La cornucopia di Cesare Damiano Le ricette per il nuovo centrodestra
Transcript
La cornucopia di Cesare Damiano Le ricette per il nuovo centrodestra
delle Libertà DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale Direttore ARTURO DIACONALE QUOTIDIANO LIbERALE pER LE gARANzIE, LE RIfORME ED I DIRITTI UMANI Sabato 23 Luglio 2016 Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 140 - Euro 0,50 Parisi agita il centrodestra I dirigenti di Forza Italia da Silvio Berlusconi per festeggiare la sua guarigione ma anche per ribadire la volontà di essere protagonisti nel processo di rigenerazione e di rilancio del partito e dell’area moderata Le ricette per il nuovo centrodestra di ARTURO DIACONALE baglia di grosso chi crede che il problema del centrodestra sia la S scelta del leader e del linguaggio da mettersi a disposizione per il rilancio di Forza Italia e dell’area moderata non apre la questione della successione, che come si è visto non esiste, ma solleva il doppio problema della classe dirigente e del programma. Sul primo punto sbaglia clamorosamente chi immagina che per la selezione della nuova classe dirigente basti sostituire il vecchio metodo della cooptazione con quello della rottamazione. In realtà negli ultimi anni questa operazione è già avvenuta per autorottamazione da parte di chi, benché portatore solo della cooptazione berlusconiana e non di consenso personale, ha scelto di mutare casacca e salire sul carro del vincitore momentaneo. La cornucopia di Cesare Damiano di CLAUDIO ROMITI adoperare per ridare fiducia al popolo dei moderati. Il leader c’è ed è e rimane Silvio Berlusconi. Ed è del tutto impensabile che ci possa essere una successione in vita del fondatore di Forza Italia e dell’unificatore del fronte del centrodestra italiano. Questo non significa che il giorno in cui si andrà a votare, sempre che nel frattempo il Cavaliere non riesca a riottenere la eleggibilità strappatagli ingiustamente per via giudiziaria, non sorga il problema della leadership di Forza Italia e, se l’Italicum non dovesse cambiare, di chi debba guidare il listone unico dei moderati. Ma si può risolvere oggi un problema che si porrà nella più breve delle ipotesi tra un anno? E, soprattutto, si può porre il problema della leadership senza aver prima posto il doppio problema della classe dirigente e del programma da proporre agli italiani? La decisione di Stefano Parisi di POLITICA PRIMO PIANO ECONOMIA ESTERI CULTURA La verità di Giulio Romani su Equitalia Il taxi di Napolitano Crediti deteriorati e colpe dei Governi Perché ho espresso il mio sostegno al fallito golpe in Turchia A Monticchiello cinquant’anni di Teatro Povero ASCOLTO A PAGINA 2 MAURO A PAGINA 3 SFORZA FOGLIANI A PAGINA 4 PIPES A PAGINA 5 RAPONI A PAGINA 7 Continua a pagina 2 ovrastate da un’impressionante sequela di emergenze internazioS nali, le notizie economiche che ci riguardano direttamente sembrano passare in secondo piano. Così quasi nessuno si è accorto che le maggiori agenzie di rilevamento, tra cui Fondo monetario internazionale, Banca d’Italia e Confindustria, rivedono al ribasso il secondo trimestre del 2016. Da uno striminzito + 0,25 per cento, le stime sulla crescita economica del Paese dei cantastorie si attesterebbero ad un ridicolo + 0,15 per cento. Ciò significa, in soldoni, che continuiamo ad essere inchiodati ad una perenne stagnazione, a prescindere dagli effetti più o meno duraturi della famigerata Brexit. Continua a pagina 2 2 Politica L’OPINIONE delle Libertà di MASSIMO ASCOLTO il solito gioco dello sceriffo buono e di quello cattivo, il capro espiatorio che tanto si cerca in Italia quando le cose vanno male. È il caso di Equitalia, dipinta dalla grande stampa e presentata all’opinione pubblica come l’origine di tutti i mali. In realtà nessuno racconta che Equitalia non ha poteri di accertamento ma si muove su commissione degli enti impositori (Agenzia delle entrate e Inps) e nel rispetto di quelle regole che il Parlamento (coloro i quali oggi si indignano e vogliono chiuderla) ha imposto nell’espletamento delle attività di riscossione. In altre parole, l’Agenzia individua gli evasori (o presunti tali) e, dopo una serie di avvisi bonari, chiede ad Equitalia di riscuotere il dovuto. Equitalia non si muove autonomamente o arbitrariamente ma secondo un preciso ventaglio di norme emanate dalla politica. Questo giochetto della riscossione vale 9 miliardi È La verità di Giulio Romani su Equitalia di euro l’anno (tanto è il riscosso da Equitalia ogni anno) e quindi, se da domani Equitalia fosse abolita, ci sarebbe un mancato gettito per lo Stato che dovrebbe essere ripianato attingendo alla fiscalità generale e cioè gravare su tutti i cittadini. In pratica, come al solito, si sono ribaltati i ruoli: gli evasori sono parte offesa ed i riscossori devono sentirsi in colpa. Ciò significa che va tutto bene? La pressione fiscale è a livelli accettabili? La riscossione si muove su regole umane? Gli interessi sono bassi? Assolutamente no, molto si deve cambiare radicalmente e soprattutto bisogna farlo presto, ma la caccia alle streghe non ci è mai piaciuta, anche quando si tratta dell’odiata Equitalia. Ne parliamo con Giulio Romani, segretario nazionale di First-Cisl. Segretario, gli esattoriali sono scesi in piazza per difendere i propri privilegi? Ecco, uno dei motivi per cui gli esattoriali sono in piazza è proprio quello di combattere la barbarie delle semplificazioni concettuali utili solo a cercare colpevoli da dare in pasto ai cittadini in difficoltà. In realtà, vedo che è essenziale spiegarlo, si tratta di 8mila professionisti nel campo del diritto tributario, ai quali si applica il contratto bancario, ma non quello odierno, bensì quello stipulato nel 2008, a causa del prolungato blocco degli stipendi imposto a chi svolge funzioni pubbliche. Nel frattempo, questi professionisti, con la loro opera, hanno portato nelle casse dello Stato e degli altri enti pubblici oltre 90 miliardi di recupero di imposte evase e hanno aiutato milioni di italiani in difficoltà a mettersi in regola grazie alla loro capacità di assisterli nella scelta della miglior soluzione di pagamento rateale. In cambio si sono visti insultare da certa stampa e televisione e da politici privi di scrupoli e sono stati oggetto anche di minacce e aggressioni fisiche. Poi è arrivata la ciliegina delle irresponsabili dichiarazioni del Premier. Questa è la realtà dei fatti. Allora si tratta di una forte contrasto alle proposte di cambiamento del settore che provengono sia dal Governo che dall'opposizione? Vede, questo è un settore dove riforme piccole e grandi, riorganizzazioni ed altre simili iniziative sono una costante degli ultimi anni. I lavoratori esattoriali hanno sempre dato esecuzione alle norme di riforma, anche quando queste apparivano poco comprensibili. Il fatto è che non ci si può non indignare a sentire il Presidente del Consiglio, il capo della macchina amministrativa di questo Paese, che si esprime senza rispetto dicendo “byebye” o facendo credere che si combatta l’evasione fiscale con un avviso di scadenza. Come minimo viene da pensare che non sappia di che parli o lo si abbia mal compreso, cosa che, per inciso, saremmo ben lieti che fosse. Allora perché opporsi ad un’unica agenzia per l’accertamento e la riscossione, dopo tutto, in tutta Europa è cosi. L’Agenzia delle entrate è già titolare della riscossione, è azionista di maggioranza di Equitalia da 10 anni e ha sempre espresso il Consiglio di amministrazione, gli amministratori delegati e i presidenti, oltre a prestare suoi dirigenti per ruoli chiave. Il fatto è che il know-how specifico della riscossione non può prescindere da capacità e conoscenze che non si improvvisano. Come non si improvvisa con gli slogan elettorali in una materia che mette insieme tecnicismi e sensibilità sociali come la riscossione delle imposte non pagate spontaneamente. Quindi Equitalia deve restare contro tutto e tutti? Non è questione né di nome e neppure di soluzione organizzativa. Solo occorre essere chiari in merito alla circostanza che, in Italia, non si sia ancora pronti per trasformare il prelievo tributario in una volontaria contribu- “Ti racconto la politica” di GIANNANTONIO SPOTORNO ille tra i peggiori (Capitolo 47) - Il capitolo numero cinquanta, come sappiamo, aprirà il “sipario” della simulazione di un congressotipo. Vedremo, in una sorta di diretta, l’applicazione dei mille trucchi e veleni fin qui riportatiti nel corso che, tra l’altro, è orgoglioso di averli descritti per permettere al lettore di capire ciò che si nasconde dietro le quinte, dunque, di non fantasticare tra emotive supposizioni, com’è un po’ tipico di troppi italiani. In attesa dell’apertura del sipario, ci prendiamo la libertà di qualche riflessione. La messinscena dei congressi elegge i dirigenti di partito (capitolo n. 9) che, a loro volta, nominano o fanno sabato 23 luglio 2016 M eleggere gli “abitanti” delle istituzioni, parlamentari compresi. È saggio non fare di tutta l’erba un fascio ma, cari deputati e senatori, dunque, presidenti del Consiglio, ministri, sottosegretari, eccetera, pur considerando la distinzione tra chi costringe e chi è “costretto consenziente” o semplicemente inefficace, voi siete mille tra gli italiani peggiori. Chi avrebbe mai detto che la vostra cerchia si sarebbe fatta detestare tanto? Non basterebbero i fogli della Divina Commedia per descrivervi con dovizia di particolari, ma ci accontenteremo di una sintesi; i mille garibaldini si sono dati da fare per tirare insieme l’Italia e voi mille la distruggete. Vi siete riempiti d’autorità, ma siete privi di autorevolezza e vi circondate di un intorno che vi assomiglia. Ribadiamo che non si può fare di tutte l’erba un fascio, dunque, non siete tutti uguali, ma è inconfutabile che la vostra squadra produca l’infelicità del popolo italiano. Alle vostre ampollose parole fa seguito ogni insufficienza e, nonostante certe sceneggiate, apparite sempre attenti a non valicare mai quel confine che vi mantiene all’interno del parassitismo istituzionale. Nel caso, più volte dichiarato ma mai attuato, di un membro della squadra che voglia cambiare e migliorare le cose, ecco che minacce e coercizioni piegano ogni poveretto ai vostri usi. Il popolo sa del vostro parassitismo e sa pure che, col voto di scambio, portate alle urne il capillare “acquisto” di molti opinabili cittadini; ma la matematica è matematica e voi siete in un vicolo cieco che esaurisce la possibilità di reperire altri quattrini per ulteriori “acqui- zione. Il principio costituzionale della capacità contributiva per valere, deve manifestarsi effettivamente, qualcuno può assicurarlo davvero senza un’istituzione che si occupi della riscossione dedicata ai pagatori non spontanei? Come vede il futuro del settore? Ritengo che mantenere distinti i soggetti accertatori da chi entra in contatto con cittadini e imprese per conseguire la riscossione costituisca ancora un valore forte ed una garanzia per gli stessi, considerata la mole di contenzioso e il perdurare della crisi. Equitalia ha ormai un’esperienza decennale nell’applicazione delle norme di tutela e nell’assistenza ai contribuenti. È pronta da subito ad applicare con efficacia, flessibilità ed efficienza nuovi orientamenti che il Parlamento volesse introdurre. Non vogliamo buttare via insieme acqua sporca e bambino. sti”; è per questo che puntate a leggi elettorali e referendum che assicurino maggiore potere pur in presenza di meno voti? Blaterando sul suo bene, avete tolto ogni rispetto al popolo che si è stancato e pensa di voi ogni male. Siete retorici e parlate di una società che non esiste. Affrontate ogni tema con ipocrisia e, nella vostra mente, nulla è più importante del rimanere abbarbicati ai vostri delinquenziali privilegi che avete trasformato in legge. Prendete in giro la società con le vostre rappresentazioni del reale, ma la società non vi sopporta più. Così come siete, siete inutili, anzi dannosi. Arriverà il tempo che vi spazzerà via, pur se rimarrete ancora un brutto peso per qualche lungo anno. segue dalla prima Le ricette per il nuovo centrodestra ...Questo vuoto va riempito dai “vecchi”, dai “nuovi” e da chi vuole interpretare il ruolo del figliol prodigo. Ma per riempirlo non c’è altra strada che quella della competizione. Chi ha idee, energia, passione e s’impegna conquistando consenso va avanti. Chi aspetta la chiamata rimane fermo. Altro falso problema è quello del programma. Che rimane sempre e comunque quello della rivoluzione liberale in uno dei Paesi rimasto tra i più statalisti del pianeta. Naturalmente, però, la rivoluzione liberale di oggi non può essere simile a quella del 1994 ma va adeguata alle esigenze del tempo presente. In particolare alla crisi dell’idea solo economicofinanziaria dell’Europa, alla sfida dell’Islam politico ed imperialista, all’immigrazione senza controllo e senza gestione, alla devastazione di una cultura politicamente corretta che ha preso il posto della vecchia egemonia comunista e pensa di sostituire la storica identità dell’Occidente con un nichilismo straccione destinato a farsi spazzare via da ogni forma di radicalismo religioso. Non si tratta di innervare il vecchio programma del 1994 con qualche infiltrazione di populismo attuale. Si tratta di capire che la sfida della rivoluzione liberale va rapportata all’attualità mai derogando ai princìpi delle libertà e delle garanzie dei cittadini. Per fare questo non basterà l’uomo solo al comando. Ce ne vorranno tanti e tutti capaci e convincenti! ARTURO DIACONALE La cornucopia di Cesare Damiano ...Tuttavia, incurante di un sistema economico che stenta sempre più a creare valore aggiunto, Cesare Damiano prosegue il suo ossessivo pressing nei riguardi del Governo Renzi per ottenere nel settore caldo delle pensioni ulteriori pasti gratis da distribuire in cambio dell’eterna gratitudine elettorale dei relativi beneficiari. In particolare, questo campione del dissesto finanziario preme affinché lo stesso Governo apra un tavolo coi sindacati tradizionali per fare il punto sulle trattative in corso sulle pensioni, ricordando che “sarebbe fortemente negativo non aver concluso il confronto prima dell’avvio della campagna elettorale sul referendum costituzionale”. In pratica, fuor di metafora, Damiano esorta l’Esecutivo dei rottamatori del buon senso a perpetrare l’ennesimo saccheggio della diligenza targata Inps in tempo per poterne capitalizzare gli effetti a ridosso del referendum delle cento pistole. Tutto questo basandosi su due elementi che caratterizzano sempre più la nostra democrazia: un elettorato sempre più anziano e una maggiore astensione da parte delle fasce più giovani. Da qui la rinnovata propensione di questi statisti al contrario, a cui nulla importa delle prossime generazioni, a comprarsi i voti ipotecando il futuro degli ultimi arrivati. Vergognoso. CLAUDIO ROMITI Quotidiano liberale per le garanzie, le riforme ed i diritti civili Registrazione al Tribunale di Roma n. 8/96 del 17/01/’96 Direttore Responsabile: ARTURO DIACONALE [email protected] Condirettore: GIANPAOLO PILLITTERI Presidente del Comitato dei Garanti: GIOVANNI MAURO AMICI DE L’OPINIONE soc. coop. Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi di cui alla legge n. 250/1990 e successive modifiche e integrazioni. IMPRESA ISCRITTA AL ROC N. 8094 Sede di Roma Via Augusto Riboty, 22 00195 - Roma Tel: 06.83658666 [email protected] Amministrazione - Abbonamenti TEL 06.83658666 / [email protected] Stampa: Centro Stampa Romano Via Alfana, 39 00191 Roma CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19,00 Primo Piano sabato 23 luglio 2016 di GIOVANNI MAURO e leggi elettorali sono come i taxi, bisogna sapere dove an“L dare”. Parole di Luciano Violante. Bene. Allora fate scendere dall’automobile Giorgio Napolitano che mi sa che si è perso. In realtà le leggi elettorali non sono taxi, piuttosto un autobus o un pullman. Un veicolo di trasporto non riservato, quale è il taxi, ma condiviso, per tutti. E soprattutto colui che guida non è il padrone del veicolo. È legittimo chiedersi chi stia guidando il taxi su cui viaggia Napolitano. Forse lo sapremo tra qualche tempo. Intanto preoccupiamoci di bocciare una riforma costituzionale inadatta e controproducente e di modificare una legge elettorale così simile negli effetti alla legge truffa del 1953. È vero che anche per prendere l’autobus o il pullman devi sapere dove andare. E noi del “Comitato per il No” lo sappiamo: il più lontano possibile dalle riforme costituzionali ed elettorali dei fratria. Aspiravamo alla riforma del demos, del popolo, e per questo avevamo iniziato un cammino riformatore comune alla maggioranza, per il bene dell’Italia. Matteo Renzi e Re Giorgio hanno preferito imporre quella di una parte, di alcuni. Hanno preso qualche pesce palla (che inghiotte aria per sembrare grande) della politica pronto a fantasiose alchimie pur di entrare nel club degli squali. Riforme che, è bene sempre ricordarlo, sono il frutto di Esecutivi nati dal rovesciamento del Governo Berlusconi operato dai palazzi della politica e della finanza italiana e internazionale. Napolitano, guardando fuori dal finestrino del suo taxi senza meta, vede una realtà falsata dagli anni e dalle amicizie. Dagli anni perché Re Giorgio ha dimenticato che se l’articolo 1 della Costituzione recita “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” è grazie alla collaborazione tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano. Si decise di dare L’OPINIONE delle Libertà Il taxi di Napolitano al Pci la possibilità di fornire al proprio elettorato un segno tangibile. Quella stagione e quel metodo ci hanno consegnato una Costituzione, che va certamente aggiornata, che ha permesso all’Italia di essere uno dei più grandi Paesi al mondo. La riforma costituzionale e la legge elettorale sponsorizzate dal comunista preferito da Henry Kissinger, quello stesso che le cronache raccontano avere “minacciato” Aldo Moro e che ha insignito Re Giorgio del “Premio Henry Kissinger”, quale Italia immagina? Un’italietta piegata sotto il peso di un centralismo diretto da un Governo di minoranza 3 che, di fronte alla perdita di autorevolezza della politica, sarà consegnata con i piedi legati alle grandi lobbies e agli speculatori finanziari che hanno già iniziato a fare acquisti in saldo nel nostro Paese. Insomma, sembra piuttosto che il “taxi elettorale” di Napolitano stia andando verso un quartiere a luci rosse e lì aprirà lo sportello per far scendere l’Italia. Erdoğan spera fiducioso nel ritorno della pena capitale di RUGGIERO CAPONE piace dover rammentare che la non è mai stata una naSzioneTurchia liberale, tantomeno democratica nell’accezione italiana del termine. La Turchia moderna nasce nel 1923 come stato laico retto da Mustafa Kemal Atatürk, e recentemente vira a Stato teocratico per mano dell’autocrate Recep Tayyip Erdoğan. Questo spartiacque tra Oriente ed Occidente non ha mai contemperato nel proprio ordinamento leggi che tutelassero minoranze etnico-religiose. In Turchia la popolazione ha una visione del mondo dissimile da quella che circola nelle nazioni europee. Infatti, fino al 1985 gli oppositori politici venivano trattati alla stregua dei criminali, prevedendo per loro soggiorni nelle stesse carceri che ospitavano spacciatori di droga e capi della criminalità organizzata. L’arresto dei circa 10mila oppositori, quelli che Erdoğan definisce golpisti, s’è consumato con le modalità tipiche dello Stato assoluto islamico (in Arabia Saudita non avrebbero fatto diversamente). Oggi Erdoğan non aspetta altro che la reintroduzione, per via parlamentare, della pena di morte. Così la corte marziale potrà comminare il massimo della pena per i golpisti, permettendo ad Erdoğan di affermare che la pena di morte è stata voluta dal popolo e votata dal Parlamento turco. Ricordiamo che la mentalità di gran parte dell’elettorato turco, ovvero quelli che hanno votato Erdoğan, pretende che torni la pena di morte, e nelle modalità in uso prima del 1985: prevedevano per interesse nazionale che il massimo della pena detentiva venisse tramutata in pena capitale, ed anche anni dopo la sentenza definitive. Quindi una visione del diritto diametralmente opposta a quella romana ed europea, capace di trasformare qualsivoglia detenuto in una sorta di larva umana, onde evitare che il suo carcere venisse improvvisamente tra- sformato in impiccagione. Nonostante questa visione aberrante della vita e del diritto, la Turchia ha per importanza il secondo esercito della Nato. Soprattutto, è considerata dall’Unione europea il partner più prossimo, al punto che la Germania più volte ha tentato di mediarne l’entrata nell’Ue. Allora vi starete chiedendo cosa potrebbe capitare se i 10mila golpisti venissero messi a morte. Non succederebbe assolutamente nulla, e nemmeno se s’aggiungesse il decreto “svuota carceri” turco, ovvero la trasformazione in pena capitale per gli oltre 23mila condannati all’ergastolo in Turchia. In Italia giornali e tivù griderebbero all’abominio per qualche giorno, ma nel Paese non si solleverebbe alcuna indignazione popolare antiturca. Del resto le cronache recenti ci hanno mostrato gli italiani in lacrime per le sconfitte calcistiche in Francia, non certo per i connazionali trucidati in Bangladesh e Francia. E la stessa Ue potrebbe davvero poco, perché la Turchia è oggi la porta d’accesso più importante per l’immigrazione clandestina nella zona Euro: quindi la Germania intende tenersela buona. Dal canto suo, Erdoğan conosce il proprio elettorato, sa che in Turchia la pena di morte è gradita alla maggior parte degli elettori, il dissenso verso questa misura viene guardato male dal regime “democratico”. Di fatto si tratterebbe di un vero e proprio genicidio, ma nessuno oggi è in grado di fermare il boia dell’Anatolia. Soprattutto gli Stati Uniti tentano di tirarsi dalla propria le simpatie di Erdogan, per strapparlo all’abbraccio che da pochi mesi lo lega a Vladimir Putin. Poi come potrebbero gli Usa, nazione occidentale che mantiene la pena di morte in molti suoi Stati confederali, condannare Erdogan per l’uso eccessivo di impiccagioni e fucilazioni? Va aggiunto che il premier turco ha recentemente incassato anche il plauso di Putin per come ha celermente arrestato tutti i golpisti. E se vogliamo dirla tutta, la Turchia è la sola oggi in grado di contrastare il Califfato islamico militarmente ed energeticamente: non dimentichiamo che Erdogan (la sua famiglia di petrolio se ne intende) può mettere in crisi il traffico di barili di greggio dell’Isis. Ora le scuole di pensiero si dividono. Infatti c’è chi sosterrebbe che Erdoğan potrebbe gradire la reintroduzione della pena di morte per riaffermare con una grande grazia il suo ruolo di nuovo padre della patria: in questo doppiando quanto fece Atatürk che amnistiò tutti i nemici dei “giovani turchi” (partito d’origine di Atatürk). Oppure potrebbe non muovere nemmeno un dito, lasciando che i tribunali speciali mandino a morte tutti i suoi nemici e, casomai, svuotino le carceri come si usava un tempo nel Paese ottomano, convertendo il carcere a vita in impiccagione. In entrambi i casi, la Turchia torna a dimostrarsi un Paese lontano dalla visione europea del diritto. Di fatto anche ad Ankara è in corso un regolamento di conti tra due visioni dello Stato islamico, quella di Erdoğan e quella del suo rivale oggi ospite degli Usa. 4 di CORRADO SFORZA FOGLIANI (*) l problema all’ordine del giorno è quello dei crediti deteriorati del sistema bancario (in particolare – meglio – delle grosse banche, che non hanno il controllo del territorio che hanno invece le medie banche). Chi liquida la questione dicendo che i banchieri scontano così il fatto di aver finanziato “gli amici e gli amici degli amici” (come ha testualmente sostenuto una populista leader di partito di cui taccio il nome per carità di patria), o è in malafede – generalizzando irresponsabilmente una situazione che è eventualmente di singoli casi – o non sa quel che dice. I crediti deteriorati sono, infatti, in minima parte frutto di valutazioni sbagliate dei banchieri (pur sempre possibili, perché se fare i banchieri fosse un mestiere facile tutti lo farebbero). In gran parte sono frutto di una situazione economica che, nella sua gravità e durata, nessuno poteva prevedere e ha previsto. In Italia, poi, le difficoltà in cui si trova attualmente il sistema bancario sono il risultato di una tassazione che ha ridotto i valori immobiliari (e in modo proporzionale, conseguentemente, le garanzie e i parametri patrimoniali degli istituti di credito) di 2mila miliardi, impoverendo gli italiani (secondo i calcoli di uno dei nostri maggiori economisti, Paolo Savona). Individuare le ragioni (ed i protagonisti) di tale perversa tassazione è anche individuare gli ambienti che, a proprio beneficio, hanno promosso e voluto la situazione della quale le banche sono oggi (insieme con gli investitori del settore) le prime vittime. È dunque a tutti noto che a dare il via alla smodata (leggera, non s’è mai avuta, da ultimo) tassazione immobiliare, è stato in primo luogo il Governo Monti. Il pretesto fu che occorreva equiparare il peso della tassazione del settore in Italia a quella degli altri Paesi dell’Eurozona (Presidente del Consiglio) o dell’Ocse (ministero dell’Economia – professo- I Economia L’OPINIONE delle Libertà sabato 23 luglio 2016 Crediti deteriorati e colpe dei Governi ressa Fabrizia Lapecorella), ma entrambe le tesi sono state dimostrate sbagliate o capziose, senza replica degli interessati (Domenico Guardabascio, Loana Jack, “Miti e realtà della tassazione degli immobili in Italia-Il confronto internazionale”). Osservatori indipendenti sostennero che l’obiettivo, piuttosto, era (ed è) quello della finanziarizzazione della proprietà immobiliare e quello che essa così appartenga a società dedicate, piuttosto che a persone fisiche. I Governi succedutisi a quello di Monti hanno peraltro ulteriormente aggravato l’imposizione sugli immobili, fatta eccezione per quello attuale (e di cui diremo). Ma la tesi – sostenuta dall’Ocse e dalla Commissione europea oltre che (nel Rapporto immobiliare 2015) dall’Agenzia delle entrate (nella quale è stata inglobata, com’è noto, quella del Territorio, ed i cui dirigenti di rilievo sono, com’è altrettanto noto, remunerati anche proporzionalmente al gettito procurato) – dicevamo, che la tassazione immobiliare non riguardi beni capitali (per i quali è accertato, ed accettato da tutti, che la loro tassazione è particolarmente dannosa alla crescita del Pil), sibbene beni di consumo durevole, questa tesi è altrettanto fallace – pur sostenuta da James Mirrlees – sulla base della considerazione che gli immobili generano un reddito annuo quasi permanente, da cui “consegue che la (loro) tassazione si ripercuote sul processo di accumulazione del capitale, analogamente a quella della tassazione degli altri risparmi e investimenti” assicuratrice (Francesco Forte, “Gli effetti negativi della tassazione del patrimonio immobiliare per la crescita economica - Una verifica empirica sui Paesi dell’Ocse 1965-2013”). E quanto, in particolare, all’attuale Governo, “sembra di capire che, abolendo la Tasi sull’abitazione principale goduta dal proprietario, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan abbia ammesso (come da dichiarazione dello stesso in un convegno a Salerno) che la tassazione immobiliare patrimoniale non è vantaggiosa in una politica fiscale orientata alla crescita economica” (F. Forte, ivi). Per tirare le somme. Lo Stato continua, dunque, in una politica di tassazione degli immobili che ha creato, e mantiene, la crisi del settore, e ciò fa sulla base di tesi smentite dai fatti e prive di dignità scientifica, oltre che non condivise (per quanto sembra, perlomeno) ad autorevole livello governativo e della Pubblica amministrazione (che, comunque, non hanno smentito, convincentemente argomentando in contrario). Il sistema bancario, d’altra parte, ha sempre – giustamente e notoriamente – ravvisato negli immobili la garanzia patrimoniale più certa, non suscettibile di perdita di valore per inflazione o per cattiva gestione, com’è invece per i titoli mobiliari. E la crisi immobiliare, indotta (e tenuta in essere) – solo in Italia – da un’errata politica dei Governi da Monti in poi (compreso per questo aspetto l’attuale, che non ha – volendo o subendo – minimamente ricreato la fiducia nell’investimento immobiliare) rende difficile – sempre solo in Italia – la realizzazione delle garanzie bancarie, tradizionalmente costituite in gran parte da immobili. La colpa, dunque, è veramente dei banchieri? O è forse, comunque, del mondo dei risparmiatori, come vorrebbe una bizzarra Europa, col suo (incostituzionale) bail-in? Il bail-out – c’è da chiedersi – non sarebbe di certo più coerente (com’è sempre stato) proprio perché le banche non sono monadi indipendenti dal clima in cui sono costrette a vivere, ma – al contrario – realtà condizionate (e guidate, anche, oltre che vigilate) dallo Stato? Né la fase epocale di arretramento dai propri obblighi che caratterizza attualmente (non solo in Italia) la realtà statuale come formatasi in epoca moderna, può giustificare – del resto – un comportamento che incide come nessun altro sulla fiducia dei risparmiatori, con tutto ciò che ne consegue (e ne è già conseguito). (*) Presidente Assopopolari Milanese s.p.a. COmPAGNIA DI ASSICuRAZIONI www.assicuratricemilanese.it Telefono (centralino): r.a. 059 7479111 Fax: 059 7479112 Esteri sabato 23 luglio 2016 L’OPINIONE delle Libertà 5 Perché ho espresso il mio sostegno al fallito golpe in Turchia di DANIEL PIPES (*) utti i grandi governi hanno condannato il tentato colpo di Stato T in Turchia, come hanno fatto tutti e quattro i partiti rappresentati nel parlamento turco, e anche Fethullah Gülen, il leader religioso accusato di essere dietro il fallito golpe. Tutto ciò mi fa sentire un po’ solo, avendo twittato venerdì, subito dopo l’inizio della rivolta: “#Erdogan ha truccato le più recenti elezioni in#Turchia e governa in modo dispotico. Merita di essere deposto da un golpe militare, che spero avrà successo”. Essendo questa una posizione pressoché minoritaria, necessita di una spiegazione più lunga di 140 caratteri. Sono tre i motivi che mi hanno indotto a esprimere il mio sostegno all’estromissione del presidente Recep Tayyip Erdogan, che apparentemente è stato eletto democraticamente e governa in modo democratico: Erdogan ha pilotato le elezioni. Erdogan è un islamista che inizialmente si è fatto notare come sindaco di Istanbul e premier della Turchia, agendo nel rispetto delle regole. Ma col passare del tempo egli è diventato sprezzante di queste regole, specie di quelle elettorali. Ha monopolizzato i media statali, ha tacitamente incoraggiato le aggressioni fisiche ai membri dell’opposizione e pilotato i voti. In particolare, le ultime elezioni parlamentari del primo novembre del 2015 hanno presentato numerosi segni di manipolazione. Erdogan governa in modo dispotico. Erdogan ha preso il controllo di un’istituzione dopo l’altra, anche dopo essere stato eletto presidente di CRISTOFARO SOLA onald Trump quando parla si fa capire benissimo. Non è detto D che le cose che dice piacciano a tutti. Anzi, gli inquilini dei piani alti dei Paesi occidentali non gradiscono per niente. La lobby multiculturalista radicata in Europa ma con accorsate filiali nella buona società radical-chic d’Oltreoceano lo teme più della peste bubbonica. Gli organi d’informazione del Vecchio Continente gli fanno la guerra a suon di sondaggi condotti tra i cittadini europei. Peccato però che non valgano a niente. Sembrerebbe finanche banale ricordarlo ma il prossimo inquilino della Casa Bianca lo sceglieranno gli americani, non i francesi benpensanti o gli inglesi illuminati o gli italiani che hanno casa nel quartiere parigino di Saint Germain. E la cosa ci tranquillizza enormemente. Il ragionamento è semplice: se il prodotto migliore di questo Occidente politicamente corretto è quel po’ po’ di sconquassi che abbiamo sotto gli occhi, che si tratti di Is o di Erdogan, che sia la crisi economica o l’onda anomala dell’immigrazione clandestina dal sud verso il nord del mondo, allora meglio Gengis Khan. Come potrebbe far peggio di questa razza padrona che ci sta mandando in malora? Blaterano i mistificatori di professione: “Dio ci scansi da Trump che è un guerrafondaio”. Invece il Nobel della pace Barack Obama cos’è? Madre Teresa di Calcutta? Nel Mediterraneo e in Medio Oriente ha flirtato con i peggiori regimi dinastici in circolazione, permettendo che giocassero a fare gli strateghi del nuovo ordine mondiale. Chi ha provocato la nascita dello spauracchio dell’Is facendolo diventare, nella mani dei nemici giurati della nostra civiltà, un grimaldello per scardinare gli arrugginiti serra- (2014), pur rivestendo una carica costituzionalmente e storicamente apolitica. Il risultato? Sempre più turchi lavorano sotto il suo controllo diretto o sotto quello dei suoi scagnozzi: il premier, il governo, i magistrati, la polizia, gli insegnanti, i banchieri, i proprietari dei mezzi di comunicazione e altri capitani d’industria. La leadership militare ha accettato Erdogan ma, come confermato dal fallito golpe, il corpo degli ufficiali è l’unica istituzione che ancora sfugge al suo diretto controllo. Erdogan utilizza i suoi poteri dispotici per scopi malevoli, ingaggiando quella che è una guerra civile contro i turchi della Turchia sudorientale, aiutando l’Isis, aggredendo i Paesi vicini e promuovendo l’islamismo sunnita. In passato, gli interventi militari si sono dimostrati efficaci. La Turchia è il Paese dove i colpi di Stato militari hanno sortito l’effetto più positivo. In tutti e quattro i golpe militari che ha conosciuto la Turchia moderna (1960, 1971, 1980, 1997), lo Stato maggiore ha mostrato una comprensione disciplinata del suo ruolo – raddrizzare la situazione dello Stato e poi farsi da parte. I governi ad interim sono durati rispettivamente: cinque anni, due anni e mezzo, tre anni e zero anni. La Turchia avrebbe beneficiato ora di un periodo di riassestamento da parte dell’esercito, per porre fine al potere di Erdogan sempre più pericoloso, anche se questo avrebbe significato sostituirlo con altre figure islamiste più ragionevoli del suo stesso partito, come Abdallah Gül o Ali Babacan. Nelle memorabili parole di Çevik Bir, una figura di spicco nel golpe del 1997: “In Turchia, è stato celebrato un matrimonio tra l’Islam e la democrazia. (…) Il figlio nato da questa unione è il laicismo. Questo bambino ogni tanto si ammala. Le forze armate turche sono il medico che salva il bambino”. Questo bimbo adesso è molto malato e ha bisogno del medico. Purtroppo, stavolta il medico è stato fermato. Si può solo immaginare come ora si diffonderà la malattia. Si ha già una prima idea di quello che accadrà: 6mila turchi sono stati arrestati, quasi 3mila giudici e pubblici ministeri sono stati licenziati e i rapporti con Washington si sono deteriorati fino al punto di sfiorare la crisi a causa delle richiesta di Erdogan di estradare Gülen. Per quanto burrascoso sia stato il passato, il futuro sembra ancora più sconcertante. Confermo la mia previsione che la politica estera sarà la rovina di Erdogan. Applicando alle relazioni internazionali la stessa bellicosità che funziona così bene in politica interna, egli finirà probabilmente per affrontare il suo tragico destino quella volta in cui mostrerà un’aggressività tale che gli si ritorcerà contro. Dopo aver pagato un prezzo molto alto, la Turchia alla fine si libererà di questo megalomane. (*) Traduzione a cura di Angelita La Spada Con Donald Trump un mondo più sicuro menti delle società europee? Coloro che ci sono stati, Hillary Clinton compresa, o quelli che ancora devono venire? È stupefacente quanto sia incontenibile l’ipocrisia di questa mala genia di benpensanti: scaricano la colpa su chi non ha gestito nulla guardandosi bene dal pronunciarsi su chi guai ne ha combinato tanti. Oggi si scandalizzano perché Donald Trump ha detto chiaro e tondo che se sarà presidente non si farà portare a spasso dagli alleati della Nato. David Sanger e Maggie Haberman del “New York Times” gli hanno chiesto come si comporterebbe nel caso in cui un alleato fosse aggredito dalla Russia: interverrebbe in sua di- fesa? Risposta: “Se adempiono agli obblighi verso di noi, la risposta è sì”. Evviva! Aggiungiamo noi. Altro che guerrafondaio, la vecchia Europa se avesse tutte le rotelle a posto dovrebbe portare una montagna di ceri davanti all’immaginetta di Trump. Gli anni dell’ottusità obamiana ci hanno sprofondato nel clima di una nuova Guerra Fredda. Siamo stati trascinati per la collottola a stare dietro alle ambizioni revansciste delle piccole repubbliche baltiche, alle quali si sono aggiunte un’insidiosissima Ucraina destabilizzata e una Polonia in cerca di vendette postume. Il confronto con la Federazione Russa è stato spinto fino al punto di non ritorno. Tanto per essere onesti, non è stata Mosca a piazzare i missili fuori casa nostra. È stato l’Occidente attraverso il braccio armato della Nato a imbottire l’intero confine est dell’Alleanza di basi missilistiche. Dalla Lituania alla Romania, passando per l’Ucraina. E questa sarebbe la via della pace di Obama? Conforta sapere che gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump non si faranno trascinare in un scontro aperto con la Russia solo per tenere bordone alle smanie bellicose di lettoni, estoni e lituani. O degli ucraini di Kiev e dintorni. Ancor di più aiuterà sapere che le nostre democrazie, per quanto scalcinate, non saranno per sempre ostaggio di Paesi nei quali, con il pretesto di combattere l’orso russo, sono stati risuscitati gli spiriti animali del nazismo. Basterebbe già solo questa promessa per fare scapicollare anche noi che non abbiamo casa a Saint Germain a votare Trump. Se solo si potesse. Cultura sabato 23 luglio 2016 L’OPINIONE delle Libertà 7 A Monticchiello cinquant’anni di Teatro Povero di FEDERICO RAPONI e per l’Unesco la Val d’Orcia è patrimonio mondiale dell’umanità, SMonticchiello - un suo borgo medioevale di duecento anime - rappresenta un’eccezionale ricchezza antropologico-culturale. Qui infatti dal 1967 si rappresenta il Teatro Povero, con uno spettacolo annuale “Autodramma” - che coinvolge l’intero paese. Per il cinquantenario (in piazza dal 23 luglio al 14 agosto), il titolo sarà “Notte di attesa”. Ce lo presenta il direttore artistico e regista, Andrea Cresti. Quest’anno – ci spiega – la scelta è caduta su un tema d’attualtà sentita, cioè le grandi difficoltà che ci assillano giorno dopo giorno: abbiamo un piccolo popolo che ha deciso di chiudersi dentro le mura per difendersi dall’angoscia. Questo pone, ovviamente, la possibilità e la necessità di un dialogo tra i cittadini, che è un confronto dialettico forte. Per verificare se il mondo esterno è veramente inquieto come sembra, decidono di guardarlo dalle mura, perché forse è un po’ diverso da quello che viene descritto. Però c’è nebbia, e allora l’ansia aumenta. Poi la foschia se ne va, e quello che si vede allude alla realtà, ma deformata dalla preoccupazione. Quindi la decisione finale è: buttiamo giù tutti i muri, andiamo nel mondo e vediamo che possiamo fare. Chiuderci non serve. A partire dalle assemblee di gennaio come funziona, durante l’anno, la preparazione della messinscena? A fine marzo c’è la presentazione di una scaletta, sintesi di quello che potrebbe essere lo spettacolo, con alcune indicazioni più precise per eventuali aperture o correzioni. Da lì in poi c’è la scrittura vera e propria, a fine maggio viene presentato ufficialmente il testo e si comincia a provare tutte le sere, qualche volta anche di pomeriggio. Dopo averne discusso con gli attori sul palcoscenico, faccio le modifiche che ritengo opportune; tale prassi va avanti anche durante le rappresentazioni, pure per modifiche all’apparato illuminotecnico o alla fonica, quando ci rendiamo conto che qualcosa può essere cambiato, migliorato o tagliato. Questa è una nostra condanna, che però fa anche parte del fascino dell’operazione: non c’è un’anteprima, quando la creatura è pronta va sul palcoscenico, e lì si verifica. Quindi, una fusione tra teatro di ricerca e il rituale di una comunità, con attori fissi che nel trascorrere degli anni diventano quasi delle maschere e raccontano se stessi? Quantomeno portano in scena i propri sentimenti, che si modificano nel corso del tempo. Questo è legato alle tematiche scelte; ovviamente ognuno di noi ha un suo punto di vista, però durante le assemblee pubbliche aperte anche a chi viene da fuori - cerco sempre l’elemento co- mune a tutte le chiacchiere, perché poi spetta a me la sintesi. È una mediazione, per capire se tutti coloro che hanno espresso un parere si riconoscono perlomeno nel percorso, per cui poi possono, e debbono, introiettare i concetti, condividerli e farne parte direttamente, e anche razionalmente. Ci sono pure delle criticità: il timore di diventare un museo all’aperto, la crisi più generale (non solo economica), la difficoltà di coinvolgere i giovani. Il pericolo c’è sempre, però l’abbiamo sempre allontanato, esorcizzato discutendone sul palcoscenico perché fa parte del Dna di quest’esperienza - senza un eccesso di critica e autocritica, ma anche senza autocensura. Quello dei giovani è un problema, ma cerchiamo di reagire, ad esempio con laboratori dai 6-7 anni e anche per i più anziani, per incontrarsi prima ancora di andare sul palcoscenico e discutere il testo. Forse la criticità più evidente è che dopo 50 anni le fatiche si fanno sentire, e bisogna stare molto attenti ad evitare il ripetersi, perché sennò si diventa uno stereotipo fastidioso. In assemblea dico sempre: “Quando non avremo più niente da dire, smettiamo un passo prima”. Il granaio, sede della cooperativa nata nel 1980 grazie al teatro, è l’epicentro della vita pubblica del paese? C’è anche il museo del teatro popolare tradizionale toscano, con un piccolo accenno alla nostra vicenda, che direttamente non ha nulla a che vedere con quello, però comunque le radici sono comuni. Il granaio, del 1700, è un punto d’incontro con sotto una sala convegni, poi c’è un teatrino in piazza e la taverna di Bronzone, locale che gestiamo e ci permette un aiuto finanziario. A questo proposito: una partecipazione allargata, con una presenza media di 4mila persone, ma allo stesso tempo fondi pubblici sempre più esigui… Praticamente si stanno estinguendo, anche se le istituzioni ci hanno sempre tenuto in alta considerazione, e questo per noi è molto importante, anche dal punto di vista morale. La celebrazione dell’importante anniversario cosa comprenderà? Una mostra dell’archivio fotografico, dei costumi, documentario, e un convegno ad ottobre per fare il punto, perché dalle nostre parti l’ultimo, sul teatro di ricerca, è stato a Montepulciano nel 1974. Vogliamo realizzare – conclude Cresti – una piccola sintesi di quello che è stato il nostro percorso, cercare di capire cos’è Monticchiello oggi e anche il futuro.