Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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N. 00571/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00054/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 54 del 2013, proposto da:
Domenico Calabro', rappresentato e difeso dall'avv. Benedetto Calpona, con domicilio eletto presso
la Segreteria Tar Lazio in Roma, Via Flaminia, 189;
contro
Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della Giustizia, Consiglio Giudiziario presso la
Corte d'Appello di Messina, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati
in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento emesso dal Consiglio Superiore della Magistratura in data 14.9.2012, prot.n.
18497/12 che ha disposto la revoca dell'incarico di giudice di pace dell’avv. Domenico Calabrò.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consiglio Superiore della Magistratura e di Ministero
della Giustizia e di Consiglio Giudiziario presso la Corte d'Appello di Messina;
Viste le memorie difensive;
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Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2015 il dott. Fabio Mattei e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con atto (n. 54/2013) l’avv. Domenico CALABRO’, giudice di pace presso la Corte d’Appello di
Messina, sede di Patti, ha adito questo Tribunale per l’annullamento della deliberazione del
Consiglio Superiore della Magistratura del 14 settembre 2012 che ha ne disposto la revoca
dall’incarico di giudice di pace in ragione della violazione del dovere di diligenza e di proficuo
svolgimento del proprio lavoro, ex articolo 9 della legge 374 del 1991, a causa di reiterati e
ingiustificati ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali relativi a procedimenti dal
medesimo trattati in numerose udienze.
Espone di essere stato destinatario di apposito atto di contestazione da parte dell’Amministrazione
giudiziaria e di aver depositato, in data 3 aprile 2012, apposita memoria difensiva illustrativa delle
ragioni per le quali si erano verificati i ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, a suo
dire connessi al notevole carico di lavoro ed alla complessità delle questioni trattate, oltre che alla
risoluzione di pregressi impegni professionali assunti nella precedente veste di avvocato e a causa
della inadeguatezza delle risorse materiali e di organico degli uffici del giudice di pace della sede
di Patti.
Riferisce che il Consiglio Superiore della Magistratura avrebbe irrogato la sanzione della revoca
dalla funzione di giudice di pace in luogo di quella della censura deliberata dalla sezione autonoma
per i giudici di pace del consiglio giudiziario presso la Corte di Appello di Messina.
Avverso il provvedimento, in epigrafe indicato, il ricorrente ha dedotto le seguenti censure:
a) violazione per errata applicazione ed interpretazione dell’articolo 9 della legge 374 del 1991;
eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dell’istruttoria e dell’ingiustizia manifesta;
contraddittorietà.
Asserisce, in proposito, l’erronea applicazione ed interpretazione della ora richiamata, posto che la
normativa di riferimento non avrebbe previsto criteri di valutazione dei provvedimenti
giurisdizionali emessi dai giudici di pace tali da poter configurare la mancanza di diligenza
nell’adempimento dei doveri d’ufficio, peraltro non configurabile in caso di ritardo nel deposito
delle sentenze, bensì in altre condotte maggiormente rilevanti.
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b) eccesso di potere per illogicità, erroneità, contraddittorietà irragionevolezza ed era solita
manifeste, in ragione delle contrastanti risultanze tra il procedimento istruttorio eseguito dal
Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Messina in data 22 settembre 2011 con
valutazioni estremamente positive sull’attività del ricorrente, il provvedimento emesso dal
medesimo Consiglio giudiziario in data 24 maggio 2012 propositivo dell’irrogazione della sanzione
della censura e il provvedimento, oggetto di impugnativa, dispositivo della revoca dall’incarico
di giudice di pace, tali da configurare manifestazione di irragionevolezza, anomalia e sproporzione
alla luce della sanzione irrogata.
c) violazione dell’articolo 1 della legge 241 del 1990; eccesso di potere per violazione del principio
di proporzionalità della sanzione, a causa della non imputabilità dei ritardi peraltro giustificata dalle
vicende personali e professionali esposto nella sua memoria difensiva tali da affievolire la gravità
della condotta a lui ascritta, con conseguente violazione del principio di proporzionalità e di
ragionevolezza.
d) violazione degli articoli 3, 97,107 e 110 della Costituzione; eccesso di potere per disparità di
trattamento, ingiustizia manifesta, violazione del principio di imparzialità e sviamento dal fine
pubblico; violazione dei criteri indicati dal CSM nelle relative circolari, tenuto conto che il CSM in
casi analoghi che vedevano coinvolti magistrati togati avrebbe comminato le sanzioni
dell’ammonimento e della censura.
e) violazione dell’articolo 3 della legge 241 del 1990; eccesso di potere per carenza di istruttoria di
motivazione, atteso che il CSM non avrebbe ponderato le difficoltà operative in cui versa l’ufficio
del giudice di pace di Patti non riscontrabili nel procedimento decisionale conclusosi con la revoca
oggetto della presente impugnativa.
f) eccesso di potere per ingiustizia di logicità manifeste ed erroneità dell’istruttoria, tenuto conto
che il CSM non avrebbe in alcun modo considerato l’intervenuto esaurimento dell’arretrato alla
data di inizio del procedimento sanzionatorio oggetto di contestazione con conseguente omessa
valutazione della laboriosità manifestata della ricorrente al fine di eliminare i ritardi.
g) eccesso di potere per erronea ponderazione dei fatti e delle circostanze di fatto di diritto per
omessa valutazione da parte dell’organo di autogoverno della magistratura degli elementi fattuali e
delle circostanze dal ricorrente posti a giustificazione dei ritardi maturati nel deposito dei
provvedimenti giurisdizionali.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che ha chiesto il rigetto del ricorso per
infondatezza delle doglianze proposte.
Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
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Il ricorrente, giudice di pace presso la corte di appello di Messina, sede di Patti, censura la
deliberazione del CSM, in epigrafe indicata, sotto differenti e molteplici profili, deducendo, in 1º
luogo, la carenza di criteri normativi predefiniti ed oggettivi utili ai fini della definizione e
valutazione della condotta sfavorevole a lui ascritta.
Orbene, al fine del decidere, giova premettere che la revoca dalla funzione di giudice di
pace dell’odierno ricorrente risulta essere stata adottata in applicazione delle disposizioni di cui
all’articolo 9, comma 3, della legge 174 del 1991 a norma del quale “3. Nei confronti del giudice di
pace possono essere disposti l'ammonimento, la censura, o, nei casi più gravi, la revoca se non è in
grado di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di
comportamento negligente o scorretto”.
Giova, altresì osservare che la condotta di servizio ascritta al ricorrente è stata considerata contraria
ai doveri di diligenza di laboriosità richiesti nell’esercizio dell’attività giurisdizionale, in ragione del
deposito “oltre i 60 giorni dall’introito o dalla pronuncia di 150 sentenze civili con ritardi
considerevoli eccedenti 180 giorni ed in molti casi uno o due anni”oltre che nell’omesso deposito
di “32 sentenze civili con un ritardo oscillante tra i 193 ed i 552 giorni” in un arco di tempo
considerevole dal 18 giugno 2003 al 7 novembre 2011.
Secondo il Consiglio Superiore della Magistratura la condotta di servizio oggetto di contestazione
configurerebbe “negligente e reiterata e di rilevate gravità per l’entità dei ritardi tale da determinare
di per sé una grave lesione del prestigio dell’ordine della magistratura”.
Per quanto concerne il profilo di illegittimità introdotto dal dott. Calabrò con il primo motivo di
ricorso, si deve rilevare come la sanzione adottata sia coerentemente applicativa del dato normativo
contenuto nell’art. 9, comma 3 della legge n. 374 del 1991.
Ed invero, la entità dei ritardi dei provvedimenti giurisdizionali ictu oculi sproporzionata e reiterata
rispetto al periodo temporale di servizio (2003/2011) esaminato dall’Organo di autogoverno,
nonché la consistenza degli stessi (n. 150 decisioni depositate oltre n. 180 giorni dall’introito, n. 32
decisioni con ritardo di oltre un anno) costituiscono certamente presupposti e circostanze fattuali
riconducibili, secondo criteri di ragionevolezza, logicità e razionalità, alla condotta astrattamente
prevista dall’art. 9, comma 3 della legge n. 374 del 1991, anche se in assenza di criteri normativi di
dettaglio.
La sanzione della revoca configurabile quale esercizio della potestà discrezionale non assume, ad
avviso del Collegio, alla luce della consistenza e della reiterazione dei ritardi appena descritti alcun
carattere riconducibile alle figure sintomatiche dell’eccesso di potere dedotte dal dott. Calabrò.
Né il procedimento valutativo e decisionale eseguito dall’Amministrazione giudiziaria può
considerarsi affetto da contrattittorietà rispetto alle valutazioni positive formulate dal Consiglio
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giudiziario locale sulla attività giurisdizionale svolta dal ricorrente, in ragione di dati numerici
relativi ai descritti ritardi oggettivi ed incontrovertibili quanto a consistenza sia numerica che
temporale rispetto all’introito dei provvedimenti giurisdizionali da parte del dott. Calabrò.
Peraltro, appare evidente come la formulazione di giudizi anche non sfavorevoli da parte del
Consiglio giudiziario espressi sull’attività giurisdizionale svolta dal ricorrente non possano
configurare profili di illegittimità tali da caducare il provvedimento oggetto di impugnativa essendo
quest’ultimo stato adottato su elementi di valutazione in alcun modo contestabili e suscettibili di
dubbio.
Prive di pregio giuridico sono le censure dedotte con il terzo motivo di ricorso, poiché il profilo
della negligenza nello svolgimento delle funzioni magistratuali onorarie, con particolare riguardo al
grave e sistematico ritardo, protratto per intervalli temporali considerevoli, non può considerarsi
suscettibile di giustificazione alla luce anche delle ragioni addotte dal ricorrente a sua discolpa,
tenuto conto della insussistenza di elementi disfunzionali organizzativi di entità tale da pregiudicare
in modo così sistematico e rilevante il verificarsi di ritardi nel deposito dei provvedimenti
giurisdizionali, i quali se connotati da oggettività avrebbero certamente caratterizzato con identica o
simile consistenza l’attività giurisdizionale degli altri magistrati onorari in servizio presso il
medesimo ufficio giudiziario.
Palesemente infondate, per le ragioni appena espresse, devono considerarsi i residui motivi di
doglianza, anche con specifico riferimento alla prospettata disparità di trattamento tra magistrati
togati e quelli onorari riguardo alle sanzioni irrogate, dovendosi, nel caso in esame, ritenere
preminente la consistenza e l’entità dei ritardi riscontrati a carico del dott. Calabrò, tali da esser
ricompresi nella mancanza di diligenza e di proficuo svolgimento della funzione giurisdizionale.
Ne consegue, dunque, per le considerazioni che precedono che il ricorso deve essere respinto e le
spese di giudizio compensate, fra le parti in causa, tenuto conto della peculiarità della controversia
in esame.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2015 con l'intervento dei
magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Giampiero Lo Presti, Consigliere
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Fabio Mattei, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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