Addio a Shevardnadze, padre della Perestroika

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Addio a Shevardnadze, padre della Perestroika
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08/07/2014
Indice
Il Mattino
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Confindustria – Mataluni, il mandato bis s’inaugura con Squinzi
L’analisi – Quelle critiche tutte anti Sud
Ottopagine
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Apice – I versanti saranno oggetto di studio dell’ateneo sannita
Corriere della Sera
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L’analisi – Flessibilità e rigore tanti errori ed equivoci
L’analisi – Lavoro ai giovani, il sogno di un’estate aperta
L’inchiesta – Donne, in Italia il lavoro paga di più ma la differenza con gli uomini aumenterà
La Repubblica Napoli
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L’opinione – Quanti soldi sprecati negli atenei napoletani
L’opinione – Policlinico a Scampia, idea malsana e dispendiosa
Il Sole 24 Ore
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Storia - Addio a Shevardnadze, padre della Perestroika
Lettere – La scarsa puntualità costa davvero caro al Pil del nostro Paese
PA – Province, i dipendenti per ora non si spostano
WEB MAGAZINE
IlQuaderno.it
Provincia Benevento. Il 28 settembre si volta pagina: Decideranno i partiti ed i comuni
sanniti più grandi
A fine luglio Bill De Blasio a S. Agata de’ Goti
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1928-2014
Addio a Shevardnadze, padre della Perestroika
Fu Gennady Gerasimov, portavoce del ministero degli Esteri, ad annunciare nel 1987 l'esistenza di una "Dottrina Sinatra", chiamata così
per un motivo del cantante americano: "My Way". Sembrò una battuta. Era l'enunciazione di un pilastro ideologico della Perestroika e allora non si capì - l'inizio della fine dell'impero: a quel punto anche la fine dell'Urss sarebbe stata questione di tempo.
Per la prima volta con quella dottrina si riconosceva che i Paesi satelliti europei avevano il diritto di scegliere la loro strada: una volta
venivano usati i carri armati, da quel momento ciascuno avrebbe fatto liberamente a modo suo. Fu Eduard Ambrosevich Shevardnadze,
morto ieri, l'uomo che impose la rivoluzione diplomatica a un politburo sempre più spaventato dai cambiamenti. La Polonia aveva
incominciato qualche anno prima. Ma tutti i Paesi dell'Est avevano iniziato a dare segni d'impazienza.
La Perestroika, nata come ristrutturazione economica e applicata nella totale revisione della politica estera sovietica, è attribuita a
Mikhail Gorbaciov. Forse il vero padre, o quanto meno il motore, è stato Eduard Ambrosevich Shevardnadze. Prima di Gorbaciov a
Mosca, fu lui ad avviare in Georgia, della quale era diventato segretario del partito, le prime riforme economiche e una durissima
campagna contro la corruzione dei quadri. È per questo che fu chiamato a Mosca. Quando Gorbaciov gli affidò il monumentale ministero
degli Esteri, molti pensarono che avesse scelto l'uomo sbagliato. Senza conoscere molto del mondo fuori dalla Georgia, Eduard
Ambrosevich andava a sostituire Andrey Gromyko, "Mister Niet", l'uomo che per 28 anni era stato il custode dell'impero e il sacerdote
della Guerra Fredda. Come Gromyko, Shevardnadze fu il perfetto interprete della sua breve ma intensa epoca: evidentemente opposta a
quella del predecessore. Con lui il mondo si aprì alla speranza, fu l'artefice di quello che qualche analista troppo entusiasta avrebbe
chiamato "la fine della Storia". Dopo averla sfiorata al vertice di Reykjavik, quando fu proposto il pieno disarmo nucleare, si arrivò al
ritiro unilaterale di 500mila mezzi corazzati dall'Europa e alla riduzione dei silos atomici. Quando i conservatori incominciarono a
reagire, Gorbaciov attenuò la Perestroika. Convinto che, al contrario, le riforme andassero accelerate, Shevardnadze diede le dimissioni e
tornò in Georgia. Aveva compreso ciò che a Gorbaciov era sempre sfuggito: il socialismo sovietico era irriformabile. (Ugo Tramballi)
Lettere
La scarsa puntualità costa davvero cara al Pil del nostro Paese
Nei giorno scorsi, in vacanza a Finale Ligure, sono stato invitato a uno spettacolo in piazza. Uno spettacolo gradevole, che avrei
apprezzato di più se non fosse iniziato con quaranta minuti di ritardo. Un imprevisto può succedere, ma nei quaranta minuti di attesa
nessuno si è sentito in dovere di dire due parole per rassicurare e scusarsi; nemmeno negli interventi iniziali è stato detto «scusate il
ritardo». Ho avuto l'impressione che il ritardo fosse considerato normale, come se il tempo (degli altri) non avesse valore. Riscontro che
spesso incontri ed eventi iniziano non rispettando gli orari e con un ritardo che va al di là del "quarto d'ora accademico".
Filippo Rosati
Milano
Gentile Rosati, concordo sulla sua osservazione generale. Ormai si può dire che le manifestazioni che rispettano gli orari previsti sono
più l'eccezione che la regola. Ma per fortuna restano solidi baluardi anche senza doversi rifugiare in Svizzera: nei grandi teatri classici la
puntualità è una tradizionale talmente consolidata che non fa notizia. Ma ai concerti rock viene considerato invece normale che gli idoli
si facciano attendere. E nella vita comune tuttavia capita spesso che la mancata puntualità (nostra e degli altri) faccia non solo, come è
ovvio, perdere tempo, ma anche mettere di malumore, far svanire un affare, far andare al vento un'occasione magari del tutto privata.
La puntualità in un appuntamento è soprattutto un segno di rispetto verso le altre persone. È un dovere morale, è il mantenere un patto, è
un permettere che i meccanismi sociali e del mercato funzionino al meglio. Si racconta che il massimo interprete del dovere morale,
Immanuel Kant, era talmente puntuale che il parroco di Konigsberg aggiustava l'orologio del suo campanile quando vedeva il filosofo
uscire di casa per la sua quotidiana passeggiata.
Ma quanto costa la mancata puntualità in un paese come l'Italia? Lo hanno calcolato, ovviamente con grande approssimazione, Andrea
Battista e Massimo Ongaro nel loro libro Elogio della puntualità (Ed. Giubilei Regnani, 206 pagine, 16 euro). Il dato è comunque
sconvolgente: "Stimando che ogni lavoratore italiano perda in media 10 minuti al giorno per i ritardi altrui, in un anno si accumula un
danno all'economia fra i 22 e i 44 miliardi di euro, come dire fra l'1,4 e il 2,6 per cento del Pil". E gli autori aggiungono: "Se a livello
aziendale è facile consigliare ai manager di cominciare loro per primi a rispettare il tempo dei collaboratori, in una situazione come
quella nazionale, dove è proprio dall'alto che arriva il cattivo esempio, è più difficile far capire che un miglioramento della situazione
potrebbe partire anche da un piccolo sforzo individuale per essere più puntuali". Certo, non tutti i ritardi fanno perdere punti al Pil, ma
non sono una bella cosa anche se fanno solo perdere la pazienza.
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Estratto da pagina 34
Pubblico impiego. Slitta il ridisegno di attività e organici
Province, i dipendenti per ora non si spostano
Avrebbe dovuto vedere la luce entro oggi la nuova geografia delle funzioni locali, chiamata anche a redistribuire fra Regioni e Comuni il
personale impegnato nelle attività che le Province "leggere" dovrebbero abbandonare. I tre mesi dall'approvazione della riforma,
pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» il 7 aprile scorso, sono passati senza nemmeno fissare in agenda un incontro con i sindacati, tappa
necessaria per arrivare agli accordi sulla redistribuzione del personale, e i tempi si allungano.
I calendari elastici sono il classico effetto collaterale dell'ingorgo di decreti attuativi che accompagna il sovrapporsi delle leggi approvate,
ma in questo caso l'incrocio è ancora più complesso. In gioco, infatti, c'è anche il decreto sulla Pubblica amministrazione, che fissa il
principio della mobilità "libera" entro 50 chilometri dalla sede di prima assegnazione e sembra quindi aprire una via più facile per
spostare i dipendenti: resta il fatto, però, che senza la riassegnazione delle funzioni su lavoro, ambiente e sugli altri settori che
dovrebbero essere abbandonati dalle Province resta impossibile decidere dove e come trasferire i dipendenti.
Anche perché nel frattempo il clima dei rapporti con i sindacati si sta scaldando. Ieri Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato una
«mobilitazione generale del personale degli enti locali» perché le incertezze nel settore si intensificano.
Tra i cronoprogrammi saltati c'è, per esempio, anche quello previsto dal comitato temporaneo fra Governo ed enti locali che dovrebbe
risolvere la grana dei contratti integrativi fuori regola, e che entro giugno avrebbe dovuto preparare una nuova circolare e una direttiva
all'Aran nel tentativo di evitare il danno erariale per i dirigenti e le richieste di restituzione di soldi ai dipendenti. Al momento non si è
visto ancora nulla, anche perché la strada adatta a superare lo stallo che coinvolge Roma, Vicenza, Reggio Calabria e tanti altri Comuni
(a Milano l'annuncio della Giunta di voler adeguare gli integrativi della Polizia locale ha originato una protesta per il 10 luglio, giorno
dell'ultimo concerto di Vasco Rossi a San Siro) è quella di una revisione normativa. Intanto per domani è in calendario a Roma la
manifestazione dei segretari comunali contro l'addio ai diritti di rogito scritto nel decreto sulla Pa e la loro confluenza in un ruolo unico
della dirigenza abbozzato dalla legge delega.
G.Tr.
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