
Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
Alla sua lingua. Poiché certi i segni
Agli animosi ingegni
Queste lievi reliquie e questi segni
2/109
2/113
2/137
2/140
7/88
8/111
9/23
17/25
27/89
32/97
EGNO
O sventurato ingegno,
Solo di sua codarda etate indegno
Chi de’ perigli è schivo, e quei che indegno
Odio mova e disdegno;
Guerra mortale, eterna, o fato indegno
Colpe de’ figli, e irrequieto ingegno,
Primo i civili tetti, albergo e regno
Alle amene sembianze eterno regno
Il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno
Se quell’oprar, quel procurar che a degno
Sottrar l’umana prole. Or s’altri, a sdegno
A persona giammai non ne fo segno.
Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno
Or la squilla dà segno
Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno
Dell’umana viltà subito a sdegno.
Avarizia, superbia, odio, disdegno,
Studio d’onor, di regno,
Questa vita mortal, fu non indegno;
Sorge di rado il femminile ingegno;
La morte; e questa inevitabil segno,
L’uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno,
Dirò, la speme, onde visibil pegno
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
3/152
3/154
4/55
4/58
6/38
8/15
8/46
9/51
9/70
19/9
19/53
22/37
22/71
25/20
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26/58
26/73
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26/91
29/49
30/62
32/7
32/256
34/186
32
EGRA
E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Mira dinanzi a te come s’allegra
11/35
32/262
EGRI
Ma non per te; per questa ti rallegri
Ponga ne’ figli sonnacchiosi ed egri
2/86
2/89
EGUA
E spesso al ver s’adegua,
Ammirabil concetto, si dilegua.
26/115
31/38
EGUE
Vidi e conobbi assai, là dove segue
16/12
EI
A pugnar contra lei,
L’umana speme. A desiar colei
Luce de’ giorni miei?
Gli affetti ch’io perdei
La speranza mia dolce: agli anni miei
Come passata sei,
Su romita campagna, agli ozi miei
Ma tu mortal non sei,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Solea danzar la sera intra di quei
Gli altri pensieri miei
Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei.
Subito i sensi miei;
Ed anco tornerei,
Vitale ai giorni miei,
Che in perpetuo signor dato mi sei.
A riveder colei
Ch’io di te non pensassi? Ai sogni miei
Non ci prescriver lieta? Anzi colei
2/173
15/29
20/90
20/91
21/50
21/53
22/64
23/59
23/125
23/128
25/14
26/17
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26/56
26/92
26/118
26/122
26/126
26/139
30/66
EL
Chiusa in eterno gel;
Spente le stelle in ciel.
20/20
20/24
ELA
Posa la luna, e di lontan rivela
Che fui misera anch’io. Non far querela
Non a te, non altrui; che non si cela
Che percorrea la faticosa tela.
L’ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
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23/27
23/28
ELLA
33
Che fosti donna, or sei povera ancella.
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Arena e il circo, e te fremendo appella
Te rigoglioso dell’età novella
Delle rotanti sfere, e la novella
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Or tu vivi beata, e il mondo abbella,
Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
Saria, così conforme, assai men bella.
E più vaga del Sol prossima stella
Che non a sé, non ad altrui, la bella
In suo chiuso pensier natura abbella,
Su la scala a filar la vecchierella,
Ed ancor sana e snella
Ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Vede omai senza quella
Ma per cagion di lei grave procella
La tenera donzella
Tutta al volto ai costumi alla favella
Bellissima donzella?
Una comun felicitade; e quella
Ma la vita mortal, poi che la bella
Nobil natura è quella
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
La sembianza del ciel, ch’era sì bella,
Un nugol torbo, padre di procella,
Che più non si scopria luna né stella.
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ELLE
Spente nell’imo strideran le stelle,
Verran le madri ai parvoli le belle
Nove speme d’Italia. O torri, o celle,
La mente mia. Di vanità, di belle
Del viver che daranno a te le stelle,
E quando miro in cielo arder le stelle;
A che tante facelle?
Cose quaggiù sì belle
Altre il mondo non ha, non han le stelle.
Al dì sereno, alle tacenti stelle,
Né comprender potria. Non cape in quelle
Chiuderanno in coton la scabra pelle,
Ed agiato cammin vassi alle stelle.
Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
Nodi quasi di stelle
Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Cader le stelle? / Egli ci ha tante stelle,
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37/24 - 25
ELLI
Tra il suon delle catene e de’ flagelli.
Che lasciaron quei felli?
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34
Giacquer le menti; e servitù le imbelli
In poter del carnefice ai flagelli,
Moderna prole. All’ombra de’ tuoi velli
Che il fe’ palese: e, fuggitivo, appelli
Di bollenti ruscelli,
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ELLO
E sconsolato avello,
Esemplo di sciagura. Assai da quello
E la fera e l’augello,
E non la notte moribondo appello;
Conscia futura età. Sdegnoso avello
Della vampa d’amor, che il venticello
Senza sonno io giacea sul dì novello,
Battean la zampa sotto al patrio ostello.
Odo stormir tra queste piante, io quello
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
Di mille vezzi sfavillante, in quello
Verrà lo spirto mio. Già sul novello
Regge nel fior di gioventù, nel bello
D’in su i veroni del paterno ostello
E sì dolente, e che la morte è quello
Immensità, che paradiso è quello
Al fratello il fratello,
Sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
Che alla formica: e se più rara in quello
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ELO
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
Sì che sparte le chiome e senza velo
Giorni dopo il seren dato n’ha il cielo.
Onde bagna costei le guance e il velo.
Gl’itali prodi; e lor fea l’aere e il cielo
Ed era letto agli egri corpi il gelo.
A te, non altro, preparava il cielo.
Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Forse i travagli nostri, e forse il cielo
Al viver nostro; e dilettossi il cielo
Felicità servi, o natura. In cielo,
Esser beato non consente il cielo
Impallidia la bella, e il petto anelo
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
S’intese ancor, se in disfavore al cielo
De’ giovani, e la guancia, enorme il pelo.
Giunta al confin del cielo,
Inargentava della notte il velo,
Tosto vedrete il cielo
I danni altrui commiserando, al cielo
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ELSA
O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa
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ELSE
Sempre e il ribaldo: incontro all’alme eccelse
32/87
ELSI
Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi
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ELSO
Del destino mortal. Vidi l’eccelso
32/22
ELVA
E tu pendevi allor su quella selva
14/4
ELVE
E conscie fur le sibilanti selve.
Dilaceràr le belve;
Le fortunate belve
Agiterà delle minori belve.
Pruine induca alle commosse belve;
Tal fra le vaste californie selve
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EMA
L’onor d’egregie menti e la suprema
Tenea dell’infelice, ove l’estrema
Amai, che sempre infino all’ora estrema
Talor lodando, ognora aborre e trema,
Necessitade estrema;
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17/62
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26/49
26/50
EMBO
Preme la fera, e il nembo
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
Dall’inesausto grembo
Già noto, stenderà l’avaro lembo
Ver la marina sì, che l’un suo lembo
Già tutto a cieca oscuritade in grembo,
E il suon cresceva all’appressar del nembo.
6/118
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EMBRA
Dare al vento precipiti le membra,
Pallida cura il petto, a cui le membra
Prendi riposo; e forse ti rimembra
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EME
Cui l’Orsa algida preme,
De’ celesti si posa. Oh cure, oh speme
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Mia lacrimata speme!
Onde cotanto ragionammo insieme?
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21/32
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36
Con chi passato avrà molt’anni insieme,
E dire a quella addio senz’altra speme
E dalle menti insieme
Popoli e climi stringeranno insieme:
Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.
Queste, o spirto gentil, miserie estreme
Del secol nostro, e la matura speme.
Anco estimar potrà dell’uman seme,
Cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
Non ha natura al seme
Le foglie e l’uman seme.
Raccolgon pochi. All’inquieta speme,
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EMI
Amor trascorra o scemi.
Pur fisso in ciel che quei sudori estremi
Quella loggia colà, volta agli estremi
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15/41
22/61
EMMO
Sol per cui risorgemmo
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EMO
Sortir l’opaca tomba e il fato estremo,
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di quella fronte, io ch’al morir non tremo!
Che sia questo morir, questo supremo
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo
Desiar de’ suoi cari il giorno estremo,
Per dover egli scemo
Degno trovato, estremo
Le cittadi che il mar là su l’estremo
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EMORE
Chi dalla grave, immemore
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EMPI
Perché venimmo a sì perversi tempi?
Acerbo fato? Onde a stranieri ed empi
E luttuosi tempi
Italia accrescerai. Di forti esempi
La terrena pietà? Dunque degli empi
Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
Contrario imprendo, per non dubbi esempi
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2/123
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4/11
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EMPIA
Alla misera Saffo i numi e l’empia
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EMPIO
Povera patria tua, s’unqua l’esempio
Ahi, da che lungo scempio
Gli avari colti e di fraterno scempio
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2/91
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37
Nel paventato sempiterno scempio.
Move l’alma ogni esempio
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EMPLI
E le carte e le tele e i marmi e i templi;
Non può la luce di cotanti esempli,
Per li giovani prati aura contempli:
2/193
2/195
8/26
EMPO
Pasce l’avida plebe) amica un tempo
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
Giacea Consalvo; disdegnoso un tempo
Il sospirato obblio. Qual da gran tempo,
Non ti fu l’amor mio per alcun tempo;
Dal misero Consalvo in sì gran tempo
Agli accenti d’amor. Passato è il tempo,
Condor si scopre e men gravoso il tempo,
Sì che nocendo usar procaccia il tempo.
Tanta ventura il ciel; ti faccia un tempo
Ritorno a voi; ché per andar di tempo,
De’ miei poveri dì, che sì per tempo
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Del tacito, infinito andar del tempo.
E novellando vien del suo buon tempo,
Gittar da me; null’altro in alcun tempo
Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo
Errai, candido Gino; assai gran tempo,
Crebbero, e tanto cresceranno al tempo
Perché diè lor natura, in ogni tempo
Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo,
Orfane ancor gran tempo
La qual fu donna de’ mortali un tempo,
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
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EMPRE
Non altro convenia che il pianger sempre.
Che te perdo per sempre. Ohimè per sempre
Ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Chi non sentì? Pur sempre
Or poserai per sempre,
Senza fin vola e volerà mai sempre
Con mediocrità, regnerai sempre,
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EMULE
E voi, pupille tremule,
20/133
EN
Il volto era seren.
Nello spossato sen.
20/68
20/72
38
Si maraviglia il sen.
Solo da te mi vien.
20/148
20/152
ENA
Ma non senza de’ Persi orrida pena
Con le zanne la schiena,
Se di cosa terrena,
Che saldi men che cera e men ch’arena,
(Memorando ardimento) in su la scena
Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena
E se pur vita e lena
Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.
Veleggiar tra le nubi, o che serena
Altri che noi, già senza tedio e pena
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
Par, come d’urna piena,
Qui su l’arida schiena
Strinse i mortali in social catena,
E di metalli e d’infocata arena
Scendendo immensa piena,
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ENDA
O ne’ campi ove splenda
18/5
ENDE
Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
Nessun pugna per te? Non ti difende
Bell’opra hai tolta e di ch’amor ti rende,
Qualunque petto amor d’Italia accende.
Se il fato ignavo pende,
Soli, o miseri, a voi Giove contende.
Delle notti reina. Infesto scende
Chi può, se premio ai pii dal ciel si rende.
Come sai, ripregata a me discende,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? O cosa nova imprende?
Osa alla tomba, alle funeree bende
La gentilezza del morir comprende.
Vede perfetta, ch’a disfarla imprende,
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ENDI
Garzon bennato, apprendi,
La sudata virtude. Attendi attendi,
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
E tu certo comprendi
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ENDO
Per altra gente, e non può dir morendo:
La vita che mi desti ecco ti rendo.
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39
E sul colle d’Antela, ove morendo
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Nubi l’occiduo Sol naufrago uscendo,
D’antica selva zefiro scorrendo,
E mentre io taccio, e mentre io non contendo,
Quella per che penando ivi e battendo?
Rimota parte alla campagna uscendo ,
E quella man bianchissima stringendo,
Un’altra volta. Or dunque addio. Ti rendo
In questo specolar gli ozi traendo
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Dimmi: perché giacendo
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Qui neghittoso immobile giacendo,
Per l’estremo del boa. Così vedendo,
Spirti del secol mio: che, non potendo
Materia far; che a quelli, ognor crescendo,
Nulla al ver detraendo,
Con vero amor, porgendo
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
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ENE
Morian per le rutene
Allor, quando traean l’ultime pene,
Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene,
Viva fiamma agitar l’esangui vene,
Dafne o la mesta Filli, o di Climene
Segno arrecò d’instaurata spene
Giunger mai non potria, ben si conviene
Per invidia non già, che non mi tiene
Poi che crescendo viene,
Della festa che viene;
Tutte l’opre terrene,
E di vano piacer la vana spene,
Gioia celeste che da te mi viene!
Non venni a te, che queste nostre pene
Vincer non mi paresse un tanto bene.
Da natura immortal su queste arene,
Segno e sicura spene
E di castoro copriran le schiene.
Di mali immedicabili e di pene
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Piacer prendea di quella vista, e il bene
Come fuggiste, o belle ore serene!
Né si ferma giammai, se non la spene.
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40
ENERE
E voi, pupille tenere,
Anzi d’altrui le tenere
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ENERI
I dolci affanni, i teneri
20/5
ENGA
Chi poi di quella consolar convenga?
23/54
ENGO
Tra lo stuol de’ malevoli divengo:
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ENI
I nostri padri? Ed a parlar gli meni
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
D’inudito fragor; quando gli ameni
Son la gloria e l’onor; diletti e beni
Il giogo: onde m’allegro. E sebben pieni
I lugubri suoi lampi il ver baleni;
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ENNE
Io n’ho gran tema. Or dimmi, e che t’avvenne?
Al moribondo. Ma il suo dir prevenne
Tragge in ozio il nocchiero; ozio il perenne
Tanto crescesse al guardo; infin che venne
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ENNI
Quel fiero giorno biasimar sostenni.
Sei del tuo sesso a cui piegar sostenni
Memorande sentenze! Ond’io solenni
Quando fanciullo io venni
17/129
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36/1
ENO
Ed acri punte premeravvi al seno.
Chi degli occhi il baleno?
Terra s’alberga o nell’equoreo seno,
Pietosa no, ma spettatrice almeno.
Turbare egli temea pinta nel seno,
E quel di non aver goduto appieno
E il piacer che passò cangia in veleno,
Dopo il giorno sereno,
Che la beata gioventù vien meno.
Ma la lena e la vita or vengon meno
Opra e pensier si provvedesse, e pieno,
L’amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Mirava il ciel sereno,
Quel ch’io sentiva in seno.
Questo viver terreno,
E perir dalla terra, e venir meno
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Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
È come un giorno d’allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Fermar lo sguardo di costanza pieno,
Osa ferro e veleno
Solo aspettar sereno
Nel tuo virgineo seno.
Saver del secol mio. Né vidi meno
E la face del dì non vengon meno.
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno,
Ma nella vista ancor l’era il baleno
Fermò l’andare, e il cor le venne meno.
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39/70
39/72
ENSA
Giacque ruina immensa
L’ultima volta, or son più lune. Immensa
Cui natura apprestò, mal si compensa.
Chi d’altrui danni si conforta, e pensa
E intanto riede alla sua parca mensa,
La sua stessa beltà, donna non pensa,
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ENSE
Seggiole, canapè, sgabelli e mense,
32/117
ENSI
Cura nessuna; e già non sai né pensi
O gioconde o moleste opre dispensi
Opre de’ servi. E che pensieri immensi,
Che smisurato amor, che affanni intensi,
Dell’esser nostro. Oggi d’eccelsi, immensi
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19/5
22/19
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ENSO
Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
D’amarissimi casi ordine immenso
Giaccian le membra mie, né spirto o senso
Fatta inanime e muta; ogni altro senso,
Abisso orrido, immenso,
Con desiderio intenso,
Del secolo i bisogni omai non penso
4/17
4/21
8/38
16/36
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ENTA
Di’: quella fiamma che t’accese, è spenta?
A tal de’ suoi ch’affaticata e lenta
A cui templi chiedeste, e frodolenta
Pristino velo; e di sperar contenta
Di quella speme che sotterra è spenta.
Desio d’esser beati; a quello intenta
2/182
2/178
6/23
8/102
15/33
19/40
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Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
Tu se’ queta e contenta;
Con la man violenta
A cui pace e vecchiezza il ciel consenta.
Argento ed or disprezzerà, contenta
E di fuor da ogni lato, assidua, intenta
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21/11
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32/178
ENTE
Che fien lodate e chiare eternamente
Che se il fato è diverso, e non consente
Conforto a nostra sventurata gente,
Gl’itali pregi a celebrare intente.
Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Venner le carte; alla stagion presente
Da mediocrità: sceso il sapiente
Poi che dormono i vivi; arma le spente
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Se stesso obblia, né delle putri e lente
Che riparo non ha? Dolor non sente
Tu sì placida sei? Tu la nascente
Di pastori e di lieti ozi frequente
E le morte stagioni, e la presente
E l’antica natura onnipossente,
Quella che sola e sempre eragli a mente,
Forse tu l’innocente
Or leve intra la gente
Perseguitando; e chi la propria gente
Di natura e del ciel, fecondamene
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Morte chiamai più volte, e lungamente
Sul conscio letto, dolorosamente
Al rapito mortal primieramente
Dolcissimo, possente
Dominator di mia profonda mente;
Mondano conversar vogliosamente,
Quando novellamente
Un desiderio di morir si sente:
Meditar lungamente,
E nell’indotta mente
D’amor la disciplina. Anco sovente,
Nel mio sangue innocente
Per antica viltà l’umana gente;
E più tenui le membra, essa la mente
E il seno, onde la gente
Sien l’eclittica o i poli, eternamente
Come d’aeree gru stuol che repente
Tra il fumo degl’incensi il dì vegnente!
Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente
Vecchiezza e gioventù del par contente,
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43
Del cammin lungo che avanzar si sente
Caduto lo splendor che all’occidente
Poco men lievi ancor subitamente
Son dell’umana gente
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Scender gli autori, e conversar sovente
Con lungo affaticar l’assidua gente
Preda al flutto rovente,
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Seco perpetuamente
Dove naturalmente
Di questa notte, che mi torna a mente
Spento il diurno raggio in occidente,
De’ cani era la voce e della gente;
33/30
33/52
34/47
34/50
34/91
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34/193
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37/2
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39/3
ENTI
Qual tanto amor le giovanette menti,
L’ora estrema vi parve, onde ridenti
Perché le nostre genti
Dell’antico sopor l’itale menti
Io so ben che per te gioia non senti,
Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti
Degli avi e de’ parenti
Semivestiti, maceri e cruenti,
Diceano: oh non le nubi e non i venti,
De’ nostri alti parenti,
Benigno sì che per tua man presenti
Obblivion dalle perverse menti
Clade non torce dalle abbiette genti
Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Primavera odorata, inspiri e tenti
Rigide balze, i luttuosi accenti
Non vano error de’ venti,
Etra insegnava. E te d’umani eventi
Futuri seggi di lodate genti
Di colpe ignara e di lugubri eventi,
Nelle profonde selve ira de’ venti,
Nostro furor; le violate genti
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Odi greggi belar, muggire armenti;
I suoi tremuli rai fra le cadenti
Balconi. Infesto alle malvage menti,
Di cocchi e di cavalli, e le frequenti
Ragionando talor, fieno alle genti
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Questa la sorte dell’umane genti?
Con più sospiri ardenti
Esecutor di musici concenti
Se polve ed ombra sei, tant’alto senti?
1/89
1/92
2/1
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44
Da sì basse cagioni e desti e spenti?
De’ tuoi dolci parenti
Immaturo perir, come il consenti
In quei capi innocenti?
Di lor menstrua beltà gli appartamenti;
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Di muggito d’armenti;
Agli ozi de’ potenti
31/56
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34/28
ENTO
Piegar non soffri al dubitoso evento?
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non è ch’ove più lento
A percoter ne rieda ogni momento
Fu del grembo materno, e violento
Anzi pien di travaglio e di lamento
Dimmi, tenero core, or che spavento,
Presso al qual t’era noia ogni contento?
Il cor non si spaura. E come il vento
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
O graziosa luna, io mi rammento
Ed erba o foglia non si crolla al vento,
O seder sovra l’erbe, assai contento
Fatto ardito il morir. Morrò contento
Obbietto non intende, o che all’intento
L’umana stirpe; a quale ultimo intento
Desio di gloria antico in me fia spento:
Dolore anco fu spento,
E di più far lamento
E in su l’aiuole, susurrando al vento
Ampie finestre sibilando il vento,
Quando soleva ogni lontano accento
Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Questo io conosco e sento,
Qualche bene o contento
Onde in lungo tormento,
Folgori, nembi e vento.
Meco sarai per morte a un tempo spento:
Ch’a vivi segni dentro l’alma io sento
Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Mia delizia ed Erinni! E mai non sento
Pur quell’ardor che da te nacque è spento:
Per natural virtù, dotto concento;
Ma se un discorde accento
Torna quel paradiso in un momento.
Alfin dall’empia madre oppresso e spento.
Ben mille ed ottocento
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45
E il villanello intento
Là dov’io nacqui, mi divise il vento.
La sorella del sole, e fea d’argento
I ramoscelli ivan cantando al vento,
Fra i tronchi un rivo fea dolce lamento.
E intanto al bosco si destava il vento,
E si fea più gagliardo ogni momento,
Tra le frondi ogni augel per lo spavento.
Ardendo sì, ch’alfin dallo spavento
E si rivolse indietro. E in quel momento
Ed acchetossi il tuono, e stette il vento.
Ogni mondano evento
Che giusta suo talento
34/240
35/4
39/8
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ENTRA
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
22/58
ENTRE
Soave e tristo, la porgeva. Or mentre
15/81
ENTRO
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
Ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro
16/76
22/56
ENZA
Necessità diverse, a cui non senza
Fin la presente età, che in conoscenza
La lima è consumata; or facciam senza.
19/32
34/196
36/15
EO
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
D’emula brama il punse. E nell’Alfeo
5/16
5/19
EPI
E la lucciola errava appo le siepi
22/14
EPITA
Qual dell’età decrepita
20/73
ERA
Ma non la più recente e la più fera,
Vide la patria tua l’ultima sera.
Trasse la vita intera,
Vittorio mio, questa per te non era
Della saggia Rebecca, in su la sera,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
Tu, solingo augellin, venuto a sera
O mia diletta, ed io son vivo, ed era
Provar dovesse, a me restasse intera
Pien di dolcezza; indelibata, intera
2/100
2/102
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11/27
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46
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Del mattin, della sera,
Rida la primavera,
T’acqueta omai. Dispera
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
A dar di colpo in mezzo al prato; ed era
Che gocce fredde giù per l’aria nera
E il tuon veniale incontro come fera,
E cresceva la pioggia e la bufera.
23/14
23/15
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23/74
28/11
28/15
37/9
39/59
39/61
39/63
ERBA
Lacrime al nobil sasso Italia serba!
Voi, di ch’il nostro mal si disacerba,
Moti del cor, la rimembranza acerba.
Smisurata e superba,
Di questa età superba,
E conforto e vendetta è che su l’erba
Furiosa tra l’erba
Di nostra etade acerba,
L’alma vota e superba
2/61
2/64
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23/91
26/59
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ERBE
Vissero i fiori e l’erbe,
Greggi, fontane ed erbe;
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
7/39
23/13
23/113
ERBI
Spiar sommessamente, a’ tuoi superbi
29/98
ERBO
Sospirar mi farà, farammi acerbo
22/101
ERCA
Felicità, cui solo agogna e cerca
19/24
ERCI
Ferrate vie, moltiplici commerci,
32/43
ERCIA
Né maraviglia fia se pino o quercia
32/46
ERDE
In mille vane amenità si perde
Li cacciammo: or che resta? Or poi che il verde
Giovane son, ma si consuma e perde
Virtù del caro immaginar non perde
Così come solea nell’età verde,
Né mi diceva il cor che l’età verde
3/114
3/118
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19/112
19/116
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ERDO
47
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
22/46
ERE
E le montagne vostre al passeggere
Coprìr le invitte schiere
Ingannato non già, ma dal piacere
E visioni altere
Crea nel vago pensiere,
Contrarie in campo le fraterne schiere
Ostil, distruggitrice, e dentro il fere
1/69
1/72
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31/40
31/41
32/65
32/177
ERGHI
Per nudi scogli e desolati alberghi,
Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
D’un popol di formiche i dolci alberghi,
7/66
16/87
34/205
ERGO
Son le tue scole, e ti si volge a tergo
(Se numi avete in Flegetonte albergo
Già di candide ninfe i rivi albergo,
Sarà, se al gener nostro il proprio albergo
Che natura ci diè. Per questo il tergo
6/18
6/20
7/23
32/95
34/80
ERI
Ve’ cavalli supini e cavalieri;
E correr fra’ primieri
O donne, o cavalieri,
Fole e strani pensieri
Beltade onnipossente, e degli alteri
Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Un canto che s’udia per li sentieri
Per variar d’affetti e di pensieri,
Come i più degni tuoi moti e pensieri
Son così di leggeri
Disse, o mal venturoso, e di piaceri
Per novo lavorio son di mestieri;
Questa virile età, volta ai severi
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
A lui strage ed ai figli ed agli averi
1/109
1/112
3/112
3/116
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4/80
13/20
13/44
22/80
31/54
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34/144
34/145
34/247
ERLA
Regni, imperi e ducati; e già tenerla
32/32
ERME
E le colonne e i simulacri e l’erme
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Venne nel petto; onde privato, inerme,
E questo vano campo all’ire inferme
Ristori il sole, e perché l’aure inferme
1/2
1/6
3/158
3/162
7/2
48
Credano il petto inerme
Intenderlo potessi, e il capo inerme
Uom di povero stato e membra inferme
7/5
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34/87
ERMI
Necessità gl’infermi
6/32
ERMINE
Desiderato il termine
20/69
ERMO
Vecchierel bianco, infermo
L’onda degli anni; ai mali unico schermo
Che gli fu dalla fame unico schermo,
23/21
30/61
34/265
ERNA
I vòti anni prendendo, e la superna
Per volger d’anni; a cui serbare eterna
Nella chiusa bottega alla lucerna,
19/54
19/113
25/35
ERNI
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
33/46
ERNO
M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno
Plebe successe; al vostro sangue è scherno
O su le nubi) a voi ludibrio e scherno
Lodando ridirà; molto all’eterno
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
Si elegge a passar l’ore, e nel fraterno
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Maggior mi sento. A scherno
A tal venuto il gran travaglio interno
È notte senza stelle a mezzo il verno,
Immagine del ciel. Misterio eterno
3/36
3/40
6/20
8/3
12/11
19/89
21/40
22/169
26/65
27/76
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31/22
ERO
Che angoscia era la tua fra quel pensiero
Quel pensier che nel dì, che lusinghiero
Tutto questo parea nell’emisfero:
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Questo feral mio dì. Pesami, è vero,
Ha i suoi diletti il vero. E se del vero
All’apparir del vero
O forse erra dal vero,
Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Per còr le gioie tue, dolce pensiero,
In molta parte onde s’abbella il vero
10/14
10/16
10/18
13/35
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23/140
24/17
24/18
26/88
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49
Sei tu, dolce pensiero;
Nell’alte vie dell’universo intero,
Che chiedo io mai, che spero
Altro più dolce aver che il tuo pensiero?
Inspirasti alcun tempo al mio pensiero,
Sente de’ cari suoi. Che se nel vero,
L’uomo obbliando, a ricercar si diero
E del perduto impero
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Vuoi di novo il pensiero,
Così ti spiacque il vero
Mortal prole infelice, o qual pensiero
26/110
26/144
26/145
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29/62
30/81
32/201
34/11
34/13
34/73
34/78
34/199
ERRA
Fosse del sangue mio quest’alma terra.
Chiuda prostrato in guerra,
Mutato sei da quel che fosti in terra.
E gli uomini e le belve immensa guerra.
Stanca ed arida terra,
Questa misera guerra
Reina un tempo e Diva. Or poi ch’a terra
Emerse il disperato Erebo in terra.
Vivi felice, se felice in terra
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Presso alla fin di sua dimora in terra,
E pago avessi tu, fora la terra
Come stimai gran tempo, ahi lice in terra
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
Della sventura mia; quando la terra
Che noi mortali in terra
Allor questo deserto: a sé la terra
Pongon le membra giovanili in terra.
A cui movi, è sotterra:
Poi solitario abbandonato in terra,
Tal fosti: or qui sotterra
Ghiande non ciberà certo la terra
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Non pur quest’orbe, promettendo in terra
Maturità senz’altra forza atterra,
Scheletro, cui di terra
1/133
1/136
2/138
2/142
3/157
3/161
6/55
8/21
9/61
13/22
17/1
17/104
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22/97
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30/23
30/95
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32/55
34/64
34/65
34/105
34/204
34/272
ERRO
E rifugio non resta altro che il ferro.
16/22
ERSA
Dal temuto bollor, che si riversa
34/253
ERSE
Delle cavalle vincitrici asterse
Possa de’ morbi e di sciagura offerse,
5/21
8/13
50
Visse nato mortal. Me non asperse
Campi del tutto la natura aperse,
Della bruna viola, a me si offerse
E infranse e ricoperse
9/62
19/83
29/17
34/225
ERSI
E i servigi diversi
Delle prose e de’ versi.
36/9
36/12
ERSO
D’aria e d’ingegno e di parlar diverso
Dove giaccia colui per lo cui verso
Suo lieto, un detto d’alcun dolce asperso,
2/18
2/21
17/15
ERTAMI
Ed alla mano offertami
20/61
ERTE
La generosa stirpe: anzi coverte
32/61
ERTI
Scellerate occupò: ne’ corpi inerti
Delle ardenti lucerne, e degli aperti
Di ceneri infeconde, e ricoperti
8/53
16/90
34/18
ERTO
Di lor querela il boreal deserto
E i negletti cadaveri all’aperto
Disse la fama esperto,
E i destrier che dovean farmi deserto,
Ed io timido e cheto ed inesperto,
L’orecchio avido e l’occhio indarno aperto,
L’abborrita vecchiezza, avrei sofferto
Fuggirà l’avvenir; di voi per certo
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Così qual son de’ nostri mali esperto,
Per lo mortal deserto
O per le chiome fluttuanti, o certo
Già largamente; ma la speme io certo
Cresci, cresci alla patria, o maschia certo
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Avarizia o pietà rende all’aperto;
2/154
2/157
7/70
10/41
10/43
10/45
17/107
22/99
23/98
26/93
26/97
32/33
32/255
32/266
34/67
34/273
ERVO
Il debole, cultor de’ ricchi e servo
32/91
ESA
Oprate e mostre nella dolce impresa?
Sì che nell’alma accesa
Al misero desio nulla contesa
2/48
2/50
6/68
51
ESCA
Degli augelli susurro, e l’aura fresca,
16/9
ESCE
D’ogni altro danno, accresce
34/121
ESE
Obbrobrio laverà nostro paese!
Schiera prode e cortese,
Il ciel fatto cortese
Dal rimembrar delle passate imprese
Nostra placida nave in porto ascese.
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
E poi che finalmente mi discese
E delle rote il romorio s’intese;
Vero amore alla terra. Assai palese
Mossi alle nostre offese
O natura cortese,
Della guerra comune. Ed alle offese
2/31
2/33
5/51
5/52
8/103
9/52
10/50
10/52
10/54
17/89
24/40
24/42
34/135
ESI
O mal grati i miei detti o non intesi,
Questa vita che sia per prova intesi,
19/154
26/45
ESO
Sarei dalle tue braccia; e ben disceso
17/117
ESPERO
Invan brillare il vespero
20/53
ESPRO
Vede l’alba tranquilla e vede il vespro,
19/14
ESSA
Né tu finor giammai quel che tu stessa
29/61
ESSE
Dell’indomita Parca si volvesse
Del trepido, rapito amante impresse.
Che governa il cor mio, se non l’avesse
E confuso il desio, men loco avesse
Non punto inerme a viva forza impresse
Nonadecima età più che potesse
Dall’ignea bocca fulminando oppresse
9/43
17/74
17/93
19/36
29/29
32/187
34/31
ESSI
La riparata gente. Agl’inaccessi
I viali odorati ed i cipressi
Delle passate età, forza è che impressi
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
8/67
22/16
32/98
34/238
52
ESSO
Nel doloroso amplesso
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Che di quest’anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Il sorriso d’amor! Felice appresso
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Per prima cosa; e in sul principio stesso
Rimaner di se stesso,
Lor poverelli. E spesso
7/54
9/37
11/57
11/58
17/121
22/31
22/117
22/159
23/42
30/88
34/248
ESTA
E l’inquieta notte e la funesta
Cognati petti il vincitor calpesta,
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Tutta vestita a festa
Io solitario in questa
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
Quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
Infinito seren? Che vuol dir questa
Passata è la tempesta:
Ornare ella si appresta
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Da soave armonia quasi ridesta,
Se ben, perché funesta,
Sempre il buono in tristezza, il vile in festa
Dell’universo, e di savere a questa
Orba la notte resta,
Costei chiama inimica; e incontro a questa
L’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Invan la pioggia invoco e la tempesta,
Pure il vento muggia nella foresta,
Pria che l’aurora in ciel fosse ridesta.
6/78
6/80
9/20
11/32
11/36
12/13
15/47
20/82
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24/1
25/6
25/49
25/50
29/6
30/51
32/86
32/152
33/15
34/126
34/230
38/2
38/4
38/6
ESTE
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Delle donzelle, e per conviti e feste
22/68
22/160
32/264
ESTI
E all’Erebo scendesti
Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti
Disse colei. Son morta, e mi vedesti
Questo è quel mondo? Questi
Ed a quel suon diresti
4/84
4/86
15/23
21/56
25/22
53
L’altro in vita serbar? Come potesti
Di giorno in giorno diverran le vesti
Non per voler ma per fortuna avesti;
Tue stirpi non credesti
30/104
32/110
34/313
34/316
ESTO
Che risaper tu lo dovessi; e questo
Dono del ciel, ma grave, amaro, infesto
Sarei dannato a consumare in questo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
A’ bei pensieri infesto,
E degno tuo disprezzator, calpesto.
Già se sventura è questo
L’uomo non pur, ma questo
15/16
19/103
22/29
22/47
26/67
26/68
30/75
34/172
ESTRA
Non colorò la destra
Che stupido mirò l’ardua palestra,
Con un sospiro, all’adorata destra
Questa terra natal: quella finestra,
Odorata ginestra,
E tu, lenta ginestra,
5/15
5/17
17/57
22/141
34/6
34/297
ESTRE
E ragionar con voi dalle finestre
22/4
ETA
Occulto sonno del maggior pianeta?
Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta
Spirar le foglie, e palpitar segreta
Solitarie fuggendo e la secreta
Va radendo le mura e la secreta
Le travagliose strade, almen la meta
Emendar, mi cred’io, non può la lieta
Troppo felice e lieta
E queto il fumo delle ville, e queta
Quand’ella, volta all’amorosa meta,
Quanto foss’altra mai vezzosa e lieta.
3/96
3/100
7/53
8/44
16/88
30/65
32/186
33/34
39/2
39/4
39/6
ETE
Visse l’umana stirpe; alle secrete
Silenzi, e profondissima quiete
Tien quelle rive altissima quiete;
O qualor nella placida quiete
Sonavan le quiete
Presentendo in suo cor, brama quiete,
8/99
12/6
16/33
16/60
21/7
27/41
ETI
Della menzogna il vero? A noi di lieti
5/34
ETO
54
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Solo una volta il lungo amor quieto
Troppo mite decreto
9/65
17/103
33/39
ETRA
Si spense il lampo, e tornò buio l’etra,
Taceva il tutto; ed ella era di pietra.
39/74
39/76
ETRO
Evitar non impetro,
Del dì presente più noioso e tetro,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Non ti fu quest’affetto, al mio feretro
E già muggiva il tuon simile al metro
Talvolta ella ristava, e l’aer tetro
Sì che i panni e le chiome ivano addietro.
11/52
11/55
11/59
17/147
39/53
39/55
39/57
ETTA
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Cade, risorge, e più e più s’affretta,
La levatrice! A cui veder s’aspetta
Sospettoso alla vetta
Altri l’etade aspetta;
La mente non prometta.
9/24
13/40
23/30
32/137
34/244
40/14
40/18
ETTE
Oh venturose e care e benedette
O tessaliche strette,
Fremono i poggi, dalle somme vette
Ingenerose, abbiette
Da pamphlets, da riviste e da gazzette
1/61
1/65
6/81
26/54
32/206
ETTI
Tanto valor ne’ molli eterni petti.
I casi acerbi e gl’infelici affetti
Spettacol molle ai disperati affetti.
Giù da’ colli e da’ tetti,
Alfin l’errore e gli scambiati oggetti
Senno con libertà. Che se d’affetti
L’innocuo nereggiar de’ cari aspetti.
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Ai presenti diletti
La breve età commetti.
6/48
6/50
9/7
25/18
29/46
29/106
32/274
33/4
33/5
41/23
41/24
ETTO
Voi spirerà l’altissimo subbietto,
Del furor vostro e dell’immenso affetto?
Dell’ignoto ricetto
Degli astri albergo, e del rimoto letto
2/52
2/55
3/92
3/94
55
Amor, chi ben l’estima, e d’alto affetto
Siede l’alma di quello a cui nel petto
Il bianchissimo petto,
Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto
Del consueto obblio gravido il petto,
Sorti del mondo: e come prima il tetto
Perché seco dovea sì dolce affetto
E non sereno, e non intero e schietto,
Al cor mi discendea tanto diletto?
Che voglia non m’entrò bassa nel petto,
Vive quel foco ancor, vive l’affetto,
Da cui, se non celeste, altro diletto
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Doglia m’oppresse a queste voci il petto.
Che mi strugge, esclamai; per lo diletto
A me sempre benigno il tuo cospetto
Eternamente chiuderà. Ciò detto
Muto sarebbe l’infinito affetto
A quella voce angelica, all’aspetto
Né men vano che a noi, vive nel petto
Mai non si parte il riso; ahi, ma nel petto,
Era l’antico affetto:
Nell’intimo del petto
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Timor di morte non mi strinse il petto.
Quella che il mondo inetto,
Anzi qual altro affetto
Al paragon di lui? Solo un affetto
Soleami il vero aspetto
Cresce quel gran diletto,
Di qual mia seria cura ultimo obbietto
Un amoroso affetto,
Languido e stanco insiem con esso in petto
D’amor vero e possente è il primo effetto.
Donna, la tua beltà. Simile effetto
Che tanto amai. Giace per sempre, oggetto
Sola, peregrinando, il patrio tetto
O dispiacevol sia, tristo il ricetto
Da quel tuo grave aspetto
Non tornerai. L’aspetto
Questo se all’intelletto
D’alta pietade ai più costanti il petto.
Sozzo a vedere, abominoso, abbietto
Quasi angelico aspetto,
Rise l’alta progenie, e me negletto
Nelle pubbliche cose. Il proprio petto
Par che col grave e taciturno aspetto
Da verace saper, l’onesto e il retto
Il meschino in sul tetto
Al futuro oppressor; ma non eretto
E certissimo detto
4/47
4/49
4/83
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6/93
6/95
10/8
10/10
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10/98
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17/92
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19/69
20/26
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26/137
27/29
27/30
27/33
29/34
29/71
30/4
30/10
30/12
30/20
30/41
30/43
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31/35
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32/235
34/12
34/151
34/249
34/309
41/2
56
Ma questa voce in petto
Tutti prestiam ricetto.
41/6
41/9
EVA
M’apri alla vista. Ed ancor io soleva,
Addio per sempre. E contraddir voleva,
Quel che da lui moveva
16/95
17/39
31/37
EVE
Questo vagar mio breve,
Men capace e men forte anco riceve.
Adulando ubbidir: così per breve
23/19
29/60
32/249
EVI
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d’ignoto amante inno ricevi.
Giorno, o mio cor, traevi,
Che sì fugaci e brevi
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Con la man leggiadrissima stringevi
18/54
18/55
20/78
20/79
21/12
21/13
21/42
29/25
EVO
Sterminator Vesevo,
34/3
EZZA
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La giovanezza mia come vecchiezza;
Ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza,
L’esser vissuto indarno, e la dolcezza
Non donò che il morire. Omai disprezza
11/49
11/50
15/52
17/106
22/102
28/13
EZZE
La pubblica letizia, e le dolcezze
32/21
EZZI
Della virtude a tollerar s’avvezzi
La vergognosa età, condanni e sprezzi;
4/63
4/65
EZZO
Del suo destino; or già non più, che a mezzo
17/3
I
Nutrii nell’alma un dì!
Il cor non mi ferì:
Degli anni miei così:
Il cielo a noi sortì.
20/44
20/48
20/76
20/80
IA
57
Piangi, che hai ben donde, Italia mia,
E nella fausta sorte e nella ria.
Non per li patrii lidi e per la pia
Alma terra natia,
Serse per l’Ellesponto si fuggia,
Simonie salia,
O Italia, a cor ti stia
Volgiti indietro, e guarda, o patria mia,
Per lo toscano suol cercando gia
Ed, oh vergogna! Udia
Carri impedita la dolente via;
Voce di libertà che ne schernia
Chi ti compiangeria,
Ha nome di follia;
Maschia virtù, non già da questa mia
Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia
Precipite l’alpina onda feria
Che dicevi, o mio cor, che si partia
Il cuocer, non più tosto io mi sentia
Che l’aleggiava, volossene via.
Serena ogni montagna. O donna mia,
In così verde etate! Ahi, per la via
Stille saetta, alla capanna mia
Né la tua voce udrò! Dimmi: ma pria
E teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo india.
Commoverammi il cor; quando mi fia
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
Colà dove la via
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Ad ogni usata, amante compagnia.
Tornata in su la via,
Chi la vita abborria;
Giammai d’allor che in pria
D’ogni altra leggiadria,
Sola vera beltà parmi che sia.
Da che ti vidi pria,
Ma pur mesta sei tu. Grata la via
Mal s’indovina. Ahi ahi, né già potria
Veder d’in su la soglia levar via
Per la mondana via;
Rimemorar la scorsa compagnia?
Qualunque nome. Questa legge in pria
E cantando, con mesta melodia,
Saluta il carrettier dalla sua via;
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
1/18
1/20
1/55
1/59
1/75
1/79
2/7
2/11
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58
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L’umana compagnia,
E i collicelli intorno rivestia
Sola tenea la taciturna via
Molle passar sul volto si sentia.
Ma per sentenza mia,
Patir non sosterria,
34/128
34/129
39/17
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39/21
40/29
40/31
IBO
Nel costante pensier, sostegno e cibo
17/17
ICA
Perché, perché? Dov’è la forza antica,
Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
Vaga natura, e la favilla antica
Cosa veruna in ciel, se nell’aprica
D’in su la vetta della torre antica,
Steso nell’aria aprica
Cadendo si dilegua, e par che dica
Più le commova, e lor quiete antica
Lidi turbando la quiete antica
Nasce l’uomo a fatica,
Che di vote speranze si nutrica,
Vaga di ciance, e di virtù nemica;
La bella speme tutti ci nutrica
Onde ciascuno indarno s’affatica:
Altri l’aurora amica,
1/28
1/31
7/90
7/93
11/1
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ICCHIA
Come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia,
37/18
ICE
Porto quel che mi lice,
L’infelice famiglia all’infelice
L’empio fato interdice
È la prole infelice
Al guardo giovanil questa infelice
Ch’estranio sia, chi si diparte e dice,
Lingua mortal non dice
Prole cara agli eterni! Assai felice
Se respirar ti lice
Dell’atlantico mar, fresca nutrice
E giustizia e pietade, altra radice
2/71
4/10
4/13
6/22
16/46
17/38
21/26
24/51
24/52
32/63
34/153
ICHE
La candida colomba, e dalle antiche
Pur se talvolta per le piagge apriche,
Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche,
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
8/62
16/56
22/67
22/88
ICHI
59
Questo petto sarà, né degli aprichi
19/128
ICI
Che di fortuna amici
Timor gioco o di speme: onde felici
Ai fervidi, ai felici,
Dolci signori, amici
E le macchine al cielo emulatrici
Imprender con gli amici,
4/24
4/26
27/88
27/91
32/50
34/142
ICO
Non domito nemico
Fu più l’averno che la terra amico
Legge del cielo. E se di vostro antico
E le ridenti piagge benedico:
Ma ruppe alfin la morte il nodo antico
Non adempiam: necessitate, io dico,
Del mio solo conforto allor mendico,
All’amico l’amico,
Profondamente, del mio grave, antico
Se al moderno si opponga il tempo antico,
Ma sé di forza e di tesor mendico
3/62
3/64
8/11
16/10
17/24
19/48
19/137
30/100
32/36
32/225
34/94
IDA
Precipitano i tempi; e mal s’affida
Amore e morte. All’una il ciel mi guida
A un campo verde che lontan sorrida
6/113
17/100
26/31
IDE
Quando più bella a noi l’età sorride,
Moriam per quella gente che t’uccide.
L’amaro ferro intride,
E maligno alle nere ombre sorride.
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Tonando, il tenebroso aere divide.
Supplichevole intendo. A me non ride
Peregrinando aggiunge. Ahi ahi, s’asside
Ecco il sol che ritorna, ecco sorride
Tintinnio di sonagli; il carro stride
2/151
2/153
6/44
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9/13
9/27
19/84
24/19
24/23
IDI
Delle gazzette. Riconobbi e vidi
E tutto fiori il corso umano, e vidi
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
32/20
32/24
34/7
IDO
Poi che dal patrio nido
Ch’abbella agli occhi tuoi quest’ermo lido,
Tra le memorie e il grido
Finché la sposa giovanetta il fido
Di sconsolato grido
4/1
4/4
4/69
4/71
5/25
60
L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.
D’Esperia verde, e al tiberino lido,
L’aonio canto e della fama il grido
Di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido
Il mar la terra e il ciel miro e sorrido.
De’ crepitanti pasticcini, al grido
Mi fia comune, assai finor mi rido.
5/26
6/4
8/88
13/34
29/112
32/15
34/71
IGA
E tu dal mar cui nostro sangue irriga,
6/76
IGILE
La rondinella vigile,
20/45
IGINE
Pur di quel pianto origine
20/25
IGLI
Nell’armi e ne’ perigli
Come sì lieta, o figli,
Misericordia, o figli,
Si debbe, a cui non pur cure o consigli,
Posate, o di costei veraci figli,
Il vostro solo è tal che s’assomigli.
1/88
1/91
2/41
2/45
2/168
2/170
IGLIA
Oimè, quanto somiglia
Della novella età dolce famiglia,
E dell’innumerabile famiglia;
Apre terrazzi e logge la famiglia:
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
All’umana famiglia,
Al cui poter nessun poter somiglia.
Il piagato mortal quindi la figlia
Dal nascer già dell’animal famiglia,
Natura, illaudabil maraviglia,
Indi varia, infinita una famiglia
11/17
11/19
23/92
24/21
24/24
27/92
27/93
29/38
30/45
30/46
32/173
IGLIO
Certo senza de’ numi alto consiglio
Beàr l’eteree menti; e quale, o figlio
De’ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio,
Per cura o per sudor, vegghia o periglio.
Economici studi, e intenta il ciglio
Cavernoso covil torna il coniglio;
È di Giove in poter, di Giove, o figlio,
3/16
8/78
15/58
19/26
32/234
34/23
40/2
IGNA
Error vario lo svia; salve, o benigna
Appar nel mondo, e quel che più benigna
Madre è di parto e di voler matrigna.
16/74
19/107
34/125
61
IGNO
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
13/11
II
Cui nell’anno avvenir facili e pii
Con Pluto e gli altri iddii
40/16
40/17
ILE
Non crescano i tuoi figli, e non di vile
Poiché (nefando stile
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
L’avanzo ignudo e vile,
Io conducea l’aprile
Indi riguardo il viver mio sì vile
Non alla gente stolta, al cor non vile
La vita della morte è più gentile.
Se frale in tutto e vile,
Se in parte anco gentile,
Diritto infra le file
4/25
4/28
14/9
20/74
20/75
22/90
26/86
26/87
31/51
31/53
34/275
ILI
L’improba mano al curvo aratro, e vili
Mista la tigre ai consueti ovili
L’orme intricate e false, e dai covili
8/51
8/95
16/73
ILLA
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Elvira, addio. Con la vital favilla
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
E spesso al suon della funebre squilla,
Preme il tenero sen che vita instilla;
11/29
11/31
17/144
20/50
20/51
20/138
20/139
27/56
32/185
ILLE
Di sconsolato pianto le pupille,
Ben mille volte ripetuto e mille
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Veder gioia regnar, cittadi e ville,
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Grande quanto una secchia, e di scintille
15/97
17/16
22/18
32/277
33/7
33/8
37/10
ILO
Da Marocco al Catai, dall’orse al Nilo,
32/29
IMA
Perché il nascer ne desti o perché prima
2/121
62
E da mordace lima
Scampi l’iniquo germe, o tu cui prima
Maggior di sé, ma perché tale estima
Vagheggiare ed amar confuso estima.
L’indomito mio cor. Narra che prima,
Un edificio innalza; e come prima
D’alto artificio a contemplar, non prima
O salve, o segno salutare, o prima
Non chiama sé né stima
Tutti fra sé confederati estima
2/125
8/59
22/35
29/43
29/92
32/157
32/162
32/260
34/89
34/130
IME
Gl’ispidi tronchi al petto altri nell’ime
7/50
IMI
Umana sorte, in cangiar terre e climi
19/79
IMILE
Qual fui! Quanto dissimile
20/41
IMO
Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Alle macere cure, innalza; e primo
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
Premer fu dato. Anzi felice estimo
Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo
April degli anni tuoi, altrui giocondo e primo
Ove il tempo mio primo
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Com’io per fermo estimo,
E quell’error che primo
3/106
8/47
16/8
17/98
17/150
19/102
21/17
22/89
30/82
34/147
IMPO
E demenza maggior l’offeso Olimpo
8/16
INA
Vedi afflitta costei, che sì meschina
Fu fortunata allor donna e reina.
Col divo carro accerchia, a voi s’inchina.
Roma antica ruina;
Le sciagure e gli affanni, alla reina
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Odi augelli far festa, e la gallina,
Tanto alla morte inclina
Non tardar più, t’inchina
Questi occhi tristi, o dell’età reina.
Nell’alma a sgomentarsi ancor vicina
Pentole ammirerà l’arsa cucina.
Alla prole vegnente il ciel destina.
Di Capri la marina
2/92
2/96
4/37
6/82
16/19
23/61
23/81
24/2
27/74
27/104
27/107
29/7
32/121
32/134
34/256
63
E di Napoli il porto e Mergellina.
A pormi con le Muse in disciplina,
A veder l’officina.
34/257
36/2
36/6
INE
Sempre vivete, o care arti divine,
Fra l’itale ruine
Non ha verun confine?
Mira queste ruine
E salita è la turba a un sol confine,
Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine
Tempo forse verrà ch’alle ruine
Forse fien volti, e le città latine
Tutto l’orbe trascorre, ogni confine
E delle gioie mie vidi la fine.
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Né di fiori olezzar vie cittadine,
Provveggono i mercati e le officine
Che te signora e fine
2/65
2/67
2/189
2/192
3/174
3/178
5/40
5/44
19/81
22/6
22/96
25/7
25/8
29/12
32/254
34/188
INFE
Lubrico piè le flessuose linfe
9/34
INGA
Paurose latebre Eco solinga,
Di pura civiltà, sempre che spinga
Quale in notte solinga,
7/61
32/64
33/1
INGE
Mortali egro, anelante, aduna e stringe
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
Udendo le si fea: che sempre stringe
Se vera e quale il mio pensier ti pinge,
Rosseggia, e i lochi intorno intorno tinge.
8/49
16/27
17/36
18/25
34/288
INGI
Il tuon rapido spingi,
Ne’ giusti e pii la sacra fiamma stringi?
6/29
6/30
INGO
Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo!
17/83
INGUA
Al comun fato, e che con franca lingua,
34/114
INI
Lorda il tiranno i crini;
Dal buio polo ai torridi confini.
Morir che tu destini
4/98
4/102
30/76
64
INO
Consolarmi non so del mio destino.
Dello scabro Apennino
Volge gli occhi bramosi il pellegrino;
Sua celeste beltà, ch’io, per insino
Aureo secolo omai volgono, o Gino,
Filosofar, che sapienza, o Gino,
Conversar cittadino,
Dei mozzi colonnati il peregrino
Per sì lungo cammino
22/94
26/30
26/32
29/81
32/38
32/210
34/152
34/276
34/293
INSE
La patria vostra, ma di chi vi spinse
Oh di costei ch’ogni altra gloria vinse
L’altro polo di vaga iri dipinse.
D’implacato desio furor mi strinse,
Rinacerbir col niego; anzi la vinse
Sentì gelida far la man che strinse;
Visibilmente di pallor si tinse,
2/172
2/176
8/64
9/60
17/65
31/14
31/16
INSELA
Non l’annullàr: non vinsela
20/113
INTA
Di schiatta ignava e finta)
Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
Ella seguì: nel fior degli anni estinta,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Incolume il desio, la speme estinta,
Dopo l’antica obblivion, l’estinta
4/29
4/30
15/26
21/41
33/48
34/270
INTI
Vedi intralciare ai vinti
Ve’ come infusi e tinti
Sfortunati saranno, afflitti e vinti;
1/110
1/114
32/73
INTIMO
Nessuno ignoto ed intimo
20/137
INTO
All’amante l’amore: e l’uno estinto,
Traboccare il piacer; quel collo, cinto
30/103
31/11
IO
Combatterò, procomberò sol io.
Agl’italici petti il sangue mio.
Ecco voglioso anch’io
E mesco all’opra vostra il canto mio,
E grave è il nostro disperato obblio,
Novo grido de’ padri. Ancora è pio
1/38
1/40
2/69
2/72
3/18
3/20
65
Candido rivo il puro seno, al mio
Al mio loco natio,
Immensità s’annega il pensier mio:
Di quella Roma, e l’armi e il fragorio
Facea più sconsolato il dolor mio.
Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio.
Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio
Di vergine speranza e di desio
Amor, di te m’accorsi, e il viver mio
Ogni moto soave al petto mio.
Scopriva umani aspetti al guardo mio.
Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio
A palpitar mi sveglio. E potess’io,
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Spirto, e l’ardor natio,
Ogni conforto mio
Felicità fingendo al viver mio!
Il pensier del presente, un van desio
Di contenti, d’angosce e di desio,
Risorge il romorio
Tutta intera la vita al guardo mio!
Parmi innalzar! Dov’io
E tutto quanto il ver pongo in obblio!
Dinanzi al fier disio,
La gente morta al sempiterno obblio,
E spero ultima certo, il ciglio mio
De’ sigari onorato, al romorio
T’abbian fra sé. Non io
Di te nel petto mio,
Ben ch’io sappia che obblio
Di luce nebulosa; al pensier mio
Disse il veglio di Chio,
9/33
11/25
12/14
13/36
15/17
15/91
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22/105
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29/93
32/14
34/63
34/66
34/68
34/183
41/3
IPE
A voi le morte ripe,
6/73
IRA
Toglieasi in man la lira:
Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Paion que’ giorni allor che dalla dira
Per divina beltà famosa Elvira;
Ch’ancor tenea, della diletta Elvira
Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
E celeste beltà fingendo ammira.
Forse beata sei; ma pur chi mira
1/83
1/87
3/48
3/50
17/13
17/78
17/85
20/94
20/95
22/76
30/25
66
Seco pensando, al tuo destin, sospira.
Non dichiarato, il civil gregge ammira.
Quanto estimar si dee, che fede inspira
30/26
32/207
32/218
IRE
Non ne desti il morire,
Grido antico ragiona, altre più dire
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
2/122
8/14
34/119
IRI
Per lo libero ciel fan mille giri,
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
O s’altra terra ne’ superni giri
T’irraggia, e più benigno etere spiri;
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
Che degli eterni giri,
Come d’altri desiri,
Fuor ch’a te somiglianti, altri sospiri.
Che indicibili moti e che deliri
Misera ovunque miri,
Che per vòti palagi atra s’aggiri,
11/10
11/12
16/100
18/50
18/53
22/119
23/101
26/42
26/43
29/65
30/55
34/285
IRLO
Me timido, tremante (ardo in ridirlo
29/95
IRNE
Oggi, e domani abbatterà, per girne
32/215
IRO
Argomento di sogno e di sospiro,
Che divenisti allor? Quali appariro
Dimani all’annottar manda un sospiro.
Spesso quand’io ti miro
Cresce quel gran delirio, ond’io respiro.
Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro,
Il mare, e tutto di scintille in giro
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
17/69
17/75
17/148
23/79
26/129
26/131
34/165
34/174
IRTO
La ritraesse! O glorioso spirto,
Di’: né più mai rinverdirà quel mirto
Ma di ninfa abitò misero spirto,
2/180
2/183
7/63
ISA
E sono immense, in guisa
Ond’ella fosse svelta; in cotal guisa,
34/169
37/19
ISCE
Che a sollevar s’ardisce
34/112
67
ISE
Disse, ambedue; felicità non rise
Mille virtudi oprando in mille guise
15/56
32/168
ISERO
Ma se tu vivi, o misero,
20/157
ISI
Ch’alto mistero d’ignorati Elisi
Vapor, tipi e choléra i più divisi
Co’ tuoi piacevolmente, e che i derisi
29/36
32/44
34/194
ISO
Tanto valor che un tratto alzino il viso.
Che di novo salisti al paradiso!
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Strettemi allato e riguardommi in viso
Soggiunsi, e di pallor velato il viso
Scontro di vaga donzelletta il viso;
Su la tacita via; poscia improvviso
Fatta quindi per sempre un paradiso
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Più vago il giorno e di natura il riso;
Campi il sereno e solitario riso,
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
E se periglio appar, con un sorriso
Le sue minacce a contemplar m’affiso.
E tu comincia a salutar col riso
Guardando in alto: ed ecco all’improvviso
2/90
2/94
11/18
15/6
15/59
16/59
16/81
17/105
18/2
18/6
19/129
20/106
20/107
22/113
26/51
26/52
32/271
37/5
ISSE
Natura a noi prescrisse,
E il viver macro ad altre leggi addisse;
Volenteroso il prode animo addisse.
Le fredde labbra supplicando affisse.
Cupido ti seguì finch’ella visse,
Dottore, emendator, lascia, mi disse
6/54
6/57
8/86
17/58
29/85
32/231
ISSI
D’amor sentii la prima volta, e dissi:
Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi,
Primiera il varco ed innocente aprissi.
Quando colei teneramente affissi
10/2
10/4
10/6
15/87
ISTA
Sole splendeati in vista,
Che in età della nostra assai men trista
Scena del mondo, e gli sorride in vista
Più baci e più, tutta benigna e in vista
3/107
3/109
16/47
17/72
68
La natura mortal, veruno acquista
Altri, quasi a fuggir volto la trista
Che dolci sogni mi spirò la vista
Cinger d’ombra sì trista,
E spaventoso in vista
Ed ossa sei: la vista
19/25
19/78
22/20
30/72
30/73
31/18
ISTI
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
34/14
ISTO
Che a lor vita è mestier, di noi men tristo
Con far misero altrui far se men tristo,
Verrò: che conosciuto, ancor che tristo,
19/41
19/92
19/151
ISTRA
Nidi l’intima rupe, onde ministra
8/108
ITA
Roder la sua virtù, di null’aita
Ahi non il sangue nostro e non la vita
Gota molcea con le celesti dita
Nella stagion ch’ai dolci sogni invita,
Dolor ti strinse di mia negra vita,
Benché nulla d’amor parola udita
Sdegni l’eterno senno esser vestita,
Provar gli affanni di funerea vita;
In ogni umano stato, ozio la vita,
Se oziosa dirai, da che sua vita
L’ingrato avanzo della ferrea vita,
Fatta per me la vita;
La terra inaridita,
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Somiglia alla tua vita
Al pastor la sua vita,
Perché reggere in vita
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Cotesta età fiorita
Che precorre alla festa di tua vita.
E inutile la vita
Pregio non ha, non ha ragion la vita
Ch’ove tu porgi aita
Nova, sola, infinita
Di primavera, del color vestita
A chi si parte, a chi rimane in vita,
Inconsolabil fai tal dipartita?
Fosse ancor dalla vita
Copriran le gazzette, anima e vita
Valida e pronta ed aspettando aita
2/126
2/130
4/77
4/81
15/68
17/19
18/47
18/49
19/8
19/15
19/139
20/18
20/19
22/138
22/166
23/9
23/17
23/53
24/26
24/27
25/44
25/47
26/63
26/80
27/22
27/38
29/16
30/53
30/54
30/59
32/151
34/133
69
Nutre la morta zolla e incenerita,
34/242
ITE
Oimè quante ferite,
E al mondo: dite dite;
Rifuggirà l’ignudo animo a Dite,
Nottetempo saran le vie men trite
Fatal, che nulla mai fatta più mite
1/8
1/11
9/56
32/130
34/245
ITI
Quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti
Parve udir su la sera, agl’infiniti
Nostri sogni leggiadri ove son giti
Degli spazi che all’uom negl’infiniti
Desideri infiniti
3/78
3/80
3/91
19/82
31/39
ITO
Ciascun de’ vostri, o a splendido convito:
Quando su l’aspro lito
Scossero e l’ardue selve (oggi romito
Meridiane incerte ed al fiorito
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il passar per la terra oggi è sortito,
1/95
1/99
7/27
7/29
13/30
22/150
ITTA
Di consumar la vita: improba, invitta
19/49
ITTO
Della vezzosa Labanide: invitto
E le quiete selve apre l’invitto
Dolcemente appressando al volto afflitto
Il tuo braccio lo stral, che poscia fitto
La natura crudel, fanciullo invitto,
8/83
8/113
17/70
29/30
32/170
IVA
L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva:
Mentre nel mondo si favelli o scriva.
Sedendo u’ vostro ferro i marmi avviva.
Qualche novella ai vostri lidi arriva,
Della virtù nativa
Spirto vital negli egri petti avviva
La faretrata Diva
Dell’altrice natura; onde la viva
Noi l’insueto allor gaudio ravviva
Han la tenaria Diva,
E l’atra notte, e la silente riva.
L’egro mortal; ma sconsolata arriva
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Che tra gli spenti ad abitar sen giva.
D’ogni virtù che da saper deriva,
Fin la donzella timidetta e schiva,
1/118
1/120
2/73
2/77
5/28
5/30
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8/18
9/8
9/71
9/72
15/31
23/32
27/61
27/64
27/65
70
Perch’io te non amai, ma quella Diva
Qual sembianza fra noi parve più viva
Fien di stragi l’Europa e l’altra riva
29/78
31/21
32/62
IVE
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Chi di te parla o scrive,
Errar pe’ boschi e per le verdi rive,
E il mercatante avaro in ozio vive:
Dipinte in queste rive
Le magnifiche sorti e progressive.
Sovente in queste rive,
E nullo in terra vive
Ecco pria che la speme in porto arrive,
1/21
1/25
16/105
19/22
34/49
34/51
34/158
40/15
40/19
IVERE
Meco ritorna a vivere
Pur sento in me rivivere
20/97
20/145
IVI
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
Son disgiunte in eterno. A me non vivi
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
Di gioventù salivi?
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Né teco le compagne ai dì festivi
Tornar costuma e disparir. Tu vivi,
7/91
15/93
21/4
21/6
21/46
21/47
29/74
IVO
Resta a colui che della terra è schivo.
Il bel che raro e scarso e fuggitivo
Della qual teco ragionando io vivo,
Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo
Di sdegno e di rossor), me di me privo
Fortunati color che mentre io scrivo
Cinto d’oste contraria, in sul più vivo
Avea provvidamente al tempo estivo,
Sì forte come quando un carbon vivo
17/9
19/106
26/127
29/2
29/96
32/135
34/139
34/210
37/12
O
Prima il dolor mancò!
Di sospirar cessò!
Valor non mi restò.
Il cor s’abbandonò.
20/12
20/16
20/36
20/40
OCCA
E quel volto celeste, e quella bocca,
Poscia che quella bocca alla mia bocca
17/67
17/97
OCCHI
Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,
10/56
71
Poscia traendo i tremuli ginocchi
Ch’altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?
Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
In questo dir. Più non vedrò quegli occhi,
Agli atti, al volto sbigottito, agli occhi,
Mancar già sento, e dileguar dagli occhi
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Pur ne’ tuoi contemplando i suoi begli occhi,
Guizzavan lampi, e le fean batter gli occhi;
Discior sentia la misera i ginocchi;
Di torrente che d’alto in giù trabocchi.
10/58
10/60
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19/123
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29/84
39/50
39/52
39/54
OCCO
Che la vita infelice e il mondo sciocco
Secol superbo e sciocco,
26/38
34/53
OCE
Con indistinta voce
Allor, vile e feroce,
Di gloria il viso e la gioconda voce,
Magnanimo campion (s’alla veloce
Infinito silenzio a questa voce
Col suon dell’armi e con la rauca voce
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
1/70
1/74
5/1
5/5
12/10
16/82
21/20
21/21
OCHI
Raggio accusar negli abitati lochi,
16/97
OCI
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
9/44
OCO
Da tanta altezza in così basso loco?
Dammi, o ciel, che sia foco
Donne, da voi non poco
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Le riposte faville? E che del fioco
Da poi che Febo istiga, altro che gioco
La gioventù del loco
Ogni diletto e gioco
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Lontanando morire a poco a poco,
Di questa vita come a danza o gioco
Straniera man le labbra oggi fra poco
Cure suol porre in gioco;
E d’un celeste foco
Anche peria fra poco
Da trovar pace o loco.
Ed io godo ancor poco,
1/35
1/39
4/31
4/34
5/29
5/32
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16/51
17/55
20/142
20/143
21/49
23/121
23/126
72
Oggi mi pare un gioco
Sempre onorata invoco,
Lasci per sempre. Il loco
Dell’aspra sorte e del depresso loco
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Si spegneva annerando a poco a poco,
E salir su per l’aria a poco a poco,
Veniva il poco lume ognor più fioco;
Al bosco là del dilettoso loco.
26/47
27/97
30/22
34/79
34/301
34/302
37/15
39/35
39/37
39/39
ODE
Questo arcano universo; il qual di lode
Non ricolmar di lode,
Starsene in fondo. Ardir protervo e frode,
Non contraddir, non repugnar, se lode
Venga colui che d’esaltar con lode
19/148
27/114
32/75
32/247
34/38
ODI
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Col mercatar, con l’armi, e con le frodi,
Dell’esser tuo, dell’arti e delle frodi,
E non pur ne’ civili ordini e modi,
3/38
3/42
19/98
29/83
32/193
ODO
O Nerina! E di te forse non odo
È deserta. Ove sei, che più non odo
Nell’acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
22/136
22/144
37/13
OFFRE
Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre
30/98
OGGI
Dall’aer cieco e da’ natanti poggi
8/60
OGGIA
S’incominciava udir fremer la pioggia,
Dentro le nubi in paurosa foggia
E n’era il terren tristo, e l’aria roggia.
39/47
39/49
39/51
OGGIO
Impresse in un secondo, il piano e il poggio,
32/147
OGHI
D’immortal piede i ruinosi gioghi
7/26
OGLI
E meditando sovra i larghi fogli
Perché gli stessi a lui fuscelli e fogli
32/35
32/159
73
OGLIA
Volonterosa. A me disfiori e scioglia
Del tiranno m’accoglia.
Sopravviver ti doglia.
Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia,
Tratti l’ignota spoglia;
E l’aura il nome e la memoria accoglia.
La detestata soglia
Che parrà di tal voglia?
All’amaro calcar della tua soglia,
4/85
4/88
5/54
5/56
6/119
6/120
11/51
11/56
17/138
OGLIE
Taccio gli altri nemici e l’altre doglie;
Per cui presso alle soglie
Della materna voce il suono accoglie?
Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
Sentendo di quel dì che l’uom discioglie,
E fra caduche spoglie
Fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
Il mio stato mortal, poco mi toglie
Che sono altro che voglie
Sì per tempo abbandoni? A queste soglie
Miagolanti in su le braccia accoglie
2/99
2/101
7/22
8/52
17/26
18/48
18/51
22/86
26/75
30/5
32/136
OGLIO
E di fetido orgoglio
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OGNA
Errore, e di me stesso, ebbi vergogna.
32/37
OGNI
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni.
Tali son, credo, i sogni
Non cercar dentro te. Canta i bisogni
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3/180
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OGNO
Giove, poi che perìr gl’inganni e il sogno
Lice, lice al mortal, non è già sogno
Ma rapida passasti; e come un sogno
Degl’immortali. Ahi finalmente un sogno
Quante volte mancò? Bella qual sogno,
Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno
Cader fu vista mai se non in sogno.
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17/123
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37/1
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OGO
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Lunge contempla il bipartito giogo
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OI
Beatissimi voi,
1/84
74
Del barbarico sangue i greci eroi,
Beatissimi voi
Pugnò, cadde gran parte anche di noi:
Italia no; per li tiranni suoi.
Ch’essendo questa o nessun’altra poi
È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi
O verginette, a voi
È della patria e che sue brame e i suoi
Qual de’ vetusti eroi
Brando cingeva al caro lato, e poi
Vita, morte, sventura agli occhi tuoi,
Perché non rendi poi
Inganni i figli tuoi?
Il fior degli anni tuoi;
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Son questi i doni tuoi,
È diletto fra noi.
Chi non favella? Il suo poter fra noi
Che in dir gli effetti suoi
Lunge dai cari tuoi,
Far necessario in noi
Altro negli atti suoi
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OIA
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Che intollerabil noia
Allato a quella gioia,
La terra. Amaro e noia
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26/27
28/9
OL
Il fuggitivo Sol.
Del flebile usignol.
20/52
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OLA
Questa d’animi eccelsi altrice e scola:
Meglio l’è rimaner vedova e sola.
È tal che sogno e fola
E d’opra e di parola
Giorno di nostra età primo s’invola.
La mente mia. Che se una volta sola
È per campar la vita, e per se sola
Per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola
Ogni vana speranza onde consola
Sperar, se non te sola;
Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola
Qual de’ barbati eroi fama già vola.
Di loro, e mille rimaner. Ma sola
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2/200
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OLCE
Presso al rustico pozzo e nella dolce
8/80
75
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
Te più mite desio, cura più dolce
16/44
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OLCI
E dell’etereo lume assai più dolci
8/8
OLE
Ligure ardita prole,
Cui strider l’onde all’attuffar del sole
Madri d’imbelle prole
La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
Che più bello a’ tuoi dì splendesse il sole
Tua spoglia intorno la romulea prole
Pianger credé la sconsolata prole
Quel che sommerse in Eridano il sole.
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Per lo balcone insinuava il sole
Su la tacita aurora o quando il sole
Quante immagini un tempo, e quante fole
Con atti e con parole
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
In sul calar del sole,
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Non in pensiero invan, siccome suole,
Divien l’umana prole.
Si fu due volte ricondotto il sole.
Questa sensibil prole!
Alla qual poscia seguitando il sole,
Dove s’annida e si contorce al sole
Avranno allor che non superbe fole,
Del numero infinite e della mole,
Che sembri allora, o prole
3/77
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OLGA
Pace sotto le bianche ali raccolga,
Questa terra fatal non si rivolga.
2/2
2/6
OLGE
Poi, quando tutto avvolge
27/45
OLGI
Verso me più cortese! E tu pur volgi
16/17
OLGO
Del mio destino omai, né più mi dolgo
Ho gli umani giudizi; e il vario volgo
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
Ove fondata probità del volgo
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26/66
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76
OLI
Pugnano i tuoi figliuoli
Delle italiche moli
Sentano i sette colli; e pochi Soli
Non compagni, non voli,
Alle late campagne il giorno involi,
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
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34/260
OLLA
Vigor di giovanezza, e non la crolla
Che, tacito, seduto in verde zolla,
19/73
22/10
OLLE
E bacio questi sassi e queste zolle,
Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle
Virginia, a te la molle
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
Valse l’ameno error, le fraudi, il molle
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
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4/79
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12/1
14/2
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34/86
OLLI
Vissero i boschi un dì. Conscie le molli
Te per le piagge e i colli,
Pace regnava; e gl’inarati colli
Del riposato albergo, appo le molli
E l’abitar questi odorati colli.
Da natura è minor. Ché se più molli
Fia la mortal felicità. Più molli
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7/43
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32/109
OLLO
D’aura maligna, un sotterraneo crollo
Da negre cure, o tristo nodo al collo
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40/24
OLO
Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo
Si sottrasse da morte il santo stuolo,
Guardando l’etra e la marina e il suolo.
O benedetti, al suolo,
Dall’uno all’altro polo.
Il meonio cantor non è più solo.
Dopo il funereo dì sott’altro suolo,
Eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo
Più faville rapia da questo suolo.
È spogliato alle cose? Il certo e solo
Veder che tutto è vano altro che il duolo.
Pari all’italo nome, altro ch’un solo,
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Non vorrai tu donarmi? Un bacio solo
1/37
1/78
1/80
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17/51
77
S’allor non fosse, allor che ignudo e solo
Te viatrice in questo arido suolo
La progenie infinita, a cui pur solo,
Fu, ma dell’esser solo:
Purché ci serbi al duolo,
Pene tu spargi a larga mano, il duolo
Che divenute son, fuor di te solo,
E tu per certo, o mio pensier, tu solo
Muto, mirando dell’etadi il volo,
Sta, di memoria solo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Vil chi lui segue, e solo
Esso, tornando, a volo
18/14
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OLPA
Conoscendo, s’adira; e spesso incolpa
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OLPE
E di nervi e di polpe
Scemo il valor natio, son vostre colpe?
Non fra sciagure e colpe,
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4/45
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OLSE
Selve remoto accolse,
Umane vite, ultimo danno, accolse.
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OLSI
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
Chiaro oggimai ch’al secol proprio vuolsi,
16/71
32/246
OLTA
Che senza sdegno omai la doglia è stolta:
E ti punga una volta
Se più de’ carmi, il computar s’ascolta,
Ti appresterebbe il lauro un’altra volta?
In duri ozi sepolta
Femmineo fato avviva un’altra volta.
Beata allor che ne’ perigli avvolta,
Ore il danno misura e il flutto ascolta
Tu de’ mortali ascolta,
Ma sei tu per lasciarmi un’altra volta?
Fortunato mi tengo. Ah, se una volta,
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
L’antico amor. Se a feste anco talvolta,
Che per mostro e miracolo talvolta
Solo per cui talvolta,
Che ne’ vezzosi appartamenti accolta,
Però se nominar lice talvolta
2/14
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29/14
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OLTE
Non fien da’ lacci sciolte
2/3
78
Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Questa misera spoglia? Oh quante volte
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
E il nostro proprio error. Ben mille volte
Ignaro del mio fato, e quante volte
Ferro non deporrà. Ben molte volte
Credi tu data al Tutto, e quante volte
7/8
7/10
15/44
16/35
19/110
22/25
32/57
34/189
OLTI
Non predar, non guastar cittadi e colti
Schiavitude oltre l’alpe, e non de’ folti
Con gli studi sepolti,
Oh tempi, oh tempi avvolti
Trovata agevolmente, essi di molti
Fur liete ville e colti,
2/107
2/111
3/52
3/56
32/203
34/24
OLTO
Degli astri agitator più cari, e molto
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In un perenne ragionar sepolto,
E l’occhio a terra chino o in sé raccolto,
Né in leggiadro soffria né in turpe volto:
Agl’inesperti della vita, e molto
La rimembranza, or che il futuro è tolto
Seno la stringo, di sudore il volto
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
Quegli, e soggiunse: desiata, e molto,
Necessità, cui non tesoro accolto,
Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
E dove il tanto affaticar fu volto:
Ogni conforto stolto
Quel dì ch’io pieghi addormentato il volto
Sensi profondi, sconosciuti, e molto
Fastidi impallidir, brillare in volto
Nelle membra e nel volto,
In sul fiorir d’ogni speranza, e molto
Come vapore in nuvoletta accolto
Fornito il mira, ad atterrarlo è volto,
Non credo io già, ma stolto,
Pompei, come sepolto
8/4
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10/83
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30/30
30/33
30/36
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OLTRE
A natura terrena. Amar tant’oltre
17/113
OLTRI
Certamente a veder, tappeti e coltri,
32/116
OLVA
Con quali ordini e leggi a che si volva
19/147
79
OLVE
Poi che divelta, nella tracia polve
Di nova ira sfavilla. Ecco di polve
Poi che divelta, nella tracia polve
Quando per l’etra liquido si volve
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
Una ruina involve,
6/1
4/97
6/1
9/9
16/26
34/33
OMA
Obblivione antica ergean la chioma,
Magnanimi allegràr d’Atene e Roma.
Gli obbliviosi petti; e nella doma
Così l’eterna Roma
E di servaggio all’odiata soma
Di pepe o di cannella o d’altro aroma
Lascia parer senza vergogna, e noma
3/51
3/55
4/100
4/103
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34/95
OMBE
Di svegliar dalle tombe
A questo secol morto, al quale incombe
3/2
3/4
OMBO
L’olimpo, e fiede le montagne il rombo
4/52
OMBRA
Fu certo, fu (né d’error vano e d’ombra
Il murmure saluta: e dove all’ombra
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra
E più soave le pupille adombra,
Internamente? Obblivione ingombra
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
E un fastidio m’ingombra
8/87
9/31
9/67
15/5
15/21
23/117
23/118
OMBRE
Nido de’ venti): e il pastorel ch’all’ombre
Trepido errante il fratricida, e l’ombre
Sedente, oscuro, in sul meriggio all’ombre
Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
Che di lontan, per l’ombre
7/28
8/43
8/74
25/17
34/287
OME
Crescean di Sparta i figli al greco nome;
Spandea le negre chiome
Del servo italo nome,
Medita il petto mio. Dirò siccome
Molti per l’ossa mi serpeano, oh come
Pensieri si volgean! Qual tra le chiome
Un lungo incerto mormorar ne prome.
Serbi di noi? Donde, risposi, e come
Secol beasti che dell’oro ha nome,
La dolce lode or delle negre chiome,
4/70
4/73
6/88
8/73
10/29
10/31
10/33
15/13
18/8
21/45
80
La giovanezza. Ahi come,
Che già di morte al nome
Sentì rizzar le chiome,
Natura umana, or come,
Le risa alzai quando sonava il nome
O sono ignote, o così paion come
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
21/52
27/66
27/67
31/50
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34/181
34/191
OMINI
So che pietà fra gli uomini
20/125
OMMA
Con proprio nome il ver, non altro in somma
32/191
OMO
Ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
34/177
34/202
OMPE
Spiace agli Dei chi violento irrompe
6/46
ONA
Del barbarico sangue in Maratona
Né la palma beata e la corona
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Per le valli, ove suona
Del giovanile error che m’abbandona;
Le umane lingue il sentir proprio sprona,
Par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona.
La diletta persona
Che sotto i passi al peregrin risona;
5/14
5/18
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18/34
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34/20
ONDA
Io credo che le piante e i sassi e l’onda
Narrin siccome tutta quella sponda
Così la vereconda
Qui l’ira al cor, qui la pietade abbonda:
Ma per la moribonda
E il suo col vostro lacrimar confonda.
Di sì buia vorago e sì profonda
Ai tetti vostri inonorata, immonda
Né rossor più né invidia; ozio circonda
Udì lungo le ripe; e tremar l’onda
Scendea ne’ caldi flutti, e dall’immonda
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell’onda.
Co’ silenzi del loco si confonda.
A popoli che un’onda
1/68
1/71
1/137
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2/135
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3/43
7/33
7/36
9/17
9/18
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34/106
ONDE
Risorgimenti? In un balen feconde
3/9
81
Detti degli avi. E che valor t’infonde,
Men caro assai la bruna valle asconde.
Vano è saper quel che natura asconde
Ond’eri usata favellarmi, ed onde
Vituperosa e trista un sasso asconde.
Non avvien ciò d’altronde
Fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
3/13
7/80
15/34
22/142
31/19
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34/236
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ONDI
Di fortunati regni e d’aurei mondi
In arme tutti congiurati i mondi
31/29
32/88
ONDO
Cinta l’odio e l’immondo
Ti parve il nulla, e il mondo
Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo;
Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo,
La sorte mia. Due cose belle ha il mondo:
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
(Inusitata maraviglia!) il mondo
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Nasce nel cor profondo
O così sprona Amor là nel profondo,
Ride ai lor casi il mondo,
Se coi fanciulli il mondo,
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
A cui movi o giocondo,
Fermare io stesso in me, né forse al mondo
Ed incomincia il mondo
Da tutti i lidi lo promette al mondo
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Per lo vòto seren brillare il mondo.
Scagliata al ciel profondo,
3/127
3/131
3/83
3/87
15/46
17/99
20/6
20/7
22/126
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28/10
30/11
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30/31
32/41
33/12
34/166
34/214
ONDRA
Da Parigi a Calais, da quivi a Londra,
32/122
ONE
Ad atti egregi è sprone
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Alla patria infelice, o buon garzone,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
Ogni cosa dispone.
Ma di lunga stagione
4/46
4/50
5/53
5/57
40/4
40/5
ONGA
Altri studi men dolci, in ch’io riponga
19/138
82
ONI
Amor di questa misera vi sproni,
Spirti v’aggiunga e vostra opra coroni
Placàr singulti, ornàr parole e doni
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Né volontari al vivere abbandoni,
Di possente vapore, a milioni
2/36
2/40
6/111
13/5
22/162
24/20
30/78
32/146
ONITO
Giacqui: insensato, attonito,
20/37
ONNE
Gener vario di lingue e di colonne,
Aura giacendo tutta notte insonne,
32/40
34/251
ONNO
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Quando in sul tempo che più lieve il sonno
I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno;
Questo affannoso e travagliato sonno
13/7
15/4
15/22
19/1
ONO
Larve e l’antico error, celeste dono,
Te nella polve della vita e il suono
Di febo i raggi al misero non sono
Son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Non ti fui mentre vissi, ed or non sono,
Oh, disse, Elvira, Elvira mia! Ben sono
Tacque: né molto andò, che a lui col suono
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Questi i diletti sono
Suderà latte e mele, o s’anco al suono
Quasi comica voce, o come un suono
4/3
4/5
7/15
7/82
13/33
15/73
17/81
17/149
23/89
24/44
32/47
32/242
ONTA
Con dotta man: ché, d’ogni sforzo in onta
32/169
ONTE
La tarda età. Ma se spezzar la fronte
Ire fuggendo e l’onte,
Né guidasse per gioco i lupi al fonte
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte
Il tuo volto imitar. Tu sola fonte
Prima che incontro alla festosa fronte
Sotto forme fugaci all’orizzonte,
6/64
7/49
8/96
20/98
20/99
21/25
22/153
26/133
30/34
30/37
83
Pensieri e sensi inenarrabil fonte,
Ed alle età venture unica fonte!
Del formidabil monte
Che coi torrenti suoi l’altero monte
31/24
32/153
34/2
34/30
ONTI
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
11/41
ONTO
Come per questo a perigliar fu pronto
Dalle foci del Tago all’Ellesponto
27/21
32/269
ONTRA
Gli occhi mortali incontra
34/113
OPO
Di tedio, alfin dopo il servire e dopo
Ponesti all’uman corso. Ahi perché dopo
29/104
30/64
OPRA
Balza nel petto; e già s’accinge all’opra
E s’affretta, e s’adopra
Quel ch’ei con mano o con la voce adopra
Scriva il vecchio prior: quando, per opra
16/50
25/36
29/69
32/145
OPRE
O si ridesta; e sapiente in opre
Né men conobbi ancor gli studi e l’opre
Con gran lavoro, e l’opre
Schiaccia, diserta e copre
27/24
32/26
34/207
34/211
OPRI
Mille cose sai tu, mille discopri,
23/77
OR
Ancor viveva il cor.
Era dolore ancor.
Primo, immortale amor,
Al duro mio sopor.
L’ignuda gloria ancor.
Che in voi non brilla amor.
20/28
20/32
20/60
20/64
20/132
20/136
ORA
Giaccian esuli ancora
Tutto il mondo t’onora.
Te salutava allora
Tal miseria l’accora
Di noi serbate, o gloriosi, ancora
Sussurravano ancora
Il mal che n’addolora
O generosa, ancora
2/25
2/29
2/93
2/97
3/31
3/67
3/71
4/91
84
È quella tomba cui di pianto onora
Chiaro per lei stato saresti allora
Che nullo di tal madre oggi s’onora:
Nel Tartaro. Non fora
M’era degli astri il riso, o dell’aurora
Anche di gloria amor taceami allora
Che di beltade amor vi fea dimora.
Mentre vivesti? Io disperando allora
Del Sol vederla io mi credeva ancora.
All’uomo il cor dogliosamente, ancora
Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora
E ben chiaro vegg’io siccome ancora
Silvia, rimembri ancora
E delle luci a voi compagne! Allora
Viene il vento recando il suon dell’ora
Risovverrammi; e quell’imago ancora
La mente mia d’allora
Che tu quivi prendesti a far dimora!
Me certo troverai, qual si sia l’ora
La man che flagellando si colora
Torna dinanzi al mio pensier talora
Or questa egli non già, ma quella, ancora
Che tu l’intenda. In simil guisa ignora
Pur come cara larva, ad ora ad ora
Di riscontrarla ancora
Lieto e felice: e tal portento, ancora
Quel che ieri schernì, prosteso adora
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, né d’altra aurora.
Che il calle insino allora
Vanno adulando, ancora
Ch’a ludibrio talora
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
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ORDA
Ma poco da vecchiezza si discorda
So ben ch’ella discorda:
So che natura è sorda,
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
15/54
20/118
20/119
24/31
ORDE
Di questa nostra? E le tue dolci corde
L’italo canto. E pur men grava e morde
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
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13/8
ORDI
Non io d’Olimpo o di Cocito i sordi
Ogni estremo timor subito scordi;
Fan la bellezza e i musicali accordi,
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23/111
29/35
85
ORE
Quali a voi note invio, sì che nel core,
Nova favilla indurre abbian valore?
A viver non dannò fra tanto orrore;
L’asta inimica e il peregrin furore;
Pietà nascesse in core
Dimmi: d’Italia tua morto è l’amore?
Della fortuna, al cui sdegno e dolore
L’averno: e qual non è parte migliore
Livor privato e de’ tiranni. Amore,
Inabitata piaggia. Al tardo onore
Se nel femmineo core
D’uomini ardea, non di fanciulle, amore.
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Ai fatti illustri il popolar favore;
Io mirava colei ch’a questo core
Ahi come mal mi governasti, amore!
Recar tanto desio, tanto dolore?
E tanto amor mi tolse un altro amore?
Solo il mio cor piacermi, e col mio core
Alla guardia seder del mio dolore.
Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
E te german di giovinezza, amore,
Quando muti questi occhi all’altrui core,
E fieramente mi si stringe il core,
Già similmente mi stringeva il core.
Nella mia cieca stanza il primo albore;
Il simulacro di colei che amore
Quand’è il viver più dolce, e pria che il core
Porto gravido il cor; dimmi: d’amore
Per le sventure nostre, e per l’amore
Di paradiso. Al garzoncello il core
Fatto schiavo e fanciullo il troppo amore.
Parto da te. Mi si divide il core
Lacrima rilucea. Né dielle il core
Palpiti della morte e dell’amore,
Cara beltà che amore
Fuor se nel sonno il core
Fra cotanto dolore
Pepoli mio? Di che speranze il core
Né la lentezza accagionar dell’ore.
Da quel che tanto ardore,
Che sì beato errore
O dell’arida vita unico fiore.
M’era, parlando, il mio possente errore
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Primavera giammai, non torna amore.
Non ti molceva il core
Ragionavan d’amore.
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86
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
La madre e il genitore
Studiasi fargli core,
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Che son celate al semplice pastore.
Si rallegra ogni core.
Quando con tanto amore
Fanno un lieto romore:
Fischiando, il zappatore,
Prepotente signore,
Dieder l’eterne leggi all’uman core.
Nasce il piacer maggiore
L’altra ogni gran dolore,
Gode il fanciullo Amore
Primi conforti d’ogni saggio core.
Né per altro signore
Che già vita, or sepolcro, ha nel mio core.
La prole al genitore,
Concordemente. Universale amore,
La qual null’altro allegra arbor né fiore,
Uom saggio e sciolto dal comune errore,
Né porrebbe al dolore
Ed al mal proprio suo cotanto amore.
Figlia di giovin core,
Mentre è vermiglio il fiore
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ORGA
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
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ORGE
La destra soccorrevole gli porge,
Quella superba vision risorge.
Luce della famosa età che sorge.
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29/8
32/261
ORGI
Candida luna, sorgi,
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ORGO
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
11/28
ORI
Cantor vago dell’arme e degli amori,
Empièr la vita di felici errori:
All’ausonio valor campagna esplori.
Lieti vedesti, e i memorandi allori;
Sperate palme e dilettosi errori,
Misericordia dei ben noti ardori.
Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
Infra i leggiadri errori,
Tutti odorati de’ novelli fiori
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Orba la vita, e di gentili errori,
Di suddita città le vie maggiori.
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ORLO
Raccozzando i rottami, e per riporlo
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ORMA
L’una sei tu, cui di sensibil forma
Ai terribili moti, e in questa forma
Il digiuno mendico, in ogni forma
Di fogliolini e di fuscelli, in forma
18/46
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ORME
Convienci a quel dell’anno, al qual difforme
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ORNA
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
Dico: Nerina mia, per te non torna
Dell’Eden odorato in cui soggiorna,
16/67
22/164
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ORNI
Quando gl’infausti giorni
Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
E sperando traea le notti e i giorni;
Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni
O primo entrar di giovanezza, o giorni
Ai lugubri miei giorni,
Pensier che innanzi a me sì spesso torni.
O cagion qual si sia ch’ad auro torni.
Queste campagne dispogliate adorni,
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ORNO
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
In eterno perimmo? E il nostro scorno
Io mentre viva andrò sclamando intorno,
Del Sol caduto, e il giorno
Fu gloria, e del ritorno
La patria aspetta; e non in danno e scorno
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno
De’ miseri vendetta. A me dintorno
Antichi danni e scellerato scorno,
E d’ira e di pietà pallido il giorno.
L’irrigua valle, inopinato il giorno
Cantando vai finché non more il giorno;
Primavera dintorno
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
La voce, al guardo traballava il giorno.
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno,
Così giacea nel funeral suo giorno
Provar felicità. Ciò seppi il giorno
Questo m’accadde. E non però quel giorno
1/23
2/188
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17/6
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Poi che lieto non può, corresse il giorno
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Stanze, e le vie dintorno,
Così menare il giorno.
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Sorridon le donzelle; a gara intorno
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Incontro là dove si perde il giorno;
Questo di sette è il più gradito giorno,
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Quasi in lieto giardino, a te ritorno,
E ristora i miei sensi il tuo soggiorno.
Più sempre infievolir. Quanto più torno
Quanto adorata, o numi, e quale un giorno
Ch’io non ti vegga ancor qual eri il giorno
Ululando portai finch’a quel giorno
Tornerai tu? Farai tu lieti un giorno
Questi ch’oggi ti son piangendo intorno?
Morte ti chiama; al cominciar del giorno
Ivi fia d’ogni tempo il tuo soggiorno.
E folgorando intorno
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
E poi tutto quel giorno
La mi condusse intorno
E ne fumavan l’erbe intorno intorno.
Io qui vagando al limitare intorno,
Acciò che la ritenga al mio soggiorno.
19/34
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ORO
Non curo, io non so come; anzi da loro
Senza posa o ristoro,
Porti quella che sorge età dell’oro:
E dal deserto foro
Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro.
E la foglia d’alloro.
A che ciascun di loro
S’adopra nel lavoro
11/22
23/31
32/99
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35/9
35/13
36/10
36/11
ORRA
Non mel celar, ti prego, e mi soccorra
Misera onde si volga, ove ricorra,
15/69
30/56
ORRE
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre
Tutti si dileguàr. Siccome torre
Eternamente, il mortal seme accorre
Dell’uomo armar la destra, e laccio porre
14/12
16/85
26/18
32/167
34/136
ORSA
89
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
22/133
ORSE
Inganni e di felici ombre soccorse
Costume ai forti errori esca non porse,
Questa misera piaggia, ed aura corse
Malor, condotto della vita in forse,
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Delle città sovrane, e talor forse
5/35
5/37
8/91
22/110
22/137
32/131
ORSI
L’altero capo, a cui spontaneo porsi
29/91
ORSO
La speme e breve ha la memoria il corso,
In se stesso non torce; al duro morso
Verso un tal segno a incominciare il corso:
Che tra le sabbie e tra il vipereo morso,
Non fosti tu? Quanto del giorno è scorso,
Filosofando il saper nostro è scorso!
Or torno addietro, ed al passato un corso
Durasse tutto della vita il corso.
E balzando più volte, esplora il corso
14/14
19/57
26/94
26/95
26/138
32/226
32/244
33/38
34/252
ORTA
Tartaro, e l’onda morta;
Ver cui pietade è morta
L’aprico margo, e dall’eterea porta
Con questi detti il cor. Dunque sei morta,
Ai nostri giorni. E quella: ti conforta,
Che il cor si riconforta.
In chi l’ascolta. Or quell’Aspasia è morta
Dileguarsi così quasi non sorta,
Che spesso, ove fu porta,
1/97
2/37
9/28
15/39
15/71
25/23
29/70
30/38
31/13
ORTE
L’antiche età, che a morte
Dove la Persia e il fato assai men forte
Or te, padre de’ pii, te giusto e forte,
Era del gran desio stato più forte
Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte
E quando pur questa invocata morte
E paventò la morte
Fredde, tacite, smorte,
Dono del ciel; consorte
Divina sei; perché sì viva e forte,
Né si dilegua pria, che in grembo a morte.
Che percosso d’amor, né mai più forte
Certo ha chi more invidiabil sorte
A colui che la morte
Creder comune, e del mio mal consorte
1/62
1/66
8/71
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27/18
30/79
30/80
32/12
90
Infin qui de’ lambicchi e delle storte,
Tali dolcezze e sì beata sorte
Dello stato mortal; vecchiezza e morte,
Nostra misera sorte
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
Quella che grande e forte
32/49
32/133
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33/35
33/40
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ORTI
E sarà il nome degli egregi e forti
Datevi pace; e questo vi conforti
Paghi viviamo, e scorti
Segui; risveglia i morti,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Che noi vita nomiam, come sopporti,
Sale, e le piazze romorose, e gli orti,
Le vie dorate e gli orti,
Calunnia, odio e livor: cibo de’ forti
In ciascun anno partoriti e morti
2/160
2/164
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19/66
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ORTO
E di nullo conforto
Avesti, o cara; e morto
Da te fino a quest’ora uom non è sorto,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Dalla torre del borgo. Era conforto
Quanta invidia ti porto!
Brama raccorsi in porto
Ebber solo conforto,
Più d’ogni flutto dimostrarci il porto?
Quasi come a diporto
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27/42
30/70
30/74
31/45
ORVO
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
9/38
ORZA
Disse: tu parti, e l’ora omai ti sforza:
Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
Diman, per lieve forza,
Irreparabilmente: indi una forza
17/29
22/39
31/32
32/176
ORZE
A galleggiar sortiti. Imperio e forze,
32/77
OSA
Qual può voce mortal celeste cosa
Come cadrà? Come dal tempo rosa
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Di baci la ricopro, e d’affannosa
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Ahi vision d’estinto, o sogno, o cosa
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Bella Morte, pietosa
Sarà, quant’altri immaginar non osa,
Il suo capriccio adempie, e senza posa
Vo dove ogni altra cosa,
Va la foglia di rosa,
E ben hai che temer, che agevol cosa
Mugghiando orribilmente e senza posa;
E d’ogn’intorno era terribil cosa
E il suon che immaginar l’alma non osa.
17/84
22/55
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23/95
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39/62
39/64
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OSCE
Negli alterni perigli e nelle angosce
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OSCIA
Ed immortale angoscia.
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Per la tua dipartita, e se d’angoscia
La fé che mi giurasti. Allor d’angoscia
1/102
1/106
13/41
15/60
15/95
OSCO
Musico augel che tra chiomato bosco
Ozio de’ campi, all’aer muto e fosco,
Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
7/71
7/74
8/107
OSE
E voi sempre onorate e gloriose,
Fu di poch’alme franche e generose!
Tra fortuna e valor dissidio pose
E nella sera dell’umane cose,
Della procella. O spose,
Volgari affetti in basso loco pose,
Se la funesta delle patrie cose
Giocondo agli ozi suoi spettacol pose?
Non la pietà, non la diritta impose
E dispregiata amante, alle vezzose
Il rimembrar delle passate cose,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Stato e il valor delle terrene cose,
Patto alcuno o giornal. Ma nelle cose
Gradito ospizio; e fur città famose
Parlando, apertamente, e di sue cose
Per tua cagion, dell’universe cose
1/64
1/67
4/18
4/20
4/53
4/57
5/47
6/51
8/10
9/25
14/15
22/70
32/23
32/107
34/29
34/96
34/192
OSI
Italo ardito, a che giammai non posi
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
3/1
3/54
92
La ruina d’Italia, anco sdegnosi
Contemplando i deserti; indi ti posi.
3/58
23/4
OSO
L’ospite desioso
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
Odio al dolor compagno; e doloroso
Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso
A bell’agio, ozioso,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Garzoncello scherzoso,
2/20
3/171
3/175
16/13
16/96
23/130
25/30
25/43
OSSA
La formidabil possa,
D’un walser danzerà. Tanto la possa
27/46
32/48
OSSE
Di quelle labbra uscir, ch’ultima fosse;
Quante volte plebea voce percosse
E il core in forse a palpitar si mosse!
Per tornar sempre là donde son mosse;
Del passato timore, onde si scosse
La vecchiezza, ove fosse
10/47
10/49
10/51
23/96
24/34
33/47
OSSERO
Credei ch’al tutto fossero
20/1
OSSO
Quasi intender non posso
26/41
OSTE
Era il mattino, e tra le chiuse imposte
15/1
OSTI
In più sublimi ancora e più riposti
32/211
OSTO
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
16/52
OSTRA
Mistero delle cose a noi si mostra
Benché scarsa pietà pur mi dimostra
Non fa risibil mostra;
22/72
16/15
34/93
OSTRE
Voi negletti ferìr mentre le vostre
7/60
OSTRI
Torri degli avi nostri,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
1/3
1/7
93
Voce antica de’ nostri,
I polverosi chiostri
3/7
3/11
OSTRO
Che la memoria e il vostro
Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro,
Ma non cognato al nostro
Dell’atra morte incombe. Oh contra il nostro
Creommi nel pensier l’aspetto vostro
Saggio sia né possente, al secol nostro
Fia quel dell’altro appresso, il sentir nostro
1/123
1/127
7/77
8/110
22/8
32/106
32/222
OTA
E di cittadi romorose, ignota
Nell’imo petto, grave, salda, immota
8/31
19/70
OTE
Vano dirai quel che disserta e scote
Il caduco fervor? Le meste rote
E di feroci note
Invan la sonnolenta aura percote.
Il gener tuo; quelle tue varie note
Ahi ahi, poscia che vote
Necessità, cui provveder non puote
Noia immortale, incontro a cui non puote
5/27
5/31
6/14
6/15
7/78
7/81
19/46
19/72
OTI
De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti.
Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti,
Pensier degli avi nostri e de’ nepoti.
O patria nostra. Ecco da te rimoti,
A tutto il mondo ignoti,
A putridi nepoti
Le penne il bruno augello avido roti;
Ombra diva mi scuoti,
L’ozio che ti lasciàr gli avi remoti,
Conculcando e l’estrane, o di remoti
Gl’inganni aperti e noti;
E de’ suoi proprii moti
Inutile miseria. E sebben vòti
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
In parte, e può con moti
Quegli ancor più senz’alcun fin remoti
Dopo gli avi i nepoti,
1/73
1/76
2/15
2/17
2/150
2/152
6/114
6/117
18/4
19/6
19/96
20/146
20/147
22/84
23/93
34/46
34/175
34/291
OTO
Né farfalla ronzar, né voce o moto
Che tremar fe’, se, come or sembra, immoto
La serpe, e dove al noto
16/31
31/8
34/22
94
OTTA
Pur gli era al fianco, da pietà condotta
E dell’eterne cose; a che prodotta,
Su la piazzuola in frotta,
D’arcana voluttà; quando tu, dotta
E quante moggia di farina inghiotta
17/10
19/142
25/25
29/20
32/142
OTTE
Ciprigna luce, alla deserta notte
Delle tenere membra. Ella per grotte,
Le non ignote ambasce e l’alte e rotte
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Lamentai co’ silenzi e con la notte
Vedova è insino al fine; ed alla notte
E nell’orror della secreta notte
Per li templi deformi e per le rotte
7/44
7/65
7/67
13/26
13/43
22/116
33/66
34/280
34/282
OTTI
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
22/52
OTTO
I tardi fati a prevenir condotto,
Su l’alte prue la negra cura, e sotto
Servaggio ed aspro a tollerar condotto.
Abuserà chiunque avralle, e sotto
19/56
19/85
29/88
32/79
OVA
O mia diletta luna. E pur mi giova
Che morte s’addimanda? Oggi per prova
Alla mattina il cacciator, che trova
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Cara compagna dell’età mia nova,
Fassi in su l’uscio; a prova
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Che mondo mai, che nova
Che per lo mar dell’essere si trova;
Già concedon gli Dei; già, della nova
E le ricchezze che adunate a prova
Parte la donna mia: pietà, se trova
O turbine, or ti sveglia, or fate prova
Che il sole ad altre terre il dì rinnova.
14/10
15/48
16/72
20/126
20/127
21/54
24/13
24/15
24/16
26/100
27/7
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34/208
38/8
38/10
38/12
OVE
Dunque tanto i celesti odii commove
Com’è quando a distesa Olimpo piove
Ned io ti conoscea, garzon di nove
Quando facevi, amor, le prime prove.
L’arguto canto; a palpitar si move
6/25
10/65
10/67
10/69
16/66
95
A chi patria non ha. Te punge e move
E nove forme di paiuoli, e nove
Le parti sciolte dispensando altrove.
Empie le carte, eccelsi fati e nove
La capra, e città nove
Né sul deserto, dove
19/104
32/120
32/164
34/103
34/227
34/311
OVERO
Forse la speme, o povero
20/105
OVI
Tanto nostro dolor diletti o giovi:
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Ma più perché giammai tedio non provi.
A quello onde tu movi,
19/146
22/161
23/112
26/69
OVO
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Di politici scritti il secol novo.
22/128
32/85
OVRA
O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra
17/119
U
Io non vedrò mai più.
L’ingenita virtù;
20/108
20/112
UBI
Da volar su le nubi,
23/134
UCA
Le meste anime educa;
Fortunato colui che la caduca
7/87
19/111
UCE
Gli augelli al vento, e la diurna luce
A noi la vaga fantasia produce
Né tornasse a veder l’amara luce!
Al canto che conduce
Mai non veder la luce
Agli occhi miei la giornaliera luce
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Su l’arenoso dorso, a cui riluce
7/6
19/109
27/55
27/57
30/27
32/19
33/17
33/18
34/255
UCI
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
14/7
UDA
Fur dell’umana gente, allor che ignuda
Desiri educa; e la fugace, ignuda
7/42
8/116
96
Disse, che di beltà son fatta ignuda?
Gl’immortali beato, a cui tu schiuda
La fredda morte ed una tomba ignuda
Questa mia vita dolorosa e nuda
15/89
17/120
21/62
22/26
UDE
Che non che il cener freddo e l’ossa nude
Firenze, a quello per la cui virtude
L’ora di ripor mano alla virtude
Dimenticati il suol quasi dischiude,
All’umana virtude,
Né pura in gracil petto alma si chiude.
Prepara il fato, e dalle selve ignude
Regni del mar vendicatore illude
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Che gran parte d’Olimpo in sé racchiude,
2/24
2/28
3/24
3/28
4/14
4/15
6/6
8/68
12/3
29/40
UDI
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
E degli atti e dei passi, e i vani studi
Gl’ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
5/38
5/39
19/64
20/130
20/131
22/41
UDO
Sul corpo esangue e nudo
Quando e’ reddia nel conservato scudo.
Chi di speranza è nudo?
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
Al passegger, cui semivivo e nudo
4/74
4/75
6/37
7/79
16/84
UGA
La giovinezza. In fuga
33/22
UGGE
Nasce beata prole, a cui non sugge
Sei tu quella di prima? E che ti strugge
Son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
Circondando, sotterra si rifugge.
Volgo fiero e diverso agita e strugge.
8/105
15/20
22/33
40/25
40/28
UI
Ma da nemici altrui
E quelli m’apparian vani per cui
Deh come mai da me sì vario fui,
Deh quanto, in verità, vani siam nui!
Potrò del dono, io semispento, a cui
D’un solo istante, e il dir: felice io fui
Lei spinga il fato e la natura; a cui
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
1/57
10/77
10/79
10/81
17/54
17/110
19/145
22/60
97
Dall’imo petto invidiò colui
Magnanimo colui
Veracemente; a cui
27/60
34/84
34/171
ULLA
Cinse il fastidio; a noi presso la culla
Immoto siede, e su la tomba, il nulla.
Di questa infelicissima fanciulla.
L’erma terra contemplo, e di fanciulla
Ogni gran male annulla.
Bellissima fanciulla,
Fere l’orecchio, in nulla
Distruggendo e formando si trastulla.
Con lieve moto in un momento annulla
Globo ove l’uomo è nulla,
Né morte aspetta né vecchiezza; e nulla
E siccome alla culla
3/74
3/75
15/75
16/63
27/9
27/10
31/48
32/172
34/45
34/173
41/14
41/18
ULLE
Van gli amanti recando alle fanciulle,
22/163
ULLI
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
13/17
ULLO
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
Argomento di riso e di trastullo,
Dalla cara nutrice ogni fanciullo,
22/5
22/32
32/140
ULSA
Stimai la vita, e sovra l’altre insulsa
32/3
ULSE
E i branditi cucchiai, viva rifulse
32/18
ULTA
Legge al mortale insulta.
Siedi, Giove, a tutela? E quando esulta
Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
6/24
6/27
11/6
34/195
ULTE
Te de’ celesti peregrini occulte
8/77
ULTIMO
Fra poco in me quell’ultimo
Da te, mio cor, quest’ultimo
20/33
20/149
ULTO
Lui delle vesti e delle chiome il culto
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
19/63
22/38
98
E già nel primo giovanil tumulto
22/104
UMA
La destinata sua vita consuma.
19/99
UME
Sparse i regni beati empio costume,
Certo del tuo costume
Quel confidente immaginar, quel lume
Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Ed in civil costume
6/56
11/47
22/155
32/208
34/81
34/197
UMI
Né ti conforti? E i tremebondi lumi
L’itala gioventude? O numi, o numi:
Ch’io per la Grecia i moribondi lumi
Possa, volendo i numi,
Il pentimento. A voi, marmorei numi,
Margo adducea de’ fiumi
1/49
1/52
1/135
1/139
6/19
7/30
UMO
L’umana specie. Alfin per entro il fumo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
32/13
34/36
UNA
Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Io non son per la tua cruda fortuna.
Maestra è la beltà. D’amor digiuna
Scendono i venti, e quando nembi aduna
Infinita beltà parte nessuna
Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
Aprir di mia giornata incerta e bruna,
Che ti somigli; e s’anco pari alcuna
Medicine procaccia, onde quell’una
Sotto limpido ciel tacita luna
Vana diva non pur, ma di fortuna
Notte più sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Silenziosa luna?
E noverar le stelle ad una ad una,
Più felice sarei, candida luna.
Stato che sia, dentro covile o cuna,
Già tutta l’aria imbruna,
Al biancheggiar della recente luna.
Palpitasti. Non val cosa nessuna
Felice in terra far persona alcuna,
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
E le foreste, e tutte ad una ad una
2/129
2/132
4/48
4/51
9/21
15/12
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25/16
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28/7
32/200
33/13
33/14
39/14
99
In queta ombra giacea la valle bruna,
Del suo candor la rugiadosa luna.
39/16
39/18
UNGE
Che all’opre di sua man la notte aggiunge
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
16/64
23/119
23/120
UNGHI
Quei sospirati dì, quando per lunghi
32/138
UNGI
Pubblico stato, alieni in tutto e lungi
Di comun reggimento, o presso o lungi
32/71
32/93
UNGO
Dispensator de’ casi. E tu cui lungo
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
Di quella dolce somiglianza un lungo
9/58
14/13
29/87
UNICA
Siete pur voi quell’unica
20/89
UNNI
E di tuo seme i generosi alunni
8/72
UNNO
Cui là nel tardo autunno
34/203
UNO
Pari mai sempre ad uno
Che conforto nessuno
In terra amico agl’infelici alcuno
Ch’amico in terra al lungo andar nessuno
Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno
La vita all’uom non ha pregio nessuno,
Vive tra noi: quest’uno,
Movesti in me; né verrà tempo alcuno
Che, desolate, a bruno
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Ha questa luna in ciel, che da nessuno
2/161
2/165
16/21
17/8
17/131
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29/66
34/159
34/178
37/28
UNQUE
E di giustizia amor, sempre in qualunque
L’inclita schiatta, e non varrà, quantunque
Così natura ogni opra sua, quantunque
32/70
32/105
32/161
UNSE
Face del ver consunse
Aranitica valle, amor ti punse
L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
7/13
8/82
18/30
100
UNTI
Della cadente luna; e tu che spunti
9/2
UNTO
Ecco svaniro a un punto,
Il vero appena è giunto,
Comparando, fuggir che mai d’un punto
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch’a lor sembrano un punto,
Essi alla terra, un punto
Qual da vecchiezza è giunto
Del pelago rapisce; altri consunto
3/97
3/101
32/223
34/167
34/168
34/182
40/20
40/23
UPE
Fra la tacita selva in su la rupe,
9/3
UPO
E se appressar lo vede, o se nel cupo
34/258
UPPE
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
4/82
URA
Cresca, se crescer può, nostra sciaura,
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
Bench’infinita sia vostra sciagura,
Avrete in questa o nell’età futura.
Dunque all’Italia il cielo; ancor si cura
Rugginosa dell’itala natura,
I vetusti divini, a cui natura
In sonno eterno! Allora anco immatura
Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Né livor più, ma ben di lui più dura
Questa sovr’ogni cura,
Sarete detti nell’età futura:
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Non isgombrano i fati, e la matura
A spezzar le romane inclite mura
Turbò nostra sciagura,
Né scolorò le stelle umana cura.
Poiché voi, cittadine infauste mura,
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
Nella vita infelice avea natura
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
Alta, gentile e pura
La sorte, la natura,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Che la fama e l’allor, più che la pura
2/83
2/85
2/163
2/166
3/21
3/25
3/53
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3/143
3/147
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20/114
20/115
20/154
20/155
21/35
21/36
22/45
101
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Sogno e palese error. Ma di natura,
Che incontro al ver tenacemente dura,
Forse gli occhi spaura
Felicità che il suo pensier figura:
Che già mugghiando, intorno intorno oscura.
E fulmina nel cor l’invitta cura,
Che per certo futura
Il vivere è sventura,
Al mortale il mortal? Ma da natura
Che nostro male o nostro ben si cura.
Come nulla quaggiù dispiace e dura.
Quale un fanciullo, con assidua cura,
Il concorde sentir! Con quanta cura
I propri affetti tuoi. Di lor non cura
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Della terribil morte assai più dura.
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.
È il gener nostro in cura
Qui con giusta misura
Contro l’empia natura
Son le sepolte, e le prostrate mura
Dell’uom più stima o cura
Dilettevol quaggiù null’altro dura,
Ecco turbar la notte, e farsi oscura
E il piacere in colei farsi paura.
Nostro cieco pensier s’affanna e cura,
Come destina il ciel nostra ventura,
Di giorno in giorno dura.
Umana cosa picciol tempo dura,
Conforme ebber natura
22/62
23/55
23/56
26/111
26/114
27/34
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32/232
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34/42
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40/6
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40/9
41/1
41/4
URBO
Chi dirà l’onda e il turbo
2/54
URE
Qual maggior grazia mai delle tue cure
Più di questa giammai l’età future.
17/32
32/189
URI
Fama del vostro vate appo i futuri
Tanto durar quanto la vostra duri.
Pensosa immaginò. Che se gl’impuri
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
E cangiar con gli oscuri
Silenzi della tomba i dì futuri,
Subbietti insegna ai secoli futuri
1/138
1/140
7/47
14/16
30/39
30/40
32/212
102
Eletta agli aurei dì: né ti spauri
32/273
URNO
D’ignoti abitatori, o del diurno
Della giovane Aurora, e del notturno
3/93
3/95
URO
Correste al passo lacrimoso e duro?
Ma v’attendea lo scuro
Non siam periti? A voi forse il futuro
Né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
Tuttora il sen: che la vergogna il duro
Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro
Ch’arsi di foco intaminato e puro.
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Però, se fame non la sforza: il duro
Dell’età ch’or si volge! E che sicuro
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Europa, e il mondo poserà sicuro.
Ch’io n’agghiacciava; e ancor non m’assicuro.
1/93
1/96
3/33
3/35
10/95
10/97
10/99
11/54
22/85
32/56
32/209
34/190
32/270
37/20
URRO
In purissimo azzurro
34/162
URRI
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
22/21
URVO
Nostre querele al curvo
7/68
USA
Numi e l’averno accusa,
Virile alma ricusa,
Riede natura, e il non suo dardo accusa?
Non benedir, com’usa
Sovra nitide pelli, e circonfusa
Piacqueti che delusa
Del gioco reo, la cui ragion gli è chiusa
Notte e ruina, infusa
6/13
6/59
6/60
27/115
29/19
30/58
32/166
34/216
USE
Cui grave amor, cui duro fato escluse
Lido aspergea, confuse
7/64
34/224
USI
Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
Oh come soavissimi diffusi
Mille nell’alma instabili, confusi
10/26
10/28
10/30
USO
103
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Impallidir; come tremar son uso
Opra ardita, immortal, ch’esser dischiuso
9/42
17/137
32/127
USTRE
Rosseggerà del villanello industre,
Ozioso nomar. La schiera industre
6/96
19/12
UTA
Nome di giovanezza e la perduta
I perduti desiri, e la perduta
15/78
18/39
UTE
L’ira de’ greci petti e la virtute.
La fuga i carri e le tende cadute,
1/108
1/111
UTI
Al travagliarne il cor. Così de’ bruti
19/37
UTO
Torna torna fra noi, sorgi dal muto
Me spesso rivedrai solingo e muto
3/136
16/104
UTRI
Che per uccider partorisci e nutri,
30/47
UTTA
Grave retaggio e faticoso? È tutta,
Lei non cancellerà, non Anglia tutta
Italia crescerà, crescerà tutta
19/7
32/83
32/268
UTTE
Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
Di poetar maestro, anzi di tutte
6/71
32/228
UTTI
Felicità richiede, esso da tutti
Di poesia canuto amante. Io tutti
D’ogni mio vago immaginar, di tutti
Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
19/59
19/121
22/171
34/59
UTTO
Qualche speranza? In tutto
Conoscer non si toglie. Io son distrutto
Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto
Leggi del cielo e di natura indutto
E per li campi trepidanti il flutto
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Non ti dorrai; che di natura è frutto
3/32
3/34
3/164
3/165
8/58
8/100
9/10
9/46
11/48
104
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Uso alcuno, alcun frutto
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Gioia vana ch’è frutto
Se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto;
Pose a tanto patir senz’altro frutto;
Te, la natura, il brutto
E l’infinita vanità del tutto.
Più che virili, in chi dell’uomo al tutto
Da’ comuni negozi, ovvero in tutto
È di cotanto favellare il frutto;
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Annichilare in tutto.
E qual da morbi al bruno Lete addutto;
Questo il rigido Marte, e quello il flutto
22/83
22/93
23/70
23/97
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26/81
26/84
28/14
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40/21
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