2 – Gli Anni Quaranta – Cinquanta

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2 – Gli Anni Quaranta – Cinquanta
Introduzione
In questo pamphlet, si vuole dare una piccola infarinatura di quello che è stato il rapporto tra la
musica e il mondo giovanile, tenendo presente delle varie dinamiche che hanno contraddistinto ogni
decennio fino ai giorni nostri.
Da qui lo studio per poter rendere comprensive le mutazioni sociologiche, tenendo conto del
contesto storico a cui tutto è dipendente.
Di seguito, gli approfondimenti in sette capitoli divisi per periodi di dieci anni, tranne i primi due in
cui le esigue informazioni hanno permesso un approccio più stretto e conciso.
DARIO PAPARELLA
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1 – Le Origini
La musica leggera prese forma negli Stati Uniti negli ultimi anni dell' '800, con la creazione di
fusione tra vari generi musicali che rispecchiavano la struttura sociale di una nazione ancora
giovane.
Inizialmente potevano distinguersi due tradizioni: i generi "bianchi" che raccontavano le gesta dei
cowboys, degli "outlaws" e dei pionieri, e quelli "neri" che avevano per oggetto la vita dei
vagabondi o dei braccianti. Successivamente si ebbe una mescolanza tra i due generi grazie anche
alle manifestazioni sociali itineranti e tra queste il "ministrel show", svolti da bianchi per i bianchi e
consisteva in una commedia dove gli attori preparavano sketches comici con lo scopo di deridere i
neri (infatti alcuni di essi si dipingevano il viso di nero) e il "medicine show" che era formato da
una carovana di musicisti, acrobati e ballerini che si esibivano tra l'altro in canti e balli su
indicazione di un "doctor", un ciarlatano che curava vendendo alcool.
Da alcune testimonianze si capì che successivamente il medicine confluì nel ministrel, quindi la
prima mescolanza si ebbe non con le parole ma con la musica. All'epoca non esistevano radio e
cinema quindi le filastrocche dei ministrel si fissavano nelle orecchie di coloro che ascoltavano
questo evento. Una menzione speciale si dovrebbe fare per la musica dei neri. Il canto era
accompagnato quasi sempre dal battito delle mani, ed era presente in ogni momento della "black
society". L'aspetto più importante era il fatto che quest'accompagnamento ritmico diventò un
tutt'uno con il canto; la creazione di "strumenti corporali" andarono a sostituire tamburi e
percussioni varie.
Era il tempo dei latifondisti e degli schiavi e i neri in questo periodo cantavano e ritmavano canzoni
sacre e profane. Le canzoni sacre, meglio note come "spiritual songs", erano legate alla religione
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vero collante sociale per gli schiavi, mentre quelle profane chiamate "work songs" che parlavano
del lavoro e lo sfruttamento nei campi. Era l'inizio del 1900 e da qui nacque quel genere che poi
influenzò la nascita delle successive sfaccettature della musica leggera: il Blues.
Il Blues uscì dalla tradizione delle spirituals: i primi cantanti erano predicatori che lasciavano la
comunità per vivere di musica e si accompagnavano con uno strumento musicale che poteva essere
il banjo e il piffero e, dopo molto tempo, alla chitarra e all'armonica.
La musica bianca continuava il suo percorso e nelle sue tradizioni cantando le gesta degli uomini e
delle battaglie della guerra civile. I generi musicali che si affermarono furono il Country &
Western, il Cajun, l'Honky Tonk, l'Hobo e Nashville.
Essi avevano principalmente un carattere regionale, molto conservatore e tradizionalista basata sui
racconti del Sud ed erano suonate con chitarre acustiche e baritoni nasali. I luoghi di culto erano
principalmente i saloons del Texas.
L'arrivo dei neri al Nord, in seguito all'abolizione degli schiavi, contribuì alla mescolanza degli stili
e all'attenzione del pubblico bianco. Gli immigrati suonavano differenti stili di blues e
successivamente iniziarono a contaminare il loro genere con i ritmi urbani della terra che li
ospitava. Vero è che negli anni Quaranta in seguito alla seconda guerra mondiale, si arrivò anche
alla chitarra elettrica. In questo periodo le majors discografiche fiutarono l'affare e iniziarono a
mettere sotto contratto molti songwriters che, visto il periodo in cui ci si trovava, si vendevano per
un pezzo di pane. Nel frattempo gli afro-americani iniziarono a coniare un nuovo genere al confine
tra il blues e il jazz con ritmi e strumentazione dei bianchi: nacque il Rythm'n'blues.
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2 – Gli Anni Quaranta – Cinquanta
All'indomani del secondo conflitto mondiale, l'Europa ne uscì con le ossa rotte e gli Stati Uniti
divennero l'unica e forte potenza economica nel mondo. Gli anni Cinquanta divennero un periodo
d’innovazione sociale importante: non più differenze razziali, anche se piccoli focolai erano sempre
presenti, ma anagrafica. L'incipit era dovuto al nuovo status di benessere che si era creato in quel
periodo e parte del denaro veniva speso per il divertimento che diventava sempre più sfrenato. In
questa ottica nacque un nuovo tipo di musica bianca di concezione, nera di ritmi: il rock 'n' roll.
Il termine rock 'n' roll fu coniato da un dj di Cleveland, Alan Freed che ebbe il merito storico di
programmare canzoni rhythm'n'blues mentre altri trasmettevano le canzoni tradizionali. Da questo
momento si battezzò r'n'r la musica dei bianchi e il r'n'b per quella dei neri.
Il riflesso fu storicamente importante per due motivi: l'importanza della figura del dj che iniziava ad
essere un selezionatore e anima pensante della radio, e la riclassificazione di qualcosa a livello
sociale-anagrafica che si andava a posizionare tra l'età della fanciulezza e l'età adulta. Il r'n'r
divenne quindi anche simbolo di valori trasgressivi contro il tipo di vita che c'era. Tutti volevano
imitare i tipi ribelli dell'epoca come Marlon Brando e James Dean, il cuii stile era quello di vivere
l'eccesso senza pensare alle conseguenze. La musica in atto rappresentava un qualcosa di personale,
di intimo e diventava non più un semplice rilassamento ma qualcosa che trasmetteva voglia di
vivere e di divertirsi. Il r'n'r durò pochissimo tempo anche perchè tutti i protagonisti ebbero in
comune un triste declino da Bill Haley a Chuck Berry. La fine del r'n'r ha una data precisa: il 9
settebre 1956 quando Elvis Presley partecipò all'Ed Sullivan Show.
Intanto anche l'Europa iniziava a sentirsi l'influenza di questa nuova musica. Soprattutto in Gran
Bretagna, le musiche di oltreoceano venivano diffuse dai militari statunitensi che si apprestavano
allo sbarco in Normandia.
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L'apice si ebbe nel 1956 quando artisti come Fats Domino, Little Richard, Chuck Berry entrarono
nelle charts britanniche tanto che i cantanti madrelingua dovettero diventare "bilingui": parlare
americano con tanto di slang nelle sale di registrazione e inglese nei pub all'angolo. Gli inglesi
iniziarono a storcere il naso da quelle contaminazioni troppo forti visto che gli aficionados musicali
si battevano per un jazz leggero e, naturalmente, anglosassone. Lo stile di vita inglese era diverso da
quello americano dove lo scontro tra ceti era abbastanza sentito. Qui c'era una classe operaia molto
forte dove i ragazzi erano abituati a iniziare il lavoro a quindici anni. Anche il dopoguerra
britannico fu ricco di benessere che portò la working class hero a trovare divertimenti che prima
erano impensabili e questa ascesa era dipesa da due motivi: l'assetto tradizionale della famiglia che,
grazie all'aumento del potere d'acquisto che diede più autonomizzazione e il Welfare State che portò
i ragazzi della classe operaia a frequentare le Art Schools per trovare qualcosa di alternativo.
Tra i frequentatori vi sono Keith Richards, John Lennon, Jimmy Page, Pete Townshed e David
Gilmoure.
Le prime forme giovanili in Gran Bretagna furono i Teddy Boys che vedevano negli eroi "sporchi"
di oltreoceano una sorta di liberazione dagli eccessi di apatia della vita lavorativa. I Teddy Boys
rappresentano poi il primo embrione di quel gruppo che poi avrebbe dato vita al rock maturo.
Di particolare interesse era la condizione delle ragazze britanniche. Le sole che avevano un pò di
emancipazione erano quelle che abitavano nella magnifica Londra. La donna era relegata ad un
ruolo passivo ed era impensabile che potesse scavalcare il volere della famiglia e l'unico destino era
di fare la madre.
Naturalmente chi aveva un pò di emancipazione e libertà, tutto questo finiva nel momento in cui
iniziava il fidanzamento.
Tornando al famoso 1956 statunitense, vi fu quindi la fine del r'n'r casalingo o quantomeno intimo.
Con Elvis Presley iniziò il fenomeno del rock business dove tutto era in mano alla pubblicità, agli
sfarzi, allo studio dei gusti dei ragazzi, delle loro perplessità, dei loro sogni e quello che poteva
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essere definito l'American Way of Life dove bastava la volontà e il lavoro per diventare qualcuno
importante. Elvis fu montato con alcune canzoni sdolcinate e con alcuni film di modesto interesse
mettendo in evidenza la bellezza fisica e dalla quale bellezza non riuscì ad uscire, diventando fino al
giorno della sua morte la caricatura negativa di se stesso.
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3 – Gli Anni Sessanta
Dopo le trasgressioni degli Cinquanta, negli Stati Uniti è il periodo della Restaurazione. Si fece leva
su dei ragazzi dalla faccia pulita con canzoni "honey", per colpire soprattutto il mondo femminile. I
testi erano quindi molto più lenti e posati, parole romantiche e sdolcinate e atteggiamento sorridente
e ammiccante. Anche qui le scelte furono "forzate" dall'industria discografica mediante forti
campagne di marketing e soprattutto con la radio dove il dj più conosciuto, Dick Clark, fiutò l'affare
e condizionò i gusti dei teenagers diventando quindi anche produttore.
Intanto nei Paesi dell' Oltremanica iniziò un processo innovativo basato sulla rimodernazione
sociale della Union Jack. In particolare si rispolverò il patrimonio popolare con il folk unendolo alla
canzone operaia. Quando il suono maturò nacque il beat e la "Swingin' London" iniziò a cambiare
le sue abitudini. Da contraltare alla Londra di Carnaby Street c'era una città dove erano nati gli
"Slums", abitati dalla popolazione più povera e disintegrata: Liverpool. Importante poi anche il
cambiamento di strumentazione: dalla chitarra acustica, basso di cassa di tè, con opzionale di
chitarre, kazoo, banjo e piano tipici dello skiffle, si passò alla chitarra elettrica-basso-batteria del
beat.
Dal Trad Jazz i locali iniziarono la loro programmazione tenendo presente il nuovo sound.
Uno dei primi gruppi che si esibirono al Marquee Club di Londra furono dei certi "Rolling Stones".
Cambiò radicalmente anche lo stile di vita giovanile. Si iniziò a frequentare circoli anticonformisti e
le scuole d'arte, quest'ultime favorite anche dal finanziamento pubblico e si iniziava a dare sfogo
alle loro ansie di libertà, di sesso e finanche di violenza.
La sottocultura anglosassone produsse i Mod un modello di comportamento giovanile di estrazione
della working class che si ripeterà nei periodi di espansione economica.
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I mod erano portati all'individualismo alla cura di sè, dove l'importante era farsi notare.
L'abbigliamento, discoteca, i motoscooter con le luci scintillanti e le gite fuori porta erano il tratto
caratteristico del loro modo di vivere. In questo periodo iniziarono a circolare anche le droghe
sintetiche, tipo le anfetamine, per poter rimanere svegli allungo.
Il tempo libero assumeva l'aspetto di un secondo lavoro. Infatti nel week-end si lucidava il
motoscooter, si compravano dischi, si lavavano e stiravano i pantaloni e si passava la notte in
bianco nelle discoteche londinesi.
Importante furono anche i mezzi di comunicazione. Basta pensare al programma di culto "Ready
Steady Go" della BBC dove ogni sera venivano presentati gruppi come Rolling Stones, The Who e
The Animals tra i tanti. Anche i primi giornali di settore come il New Musical Express iniziarono a
parlare di questa nuova moda giovanile. Tra tutti i gruppi quello che diede maggior impatto nel
rappresentare i Mod furono sicuramente il gruppo "the Who". Essi spopolarono con canzoni come
"My generation" e con la frase "spero di morire prima di diventare troppo vecchio" che divenne uno
slogan tra cultura giovanile e mondo adulto.
In quel periodo bisogna dire che anche la tecnologia dello studio di registrazione si arrichì di un
pezzo importante: il nastro da registrazione. D'ora in poi gli strumenti potevano essere registrati
separatamente e un cantante poteva aggiungere la propria voce su di una registrazione precostituita,
venendo a sua volta registrato.
Il nastro portò anche un risvolto psicologico e sociale poichè attraverso la manipolazione in studio il
formato 45 giri divenne un supporto a se stante mentre per il full-length a 33 giri, la musica poteva
assumere anche connotati di esclusività. Inoltre emerse anche la figura del tecnico del suono che
inventò il "wall of sound" (Phil Spector il primo) dove il suono basato su basso-chitarra-batteria si
arrichiva di suoni esterni come fiati, orchestre e quant'altro.
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Fu in quest'epoca che uscì allo scoperto uno dei gruppi più importanti del nostro secolo: The
Beatles. Erano il prodotto più contraddittorio della "Swingin' London" che oscillava tra la voglia di
rinnovamento, frenesia di vivere e ipocrisia.
I Fab Four, attraverso la loro musica, garantiro il soddisfacimento di tutti i bisogni senza particolari
eccessi a differenza di Rolling Stones e Who.
A livello sociologico stabilire una correlazione musicale, economica e storico-sociale del
fenomeno-Beatles diventa assai scomodo. Per il primo punto dobbiamo dire che il gruppo ebbe il
merito di aver creato una miscela tra stili vocali bianchi inglesi e ritmiche nere americane.
Economicamente parlando dovremmo dire che anche qui il marketing giocò un ruolo importante
anche con la pubblicazione di un film sui quattro di Liverpool, "Help", che mostrava la bellezza
superficiale del gruppo (si sa che i rapporti tra Lennon e McCartney non erano proprio idilliaci).
Sociologicamente erano tutti appartenenti alla working class, quindi avevano condizioni familiari
precarie ma con il loro sogno, eletto poi sogno di tutti i coetanei, divenne una giovinezza mitica e
spensierata; una giovinezza che aveva fiducia in una crescita economica inarrestabile. L'isterismo
delle fans dei Beatles rendeva concreto per l'altro sesso, un futuro accanto ad un giovane pulito e
ottimista: una sicurezza assoluta di un nuovo tipo di famiglia più bella, più agiata e soprattutto più
libera.
Intanto gli Stati Uniti stavano vivendo un periodo di cambiamenti epocali, come la sentenza Brown
vs. Board of Education che dichiarò la incostituzionalità della segregazione razziale, e a questo
bisogna aggiungere poi gli assassinii di John Fitzgerald Kennedy e del fratello Robert e di Martin
Luther King. Ma la punta più importante fu proprio quella guerra del Vietnam che era inviso alla
maggior parte della gente tanto che Johnson non si ripresentò e fece vincere Nixon.
Anche negli U.S.A. intanto ci fu l'invasione dei Beatles e quindi il primo riconoscimento di un
gruppo che proveniva dalla Madrepatria.
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Nel 1964 iniziarono le proteste all'Università di Barkeley contro la guerra del Vietnam. Un nuovo
movimento che poneva fine al disimpegno, alla spensieratezza e all'individualismo sostituendolo
con un'attività politica e il vivere in "comune".
L'insieme delle contraddizioni del sistema americano furono all'origine della beat generation, un
movimento che condensava a sè uno spirito ribelle e uno spirito anticonformista. I beat risiedevano
in una zona ben precisa, il Greenwich Village. Era ormai un quartiere alternativo dove poeti,
scrittori, musicisti ed artisti in genere si riunivano. Si creò una sorta di codice alternativo al sistema
ufficiale di cose. Il pacifismo e la lotta contro il potere corrotto furono le radici di questo nuovo stile
di vita. A livello musicale importante fu la figura del "folksinger" che in sostanza era simbolo di
questa nuova cultura, che ripudiava gli eccessi dell'abbigliamento e della gestualità a favore di
prediche sui buoni prncipi e storie ottocentesche sul banditismo.
L'uomo chiave di questa nuova scena musicale era Robert Zimmermann, meglio conosciuto come
Bob Dylan.
Dylan, cantando un blues glaciale opposto a quello dei neri parlò di pacifismo, razzismo, di guerra
atomica, divenendo il simbolo e il nume tutelare della protesta tanto che la musica si fuse in
manifestazioni e sit-in.
Aveva inaugurato la nuova stagione psichedelica in musica e la conseguente creazione di una forma
di canzone lunga anche sette minuti. La conseguenza fu l'adozione del 33 giri a nuova unità di
misura del lavoro di un musicista o di un gruppo.
A New York invece si sviluppò un movimento sotterraneo che riunì poeti come Ginsberg, pittori
come Warhol, teatranti come Beck e giornalisti.
I generi musicali furono principalmente due: la musica di sottofondo per spettacoli militanti e quella
sperimentale a favore di colonne sonore e di spettacoli d'avanguardia.
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Alla prima corrente appartenevano i Fugs, tanto amati da Ginsberg, nei cui spettacoli erano presenti
oratoria (come inneggiare alla rivoluzione culturale cinese e al free-speech movement),
provocazione (strumenti sfasciati, droga alcool e sesso sul palco), music hall (sketch in costume)
allo scopo di smascherara l'ipocrisia dei governanti, la repressione sessuale, il consumismo, la
guerra e la persecuzione per la detenzione di stupefacenti.
Alla seconda aderirono i Velvet Underground, gruppo che era "protetto" da Andy Warhol che
necessitava di adeguate colonne sonore per i propri spettacoli d'avanguardia. La musica doveva
creare un trait d'union con le luci, le immagini e le serigrafie delle mostre di pop-art del suo Grande
Maestro.
Nella West Coast intanto due città si stavano lentamente trasformando. Los Angeles e San
Francisco erano delle prospere città commerciali e industriali, famose per le autostrade larghissime
(le cd. "freeways"), per il clima temperato e per il vizio del consumismo e della surf- music.
Soprattutto Los Angeles all'epoca godeva del movimento più forte dei surfisti. I cantori di queto
movimento erano senza dubbio i Beach Boys con canti in falsetto e ritmiche baciate che
rappresentavano lo spirito spensierato dell'adolescente californiano lontano da quell'impegno
politico della vicina San Francisco. Quest'ultima era considerata la più europea delle metropoli
americane. Qui si sviluppò un movimento del tutto differente da quello di Los Angeles, più
impegnato e più intellettuale basato sulla nascita di circoli letterari e artistici e si fecerò chiamare
"hippies".
Musicalmente a Los Angeles nacquero i "freaks"che predilessero una fusione di generi; gli
spettacoli, fedeli alla tradizione newyorchese, si trasformarono in rappresentazioni multimediali con
balletti, cabaret, sketch comici itineranti. Il gruppo si muoveva con carrozzoni ambulanti composti
da una comunità che oltre a comprendere i musicisti, includeva anche il manager, gli amici e le
amiche (le famose "groupies").
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Il massimo compositore di questa musica "totale" fu Frank Zappa, da molti ritenuto uno dei geni del
secolo. Fu l'unico a sbeffeggiare il flower-power trovandone i punti deboli: il qualunquismo,
l'impreparazione dei giovani a prendere il potere e l'assuefazione all'opulenza dilagante.
La controcultura degli anni sessanta nacque dalle intuizioni della beat generation, e generò
un'insieme di valori e di visioni del mondo ispirate all'antiautoritarismo, all'oriente e alla libertà di
autodeterminazione dell'uomo. I primi hippy apparvero all'East Village di N.Y. e nel quartiere di
Height Asbury di San Francisco.
Queste comunità si iniziarono ad allargare anche con migliaia di giovani che spinti dai contrasti con
i genitori, insuccessi scolastici, desiderio del nuovo e dalla attrattiva estetica degli hippies stessi. Il
loro credo si basava attravero ideali d'amore e pace e ragionamenti più profondi con l'ausili di
sostanze stupefacenti. Il movimento alternativo americano fu una categoria di giovani che
attaccavano il materialismo della cultura americana formata e allevata dai loro genitori.
Oltre a questo bisogna aggiungere che in questo periodo diverse scoperte in campo pedagogico
avavano introdotto la consapevolezza che i bambini erano "piccole persone" che dovevano essere
trattate tenendo conto delle loro "esigenze". Il risultato fu quello di crescere i figli in modo viziato
che un giorno si sarebber domandati dov'era finito quel mondo perfetto che i genitori avavano
programmato per loro. Dobbiamo comunque dire che questo movimento portò al sistema di cose dei
cambiamenti importanti come la visione della vita "on the road" sperimentando nuove forme
associative che superassero l'impegno matrimoniale, realizzando le cosiddette "comuni" abbattendo
il muro del nnucleo familiare; una sessualità più promiscua con abbigliamenti unisex; un tipo di
lavoro che avesse come fulcro l'autosufficenza alimentare, più umanità e armonia con la natura
contro un capitalismo sfrenato finalizzato al profitto e all'accumulo di capitale.
Se l'oggetto delle attenzioni del movimento era la psichedelia, sicuramente a questo bisognava
aggiungere l'LSD.
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A San Francisco si trasferì un gruppo di scienziati capeggitati da Timothy Leary. Egli era convinto
che l'esperienza di questa droga, attraverso l'introspezione in stati alterati, poteva espandere la
coscienza individuale esaltandola. Presa da questa esaltazione migliaia di giovani incominciarono a
farne uso. Nel 1966 quando l'acido fu reso illegale, un ufficiale dell'amministrazione per il cibo e le
droghe stimò che più del 10% degli studenti universitari assunsero questa droga e la percentuale salì
fino al 90% nel quartiere di Height Asbury.
Nonostante questi divieti furono organizzati vari concerti a tema come il "Love-In" dove
parteciparono Great Society, Charlatans e Jefferson Airplane. Ma il più importante fu il "Trips
Festival" che fu assistito da circa 6600 persone e aveva 5 schermi cinematografici con proiezioni di
colori e forme. Ben presto il fenomeno divenne qualcosa di "moda" e i veri Hippy ne dichiarono la
morte il 6 ottobre 1967 con una manifestazione dove parteciparono più di 20000 appartenenti.
Da questo momento i festivals divennero megaraduni programmati ma la cosa più ridicola fu
l'apertura di negozi proprio nel quartiere famoso del flower-power dove si iniziarono a
commercializzare finti capelli hippy o barbe finte.
In questo periodo ricordiamo il Festival di Monterey che si svolse il 18, 19 e 20 giugno 1967 con la
partecipazione di duecento mila persone, ma sicuramente l'evento più importante e storico fu il
festival di Woodstock nell'agosto del 1969 dove si ebbero cinquecento mila presenze e il "canto del
cigno" dell'isola di Wight nel 1970 con trecentomila aficionados.
In questo eventi molti furono le "chicche" storico- artistiche da ricordare come il concerto di Janis
Joplin a Monterey, il grodo della chitarra di Jimi Hendrix a Woodstock e l'ultimo concerto dei
Doors a Wight.
Il concerto e il festival rock avevano dunque un carattere unico, dove l'improvvisazione era un
elemento fondamentale che dava al pubblico partecipante la sensazione di un "evento"
indimenticabile.
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Nel Regno Unito nel frattempo la controcultura era basata anch'essa sulla "psichedelia acida". La
differenza dai colleghi di oltre oceano invece era dovuta all'uso di un suono futurista e progressivo (
da qui il termine "progressive music") basato su suoni elettronici e campionati che si avvicinavano
molto alla realtà citata da Stanly Kubrick nel film "2001: Odissea Nello Spazio".
I maggiori fautori ed esponenti di questo tipo di musica erano i Pink Floyd e i Soft Machine.
La Gran Bretagna stava finendo il suo ciclo economico espansivo iniziato con l'immediato
dopoguerra e contamporaneamente vedeva affacciarsi questi ribelli di provincia, con i loro amori, la
loro musica, la loro droga, il loro esasperato individualismo che osavano mettere in dubbio le basi
stesse della società. Le inchieste portarono alla luce dell'opinione pubblica e delle autorità, i temi
alternativi di fondo: libertà sessuale, agitazione politica e liberalizzazione della droga.
I movimenti degli anni Sessanta ebbero un epilogo quantomeno drammatico.
I momenti di questa fine furono sostanzialmente il concerto dei Rolling Stones e Grateful Dead a
San Francisco nel 1969 dove il servizio d'ordine affidato agli Hell's Angels causò la morte di alcuni
spettatori, tra cui Meredith Hunter uno dei pochi afro-americani presenti che prima fu accoltellato e
poi finito con una stecca di biliardo; nel 1970 si assistette alla morte dell'attrice Sharon Tate e del
suo figlio in grembo da parte di Charles Manson e dei suoi seguaci.
Si aggiunsero poi le vetrine rotte e gli alberghi bagnati con la benzina e le molotov di una
manifestazione degli studenti del Kent University contro la decisione di Nixon di mandare le truppe
in Cambogia.
Ormai il movimento era ben lontano da quel pacifismo che si professava.
A questo poi bisognava poi tener conto delle premature morti delle icone del tempo come Janis
Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison e Brian Jones che decretarono anche la morte "musicale" di
questo periodo.
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Infine molti dei partecipanti agli "happening" del quartiere di Height Asbury, raggiunsero livelli di
tossicodipendenza così forte che il dipartimento della salute pubblica di San Francisco spendeva 35
mila dollari al mese per il trattamento di disintossicazione.
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4 – Gli Anni Settanta
Negli anni sessanta, il rock racchiudeva una molteplicità di significati condivisi dai giovani, perciò
ricevette nel corso degli anni, numerosi appellativi, tra cui spiccano: musica ideologica, musica
popolare, musica generazionale, musica giovanile, musica della droga.
Il rock progressivo inglese fu l'ultimo baluardo di quella sperimentazione musicale che aveva avuto
grazie a Bob Dylan.
Dopo il Sessantotto vi fu un riflusso che fece rientrare il rock nei rnghi della musica di consumo. Il
rock della rivoluzione sessantottina, fu un vero laboratorio sociale che solo il settantasette proverà a
rimettere in piedi anche se in modo più breve e confuso.
La prima forma di musica-moda degli anni Settanta fu il Glam Rock che rappresentò uno stacco
netto rispetto alla ideologia hippy e della psichedelia, anzi fu il rigetto anti-ideologico.
I glam rocker mettevano alla porta il pacifismo e i temi politici, sostituendo le immagini della
Swingin' London e le comuni di San Francisco, con spettacoli decadenti e giocando sul fattore
shock dell'ambiguità sessuale. Il fenomeno accettava di buon grado il profitto, la spregiudicatezza
visiva e gestuale delle star era perfettamente integrata nel business della canzone, faceva dunque
leva sulla maggior passività della nuova generazione.
Le nuove star puntarono sull'aspetto teatrale e sull'ambiguità trasformando la musica pop in un
ottica aggressiva e, in alcuni casi, autoparodistica.
La star del glam rock sicuramente fu Ziggy Stardust o meglio David Bowie e il revival di due
personaggi come Iggy Pop degli Stooges e Lou Reed dei Velvet Underground.
Abbiamo parlato di musica miscelata con moda e altre forme figurative di arte.
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Fu Andy Warhol a sviluppare per primo questa idea. Per il maestro della pop-art, l'artista doveva
essera un abile "ladro".
Infatti quello che poi fu definito "l'artista elettronico", dovuto anche ad un artista come Brian Eno
che iniziò a sperimentare i suoni elettronici, rubava e prendeva a prestito tecniche, suggestioni e
immagini di ogni campo della cultura occidentale, nella pubblicità, nel cinema, nel fumetto e nella
fotografia, condensando il tutto nella forma della canzone e della propria immagine. Il messaggio
dell'artista andava rintracciato nelle forme che dovevano parlare di "se stesse" comunicando un
messaggio trasversale.
David Bowie fu l'archetipo del ladro di suggestioni. dalle copertine degli album di primo periodo,
che lo ritraevano in una veste dandy ambiguo e futurista, al miscuglio musicale di luoghi comuni
delle sue canzoni. Il suo successo era dovuto per primo al potenziale emotivo e quindi commerciale
della transizione alla modernità. La rappresentazione del concretizzarsi dell'astratto nelle infinite
forme del possibile che egli incarnava, non è altro che il brivido di ciò che può essere altrimenti
nell'imprevedibile teatro della vita, mentre il nichilismo, la latente consapevolezza della materia
biologica, totalmente incompatibile con l'infinità e l'immortalità delle forme sociali possibili.
Il successo del glam rock si diffuse principalmente tra i giovani bianchi della classe operaia inglese,
diventando presto un autentico fenomeno di culto.
La metamorfosi continua dei vestiti, l'elettronica spaziale nella musica, revisione dei vecchi pezzi
rock n' roll fu la chiave di questo genere.
Tra tutti Bowie sfidava apertamente le culture di stampo maschile, che ora si trovavavano di fronte
a ciò che più poteva minacciarle: l'ambiguità sessuale. Non si potè certo parlare di una crisi
sessuale, visto che i casi di emulazione erano rari e mal accettati, l'artista aprì la strada ad una
rappresentazaione pubblica della sessualità, che diventava una componente stabile della vita delle
classi sociali.
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Intanto una nuova forma di sottocultura si andava a sviluppare dopo quella dei mods sempre
derivante dalla clase operaia: gli skinheads.
Gli skinheads vestivano in maniera nettamente opposta ai loro predecessori, la loro uniforme
costituiva una caricatura dell'operaio moderno: capelli rasati, bretelle, calzoni corti, levi's larghi
oppure pratici pantaloni ingualcibili, e camicie Ben Sherman piene di bottoni, in tinta unita o a righe
e lucidissimi stivali. Essi difendevano la purezza del loro quartiere residenziale e disprezzavano
apertamente l'imborghesimento della classe operaia che si era venduta al calcio e al tempo libero.
Dapprima strinsero amicizia con i vicini giamaicani ma quando questi si "chiusero" iniziarono le
violenze.
Parlando di musica, l'estinzione del fenomeno beat in Inghilterra attorno al 1966, portò oltre alla
psichedelia, anche ad un revival del blues e del folk , tuttavia nessuno di questi due generi riuscì a
monopolizzare l'interesse e i guadagni che fruttò la moda precedente. Verso la fine degli anni
Sessanta, si profilò un nuovo tipo di approccio che anteponeva i risultati artistici a quelli
commerciali e trovava la propria ispirazione nella fusione di tutti i generi disponibili.
Questa novità prese il nome di progressive rock e consacrò definitivamente il formato 33 giri stereo
iniziato dai Beatles con il "sergente" Pepper e dai Pink Floyd di "Dark Side Of the Moon".
L'artista rock scopriva la propria vena di compositore in senso classico rock e non del tutto ignaro
della musica classica del '700 e ' 800, cominciava ad avere la pretesa di suscitare grandi emozioni
nell'ascoltare rifugiandosi in un medioevo epico e magico.
Il progressive rock fu preso poi come spunto di una rivista settimanale che poi divenne perno e
riferimento per gli aficionados, "Sounds". Il settimanale lasciava implicitamente presagire che i
musicisti neri non erano altro che dei precursori mentre la musica progressiva bianca, una volta
imparata la lezione, avanzava irresistibilmente verso il futuro.
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L'accanimento con il quale l'industria discografica inglese promosse il progressive rock portò presto
il pubblico all'assuefazione, mentre la generazione dei settanta, che non lo aveva mai compreso, ora
lo stava imparando ad odiare.
Negli Stati Uniti del riflusso dei Sixties, ci si affidò alla parte "black" con la creazione di molte
etichette indipendenti (come ad esempio la Motown) e un nuovo tipo di musica: il Soul.
Questo stile faceva affidamento sia sulla forza della musica Gospel che sul R n' B.
Il genere godette di due periodi degni di nota, il primo ancorato ad una rigida nevrosi armonica
filiata dal blues, il secondo legato all'allentarsi di questa formula in direzione di un'apertura a più
levigati linguaggi musicali. Se il primo periodo vedeva il dominio incontrastato di James Brown,
vero divo nero per i neri, il secondo fu guidato da Stevie Wonder che, iniziando da un suono
Motown, si avviò verso soffici ballate soul di grande presa sul pubblico bianco.
Il Soul, nei settanta, rappresentò il romanticismo e la speranza di chi voleva lasciarsi alle spalle i
turbolenti anni sessanta e comunque in esso rimase invariata la "vocalizzazione", ovvero la
propensione tutta afroamericana di trattare la voce e tutti gli strumenti come estensione del corpo.
Il Soul in Inghiltera occupò posti importanti tanto che venne proposto anche al programma cult
della BBC "Top Of The Pops". Famose furono Diana Ross e le Supremes con i loro abiti sgargianti
e ricoperti di lustrini e i Temptations che proposero al pubblico il fascino e le emozioni del Detroit
Sound un genere basato sul ritmo, sul ballo scatenato e sull'ambiguità sessuale ed emotiva del
cantato.
I giovani degli anni Settanta avevano ancora bisogno delle vissute e liberatorie sonorità nere ma la
loro frustrazione si esprimeva soltanto all'interno delle mura della discoteca. I bianchi proletari
vennero attratti specialmente dal carattere sessuale della musica Soul. La discoteca, nata come un
posto dei poveri per chi non poteva permettersi una esecuzione dal vivo, diventava un
microcontenitore sociale dove anche gli emarginati potevano esprimersi.
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Negli anni Settanta ci trovammo di fronte al primo tipico fenomeno di "teenybopper pop" come lo
chiamò Iain Chambers e cioè quel fenomeno di musica rock estremamente "honey" ed orecchiabile
da essere sfruttato commercialmente e far leva sulle teenagers.
Il più importante di questi gruppi furono i "Monkees", creato a tavolino da Kirshmer che aveva
come scopo quello di ripetere l'exploit dei Beatles basandosi essenzialmente su un'immagine
fotogenica del gruppo e a uno staff di esperti session-man, che avevano il compito di suonare e
scrivere canzoni "dietro le quinte". La strategia di marketing, usata dal produttore per far sfondare il
gruppo fu quello di creare uno Show televisivo ad hoc, sulla falsariga dei film dei Beatles, nel quale
i quattro, emulavano lo spirito surreale dei loro rivali inglesi. I monkees ebbero un successo
"calcolato" che si distingueva per la tenera età dei suoi spettatori (o forse per meglio dire
spettatrici).
Mentre i ragazzi "vivono" per le strade, nei clubs e nei pubs, le loro coetanee trascorrevano il tempo
libero tra le pareti domestiche. Ad interrompere questa routine c'era un breve momento di
corteggiamento, cui seguiva un rapporto fisso e l'inevitabile matrimonio. In questo contesto il pop
sembrava un transitorio stato di libertà , fra la giovinezza e l'incombente futura di mogli, madri e
adulti responsabili.
Negli anni Settanta prese piede anche un genere molto pesante, molto "heavy".
Il vero pioniere di tutto il rock duro fu Jimi Hendrix: i riffs chitarristici di "Purple Haze" e "Foxy
Lady" sono i più autentici prototipi della canzone dai toni Hard.
Storicamente e geograficamente l'hard-rock nacque come tendenza all'interno della musica rock
nella seconda metà degli anni'60, in maniera parallela e concomitante negli Stati Uniti e in U.K. In
Inghilterra l'hard-rock si sviluppò all'interno del blues boom con la carica vitale basata sulla chitarra
elettrica solista.
In questo periodo i "virtuosi" più importanti furono Jeff Beck degli Yardbirds, Eric Clapton dei
Cream.
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Negli stessi anni in America, giovani ribelli portarono nella musica la loro rabbia sociale e
generazionale in particolare nel Michigan nella città di Detroit dove si sviluppò la corrente più
selvaggia grazie a MC5 e Stooges.
All'inizio degli anni'70 tutti i musicisti rock adottarono questo tipo di estetica chitarristica: Led
Zeppelin, Grand Funk Railroad, AC/DC e Black Sabbath che, con Tommy Iommi generò quello
stile che diede poi vita al futuro Metal.
Negli Stati Uniti, complici anche la moda proveniente dall'Inghilterra, si iniziò a miscelare l'hardrock con il genere Glam, quindi con canzoni meno minacciose e più portate al Live-Show. Tipici
prodotti di questo mix furono i Kiss, gli Aerosmith e Alice Cooper.
Verso la fine dei Seventies ebbe un senso parlare di Heavy Metal anche in conseguenza alla
rivoluzione Punk. Fu grazie al suono grezzo e immediato di questa nuova estetica che vi du un
cambio generazionale che portò in auge gruppi come i Van Halen e i Motorhead. L'influenza dei
rocker si espletava chiaramente nell'abbigliamento aggressivo e nell'aggregazione giovanile
rigorosamente per soli maschi, mentre quella dell'hippy riguardava il fascino romantico del "nato
per essere selavaggio" e un certo amore per la motocicletta e la vita da strada su modello degli
Hell's Angels.
Da un punto di vista statistico-sociale, l'Heavy Metal è fruito da adolescenti bianchi mentre da
quello musicologico qualcuno lo volle vedere come una sorta di rock'n'roll senza "roll".
Ciò che invece intervenne successivamente, grazie ai Motorhead e al nuovo clima socio-culturale,
fu rappresentato dalla componente speed-moto-misogina di una certa cultura bianca, una sorta di
r'n'r di battaglia tutta all'opposto delle allegre serate r'nb' o disco. La Road Crew metallara
estremizzò poi il concetto degli anni Ottanta, influenzata dal clima di quel periodo dominato ancora
dalla guerra fredda, dal nascere dell'incubo dell'Aids e dell'emergenza passività generazionale
indotta dall'effetto congiunto di media, computers e videoregistratori. Al contrario del Punk, nel
quale le donne si cimentavano con successo lungo due decenni (basta pensare a Siouxsie and The
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Banshees, Babes in Toyland, Hole...), il metal non seppe evolversi in questo senso e, dunque, rari
furono i gruppi di donne (da annoverare le Girlschool).
L'Hard-Rock e l'Heavy Metal parlavano di singole individualità, la chitarra diventava un sostituto
fallico ma era una simulazione sessuale ridotta ai minimi termini e per giunta orientata al singolo e
non alla coppia.
Inoltre attraverso il suono violento, il giovane metallaro sfogava le sue frustrazioni, si illudeva di
poter vincere lo scontro con il mondo degli adulti e la società intera; una camera personalizzata fatta
di poster, copertine di dischi e gadget black (teschi, bare...), videocassette e fumetti horror. In
pratica tutta la ribellione iniziava e terminava nelle propria "cameretta".
Importante in quel periodo fu anche la rivoluzione che veniva dall’isola caraibica più famosa: la
Giamaica.
La musica Raggae si diffuse in Inghilterra attraverso i “sound system” e per mezzo di una rete
underground di piccoli rivenditori di quartiere, sprigionò la simbologia estetica (i dreadlock) ed
etnica (la missione) dei rastafariani che poi era un completamento dello Ska e dei Rube Boys
dell’inizio degli anni Sessanta.
I testi erano autenticamente giamaicani pronunciati con minor chiarezza fino a scomparire del tutto
nel dub. Il “double talk” dei neri giamaicani assunse, un connotato religioso per nulla profano.
La working class nera trovava ora con sé, oltre alla polizia, anche la stampa, la magistratura e la
maggioranza dei bianchi benpensanti. Il Raggae ideologico di Bob Marley e Peter Tosh fu la
risposta: un richiamo a confortanti temi “etnici” sostenuti da un ritmo viscerale. Il tutto codificato in
un impasto sonoro per soli neri.
Il Raggae rastafariano fu un universo musicale da “abitare” che servì per dar sfogo al disagio
giovanile. Attraverso la musica e la danza esso ripristinò una comunità dove trovare ideali e sfogare
bisogno di identità.
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I restanti artisti di Raggae ebbero un ruolo di non minore importanza e dovettero il loro successo ai
negozi specializzati e ai sound systems. Importante citare il caso di Max Romeo nel 1976 che
raggiunse il successo con “War Inna Babylon” che divenne un inno politico che richiamava
all’unità della comunità contro un nemico specifico.
Il percorso che portò il raggae al successo commerciale del dub passò per la sala d’incisione. La
tecnica del “toasting”, che era la pratica del DJ di improvvisare un saluto al suo pubblico,
improvvisando su una base strumentale su disco, fu inclusa nell’incisione finale.
Il produttore discografico, spesso ispirandosi al modo in cui i DJs usavano la musica nelle
discografiche, iniziò a intervenire e a “tagliare” il suono, cominciando con le versione strumentali
sul retro del 45 giri (il lato B del vinile). Alla canzone originale si affiancava una versione nuova,
un’efficace dimostrazione di come il raggae “decostruiva” continuamente le forme musicali e i
modi ereditati di produrre musica.
Il basso, la batteria, le chitarre e i fiati venivano mixati insieme in turbinanti schemi sonori, le
“voci” erano continuamente inserite ed eliminate, i ritmi troncati, intensificati, sospesi e prolungati.
Intanto gli Stati Uniti attraversavano, negli anni settanta, un periodo di forti contrasti economici
politici e civili. Lo scandalo Watergate che portò alla destituzione del presidente Nixon, la crisi
petrolifera. L’aggravarsi della guerra fredda sono soltanto i segni di superficie di ciò che era
radicalmente cambiato dal decennio del boom economico.
Anche nelle Università il clima era cambiato, l’ultima ondata di baby boomers, ora che anche la
guerra del Vietnam era finita, si dedicava agli studi tecnici, amministrativi, e di ingegneria,
soppiantando quelli di storia, filosofia e inglese tanto popolari durante gli anni Sessanta.
Assieme al benessere arrivarono i nuovi consumismi, che nel frattempo la tecnologia aveva portato
sul mercato, e così la generazione dei grandi ideali iniziava a comprare tutto ciò che le deliziava:
barche, lifting al viso, aria condizionata, bicicletta a 10 marce, garages con apertura automatizzata,
trapianti di capelli, erano gli acquisti più ambiti da chi aveva già una base di benessere familiare.
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Con il cambiare delle abitudini cambiava anche la droga di moda: la cocaina sostituiva l’Lsd,
mentre la marijuana, de-criminalizzata in Alaska e nell’Oregon, era ormai considerata passata e
“troppo comune”.
Le nuove leve del mercato del rock si distinsero per una visione negativa della vita e del futuro. Il
loro atteggiamento dimostrava una perenne sensazione di nausea ed una malcelata depressione. Il
fenomeno, prontamente studiato dagli esperti, portò ad una nuova etichetta: “teenage depression”.
L’adolescente dei Settanta sintetizzava e faceva fronte alla crisi del suo tempo con rassegnazione ed
esistenzialismo, un atteggiamento che lo orientava a vivere ogni avvenimento pubblico con
indifferenza o disprezzo. A causa di ciò, il piccolo spazio privato acquistava valore.
La mitizzazione del passato felice di quegli anni venne identificato come American Graffiti. Dal
telefilm Happy Days che aveva come protagonisti giovani spensierati senza alcuna frustrazione, alle
canzoni Surf dei Beach Boys, nonchè, la riscoperta dei Beatles attraverso John Lennon.
Il ritrovo aperto da Hilly Cristal un ex sergente della marina, inaugurò nel 1973 sotto il nome di
CBGB OMFUG ma solo a partire dall’anno successivo, su pressione di Terry Ork, iniziò a
scritturare gruppi di avanguardia.
Il locale prese presto quota nell’underground newyorchese, mentre altri gruppi quali i Talking
Heads e i Ramones si affollavano sulla scena. Ci volle comunque la personalità di Patty Smith per
lanciare la nuova scena musicale su scala nazionale.
A cambiare l’impasse ci pensarono i Ramones che il 4 luglio 1976, il Bicentenario degli Stati Uniti,
si fecero vedere in tourneè nel Regno Unito. Questo gruppo proponeva un r’n’r grezzo e minimale
unito a testi adolescenziali appositamente idioti. I quattro si presentavano vestiti come dei cartoni
animati muniti di giacche di pelle corta stile Rocker, maglietta colorata, jeans a sigaretta e scarpe da
ginnastica più un taglio di capelli a caschetto modello Beatles dopo un incidente automobilistico.
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Nel Regno Unito, già alla fine degli anni Sessanta, era alle prese con pesanti problemi strutturali.
Dal versante economico le aziende erano scarsamente produttive e gli investimenti sufficienti,
inoltre, a livello nazionale, la bilancia commerciale segnava un eccesso di importazioni e quindi un
indebitamento con l’estero preoccupante; dal versante politico, l’aggravarsi della guerra civile
nell’Irlanda del Nord aveva messo in seria difficoltà Harold Winson tanto che, nel 1970, il governo
laburista non fu rieletto e ad esso subentrarono i conservatori.
Quest’ultimi appianarono le rivendicazioni operaie e trovarono nell’entrata nel MEC un punto di
fuga alla crisi, ma le cose non andarono come avrebbero dovuto. Con il loro ritorno, i laburisti nel
’74, nel mezzo della crisi petrolifera dell’anno prima significò: inflazione galoppante e chiusura
delle fabbriche. Il tasso di disoccupazione salì al 12% il più alto in Europa.
Nei due anni che precedettero la rivoluzione Punk ci furono fatti di cronaca particolarmente gravi
che scossero l’opinione pubblica: lo sciopero dei minatori del 1974, la bomba in un pub di
Birmingham ad opera dell’IRA, l’uccisione di uno studente durante una manifestazione antifascista,
la ripresa delle attività della National Front e gli scontri razziali durante il carnevale di Notting Hill.
Quando nell’afosa estate del 1976 i punks cominciarono a suscitare l’attenzione dei media la cosa
sembrò fin troppo ovvia ma alcuni semiologi ne studiarono il senso a partire dalla relazione tra
significanti e significati. Da questo punto di vista. I giovani punks potrebbero essere osservati su
due piani: uno riguardante l’aspetto, l’estetica, l’abbigliamento e il trucco, l’altro riguardante i
valori, critica sociale, nichilismo, esistenzialismo, minimalismo etc. etc.
A ideare il punk furono Malcolm McLaren e Vivienne Westwood nella loro boutique “Sex” allo
scopo di inscenare una critica sociale attraverso il vestiario e il trucco. L’abito strappato connotava
la povertà e il degrado; le spille, che mutilavano il corpo, la non relazionalità con i benpensanti,
un’alienazione volontaria da una società senza possibilità di riscatto; il cerone al viso, una maschera
per allontanare gli sconosciuti ma anche un modo per mettersi volontariamente in ridicolo, rendere
il quotidiano un’amara carnevalata; la svastica, un modo per rendersi protagonisti e il collare, un
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chiaro segno di una condizione di repressione e servitù, un accessorio che richiama alla mente un
animale domestico.
Il punk, in generale, portava nelle strade un confuso guazzabuglio di elementi estetici presi a
casaccio dal passato e dal presente, segni del benessere economico ma invertiti nel loro significato.
Il 26 novembre 1976 è simbolicamente la data che segnò la fine di questo silenzio. In quel giorno
uscì nei negozi il singolo “Anarchy in the UK”, firmato da un gruppo patrocinato da McLaren: i Sex
Pistols. Il gruppo era nato alla fine del 1975, grazie ad una operazione condotta a tavolino dallo
stesso manager che fu colpito dall’abbigliamento dei New York Dolls durante un viaggio in USA.
L’effetto shock preannunciato non tardò a verificarsi, già alla fine del 1975 il debutto dei cinque
veniva fermato dalle autorità per oscenità alla quinta canzone, mentre il 12 febbraio il gruppo
distrusse il palco prima di esibirsi, il 20 ci fu una violenta rissa durante il concerto che coinvolse
anche la band e a marzo McLaren inveiva contro gruppi come Queen e Wings (di McCartney)
tacciandoli di servilismo alla regina. Ad aprile Rotten e Matlock litigarono sul palco e quest’ultimo
lasciò l’esibizione mostrando il dito medio al pubblico.
Nell’estate s’imponevano la prima punk fanzine “Sniffin’ glue and other r’n’r’ habits” e l’etichetta
Stiff Records e a settembre era la volta di Siouxie and the Banshees.
Questa la storia in pillole prima del fatidico 26 novembre, il giorno di pubblicazione di “Anarchy in
the UK”. Lo slogan punta innanzitutto sull’elemento shock “anticristo” per creare un effetto
destabilizzante nell’ascoltatore e segue con “anarchia” convogliando la fuga di significati in senso
religioso verso il materialismo sociale basato sulla libertà degli individui e non su di un ordine
superiore dove è il solo Stato a detenere il monopolio della forza.
La canzone suscita indignazione e sbigottimento ma essa era l’espressione di una carica
giovanilistica a combustione rapida tipica della storia della rock con la differenza rispetto al passato
che questa generazione era incapace di concentrarsi. Il ballo in voga era il “pogo”, movimento
minimale introdotto da Sid Vicious che consiste nel saltare in modo aritmico urtando il vicino a
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destra e a sinistra, avanti e indietro; fu la trasposizione della confusione delle esibizioni sul palco ed
anche l’espressione di una muta solidarietà con gli altri.
I gruppi punk trovarono la loro fonte di ispirazione in alcuni filoni musicali del decennio precedente
ma più che emularne il sound, il fattore di maggior risultò provenire dagli atteggiamenti provocatori
e in questo senso i veri profeti furono Iggy Pop, Alice Cooper e Lou Reed.
L’elemento fondamentale del punk era dunque costituito dall’estetica e dal gesto estremo più che
dall’espressione musicale, caratteristiche della canzone tipo erano pertanto: uno stile che nega ogni
virtuosismo a favore di riff chitarristici semplici ma distorti e suonati a rotta di collo, testi aggressivi
ed osceni, infine un canto rozzo e sgraziato con marcati accenti dialettali.
Già nel 1977 le boutiques di abbigliamento avevano adeguato il loro campionario alla moda punk
alzando notevolmente i prezzi di questo lungo.
A far scendere il sipario sul movimento punk fu un duro conservatorismo (questa volta di stampo
thatcheriano) che rimetteva “le cose a posto”.
Comunque sia il punk fu una vera rivoluzione. Prima di esso l’industria discografica sembrava
essersi imbalsamata a pochi grandi gruppi e una miriade di popstar “usa e getta” mentre poi
centinaia di gruppi ottenevano un contratto discografico e tanti altri iniziavano a sperimentare con
nuove idee.
La filosofia “do it yourself” del punk fu il più importante lascito del genere ma anche un segno di
maggior individualità tra le nuove generazioni, tuttavia pericolosamente in bilico tra trasgressione e
consumismo.
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5 - Gli anni Ottanta
Gli anni Ottanta furono improntati socio-politicamente dal duro conservatorismo di Reagan e della
Thatcher, dalla pestilenza dell’AIDS, dal persistere della guerra fredda, dalla guerra alla droga
(specialmente) e dal politically correct.
Gli Hippies si trasformarono i Yuppies, grazie a Jane Fonda esplose la moda fitness, il
videoregistratore (VCR) legò sempre di più il pubblico delle famiglie al teleschermo, le Valley
Girls proposero un’adolescenza mitica e senza problemi, Madonna forgiò per prima l’immagine
della rock star femminile manager e sex-symbol, Bruce Springsteen rispolverò la promessa del
r’n’r, MTV cambiò il modo di produrre e fruire della musica di consumo, il Walkman permise di
“chiudersi” nella musica in ogni luogo, e, infine, la rivoluzione del personal computer attivò
definitivamente la cosiddetta età post-moderna, quella dei servizi, trasformando, tra l’altro, molti
adolescenti in whiz kids (ragazzi prodigio) o videogiocatori di consoles quali l’ATARI.
Gli anni Ottanta furono una grande contraddizione: da una parte politiche di destra conservatrici che
portarono gli intellettuali, e l’underground alla più dura e intransigente separazione dalla società.
A segnare da un punto di vista politico ma non solo questa decade fu Ronald Reagan, presidente dal
1980 al 1984. Chiamando l’URSS “Evil Empire”, Reagan portò la guerra fredda alle sue estreme
conseguenze. Ci fu una corsa agli armamenti che portò al collasso economico l’impero sovietico e
nel 1989 Gorbacev, capo del PCUS, gettava la spugna dichiarando finita del tutto l’utopia
comunista con la caduta del muro di Berlino.
A questo proposito bisognerebbe citare il caso- The Wall dei Pink Floyd. “The Wall” fu un conceptalbum realizzato nel 1979 e che era destinato a diventare uno dei dischi di culto di tutta l’epoca
rock. Una sorta di epopea di alienazione, una grande potenza narrativa ed evocativa con
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arrangiamenti musicali che venivano da rombi di aeroplano o dalle eliche degli elicotteri furono il
corollario della storia di Pink una rockstar in crisi che ripercorreva il cammino della sua vita fin
dall’infanzia. Ed è su questo tema che nel 1982 fu realizzato un film da Alan Parker con
protagonista Bob Geldof che diventò il film- simbolo della poi successiva caduta del Muro a
Berlino.
Negli Stati Uniti questa nuova frontiera portò ad uno squilibrio socio- economico molto forte. Se la
ricchezza complessiva del Paese, ed in particolare quella dei ricchi del Paese, era certamente
cresciuta, per le altre fasce sociali, c’era stato addirittura un regresso.
Per quanto riguarda i giovani, quelli nell’età compresa tra 25 e 34 anni ( con o senza laurea) il
reddito era nettamente inferiore a quello degli omologhi degli anni’60.
Il perno delle evoluzione economica fu quella della dottrina monetaristica che portava un’esasperata
privatizzazione avviata in tutta Europa al rinnovato spirito imprenditoriale che riportò in auge tante
nazioni sudamericane (la maggior parte a regime non democratico).
Anche l’Inghilterra elesse il suo leader autoritario: Margareth Thatcher e seguì la stessa politica
dell’America.
Ad aggravare i contrasti tra ricchi e poveri ”dimenticati” arrivò anche la malattia del secolo:
l’AIDS. La sindrome da immunodeficienza acquisita cambiò radicalmente le relazioni sociali e la
fruizione sessuale si allargò, per così dire, su di un piatto astratto e, grazie alla diffusione del VCR,
alimentò
il
mercato
delle
videocassette
pornografiche,
che
diventarono
un
business
multimiliardario.
Tuttavia la peste del secolo produsse accesi quanto chiari dibattiti sulla questione sessuale e
omosessuale, si pensi, per esempio, alla parola “profilattico” che era prima bandita dai media, ed
ora diventata la materia prima per promuovere opuscoli educativi. Intanto la spesa per TV-color,
videoregistratori, compact disc, videogiochi non accennarono a diminuire e tutta questa
“tecnologia” portò ad un cambiamento delle abitudini.
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Importante fu anche la nascita della prima televisione musicale no-stop, MTV, che s’inserì in un
clima di euforia elettronica e fobia sociale proponendo affascinanti video futuristici per un
divertimento evasivo.
MTV, fu lanciato via cavo il primo agosto del 1981. A livello di programmazione, il palinsesto era
composto da ventiquattro ore al giorno di video musicali presentati da cinque VJs che animavano
gli “stacchi” tra una canzone e l’altra.
La fruizione della musica cambiò inevitabilmente, ma anche gli artisti capirono il loro nuovo ruolo.
Furono gli Yuppies e i loro figli (i “Paninari” in Italia”), a fruire di queste nuove stars, e dei nuovi
generi musicali di massa, quali Synth-Pop e l’”Euro-disco”.
Al contrario degli Sixties, i giovani Yuppies non erano in contrasto con la società, anzi, rifiutavano
proprio ogni tipo di giovanilismo improntato sul r’n’r’, per integrarsi ad essa il più presto possibile.
Da questa situazione di materialismo, a beneficiarne fu soprattutto il disagio psichico dei giovani:
depressione, spossatezza generalizzata, ansia frequente e poi anoressia, bulimia, attacchi di panico
etc. e la cultura della droga, diventata ormai un business multinazionale.
La personalità di “spicco” del Synth-Pop fu Brian Eno. La sua visione del formato era tuttavia
alquanto negativa. Il nuovo pop infatti doveva basarsi sulla canzone al sintetizzatore dai toni
depressi e malinconici intesa a rappresentare l’avvento della civiltà delle macchine e l’infelice
condizione umana che ne consegue. Questo pathos negativo era indubbiamente poco funzionale al
consumo di massa, tuttavia, il fascino che risaltava da quella forma estetica, semplice e scarna, si
prestò alla speculazione commerciale, che necessitava di un genere da ballo sobrio e sofisticato.
Qui s’inserì il Synth-Pop, il genere di largo consumo consacrato da una moltitudine di Hit-Single, a
partire da “Video Killed the Radio Star” dei Buggles, il primo videoclip lanciato da MTV e Pop
Musik di M, chiari esempi di come amalgamare la tecnologia alla musica di consumo. La cultura
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pop fu dominata da quelle “canzoncine” composte al sintetizzatore dal ritornello orecchiabile e
dall’aria vagamente decadente. Gli hits furono quasi tutti britannici.
Questo “45 giri più video” fu la vera rivoluzione: una vera insalatiera di costumi, brevi storie e
musica no-stop, dove si poteva acquistare centinaia di bits di informazione in più su tutte le star
della programmazione musicale. Nel video contava soprattutto la produzione e l’eccentricità
dell’abbigliamento.
Il formato videoclip, unito al Walkman, portò ad un consumo distratto della musica in generale.
Persino alcuni singoli di musica Synth-pop suonavano già nostalgici al momento della loro uscita
discografica: “Careless Whisper” degli Wham, “Enola Gay” degli OMD. Il rimando continuo dei
suoni alle immagini colpiva l’immaginario collettivo e arricchiva l’universo simbolico.
Il video inoltre, distanziava la rockstar dal suo pubblico invece che avvicinarla. Negli anni ottanta,
molti personaggi musicali del passato tradirono il loro pubblico di nicchia. La loro fama, proprio
grazie al videoclip, crebbe in maniera tale, da far passare in secondo piano la produzione artistica.
La simbologia legata al videoclip aveva i suoi assi portanti nell’abbigliamento,nel futurismo e
nell’immediatezza dell’output visivo-musicale. L’abbigliamento era di gran lunga la caratteristica
principale della cultura video-musicale e mondana degli anni Ottanta. La proliferazione di stili
scaturita dai “furti” del punk , coniò un immaginario di stereotipi maschili e anche femminili:
pellerossa, bandito da strada, motociclista (Inxs), poliziotto in borghese alla Miami Vice (Rod
Stewart), completo da funerale (Cure e Cult), da spiaggia (Wham), da dark-lady (Blondie, Siouxie)
nonché stili patchwork che rimescolavano il tutto nell’ottica punk (Culture Club, Madonna, Duran
Duran).
A Londra rifiorirono i Cocktail Bar e le discoteche chic, dove si assiepavano personaggi bizzarri,
emuli dei loro divi che si esibivano negli stessi locali. Tipico esempio di questa realtà fu il locale
Blitz di Londra.
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Il Synth-Pop, le elettroniche di consumo e la controcultura apocalittica si legarono altresì alla
nascita del supporto digitale, ovvero il compact disc.
Anche se poco politicizzati, non mancarono eventi che diedero al rock una “vernice” di impegno. Il
successo di Band Aid, Live Aid organizzato da Bob Geldof, Usa for Africa e Sun City, furono
raduni che avevano come scopo quello di combattere la fame nel mondo e l’apartheid ed ebbero la
funzione di occultare le contraddizioni interne degli Stati economicamente avanzati dell’occidente.
Il clima sonoro e politico degli anni’80 escludeva ora più che mai la controcultura che nelle due
fratture cardine del rock aveva trovato un fervido momento di espressione creativa pubblica.
Il rock duro continuava la sua maturazione. Ai Motorhead, la risposta americana negli “Eighties”
furono i Metallica, un gruppo nato a San Francisco, ma “residente” a Los Angeles.
Nel 1983 usciva il loro primo album “Kill’em All” che segnò un picco in fatto di “muro del suono”
duro; fu il manifesto di un nuovo sottogenere il “Thrash” che si caratterizzò per la velocità
chitarristica e il canto lacerante. I Metallica furono efficaci non solo per la loro piccola rivoluzione
stilistica , la loro importanza storica va altresì compresa nell’impegno sociale nei testi (da “Mater
Of Puppets” in poi).
I quattro esorcizzavano, attraverso la violenza, la cruda realtà di tanti teenagers della metropoli che
crescevano, da una parte, con l’opulenza di Beverly Hills e dall’altra con lo squallore della vita da
strada popolata dalle famose gangs. Altra band popolare in questo periodo furono i newyorchesi
Anthrax fondatori di un altro genere: lo “Speed”. Il gruppo si concentrò più sul realismo che sulla
descrizione del “male” e una certa dose di humor fu una caratteristica tutt’altro che scontata per il
genere.
Le majors scritturarono decine di gruppi e, già dall’inizio degli anni Ottanta, il fatturato del
cosiddetto “Hair Metal” o “Pop Metal” spopolò grazie ad una serie di ballate (“House Of Pain” dei
Poison, “Home Sweet Home” dei Motley Crue). In questo senso i più famosi furono senz’altro i
Bon Jovi testimoni anche dello spostamento del riff mozzafiato all’effetto epico.
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Già verso la metà degli anni ottanta, la pomposità e la pretenziosità dilagarono nella maggior parte
dei gruppi: gli inglesi Iron Maiden, che inizialmente risentivano di qualche vena punk, una volta
assunto Bruce Dickinson al canto, si dedicarono a partiture complesse, suites di oltre dieci minuti
che raccontavano le gesta di personaggi storici, di battaglie mitiche e di arcane leggende.
Il 1988 fu l’anno chiave dell’Heavy Metal. I Metallica con “… And Justice For All” raggiunsero il
successo entrando nei Top Ten senza l’aiuto di MTV, mentre il lancio su scala planetaria dei Guns
‘n’ Roses segnò il caso discografico della decade. I Guns ebbero il merito di unire la spettacolarità
scenica tipica dell’Hard e Glam Rock americano con un sound granitico ricco di venature blues
ormai dimenticate dalle nuove generazioni. L’album “Appetite For Destruction” riunì per un attimo
tutte le conquiste fatte, in termini di potenza, energia e ribellione di venti anni di evoluzione del
genere ma all’inizio degli anni Novanta, la crisi fu irreversibile.
Se il Metal “maturo” si spegneva, in questi stessi anni nacque un nuovo sotto-genere che si distinse
per barbarità e velocità: il “Grind Core”. Pionieri di questo filone furono i Napalm Death, che
autoprodussero il loro primo album “Scum” nel 1987, e i Carcass. I due gruppi stabilirono un nuovo
standard di esecuzione: la velocità delle battute raggiunse anche i 150 bpm, il canto si ridusse a
grotteschi ringhi e grugniti. Il Grind eliminava qualsiasi tipo di melodia e sfociavano nel puro
rumore.
Intanto l’avvento dell’era dei computers fornì il giusto mezzo e l’ispirazione necessaria per la nuova
ondata, “New Wave”, di sperimentatori e artisti che trovarono nel sintetizzatore lo strumento
“innaturale” che meglio poteva rappresentare la realtà meccanizzata.
Gli intellettuali più vicini alla rivoluzione informatica in corso a San Francisco, città che aveva visto
l’idealismo hippy sostituirsi ai cenacoli per ingegneri informatici, nonché geograficamente vicina
alla Silicon Valley. I “cantori” di musica New Wave si nutrirono in un’ineluttabile apocalisse,
spesso fatta coincidere con l’anno 2000, ambientando i suoni in una sorta di inferno dantesco,
facendo recitare la parte principale dello show ad un fantomatico uomo-macchina post-atomico.
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Nell’Inghilterra thatcheriana degli Yuppies e dei “Casuals”, ad esprimere il profondo disagio di una
generazione senza ideali, che aveva ormai perso ogni stimolo alla protesta, emergeva una scuola di
musica cupa e fredda: il dark-punk. L’alternativa inglese ebbe un gran riscontro giovanile, grazie
alla maggior commercialità della produzione e alla maggior fiducia nell’uso e nella distorsione della
chitarra sull’innovazione elettronica sperimentale.
Per chiarire questo concetto era interessante notare come ad un’esibizione dal vivo dei Cure ci fosse
un pathos quasi religioso, il cantante Robert Smith faceva di ogni concerto un evento. Era
sicuramente un sacerdote per un gruppo di ragazzi stipati davanti al palco, tremendamente attratti
sia dalla sua immagine visiva, sia dal suo decantare romantico e rassegnato. Lo spirito comunitario
che si creava in queste occasioni era palpabile non solo dall’abbigliamento omologato e
rigorosamente nero dei partecipanti, ma specialmente, dalla ricezione individuale dello splenn
esistenziale espresso dal gruppo in canzoni.
Da contraltare al dark-punk c’era il pop che fu oggetto poi del massiccio investimento delle majors.
Gli Smiths di Morrissey godettero di un fanatismo maniacale incarnando anche l’affossamento
graduale del punk nell’industria discografica.
Rispetto all’oceanico concerto sessantottino, che prediligeva il pubblico sul privato, il concerto nonideologico parte dall’universo emotivo e simbolico privato per arrivare al pubblico, in scala però
ridotta. I giovani anni Ottanta, non trovando più un riferimento solido nella famiglia, confluiscono
nelle sottoculture per cercarvi un’umanità concreta, non più per confrontarsi politicamente tra loro
come accadeva in passato.
Il dark-punk sfociò presto ed inevitabilmente verso il pop più standardizzato che Smiths e Police
contribuirono a diffondere. D’altronde, dopo ogni rivoluzione rock, vi è un’inevitabile riflusso
verso il pop.
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La Grande Mela, oltre al fenomeno New Wave, era popolata di personalità originali, artisti,
intellettuali insofferenti, forti delle più svariate conoscenze musicali che andavano dal punk alla
musica industriale inglese e all’avanguardia.
Tuttavia, ad assurgere leader del movimento arrivarono presto nuovi artisti che si contraddistinsero
per virtuosismo “negativo”, ovvero Lydia Lunch, Arto Lindsay e i Mars.
La solitudine era il tema cardine attorno alla quale ruotava l’output sonoro contraddistinto dalla
volontaria distruzione metodica degli stili e dei clichè del rock. La frustrazione adolescenziale,
espressa da molta di questa musica, non trovava fra il pubblico il suo interlocutore più diretto: il
giovane angosciato dalla metropoli newyorchese e il concerto d’avanguardia necessitava di una
fruizione individualistica ed intellettuale.
Il paradigma giovanile punk, oltre a celebrare una generazione cinica e pessimista, aveva aperto un
importante spiraglio all’emancipazione femminile.
Rileggendo la storia della musica giovanile pre-settantasei era indubbia la dominanza del cosiddetto
sesso forte. Il rock sembrava avere nel proprio dna una componente “machista”. Col punk vedemmo
che la donna iniziava ad emarginarsi e prendere coscienza delle proprie possibilità. Negli anni
Ottanta diventava “manager” di se stessa: la prima fu una ragazza italo-americana approdata a New
York per cercare fama e successo, Veronica Ciccone conosciuta poi come Madonna. Le “punkette”
non erano che una minoranza nel panorama giovanile dell’epoca, tuttavia erano una “avanguardia”
che portava dentro di sé quei caratteri d’emancipazione che superavano l’ideologia femminista del
sessantotto, nonché, l’idealismo romantico della coppia Lennon-Ono.
Una volta consacrata dal successo, Madonna abbracciò la pratica post-moderna trasformandosi
continuamente sia nell’immagine sia negli stili musicali, presi dal passato (le dive di Hollywood)
quanto dal presente (il Synth-Pop). La cantante diventò una ragazza decadente e disincantata,
abilissima donna-manager in grado d’imporre, oltre alla sessualità soprascritta, un emergente,
quanto significativo, tratto della personalità femminile: l’imprenditorialità.
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La personalità di Madonna oscillava sempre tra un polo di promiscuità illimitata e uno che la vede
madre solitaria e impegnata in tematiche sociali e spirituali, da un polo di sperperi e consumi ad uno
di abili investimenti e strategie di marketing. L’american way of life espressa nel self made man
aveva un’eroina anziché un eroe da manuale: immigrata italiana di seconda generazione, umile
condizione familiare, un aspetto e un’altezza come tante altre ragazze, l’ambizione di elevarsi nella
gerarchia sociale senza perdere il proprio populismo. Di fatto Madonna, con la sua personalità e le
sue canzoni, fornì il substrato ideologico a tutta una categoria di ragazze/donne non più adolescenti
della piccola-media borghesia impiegate in aziende private e in negozi d’abbigliamento,
parrucchiere, determinate a realizzare se stesse nel lavoro e in discoteca anche a sacrificio dell’idea
di famiglia.
Negli anni Ottanta, i ghetti avevano sostituito le generazioni come palestra linguistica e come
laboratorio sperimentale per l’hardware del mercato culturale. Il Rap nasceva a New York, verso la
fine degli anni Settanta, da giovani permeati della stessa cultura che generò i graffittisti con la
bomboletta spray e gli acrobati della “Break-Dance”. Era concepito inoltre come musica povera,
basata sulla ritualizzazione i brani di qualsiasi tipo, presi in prestito da gruppi e generi diversi,
secondo una tecnica definita campionatura. Su una base personalizzata attraverso lo “scratching”
(tecnica di produrre suoni muovendo manualmente un disco sul piatto), il rapper improvvisò la sua
performance “parlando” sul ritmo della musica.
Il suo messaggio arrivava nella forma di ginnastica linguistica, un flusso di parole, figlio diretto
delle gare verbali tra neri basate su proverbi, sui giri di parole e sugli scherzi.
Esponenti importanti da menzionare sono i Run DMC e i Public Enemy che inaugurarono il filone
politico dell’hip-hop accompagnati da una sorta di polizia privata, fomentarono disordini
paragonabili al rock movement degli anni Sessanta assurgendo a portavoce delle nevrosi e dei
disagi dei neri delle metropoli.
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Il rap e la sua cultura nera, l’hip hop, erano in definitiva ante cose: un’iconografia visiva fatta di
espressioni del viso arrabbiate (cool) corredata da un abbigliamento specifico, collanoni, scarpe da
ginnastica “Adidas”, e uno stile di ballo altamente competitivo, un linguaggio verbale, che
esprimeva opposizione alle istituzioni e identificazione in una comunità specifica (il ghetto) ed
infine uno stile di vita basato sull’utilizzo creativo delle risorse limitate di cui i neri erano maestri
da sempre in campo musicale. Grazie all’Hip Hop il cosiddetto “b-boy” sopravviveva e metteva
radici nel contesto metropolitano occidentale adottandone la cultura multimediale, consentendo
anche ai suoi protagonisti di potere espandere questo linguaggio dilatandolo in tutte le direzioni.
Prendendo a prestito campioni di brani altrui si potevano generare infinite combinazioni di generi, il
“Cross-Over”, mentre attraverso il “rappare”, borghesia nera con ansia di integrazione, all’invettiva
contro la società americana, espressione di tanti “colored” dimenticati che erano morti nei ghetti di
New York.
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6 – Anni Novanta
Gli anni Ottanta lasciavano in eredità la resa di uno specifico modo di aggregarsi tra coetanei a
favore di una progressiva decontestualizzazione dei tessuti sociali legati alla musica e quindi al
“capitale”.
Negli anni Novanta il mercato si restrinse a poche stars e quel futurismo da ingenuo e chic si fece
realtà, capovolgendo il concetto di musica per tutti dell’ultima rivoluzione rock.
La musica di consumo era quella paragonabile ad un flusso digitale di suoni e di capitali finanziari
che si materializzavano nei musicisti dei videomusicali, virtualizzati da una produzione
sovranazionale che ne “sintetizzava” digitalmente l’immagine e la musica. Negli anni Novanta la
canzone commerciale aveva per soggetto un singolo giovane passivo incapace di agire in termini
collettivi; un singolo giovane che si nutriva di musica digitale (CD, DVD, MiniDisc) nel villaggio
globale planetario.
Le forme di aggregazione giovanili c’erano ancora ma non facevano più capo ad un’idea di
comunità musicale identificabile sul territorio; lo stare insieme era diventato più un flusso che una
realtà catalogabile. Internet era il caso più eclatante. Attraverso le chats, e i programmi p2p quali
Napster, i giovani s’incrociavano per poi prendere strade diverse, si aggregavano per interessi
momentanei e per finalità diverse di volta in volta.
Le etichette indipendenti avevano intuito perfettamente la nuova funzione della fruizione giovanile.
Grazie ai canali di Internet, le case discografiche aumentarono in modo esponenziale innondando il
mercato con migliaia di prodotti invisibili alle masse. Di conseguenza, il mercato occidentale
vedeva numerosi artisti underground dediti a migliaia di generi musicali in una realtà sommersa
estremamente complessa e impossibile da cogliere nella sua interezza. La musica era dunque
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fluttuazione e ciò voleva dire che i suoi canali di circolazione sono sempre meno quelli tradizionali,
il negozio di dischi, e sempre più quelli digitali, la comunicazione a banga larga.
Se i giovani anni Novanta, soprannominata “Generazione x” erano invisibili agli occhi dei
catalogatori degli studiosi, ciò che assolutamente non sfuggì furono i dati statistici riguardanti
l’ambiente socio-economico che circondava il nostro soggetto sociale; le prospettive di lavoro, la
stabilità della famiglia, la violenza urbana, erano evidenze da cui bisognava partire per sviluppare
l’analisi su di un piano empirico, fermo restando che gli unici comuni denominatori erano una
situazione economica altamente frustrante per i giovani di tutto l’occidente avanzato e la sempre
maggiore frammentazione degli stili musicali. Infatti nella “X- Generation” americana dominava un
atteggiamento disilluso e rassegnato, in quella inglese si trovava uno di tipo evasivo. Se i giovani
americani erano orientati verso un rock della disillusione, quelli europei preferirono evadere dai
loro problemi rinchiudendosi in discoteca.
Inoltre alla stabilità familiare delle decadi precedenti, era subentrata la precarietà. Gli anni Novanta
videro un aumento vertiginoso sia di divorzi che degli abusi dovute alle incertezze che partivano
dalla primissima infanzia ed aumentavano con il crescere dell’età e portava una forte insanità
mentale e quindi l’affermarsi di una identità violenta.
C’era comunque una netta differenza tra la generazione X americana e quella europea. Infatti la
realtà dei college negli States era diventata una piccola società separata geograficamente dal resto e
si gestivano in modo autonomo con punte di cinismo e violenza. Gran parte degli studenti sono figli
dell’alta borghesia e nei college si comportavano spesso come gangster dei bassifondi e questo
determinò infatti un aumento dei casi di violenza e di furti.
La reazione generò non una controcultura ma un’aggregazione che si può definire di genere e un
singolare movimento che si creò fu quello delle “riot grrls”. Le ragazze arrabbiate nacquero
nell’estate del 1991.
Molte di queste ragazze furono vittime di abusi sessuali e avevano un’età al di sotto dei vent’anni.
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Le Riot Grrls scelsero un abbigliamento che mescolava elementi da ragazza per bene con altri
derivati dalla cultura punk (gonnellini bianchi con anfibi di cuoio, rossetto sexy e un fermaglio alle
narici. Un esempio tipico, ma molto “clean”, era il cartone animato trasmesso da MTV “Daria”. In
questa serie era chiaro l’insieme delle caratterizzazioni dei giovani degli anni Novanta e dei loro
genitori e il tutto era orientato verso una speculazione sarcastica e cinica tipica della generazione X.
Soltanto la protagonista, Daria, aveva l’obbiettività di fare della critica sociale mentre il resto dei
suoi coetanei sembravano immersi in un clima di lobotomizzazione generale. Tuttavia anche
l’eroina mostrava il fianco subendo il fascino di un inconcludente ragazzo di una band di Grunge, lo
stereotipo “alternativo” di quel tipo omologazione che la circondava.
Nel contesto anglosassone invece, si teneva conto dei luoghi chiusi e i ragazzi preferivano le
discoteche per sfuggire ai problemi, spesso con l’aiuto di sorrisi artificiali come l’ecstasy.
Lungo gli anni novanta si diffuse in tutto l’occidente, la mescolanza disordinata di generi musicali
più radicale di tutta la storia del rock. Fino a poco tempo prima le tendenze della musica giovanile
erano indiscutibilmente pilotate dalle grandi metropoli del rock: Londra, New York, San Francisco,
Los Angeles. Dal dopoguerra, fino a circa gli anni ottanta, il centro imponeva i propri gusti su tutto
il territorio urbano e rurale. Già lungo la decade degli Eighties grazie ad un mutato clima sociotecnologico, la periferia si prese delle grosse rivincite. Iniziarono ad affiorare centri e sobborghi
come Manchester, Birmingham e, forse quella che cambiò in qualche modo gli anni Novanta,
Seattle.
Un’altra novità fu il nuovo rapporto tra le relazioni sociali e la musica. Mentre prima grazie alla
musica ci si conosceva, ora le relazioni venivano disincentivate, la conoscenza si diffondeva
liberamente senza che nessuno avesse più segreti (il successo di “Blair Witch Project”).
Il costo da pagare per tutti è però la quantità. Fino a che c’era il centro a sfornare i prodotti si
potevano ancora contare le mode, le influenze, i gruppi. Si potevano fare le classifiche, le
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catalogazioni e i libri su questi argomenti; successivamente, con l’aumento dei nodi che
smerciavano musica, la complessità diventava umanamente impossibile da gestire.
Gli anni Novanta furono anche il periodo dell’avvento del “digitale” di massa.
Il digitale è il compact disc, che in questi anni aveva completamente sostituito il vinile, ma anche
Internet, che aveva permesso, tramite gli Mp3, la circolazione mondiale di qualsiasi output
musicale: dal rumore improponibile al capolavoro “invisibile”. Il digitale aveva permesso
l’abbattimento dei costi, che per i musicisti voleva dire incidere più facilmente e fare circolare il
proprio materiale velocemente e senza tanti passaggi di mano; mentre per chiunque voglia ascoltare
musica significava riuscire, in modo relativamente facile, ad entrare in possesso dei materiali più
disparati del passato e del presente.
Così se da un lato, tutti potenzialmente potevamo farci conoscere come musicisti indipendenti, nello
stesso momento, potevamo accedere alle opere di musicisti del passato anche i più introvabili,
consapevoli anche di una maggiore libertà dalle mode del momento delle metropoli del rock.
Il problema della quantità diventava estremamente complessa. Si pensi che il Compact Disc aveva
una capienza doppia rispetto ad un vinile, per cui metà degli album odierni solo dieci anni fa
sarebbero stati doppi.
Migliaia di distributori, le etichette indipendenti, avevano la possibilità di proporre i propri pupilli a
tutto il mondo mentre i profitti dei classici centri di produzione calarono.
Intanto si affacciò l’ultimo fenomeno musicale del secolo: il Grunge. Esso poteva ben rappresentare
anche l’ultimo tentativo di proporre sulla scena musicale degli idoli che richiamassero l’idea
perduta di una generazione che cantava a se stessa.
Nel genere i giornalisti notarono subito una somiglianza con l’Hard rock, mentre per quanto
riguarda le melodie, fu riscontrata una certa somiglianza con Neil Young.
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Le caratteristiche c’erano tutte: un nuovo centro musicale, ovvero una metropoli emergente, Seattle,
votata, all’inizio della decade, come città più vivibile d’America. Un nuovo genere, una nuova
moda con tutti i camicioni a quadri, jeans stracciati, spille, capelli lunghi. Un’iconografia estetica
dei gruppi forgiata su di un’immagine maschia di facile presa sugli adolescenti e i post-metallari.
L’industria discografica diede come “agnello sacrificale” i Nirvana di Kurt Cobain che nel 1991
spopolarono con il loro secondo album: “Nevermind”. Un po’ per caso e un po’ per ironia della
sorte nel 1994 il leader del gruppo si tolse la vita con un colpo di fucile e, di lì a poco, quella che
era sembrata a molti una nuova mecca giovanile, Seattle, e sonora, il Grunge, si rivelava soltanto
una bolla di sapone con tutte le nostalgie del caso.
Nei Nineties si affermò un nuvo filone musicale- commerciale: le “boybands”.
Erano gruppi “preparati a tavolino” con ritmiche orecchiabili, parole scontate e movimenti dancesincronizzati per essere adatti ad un pubblico adolescenziale femminile.
Anche l’aspetto fisico contava molto proprio per “turbare” i sogni delle adolescenti che sognavano
il principe azzurro.
Il primo gruppo che speculò su questo nuovo modo di fare musica furono i Take That, i quali
avevano delle proprie fans chiamate “Thatters”. Inoltre fu uno dei primi gruppi musicali a vendere
più merchandiser che albums. Altri gruppi da menzionare furono gli East17, gli N’Sync e i
Boyzone.
Quando i Take That si sciolsero ci furono scene di panico ed isterismo e molti quotidiani invitarono
degli psicologi per scrivere per scrivere su come poter affrontare il problema.
Diverso fu il discorso delle Spice Girls che invece fu un fenomeno solamente di immagine e per
vendere fecero leva su quel “girl power” in modo da far capire alle adolescenti che potevano
contare sulle loro forze ed essere vincenti. Naturalmente così come nacque nel giro di poco tempo,
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il fenomeno, sia di boybands che di girlbands, si affievolì proprio perché alla base c’era un
fenomeno di moda e non di profonde radici musicali.
Degno di essere citato fu anche l’ascesa di Marilyn Manson. Personaggio abbastanza mistico e
oscuro che fu molto ben calcolato. Era il periodo del caso Clinton-Lewinsky che fece emergere il
problema della decenza in televisione e nelle aule giudiziarie. La religione fu spettacolarizzata : i
telepredicatori erano un fenomeno tipicamente “made in USA” ed ebbero un forte seguito. Molti di
loro successivamente furono accusati anche di attività criminosa e scandali a sfondo sessuale.
La loro forza si basava sulle ingenuità di masse di persone che erano ignare di fronte a questi
ciarlatani.
In questo contesto si inquadrò poi l’ascesa di Marilyn Manson che divenne il simbolo dell’Antitutto. La bravura comunicativa fu quella di usare alla pari i satanismi musicali contemporanei e
quelli immediatamente precedenti senza però rimanerne direttamente coinvolto o di sposare la
stessa scontata simbologia della Bestia.
Marilyn Manson si autoalimentò grazie alle contraddizioni americane, di una generazione disperata
e senza riferimenti.
Proprio in mancanza di fari nella notte e di porti sicuri, il “reverendo” ci invitava a cercare le
risposte e le sicurezze di cui avevamo bisogno dentro di noi stessi senza ascoltare nessun altro; egli
stesso si metteva da parte per non essere ascoltato: il suo messaggio tendeva alla libertà assoluta
dell’individuo. Ma la corruzione naturale che associava il mondo del rock al capitale, al sesso libero
e alla droga come evasione, faceva in modo che rivedesse l’aspetto esteriore del suo lavoro
mettendo in contatto i sogni e gli incubi degli essere viventi: in pratica l’individuo stesso.
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7 – “Il Nuovo Millennio”
L’inizio del 2000 fu segnato da un due eventi memorabili: il 20 luglio 2001 a Genova in occasione
del G8 fu ucciso un ragazzo, Carlo Giuliani, intento a difendersi con un estintore contro la pistola di
un carabiniere a cui seguirono poi la “mattanza” della Diaz e il lager di Bolzaneto, e poi, quello
forse che ha fatto cambiare più di tutto il modo di vivere, l’11 settembre dello stesso anno vi fu
l’attentato alle Twin Towers di New York da parte di due aerei Boeing.
L’insieme di questi due avvenimenti segnò un periodo di riflusso che portò evidentemente ad un
interrogatorio delle coscienza da parte di ogni essere vivente.
Sul piano delle novità, questi furono gli anni di un aggeggio rivoluzionario architettato da Steve
Jobs e la Apple: l’iPod.
Antesignano del lettore del formato audio Mp3 divenne poi sempre più multimediale grazie anche
all’apporto di un lettore per le foto e uno per i video.
Col tempo furono modificati anche i telefonini che ormai erano in grado di navigare in Internet, far
ascoltare la radio, far vedere la TV. Le telefonate poi divennero “videofonate”.
Parlare di iPod significava anche un modo di vivere, la possibilità di creare la “propria colonna
sonora.
Le songs diventavano quindi tipo “kleenex”, le potevi scaricare da Internet (in modo legale e non),
ascoltarle e poi cancellarle.
Uno strumento importante ed innovativo di vendite legali di musica fu la nascita di iTunes, software
sempre della Apple, dove l’utente da Internet poteva, dietro pagamento, effettuare il cd. “download”
di brani musicali o, se lo riteneva interesante, anche di interi albums.
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Tutto questo portò quindi ad un notevole stravolgimento del “music- biz” mettendo in crisi quelli
che erano i canali tradizionali. Molti artiisti addirittura iniziavano a commercializzare i propri brani
tramite “rete virtuale” una volta che il loro contratto discografico arrivava al termine o addirittura
rescisso.
Esempio più eclatante fu quello della mitica rock- band dei Nineties, i Pearl Jam, che preferirono
come “main seller channel” Internet, lasciando solo il compito della disitribuzione alla vecchia casa
discografica, addirittura dando la possibilità ai propri fans di poter acquistare in formato Mp3 , e
successivamente con un altro sistema di compressione migliore come il Flac, le registrazioni dei
propri concerti a prezzi modici.
Ai Pearl Jam fecero poi seguito altri artisti del calibro di Smashing Pumpkins e Metallica.
Se nelle decadi precedenti lo strumento di potere era il telecomando negli anni’80, il telefonino
negli anni’90, il “passepartout” del nuovo Millennio fu la carta di credito.
Era la chiave d’ingresso all’acquisto di beni e servizi nel mondo virtuale di Internet.
Molte banche, ed anche i servizi postali, visto il problema dilagante della precarietà lavorativa,
pensarono di adoperare delle carte di credito prepagate, le quali ebbero subito un mercato
importante visto l’uso appunto che i giovani potevano fare, usandola oltre che per gli acquisti on
line, anche per la vita quotidiana.
Lo scambio d’informazioni si incominciò ad avere anche da quello che poi fu chiamata la
“comunità virtuale”. Iniziarono ad esserci chats e forums specifiche che avevano come argomenti
principali discussioni che andavano dai problemi cittadini agli scacchi, dalla cucina mediterranea
alle coltivazioni di patate (!).
Internet, grazie anche alla comunità virtuale diventò anche luogo di ritrovo e conoscenze di persone.
Questo comportò un riflusso per questo riguarda i movimenti musicali ma un ritrovo importante dal
punto di vista della conoscenza.
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Di conseguenza anche i concerti musicali divennero “gigs virtuali” come la possibilità ad esempio
di vedere gratis o pagando una piccola somma, un “live” dall’Australia comodamente a casa
propria.
Nessuna novità fu notata nei generi musicali. Gli artisti alla fine sono sempre gli stessi che
primeggiavano.
Si ritornava a quella commercialità degli anni Ottanta dove l’obiettivo era il “fare- soldi” e non il
testo in sé.
Il megaconcerto più importante dei primi dieci anni del 2000 si ebbe il 2 luglio 2005: il Live8.
Esso si svolse in più città: Berlino, Parigi, Toronto, Philadelphia, Johannesburg, Cornwall, Mosca,
Londra, Tokyo e Roma.
Sempre organizzato da Bob Geldof come il Live Aid di venti anni prima, aveva come slogan “Make
Poverty History”; a differenza del 1985, questo concerto aveva come finalità quello di far sentire la
voce per la cancellazione del debito delle nazioni africane all’imminente G8 che doveva poi
svolgersi di li a poco nella città di Edimburgo.
All’appuntamento andarono in moltissimi anche se il cast non era di primissimo piano (molti erano
coloro che avevano partecipato all’evento del 1985). L’episodio più importante fu sicuramente la
reunion dei Pink Floyd (escluso Syd Barrett che sarebbe poi nel 2006 a 60 anni).
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NOTE BIBLIOGRAFICHE
Paparella Dario, Rapporti tra partiti politici e movimenti di contestazione giovanile dal 1968 al
1998, Università degli Studi di Salerno, 1998
Bridda Enrico, Storia sociale della musica giovanile, http://www.sentireascoltare.com, 2002
A.A.V.V.. Manson, raccolta materiale web, s/d.
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INDICE
Introduzione
1- Le Origini
2- Gli Anni Quaranta- Cinquanta
3- Gli Anni Sessanta
4- Gli Anni Settanta
5- Gli Anni Ottanta
6- Gli Anni Novanta
7- Il Nuovo Millennio
Note Bibliografiche
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