Supercapitalismo

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Supercapitalismo
Leterre
174
Iedizionedigitale:ottobre
2013
Iedizione:maggio2008
©2007byRobertB.Reich
©2008FaziEditoresrl
ViaIsonzo42,Roma
Tuttiidirittiriservati
Titolooriginale:
Supercapitalism.The
Transformation
ofBusiness,Democracy,and
EverydayLife
Traduzionedall’inglesedi
ThomasFazi
ISBN:978-88-7625-371-3
www.fazieditore.it
www.facebook.com/fazieditore
@FaziEditore
www.youtube.com/EditoreFazi
GoogleplusFaziEditore
Prefazione
diGuidoRossi
Robert
B.
Reich,
professore a Berkeley e già
ministro del lavoro sotto la
presidenza Clinton, non ha
certo
bisogno
di
presentazioni, anche se
quest’ultimo suo libro, dal
titoloSupercapitalismo,ancor
più intrigante nel sottotitolo
“Come cambia l’economia
mondiale e i rischi per la
democrazia”,merita,oltreche
precisazioni,alcunerispostea
tesi
ora
sicuramente
accettabili,
altre
volte
discutibili.Sitrattadiunlibro
molto
meditato,
dagli
innumerevoli spunti e dalle
conclusionisullequalisipuò
concordare o dissentire, ma
comunquenonmeritacertola
breve segnalazione, come
invece sostiene nella sua
replica stizzita Tony Judt,
sulla «New York Review of
Books» (17 gennaio 2008, p.
61), che pur gli aveva
dedicatosullasuarivistadel6
dicembre
2007
una
lunghissima recensione. È
difficiledissentiredallaverità
dei
fatti
registrati
accuratamente nel volume, e
questo è un grande merito
dell’autore. Il dissenso
eventualepuòsoloderivare–
comedelrestoèovvio–sulla
lorointerpretazione.
Iltemacentraleriguarda
il rapporto tra l’attuale
capitalismo, il cosiddetto
supercapitalismo,
e
la
democrazia.
Il
supercapitalismo inizierebbe
verso la fine degli anni
Settanta del secolo scorso,
quando l’America aveva
creato
un
capitalismo
democratico, inteso come
un’economia pianificata, sia
pur diretta dalle grandi
corporation. Le famiglie
americane,cheinqueglianni
erano
prevalentemente
composte da operai e
impiegati, godevano di salari
decenti, di garanzie sindacali
del posto di lavoro, di
stabilità
economica,
di
assicurazione sulla malattia e
sui diritti alla pensione. In
queste ultime situazioni,
favorite da uno stabile
sviluppo
economico,
garantito da poche grandi
imprese, come la General
Motors, in un’America
abbastanza
chiusa
e
protezionista, si potevano
riconoscere
i
principi
fondamentali
di
una
democrazia sostanziale che,
d’altra parte, non aveva
politicamente mai avvertito
incertezze
o
vocazioni
antidemocratiche.
Non era proprio l’età
dell’oro. Ma si trattava
comunque del capitalismo
democratico. La rivoluzione,
parola che l’autore non usa
mai, o comunque il grande
cambiamento, si verifica sul
finire appunto degli anni
Settanta, quando l’economia
americana si apre a mercati
più concorrenziali e il potere
si sposta dai cittadini verso i
consumatoriegliinvestitorie
così gli aspetti democratici
del capitalismo declinano.
L’affermazione è tassativa,
sicché gli spocchiosi nostrani
adepti del libero mercato e
dellaconcorrenzadovrebbero
forse avere oltre che un
sussulto alla lettura delle
pagine di Reich, anche
qualche spunto di umile
autocritica.Insomma,illibero
mercato e la concorrenza
spietatafraleimprese,cioèil
supercapitalismo,
hanno
minato, se non distrutto, una
parte assai importante della
democrazia e dei diritti dei
cittadini. La tecnologia, la
globalizzazione,
la
deregolamentazione hanno
dato potere ai consumatori e
agli investitori e i cittadini
l’hannoperduto.
Naturalmente il grande
sviluppo tecnologico degli
anni Settanta è dovuto a
quello che io tenderei a
definire una distorta vera
spinta politica keynesiana,
nella quale la spesa pubblica
si dirige verso gli armamenti
(era il periodo della guerra
fredda) e a cascata spinge la
tecnologia che viene sfruttata
poi dalle grandi corporation.
GliesempichefaReichsono
molti, da Internet alla fibra
ottica e ai satelliti, dai
container inventati per la
necessità di rifornimenti di
ogni tipo, alle truppe
americaneinVietnam.
La deregolamentazione
ha distrutto gran parte dei
diritti dei lavoratori e, in
definitiva, la base di tutto è
sempre la stessa. Wal-Mart e
Wall
Street,
insieme
ovviamente
ad
altre
multinazionali, invadevano
con
i
loro
lobbisti
Washington,
suggerendo
leggi a favore delle
corporation e tenendo in
nessuncontoilbenecomune.
Tutto questo ha creato
una concorrenza spietata fra
le industrie americane e
stranierepercui,perattrarrei
consumatori, si abbassano i
prezzi e il metodo più
semplice è quello di tagliare
salariedirittideilavoratori.Il
cittadino ha perso, non il
consumatore, che con la
deregolamentazione
dei
mercatifinanziaridiventaalla
fine investitore nelle nuove
potenti istituzioni, i fondi
pensione e quelli di vario
genere, oltre alle continue
invenzioni di nuove strutture
per attivare il risparmio da
parte del sistema bancario. E
anche qui, con i rischi che
abbiamo appena vissuto, è la
concorrenza
l’unica
responsabile.
Il terzo capitolo, “La
mente divisa”, è l’inno alla
schizofrenia. In ciascuno di
noi ci sono due personalità:
quella del consumatore (del
supercapitalismo)equelladel
cittadino (del capitalismo
democratico). Ebbene il
primo trionfa e il secondo ha
perso.
Ma ciò che sorprende
nellatrattazionediReichèla
conferma della schizofrenia
americana da lui proposta,
contenuta in uno studio
pubblicatosul«Journalofthe
American
Medical
Association». Ma neppure lo
colpisce il fatto che il CEO
della General Motors nel
1968 riceveva un compenso
di4milionididollari(tradotti
in valuta attuale) pari a circa
66 volte il salario del
lavoratore medio, mentre nel
2005ilcompensodelCEOdi
Wal-Mart di 17,5 milioni di
dollari è pari a novecento
volte la paga del tipico
lavoratore medio dello stesso
Wal-Mart. E allora? I CEO
vengono sempre più pagati
perchéiconcorrentilipagano
sempredipiùenonèdunque
la loro avidità che crea
[stock-option, frodi e tutto
quello che ho scritto nel mio
ultimo libro, Il mercato
d’azzardo, Milano, Adelphi,
2008] quelle disparità di
ricchezze, che si finge
costituiscano un effetto della
democrazia, perché frutto
della libertà (ma quale
libertà?).Èlavecchiatesiche
l’autore aveva sostenuto
anche nel suo precedente
libro,L’infelicitàdelsuccesso
(Roma, Fazi Editore, 2001),
soprattutto
nel
quarto
capitolo.
E la conclusione qual è:
sta nella nostra dissociazione
mentale. Il problema siamo
noi: io e voi che secondo
Reich vogliamo che siano
strapagati i manager, perché
vuoldirechesonobravienoi
possiamo acquistare a basso
prezzo i beni che le loro
società producono e siamo
noi che come investitori
vogliamo i migliori risultati
sul nostro investimento.
Facilequindiprenderselacon
questi o con quelli, perché
invece siamo noi che
spingiamo la concorrenza ad
abbassare i prezzi e quindi
siamo
noi
gli
unici
responsabili.
E così è per la
televisione oscena contro la
qualesièscagliatopersinoil
noto giurista conservatore
Robert Bork, perché siamo
noi a volere il sesso e le
deviazioni televisive, se no
noncisarebbemercato.
Naturalmente il tutto
condito con una “corruzione
della
conoscenza”
che
pervade spesso l’operato dei
legislatori e dei giudici, con
l’aiutodilobbisti,economisti,
avvocatietuttaquellaseriedi
nuovi professionisti che
distorcono la conoscenza
dandocomeunicoriferimento
ilvaloreeconomico.
Finalmente una frustata
Reich la dà alla corporate
social responsibility, altro
falso
mito
del
supercapitalismo,eallateoria
fasulla
della
corporate
governance e dei “codici di
condotta”. Insomma la
corporate
social
responsability ha lo stesso
significato del cotton candy,
cioèlozuccherofilato.
E ancora la corporate
governance non può avere
nessuna responsabilità, né
alcunvalore,peridipendenti,
la comunità e la società
intera.
Insomma
una
grossolana presa in giro, ben
lungi dalle sue pretese di
reintrodurre la democrazia
azionaria.Maancordipiù:la
social
corporate
responsibility
dà
alle
corporation un compito che
non è loro e che invece è
dello Stato. Le rispettive
funzioni
appagano
i
consumatori (e arricchiscono
i manager), vanno tenute
distintedaogniresponsabilità
sociale, che incombe sullo
Stato.Laconfusionedeiruoli
potrebbe, secondo Reich,
creare effetti devastanti sia
sul supercapitalismo sia su
quel brandello di democrazia
checihalasciato.
E qui, pur partendo da
altrepremessenonpossoche
essere pienamente d’accordo
conReich,comedelrestoho
ripetutamentescritto.Nonmi
pare dubbio che neppure
Reich è, a questo punto, un
adepto della Law and
Economics, la nota analisi
economica del diritto, la
qualegiudicalenormesoloin
baseallaloroefficienzaeche
continua a trovare da noi
accaniti sostenitori, mentre
negli Stati Uniti è ormai in
declino. Ed è meglio così,
poiché gli ultimi contributi
dei massimi esponenti della
LawandEconomics,Richard
Posner e Gary Becker (in
«TheEconomicLawVoice»,
vol. III, marzo 2006), sono
davvero
infelici.
Considerando il rapporto
costi-benefici come unico
criterio per giudicare la
validità delle norme, essi
hanno giustificato (anzi
sostenuto che esiste un
obbligo “morale” dello Stato
a emanare) la norma sulla
pena di morte, poiché allo
Stato costa certamente meno
che il sostentamento del
condannatoall’ergastolo.
Ma al di fuori di questa
assai facile scelta se
considerare che l’efficienza
dello Stato o dell’impresa
valga più dei diritti dei
cittadini, il determinismo che
non abbandona mai, né mai
puòabbandonare,lareichiana
visione del supercapitalismo
rivela tutta la sua pregnante
contraddizione nei confronti
delproblemacinese.LaCina
serve solo a dimostrare che i
managernonsonoautorizzati
da nessuno e meno che mai
dai loro consumatori o
investitori a diminuire il
profittoafavoredell’interesse
pubblico. Si apre così la
descrizione delle incredibili
vicende cinesi per chi
continua a teorizzare sulla
corporate
social
responsability, di Yahoo, che
con la sua attività ha aiutato
le
autorità
cinesi
a
imprigionare una ignota
quantità di dissidenti, e di
Google, che ha creato per la
Cinaunamacchinadiricerca
che ha cancellato alcune
parole incendiarie come
“democrazia” e “diritti
umani”.
La democrazia e il
capitalismo hanno rovesciato
illororapporto:ilcapitalismo
ha invaso la democrazia e le
leggi ovunque non toccano il
potere delle corporation e
ormai solo di striscio e
raramente si occupano dei
dirittideicittadini.Ildiscorso
dell’autore
è
limitato
soprattutto agli Stati Uniti,
anche se riferimenti puntuali
sia all’Europa sia all’Asia
nonmancano.
Qualche parola deve
invece essere ancora spesa
sulla Cina e sul rapporto
capitalismo-democrazia,
poiché la Cina ha dimostrato
negli ultimi anni, sotto ogni
profilo, di essere il sistema
capitalista più avanzato. Nel
numero di gennaio-febbraio
2008, l’autorevole rivista
«Foreign Affairs» tratta
ampiamentequestoproblema.
Elezioni per la nomina dei
capi dei villaggi rurali,
qualche libera professione
forenseincortiriformate,ma
sempresottoil“controllodel
partito”, la possibilità di
inviare studenti all’estero,
sono gli esempi più evidenti
di piccoli passi verso un
sistema “democratico”, se
così può essere chiamato,
dall’ampio significato che,
forse il più longevo della
storia, è durato sempre con
accezioni positive, ma con i
contenuti più contraddittori,
da Pericle a Bush e Putin. E
le riforme recenti del 2006
del diritto societario cinese
(quale un assai grossolano
principio del piercing the
corporate veil) sono tutte
dirette ad assecondare la tesi
di base del supercapitalismo
reichiano, che in fondo esige
libero mercato, concorrenza,
società per azioni sfrenate
pronte
a
infrangere
qualsivoglia
diritto
dei
lavoratori pur di abbassare i
prezzi per vincere i
concorrenti. Sulle ultime
riforme del diritto societario
cinese è particolarmente
interessantel’articolodiMark
Wu,
Piercing
China’s
Corporate
Veil:
Open
Questions from the New
Company Law («The Yale
Law Journal», n. 117,
novembre2007,p.329).
Chi avesse la minima
illusionecheilcapitalismoin
Cina possa portare a una
democrazia, intesa nei suoi
minimi requisiti di rispetto
dei diritti umani e delle
libertà civili dei cittadini, sia
purdiquellifondamentaliche
NorbertoBobbiohachiamato
idirittidiprimagenerazione,
deve scordarselo. Senza
parlare poi dei diritti di
seconda generazione, cioè i
diritti sociali che come
abbiamo visto in parte sono
già calpestati anche dal
supercapitalismo negli Stati
Uniti.
Infatti,secondoReich,il
supercapitalismo
ha
consciamente vilipeso e
strapazzato anche i diritti
sociali,cioèappuntoquellidi
seconda generazione, nati
dall’Europa all’inizio dello
scorso secolo a difesa dei
lavoratori;traquesti,ildiritto
all’istruzione e all’assistenza,
la cui soppressione Reich,
conunapuntualitàesemplare,
esaminaericordaindettaglio.
Tant’ècheunadelleproposte
per migliorare la situazione
potrebbe essere quella che il
legislatore obbligasse WalMartadaccettarelapresenza
dei sindacati e che si
emanassero nuove leggi sul
lavoro e si ritoccassero le
leggi fiscali. Si tratta
ovviamente
di
cure
omeopatiche
poiché
il
determinismo
tipicamente
americano dell’autore non
mette mai in discussione il
sistema. Cadono anche i
diritti che Norberto Bobbio
chiama di terza generazione,
come quello a vivere in un
ambiente non inquinato, alla
comunicazione,
alla
solidarietà, alla qualità della
vitaecosìvia.
Quel che è ancora più
strano è che, in un libro
pubblicato nel 2007, non vi
sia neppure un accenno alle
crisi e alle storture del
capitalismo finanziario, che
sembra non esistere. Le
grandi banche d’affari,
coinvoltenellecrisiattualidi
un
supercapitalismo
in
declino, non sono che citate
poche
volte,
ma
paradossalmente per lodarne
il comportamento. Così, ad
esempio, Merrill Lynch per
aver aperto la strada ai fondi
di investimento con lauti
guadagni, dove «i fattori
motivanti
erano
le
opportunità» e non l’avidità.
«Confondere avidità con
opportunità è confondere il
desiderio
con
la
disponibilità». E che dire di
Citygroup per i 3 milioni di
dollari in aiuto al Pakistan
colpito da un devastante
terremotonel2005eperaltri
5 milioni e 500 mila dollari
come aiuto finanziario ai
poveri, con un pubblico
ringraziamentodelpresidente
Clinton in un evento
mondano dell’aprile 2006.
Aggiunge Reich, non erano
certo gli amministratori
esecutivi di Citygroup che
dovevano essere ringraziati
dalpresidente,masemmaigli
azionisti, ai quali i manager
avevano portato via quelle
somme. Nessun altra banca
americana è menzionata, né
vi è un accenno ai sub-prime
mortgages, ai futures, ai
derivati e a tutti gli altri
strumenti finanziari che
hanno invaso il mercato e
causatolerecenticrisi.
È allora il momento di
trarre qualche conclusione,
seguendo le orme di Reich.
La prima e più inquietante è
che è pur vero che la
globalizzazione
e
il
supercapitalismo riducono la
differenza fra i vari paesi –
prendiamoadesempioCinae
StatiUniti–,maall’internodi
ciascun paese aumentano
vertiginosamente
le
disuguaglianze,
con
conseguenze politiche ancora
imprevedibili. E con esse
aumentano l’insicurezza (non
solo del posto di lavoro) e la
paura del futuro, alle quali si
accompagna l’unico potere
dello Stato, quando non gli è
tolto o col quale collude
qualche grande corporation
nel
controllo
sulle
comunicazioni,
sui
movimenti,sulleopinioni.
Gli Stati supercapitalisti
arretrano continuamente fino
a mettersi a disposizione di
un nuovo padrone: la
concorrenza
nel
libero
mercato
che
soddisfa,
facendo scendere i prezzi, il
consumatore (e l’investitore,
ma qui Reich sbaglia) che
ormai si è dimenticato di
essere un cittadino con dei
diritti.
Il libro è rivoluzionario:
alcentrodelsupercapitalismo
c’èlaconcorrenzacheuccide
lademocrazia.Cosìscompare
la tanto amata tesi – il luogo
comune degli economisti –
che il libero mercato è
prodromico alla democrazia.
E puntualmente alla prima
pagina del libro l’autore
ricordaquestatesisbandierata
dall’economista
Milton
Friedmannelmarzodel1975
asostegnodiPinochet,lacui
dittaturabrutaleduròbenaltri
quindicianni.Stranodestino:
i due morirono a poche
settimanedidistanzaversola
finedel2006.
Infine, la concorrenza
necessaria a soddisfare il
consumatore e l’investitore
diventaunmaleinesorabilee
incurabile. Quanto siamo
lontani
dalle
stesse
meditazioni di Friedrich A.
von Hayek, raccolte nel
volune Legge, legislazione e
libertà(Milano,ilSaggiatore,
1994), e quindi dal
liberalismo
classico
lo
dimostrafral’altroilfattoche
nel poderoso libro di Robert
Reich non vi è neppure una
citazione di striscio di Von
Hayek. Ma questa è
l’Americaliberale!
E
come
libro
rivoluzionario l’autore invita
indirettamenteaunarivolta:il
cittadino schizofrenico è
inconsciamente esortato a far
rientrareloStatoagarantirgli
i diritti di varie generazioni,
secondo la terminologia di
Bobbio, e a limitare il ruolo
delle corporation, soprattutto
nella loro operatività e
struttura. Ma le ricette
predispostesonopochesicché
personalmente
non
so
neppurequantol’autoresisia
reso conto che aver
sottolineato la dissociazione
consumatore-cittadino, l’aver
indicato nella concorrenza e
nel libero mercato la caduta
senza
ritorno
della
democrazia, sia un manifesto
rivoluzionario.
Se identifichiamo la
classe medio-alta con la
nuova borghesia, a partire
dalla fine degli anni Settanta
la trasformazione è evidente:
da lavoratori e impiegati a
professionisti e dirigenti, con
un’indagine spietata sui
lobbisti e sugli avvocati che
condizionano a Washington
sia l’operato del governo, sia
del potere legislativo, c’è
ovviamente l’assimilazione
borghesia-corporation.
In conclusione: «La
grande industria ha creato
quel mercato mondiale [...]
che ha dato sviluppo
immenso al commercio [...]
alle comunicazioni». E
ancora: «Il potere statale
moderno non è che un
comitato che amministra gli
affaricomunidituttalaclasse
borghese» e con «i bassi
prezzi delle merci [...]
costringe tutte le nazioni ad
adottare il (suo) sistema di
produzione».
Queste citazioni non
sono di Robert Reich, bensì
sono tratte dal Manifesto del
Partito Comunista di Karl
Marx e Friedrich Engels, del
1848 (Torino,Einaudi, 1998,
pp.8-11).
E allora, pur arrivando
allestesseconclusioni,nonsi
puònonessered’accordocon
RobertReichchelasoluzione
al problema non è la
rivoluzioneproletaria,etuttii
disastrichehaportatoconsé
neivaripaesi.
Un’osservazione finale
mi appare necessaria per
inquadrare e valutare, entro i
suoigiustilimiti,unlibroche
deveesserelettodachiunque
voglia capire il mondo in cui
viviamo e non si lasci
affascinare dai falsi sacerdoti
che vanno noiosamente, ma
insistentemente predicando
chetuttosipuòrisolverecon
la concorrenza e il libero
mercato. Un libro, tuttavia,
chetradisceundifettodicerta
cultura americana, in base
alla quale le crisi finanziarie
sono
delle
malattie
temporanee che in qualche
modo si risolvono. Di
conseguenza il sistema
americano non è e non può
essereoggettodidiscussione,
perché è il solo che può
garantiresviluppoeconomico
eglobalizzazione.Questaèla
tesisottostante.
L’impostazione
non
regge,primadituttoperchéil
supercapitalismoèsoprattutto
un capitalismo finanziario, e
qui invece la finanza non
appare quasi neanche come
comprimaria. Basti ricordare
cheilpiùapprofonditostudio
sulle crisi finanziarie, cioè il
volume di Robert J. Shiller,
Irrational
Exuberance
(Princeton,
Princeton
University Press, 2000, p.
233),concludeche«imercati
speculativi
realizzano
funzioni
critiche
di
allocazione delle risorse,
sicché
qualsivoglia
interferenza col mercato per
addomesticare
le
bolle
speculative interferisce di
conseguenza
su
tali
funzioni». Quindi meglio
lasciar perdere. E non regge
neppure perché le dramatis
personae del capitalismo
democratico sino alla fine
degli anni Settanta, cioè le
corporation e i mercati
finanziari, hanno subito una
trasformazione
radicale:
insomma, non sono più le
stesse. È mai possibile, mi
chiedo, che un attento
studioso come Robert Reich
nonsisiaresocontochesolo
la concorrenza sfrenata che
ciascuno di noi vuole come
consumatore non sia l’unica
origine del deficit di
democrazia,machedallafine
degli anni Settanta nella
struttura
stessa
delle
corporation e dei mercati è
apparso un vero e proprio
malanno che ha minato
l’intero sistema e ha
oltraggiato spesso la stessa
concorrenza: cioè il conflitto
di
interessi,
neppure
nominato nel libro. Così,
come ho già detto, è assente
qualunque critica al sistema
bancarioefinanziario.Quindi
non si è neppure accorto che
il vero deficit di democrazia
sta
nella
nuova
lex
mercatoria, di medievale
memoria, la quale è imposta
dalle multinazionali, dai suoi
studi legali, dalle sue private
corti arbitrali, e che esclude
spesso le norme fissate dai
legislatori e certamente non
tieneinminimocontoidiritti
del cittadino o i più
elementari
principi
di
democrazia.
Quel che a me pare, in
definitiva, è che il deficit
grave di democrazia che con
grande lucidità Reich ha
descritto debba essere invece
affrontato mettendo sotto
accusa l’intero sistema,
perché la colpa sempre più
grave di quel deficit non
siamo noi, anzi ciascuno di
noi nel suo schizofrenico
sdoppiamento
fra
consumatore vincente e
cittadinoperdente.Noncredo
che siamo noi che abbiamo
bisogno di uno psicanalista
per
diventare
meno
consumistiepiùcittadini,ma
sono le società per azioni, le
banche e i mercati finanziari
che,comedelrestohoscritto
nel mio ultimo libro,
abbisognanodiunlegislatore,
magari
sovranazionale,
severo ma né improvvisato,
né prodigo di troppe inutili
norme.
Maciòvaleancheperil
clima,l’ambiente,perlalotta
alla povertà, per il diritto
cosmopolitico dei popoli ad
avereasiloeunavitadecente.
È purtroppo una scelta
alternativa,condizionanteper
il resto del mondo, sapere se
gli Stati Uniti vorranno
continuare a pensare che il
supercapitalismo
è
ineluttabile o che la
democraziadeidirittidivarie
generazioni, secondo le
classificazioni di Norberto
Bobbio, sia il valore
prioritario da perseguire per
tutti.
SUPERCAPITALISMO
AllamemoriadiMildredReich
Gliimperativitecnologicie
organizzativi,enonle
ideologie,sonociòchedeterminala
forma
dellasocietàeconomica.
JOHNKENNETH
GALBRAITH,
Ilnuovostatoindustriale
(1968)
Iltipodiorganizzazione
economicacheoffre
direttamentelalibertàeconomica,
sarebbeadireil
capitalismocompetitivo,promuove
anchelalibertà
politicaperchéseparaipoteri
economicidaipoteri
politiciepermettecosìall’unodi
controbilanciarel’altro.
MILTONFRIEDMAN,
Capitalismoelibertà(1987
Introduzione.Il
paradosso
Nel marzo del 1975,
l’economista
Milton
Friedman accettò un invito a
incontrarsi in Cile con
Augusto Pinochet, che circa
diciotto mesi prima aveva
rovesciato
il
governo
democraticamente eletto di
Salvador Allende. Friedman
fu criticato dalla stampa
americanaperaverintrapreso
quel viaggio, ma non c’è
motivo di supporre che
approvasse l’operato di
Pinochet. Friedman andò in
Cile per esortare la giunta di
Pinochet ad adottare il libero
mercato–aliberarsidimolte
dellerestrizionieconomichee
dello stato sociale che
avevanoprosperatoneilunghi
anni di democrazia – e ad
aprirsi al commercio e agli
investimenti esteri. In una
serie di conferenze che tenne
in Cile, Friedman ripeté la
sua vecchia idea secondo cui
il libero mercato è un
presupposto indispensabile
per garantire libertà politiche
eunademocraziasostenibile.
Pinochet accettò l’invito di
Friedman ad abbracciare il
libero mercato, ma la sua
brutale dittatura durò altri
quindici anni. Entrambi sono
morti a distanza di qualche
settimana l’uno dall’altro
nell’invernodel2006.
Di tutti i paesi del
mondo,
l’America
è
considerataquellochemeglio
incarna il legame tra
capitalismo e democrazia1.
Ma negli anni che sono
passati dalla visita di
Friedman in Cile, il rapporto
si è fatto sempre più teso. Il
libero mercato ha trionfato.
La democrazia però si è
indebolita.
Dagli anni Settanta,
nonostante tre recessioni,
l’economia statunitense ha
spiccato il volo. Ai
consumatori è stata offerta
una vasta gamma di nuovi
prodotti – i personal
computer, gli iPod, gli
antidepressivi e le macchine
ibride,percitarnesoloalcuni
– mentre i prezzi dei beni e
dei servizi standard sono
calati, adattati all’inflazione.
La sanità oggi costa di più,
mamediamentegliamericani
vivono quindici anni più a
lungo che negli anni
Cinquanta, soprattutto per
merito di nuovi farmaci e
attrezzaturemediche.
Le
società
sono
diventate molto più efficienti
elaborsasièimpennata.Nel
1975, il Dow Jones si
aggirava intorno a 600. Era
relativamente stagnante da
anni. Verso la fine del 2006
aveva
raggiunto
quota
12.000.Inoltre,daiprimianni
Ottanta in poi, l’inflazione è
rimasta pressoché sotto
controllo.
Questo modello è stato
replicato con successo anche
altrove.
Il
capitalismo
americano ha vinto la
battagliacontroilcomunismo
e si è diffuso quasi ovunque
nel mondo. Gran parte delle
nazioni oggi sono integrate
nel sistema capitalistico
globale. L’Europa dell’Est è
stata assorbita all’interno
dell’Europa capitalistica e la
Russia si avvia a diventare
una potenza capitalistica. La
Cina, benché ufficialmente
ancoracomunista,èdiventata
uno
dei
focolai
del
capitalismoglobale.
Da quasi tutti i punti di
vista,untrionfo.
Alcuni
commentatori
giustamente fanno notare che
questi risultati sono stati
accompagnati
da
una
crescente
disuguaglianza
nelle entrate e nei redditi. A
ciò si aggiungono una
crescente insicurezza sul
lavoro e una serie di rischi
ambientali
come
il
riscaldamento globale. A
rigor di termini, però, questi
non sono difetti del
capitalismo. Il ruolo del
capitalismo è di ampliare la
torta dell’economia. Sta poi
alla società decidere come
suddividere le fette e se
impiegarle per i beni privati
come i personal computer o
peribenipubblicicomel’aria
pulita. Questo è il compito
che
affidiamo
alla
democrazia.
La
democrazia
è
qualcosadipiùdiunsistema
dielezionilibereeregolari.
La democrazia, a mio
modo di vedere, è quel
sistema che rende possibile
ciò che può essere ottenuto
solo quando i cittadini si
uniscono ad altri cittadini:
stabilireleregoledelgiocoin
modo che i suoi esiti
esprimanoilbenecomune.Le
regole, ovviamente, possono
influenzarelarapiditàconcui
cresce l’economia: portata
all’estremo, una regola che
divide la torta in parti uguali
smorzerebbe
la
spinta
individuale a risparmiare,
investire e innovare. Una
regola diversa potrebbe
stimolare di più la crescita
economica. La democrazia
dovrebbe permetterci di
trovare un equilibrio, o
aiutarci a realizzare una
crescita giusta o qualsiasi
altro
obiettivo
che
condividiamocomesocietà.
Ma la democrazia oggi
faticaasvolgereanchequeste
funzioni elementari. Mentre
le disuguaglianze sono
cresciute,glistrumenticheun
tempo l’America aveva per
mitigarle – una tassazione
progressiva, buone scuole
pubbliche, sindacati che
contrattavanostipendipiùalti
–
si
sono
erosi.
Contemporaneamente
all’aumentodelrischiodiuna
perdita improvvisa di lavoro
o di reddito il paracadute
sociale è divenuto meno
affidabile.
Sempre
più
americani sono privi di
assicurazione medica. Come
nazione, non sembriamo in
grado di fare ciò che ci è
richiesto per ridurre i
cambiamenti climatici. Molti
americani,
poi,
sono
preoccupati per la stupidità e
la volgarità di molta della
nostra cultura contemporanea
e per la disgregazione delle
comunità tradizionali. La
democrazia non è stata in
gradodiaffrontarenessunadi
queste problematiche, o
anche solo di articolare le
scelte e i sacrifici che questo
avrebbecomportato.
Il
capitalismo
è
diventato più sensibile alle
nostre richieste individuali in
quanto consumatori, ma la
democrazia è sempre meno
sensibile alle nostre richieste
collettiveinquantocittadini.I
sondaggi
indicano
un
crescentesensodiimpotenza.
Senel1964soloil36%degli
americani riteneva che «ai
funzionari pubblici non
importaungranchédiciòche
pensanoquellicomeme»,nel
2000 questa sensazione era
condivisa da più del 60%
della popolazione. Nel 1964,
quasi due terzi degli
americani credeva che il
Governo agisse nell’interesse
di tutti e solo il 29%
dichiaravacheeracontrollato
«da pochi grandi gruppi
interessati solo a se stessi».
Nel 2000, questo rapporto si
era quasi ribaltato: solo il
35% credeva che il Governo
agisse nell’interesse di tutti,
mentre più del 60% riteneva
che fosse controllato da un
manipolodigrandigruppi2.
Perché il capitalismo ne
è uscito trionfante e la
democrazia così indebolita?
C’è un legame tra queste
opposte tendenze? Qualcosa
può ancora essere fatto per
rafforzarelademocrazia?
Nel riassumervi le mie
argomentazioni, rischio di
semplificarle troppo, ma
voglio darvene un’idea
generale.
Negli
ultimi
decenni abbiamo assistito a
un progressivo svuotamento
del nostro potere in quanto
cittadiniafavorediunpotere
maggiore
in
quanto
consumatorieinvestitori.
Dopo
essere
sopravvissuta alla Grande
Depressione
del
‘29,
l’America emerse dalla
seconda guerra mondiale
vittoriosa e con un’economia
e una democrazia ben
funzionanti. Negli anni a
venire godette di una
prosperità senza precedenti,
largamentecondivisa.Nonfu
proprio un’età dell’oro – le
donne e le minoranze erano
ancoraconsideratecittadinidi
seconda classe e la politica
eralaceratadaunacacciaalle
streghe anticomunista – ma
tutte le classi sociali e di
redditoguadagnaronoterreno,
le disuguaglianze nelle
entrate e nei redditi
diminuironoelaclassemedia
crebbe considerevolmente.
Più lentamente cominciò a
emergere una classe media
più estesa anche in Europa e
in Giappone. Man mano che
riempivanoleloronuovecase
diproprietàconlavastoviglie,
frigoriferi, televisori e stereo
e i suoi vialetti con Ford,
Chevrolet o Plymouth, la
maggiorpartedegliamericani
esprimevanounaltogradodi
fiducia nella democrazia
americana. I due sistemi – il
capitalismoelademocrazia–
sembravanoconiugarsiinuna
simbiositalechefinironoper
essere considerati un unico
sistema,
il
capitalismo
democratico americano, che
sarebbediventatounmodello
per il mondo e l’alternativa
storica
al
comunismo
sovietico.
Il sistema di produzione
dei beni e dei servizi era di
gran lunga di più facile
controlloepiùstabiledioggi,
econcentratonellemanidiun
gruppo notevolmente più
ristrettodiimprese,comeitre
grandi
produttori
di
automobili (GM, Ford e
Chrysler). Per poter godere
dei frutti della produzione di
massa,questeenormiaziende
avevanobisognodisicurezza,
di stabilità e della minor
concorrenzapossibile.Inoltre
avevano
bisogno
della
collaborazione dei colletti
blu,inquantogliscioperiole
interruzioni
del
lavoro
avrebbero arrestato lo stabile
flusso di produzione da cui
dipendevano.
Dunque
accettarono di concedere ai
loro operai, organizzati per
settore, una fetta più alta dei
profitti. Queste gigantesche
aziende giocavano un ruolo
talmente
centrale
nell’economia, che avevano
bisogno anche del sostegno
dei cittadini. Negoziarono
quindi col Governo misure
per ridistribuire i benefici
della crescita economica,
proteggendo allo stesso
tempo i posti di lavoro, le
comunità e, all’occorrenza,
l’ambiente. Questi accordi
vennero stipulati, di volta in
volta, con le agenzie
regolatrici, all’interno della
legislazione o attraverso la
mediazione di amministratori
delegatinellevestidi“statisti
aziendali”. Il risultato fu
un’espressione, per quanto
indiretta e approssimativa, di
ciò che allora era percepito
comeilbenecomune.
Il prezzo da pagare per
questo sistema relativamente
stabile ed equo era la scelta
molto limitata per i
consumatori e gli investitori.
Un notevole risparmio alla
cassa era possibile solo a
costo di grandi fatiche. Le
grandi innovazioni erano una
rarità. Sulle automobili, le
pinne divennero più lunghe,
le griglie più elaborate e il
cromo più stravagante, ma la
tecnologia di fondo non subì
grandi cambiamenti. Mio
padre rimase fedele alla
Plymouth, ma sapeva bene
cheeraunasceltachecontava
poco. Anche gli investitori
erano piuttosto passivi,
spostando di rado il loro
denaro.Nonven’eramotivo,
dato che pressoché tutti gli
investimenti offrivano gli
stessi moderati ricavi. Tutto
questo era riflesso nel lento
passodelDowJones.
A partire dagli anni
Settanta, le cose cambiarono
radicalmente. Le grandi
aziende americane divennero
più competitive e innovative
e si affacciarono sul mercato
globale. Era la nascita di
quello che io chiamo
supercapitalismo.
Questa
nuova fase ci ha portato
numerosi benefici in quanto
consumatori e investitori.
Comecittadiniallaricercadel
bene comune, però, abbiamo
fattoungrossobalzoindietro.
Ilcambiamentoiniziòquando
le tecnologie fatte sviluppare
dal Governo durante la
Guerra
Fredda
furono
integrate all’interno di nuovi
prodotti e servizi. Ciò spianò
la strada a una serie di nuovi
concorrenti nel campo dei
trasporti,
delle
comunicazioni, dell’industria
e della finanza. Questi
smantellarono lo stabile
sistemadiproduzionecheera
esistito fino ad allora e, a
partire dalla fine degli anni
Settanta e poi con crescente
intensità, costrinsero tutte le
aziende a competere più
aggressivamente
per
accaparrarsi consumatori e
investitori. Il potere dei
consumatori venne aggregato
eaccresciutodagrandicatene
come Wal-Mart, che usarono
laforzacontrattualeoffertagli
damilionidiconsumatoriper
ottenere migliori condizioni
dai fornitori. Il potere degli
investitori venne aggregato e
accresciuto da grandi fondi
pensioneefondicomuni,che
spinseroleaziendeagenerare
maggioriprofitti.
Di
conseguenza,
consumatori e investitori
ebbero accesso a una gamma
di opzioni più vasta e
remunerativa. Ma gli enti e
gli organi che avevano
operato per ridistribuire i
profitti e proteggere i valori
condivisi
dai
cittadini
cominciarono a scomparire.
Le enormi aziende che
avevano dominato interi
settori dell’industria persero
importanza e i sindacati si
indebolirono. Le agenzie
regolatriciperserorilevanza.I
dirigenti non potevano più
indossare le vesti di statisti
aziendali.Emanmanochela
crescente concorrenza tra le
aziende invadeva sempre più
la sfera della politica, i
funzionari
pubblici
cominciarono a preoccuparsi
piùdeifinanziamentialleloro
campagne elettorali che delle
comunità dei loro distretti. I
lobbisti invasero Washington
e le altre città capitale per
ottenereleggienormechegli
garantissero un vantaggio
competitivo(oevitasserouno
svantaggio competitivo) sui
loro avversari, esercitando
una crescente influenza sul
processo decisionale. È cosi
che il supercapitalismo ha
presoilpostodelcapitalismo
democratico.
Comprendere ciò che è
avvenuto, e ciò che può
essere fatto per ripristinare
una democrazia funzionante,
richiede
un’indagine
dettagliatadeicambiamentiin
atto
nella
struttura
dell’economica politica. È
quello che farò nei capitoli
seguenti.
Lungo
la
strada,
verrannosvelatimoltienigmi:
perché, per esempio, lo
stipendio dei dirigenti è
schizzato alle stelle e perché
questo non avveniva prima.
Perché l’inflazione è una
minaccia minore oggi di
quanto non lo fosse trenta o
quarant’anni fa. E perché le
leggi antitrust, rispetto al
passato, sono oggi strumenti
meno importanti per limitare
il
potere
economico.
Spiegherò anche perché il
numero dei lobbisti e degli
avvocati esperti di diritto
aziendaleaWashington D.C.è
così alto rispetto a trent’anni
fa, anche se il loro ruolo
sembrerebbe essere meno
importante (dopotutto la
spesa discrezionale del
Governo ricopre oggi una
fetta minore dell’economia
nazionalerispettoadallora,vi
sono in proporzione meno
regolamenti e il potere dei
sindacati, a Washington, è
oramai il fantasma di se
stesso). Perché i politici
pretendono che le aziende
siano patriottiche e mettano
l’America al primo posto,
benché sia sempre più
difficile per le imprese
ottenere consensi in patria se
vogliono competere con
successo all’estero. E perché
si fa un gran parlare di
filantropia aziendale quando
le corporation non sono nate
per
essere
istituzioni
caritatevoli e sono sempre
meno capaci di operare in
quellasfera.
Metteròancheinlucele
ipocrisie di taluni: quelli che
si lamentano della riduzione
deglistipendinegliStatiUniti
e allo stesso tempo vanno a
caccia dell’offerta migliore
dallaCinaodall’India,anche
se a pagarne le spese sono
spesso proprio gli stipendi o
anche i posti di lavoro
americani.
Quelli
che
compiangono il declino dei
rivenditori indipendenti nella
propriacomunitàeallostesso
tempofannolamaggiorparte
dei loro acquisti nelle grandi
catene o su Internet. Quelli
che
pur
dicendosi
profondamente preoccupati
per l’ambiente guidano un
SUV. O i politici che
biasimano pubblicamente i
dirigenti aziendali (di società
petrolifere che godono di
enormi
profitti,
di
multinazionali del tabacco
che incitano a fumare, di
aziende
hi-tech
che
calpestano i diritti umani in
Cina), ma non introducono
nessuna legge per rendere il
lorooperatoillegale.
Infine, giungerò ad
alcune conclusioni che
potrebbero sorprendervi: vi
spiegherò
perché,
per
esempio, gli impegni per una
maggior
corporate
governance rendono le
aziende socialmente meno
responsabili.
Perché
la
promessa di una democrazia
societaria è illusoria. Perché
le imposte sulle società
andrebbero abolite. Perché le
aziende non dovrebbero
essere
considerate
penalmente responsabili. E
perché alle società di capitali
dovrebbe essere impedito di
usareildenarodegliazionisti
per fini politici senza il loro
consenso.
In questo libro mi
occupo principalmente degli
Stati Uniti, anche se i
cambiamenti
che
sono
avvenuti qui hanno generato
cambiamenti simili anche
altrove. Da un capo all’altro
delmondo,èpiùfacileperla
gente realizzare i propri
desiderietrarreguadagnodai
propri
investimenti.
Nonostante i benefici che ne
traggono
in
quanto
consumatori e investitori,
però,moltisisentonofrustrati
nei loro diritti di cittadini.
Anche le loro democrazie
faticano sempre più a
individuare e realizzare il
bene comune. Sondaggi
elettorali in Italia, Gran
Bretagna, Spagna, Belgio,
Olanda, Norvegia, Svezia,
Irlanda e Giappone mostrano
cheicittadinidiqueipaesisi
sentono impotenti quasi
quantogliamericani3.
Il capitalismo è quasi
sicuramente un presupposto
necessarioperlademocrazia,
come sosteneva Milton
Friedman. La democrazia
richiedecheicentridipotere
economicosianoindipendenti
dall’autorità
centrale;
altrimenti la gente non può
dissentire
dall’ortodossia
ufficiale senza mettere a
repentaglio il sostentamento
della propria famiglia. Gli
eventi dei decenni scorsi,
però, particolarmente nel
Sudest asiatico, ci hanno
mostrato che la democrazia
non è necessariamente un
presupposto essenziale per il
capitalismo. La Cina, la
seconda nazione capitalistica
perimportanzadopogliStati
Uniti, la cui economia, agli
attuali ritmi di crescita, tra
vent’anni supererà quella
statunitense,haabbracciatoil
libero mercato ma non la
libertà politica. Un mercato
liberoappareessenzialeperil
suo sviluppo capitalistico; se
lepersonenonpossonoavere
delleproprietàescambiarsele
senza preoccuparsi che i loro
beni vengano confiscati
dall’autorità centrale, non
avranno nessun incentivo a
risparmiareeinvestire.Esolo
sehannofiducianelfattoche
le
regole
del
gioco
capitalistico
non
sono
truccate saranno disposte a
prendervi parte al meglio
delle loro capacità. Ma la
libertà politica potrebbe
rivelarsi non indispensabile.
Alcuni osservatori ritengono
che la Cina, prima o poi,
passerà a una forma di
capitalismo
democratico.
Altri, invece, credono che la
Cina rappresenti un nuovo
sistema che si potrebbe
definire
capitalismo
autoritario4.
Oggigiorno, molti più
paesirispettoatrent’annifasi
definiscono
delle
“democrazie”. Gli ex paesi
satelliti sovietici nell’Europa
dell’Est
sono
oggi
democrazie indipendenti. La
Russiastessasiconsiderauna
democrazia.Molteexnazioni
coloniali in Africa e in Asia
hanno sviluppato dei sistemi
democratici.
L’America
Latinahaabbracciatolacausa
della democrazia. Trent’anni
fa solo un terzo dei paesi nel
mondo godeva di libere
elezioni;oggisonoquasidue
terzi. Nel 1970, meno di
cinquantapaesigodevanodel
tipo di libertà civili che
associamo alla democrazia;
allafinedel XXsecolo,erano
quasinovanta5.
Questoèsicuramenteun
fattodicuigioire,amenoche
nonguardiamolecosepiùda
vicino. Molti di questi paesi
sono democrazie solo di
nome. Su di essi gravano gli
stessi problemi che hanno
ostacolato la democrazia
americana negli ultimi anni,
su una scala maggiore:
corruzione
endemica,
concentrazione del potere
nelle mani di una ristretta
élite o regimi de facto a
partito unico. Nessuno di
questi paesi è in grado di
difendersi
dagli
effetti
collaterali
del
supercapitalismo.
La mia posizione è in
contrasto con molte opinioni
consolidate.
Alcuni
osservatori attribuiscono il
trionfo del capitalismo e
l’indebolimento
della
democrazia all’ascesa di
multinazionali
talmente
potenti da poter scagliare un
paese contro l’altro e
comprarsi i politici per
aumentare i loro profitti. Ma
inrealtàlegrandicorporation
hanno oggi meno potere
economico di trent’anni fa.
Allora,peresempio,vierano
negli Stati Uniti tre
gigantesche
società
automobilistiche
che
informalmente
stabilivano
prezzi e investimenti. Ora vi
sono almeno sei aziende che
producono automobili negli
Stati Uniti, e tra di loro vige
una concorrenza feroce.
Trent’anni fa esistevano solo
tre grandi network televisivi,
un’unicaimmensacompagnia
telefonica e un manipolo di
produzioni cinematografiche
e di case discografiche. Oggi
migliaia
di
aziende
competono
ferocemente
all’interno di uno spazio
esteso e amorfo in cui il
confine
tra
telecomunicazioni, hi-tech e
intrattenimento è spesso
indistinguibile. Trent’anni fa
la maggior parte delle
persone affidava i propri
risparmiallebanche,epoteva
sceglieresolotradueotredi
queste all’interno del proprio
paese o della propria città.
Oggi sono migliaia le
istituzionifinanziarie–tracui
i fondi comuni e i fondi
pensione–chesicontendono
i risparmi dei cittadini. In
generale, in ogni campo
dell’economia le società
hanno un minor potere di
mercato oggi che trent’anni
fa.
Èancheverochealcune
corporation
sono
di
dimensioni colossali e hanno
unpotereglobale.Maaziende
di
ogni
dimensione
competonopiùenergicamente
che mai. L’economia globale
comprendemenooligopolidi
qualche decennio fa, e
pressoché nessun monopolio,
eccetto quelli creati e
sostenuti dai governi. Il
potere e l’impulso che un
tempo possedevano le grandi
corporation
–
la
pianificazione e l’esecuzione
della produzione di massa –
nonesistonopiù.
Per quanto riguarda i
politici, non sono diventati
visibilmente più corrotti,
rapaci o irresponsabili di
trent’annifa.Nonvisonopiù
mele marce in politica di
quante non ve ne siano in
ognialtrocampo,solochein
genere agli altri sono
risparmiate le prime pagine
dei giornali. Negli ultimi
decenni, però, i politici sono
stati soggetti a una pressione
maggiore da parte delle
grandi lobby, e hanno
bisogno di molto più denaro
per finanziare le loro
campagne elettorali. Questo
ha
influito
sul
loro
comportamento.
Lo
straordinario aumento del
denaro speso per fare
lobbying o nelle campagne
elettorali,aognimodo,nonè
dovuto all’accresciuto potere
di mercato di nessuna
specifica corporation; come
dimostrerò,
deriva,
paradossalmente, da una
diminuzione del loro potere
dimercato.
Altri attribuiscono il
merito o la colpa della
situazione attuale a Ronald
Reagan, a Margaret Thatcher
o più in generale al
predominio
dei
leader
conservatori negli ultimi
decenni. I politici sono
importanti, ma non possono
realizzare un cambiamento
economico e sociale a meno
che le condizioni per il
cambiamento non siano già
presenti, o che circostanze
fuori dal comune non lo
rendano possibile. Quando
Reagan prese il potere,
l’economia
aveva
già
cominciato a cambiare. Un
processo di deregulation, per
esempio, aveva spianato la
strada a una serie di nuovi
attori
nell’industria
statunitense già da prima che
Reagan entrasse in carica.
Piccoleeproficuecompagnie
aeree, banche e società hitech avevano già ottenuto un
vantaggio competitivo nei
varisettoriesidavanodafare
per abbattere numerose
norme
regolatrici.
La
percentuale di lavoratori
americani iscritti ai sindacati
aveva già cominciato a
diminuire. E il numero di
lobbistidell’industriapresenti
a Washington D.C. stava già
crescendo, e anzi subì
un’impennata
durante
l’amministrazione
democraticadiBillClinton.
Un’ultimateoriaèquella
secondo cui gli Stati Uniti,
seguiti da gran parte del
mondo, negli ultimi decenni
si siano fatti sedurre da una
serie di idee su come
dovrebbero
essere
organizzate le imprese. Tali
precetti – etichettati di volta
in volta col termine
“neoliberismo”,
“teorie
neoclassiche”,
“neoconservatorismo” o “il
Washington consensus” –
includonoilliberomercato,la
deregulation,
le
privatizzazioni e, più in
generale,l’ideasecondocuisi
debba
fare
maggior
affidamento sui mercati che
sui governi e privilegiare
l’efficienza sulla giustizia. Il
fattochegranpartediqueste
idee siano state elaborate in
senoalleuniversitàamericane
è un probabile indicatore del
perché
coloro
che
attribuisconolorolemaggiori
responsabilità
per
aver
cambiato il volto del pianeta
negli ultimi trent’anni siano
spesso anch’essi accademici
che coltivano una visione
particolarmente
generosa
dell’impatto del mondo
accademico sulla società. È
vero che i politici a volte
prestano
attenzione
ai
consigli
del
mondo
accademico, come fece
Pinochet con Friedman.
«Pazzi al potere, i quali
odono voci nell’aria», scrisse
l’economista John Maynard
Keynes, «distillano le loro
frenesie
da
qualche
scribacchino accademico di
pochianniaddietro»6.
Ma le teorie di cui si
parla qui erano esistite più o
meno nella stessa forma dai
tempi in cui le aveva
profetizzate Adam Smith nel
XVIII secolo. È probabile che
abbiano
improvvisamente
preso piede negli ultimi
decenni del XX secolo, negli
Stati Uniti e altrove,
semplicemente
perché
offrivano
una
comoda
giustificazione
per
cambiamenticheeranogiàin
atto. Non furono esse a
produrre il cambiamento;
semmailolegittimarono.
Le storie di dirigenti e
finanzieri eroici o abietti, di
politicibrillantiocorrottiodi
mercanti
di
idee
diabolicamente potenti, per
quanto gratificanti possano
essere, dovrebbero arrendersi
allarealtà.Ilfattochealcune
di queste figure siano state
particolarmente lungimiranti
ospregiudicateèunelemento
quasideltuttosecondarionel
grande schema delle cose. I
cambiamenti di cui parliamo
qui sono strutturali, non
individuali.Allostessomodo,
va abbandonata anche l’idea
di
una
cricca
di
multinazionali potenti e
immorali che cospira contro
la gente, perché è troppo
semplicistica.Leaziendenon
sono né morali né immorali.
Spiegazioni di questo tipo,
attribuendo i meriti o le
responsabilità alle figure
sbagliate, sono un comodo
diversivo
e
dunque
ostacolano ogni concreto
tentativo di riformare il
capitalismoelademocrazia.
La verità è che molti di
noi sono consumatori e
investitori, e di conseguenza
beneficiano enormemente dal
supercapitalismo. Wal-Mart,
per esempio, è riuscita ad
abbassare i prezzi di una
vasta gamma di prodotti, a
vantaggio dei suoi clienti.
Nello stesso tempo, il
successo di Wal-Mart ha
significato un beneficio per i
suoiazionisti.Mamoltidinoi
sono anche cittadini che
credono nel fair play. E in
questo senso molti di noi
sono
sconcertati
dagli
stipendi bassi e dagli elusivi
benefici che Wal-Mart offre
ai suoi dipendenti, dal potere
che ha di costringere i
fornitori a tagliare i propri
compensi e i propri benefici
ed esternalizzare il lavoro
all’estero e dall’effetto
distruttivo che ha sui
rivenditoriindipendenti.
IdirigentidiWal-Marto
di qualsiasi altra azienda,
però, non sono persone
particolarmente avide o
insensibili.
Fanno
semplicemente quello che
devonofaresecondoleregole
del gioco: offrire i prezzi
migliori ai loro clienti e
massimizzare i profitti dei
loro azionisti. Come in
qualsiasi altro gioco, fanno
tuttociòcheènecessarioper
vincere. Ma così come tutti i
giochi necessitano delle
regolechegarantiscanoilfair
play, in economia spetta al
Governo stabilire le regole.
Se il Governo volesse
veramente migliorare le
condizioni dei dipendenti di
Wal-Mart potrebbe cambiare
leregole.
In teoria, potrebbe
varare delle leggi per
facilitare la sindacalizzazione
dei
loro
dipendenti,
costringere tutte le grandi
aziende
a
offrire
l’assicurazione sanitaria ai
propri dipendenti, introdurre
regolamenti urbanistici per
proteggere i rivenditori
indipendenti dall’aggressione
degli ipermercati e innalzare
il minimo sindacale affinché
garantisca alla gente un vero
standard “di vita” minimo.
Misure di questo tipo
porterebbero probabilmente
Wal-Mart e le altre grandi
aziendeadaumentareiprezzi
dei loro prodotti e ridurre i
profittideiloroazionisti.
Personalmente,sareiben
felice di rinunciare ad alcuni
benefici
in
quanto
consumatore e azionista in
cambio di queste conquiste
sociali,purchélosianoanche
glialtri.Macomecambiarele
regoledelgioco?Ilmercatoè
abile nel soddisfare i nostri
bisogni
in
quanto
consumatorieazionisti,mala
democrazia è sempre meno
sensibile alle nostre richieste
in quanto cittadini che
cercano di rendere le regole
del gioco più giuste. La
ragione principale, come
mostrerò in questo libro, è
che il supercapitalismo ha
contaminatoanchelapolitica.
I cittadini devono competere
con le ingenti quantità di
denaro versate a Washington
e nelle altre grandi città
capitale da Wal-Mart e dalle
altreaziende.
La soluzione, a mio
avviso, non sta nel tentativo
di costringere le aziende a
essere più “socialmente
responsabili”. Criticare WalMart perché si rifiuta di
aumentare gli stipendi e i
benefici sanitari dei suoi
dipendenti può anche essere
emotivamente gratificante,
mahapocoachefareconle
forze che hanno spinto WalMart a ridurre al minimo gli
stipendieaoffrireaffaricosì
vantaggiosiaisuoiclientieai
suoi azionisti. Wal-Mart,
come ho sottolineato, segue
solamenteleregoledelgioco,
così come tutti gli altri
partecipanti capitalisti. Ma
dovremmoesserenoiafarele
regole,affinchériflettanosiai
nostri valori in quanto
cittadinicheinostrivaloriin
quanto
consumatori
e
azionisti.
La
storia
che
vi
racconterò non è né
tecnologicamente
né
economicamente
determinista. Il futuro è
ancora nelle nostre mani. Ma
per fare le scelte corrette
dobbiamo
comprendere
appieno il passato e il
presente,eresisterealfascino
dei miti. Tornare al
capitalismo
democratico
americano
degli
anni
Cinquanta e Sessanta è
impossibile–enonèquelloa
cui dovremmo aspirare – ma
è
certamente
possibile
orientare il futuro in una
direzionecherispondameglio
ai nostri obiettivi e ai nostri
interessidicittadini.
Ilprimoepiùimportante
passo è avere un’idea chiara
del giusto confine tra
capitalismo e democrazia –
tra il gioco economico e chi
stabilisceleregole–affinché
possa essere difeso più
efficacemente. Le aziende
non sono cittadini. Sono una
pila di contratti. L’obiettivo
delle aziende è partecipare al
gioco
capitalista
nella
maniera più aggressiva
possibile. La sfida per noi
cittadinièimpedirechesiano
loro a dettare le regole.
Evitare
che
il
supercapitalismo invada il
campodellapoliticaèl’unico
obiettivo costruttivo se
vogliamo cambiare le cose.
Tutto il resto, come
dimostrerò chiaramente, è
solo un gioco o una
dimostrazione.
1 Nel suo libro Capitalismo e libertà,
pubblicatoperlaprimavoltanegliStati
Uniti nel 1962, Friedman disse
chiaramenteche,nellasuavisionedella
storia,«ilcapitalismoèunacondizione
necessaria per la libertà politica [ma]
nonèunacondizionesufficiente».Notò
come l’Italia fascista, la Spagna
franchista, la Germania in momenti
diversi nel corso del xx secolo e il
Giappone prima delle due guerre
mondialieranotuttipaesiincuivigeva
la libera impresa, eppure non erano
politicamente liberi. «È, quindi,
ovviamente possibile il caso di assetti
economici che sono fondamentalmente
capitalisticiediassettipoliticichenon
sono liberi». Capitalism and Freedom,
Chicago, University of Chicago Press,
1962 [Capitalismo e libertà, trad. di
Renato Pavetto, Pordenone, Studio
Tesi,1987,p.22].
Fin dai tempi dell’illuminismo
settecentesco, gran parte del pensiero
occidentalehapresuppostounrapporto
trailliberomercatoelalibertàpolitica.
Sia Adam Smith alla University of
Chicago che Anne Robert Jacques
TurgotallaSorbonadiParigiarrivarono
a vedere l’economia come un processo
afasiprevedibili,incuiognifaseporta
alla creazione di istituzioni politiche e
legali progressivamente più complesse,
e a un progresso sociale. Il pensiero di
Smith fu espresso nel suo Lectures on
Jurisprudence
(Lezioni
di
giurisprudenza), che oggi esiste solo
nella forma degli appunti presi dagli
studenticheassistetteroallesuelezioni
tra il 1762 e il 1764. Le riflessioni di
TurgotappaiononelsuoLericchezze,il
progressoelastoriauniversale,scritto
originariamente nel 1750 o 1751, e
rimastoineditofinoalxixsecolo.Vedi
anche Sir John Dalrymple, An Essay
Towards a General History of Feudal
Property, Londra, 1757. Più un
generale, vedi Ronald L. Meek, Smith,
Marx and After: Ten Essays in the
Development of Economic Thought,
Londra, Chapman & Hall, 1977,
capitolo 1 e Benjamin M. Friedman,
The Moral Consequences of Economic
Growth, New York, Alfred A. Knopf,
2005,capitolodue[Ilvaloreeticodella
crescita, trad. di Nanni Negro - Sonia
Cambursano, Milano, Università
Bocconi,2006].
2VediTheAmericanNationalElection
Studies
all’indirizzo
<http://www.electionstudies.org>.
3 Vedi, per esempio, Hans-Dieter
Klingemann - Dieter Fuchs, a cura di,
Citizens and the State, New York,
OxfordUniversityPress,1995;Michael
Adams - Mary Jane Lennon,
“Canadians, Too, Fault Their Political
Institutions and Leaders”, in «The
Public Perspective», n. 3, settembreottobre 1992, p. 19; Susan Pharr,
“Confidence in Government: Japan”,
per il Visions of Governance for the
Twenty-First Century Conference,
Bretton Woods, New Hampshire, 29
luglio-2agosto1996.
4 La prima persona che ho sentito
utilizzare il termine “capitalismo
autoritario” in riferimento alla Cina è
stato Orville Schell, lo studioso della
Cina della University of California di
Berkeley.
5 I dati sulle libertà civili sono del
FreedomHouse.
6 John Maynard Keynes, The General
Theory of Employment, Interest and
Money, Londra, Longmans, Green,
1936[Occupazione,interesseemoneta:
teoria generale, trad. di Alberto
Campolongo, Torino, Utet, 2006, p.
577].
1.L’etànonproprio
dell’oro
Trail1945eil1975,più
o meno, l’America giunse a
uncompromessosignificativo
tra capitalismo e democrazia.
Visicombinavanounsistema
economico
enormemente
produttivo e un sistema
politico
sensibile
alle
domande della gente e
ammirato da molti. In quegli
anni la forbice tra ricchi e
poveri toccò un minimo
storico in America (da
quando la si misura). Furono
creati un numero senza
precedenti di posti di lavoro
ben remunerati, e che non
verràmaipiùeguagliatonegli
anniavenire,eunamaggiore
sicurezza economica per un
più grande numero di
cittadini.Forsenonacaso,in
quegli anni gli americani
esprimevanounaltogradodi
fiducianellademocraziaenel
Governo,
che
declinò
radicalmente negli anni
successivi7. Quel singolare
successo e la potente
promessa che racchiudeva
accrebbero l’autorità morale
del sistema americano nel
mondo. In contrasto al
comunismo sovietico, gli
Stati Uniti divennero il
simbolo della libertà politica
e dell’opulenza della classe
mediasuburbana.
L’economia era basata
sullaproduzionedimassa.La
produzione di massa era
remunerativa poiché vi era
un’estesa classe media che si
poteva
permettere
di
comprareiprodottidimassa.
E poteva permetterselo
perché i profitti della
produzione di massa erano
spartiti tra le grandi
corporation e i loro fornitori,
rivenditori e dipendenti. Il
potere contrattuale di queste
tre categorie era favorito e
difesodalGoverno.Quasiun
terzo della forza lavoro era
iscritta a un sindacato. I
benefici
della
crescita
economica erano ridistribuiti
in lungo e in largo per il
paese – ad agricoltori,
veterani, cittadine e piccole
imprese – per mezzo di
regolazionigovernative(sulle
ferrovie,latelefonia,iservizi
e l’energia) e di sussidi
(prezzi
di
sostegno,
autostrade e prestiti federali).
In tal modo la democrazia
compensò il potere della
produzione su larga scala e
distribuì ampiamente i suoi
benefici.
Ma non era proprio
un’etàdell’oro.Ledonneele
minoranze lottavano ancora
per l’uguaglianza politica e
maggiori
opportunità
economiche.Granpartedella
povertàdelpaeseeranascosta
nellelontanezoneruralionei
ghetti neri. La politica estera
americana,
ufficialmente
motivatadaquellacheveniva
percepita come la minaccia
del comunismo sovietico,
troppo spesso si piegava alla
necessitàdellegrandiimprese
di avere accesso a risorse a
basso costo, come le banane,
lo stagno e il petrolio. Le
libertà
civili
furono
minacciate dalla caccia alle
streghe anticomunista del
senatore Joe McCarthy. In
generale,
la
vita
dell’americano medio era
monotona, conformista e
incredibilmente noiosa. Ma
nonostante tutte le sue
debolezze, il capitalismo
democratico
sembrava
funzionare particolarmente
bene, e destinato solo a
migliorare.
Percapirecosaèandato
storto nell’età non proprio
dell’oro è necessario prima
capirecomecisiarrivò.
1
L’evoluzione cominciò
mentre il XIX secolo volgeva
alla fine, in un momento in
cui le grandi corporation
rappresentavano
una
profonda minaccia per la
democrazia
americana.
Queste crearono livelli di
prosperità senza precedenti
ma sfruttavano i lavoratori,
inclusi i minori, costretti a
operare in condizioni di
lavoro pericolose. Inoltre,
monopolizzarono
interi
settoridell’industria.Ilpotere
economico senza precedenti
di queste aziende permetteva
loro di non rispondere
politicamente delle loro
pratiche. L’America cercava
disperatamente una maniera
perreagire.
Tutto ebbe inizio con
alcuni personaggi molto
influenti, la cui eredità è
presente ancora oggi: J.P.
Morgan, figlio di un
banchiere, che vendeva titoli
delle ferrovie e architettò
enormi concentrazioni nel
settore, diventando un ricco
finanziere(la J.P.Morganand
Sonsdivennequellacheoggi
è la Morgan Stanley);
Andrew Carnegie, che iniziò
la sua carriera come
telefonista,
ascese
alla
presidenzadellaPennsylvania
Railroad e fece una fortuna
comemagnatedell’acciaio(la
Carnegie Steel); John D.
Rockefeller, che iniziò come
contabile
a
Cleveland,
acquistò la sua prima
raffineria nel 1862, arrivò a
dominare il mercato del
petrolio con la sua Standard
Oil Company (antenata della
odiernaExxonMobil)epoisi
espanse nei settori del
carbone, del commercio, del
rameedellebanche(laChase
Manhattan);
e,
successivamente,HenryFord.
Questi uomini e altri
come loro portarono con sé
unaseriedinuoveinvenzioni
– il motore a vapore, la
locomotiva, il telegrafo, la
turbina elettrica, il motore a
combustione
interna
e
numerosi macchinari in ferro
ed acciaio con parti
intercambiabili
–
che
permisero la costruzione e il
trasportodigrandiquantitàdi
nuovi prodotti. I costi erano
spalmati su così tante unità
che ognuna di queste si
poteva fabbricare a costi
ridotti. La Procter & Gamble
inventò una nuova macchina
per la produzione in massa
del sapone Ivory. La
Diamond Match utilizzava
una macchina che fabbricava
e inscatolava miliardi di
fiammiferi alla volta. Una
macchina
per
produrre
sigarette inventata nel 1881
era così efficiente che ne
bastavano
quindici
per
soddisfare
la
domanda
annualedisigarettedelpaese.
La Standard Oil, l’American
Sugar
Refining,
l’International Harvester e la
Carnegie Steel furono solo
alcune delle aziende che
beneficiarono enormemente
delle fornaci giganti, delle
centrifughe,deiconvertitorie
delle macchine laminatrici e
finitrici.
La
produttività
si
impennò. Se nei primi anni
del XIX secolo il lavoratore
americano medio produceva
uno 0,3% in più ogni anno
(conlaseminaeilraccolto,il
disboscamento, la pesca o le
varie tecniche artigianali),
verso gli ultimi decenni del
secolo la sua produttività era
aumentata di sei volte8.
Anchelaproduzioneesplose.
La produzione di ferro
raddoppiò in pochi anni;
quella di acciaio aumentò di
venti volte9. Le reti
ferroviarie e telegrafiche si
espansero di pari passo. Una
rete di trasporto veloce,
regolare e affidabile portava
le materie prime alle
fabbriche dagli angoli più
remoti degli Stati Uniti e poi
spediva i prodotti finiti ai
grossisti e ai negozianti di
tuttoilpaese.
Una
rivoluzione
economica di questa portata
ebbe ovviamente pesanti
ripercussioni
sociali.
L’offerta superò la domanda,
portando a una seria
depressione che nel 1873
scossel’Americaegranparte
dell’Europa.
Un’altra
depressione, nell’estate del
1893, ridusse in miseria
migliaia di agricoltori, fece
chiudere varie banche e
ridusse disoccupati più di un
quarto degli operai non
specializzati del paese. Un
coro crescente di socialisti in
Europa e in America
proclamarono l’imminente
collasso del capitalismo. Una
schiera sempre più numerosa
di
populisti
dell’Ovest
indebitati con le banche
dell’Est chiese di convertire
la valuta da oro in argento.
Essendo l’argento di gran
lunga
più
abbondante
dell’oro,ciòavrebbegonfiato
ilvaloredellavalutaeridotto
ilorodebiti.Gliindustrialisu
entrambe
le
sponde
dell’Atlantico
chiesero
barriere tariffarie più alte per
difendersi dalle importazioni
straniere. (Solo la Gran
Bretagna, la cui industria
manifatturiera avanzata era
una
delle
maggiori
beneficiarie
del
libero
scambio,sirifiutòdialzarele
tariffe,provocandoquellache
venne vista come una
“invasione
economica”
tedescaeamericana)10.
Centinaia di migliaia di
persone si spostarono dalle
colline alle fabbriche. Nel
1870, meno dell’8% della
popolazioneadultaamericana
lavorava in fabbrica e solo
unapersonasucinqueviveva
in un centro di 8.000 o più
abitanti; mezzo secolo più
tardi, quasi un terzo della
popolazione lavorava in
fabbrica e quasi la metà
viveva in città. Nel corso di
questi anni tumultuosi la
popolazione di New York
quadruplicò
e
Chicago
divenne dieci volte più
grande. Negli anni Settanta
del XIX secolo, 280.000
immigrati entravano ogni
anno negli Stati Uniti. Nel
corso degli anni Ottanta ne
arrivarono cinque milioni e
mezzo; negli anni Novanta
altri quattro milioni. Nel
primodecenniodel XXsecolo
il flusso di immigrati, molti
dei quali indigenti al loro
arrivo, aveva raggiunto la
cifra di un milione all’anno.
Stando a uno studio
governativo del 1908, quasi
tre quinti degli operai dei
campi
principali
dell’industria
americana
erano nati all’estero11. Al
tempo
gli
immigrati
costituivano una percentuale
della forza lavoro americana
più alta che un secolo più
tardi.
Man
mano
che
l’America e gli altri paesi
industrializzati cominciavano
a setacciare le regioni più
sottosviluppatedellaterraalla
ricerca di potenziali mercati,
il termine “imperialismo”
diventava di uso comune.
Teddy Roosevelt rivendicò il
destino
imperiale
dell’America in America
Latina.
«L’espansione
territoriale», commentò un
ufficiale del Dipartimento di
Stato nel 1900, «non è altro
che la naturale conseguenza
dell’espansione
commerciale»12. La Gran
Bretagna e la Germania
giudicavano la loro potenza
economica alla luce della
propria sfera d’influenza
globale.
L’economista
britannico
J.A.
Hobson
predisse amaramente la
conseguenza logica di una
tale concorrenza: gli uomini
d’affari,ammonì,scelgonola
via della guerra quando
hanno esaurito i mercati
domestici. Come farà John
Maynard Keynes trent’anni
dopo, Hobson esortò i paesi
avanzatiaincrementareiloro
mercati domestici rendendo
un maggior numero dei loro
cittadini abbastanza ricchi da
poter acquistare i prodotti
nazionali. «Se la ripartizione
delleentratefossetaledanon
evocare
un
risparmio
eccessivo, potremmo offrire
un impiego pieno e costante
in casa per il capitale e il
lavoro»13. Ma la guerra
mondialechetemevaHobson
esploseprimacheunnumero
sufficiente di cittadini avesse
i mezzi per acquistare una
porzione sostanziale di ciò
cheproducevano.
NeiprimidecennidelXX
secolo
la
produttività
aumentò nuovamente. Le
fabbriche
in
cui
lo
sfruttamento era all’ordine
del
giorno
vennero
rimpiazzate
da
grandi
impianti manifatturieri, sul
modello delle nuove teorie
sull’”organizzazione
scientifica del lavoro” di
Frederick Winslow Taylor,
cheauspicavaladivisionedel
lavoro in fabbrica in ruoli
altamente specializzati e
ripetitivi. Il modello divenne
la catena di montaggio di
Henry Ford. Non solo gli
operai lungo la catena
potevano
produrre
più
macchineinunminortempo,
ma la produzione poteva
essere concentrata in pochi
grandi stabilimenti e i
materiali potevano essere
comprati all’ingrosso, con un
notevolerisparmio.Nel1909,
la Ford produsse 10.607
macchine;nel1913,168.000;
l’annoseguente248.000.Alla
vigilia della prima guerra
mondiale
gran
parte
dell’industria americana era
concentrata nelle mani di
poche aziende giganti che
divennero quasi sinonimo
dell’America: Ford Motor,
U.S.
Steel,
American
Telephone & Telegraph,
United
States
Rubber,
National Biscuit, American
Can, l’Aluminum Company
ofAmerica,GeneralElectric,
GeneralMotorselaStandard
OildiRockefeller.
La dimensione di queste
imprese era tale che rendeva
quasi impossibile l’ingresso
nel mercato di aziende più
piccole. Esse dominarono il
mercato americano, e gran
parte dell’economia globale,
perbuonapartedelXXsecolo.
Nel1994,piùdellametàdelle
500 corporation più grandi
d’Americapresentinellalista
stilata annualmente dalla
rivista
«Fortune»
era
composta da aziende fondate
tra il 1880 e il 193014. Molte
più di quante videro la luce
nel lungo, stabile periodo tra
il1945eil1975;unelemento
importante da tenere a mente
inquestastoria.
UNCAMPIONEDELLE
AZIENDE«FORTUNE500»
DEL1994
FONDATENELCORSODEL
1880(53INTUTTO)
EastmanKodak
Johnson&Johnson
Coca-Cola
Westinghouse
Sears Roebuck (R.W.
SearsWatchCompany)
Avon
Products
(California
Perfume
Company)
Hershey
Foods
(Lancaster
Caramel
Company)
Chiquita
Brands
International (Boston Fruit
Company)
FONDATENELCORSODEL
1890(39INTUTTO)
GeneralElectric
Knight-Ridder (Ridder
Publications)
Ralston
Purina
(Robinson
Danforth
Company)
Reebok
International
(J.W.FosterandSons)
Harris
Corporation
(Harris Automatic Press
Company)
Pepsico
Goodyear Tire and
Rubber
FONDATENELCORSODEL
1900(52INTUTTO)
Weyerhaeuser
USX(UnitedStatesSteel)
FordMotor
Gillette
(American
SafetyRazorCompany)
Minnesota Mining and
Manufacturing
UPS
(American
MessengerCompany)
GeneralMotors
McGraw-Hill
FONDATENELCORSODEL
1910(45INTUTTO)
Black&Decker
IBM
(ComputingTabulating
Recording
Company)
MerrillLynch
Safeway(SkaggsUnited
Stores)
Boeing (Pacific Aero
Products)
CumminsEngine
ReynoldsMetals
FONDATENELCORSODEL
1920(58INTUTTO)
Chrysler
TimeWarner
MarriottCorporation
Delta Air Lines (Huff
Daland)
AceHardware
WaltDisney
NorthwestAirlines
Fruit of the Loom
(Union
Underwear
Company)15
2
NeiprimidecennidelXX
secolo
il
capitalismo
sembrava destinato a un
colossaletrionfo.Molti,però,
erano preoccupati dalle sue
conseguenze
sociali:
squallore urbano, stipendi
bassi e lunghe ore di lavoro
per gli operai, sfruttamento
minorile, una crescente
disparità economica, il
declino o l’abbandono dei
centri urbani più piccoli. La
democrazia non sembrava in
gradodidareunarisposta.Le
dimensioniel’influenzadelle
grandi
corporation
si
trasformavano in potere
politico,
rendendole
pressoché
immuni
alle
pressioni che giungevano dal
basso.
La
democrazia
americana non aveva mai
assistito a un fenomeno della
portata del capitalismo
industriale e non aveva gli
strumenti per reagire. La
democrazia si era sviluppata
in
comunità
che
assomigliavano molto più
all’ideale
di
Thomas
Jefferson – paesi, villaggi e
piccoli centri urbani in cui
ogni voto contava (sarebbe a
dire i voti degli uomini
bianchi) – che alla nazione
enormemente industrializzata
e urbanizzata che stavano
diventandogliStatiUniti.Gli
elettorisisentivanoimpotenti
di fronte a questi titani
dell’industria.
Non si può dire che i
capitani
dell’industria
dell’epocasidistinseroperla
loro vocazione pubblica.
Alcuni,comeCarnegieeJohn
D.Rockefeller,crearonodelle
famose
istituzioni
di
beneficenza, ma la maggior
parte di loro si riconosceva
nelle parole di William H.
Vanderbilt, il magnate delle
ferrovie,cheaunreporterdel
«New York Times» che gli
chiedeva se non fosse il caso
di tenere aperta la linea New
York-NewHavenabeneficio
della gente, rispose con
l’oramaileggendario:«Chese
ne vada al diavolo la gente».
Vanderbilt passò poi a dare
una breve lezione di
capitalismo al reporter. «Non
credoaquestestupidagginidi
chi vorrebbe far credere che
lavoriamo per il bene di
qualcuno al di fuori di noi
stessi. Le ferrovie non sono
gestite coi buoni sentimenti,
ma sulla base di ferrei
principi economici, e devono
generareprofitto»16.
Le ferrovie, così come
gli altri colossi industriali
americani, esistevano per
generareprofitto.Lagentene
avrebbe beneficiato fintanto
che il richiamo del profitto
avesse spinto le aziende a
investire più soldi, creare più
posti di lavoro e offrire
prodottieservizimigliori.Ma
Vanderbilt si dimenticò di
menzionare
un
punto
cruciale. Grazie alle tattiche
senza scrupoli utilizzate da
luiedaaltriperingigantirele
loro aziende, queste ora
dominavano tutti i mercati.
La strategia principale era
quella di soggiogare la
concorrenza, permettendogli
così di far pagare prezzi più
alti per i loro prodotti e fare
più o meno quello che
volevano. In poche parole,
nondovevanorenderecontoa
nessuno.
Lagenteeraindignata;il
potere fuori controllo delle
grandi corporation sembrava
incompatibile
con
la
democrazia. Il tema fu per
decennialcentrodiunlogoro
dibattito politico. Teddy
Roosevelt accusò le grandi
aziende di essere «malfattori
di enorme ricchezza». Anche
Woodrow Wilson si scagliò
contro di loro. «Il Governo è
in mano ai capitalisti e agli
industriali di questo paese»,
tuonò durante la campagna
elettorale del 1912. «I
genitori
illegittimi
del
governodegliStatiUnitisono
oggi i grandi gruppi di
interesse»17. Franklin D.
Roosevelt espresse più o
meno la stessa opinione nel
1936 quando incolpò «le
famiglierealidell’economia»,
che controllavano enormi
corporation, orchestravano i
prezzi e ostacolavano la
concorrenza,
di
essere
responsabili dei problemi
economicidelpaese18.
Il
problema
della
mancanza di controllo sulle
corporation
sorgeva
dovunque prendesse piede il
capitalismo, e riguardava
gran parte del mondo
industrializzato. Negli anni
Trenta il politico ed
economista tedesco Gustav
Stolperosservòche«intuttii
paesi il moderno processo di
industrializzazione
è
determinato da due tendenze
in conflitto: quella verso una
liberazione dell’individuo dai
legamiedaicodicidell’epoca
medioevale e mercantilista, e
quella verso un’integrazione
su
base
meno
monopolistica»19.
La sfida era di fare in
modo che il capitalismo
servisse gli interessi della
gente.
Alcune
risposte
sembrarono
arrivare
dall’Europa e dalla Russia.
Una consisteva nel controllo
statale dei monopoli e delle
imprese più grandi: quello
che si chiamava socialismo.
Un’altra, più radicale, era il
comunismo: la proprietà
comune di tutti i «mezzi di
produzione»,comelidefiniva
Karl Marx. Una terza
proponeva di trasformare le
grandi
corporation
in
estensioni del governo e
riunire tutta l’autorità dello
Stato nelle mani di una sola
persona: il fascismo. Tutte le
strade furono battute. E alla
finefallironotutte20.
L’America ebbe un
breveflirtcolsocialismo,ma
l’atto non fu mai consumato.
Nelsuomomentodimassima
espansione, alla vigilia della
prima guerra mondiale, il
Partito Socialista d’America
contava 100.000 membri e
1.200funzionariin340cittàe
paesi–moltimenodelPartito
Democratico e del Partito
Repubblicano ma abbastanza
perottenerevisibilitàalivello
nazionale. Il giornale del
partito
contava
mezzo
milionediabbonati.Nel1914
la roccaforte del partito era
l’Oklahoma, con 12.000
membri paganti e più di 100
funzionari
eletti.
Il
movimento, però, scomparve
in poco tempo: gli obiettivi
del socialismo apparivano
troppo vaghi, i suoi ideali
internazionalistici
incompatibili col feroce
nazionalismo scatenato dalla
prima guerra mondiale e i
suoimetodiunaminacciaper
l’individualismoamericano.
Alla fine il paese optò
per una combinazione di
soluzioni più pragmatiche.
Una fu quella di scorporare i
grandi monopoli in unità più
piccole e competitive. Nel
1890venneemanatalaprima
legge antitrust del paese, lo
ShermanAct.SialaStandard
Oil che l’American Tabacco
furono smembrate su ordine
della Corte Suprema. Nei
decenni successi finirono nel
mirino dell’antitrust anche la
U.S.
Steel, l’International
Harvester,laGeneralElectric
e la AT&T. Le leggi antitrust,
però, si rivelarono un’arma
inadeguata.
La
“monopolizzazione” era un
concetto
difficile
da
dimostrare. I giudici erano
riluttanti a colpire aziende
ben consolidate. Ancor più, i
titani dell’industria non
potevano essere smembrati
senza sacrificare tutti i
vantaggi della produzione di
massa. Ciò che era iniziato
come un movimento politico
finì per diventare un cavillo
legale21.
Emerse però un’altra
idea. Nel 1909, Herbert
Croly, un giovane filosofo
della politica e giornalista,
argomentò nel suo bestseller
ThePromiseofAmericanLife
chelegrandicorporationnon
andavano smembrate ma
regolate secondo l’interesse
pubblico. «L’idea costruttiva
dietro una politica di
riconoscimento
delle
corporation
semimonopolistiche
è,
ovviamente, quella secondo
cuiquestepossonoconvertirsi
inagentieconomici[...]peril
bene
degli
interessi
economici nazionali». Un
processodiregolamentazione
nazionale avrebbe preservato
l’efficienza della produzione
di massa e «messo [le
corporation] al servizio del
sistema
economico
democraticonazionale»22.
Eraunamiscelaunicadi
capitalismo e democrazia.
Agenzie
regolatrici
indipendenti, guidate da
commissari nominati dai
governatori o dai presidenti,
avrebberofissatoiprezziele
tariffeelimitatoilnumerodei
concorrenti. Questo avrebbe
garantito rispettivamente alle
aziende e ai clienti profitti e
prezzi stabili. I commissari
avrebbero stabilito certi
standard,comequellopercui
il servizio ferroviario doveva
essere garantito anche nelle
cittàeneipaesipiùpiccoli,e
definito
quale
fosse
“l’interesse pubblico” che le
aziendedovevanoperseguire.
Vi sono poche cose che
un amministratore delegato
apprezzi più di uno stabile
flussodientrate.Anchesein
pubblico i dirigenti di molte
grandicorporationcriticarono
i
tentativi
di
regolamentazione
del
Governo,eranopiùchefelici
di accettare il suo aiuto nel
prevenire la riduzione dei
prezzi e escludere dal gioco
potenziale rivali. Il modello
fu la Interstate Commerce
Commission (ICC), istituita
nel 1887 per stabilizzare le
tariffe dei treni e garantire
così proficui profitti alle
compagnie ferroviarie. Il
magnate dei servizi, Samuel
Insull, esortò i vari Stati a
trattare anche le società
elettriche come monopoli
regolamentati,sostenendoche
la concorrenza creava troppo
incertezza per i clienti.
Quando la fetta del mercato
telefonico
della
AT&T
cominciò a diminuire, il suo
presidente, Theodore Vail,
lanciò una campagna per
trasformare anche la sua
azienda in un monopolio
regolamentato dallo Stato,
dicendo che questo avrebbe
garantito agli americani
servizi più economici ed
efficienti.
Nel
1914,
Woodrow Wilson istituì la
Federal Trade Commission
per prevenire pratiche di
concorrenza“sleali”,comela
vendita di prodotti a prezzi
così bassi da danneggiare i
profittidellealtreaziende.
Entro la metà del XX
secolo, circa il 15%
dell’economia nazionale fu
sottoposto
a
una
regolamentazione diretta: la
Civil Aeronautics Board
stabiliva i prezzi e le rotte
delle compagnie aeree; la
Interstate
Commercial
Commission
(ICC)
si
occupava
del
trasporto
ferroviario, su chiatta e su
gomma;
alla
Federal
Communications
Commission
(FCC)
era
affidata la supervisione
dell’industria
telefonica,
radiofonica e della nascente
industriatelevisiva;laFederal
Power Commission aveva la
competenza sui gasdotti, le
centrali idroelettriche e
l’energia nucleare; il Farm
Bureau del Dipartimento
dell’Agricoltura sul settore
agroindustriale e il Federal
Maritime Commission sul
trasporto
marittimo.
Ovviamente, aziende così
regolamentate esercitavano
una notevole influenza sui
loro regolatori. Gli scienziati
politici parlarono di “scacco”
deiregolamentatiadannodei
regolatori. Tutte le norme
introdotte,infatti,ridusserola
concorrenzaediconseguenza
imposero prezzi più alti ai
consumatori. Solo un cinico
indefesso, però, potrebbe
sostenere che i regolatori
fossero
completamente
indifferentiagliinteressidella
gente. La regolamentazione
rese
salda
l’industria,
mantennestabiliglistipendie
i posti di lavoro e difese le
basi economiche di quelle
comunità in cui le aziende
regolamentate operavano o
avevano la sede. Inoltre,
cercòditrovareunequilibrio
tra la necessità di guadagno
dell’industria e l’esigenza
della gente di avere servizi
sicuri,equieaffidabili.
Il restante 85%, una
miscela meno formale di
capitalismoedemocrazia,era
costituito da associazioni e
consigli industriali volontari
che
collaboravano
strettamente con le agenzie
governative per dettare degli
standard di settore. Nessuno
osava
chiamarla
“pianificazione”, per via
dell’odore
nefasto
di
socialismo che emanava
quella
parola.
Era
semplicemente
un’altra
manieraconcuilepiùgrandi
aziende di ogni settore
armonizzavano i prezzi,
arginavano la concorrenza e,
a volte, incassavano assegni
governativi. Molte di queste
associazioni si erano formate
durante la prima guerra
mondiale e continuarono a
esistere, in vesti diverse, per
vari decenni. Il War Finance
Board (Consiglio finanziario
di guerra), nel corso della
prima guerra mondiale,
sottoscrisse vari prestiti
bancarialleindustriebelliche.
Anticipò la Reconstruction
Finance Corporation (Società
di ricostruzione finanziaria)
di Herbert Hoover, nata nel
1932, e numerosi altri
progetti di finanziamento
appoggiati dal Governo nel
corso del New Deal, il
salvataggiodellaChryslerdel
1979, gli interventi in difesa
dei risparmi e dei prestiti del
1989, e anche il salvataggio
delle compagnie aeree del
2001. Allo stesso modo, il
War
Industry
Board
(Consiglio industriale di
guerra), nato sempre durante
laprimaguerramondiale(che
alcuni
partecipanti
ribattezzarono «l’assemblea
cittadina
dell’industria
americana»), diede vita dopo
la guerra a varie associazioni
e consigli commerciali,
coordinatidaHerbertHoover
in qualità di segretario del
Commercio, e in seguito alla
National
Recovery
Administration(NRA,Agenzia
per
la
ricostruzione
nazionale)diRoosevelt.
La NRAreseiprogettidi
pianificazione
industriale
ancora più espliciti. Ogni
settore industriale dovette
istituiredeicodicidicondotta
leale, anche per quel che
riguardava i prezzi e gli
stipendi. Gli stessi leader
commerciali
che
non
perdevano occasione per
condannare il socialismo ne
furonoentusiasti.Lacrisidel
‘29 li aveva lasciati con una
capacità produttiva di gran
lungasuperiorealladomanda,
provocandocosìuncrollodei
prezzi. La NRA gli diede la
possibilità di limitare la
produzione e arrestare il
taglio dei prezzi. La Camera
di Commercio statunitense
affermòentusiastachela NRA
era «la Magna Carta
dell’industria e del lavoro».
Henry I. Harriman, il suo
presidente, dichiarò senza
mezzi termini che il libero
mercato
«deve
essere
sostituito da una filosofia di
pianificazione
economica
nazionale»23 e che la NRA
avrebbe
permesso
alle
industrie
americane
di
liberarsi
dei
«pirati
dell’industria»
e
dei
«tagliaprezzi
senza
scrupoli»24.
Dando
l’opportunità a ogni singolo
settore di fissare prezzi e
stipendi, i codici della NRA
garantivano eque entrate sia
al capitale che al lavoro.
Harrimanesclamòentusiasta:
Dobbiamo sottrarre alla
concorrenza il diritto di
abbassare gli stipendi al
punto in cui non possono
garantire uno standard di
vita
americano,
e
dobbiamo riconoscere che
il capitale ha diritto a
entrate
giuste
e
ragionevoli [...], che [...] i
beni
devono
essere
venduti a un prezzo che
permetta al fabbricante di
pagarelematerieprimeun
giustoprezzo,dipagarelo
stipendio ai suoi uomini e
dioffrireequiutiliaisuoi
investitori.25
La National Association
of
Manufacturers
(Associazionenazionaledegli
industriali),
altrettanto
entusiasta,
progettò
un
modello per controllare i
prezzi e la produzione e lo
offrì a tutte le altre
associazioni di categoria.
Mentreglieuropeiistituivano
cartelli e flirtavano col
socialismo
democratico,
l’Americaandòdrittaalcuore
del problema, creando un
capitalismo democratico in
un’economia
pianificata
direttadagliindustriali.
La NRA non ottenne
l’approvazione della Corte
Suprema, ma le associazioni
commerciali continuarono a
trovaremetodiperlimitarela
produzione e stabilizzare i
prezzi, finché la seconda
guerra
mondiale
non
incrementò la domanda al
punto che il problema
divenne quello di tirare giù i
prezzi piuttosto che tenerli a
galla.
Le
associazioni
continuaronoaoperareanche
in questo contesto più
favorevole. Agivano da
consulenti per il War
Production Board (Consiglio
della produzione di guerra) e
per l’Office of Price
Administration (Ufficio per
l’amministrazione dei prezzi)
e negli anni Cinquanta e
Sessanta si trasformarono in
commissioni
industriali
all’interno dei Dipartimenti
del Commercio, degli Interni
edellaDifesa.
Ilprogettodiriconciliare
fino in fondo la democrazia
colcapitalismosulargascala
nonfumairealizzato,mafua
lungodiscussonelcorsodella
prima metà del XX secolo, e
influenzò la visione di molti
americanisucomesisarebbe
evoluto
il
capitalismo
democratico. Esso consisteva
nel
democratizzare
le
corporation stesse. Già nel
1914 il popolare editorialista
e filosofo Walter Lippmann
aveva esortato i dirigenti
dellecorporationamericanea
mettersiallaguidadell’intero
paese. «Gli uomini addentro
alle [grandi corporation] non
possono evadere il fatto che
lagentesiaspettasemprepiù
che si comportino come
funzionari pubblici [...]. Tutti
i grandi imprenditori con un
minimo di intelligenza se ne
rendono conto. Sempre più
parlano di “responsabilità” e
di “leadership”»26. Nel 1932,
l’avvocatoAdolf A.Berleeil
professore di economia
Gardiner
C.
Means
pubblicarono Società per
azioni e proprietà privata,
unostudiomoltoinfluentesu
comeipiùaltidirigentidelle
piùgrandiaziended’America
non rispondevano del loro
operatoneanchedifronteagli
azionisti ma gestivano le
imprese «nel loro personale
interesse» o impiegavano
«una parte del patrimonio o
dei profitti a proprio
esclusivo
vantaggio»27.
L’unicasoluzione,conclusero
BerleeMeans,eraaumentare
all’internodelpaeseilpotere
di tutti quei gruppi che
subivano le azioni delle
grandi corporation, inclusi i
lavoratori e i consumatori.
Immaginavanoildirigentedel
futuro
come
un
amministratore di grande
professionalità, capace di
bilanciare con imparzialità i
bisogni degli investitori, dei
lavoratori, dei consumatori e
dei cittadini e di ridistribuire
leentratediconseguenza.«Si
può supporre (in realtà
sembra quasi necessario,
perchéilsistemadellesocietà
perazionipossadurare)cheil
“controllo” delle grandi
societàdebbadareoriginead
una teocrazia imperiale, che
valuti i vari interessi dei
diversi gruppi della comunità
e distribuisca a ciascuno una
quota degli utili, basandosi
sull’interesse
pubblico
piuttosto che sulla cupidigia
deisingoli»28.
Negli
anni
del
dopoguerra, come vedremo
presto, i massimi dirigenti
delle più grandi corporation
degli
Stati
Uniti
cominceranno veramente a
considerarsi come degli
“statisti
aziendali”,
responsabili di bilanciare gli
interessi degli azionisti, dei
lavoratori e della gente
comune,
col
sostegno
crescentediquest’ultima.
3
Ognidubbiolatentesulla
compatibilità tra democrazia
e capitalismo su larga scala
venne fugato dall’esplosiva
prosperità
degli
anni
Cinquantaedall’evidenzadel
fatto che la ricchezza veniva
ampiamente
distribuita.
David Lilienthal, uno dei
fautoridelNewDeal,incensò
la
grande
corporation
americana nel suo bestseller
del 1952, Big Business: A
NewEra(Il grande capitale:
una nuova era): «La
Grandezza: ecco cos’è alla
base della nostra superiorità
produttiva e distributiva e
della
nostra
fortuna
economica»29. La rivista
«Fortune», commentando un
sondaggio del 1953 che
mostrava che la maggioranza
degli
americani
era
favorevolealgrandecapitale,
concluse
con
consueta
esuberanza che «le enormi
società per azioni [...] sono
diventate il più importante
fenomeno del capitalismo
della metà del secolo. Il
grande capitale comincia
finalmente a essere accettato
come parte integrale di una
grande economia. Ogni
critica teorica che può essere
mossa contro le grandi
corporation è smentita dai
fatti»30.
L’unico motivo per cui
queste avevano superato il
test era perché il Governo
aveva investito una somma
senza precedenti per tirare la
nazione
fuori
dalla
depressioneeavevaspintole
aziende a ottenere livelli di
produzioni inimmaginabili
fino a poco prima. Ora, alla
fine della guerra, gli
investimenti del Governo
vennero lentamente sostituiti
dalla spesa dei consumatori.
Milionidisoldatitornaronoa
casa per mettere su famiglia,
studiare (pagati dal Governo)
e comprare casa (con prestiti
sovvenzionati dal Governo).
Nel 1950, queste giovani
famiglie prendevano casa a
un ritmo senza precedenti di
quattromila
al
giorno,
riempiendole di asciugatrici,
friggitrici,
condizionatori
d’aria, lavatrici, passeggini e
frigoriferi. E tutti avevano
almenounamacchinanelloro
vialetto. I proprietari di auto
balzarono dai 10 milioni del
1949 ai 24 milioni del 1957.
William J. Levitt comprò
centinaiadiettaridicampidi
patate a Long Island e vi
costruìsopramigliaiadicase,
utilizzando una tecnica di
produzione così economica
che con meno di 10.000
dollari – con una caparra di
1.000eunaratadi70almese
– era possibile comprare una
casa con tre stanze da letto,
un camino a legna, una
cucina munita di forno e
frigorifero e un lotto
panoramicodiventiduemetri
per trenta. In luoghi come
Levittown sparsi in tutta
l’America,legiovanifamiglie
preserod’assaltoisobborghi.
Molte nazioni erano
state sopraffate dalla tirannia
nei decenni precedenti. Negli
Stati Uniti la democrazia
aveva prevalso, e il paese si
congratulava con se stesso
per la capacità del suo
sistema di superare le
avversità. La produzione di
massa su larga scala stava
creando una grande e stabile
classe media come baluardo
della democrazia. La società
che J.A. Hobson aveva
sognato mezzo secolo prima,
incuilaprosperitàfossecosì
diffusa che i frutti della
produzione
di
massa
potessero trovare uno sbocco
sul mercato domestico, era
finalmente realizzata. Gli
americani
vedevano
il
consumo come un gesto
patriottico.
Stando
al
presidente del Council of
Economic
Advisers
(Comitato dei consiglieri
economici) del presidente
Dwight D. Eisenhower, il
“fine ultimo” dell’economia
americana era «produrre più
beni di consumo»31. Era ben
chiarocheilfineultimodella
democrazia americana fosse
quello di creare uno standard
di vita migliore per un
numero sempre maggiore di
americani.
Unaproduzionesularga
scala voleva dire ancora
menogiocatoriincampo,ma
la gente, appagata, non si
preoccupava più del potere
economico delle corporation.
Charles Erwin “Engine
Charlie” Wilson, presidente
della General Motors prima
che Eisenhower lo scegliesse
nel1953comesegretarioalla
Difesa,all’udienzadelSenato
per la conferma del suo
incarico espresse quella che
era oramai l’idea condivisa
daipiù.Quandoglifuchiesto
se sarebbe stato capace di
prendere una decisione
nell’interessedegliStatiUniti
contro gli interessi della
GeneralMotors,risposedisì.
Poi si affrettò a rassicurare i
senatori che nessun conflitto
d’interessisarebbemaipotuto
emergere. «Non riesco a
immaginarlo,perchéperanni
ho pensato che ciò che era
buono per il paese fosse
buono per la General Motors
e viceversa. Non vi era
nessuna differenza. La nostra
aziendaètroppogrande.Essa
dipende dal benessere del
paese»32.
Con la domanda alle
stelle,leaziendechieseroche
i
regolamenti
e
la
pianificazione combinata tra
le industrie e il Governo
venissero allentati. Inoltre, le
aziende più grandi erano
cresciute a tal punto che
potevano stabilizzare i prezzi
e
la
produzione
semplicemente
prendendo
accordi con altre due o tre
grandi aziende del settore (o,
per usare il linguaggio più
tecnico e meno allarmante
dell’economia, attraverso un
“coordinamento
oligopolistico”).L’acciaioera
controllato da tre giganti del
settore: United States Steel,
Republic e Bethlehem;
l’industria degli impianti e
delle
apparecchiature
elettriche da due: General
Electric e Westinghouse. Nel
campo della chimica di base,
erano tre: DuPont, Union
Carbide e Allied Chemicals.
L’industria
del
cibo
processato era dominata da
tre aziende: General Foods,
QuakerOatseGeneralMills.
R.J. Reynolds, Liggett &
Myers e American Tobacco
controllavano l’industria del
tabacco; General Electric e
Pratt & Whitney quella dei
motoriapropulsione;General
Motors, Ford e Chrysler
quelladelleautomobili.Nella
nascente industria televisiva,
la facevano da padroni tre
network: NBC, CBS e ABC.
Consolidamentidiquestotipo
ebbero luogo lungo tutto il
vasto orizzonte dell’industria
americana.
Alla fine degli anni
Cinquanta,laricostruzionein
Europa e in Giappone era
quasi ultimata. Nonostante
questo, l’America ricopriva
ancora circa il 60% della
produzionedeisettemaggiori
paesi capitalisti. L’industria
manifatturiera
americana
produceva all’incirca il
doppio
(per
ciascun
lavoratore impiegato) di
quella britannica, il triplo di
quellatedescaenovevoltedi
più di quella giapponese33.
Una
delle
cose
più
sorprendenti era che meno di
cinquecento aziende erano
responsabili di quasi metà
dell’intera
produzione
industriale americana (che
allora ammontava a circa un
quarto della produzione di
tutto il mondo libero) e
impiegavanopiùdiunquinto
di tutti i lavoratori non
agricoli34. Queste aziende
possedevano all’incirca tre
quarti
del
patrimonio
industriale
nazionale
e
incidevano per il 40% dei
profitti delle corporation
nazionali.LaGeneralMotors,
la più grande azienda
manifatturieradelpianeta,nel
1955 generava da sola il 3%
di tutto il prodotto interno
lordoamericano,eall’incirca
l’equivalente
dell’intero
prodottointernolordoitaliano
all’epoca. La Standard Oil of
New Jersey (uno dei pezzi
della vecchia Standard Oil
Company) e la AT&T
generavano entrambe introiti
superiori a quelli della
Danimarca.
Questi giganti riunivano
intorno a sé varie migliaia di
grandi, ma non immense,
corporation in qualità di
clienti o di fornitori e alcune
società di servizi, come
banche,
società
di
assicurazione,
società
ferroviarie e rivenditori
all’ingrosso quali Sears,
Montgomery Ward e J.C.
Penney. Intorno a queste si
muovevano a loro volta
centinaia di migliaia di
aziende
più
piccole
specializzate in specifiche
nicchie di mercato. Il resto
dell’economia
privata
sorgeva lungo i marciapiedi
delle strade d’America –
negozi al dettaglio, ristoranti,
barbieri,alberghi,studilegali
– o nelle sempre più esigue
fattorie del paese. A
differenza
dei
grandi
oligopoli, queste aziende
perifericheeranopiùsensibili
ai capricci del mercato.
Dovendo fare i conti con la
continua incertezza della
concorrenza,iloroproprietari
e
datori
di
lavoro
conducevano una vita molto
più precaria di quella dei
dirigenti
delle
grandi
corporation.
Le corporation più
grandi non potevano correre
il rischio della concorrenza.
La loro produzione doveva
essere pianificata con grande
anticipoeconlasicurezzadi
venderla a un prezzo
prestabilito.Ilcoordinamento
e la programmazione erano
fondamentali. La «tecnologia
[della produzione di massa],
col suo impegno comune di
tempo e capitale, necessita
cheibisognidelconsumatore
vengano anticipati, di mesi o
anchedianni»,spiegavaJohn
Kenneth Galbraith, uno dei
pochi economisti del tempo
che capì il sistema di
pianificazione
delle
corporation. La grande
corporation, quindi, «deve
esercitare un controllo sulle
vendite [...]. Deve sostituire
al mercato la pianificazione
[...]. Gran parte di ciò che
l’impresa
considera
pianificazione consiste in
effetti nel minimizzare o
nell’evitare l’influenza del
mercato».35 Le immense
corporation americane della
metà del secolo possedevano
necessariamente un enorme
potere
economico,
che
esercitavano con notevole
discrezionalità.
Una
pianificazione
efficace richiedeva che tutti i
processi produttivi fossero
organizzati con precisione e
ben programmati, affinché
ogni passo potesse essere
sincronizzato con l’altro.
L’organigramma
era
delineato come una precisa
catena di comando. Le
decisioni chiave venivano
prese dai quadri dirigenti. La
loroesecuzioneeraaffidataa
responsabili di medio livello
(quasi sempre uomini),
ognuno dei quali esercitava
un controllo limitato sui
responsabilidibassolivelloe
sui capi divisione. Per ogni
prodottoprincipalevierauna
divisione e una gerarchia.
Tutti i ruoli d’ufficio e della
catena di montaggio erano
classificati secondo un rigido
ordine burocratico. Regole e
procedure operative standard
determinavano chi doveva
fare cosa e come. Non ci si
aspettava che la maggior
partedegliimpiegatipensasse
con la propria testa, se non
all’internodiparametrimolto
ristretti. In molti casi un
pensiero autonomo poteva
mettere a repentaglio l’intero
piano.
Nonostante
la
preparazione e l’esecuzione
meticolosa, i piani non
sempre riuscivano. La Edsel
della Ford divenne famosa
per il buco nell’acqua che
fece. Ma il successo era la
norma e la norma consisteva
nell’evitare ogni rischio
inutile, che di solito voleva
dire accantonare le novità a
favore di variazioni su
prodotti e servizi che già si
erano dimostrati di successo.
Un sistema di questo tipo
producevapocheinnovazioni.
La General Motors, per
esempio, nel 1965 vendette
piùdiunmilionediesemplari
della Chevrolet Impalas, ma
lamacchinanonoffrivaquasi
niente in più rispetto ai
modelliprecedentioaquello
che
proponeva
la
concorrenza.Selatecnologia
base della combustione
interna rimase immutata per
anni, i Tre Grandi (Big
Three) si concentrarono sullo
stile e sul comfort delle loro
automobili. Aggiunsero il
servofreno, il servosterzo, il
finestrino
elettrico,
il
condizionatore d’aria e
motori più grandi e potenti.
Le pinne divennero più
lunghe
e
le
luci
raddoppiarono. (Un effetto
che all’epoca venne a
malapena notato fu un calo
nel numero di chilometri per
litro tra gli anni Cinquanta e
glianniSessanta).
Ancheseilcapitalismoe
il comunismo erano ritenuti
agliantipodil’unodell’altro,i
sovieticiimplementaronouna
loro forma di pianificazione
con una determinazione e un
successo non dissimili. Le
grandi economie su larga
scala ben si confacevano ai
piani quinquennali sovietici.
Così
come
l’economia
americanasieraripresadopo
laguerra,anchelaproduzione
industriale sovietica si era
impennata. La produzione di
acciaio crebbe al ritmo del
9%l’annopertuttaladecade
degli anni Cinquanta. Tra il
1960eil1973,lacrescitapro
capite nell’Unione Sovietica
era circa del 3,4% l’anno,
mentre negli Stati Uniti si
aggirava intorno al 3% e in
Europa al 4,4%36. Durante la
presidenza di John F.
Kennedy, Nikita Chrusˇcˇëv
poteva vantarsi, a ragione,
chealritmoconcuicresceva
la sua economia, questa
avrebbe superato quella
americana
vent’anni.
nel
giro
di
4
Negli Stati Uniti, il
grande capitale trovò il suo
corrispondente
nel
sindacalismo di massa; il
primo generò il secondo. Gli
accordi che le due parti
trovarono sugli stipendi e
sulle condizioni di lavoro
dettaronoleregoledell’intero
sistema
economico,
ridistribuendo i benefici
dell’alta
produttività
e
contribuendo alla crescita
della borghesia americana. Il
lororapportosarebbestatoun
elemento
centrale
del
capitalismo democratico nel
corso dell’età non proprio
dell’oro.
L’ascesa
del
sindacalismo
non
fu
semplice. Ebbe certamente i
suoi personaggi battaglieri –
John L. Lewis della United
MineWorkers(UMW),Walter
Reuther della United Auto
Workers (UAW),
Philip
Murray
della
United
Steelworkers(USW)–macosì
come per l’ascesa delle
grandicorporation,lacrescita
del sindacalismo ebbe più a
che fare con cambiamenti
strutturali nell’economia che
conlefigurecarismaticheche
riempivano i giornali. Nei
primi anni del XX secolo, la
Corte
Suprema
aveva
deliberato che gli accordi tra
lavoratori sotto la bandiera
del sindacato violavano le
leggi antitrust del paese.
Anche se la legge antitrust
proibiva gli accordi che
limitavano
gli
scambi
commerciali,laCorteagìcon
notevole cinismo, dato il
crescente potere economico
dellegrandicorporation.Man
mano che quel potere
cresceva,
i
lavoratori
intensificarono comunque i
lorosforziorganizzativi.
DopocheilWagnerAct
nel1935legittimòfinalmente
la contrattazione collettiva, i
sindacati
crebbero
notevolmente. La General
Motors riconobbe la United
Auto
Workers
come
rappresentante dei propri
operaielaUnitedStatesSteel
fece lo stesso con la United
Steelworkers. Lo fecero non
solo perché la legge
riconosceva i sindacati, ma
per molti degli stessi motivi
per cui le grandi corporation
non avevano opposto una
gran
resistenza
all’introduzione del Wagner
Act. Entrambe vedevano
nella contrattazione collettiva
un mezzo per mantenere una
forza lavoro stabile e
minimizzare
eventuali
disturbi, presupposti chiave
perlaproduzionedimassa.
Durante la seconda
guerra mondiale, le fila del
sindacato crebbero fino a 14
milioni di iscritti. Le grandi
aziende non si opposero più
di tanto. Stavano mietendo
enormi
profitti,
principalmente grazie ai
contratti governativi. In
quelle circostanze, un aperto
conflitto con i sindacati
sarebbe stato fuori luogo. I
lavoratori, da parte loro, si
impegnarono
a
non
scioperare, cosa che sarebbe
statavistacomeunattopoco
patriottico.
All’indomani
della
guerra, però, i sindacati
reclamarono la loro fetta di
torta. L’industria americana
era ingrassata sui proventi
della guerra, ma lo stipendio
del lavoratore americano
medio era rimasto immutato
per anni. Un’autorevole
ricerca nel 1945 della
University of California (a
nome del dottor Walter
Heller, che in seguito diresse
il Council of Economic
Advisers
durante
le
amministrazioni di John F.
Kennedy e Lyndon Johnson)
trovò che la famiglia
americana media aveva
bisogno di circa 50 dollari
alla settimana per mantenere
uno «standard di vita
decente» ma che l’operaio
medio ne guadagnava solo
40.98 alla settimana (45.60
nel settore siderurgico; 44.81
in quello automobilistico;
41.25 nel comparto elettrico;
23.75 nell’abbigliamento).37
William H. Davis, allora
direttore dell’Office of
Economic Stabilization del
Governo,
stimò
che
l’industriaraccoglievaprofitti
tali da potersi permettere di
aumentare gli stipendi del
40% o anche del 50% senza
alzare i prezzi. Il presidente
Harry S. Truman, che
riteneva di avere abbastanza
problemi per le mani senza
immischiarsi nelle dispute
sindacali, rigettò la stima di
Daviselolicenziòintronco.
Il
presidente
del
sindacato dei siderurgici,
Philip Murray, denunciò i
miliardi di dollari raccolti
dalleaziendesiderurgichenel
corso della seconda guerra
mondiale e i quasi 750
milioni di dollari elargiti ai
loro azionisti, a fronte dei
miseri stipendi offerti agli
operai. Il presidente della
UAW, Walter Reuther, chiese
alla General Motors di
agganciare i salari degli
operai alla «disponibilità
economica» del gigante delle
auto. Durante una celebre
seduta di contrattazione, la
cui trascrizione fu resa
pubblica, Reuther minaccio
che «a meno che non
otteniamo una distribuzione
più realistica delle ricchezze
del paese, non avremo
abbastanzasoldipertenerein
vita questa macchina».
Reuther tirò in causa una
questione che trascendeva la
specifica trattativa. Egli si
riferiva
ai
lavoratori
americani in generale, e
all’urgenza evidente di
condividereconloroiprofitti
delle grandi aziende affinché
potessero
comprare
macchine, utensili da cucina,
radio, lavatrici e stipulare le
polizze sulla vita che
l’industria
americana
riversava sul mercato. Fu un
momento chiave nella storia
del
sindacato
e
del
capitalismo democratico, ma
l’avvertimento di Reuther,
nell’immediato, non portò a
un dialogo particolarmente
costruttivo:
GM: Non può affermare
queste cose [...] senza
rivelare le sue tendenze
socialiste.
REUTHER:
Se
combattere
per
una
distribuzione giusta ed
equa delle ricchezze di
questo paese è un’idea
socialista, allora sono
colpevole di essere un
socialista.
GM:Ècondannato.
REUTHER: Mi dichiaro
colpevole.
La minaccia di Reuther
– non solo lo sciopero della
UAW ma il fatto che a meno
cheiprofittidellecorporation
non
fossero
stati
maggiormentecondivisiconi
lavoratori,
questi
non
sarebbero stati in grado di
consumare i prodotti delle
aziende americane – toccò
unacordasensibile.Spinsela
GM a realizzare una serie di
pubblicità a tutta pagina sui
maggiori giornali americani
incuidelineavalasuavisione
filosofica:
LA QUESTIONE È
QUESTA:
L’industria
americana deve essere
basata
sulla
libera
concorrenza, oppure è
destinata
a
essere
sottoposta a una visione
socialista; controllata e
irreggimentata in ogni sua
attività? [...]. L’America è
a un bivio! O difende la
libertàdiognicomponente
dell’industriadidecidereil
proprio destino, o sceglie
di affidare a qualche
burocrazia o agenzia
statale, o a un sindacato,
quelle
responsabilità
amministrative che sono
alla base dell’economia
americana!38
Le
corporation
americane fecero muro; i
sindacati reagirono: nel 1946
più di due milioni di operai
dei settori automobilistico,
siderurgico, elettrico e della
carne scioperarono. Truman
non ebbe altra scelta che
immischiarsi nella faccenda.
Istituì una commissione
d’indagine che dimostrò che
il costo della vita era
aumentatodicircail33%dai
tempi prima della guerra,
mentre il congelamento degli
stipendi in tempo di guerra
aveva limitato al 15% gli
aumenti per il lavoratore
medio. La commissione
esortò
l’industria
ad
aumentare gli stipendi del
33% rispetto a quelli del
gennaio1941.Idirigentidelle
corporation, pur riluttanti,
accettarono.
Le conseguenze furono
benmenogravidiquelloche
temevano. Poiché tutte le
aziendepiùgrandi,pressoché
in ognuno dei settori
industriali
principali,
dovettero fare le stesse
concessioni, nessuna azienda
o industria soffrì uno
svantaggio competitivo in
patria, e senza dover temere
ancora
la
concorrenza
all’estero. Le più grandi
aziende dei vari settori già
coordinavano i prezzi e la
produzione; coordinare gli
stipendi risultò una faccenda
piuttostosemplice.Isindacati
avevano fatto tutte le mosse
giuste: organizzandosi per
settore – tra cui quello
automobilistico,
aereo,
chimico,
elettrico,
dell’acciaio, della gomma e
dei cantieri navali –
emularono gli oligopoli già
esistenti, minimizzando il
costo di ogni singola azienda
nell’accettare le richieste del
sindacato.
Inoltre,
i
mercati
crescevano in fretta. Grazie
alla crescita costante delle
economie di scala, cresceva
anche la produzione, facendo
sì che gran parte dei beni
fossero prodotti a un prezzo
più basso rispetto al passato,
nonostante stipendi più alti
per gli operai. I dirigenti
aziendali, poi, sapevano bene
che, se necessario, gli
aumenti del costo della forza
lavoro potevano essere
scaricati sui consumatori
sottoformadiprezzipiùalti.
Iconsumatori,dopotutto,non
avevano molta scelta. E
infine,piùdiognialtracosa,i
dirigenti ora si rendevano
pienamente conto delle
conseguenze
che
uno
scioperooun’interruzionedel
lavoro potevano avere sul
ciclo della produzione di
massa.
Spesso
era
semplicemente
più
conveniente assecondare le
richiestedeisindacati.
«Quando
hai
un’industria e un sindacato
solidi, arrivi al punto in cui
scioperarenonhapiùsenso»,
osservò ironicamente George
Meany, presidente della
Federazione Americana del
Lavoro e dell’Associazione
delle
Organizzazioni
Industriali(AFL-CIO)39.
Le
tensioni
si
allentaronoquasideltuttonel
corso degli anni Cinquanta.
Aumentarono sia gli stipendi
che le cosiddette indennità
accessorie. Queste ultime
divennero un elemento
sempre più centrale delle
buste paga degli operai
americani. Nel 1950, il 10%
dei contratti sindacali offriva
pacchetti pensionistici e il
30%
includeva
l’assicurazione
sanitaria.
Cinqueannipiùtardi,il45%
delle medie e grandi aziende
garantivaailorodipendentila
pensioneeil70%offrivaloro
una gamma di assicurazioni
sulla vita, sugli infortuni e
sullasalutecheincludevanoil
ricovero in ospedale e la
maternità. Benefici di questo
tipo erano allettanti sia per i
datori di lavori che per i
dipendenti perché, sebbene
equivalenti a un’entrata
economica, non erano tassati
come tali, e di conseguenza
erano di fatto sovvenzionati
daicontribuentiamericani.In
quegliannipochicompresero
che il paese si stava
imbarcando in una nuova
formadiassicurazionesociale
agganciata al lavoro e
sovvenzionata dallo Stato.
Alla fine del XX secolo,
questaavevaraggiuntolivelli
stupefacenti. La spesa delle
corporation per le pensioni e
l’assicurazione sanitaria dei
loro dipendenti, sostenuta
indirettamente dal Governo,
ricopriva una percentuale
dell’economia
nazionale
grande quanto la spesa
governativa diretta per le
pensioni e l’assicurazione
sanitaria degli altri paesi
avanzati40.
Gli
accordi
sindacali
arrivarono
a
includere
aggiustamenti
automatici per il costo della
vita, in base ai quali gli
stipendisalivanodiparipasso
con l’inflazione. Anche le
vacanze pagate divennero la
norma.
Sussidi
di
disoccupazionesupplementari
(oltre a quelli forniti
dall’assicurazione
per
disoccupazione del Governo)
garantivano ai lavoratori uno
stipendiopienoanchequando
venivano licenziati sull’onda
diunaflessioneeconomica.
Nel1955,piùdiunterzo
dei lavoratori americani era
iscritto a un sindacato. Una
larga parte di quelli che non
erano iscritti ricevevano
stipendi e benefici simili a
quelli
dei
lavoratori
sindacalizzati, poiché i datori
di lavoro non volevano
portare i sindacati laddove
non ve n’erano. Anche le
aziende
più
piccole
aspiravano a offrire ai loro
dipendenti quelli che gli
economisti
definivano
stipendi
e
benefici
“dominanti”,alfinediattirare
etenereconséilavoratoridi
cuiavevanobisogno.
I sindacati divennero
anche una significativa forza
politica. Le rappresentanze
locali, unite in federazioni
statali e nazionali, suddivise
per settore o incorporate
nell’AFL-CIO, lottarono con
successo per far alzare il
minimo sindacale (facendo
cosìsaliretuttiglistipendial
di sopra del minimo),
allargare la previdenza
socialeecreareilMedicare41.
«Il nuovo leader sindacale
appartiene a una classe
nuova», commentò la rivista
«Fortune».«Riceveunbuono
stipendio. È una figura
pubblica. Gode di un ruolo
importantenellasocietà»42.Il
sindacalismo di massa entrò
così a far parte del sistema
economico americano a
fianco del grande capitale.
Non più un movimento
sociale, il sindacato era ora
un elemento affermato del
capitalismo democratico, e
condividevaconleaziendeil
merito e la responsabilità
della crescente prosperità
sociale.
5
E che prosperità. Dalla
fine della seconda guerra
mondialeallametàdeglianni
Settanta, i salari e i benefici
dei lavoratori americani
crebberoinmediatrail2,5%
e il 3% l’anno, di pari passo
allacrescitadellaproduttività.
Tra il 1947 e il 1973, le
entrate reali della famiglia
americana
media
raddoppiarono, così come
raddoppiò il valore di quello
che produceva il lavoratore
americano medio. Se pochi
divennero
enormemente
ricchi,lagrandemaggioranza
degli americani viveva
meglio di quanto avesse mai
fatto. E lavorava meno ore,
man mano che il paese
andava verso la settimana
lavorativadicinquegiorni.
La prosperità e la
crescita del ceto medio
americano fu uno dei
maggiori
successi
del
capitalismo democratico. A
metà degli anni Cinquanta,
quasi il 50% delle famiglie
americane vi rientrava, nel
senso che guadagnavano,
detratteletasse,trai4.000ei
7.500 dollari l’anno. Gran
parte di quelle famiglie non
aveva alla sua testa
professionisti o dirigenti
d’azienda,
ma
operai
semispecializzati e impiegati,
che amministravano il flusso
della produzione o il lavoro
d’ufficio
delle
grandi
corporation. Molti di quelli
che portavano il pane a casa
erano uomini e mariti; gran
parte delle donne di quel
vasto e crescente ceto medio
nonlavorava.
Le
disuguaglianze
economiche
diminuivano
sempredipiù.Nel1928,l’1%
della fascia più alta dei
percettori di reddito si
portava a casa il 19% del
totale delle entrate personali,
tasse escluse. Nel 1950, le
entrate della fascia più alta
ammontavano al 7% del
totale43. Anche le tasse al
netto delle imposte erano più
equilibrate.
Sotto
la
presidenza repubblicana di
Eisenhower, i maggiori
percettoridiredditopagavano
un’aliquota
marginale
dell’imposta sul reddito del
91%. Sotto la presidenza
democraticadiKennedy,poi,
questasceseal78%,unacifra
comunque significativa. Le
tasse alte non sembravano
ostacolare l’economia, che
insieme alla produttività
continuava
a
crescere
inesorabilmente.
Un testo universitario
del 1956 intitolato The
American Class Structure
sottolineava quanto fossero
diminuite le divisioni di
classerispettoaglianniVenti.
«Tutti sono dipendenti, non
proprietari. Il loro ruolo
all’interno
del
sistema
dipende
dalle
regole
burocratiche di entrata e di
promozione». L’autore, il
sociologo Joseph Kahl,
osservò che, con l’innalzarsi
dei salari ai piani più bassi
della scala aziendale e la
limitazione dei salari ai piani
più alti per via di ruoli che
assomigliavano sempre più a
quelli
della
pubblica
amministrazione,
le
burocrazie aziendali stavano
livellando sempre più le
entrate. «La tendenza nella
distribuzione del reddito»,
concluse Kahl, «è diretta
versounacrescenteriduzione
delle
disuguaglianze.
I
proprietari percepiscono una
fetta delle entrate sempre
minore in relazione ai
dipendenti; i professionisti e
gliimpiegatistannoperdendo
alcuni dei vantaggi che
avevano
rispetto
agli
operai»44.
Ipostidilavoro,inoltre,
eranodigranlungapiùstabili
che nei decenni precedenti:
un’altra conseguenza della
sindacalizzazione e della
rigida struttura oligopolistica
chelimitavalaconcorrenzae
l’innovazione a favore di
un’economia di scala. In un
sondaggiodel1925,dueterzi
dei dirigenti di alto livello
intervistati stavano nella
stessa azienda da più di
vent’anni45. Le carriere e gli
stipendi di questi «uomini
dell’organizzazione»,
per
usare la felice definizione
adottata
dal
sociologo
William H. Whyte Jr in un
bestseller
dell’epoca,
divennero preordinati e
controllatiquantoquellidelle
loro controparti in colletto
blu. I giovani impiegati che
intervistò espressero quello
cheerailsentimentocomune
di quegli anni: «Sii fedele
all’azienda e l’azienda sarà
fedele a te» (corsivo
nell’originale). «In genere, i
giovani accarezzano la
speranza[...]diinstaurarecon
l’Organizzazione dei rapporti
aventi carattere di stabilità»,
scriveva Whyte. La logica
della fiducia reciproca era
basata sull’idea che «le
grandiimpresecondividono[i
punti di vista dei giovani]»46.
Un fatto ancora più
importante (che Whyte non
colse affatto) era che la
struttura
dell’economia
permetteva e incoraggiava
questotipodirapporto.
Il salario netto degli
impiegatidipendevapiùdagli
anni passati nell’azienda che
dai loro sforzi individuali.
Allo stesso modo, anche i
contratti
sindacali
prevedevano un aumento del
salariocolpassaredeglianni.
Questa traiettoria ascendente
facilmente prevedibile non
soloaiutavalegrandiaziende
a programmare i costi di
produzione; aiutava anche le
famiglie a pianificare il loro
futuro. Il “grado” degli
stipendi partiva a livelli
modesti, quando il nucleo
familiare era ancora ristretto,
e cresceva man mano che
crescevano le famiglie. I
dipendenti stipulavano mutui
eprestiticonlacertezzaquasi
assolutachesarebberostatiin
gradodiestinguerli.Potevano
cambiare regolarmente sia la
casa che la macchina. A
sessantacinque anni, con alle
spalle quarant’anni o più
passati
nell’azienda,
il
dipendentemedioricevevaun
orologio d’oro o una spilla e
una modesta ma prevedibile
pensione aziendale con cui
vivere per il resto della sua
vita.
“Il resto”, a quei tempi,
non durava molto. Non era
un’età dell’oro in termini di
longevità.
I
pensionati
potevano sperare al massimo
in altri cinque o sei anni di
partite a carte coi vecchi
amici e pranzi coi nipotini
primadimoriresoddisfattidi
aver vissuto una vita
perfettamenteprevedibile.
Non era un’età dell’oro
neanche in termini di pari
opportunità. L’America degli
anniCinquantaeSessantaera
ancora attraversata da gravi
disuguaglianze. La fascia più
povera della popolazione era
quasi invisibile al resto della
nazione. I neri erano
esplicitamente
o
implicitamente relegati a
cittadini di seconda classe e
spesso costretti a svolgere
lavori inferiori. Poche donne
osavanoaspirareaprofessioni
che non fossero quella di
insegnante, infermiera o
hostess. Sarebbe passato
ancoraunpo’ditempoprima
che queste barriere venissero
abbattute, nonostante il
crescente
numero
di
americanicheentravanonelle
fila della burocrazia stabile e
standardizzata
delle
corporation americane. A
ogni modo il paese aveva
intrapresounanuovastrada–
fatta di lavori sicuri e ben
pagati all’interno di una
struttura
che
ripartiva
generosamente i frutti della
crescitaeconomica–ecreato
un ceto medio abbastanza
vasto
da
rendere
il
capitalismo democratico un
sistemamoltopiùinclusivo.
6
I politologi del tempo
cercaronodidescrivereiltipo
di democrazia che negli anni
si era sviluppata in America
con termini astratti come
«pluralismo dei gruppi di
interesse», per delineare un
sistema che, pur non
conformandosi ai modelli
classici di democrazia diretta
o rappresentativa, riusciva
ancoraasoddisfareidesideri
eleaspirazionidellamaggior
parte dei cittadini47. C’era un
certo autocompiacimento in
tutto questo, ma anche una
realevolontàdicapireperché
la democrazia americana
aveva avuto un tale successo
a fronte, altrove, delle derive
socialiste,
comuniste
e
totalitariedeimodernisistemi
industriali.
La
democrazia,
sostenevano,
è
una
mediazione continua tra
gruppiinconcorrenzatraloro
ma intrecciati l’uno all’altro.
«La
principale
forza
equilibratrice in una società
multi-gruppo come quella
statunitense», scriveva lo
scienziato politico della
University of Columbia,
David Truman, nel suo
autorevole trattato del 1951,
The Governmental Process,
consiste nell’«appartenenza
comune a più gruppi di
interesse»48.
Truman
sosteneva che la maggior
parte
degli
americani
apparteneva a uno o più di
questi
gruppi
(club,
associazioni, partiti politici,
sindacati), il cui scopo era
rappresentare
ai
leader
politici le istanze dei propri
membri. Questi gruppi,
spesso
sovrapposti,
rendevano
stabile
la
democraziaefacilitavanoallo
stesso tempo cambiamenti
pacifici.
Lo
scienziato
politico di Yale, Robert A.
Dahl,nelsuoPrefazionealla
teoria democratica del 1956,
suggerì che la democrazia
aveva trionfato negli Stati
Unitienonaltroveperchéqui
avevaabbracciatounmaggior
numero di gruppi, ognuno
una minoranza politica a sé.
Poiché questi dovevano
necessariamente
formare
delle
coalizioni
per
raggiungereiloroobiettivi,il
sistema nella sua interezza
rimase flessibile e sensibile
alle richieste dal basso. Il
risultato non fu né un
dominio della maggioranza,
né uno della minoranza, ma
un
«dominio
delle
minoranze»49. Quando Dahl
studiò la tipica città
americana (New Haven,
Connecticut),scoprì,com’era
prevedibile, che gran parte
dei cittadini era esclusa dal
processopolitico.Ilcontrollo
effettivo era nelle mani di
élite concorrenti, molte delle
quali auto-elette. Ma a meno
che non rappresentassero al
megliogliinteressidellaloro
gente, rischiavano di perdere
quest’ultimapermanodialtre
élite.
Era
una
teoria
rassicurante che ometteva
alcuni
dettagli
meno
rassicuranti,comeilfattoche
i gruppi di interesse non
gareggiavano
automaticamente su un
terreno eguale, o che
ignoravano quasi sempre le
fasce più povere della
popolazione. È certamente
vero, però, che nell’età non
proprio dell’oro i politici
prestavano
una
grande
attenzionealleélitelocali–le
piccole
aziende
che
componevano la camera di
commercio
locale,
per
esempio
–
o
alle
organizzazioninazionaliicui
membri erano attivi nelle
sezioni
locali,
come
l’American Legion50, il Farm
Bureau51 e le sezioni dei
sindacati. A differenza delle
lobby di “interesse pubblico”
di oggi, che passano le
giornate a spedire lettere dai
loro piccoli uffici di
Washington
sollecitando
contributi ai fedeli sparsi in
giro per il paese, questi
gruppi erano abbastanza
radicatisulterritoriodapoter
effettivamente influire sulle
scelte
dei
legislatori.
L’American Legion, per
esempio, riuscì da sola a far
passarenel1944il GIBill,un
progetto di legge che
garantiva
un’educazione
secondaria quadriennale e
mutui
e
finanziamenti
agevolati a tutti i veterani di
ritornoacasa52.
Ipolitologitralasciarono
un
altro
elemento,
ugualmente importante per
comprendere
come
il
capitalismo
democratico
ridistribuisse i frutti della
crescita economica. A fatica,
il governo federale era
riuscito a creare nuovi centri
di potere economico che
controbilanciavano l’enorme
potere
delle
grandi
corporation.Isindacati,come
abbiamo visto, riuscirono a
legalizzare la contrattazione
collettiva.Ipiccoliagricoltori
ottennero un intervento
stataleasostegnodeiprezzie
una voce in capitolo nelle
decisioni di politica agricola.
Lecooperativeagricole,come
i sindacati, conseguirono
l’esenzione
dalle
leggi
antitrust. I piccoli negozianti
ottennero una protezione
dalle grandi catene attraverso
leggisul“commercioequo”e
il Robinson-Patman Act, che
imponeva ai fornitori di
offrireglistessiprezziatuttii
rivenditori, indifferentemente
dalle loro dimensioni, e
vietavaallecateneditagliare
i prezzi (Wal-Mart non
avrebbe avuto scampo). Allo
stesso tempo, alle grandi
catenefupermessodiriunirsi
in grandi organizzazioni
nazionali nonostante le leggi
antitrust, contrastando così il
potere di mercato dei grandi
produttori.
I
piccoli
investitori
ottennero
numerose protezioni sotto il
Securities and Exchange Act
(Legge sulla borsa valori). E
così lungo tutta la catena
dell’economia. John Kenneth
Galbraith,
con
tono
d’approvazione, lo definì
«potere
compensativo»53.
«Data
l’esistenza
nell’economia di un potere
privato di mercato», scrisse,
«lo sviluppo del potere di
equilibriorafforzalacapacità
dell’economia
di
autoregolarsi
autonomamente,eriducecosì
la misura totale di controllo
governativo
o
di
pianificazione necessari o
desiderati»54.
Oggi sappiamo che vi
erainballopiùdellasemplice
stabilità economica. I nuovi
centri di potere economico
diedero al sistema emergente
anche gran parte della sua
stabilità
politica55.
Ridistribuendo i frutti della
crescita tra gruppi che
altrimenti ne avrebbero visti
pochi o nessuno, e dando a
questi voce, i nuovi centri di
potere
economico
rafforzarono il capitalismo
democratico. I politologi
dell’epoca
notarono
correttamente che i politici
erano sensibili a coloro che
sapevano ben organizzare e
comunicaregliinteressilocali
(lepiccoleaziende,iveterani,
i medici e, sempre più, gli
anziani, per esempio). Non
colsero però il quadro più
grande: la democrazia aveva
permesso ad altri gruppi (i
lavoratori sindacalizzati, gli
agricoltori, i fornitori, i
rivenditori e i piccoli
investitori)
di
curare
direttamenteipropriinteressi
economici.
7
La preoccupazione degli
Stati Uniti nei confronti
dell’Unione Sovietica nel
corso di questi anni –
l’apparente
sfida
tra
capitalismo e comunismo,
che in realtà era più una
competizionetratotalitarismo
e democrazia – servì da
giustificazione per una serie
diinterventipubblicisularga
scala.Lariduzionepressoché
diogniaspettodellapoliticaa
una questione di “difesa
nazionale”
sembrava
giustificare automaticamente
grandi spese di denaro
pubblico. Il contributo dello
Sputnik al sistema scolastico
americano, per esempio, fu
chiamato National Defense
Education Act (Legge a
favore dell’educazione di
difesa nazionale), il cui
scopo, ufficialmente, era
quellodiformareunmaggior
numero di scienziati e
ingegneri che potessero
competere coi sovietici. Una
delle conseguenze fu quella
di creare una generazione di
ricercatori e insegnanti
all’avanguardiainmoltedelle
tecnologiechesarebberostate
al
centro
dell’industria
americana.
Il
National
Interstate and Defense Act
(Legge nazionale a favore
delle autostrade e della
difesa) – più di 60.000
chilometri di autostrade a
quattro
corsie
che
rimpiazzarono le vecchie
strade federali a due corsie
cheattraversavanomoltecittà
e paesi – fu giustificata dal
Congressoconlanecessitàdi
dover
trasportare
più
facilmente le munizioni da
unaparteall’altradelpaesein
caso di guerra. In pratica,
questo
incrementò
notevolmente la produzione
nazionale,riducendodimolto
il costo del trasporto e della
distribuzione di beni nel
paese, promuovendo la
venditadinuoveautomobilie
generandounrapidosviluppo
delleperiferie.
Eisenhower mise il
paese in guarda dai pericoli
del «complesso militareindustriale», ma non parve
comprendere
la
sua
importanzanelcrearepostidi
lavoro e stabilizzare l’intera
economia. Nel corso degli
anni Cinquanta e Sessanta,
circa cento corporation
ricevettero i due terzi di tutti
gli appalti per la Difesa, in
termini economici. Molte di
queste enormi aziende erano
sindacalizzate,
il
che
significava che i lavoratori si
spartivano un’ampia fetta
della torta. Nel 1959, il 20%
di tutta la forza lavoro non
agricola della California
lavorava direttamente o
indirettamente per le grandi
aziende della Difesa. Nello
Stato di Washington, la
percentualearrivavaal22%.
Gli appalti per la Difesa
stimolaronoanchelosviluppo
di tecnologie che avrebbero
giocato un ruolo centrale nel
campo aerospaziale e delle
telecomunicazioni. I miliardi
didollaridedicatiallaricerca
e allo sviluppo di complessi
strumenti bellici portarono
alla creazione dei primi
transistor, che poi sarebbero
andati a finire nei computer;
delle fibre ottiche, che poi
avrebbero
formato
l’“autostrada” informatica di
Internet; dei laser, che un
giorno avrebbero rimodellato
ibulbiocularidellagente;dei
motori a propulsione, che
avrebberopermessoagliaerei
di linea di viaggiare per
decine di migliaia di
chilometri senza sosta; e di
un’ampia
gamma
di
misuratori di precisione,
strumenti di rilevazione e
gadget
elettronici
che
avrebbero
trovato
applicazione in migliaia di
prodotti
e
servizi
commerciali. Come vedremo
neicapitoliseguenti,moltedi
queste tecnologie, e le
aziende e le industrie che ne
facevano uso, contribuirono
infine alla distruzione dello
stabile,oligopolisticosistema
americano.
GliStatiUnitidellametà
del secolo scorso non erano
una nazione commerciale.
Pochi dei paesi recentemente
devastatidallaguerraeranoin
grado di vendere qualcosa
agli americani o di comprare
buona parte delle cose che
questi ultimi vendevano. Nel
1960,ancorasoloil4%delle
automobili comprate dagli
americani era costruito fuori
dagli Stati Uniti, solo il 4%
dell’acciaio usato dagli
americanivenivadall’esteroe
meno del 6% dei televisori,
delle radio e degli altri
prodotti di consumo aveva
vistolalucefuoridaiconfini
del paese. Nondimeno, in
quegli anni gli Stati Uniti si
impegnarono in un progetto
ambizioso per diffondere i
benefici del capitalismo
americanoanchenelrestodel
mondo, e per arginare
ulteriormente il comunismo
sovietico. Come vedremo,
anche
questo
contribuì
all’erosione dello stabile
sistemaoligopolistico.
Nei primi anni del
dopoguerra, gli Stati Uniti
promossero un sistema di
tassi di cambio fissi per
minimizzare la fluttuazione
della moneta, il Fondo
Monetario Internazionale per
assicurareliquiditàalmondo,
laBancaMondialepergestire
i finanziamenti per lo
sviluppo
e
l’Accordo
Generale sulle Tariffe e il
Commercio (GATT) per
garantireunliberosistemadi
scambio. Il paese riversò
numerosimiliardididollariin
Europa occidentale e in
Giappone per ricostruire
fabbriche, ferrovie, strade e
scuole.
«Il
vecchio
imperialismo
–
lo
sfruttamento per il profitto
straniero – non trova posto
nei nostri piani», disse il
presidente
Truman,
annunciando
il
suo
programmainquattropuntidi
assistenza tecnica ai paesi in
via di sviluppo, «ciò che noi
intendiamo è un programma
di sviluppo fondato sul
concetto di un leale
comportamento
democratico»56(potrebbeaver
aggiunto:«esulcontenimento
dellaminacciasovietica»).
Sotto quasi tutti i punti
divista,ilpianosirivelòuno
strepitoso successo. Tra il
1945 e il 1970, il reddito
monetario nel mondo triplicò
eilcommerciointernazionale
quadruplicò. Non a caso, la
politica estera degli Stati
Uniti creò nuove opportunità
per le maggiori corporation
americane – al tempo più
grandi,
ricche
e
tecnologicamente avanzate di
quellediqualsiasialtropaese
– per espandere il proprio
mercato all’estero. Col
regime mondiale di cambi
fissi basato sul dollaro, i
banchieri e le grandi
corporation
statunitensi
poteronoallargarelasferadel
capitalismo americano senza
correre troppi rischi. Sotto
l’egida di una Banca
Mondiale controllata dagli
Stati Uniti, i finanziamenti
per lo sviluppo potevano
essere indirizzati esattamente
verso quelle aree del mondo
in cui le corporation
americanevedevanomaggiori
opportunità.
Gli effetti non furono
tutti
positivi.
Con
sorprendente precisione, la
CIA scopriva complotti
comunisti proprio laddove le
maggiori
corporation
americane
volevano
assicurarsi il controllo sulle
risorse naturali di quei paesi.
Quando, nel 1953, sull’onda
diunmovimentonazionalista
anticoloniale
iraniano,
Mohammed Mossadeq sfidò
il potere dello scià e assunse
il controllo della Compagnia
Anglo-Iraniana del Petrolio,
la CIA fornì segretamente
vari milioni di dollari a
ufficialidell’esercitoiraniano
perché riportassero al potere
lo scià. Una volta raggiunto
lo scopo, alle multinazionali
americane
fu
garantito
l’accesso al petrolio del
paese. L’anno seguente,
Jacobo Arbenz Guzmán, il
presidente democraticamente
elettodelGuatemala,diedeil
viaaunariformaagrariache,
tra gli altri provvedimenti,
prevedeva la confisca delle
piantagioni della United
Fruit.LaCIA,allora,finanziò
dei rivoluzionari di estrema
destraperché,assiemeapiloti
della CIA e a caccia forniti
dal dittatore nicaraguense
Anastasio
Somoza,
risparmiassero alla United
Fruit un destino altrimenti
funesto.Semprenel1954,gli
Stati Uniti cominciarono a
interessarsi
discretamente
dell’Indocina,
un’altra
regione ricca di risorse
naturali. In America Latina,
in Vietnam e nel Medio
Oriente la politica estera
americana sparse i semi di
molti dei gravi problemi di
oggi.
In patria, il senatore del
Wisconsin Joe McCarthy
diede inizio a una caccia
controipresunticomunistiin
seno all’apparato politico
americano, ai media e
all’industria dello spettacolo.
Molte
carriere
furono
rovinate, e le libertà civili
messearischio.
8
Un altro aspetto di
quegli anni merita di essere
menzionato, in quanto serve
da vivido contrasto con
quello che abbiamo di fronte
oggi. Sul trono delle più
grandi corporation americane
sedevano persone che non si
stancavano mai di ripetere
(secondo l’ideale propugnato
da Adolf Berle e Gardiner
Means decenni addietro in
Societàperazionieproprietà
privata) che il loro compito
eraditrovareunequilibriotra
gliinteressiditutticoloroche
subivano l’influenza delle
corporation, inclusa la gente
comune. «Il ruolo di un
dirigenteaziendale»,dissenel
1951
Frank
Abrams,
presidente della Standard Oil
ofNewJersey,rispecchiando
quello
che
andavano
affermando anche gli altri
dirigenti, «è quello di
mantenere un equilibrio
giusto e funzionale tra i
bisogni dei vari gruppi
interessati: gli azionisti, i
dipendenti,iclientielagente
comune. La reputazione dei
dirigenti aziendali è in
crescitainparteperchéquesti
cominciano a riconoscere le
responsabilità nei confronti
della gente che il loro lavoro
comporta, così come altri
professionisti lo hanno
riconosciuto da tempo in
merito al loro». «Fortune»
esortava continuamente i
dirigenti ad assumere nella
loro
professione
una
prospettiva
di
respiro
nazionale: «Per vedere le
cose da professionista, il
dirigentedeveessereingrado
diassumereunatteggiamento
distaccato e riservato sulle
opportunità e le tattiche del
momento. Deve diventare
unostatistaindustriale»57.
Una veste in cui questi
uomini
si
trovavano
perfettamente a loro agio,
avendo molti di loro svolto
incarichi governativi di alto
livello durante la seconda
guerra mondiale e poi fatto
parte
di
numerose
commissioni, consigli e
comitati pubblici (quando
“Engine Charlie” Wilson
portòconséalPentagonoun
plotone di dirigenti della
General
Motors,
il
democratico Adlai Stevenson
disse scherzando che i
rivenditori di automobili
avevano preso il posto dei
politici del New Deal58).
Questi “statisti aziendali”
autoeletti facevano spesso
relazioni al Congresso;
offrivano generosamente il
loro tempo e le loro opinioni
su ciò che era meglio per il
paese. Sotto la guida di Paul
Hoffman,altempopresidente
dellaStudebakerCorporation,
di Bill Benton dell’agenzia
pubblicitaria Benton &
Bowles e di Marion Folsom
della
Eastman
Kodak,
formarono il Committe for
Economic
Development.
Questa
non
era
un’organizzazione
commerciale nell’accezione
moderna del termine, dedita
solo
agli
interessi
dell’industria. Il comitato
spinse per l’approvazione del
Full Employment Act del
1946, che poneva la piena
occupazione tra gli obiettivi
centrali
della
politica
economica del paese. Inoltre,
siimpegnòafavoredelPiano
Marshall per la ricostruzione
dell’Europa e aiutò a farlo
accettarealrestodelpaese(lo
stessoHoffmannedivenneil
primoamministratore).
Questi
dirigenti
potevano permettersi di fare
glistatistiaziendali–agendo
così, dal loro punto di vista,
per il miglioramento del
paese e non solo a beneficio
dei loro clienti e azionisti –
perché
il
sistema
oligopolistico
glielo
consentiva.
Così
come
potevano offrire ai loro
lavoratori salari generosi
senza temere di favorire la
concorrenza,allostessomodo
potevano
andare
a
Washington a sostenere la
causa del Piano Marshall
senza temere che un rivale
potesse rubargli la fetta di
mercato mentre loro si
occupavanodialtro.
9
In poche parole: durante
l’etànonpropriodell’oro,gli
elementi centrali, sia politici
che
economici,
del
capitalismo
democratico
americano si combinarono
per comporre un sistema
singolarmente coerente. Le
più grandi corporation del
paese pianificavano ed
eseguivano la produzione di
un gran volume di beni,
creandonotevolieconomiedi
scala e di conseguenza
abbassando il costo di
produzione di ogni singolo
bene.
Coordinandosi
direttamente o indirettamente
con le poche grandi aziende
di ogni settore, potevano
fissare dei prezzi abbastanza
alti
da
garantirsi
considerevoli guadagni. Una
porzione di quei profitti
veniva poi reinvestita in
nuove fabbriche o nuovi
macchinari. Un’altra veniva
suddivisa tra i dirigenti e gli
amministratoriinbasealloro
grado
all’interno
dell’organizzazione.
E
un’altra ancora finiva ai
lavoratori, organizzati in
sindacati per settore. Gli
stipendi e i benefici di questi
ultimi venivano assicurati da
contratti che riguardavano
tuttiilavoratoridiunsettore;
i
benefici
includevano
assicurazioni sanitarie e
pensionidetassate.Incambio,
i sindacati si impegnavano a
evitare il più possibile gli
scioperi e le interruzioni del
lavoro,
che
avrebbero
interferito con lo stabile
flusso
di
produzione
necessario in un’economia di
massa.Entrambeleparti,poi,
cercavano di astenersi dal
fissare prezzi o stipendi
troppoalti,talidaindurreuna
crescita inflazionistica. I
contratti collettivi, di fatto,
introdussero nei salari e nei
benefici degli standard di cui
godettero anche i lavoratori
noniscrittialsindacato.
Le agenzie regolatrici,
nel frattempo, stabilivano i
prezzi e gli standard dei
servizi di base al fine di
uniformare il più possibile
l’offerta per mezzo dei
monopoli:
nei
servizi
pubblici,nellelineeaereeche
operavano su certe tratte
specifiche, nel trasporto su
strada, nelle ferrovie e nelle
compagnie telefoniche. I
legislatori
prestavano
particolare attenzione agli
interessi delle loro comunità,
compresi quelli delle piccole
aziende, dei rivenditori e
degli agricoltori locali. Il
governo federale imponeva
un’alta aliquota marginale
sulle entrate della fascia più
ricca della popolazione e
delleaziende.Inoltre,usòuna
buonapartedellaspesaperla
difesa nazionale contro il
comunismo sovietico –
secondo un’accezione molto
vaga del termine, che
includeva investimenti nelle
autostrade, nel sistema
scolastico, nello sviluppo di
nuove
tecnologie,
nell’industria aerospaziale e
in politica estera – per
espandere i mercati all’estero
e garantire il controllo delle
risorse naturali da parte delle
grandi
multinazionali
americane.
In
quell’epoca
il
capitalismo democratico si
basava su una complessa e
continua
gamma
di
negoziazioni,siadirettamente
tra gli attori principali, come
ilgrandecapitaleeisindacati
di massa, che indirettamente,
all’interno delle agenzie
regolatrici o in sede
legislativa. Vi furono diverse
conseguenze
importanti:
primo, le grandi economie di
scala,chegeneravanoun’alta
produttività e quindi notevoli
profitti; secondo, decine di
milioni di posti fissi; terzo,
un’ampia ridistribuzione dei
profitti (sia verticalmente
verso gli operai che
orizzontalmente verso le
piccole
comunità,
gli
agricoltori e le altre
componenti sociali); quarto,
milioni di consumatori che
usarono il diffuso benessere
per acquistare beni e servizi
prodotti in quantità sempre
maggiore,creandolastabilità
necessaria per la produzione
su larga scala. Il risultato fu
l’ascesa di un ampio ceto
medio in tutto il paese che
rafforzò anche il sistema
politico. Era la chiusura del
cerchio.
Questo sistema aveva
poco a che vedere col
capitalismo democratico dei
libriditesto,cheimponeuna
rigorosa separazione tra
“governo” ed “economia” e
ritiene che il capitalismo
evolva
quasi
automaticamente
dagli
ingranaggi di un idealizzato
“libero mercato”, mentre la
democraziasimanifestanelle
elezioni, in cui i cittadini
scelgono
chi
debba
sovrintendere al settore
pubblico. Nei fatti, il ruolo
spessosottaciutodelGoverno
fu quello di dare ordine ai
processi spesso confusi con
cui queste negoziazioni
politiche ed economiche
avevano luogo. Erano rare le
volte in cui il ruolo del
Governo emergeva con
chiarezza, come quando, nel
1962, John F. Kennedy
rimproverò pubblicamente
Roger Blough, al tempo
presidentedellaUnitedStates
Steel, di aver alzato i prezzi
dell’acciaio, violando così
l’accordo sui prezzi e sui
salari raggiunto con il
sindacato dei siderurgici e
con le altre aziende del
settore.
Senza dubbio, alcuni
benefici venivano sacrificati.
I prezzi e la qualità dei
prodotti non erano i migliori
chefossepossibileottenere.I
consumatori sopportavano
pazientemente il fatto che le
automobili
diventavano
obsoletedopounpaiodianni
e i tecnici del telefono che
arrivavano con due giorni di
ritardo. Anche gli investitori
erano altrettanto docili.
L’economista John Kenneth
Galbraith descrisse il tipico
azionistadell’epocacomeuna
«figurapassivaeinutile»59.Il
volume di azioni scambiate
giornalmente, nei primi anni
Sessanta,eradisoli3milioni;
non superò i 10 milioni fino
al1970,esoloalloradecollò,
insiemeaiprezzi60.Intuttoil
paese, molti patrimoni non
erano sfruttati al massimo
delle loro potenzialità. Era
spesso assente il potente
incentivo
dato
dall’accumulazione di grandi
quantità
di
denaro.
L’innovazione
ristagnava.
Come abbiamo visto, furono
poche le grandi aziende
fondateinquestoperiodo.
Incompenso,lamaggior
partedellepersonegodevadi
una sicurezza e di una
stabilità, e di una fetta del
reddito nazionale, maggiore
che in qualsiasi altra epoca,
passata o futura. I salari reali
deilavoratoricontinuaronoad
aumentare fino agli anni
Settanta. La stabilità sociale
fuprotettaesalvaguardata.Si
era riusciti a realizzare
qualcosa che si avvicinava al
bene comune. La tendenza
verso
una
maggiore
uguaglianza sociale avrebbe
presto animato il movimento
peridiritticivili,checulminò
nelle leggi sul diritto di voto
(Voting Rights Act) e sui
diritti civili (Civil Rights
Act). Il crescente ceto medio
avrebbe dato voce a
preoccupazioni diffuse, come
quella
sull’assicurazione
sanitariaperipensionati(che
sfocerà nel Medicare) e sul
bisognodiariaeacquapulite
(l’Environmental Protection
Act). Non era raro che noti
dirigenti,nelruolodi“statisti
aziendali”, spingessero per
politiche
che
fossero
nell’interesse della nazione,
anchesenonnecessariamente
delle loro aziende. Vi era
grande
fiducia
nella
democrazia e nel sistema
americano. In un sondaggio
del 1964, tre quarti degli
americani dichiararono di
avere fiducia che il Governo,
nella maggior parte dei casi,
avrebbe fatto la scelta
giusta61, una percentuale che,
rispetto a oggi, appare
sorprendentementealta.
L’Europa e il Giappone
seguirono strade alquanto
diverse per raggiungere gli
stessi scopi: una stabile
produzione di massa e una
ripartizione sempre più equa
dei benefici che questa
portava. I governi europei
assunserounruolopiùdiretto
nella
pianificazione
industriale rispetto agli Stati
Uniti;inGermania,lapolitica
della
“co-determinazione”
prevedeva
eguale
rappresentanza
per
i
dipendenti e per gli azionisti
nei
consigli
d’amministrazione
delle
aziende
del
ferro
e
dell’acciaio, e una minore
rappresentanza in altre sedi.
In
Giappone,
enormi
concentrazioni
industriali
lavoravano
in
stretta
collaborazione
con
il
Governo per progettare le
politiche industriali. Grazie
alle
sue
straordinarie
dimensioni e alla sua
egemonia politica, il sistema
americanoindicòlastrada.
C’era ancora molto
lavoro da fare, ma sembrava
che gli Stati Uniti stessero
superando le ideologie e le
divisioni di classe per
affrontare
finalmente
i
problemi più pressanti che li
affliggevano. Durante il suo
discorsoperlaconsegnadelle
lauree all’università di Yale,
nel 1962, John F. Kennedy
espresse quello che era un
sentimentocomuneall’epoca.
«Ciò che è in gioco», disse,
«non è un’epica guerra tra
ideologie rivali [...] ma la
gestione
pratica
di
un’economia moderna. Non
abbiamo bisogno di etichette
ediclichémadipiùsemplici
discussioni in merito alle
questione
tecniche
e
sofisticate che riguardano
l’avanzata di una grande
macchinaeconomica[...].Ciò
di cui abbiamo bisogno non
sono risposte politiche, ma
tecniche»62.
Poi accadde qualcosa
checambiòtutto:l’Americae
il mondo intrapresero la
strada
verso
il
supercapitalismo.
7 I sondaggi più utili sui sentimenti
degli americani nei confronti del
governo sono quelli dell’American
National Election Studies, condotti
dalla University of Michigan. Sono
consultabili
all’indirizzo
<http://www.electionstudies.org>.
8 Dati presi da Simon Kuznets,
Economic Growth and Structure, New
York,W.W.Norton,1965,pp.305-27.
9 Dati presi dal U.S. Bureau of the
Census, Historical Statistics of the
United States: Colonial Times to 1970,
Washington D.C., vol. 1, U.S.
Government Printing Office, 1975, pp.
201-202,224.
10 Alla fine del xix secolo, videro la
luce in Gran Bretagna numerosi libri
che
descrivevano
in
termini
particolarmente violenti l’assalto
economicotedescoeamericanoelesue
drammatiche conseguenze per il paese.
Tra questi, E.E. Williams, Made in
Germany,Londra,WilliamHeinemann,
1896 e Frederick McKenzie, American
Invaders, Londra, G. Richards, 1902.
Sia nella forma che nella sostanza,
questi libri avevano molto in comune
con le descrizioni dell’”invasione”
giapponese che apparvero negli Stati
Unitiunsecolopiùtardi.
11 Dati presi da Jeremiah Jenks - Jett
Lauck,TheImmigrationProblem,New
York,Funk&Wagnalls,1926,p.148.
12 Citato in W.A. Williams, The
Tragedy of American Diplomacy,
Cleveland,World,1959,p.44.
13 J.A. Hobson, Imperialism, Londra,
J.Nisbet,1902[L’imperialismo,trad.di
Luca Meldolesi e Nicoletta Stame,
Milano,Isedi,1974,p.112].
14 Estratto da Harris Corporation,
“Founding Dates of the 1994 Fortune
U.S.Companies”,in«BusinessHistory
Review», n. 70, primavera 1996, pp.
69-90.
15Ibid.
16 Citato in Richard S. Tedlow,
Keeping the Corporate Image: Public
Relations and Business, 1900-1950,
Greenwich, Connecticut, JAI Press,
1979,p.5.
17 The Papers of Woodrow Wilson, a
cura di Arthur S. Link, Princeton,
PrincetonUniversityPress,1977.
18
Discorso
di
accettazione,
Philadelphia,27giugno1936.Speeches
of Franklin D. Roosevelt, New York,
Dutton,1949.
19 Gustav Stolper, The German
Economy, New York, Reynal &
Hitchcock,1940,p.83.
20 Vedi, per esempio, Barrington
Moore Jr, The Social Origins of
Dictatorship and Democracy, Boston,
Beacon, 1966 [Le origini sociali della
dittatura e della democrazia, trad. di
Domenico
Settembrini,
Torino,
Einaudi,1969].
21 Richard Hofstadter, “What
HappenedtotheAntitrustMovement?”,
in The Paranoia Style in American
Politics and Other Essays, Chicago,
UniversityofChicagoPress,1952.
22 Herbert Croly, The Promise of
American Life, New York, World,
1909.
23 Citato in Robert M. Collins, The
Business Response to Keynes, 19291964, New York, Columbia University
Press,1984,pp.29-30.
24 Citato in Ellis Hawley, The New
Deal and the Problem of Monopoly,
Princeton, Princeton University Press,
1966,p.19.
25Ivi,p.27.
26 Walter Lippmann, Drift and
Mastery, Englewood Cliffs, NJ,
Prentice Hall, 1. ediz. 1914;
ripubblicatonel1961,pp.22,23.
27AdolfA.Berle-GardinerC.Means,
The Modern Corporation and Private
Property, New York, Macmillan, 1932
[Societàperazionieproprietàprivata,
trad. di Giovanni Maria Ughi, Torino,
Einaudi,1966,p.334].
28Ivi,p.336.
29 David Lilienthal, Big Business: A
NewEra, New York, World, 1953, pp.
47,190.
30«Fortune»,ottobre1955,p.81.
31«Fortune»,settembre1953,p.94.
32 U.S. Senate, Armed Services
Committe, Confirmation Hearings on
Charles E. Wilson as Secretary of
Defense,18febbraio,1953.
33 PhilipArmstrong et al., Capitalism
Since 1945, Oxford, Blackwell, 1991,
tab.10.1.
34 Morris Albert Adelman, “The
Measurement
of
Industrial
Concentration”, in «Review of
Economics and Statistics», n. 33,
novembre1951,pp.275-277.
35 John Kenneth Galbraith, The New
Industrial State, Londra, Hamish
Hamilton, 1968 [Il nuovo stato
industriale, trad. di Pierluigi Ciocca GiacomoCosta,Torino,Einaudi,1968,
pp.22-24].
36 Angus Maddison, Monitoring the
World Economy, 1820-1992, Parigi,
Organizzazioneperlacooperazioneelo
sviluppoeconomico,1995,tav.D.
37 Heller Committe for Research in
Social Economics, Quantity and Cost
Budgets for Three Incomes Levels,
Prices for San Francisco, Berkeley,
UniversityofCaliforniaPress,1946.
38 Citato in Joseph C. Goulden, The
Best Years, 1945-1950, New York,
Atheneum,1976,p.116.
39 Citato in Daniel Bell, “The
Language of Labor”, in «Fortune»,
settembre1951,p.86.
40 JacobHacker, The Divided Welfare
State,NewYork,CambridgeUniversity
Press,2002.
41 Programmadiassicurazionemedica
amministrato dal governo degli Stati
Uniti, riguardante le persone dai
sessantacinque anni in su o che vi
rientranosecondoaltricriteri.
42«Fortune»,ottobre1951,p.114.
43 Da U.S. Bureau of the Census,
Historical Statistics of the United
States: Colonial Times to 1957,
Washington D.C., U.S. Government
PrintingOffice,1960.
44 Joseph Kahl, The American Class
Structure, New York, Holt, Rinehart,
1956, pp. 109-110. Vedi anche Robert
Dahl,WhoGoverns?,NewHaven,Yale
UniversityPress,1961.
45 Il sondaggio del 1952 fu incluso in
un libro pubblicato da «Fortune» dal
titolo TheExecutiveLife, Garden City,
N.Y.,Doubleday,1956,p.30.
46 William H. Whyte Jr, The
Organization Man, New York, Simon
&
Schuster,
1956
[L’uomo
dell’organizzazione, trad. di Luciano
Gallino,Torino,Einaudi,pp.163-165].
47 Alcune delle espressioni più
influenti della prospettiva pluralista
sonoDavidTruman,TheGovernmental
Process, New York, Alfred A. Knopf,
1951; Robert A. Dahl, A Preface to
Democratic
Theory,
Chicago,
University of Chicago Press, 1956
[Prefazione alla teoria democratica,
trad. di Gianni Rigamonti, Milano,
Edizioni di Comunità, 1994]; Nelson
W. Polsby, Community Power and
Political Theory, New Haven, Yale
University Press, 1963; Arnold M.
Rose,ThePowerStructure,NewYork,
Oxford University Press, 1967; Edwin
Epstein, The Corporation in American
Politics,EnglewoodCliffs,NJ,Prentice
Hall,1969.
48Truman,op.cit.,p.535.
49 Robert A. Dahl, Prefazione alla
teoriademocratica,Milano,Edizionidi
Comunità,1994.
50Organizzazionediveteranidiguerra
natadopolaprimaguerramondiale.
51 Potentelobbydegliagricoltoriedei
ranchersstatunitensi.
52 Vedi, per un’idea generale, Theda
Skocpol, Diminished Democracy,
Norman,UniversityofOklahomaPress,
2003.
53 John Kenneth Galbraith, American
Capitalism:
The
Concept
of
Countervailing
Power,
Boston,
HoughtonMifflin,1952[Ilcapitalismo
americano: il concetto di potere di
equilibrio, trad. di Luciano Franci,
Milano,EdizionidiComunità,1965].
54Ivi,p.155.
55Ivi,p.159.
56 Harry Truman, discorso inaugurale,
1949,inSpeechesofPresidentHarryS.
Truman, Washington D.C., U.S.
GovernmentPrintingOffice,1952.
57 Citato in «Fortune», ottobre 1951,
pp.98-99.
58 Gioco di parole sull’assonanza tra
cardealers(‘rivenditoridiautomobili’)
eNewDealers(politicidelNewDeal).
59Galbraith,Ilnuovostatoindustriale,
p.346
60 New York Stock Exchange, Fact
Book, 1991, New York, New York
StockExchange,1991.
61 Vedi The American National
Election Studies, University of
Michigan.
62 John F. Kennedy, discorso per la
consegna delle lauree alla Yale
University, 11 giugno 1962, in
SpeechesofPresidentJohnF.Kennedy,
Washington D.C., U.S. Government
PrintingOffice,1964.
2.Lastradaversoil
supercapitalismo
Apartiredallafinedegli
anni Settanta, è avvenuto un
cambiamento fondamentale
nel capitalismo democratico
americano e gli echi di quel
cambiamento si sono fatti
sentire in tutto il mondo. Il
capitalismo ha trionfato, e
non solo come ideologia. La
struttura
dell’economia
americana – e di gran parte
del mondo – si è spostata
versomercatipiùcompetitivi.
Ilpotereèpassatonellemani
dei consumatori e degli
investitori.
Nelfrattempo,gliaspetti
democratici del capitalismo
sono diminuiti. Le istituzioni
che
intraprendevano
negoziazioni
formali
e
informali per ripartire la
ricchezza, stabilizzare il
mercato del lavoro e le
comunità locali e dotare il
gioco di regole giuste – i
grandioligopoli,isindacatidi
massa,leagenzieregolatricie
ipoliticisensibilialleaziende
e alle comunità locali – si
sonoeclissate.Lecorporation
oranonhannoaltrasceltache
perseguire il profitto. Sono
scomparsi anche gli statisti
aziendali. In questo senso, il
trionfo del capitalismo e il
declino della democrazia
sonointimamentecollegati.Il
capitalismo democratico è
stato
rimpiazzato
dal
supercapitalismo.
Come
è
potuto
succedere?
1
Poche domande hanno
incontrato
risposte
più
rabbiosamente sbagliate di
questa.Alcuniinsistonocheil
catalizzatore
del
cambiamento fu l’inflazione
fuoricontrollodellafinedegli
anni Settanta, alimentata
dall’embargo
petrolifero
arabo, che culminò con la
decisione di Paul Volcker,
presidente della Federal
Reserve,edeisuoicolleghidi
stroncare
l’inflazione
portando i tassi d’interesse a
breve termine a un livello
così alto che l’economia fu
messainginocchio.Altri,che
hanno fatto della supply-side
economics
(economia
dell’offerta) una religione,
sono altrettanto convinti che
tuttoècambiatoperilmeglio
quando il presidente Ronald
Reagan iniziò a tagliare le
tasse nell’estate del 1981,
liberando lo spirito selvaggio
del capitalismo. Altri ancora
sono sicuri che l’impulso fu
l’ondata di liberalizzazioni
iniziata nei primi anni
Settanta.C’èpoichidiceche
la
colpa
è
della
globalizzazione.
Chi
individua la radice del
problema in un accesso di
cupidigiacheavrebbecolpito
l’éliteindustrialeefinanziaria
americananeglianniOttanta.
Chi punta il dito contro quei
teorici dell’economia che
hannorisvegliatolospiritodi
Adam Smith. Chi dice che è
tutta colpa della corruzione
del sistema politico, di cui il
Watergate ne è il simbolo. E
chi pensa che alla base di
tutto ci sia un declino della
societàcivile.
Perlopiù
sono
stupidaggini. Le cose sono
cominciate a cambiare molto
prima di quanto non
riconoscanoquesteteorie(gli
alti tassi di produzione degli
anni Cinquanta e Sessanta,
per esempio, subirono una
battutad’arrestogiàneiprimi
anni Settanta: un drammatico
campanello d’allarme) e
hanno subito un’escalation
fino ai giorni nostri –
passandoperglialtieibassi
delcicloproduttivo,pervarie
amministrazioni
democratiche e repubblicane,
per periodi buoni e meno
buoni – indifferentemente
dallastupidità,dallacupidigia
e dalla moralità dei leader
politici e industriali che si
sono succeduti nel paese.
Senza dubbio la deregulation
e la globalizzazione hanno
giocato un ruolo, ma questo
ci induce a chiederci con
ancora maggiore enfasi
perché queste abbiano preso
piedeproprioneglianni‘70e
nonprima.Inoltre,nessunadi
queste teorie analizza il
sistema nella sua totalità e
spiega in maniera esauriente
la
trasformazione
del
capitalismo
democratico.
Infine, molte di queste
spiegazioni
sono
così
americanocentriche
che
trascurano il fatto che una
transizione simile è avvenuta
anche in Europa e in
Giappone, e che riguarda
ormaigranpartediqueipaesi
che si professano delle
democraziecapitalistiche.
La spiegazione reale di
questo fenomeno ha a che
vedere con la maniera in cui
le nuove tecnologie hanno
permesso ai consumatori e
agli investitori di fare affari
sempre migliori, ma allo
stessotempohannoeliminato
la relativa uguaglianza e
stabilità del sistema, e altri
importanti valori sociali. Mi
spiegomeglio.
A partire dalla metà
degli anni Settanta, i grandi
oligopoli che tenevano
ancoratoilsistemaamericano
cominciarono a vacillare. I
salari,
i
profitti
e
l’occupazione
divennero
molto più volatili. Nei
decenni
precedenti,
un’azienda che occupava un
posto tra le prime cinque di
quel settore poteva essere
quasi certa di rimanerci.
Avevaunasolapossibilitàsu
dieci di perdere la sua
posizionedalìacinqueanni.
Nel 1998, le possibilità di
perderequelpostonelgirodi
cinque anni erano aumentate
a una su quattro63. Le grandi
aziende rimasero tali; molte
addirittura crebbero. Ma la
loro competitività divenne
assaipiùprecaria.Trail1970
e il 1990, il ritmo con cui le
aziende scomparivano dalla
lista di «Fortune 500»
quadruplicò64. Iniziò ad
accadere una cosa strana. Le
aziende più grandi divennero
sempre più vulnerabili. Nel
1993, per esempio, la
capitalizzazionediborsadella
Microsoft superò quella della
IBM, nonostante che i 3
milioni di dollari di fatturato
della
Microsoft
rappresentassero solo una
minima frazione di quello
dellaBigBlue.
Questo processo generò
una maggiore scelta per i
consumatoriegliinvestitori.I
Tre Grandi del mercato delle
automobili che nel corso
degli anni Cinquanta e
Sessantaavevanocoordinatoi
prezzi,isalarielaproduzione
del settore dovettero fare
spazio ad altre sei aziende
americane,dicuitreavevano
la sede in Giappone e le
grandicatenediassemblaggio
negli Stati Uniti, tutte in
feroceconcorrenzatradiloro.
Itregrandinetworktelevisivi
che negli anni Cinquanta e
Sessantaavevanotrasformato
l’etere in un «vasto deserto»
(secondo le memorabili
parole del membro della
Federal
Communications
Commission,
Newton
Minow) di commedie e
sceneggiati soporiferi furono
affiancati da centinaia di
canali specializzati in ogni
genere di programma, dal
meteo
ai
documentari
naturalistici, e in cui non
mancavano di certo le
commedie e gli sceneggiati,
tutti in lotta tra loro per
attirare gli spettatori. La
manciata di compagnie aeree
che per anni avevano servito
da sole le rotte principali a
prezzistabilitidovetterofarei
conti con dozzine di nuove
compagniecheoffrivanorotte
e prezzi in continuo
cambiamento, in una lotta
furibonda. Un’industria dello
spettacolo dominata da pochi
grandi studios hollywoodiani
si trasformò in un campo di
battaglia in cui produzioni
indipendenti, canali satellitari
e aziende fornitrici di
contenuti in rete si facevano
la guerra. La Ma Bell,
evoluzione della monopolista
AT&T, insieme alla sua
progenie, la Baby Bell, si
trovò a competere con
cellulari, Internet via cavo e
servizi di voice-over-internet
(VOIP)65 che minacciavano di
offrire chiamate gratis. Big
Pharma, il cartello delle
grandi case farmaceutiche,
che un tempo si spartiva il
mercato, dovette fare i conti
con aziende biotech che
offrivano
medicinali
d’avanguardia. Le catene
dovettero vedersela con gli
ipermercati.Egliipermercati
conirivenditorionline66.
Le barriere d’ingresso
crollarono con sorprendente
rapidità. A partire dagli anni
Novanta, la rivoluzione
digitale cominciò a eliminare
persino i confini tra le varie
industrie. Decine di grandi
aziende dai settori più
disparati cominciarono a
offrire i loro prodotti online:
informazione, e-mail, instant
messagging,mappe,motoridi
ricerca, film, TV, musica.
Quasi tutto, in poche parole.
Quellicheperannieranostati
settori ben definiti si
trasformarono in “spazi”
amorfi in cui praticamente
qualsiasi rivenditore poteva
avventurarsi. Quale categoria
industriale poteva descrivere
lafusionedicomunicazionee
contenuti offerta da Google,
MySpace, MSNBC, AOL,
YouTube,Yahoo,Microsofte
Disney? AOL era abbastanza
sicura del suo bacino di
utenze finché non è arrivato
Google. La Disney era
convinta di non avere rivali
nel campo dell’animazione
finché la Pixar non ha
cominciatoafaruscirelesue
meraviglie digitali. I giornali
erano convinti di poter
contare sui profitti degli
annunci finché Craigslist67
nonharubatolorolapiazza.I
confini si fecero più sfumati
anche in altri settori: tra la
finanza e la vendita al
dettaglio (Wal-Mart tentò di
fondareunabanca;gliistituti
di credito si diedero alla
vendita online), tra l’hightech e la consulenza (la IBM
cominciò a offrire soluzioni
per il management), tra la
consulenza finanziaria e
l’industria
dell’intrattenimento (vedi la
nuova schiera di libri che
trattano il tema, e di
programmi
e
celebrità
televisivi). E con il
progressivo spostamento dei
canali di distribuzione dalla
strada e da Wal-Mart verso
spazi virtuali di portata
virtualmente
illimitata
(Netflix, iTunes e Amazon,
per esempio), dove il costo
dell’offerta di un prodotto di
nicchia si avvicinava allo
zero,lagammadisceltesubì
un’ulterioreespansione68.
Le
dimensioni
di
un’azienda
non
rappresentavano più una
barrierad’ingresso.Nel2006,
l’azienda media di «Fortune
500» era tre volte più grande
che negli anni Ottanta, in
termini reali. Ma contava
poco. Qualsiasi azienda che
alzasseiprezzioriducessela
qualità dei suoi prodotti
rischiava
l’assalto
di
un’azienda
rivale
che
vendeva lo stesso prodotto a
un prezzo o a una qualità
migliore.
Gli
esperti
finanziari ritenevano che
eBay fosse inespugnabile in
quanto aveva creato da zero
unpropriomercatodelleaste.
MaquandoeBaycominciòad
aumentare le commissioni
sulle transazioni, l’azienda
scoprì
quanto
fosse
vulnerabile. Gli utenti che
vendevanosueBaymiserosu
i propri negozi online,
utilizzando delle parole
chiave comprate da Google
per generare traffico sui loro
siti. «Penso che il ritmo del
declino nella popolarità del
modello di asta di eBay stia
accelerando», avvertì Safa
Rashtchy, un analista della
Piper Jaffray & Company69.
Come
molti
analisti,
Rashtchy vedeva solo i
numeri, non l’architettura
sottostante.Nonvieraniente
di sbagliato nel modello di
asta di eBay, e non stava
perdendopopolarità.L’errore
di eBay fu quello di
presumerecheipropriclienti
nonavesseroaltriluoghidove
andare e che dunque
sarebbero stati costretti ad
accettaregliaumentidellesue
tariffe. Il problema, se c’era,
era l’arroganza dell’azienda
nel pensare di avere il potere
di imporre i prezzi che
voleva, un potere che le
grandiaziendeoligopolistiche
di
quarant’anni
prima
avevano
esercitato
regolarmente, ma che oggi
nonesistepiù.
Quel vecchio potere,
ricordatebene,erafondatosu
grandi economie di scala.
Quelle aziende potevano
spalmare i costi fissi di
fabbriche e macchinari
costosi su migliaia, se non
milioni, di elementi quasi
identici, i cui pezzi erano
prodotti in massa da
macchine e poi assemblati a
manonellefabbriche.Questo
riducevadrasticamenteicosti
di ogni singola unità.
Significava dire che le due o
tre
aziende
dominanti
potevano
tranquillamente
coordinare i prezzi, la
produzione, lo stile, anche la
qualità dei prodotti, senza
temere la concorrenza di
qualchenuovoarrivato.
Oggi i prezzi bassi
possono essere attuati da un
ampio numero di concorrenti
che non producono su larga
scala.Usanodeisoftwareper
il controllo della contabilità,
degli
acquisti
e
dell’inventario; utilizzano la
rete per comunicare con i
clienti; e si affidano ad aste
online per subappaltare la
produzione a coloro che
offrono il servizio più
economico e affidabile. La
produzione
ha
costi
abbastanza bassi; film e
registrazioni musicali di
qualità,peresempio,possono
essere
realizzati
con
attrezzature e programmi che
costano qualche migliaio di
dollaripiuttostochecentinaia
di migliaia di dollari, come
nei decenni passati. Se è
necessaria un’economia di
scala e le attrezzature sono
troppo costose o ingombranti
da noleggiare, l’imprenditore
in erba può appaltare la
produzioneafornitoriingiro
per il mondo che già
realizzano prodotti simili (a
volteanchepervarieaziende
concorrenti).
Se
gli
imprenditori devono loro
stessi realizzare qualcosa,
possono noleggiare lo spazio
e le attrezzature di cui hanno
bisognoecollegarleaunodei
numerosisoftwareinvendita.
Prestare servizi è ancora più
facile, come dimostra il caso
di eBay. Inoltre, molte
aziende hanno accesso ai
mercati di capitali a
condizioni
pressoché
identiche, specialmente se
hanno un buon rischio di
credito o si sono dimostrate
degne di private equity. In
questo modo, tutti i vecchi
alti costi fissi che un tempo
dovevano essere spalmati su
molte unità ora possono
essereconvertiti,senzatroppi
rischi, in costi variabili che
salgono o scendono in
proporzione al volume della
produzione.Piùfacilmenteun
prodotto o un servizio può
essere ridotto a un numero,
minore sarà il costo per
produrneunaltro.
Di conseguenza, la
produzione di massa non
rappresenta più una barriera
all’ingresso. Questa ha
cominciatoasgretolarsinegli
anni Settanta, in una varietà
di modi, che andremo a
esaminare. La prova ne è la
costante riduzione di potere
sui prezzi delle grandi
aziende che occupano una
posizione
centrale
dell’economia. La logica
degli oligopoli e della
pianificazione
industriale
cominciò ad avere sempre
meno senso. Questa frattura
contribuì
al
calo
di
produzione che iniziò negli
anniSettanta70.
Le dimensioni per
un’azienda contano ancora.
Non però per favorire la
produzionedimassaotenere
a bada la concorrenza in
mododapoteralzareiprezzi.
Ma perché permettono di
aggregare il potere di un
ampionumerodiconsumatori
e ottenere un maggior potere
contrattuale nei confronti dei
fornitori. L’esempio più noto
è senza dubbio Wal-Mart,
fondata nel 1962, insieme a
KmarteTarget.Wal-Martha
superatoisuoirivali–eogni
altraaziendainAmerica,seè
per questo – perché Sam
Walton si è concentrato
inflessibilmente su un unico
principio di base: ottenere i
prezzipiùbassi.Piùl’azienda
cresceva,
più
potere
contrattualeavrebbeavutosui
fornitori dei prodotti che
vendeva nei suoi negozi.
Riducendoalminimoanchei
costi interni, Wal-Mart riuscì
a offrire ai propri clienti
un’ampiavarietàdiprodottia
prezzistracciati.Questoattirò
nuoviconsumatori,chealoro
volta permisero a Wal-Mart
di crescere ancora e ottenere
maggiori
sconti
dai
fornitori71.
Soprattutto, le sue
dimensioni non hanno dato a
Wal-Martilpoteredialzarei
prezzi. Se ci provasse,
cadrebbenellastessatrappola
di eBay. I clienti andrebbero
a fare acquisti da qualche
altra parte: da Target o da
qualsiasi altro ipermercato
che offrisse prezzi più
convenienti. Al contrario, le
dimensioni di Wal-Mart le
hanno permesso di chiedere
maggiori sconti ai suoi
fornitori, che poi passa ai
consumatori. Nei fatti, WalMart aggrega il potere
d’acquisto
dei
singoli
consumatori, come se questi
avessero
formato
un
sindacato per contrattare
collettivamente
prezzi
migliori. Come vedremo, i
grandi fondi pensione e i
fondi comuni stanno facendo
qualcosadisimileperipropri
investitori:aggregareilpotere
d’acquistodegliindividuiper
ottenere benefici a favore
dell’interogruppo.
A
ogni
livello
dell’economia americana, il
potere
delle
grandi
corporationdifissareiprezzi
è notevolmente diminuito.
Unadelleconseguenzeèstata
un’inflazione molto più
moderata.AlanGreenspan,in
qualità di presidente della
Federal Reserve negli anni
Novanta,
comprese
perfettamente questo punto.
Capì che l’economia poteva
correre più veloce di prima e
con un maggior tasso
d’occupazione senza favorire
l’inflazionepoichéleaziende
non avevano più il potere di
alzareiprezzi.Lostessovale
peroggi.
La storia che segue non
ha né eroi né cattivi, e la
trama si sviluppa con una
certa linearità. Inizia negli
anni Settanta con l’avvento
dellenuovetecnologie,molte
delle quali sviluppate dal
Pentagono, come ho già
detto.Poipassaallacatenadi
fornitura, che si espande in
tutte le direzioni, anche al di
fuorideiconfininazionali,ea
sistemi di produzione che
fannosemprepiùaffidamento
sui software per abbassare i
costi per unità. Entrambe le
cose riducono la necessità di
un’economia di scala. Gli
imprenditori, a loro volta,
spingono per la deregulation
dei mercati perché le loro
aziende possano funzionare
più efficientemente, più
velocemente e a un costo
minore di quanto non
facessero le aziende protette
dalle barriere regolamentari.
La
tecnologia,
la
globalizzazione
e
la
deregulation:questitrefattori
intensificano la concorrenza
tra le aziende per attrarre o
mantenereiconsumatoriogli
investitori. La concorrenza, a
suavolta,spingeleaziendea
tagliare i costi. Dal momento
che i salari rappresentano la
fetta maggiore dei costi, i
posti di lavoro e gli stipendi
sono i primi a venire
sacrificati. La storia si
conclude con la scomparsa
dei grandi oligopoli di un
tempo, delle grandi unioni
sindacali,
degli
statisti
aziendaliedimoltecomunità
tradizionali,
e
col
disfacimento di quella logica
dellacontrattazionecheaveva
caratterizzato il capitalismo
democratico americano. I
consumatori e gli investitori
acquistano potere; i cittadini
loperdono.
2
Molte delle invenzioni
che contribuirono al crollo
dello
stabile
sistema
oligopolistico degli anni
Cinquanta e Sessanta si
svilupparono in seno al
dipartimento della Difesa (e
alla sua istituzione contigua,
laNASA:NationalAeronautics
and Space Administration).
Questo, durante la Guerra
Fredda, fu il centro
innovativo del capitalismo
americano. In un periodo in
cui i grandi oligopoli del
settoreprivatoamericanonon
avevano nessun interesse a
sviluppare idee radicalmente
nuove, la competizione con
l’Unione Sovietica stimolò il
Pentagono e la NASA a
investire
nelle
nuove
tecnologie con un’audacia
senza precedenti. Molte di
queste un giorno avrebbero
trovato applicazione nel
mondodelcommercio.
NonfusololoSputnike
la corsa allo spazio a
inaugurare questa nuova
stagione, ma anche la sfida
più banale, ma non meno
complicata, di progettare
missili di precisione che
potessero essere lanciati da
un sottomarino e colpire
obiettivi a decine di migliaia
di chilometri di distanza,
caccia bombardieri in grado
di sfuggire ai radar,
occhialetti che permettessero
divederealbuio,carriarmati
adattiaognitipoditerreno,e
così via. Tutte queste
macchine, nate dalla fantasia
dei progettisti del Pentagono
o dei futuristi della NASA,
furono
realizzate
nei
laboratori e nei centri di
ricerca
degli
immensi
appaltatori della Difesa.
L’energia creativa di decine
di migliaia di ingegneri fu
dunque messa al servizio di
obiettivi di gran lunga più
ambiziosi e importanti del
designdiunnuovotostapane.
Unodiquestiobiettivifu
quello di creare armi che
avessero una memoria. Chi
aveva mai sentito parlare di
unacosadelgenere?Ilprimo
passo fu quello di creare i
tubi a vuoto, che poi si
evolsero nei semiconduttori,
che si trasformarono in
microscopici circuiti integrati
su fette di silicio, che poi
diventarono le particelle
elementari dei computer. Dal
momento che il Pentagono e
la NASA avevano bisogno di
strumenti
incredibilmente
precisi e affidabili, erano
disposti
a
pagare
praticamente qualsiasi cifra.
Finanziarono con ingenti
somme le ricerche di base.
Patrocinarono
esperimenti
falliti. Diedero decine di
migliaiadidollariaingegneri
di inestimabile valore. E poi,
una volta che le attrezzature
furonopronte,ilPentagonoe
la NASA cominciarono a
comprarne in grandi quantità
nonostante il loro costo di
produzione fosse ancora
esorbitante. Nel 1962, un
singolo circuito integrato
costava all’incirca 50 dollari.
Nel 1968, dopo anni di
ricercheedisperimentazioni,
il prezzo era sceso a 2,33
dollari,trasformandoicircuiti
integrati da gadget esotici
utilizzati in strumenti bellici
all’avanguardia in oggetti
potenzialmente utili per
rendere più efficienti gli
utensili per la casa e le
automobili. Non a caso, in
quell’intervallo di tempo, il
mercato dei semiconduttori
lievitò da 4 milioni di dollari
a31milionididollari72.Man
mano che i circuiti dei
semiconduttori diventavano
sempre più piccoli e potenti,
l’idea di computer fu
completamente rivoluzionata.
L’elaboratoremedionel1968
occupava un edificio intero.
Solamente i governi, le
universitàelegrandiaziende
di servizi pubblici potevano
permetterseneuno.Vent’anni
più tardi, i computer erano
diventatipersonal.
Internetnonènatonella
testa di Al Gore (a dire la
verità, non l’ha mai detto in
questi termini) ma dalla
necessità del Pentagono di
potere comunicare in tempo
reale una gran mole di dati.
Manmanochelareteveniva
lentamente tessuta, come
farebbeunragno,l’Advanced
Research Project Agency
(Agenzia per i progetti di
ricerca
avanzata)
del
dipartimento della Difesa la
soprannominò
ARPANET.
Nessuno poteva immaginare
l’immensaretecheungiorno
sarebbe
diventata.
O
prevedere
le
sue
rivoluzionarie
potenzialità
commerciali. Lo stesso
valeva per i nuovi software
sviluppati per i sistemi di
controllo dei missili e dei
radar,pericaviafibraottica
eperillaser,incuivenivano
investiti centinaia di milioni
di dollari, e per le leghe e i
compositi,
leggeri
ma
straordinariamente resistenti,
progettati per i caccia
supersonici. Chi poteva
immaginarechegranpartedi
queste invenzioni un giorno
avrebbe trovato posto nei
macchinari industriali e nei
prodotti di consumo? Il
Pentagono e la NASA erano
impegnati a combattere la
Guerra Fredda, non a
pianificare l’economia del
futuro.
I grandi oligopoli del
settore
privato
erano
altrettanto
ignari
delle
potenzialità commerciali di
queste invenzioni. Anche
l’industria aeronautica, la cui
ala commerciale sembrava
cosìvicinaaquellamilitare–
dopotuttogliaereisonoaerei,
no? – mantenne queste due
nettamente separate, gestite
da burocrazie e personali
completamente diversi, sia a
livello manageriale che di
ingegneristica. Era quasi
come se i dirigenti di
massimo livello delle grandi
corporation
americane
avessero intuito che il
Pentagono e la NASA, nella
loro fervida ricerca di
strumenti
sempre
più
innovativi e potenti per
mandare in rovina il
comunismo sovietico, si
fossero imbarcati in una
missione che avrebbe scosso
le fondamenta stesse della
tecnologiaedellaproduzione
e destabilizzato l’intero
sistemaeconomico.Erasenza
dubbio un’impresa lucrosa
per i titani dell’industria; la
Boeing e la McDonnell
Douglas accolsero a braccia
apertegliappaltimilitari.
Nonostante
la
separazione delle sfere
d’interesse, le scoperte degli
ingegneri impegnati negli
appalti militari cominciarono
lentamente
a
filtrare
nell’impresacommerciale.La
conoscenza non si lascia
dividere
facilmente
in
compartimenti stagni. Gli
ingegneri parlano tra loro.
L’entusiasmo può essere
contagioso. Il famoso DC-8
della McDonnell Douglas
racchiudeva molti dei sistemi
sviluppati per i velivoli
militari A-3D e A-4D della
Douglas.Ildesigndelcelebre
Boeing 707 è quasi ricalcato
sul modello dei bombardieri
B-47 e B-52 della Boeing. Il
jumbo 747 è basato sul
progetto con cui la Boeing
persel’appaltoperl’aereoda
trasporto militare C-5. Alla
fine degli anni Settanta, il
dipartimento della Difesa
stava finanziando il 70%
della ricerca e dello sviluppo
dell’industria
aeronautica
americana, un fatto che gli
europei usarono – e
continuano a tirare in ballo
ancoraoggi–pergiustificare
laspesapubblicaafavoredel
loroAirbus.
Consideriamo
molte
delle tecnologie avanzate che
presero piede negli ultimi
decenni del XX secolo e
noteremo uno schema simile.
Alla fine degli anni Settanta,
il Governo statunitense
provvedeva per metà alla
ricerca
e
sviluppo
dell’industria
delle
telecomunicazioni del paese,
incampicomelafibraottica,
il satellite e i centri di
commutazione automatica.
Preoccupati per il fatto che i
grandi oligopoli commerciali
utilizzassero tecnologie di
produzione
antiquate,
l’aviazione statunitense e la
NASA investirono inoltre 75
milioni di dollari per
sviluppare una “fabbrica del
futuro”
completamente
automatizzata, basata su
tecnologie di produzione
computerizzate73.
Tutte queste invenzioni
rivoluzionarie,questaricerca,
questo talento ingegneristico
finirono per frantumare lo
stabilesistemaoligopolistico.
L’effetto, però, non fu né
immediato né diretto. Fu più
quello di un sassolino che
colpisce il parabrezza di una
macchinaadaltavelocità:dal
buco comincia a espandersi
una crepa che alla fine
avvolge l’intero vetro, che
deve
quindi
essere
rimpiazzato.
Il
braccio
commerciale dei grandi
oligopoli
cominciò
lentamente a trovare delle
applicazioni per le nuove
invenzioni. I laboratori di
ricerca delle università
approfondirono le nuove
scoperte. I più intraprendenti
– ingegneri, finanzieri,
professorierranti,universitari
allosbando–lesvilupparono
ulteriormente.Nacquerodelle
piccoleaziende.Emerserodei
mercatidinicchia.Nelgirodi
un paio d’anni, tutta
l’economia cominciò a
trasformarsi. Da lì a venti o
trent’anni, sarebbe nata
un’economia completamente
nuova.
Tre
sviluppi,
tutti
conseguenza indiretta delle
innovazionidurantelaGuerra
Fredda,
meritano
una
menzione particolare. Il
primo è quello oggi noto
come “globalizzazione”. Il
secondo è l’avvento di nuovi
processi produttivi. Il terzo è
la deregulation. Tutti e tre
accelerarono il tracollo delle
economie di scala e del
capitalismodemocraticodella
metàdelsecoloscorso.
3
Stando alla versione
semplicisticaemitizzatadella
globalizzazione, negli anni
Settanta
le
corporation
americane cominciarono a
perdere la loro competitività
internazionale.GliStatiUniti
iniziarono a essere invasi da
prodotti fatti da persone
contente di lavorare per una
frazione dello stipendio
americano medio, segnando
la fine del periodo dei buoni
salari operai. Questa storia
omette varie cose. Prima di
tutto non spiega perché
l’occupazione cominciò a
diminuireneglianniSettanta,
in una spirale descrescente
semprepiùrapida.Leaziende
americane, inoltre, non
persero affatto la loro
“competitività”.Latempistica
non fu casuale. Ricorderete
glisforzifattidagliStatiUniti
per ricostruire le economie
devastate dalla guerra in
Europa e in Giappone. Ci
volleroduedecennimafuun
successo. La scintilla che
diede veramente il via alla
globalizzazione, però, fu una
vasta gamma di nuove
tecnologieperiltrasportoela
comunicazione, gran parte
delle quali erano un derivato
dellaGuerraFredda–lenavi
mercantili e gli aerei da
trasporto,
i
cavi
internazionali, i container
d’acciaio, fino ad arrivare ai
satelliti, in grado di far
rimbalzare
un
segnale
elettrico da un continente
all’altro – che ridussero
drasticamente i costi di
trasporto da un punto della
superficieterrestreall’altro.
I container – delle
scatolediacciaiolunghetrai
6 e 12 metri in grado di
trasportare un peso superiore
alle 28 tonnellate – potevano
essere facilmente spediti via
trenooviacamion,esserepoi
imbarcati su navi o aerei e
infinecaricatinuovamentesu
vagoni ferroviari o su
autocarri
fino
alla
destinazionefinale,riducendo
notevolmente gli sforzi di
caricoediscaricoeirischidi
furto o danneggiamento. I
container erano esistiti fin
dalla metà degli anni
Cinquanta, ma non furono
impiegati
in
maniera
massiccia fino alla guerra in
Vietnam, per la quale
l’esercito statunitense ebbe
bisognodiunenormesistema
di
distribuzione
per
accontentare i suoi bisogni
insaziabili nelle giungle del
Sudest
asiatico.
Le
tradizionalicassedatrasporto
erano troppo piccole e
inaffidabili, quindi la Marina
creò un porto container nella
baia di Cam Ranh, e i porti
americani furono attrezzati
per supportare le navi
mercantili (con fondali
profondi, gru appositamente
progettate e enormi ponti di
carico).
Una delle conseguenze
impreviste fu quella di
incrementare le esportazioni
giapponesi verso gli Stati
Uniti.Piuttostochetornarein
America coi container vuoti,
gli spedizionieri si resero
contochepotevanofaresoldi
facendo una tappa in
Giappone sulla rotta di
ritorno
e
imbarcando
tonnellate
di
orologi,
televisori e utensili per la
cucina giapponese per il
mercato statunitense. Nel
1967, non vi era nessun
servizio
di
trasporto
marittimo commerciale che
collegava il Giappone agli
Stati Uniti. L’anno seguente,
quellatrattaeraservitadaben
sette aziende74. Da quel
momento
in
poi,
il
commercio marittimo, anche
grazie ai container, si
impennò.Nel2005,eranopiù
di 3.500 le navi mercantili
chesolcavanoleacque,cona
bordo più di 15 milioni di
container. Tra il 1970 e il
2000,ilmercatodeicontainer
è cresciuto tre volte più
velocemente dell’economia
mondiale75. Di conseguenza,
il costo per trasportare i
prodottidaunaparteall’altra
delmondoèprecipitato.
I costi di trasporto
diminuirono anche alla luce
del fatto che i prodotti si
facevano sempre più piccoli.
Un numero di funzioni
sempre maggiori all’interno
di televisori, elettrodomestici
ealtribenidiconsumodiuso
comune era svolto da
piccolissimi
microchip.
L’acciaioel’alluminiofurono
rimpiazzati da plastiche
ultraleggere. Tra il 1970 e il
1988, per ogni dollaro di
importazioni, il numero di
chili trasportato negli Stati
Uniti scese del 4% l’anno76.
Diconseguenza,ilmercatofu
sommerso da una valanga di
prodottiesteri.Trail1970eil
1980, il valore delle
importazionimanifatturierein
rapporto alla produzione
domesticaschizzòdal14%al
28%.Nel1986,perogni100
dollari spesi in beni prodotti
negli Stati Uniti, gli
americani ne spendevano 45
inbeniprodottiall’estero77.
Questo generò un
malcontento generale per la
cosiddetta
perdita
di
competitività dell’industria
americana. Il Congresso
commissionò decine di
relazioni sul tema. I think
tank pubblicarono centinaia
di
libri
bianchi.
Le
associazioni
industriali
organizzarono delle task
force.
I
governatori
istituirono
commissioni
d’indagine e pannelli di
esperti.
I
media
si
sbizzarrirono. «La perdita di
competitività dell’industria
americana
nel
corso
dell’ultimo
decennio
è
paragonabile a un disastro
economico», scrissero i
redattoridi«BusinessWeek»
nel giugno del 198078. Le
università studiarono la
portata del danno. La
Commission on Industrial
Productivity (Commissione
sulla produttività industriale)
del
MIT
commentava
pesantemente nella sua
relazionedel1989che«certe
aziende americane che un
tempo
dominavano
il
commerciointernazionale[...]
hanno perso gran parte della
loro fetta di mercato sia in
patriacheall’estero;inalcuni
settori [...] la presenza
americana sul mercato è
scomparsadeltutto»79.
In realtà le aziende
americanestavanobenissimo.
Si erano solo affacciate sul
mondo. Utilizzavano le
innovazioni nel campo dei
trasporti
e
delle
telecomunicazioni
per
inaugurare
fabbriche
all’estero o appaltare ai
fornitori esteri i componenti
di cui avevano bisogno. Per
metterla in un altro modo,
utilizzavano i container e gli
sviluppi
nelle
telecomunicazioni (tra cui, di
lìapoco,Internet)percreare
delle catene di fornitura
globali. Il vecchio sistema di
produzione dell’età non
proprio dell’oro poteva ora
essere
frammentato
e
commissionato
a
chi
producevaipezzimiglioriea
minorcosto,inqualsiasiparte
nelmondo.Coltempo,queste
catene di fornitura sarebbero
divenutecosìcomplessechei
progettisti in un paese
avrebbero potuto creare un
prototipo tridimensionale di
unnuovoprodottomentregli
ingegneri in un altro paese
stabilivano le catene di
montaggio
e
le
apparecchiature necessarie
per assemblarlo in un paese
terzo.
Era questo il reale
processo di globalizzazione
chelestatistichecommerciali
non mostravano. Dal 1969 al
1983, il valore totale delle
importazioni dalle fabbriche
americane all’estero salì da
1,8miliardididollariaquasi
22
miliardi,
depurati
dell’inflazione80.Tuttoquesto
negli stessi anni in cui le
aziende americane avrebbero
sofferto di una “perdita di
competitività”.
Le catene di fornitura
globali continuarono ad
allungarsi e a mettere radici
sempre più profonde. Negli
anni Novanta, il 45% delle
importazioni
americane
riguardava aziende nazionali
che operavano all’estero. Nel
2006, la loro fetta era
cresciuta al 48%, stando ai
dati del dipartimento del
Commercio. Se poi si
considerano i componenti
acquistatidaaziendestraniere
per poi essere assemblati
negli Stati Uniti e i prodotti
comprati all’estero per poi
essere venduti con marchi
americani, la percentuale si
alza notevolmente. La catena
di fornitura globale della
Whirlpool include forni a
microonde progettati in
Svezia e fabbricati in Cina.
La General Electric produce
piccoli motori a propulsione
per gli aerei charter prodotti
dalla Bombardier in Canada;
quasiunquartodelvaloredei
motori è costituito da
componenti costruiti in
Giappone. La Dell mette i
propri clienti direttamente in
contatto con i suoi fornitori
esteri; quando un cliente
clicca sul sito Internet della
Dell per acquistare un
portatile, l’ordine appare
direttamentesulloschermodi
un terminale in una fabbrica
cinese gestita dalla Quanta,
un’azienda di Taiwan, dove
viene
assemblato
e
rapidamente spedito in
America al cliente che l’ha
ordinato.
La
Eaton
Corporationproducealberidi
trasmissione per camion in
Brasile, alcuni dei quali sono
spediti in Ohio per essere
montati sulle vetture della
Navistar.
Anche
una
percentuale crescente delle
macchine dei Tre Grandi
proviene dall’estero. Anche
se vengono assemblate in
America, una porzione in
continua crescita delle parti
interneprovienedafuori81.
Una percentuale sempre
maggiore di quello che le
aziendeamericanevendevano
all’estero era prodotto dalle
lorofabbricheinloco.Anche
i dati sulle esportazioni
americane,
dunque,
sottovalutavanopesantemente
la “competitività” delle
aziendedelpaese.Allostesso
modo, sempre più di quello
che le aziende straniere
vendevano negli Stati Uniti
era prodotto dalle loro
fabbriche nel paese. La
Toyota,laHonda,laNissane
la BMW costruirono delle
immense fabbriche nel
Kentucky, nel Tennessee e
nell’Indiana.Nel2006,queste
aziende impiegavano il 20%
degli operai del settore
automobilisticoinAmerica.
Qual era il confine tra
“noi”e“loro”?Invecedidire
che le aziende americane
hanno cominciato a “perdere
competitività” negli anni
Settanta, sarebbe più corretto
direchegliStatiUnitihanno
cominciato a perdere le
proprie aziende. Non vi era
più nessun legame tra il
successo
delle
aziende
americaneeilbenesseredegli
americani. Questo segnò un
cambiamento
profondo.
Quellarelazioneerastatauna
delle premesse di base del
capitalismo
democratico
dell’età non proprio dell’oro.
Ricordate il detto di “Engine
Charlie” Wilson a proposito
della simbiosi tra la General
Motorseilrestodelpaese?I
grandi oligopoli americani
erano intrecciati ai lavoratori
ealGovernopermezzodiun
sistema
di
intricate
connessioni, per cui man
mano
che
l’economia
diventava più produttiva, i
salari e i benifici crescevano.
Quel sistema stava ora
subendo profonde mutazioni.
Leconnessionidiuntemposi
andavano allentando, e se ne
andavano affermando altre,
sia dentro che fuori dal
paese82.
I media, i politici e
ancheidirigentidelleaziende
continuarono
a
parlare
dell’economia
americana
comesequestaesistessesolo
in funzione delle corporation
con sede negli Stati Uniti, e
come se il successo o il
fallimento di queste, o
entrambe
le
cose,
dipendessero dalle statistiche
commerciali.
La
“globalizzazione” era vista
comeunasfidatraleaziende
straniere e quelle americane.
Ma era tutt’altra cosa. La
rivoluzione che ebbe inizio
negli anni Settanta fu una
rivoluzione tecnologica, e
uno dei suoi effetti fu quello
di frammentare il vecchio
sistema
oligopolistico
americano in una miriade di
catene di fornitura globali in
cui i componenti o i servizi
erano
commissionati
a
chiunque offrisse la qualità e
il prezzo migliori. Queste
catene
di
fornitura
terminavano in realtà come
Wal-Mart,cheaggregavanoil
potere
contrattuale
dei
consumatori per assicurarsi
ovunquenelmondogliaffari
migliori, indifferentemente
dalla marca che appariva
sugli elettrodomestici, sui
cuscini, o su qualsiasi altro
prodottovolesseroacquistare.
4
Forseigrandivolumidi
produzione
sarebbero
diminuiti comunque, anche
senza le catene di fornitura
globali. A partire dagli anni
Settanta, una miriade di
gadget
ideati
per
incrementare la produzione
industriale cominciarono ad
apparireall’internodirobote
apparecchiature
computerizzate, abbassando
notevolmente i costi di ogni
singola unità pur non
permettendograndivolumidi
produzione. Gli ingegneri,
seduti ai loro computer,
potevanomodificareildesign
di un prodotto in pochi
secondi, e incaricare le
macchine di modellare o
assemblare tutte le unità
necessarie.NeglianniOttanta
furonointrodottisoftwareche
permettevano ai clienti di
contribuire al design del
prodotto83.
Le
nuove
tecnologieinvestironoanchei
servizi. Le banche, le
assicurazioni
e
le
telecomunicazioni potevano
ora offrire servizi modellati
sulle specifiche necessità di
ogni cliente. L’avvento di
Internet, poi, negli anni
Novanta,introdusseunavasta
gamma di nuove modalità di
distribuzione dei servizi, tra
cui la possibilità di
indirizzare il marketing e la
pubblicitàatargetspecificidi
persone che condividono gli
stessigustieinteressi.Grazie
ai motori di ricerca e alle
recensioni
online,
i
consumatori potevano ora
trovare
esattamente
il
prodotto che cercavano al
miglior prezzo. Allo stesso
modo, qualsiasi venditore
poteva utilizzare un software
percreareun’aziendavirtuale
checonsistevainpocopiùdi
una catena di contratti di
fornitura con un’asta a ogni
anello della catena per
ottenere il miglior prezzo
lungotuttalafiliera.
Gli oligopoli non erano
più necessari; un’azienda di
dimensionimedie,graziealle
nuove tecnologie, poteva ora
competere con le vecchie
economie di scala. Non a
caso, tutti quei settori
dell’industriachesibasavano
su una stabile produzione di
massa si specializzarono in
prodotti e mercati di nicchia.
Gli acciai particolari (zincati
per immersione a caldo o
elettrozincati)
sostituirono
l’acciaio standard nelle
automobili, nei camion, negli
elettrodomestici e in quegli
stabilimenti che usavano gli
archi elettrici e i rottami per
andare
incontro
alle
specifiche esigenze dei
clienti.
Altri
materiali
standard furono rimpiazzati
da polimeri che potevano
essere modellati in forme
intricate
(come
quelle
presenti nei cellulari o nei
computer)esopportarelivelli
di sollecitazione e di calore
più alti. La lana e il cotone
furono sostituiti da un’ampia
gamma di nuove fibre
sintetiche su cui potevano
essere applicati speciali
rivestimenti.
I
servizi
telefonici di una volta
vennero frammentati in un
gran numero di offerte su
misura che coprivano le
chiamate a distanza, le
chiamate video e il
trasferimento dati, mentre le
aziende private costituirono
deinetworkperpermettereai
lorodipendentidirimanerein
contatto anche a grandi
distanze.
Le grandi aziende che
pensavanodidominarequesta
o quella fetta di mercato
dovettero fare i conti con un
numero sempre maggiore di
concorrenti. Anche la CocaCola–lacuiformulasegreta
unita a un enorme sistema di
produzione e di distribuzione
e a colossali budget
pubblicitari l’avevano resa
quasi imbattibile (nonostante
la concorrenza della Pepsi) –
all’inizio del XXI secolo
cominciavaaperderecolpidi
fronte
all’inarrestabile
avanzata di nuovi intrugli,
come le bevande sportive, le
bibite gassate, i tè freddi
aromatizzati e le bevande
energetiche
vitaminizzate,
oltre all’acqua in bottiglia. I
costi sempre più bassi della
banda larga e degli archivi
digitali hanno spianato la
stradaaunagammaillimitata
di canali distributivi – jukeboxe digitali, film in rete,
archivi fotografici web,
biblioteche artistiche – in
gradodisoddisfareigustipiù
disparati84.
Perfarlabreve:apartire
dal 1970, e con crescente
rapidità, un’ondata di nuove
tecnologie ha rimpiazzato gli
stabili sistemi di produzione
di un tempo con una varietà
di venditori in continuo
cambiamento. Il risultato fu
simileaquellodellecatenedi
fornitura globali: i vecchi,
stabili oligopoli furono
scalzati e la concorrenza
aumentò. All’inizio del XXI
secolo, secondo una ricerca
della società di consulenza
Bain & Company, la tipica
azienda americana perde più
della metà dei suoi clienti
ogni
quattro
anni,
costringendola a cercarne
continuamente di nuovi
mentre fa di tutto per
trattenere quelli di un
tempo85.
5
La spinta verso una
deregulation
sempre
maggiore – l’esatto opposto
dellatendenzaregolatriceche
prese piede in America tra la
prima e la seconda guerra
mondiale,echefuispiratada
Herbert Croly e da altri
progressisti dell’epoca – è a
volte attribuita alla passione
diRonaldReaganperillibero
mercato.QuandoReagansalì
alla presidenza del paese nel
1981,però,ilmercatosistava
già muovendo in quella
direzione da almeno un
decennio. Le cose avevano
cominciato
a
cambiare
quando, anche in quel 15%
dell’economia in cui i prezzi
eirequisitidiingressoerano
fissati da agenzie regolatrici
indipendenti, le tecnologie
emergenti avevano iniziato a
creare nuove opportunità
commerciali. Le aziende che
colsero questi cambiamenti
reclamarono anch’esse una
fetta
della
torta.
Cominciarono
a
fare
pressione sulle commissioni,
afarelobbyingsulCongresso
e sugli organi legislativi
statali,aingaggiareprofessori
perché
dimostrassero
i
benefici che la deregulation
avrebbe
apportato
al
consumatore.
Intrapresero
cause legali, sostenendo che
le aziende regolate inibivano
l’innovazione e agivano
contro gli interessi dei
consumatori. Man mano che
lapressionemontava,erasolo
unaquestioneditempoprima
che la diga regolatrice
crollasse.
Nelletelecomunicazioni,
per esempio, già nel 1968 le
aziende che producevano
nuove
apparecchiature
cominciarono a percepire i
vantaggi della vendita diretta
alconsumatore.Mailpotente
monopolio della Ma Bell,
nota come AT&T, glielo
impediva. Al sicuro dietro la
sua barriera di regolazioni,
l’azienda sosteneva che le
altre società non potevano
allacciarsi al sistema della
AT&T senza pregiudicarne
l’efficienza. I nuovi arrivati
fecero causa. Quello stesso
anno, nel caso della
Cartefone, la Corte Suprema
prese le difese degli insorti,
infliggendoilprimo,decisivo
colpo alla barriera protettiva
dellaAT&T.
Questa cominciò a
vacillare. Le nuove tecniche
di comunicazione a distanza,
come il satellite, il cavo e la
fibra ottica, spianarono la
strada a una vasta gamma di
nuoveopportunità.Quandola
MCI
creò un network
relativamente economico di
ripetitori a microonde, volle
entrareanch’essasulmercato.
La AT&Tsioppose.Unavolta
che la MCI ottenne dalla
Federal
Communications
Commission l’autorizzazione
ad allacciarsi alla rete
telefonica locale, la AT&T
trascinò la FCC di fronte alle
corti federali, finché non
perselabattaglia.Nel1974,il
dipartimento di Giustizia
intentò una causa antitrust
contro la AT&T, sostenendo
che costituiva un monopolio
illegale. Otto anni più tardi e
conmilionididollaridispese
legali, la AT&T patteggiò e
accettò di dismettere le sue
aziende telefoniche locali
della
Baby
Bell.
Probabilmente scelse la via
del patteggiamento perché
ormai prendeva atto delle
opportunità offerte dagli altri
settori
delle
telecomunicazioni, tra cui
l’elaborazione dati e le reti
informatiche, che erano stati
fuori dalla sua portata negli
annidelmonopolio.
La deregulation del
trasporto aereo seguì una
strada simile. Gli sviluppi
nelle telecomunicazioni e nel
design dei velivoli (materiali
ad alta resistenza, una
migliore aerodinamicità, una
maggiore
efficienza
energetica) crearono nuove
opportunitàdiguadagnoaldi
fuori dello stabile sistema
regolato. Nei primi anni
Settanta,lenuovecompagnie
aeree che non erano soggette
alle regolazioni federali – la
Pacific
Southwest
in
California e la Southwest
AirlinesinTexas–intuironoi
vantaggi di offrire prezzi più
bassi, aerei più piccoli e
servizi ridotti all’osso. Le
aziende che operavano voli
charter ebbero la stessa idea.
Fecero pressione sull’Ente
dell’Aeronautica
Civile
affinché deregolamentasse i
prezzi e le rotte. Nel
frattempo, la Pan Am e la
TWA,incrisi,volevanoessere
libere di alzare i prezzi. E la
United voleva poter operare
su più rotte86. Vari studi
accademici
sembravano
confermare i benefici della
deregulation del trasporto
aereo. Erano in pochi oramai
adifenderelostatusquo.Nel
1978, quindi, il Congresso
deregolamentò le compagnie
aeree e iniziò a dismettere
l’Ente
dell’Aeronautica
Civile.
Nel frattempo, gli
spedizionieri che avevano
guidato la rivoluzione dei
container
reclamavano
maggiore libertà nella scelta
delle rotte e dei prezzi e nel
consolidamento delle loro
operazioni, anticipando i
profittichesicelavanodietro
l’abbattimento delle barriere
commerciali. La UPS e la
FedEx spingevano nella
stessa direzione. Nel 1980, il
Congresso deregolamentò il
settore
ferroviario
e
autotrasportato, e cominciò a
chiudere
la
Interstate
CommerceCommission.
Le grandi banche e le
grandi istituzioni finanziarie
capeggiarono la campagna
per
la
deregulation
finanziaria.
Nel
1970
cominciarono ad avere
accesso a nuovi strumenti di
pagamento elettronico e di
ricezione computerizzata che
facilitaronosiaildepositoche
il prestito di denaro. Ma non
potevanoavereaccessoaquei
mercatiincuilebanchelocali
erano
protette
dalla
concorrenza,eciòlespinsea
chiedere l’abbattimento delle
regolazioni. Nel frattempo, i
fondi pensioni, i fondi
comuni e le compagnie
assicurative,
armate
di
computer e di software,
vedevano le opportunità
economiche di una gestione
più attiva dei risparmi della
gente,maeranobloccatidalla
regolazione
finanziaria.
Quindi si unirono al coro di
coloro che reclamavano la
deregulationdelsettore87.
Una
ad
una,
cominciarono a crollare tutte
le barriere finanziarie. Nel
1974, dopo un lungo
dibattito,
il
Congresso
approvò
l’Employee
Retirement Income Security
Act(Leggesullasicurezzadel
reddito
dei
lavoratori
pensionati–forselaleggepiù
complicata mai promulgata,
che assicurò la fortuna a
migliaiadiavvocatiecuratori
testamentari).
Essa
permetteva ai fondi pensione
e alle compagnie assicurative
diinvestireilloroportafoglio
in borsa e non solo nelle
obbligazioni aziendali e
governative di alta qualità.
L’annoseguente,laSecurities
and Exchange Commission
(Commissione di vigilanza
dellaborsaamericana)ordinò
agli agenti di borsa di
interromperelaloropraticadi
fissare delle commissioni
sulletransazioni,permettendo
così a broker come Merrill
Lynchdioffrireailoroclienti
fondi comuni (definiti Cash
Management Accounts) su
cui potevano essere scritti
degli assegni88. Nel 1980, il
Governo diede alle banche
commercialiedirisparmiola
possibilità
di
fissare
liberamenteitassidiinteresse
sui depositi e sui prestiti. Fu
concesso alle banche di
fondersiediconsolidarsi,edi
aprire
filiali
dovunque
volessero.Nel1982,anchele
banche di risparmio e le
banche di prestito – i pilastri
del mercato dei mutui sulle
case (ricordate La vita è
meravigliosa
di
Frank
Capra?) – ottennero grande
libertà su come investire i
lorodepositi.
Va di moda tra gli
economisti considerare la
deregulation un successo
assoluto, con l’eccezione di
qualche isolato incidente
come la crisi dei risparmi e
dei prestiti (non avrebbe
dovuto sorprendere nessuno
che le banche di risparmio e
di prestito utilizzassero la
loro nuova libertà per
investire in obbligazioni
capestro ad alto rendimento,
dal momento che i loro
depositi erano assicurati dal
Governo, con un costo finale
per il contribuente di circa
600 miliardi di dollari. Una
situazione che offre tutti i
benefici agli investitori
privati e delega tutte le
responsabilità al Governo è
destinata
a
generare
investimenti azzardati). In
generale, la deregulation fu
un successo in termini di
efficienza economica. Vista
attraverso la lente più ampia
del capitalismo democratico,
però, la faccenda si fa più
complessa.
I
sistemi
regolatori
che
furono
smantellati
includevano
sussidi incrociati (crosssubsidies) di ogni tipo,
finalizzati a trovare un
equilibrio tra numerosi
interessi diversi. Con la
deregulation,
questi
scomparvero. Gran parte dei
consumatori
ne
beneficiarono. Alcuni, però,
insieme a molte piccole
comunità e ai dirigenti di
mediolivelloeaglioperaidei
grandi monopoli o oligopoli,
nefuronodanneggiati.
Prima che la Bell
System fosse scorporata, per
esempio, i servizi telefonici
più
remunerativi
sovvenzionavanoquellimeno
vantaggiosi per l’azienda. I
clienti
delle
città
sovvenzionavano i clienti
delle campagne. Gli utenti
che facevano chiamate a
distanza
sovvenzionavano
coloro che si limitavano alle
chiamate locali. I clienti
professionali
sovvenzionavano
quelli
privati. Le persone che
usavano di rado il telefono
sovvenzionavano quelle che
lo usavano più spesso. Il
professore di economia della
Cornell ed ex regolatore
Alfred Kahn descrisse il
sistema della Bell System
come «un welfare state col
potere di tassare i clienti e
usare i proventi a fin di
bene»89. Dopo la scorporo,
quando la competizione si
fece più feroce, tutte queste
sovvenzioni
sparirono,
insieme alle opere «a fin di
bene».
Anche la deregulation
del settore aereo, nel 1978,
alterò
radicalmente
gli
equilibri. Nel 1983, centinaia
dipiccolecomunitàeranogià
state tagliate fuori del tutto o
quasi dalle rotte delle
compagnie aeree. La Braniff
e altre compagnie aeree più
piccoleeranostatecostrettea
chiudere. Insieme a queste (a
meno che o finché non
avessero trovato altri lavori
altrettanto ben stipendiati)
affondarono anche i loro
dipendenti
e
numerose
personedellecomunitàincui
avevano la sede. La
Continental, nel frattempo,
era sotto la tutela della
procedura fallimentare e
aveva ottenuto dal tribunale
l’autorizzazione a rompere i
suoi contratti sindacali, una
tatticachelealtrecompagnie
aeree avrebbero replicato nel
corso
dei
successivi
venticinque anni. La Eastern
e la Republic faticavano a
rimanere a galla. La United
effettuavaquasiglistessivoli
diuntempo,macol20%del
personale in meno. In tutto il
paese, i sindacati dei piloti,
degliassistentidivoloedegli
operai accettarono condizioni
di lavoro più flessibili.
Furono create quattordici
nuovecompagnieaeree,quasi
tutte non sindacalizzate, e
tutte libere dal peso delle
pensioni e dell’assistenza
sanitaria per i propri
dipendenti.
Nei primi tre anni che
seguirono la deregulation del
settore autotrasportato, circa
trecento aziende chiusero i
battenti. Molte di queste
erano di dimensioni notevoli.
Illorocollassocreòuneffetto
a catena che coinvolse molte
persone che dipendevano da
esse. Dall’altra parte, decine
dimigliaiadipiccoleimprese
di
autotrasporti
si
affacciarono sul mercato.
Prima della deregulation, la
maggior parte delle tariffe
eranofissatedalla ICC.Ora,il
90% di queste erano il frutto
di negoziazioni tra lo
spedizioniere e il corriere.
Prima della deregulation, la
maggiorpartedegliautistiera
iscritta
all’International
Brotherhood of Teamsters, il
sindacato dei camionisti
americani.Pochiannidopola
deregulationdelsettore,circa
unterzodiquestiavevaperso
il posto di lavoro. Nelle
piccole
imprese
di
autotrasporti, i membri del
Teamsteraccettaronotaglidel
10% o anche del 15% sui
salari. Il sindacato nazionale
siglò un contratto che
aumentava gli stipendi e i
benefici solo della metà
rispettoall’inflazione.
La deregulation del
settoreaereoeautotrasportato
creò nuove opportunità e
nuove forme di concorrenza.
La UPS era nata come una
società di autotrasporti: per
anniisuoifurgoncinimarroni
avevano
annunciato
allegramente alle famiglie
americane l’arrivo di un
pacco. Ora, spinta dalla
concorrenza a effettuare
spedizioni più rapide e più
efficienti, acquistò una flotta
di aerei cargo e divenne
anche una compagnia aerea.
LaFedEx,invece,erastatada
sempreunacompagniaaerea.
La richiesta per un miglior
servizio di consegna porta a
porta,però,laspinseadotarsi
diunnutritoparcomacchine.
Il testa a testa tra queste due
aziende (e altre, come la DHL
Worldwide Express, ansiose
di accaparrarsi una fetta
maggiore di un mercato così
redditizio) generò servizi
semprepiùefficienti,comela
consegna del giorno dopo
dellaUPS.Ecostrinseancheil
malmesso servizio postale
americanoamodernizzarsi.
Anche la deregulation
finanziaria ebbe un enorme
impatto sul capitalismo
democratico. Ai fini del
nostro discorso, però, basta
pensare che nei tre anni che
seguirono la liberalizzazione
delsettorebancario,nel1980,
chepermettevaallebanchedi
aprire
filiali
dovunque
volessero, furono installati
circa
2.200
sportelli
automaticinellebanche,negli
aeroporti e nelle facciate dei
negozi: i terminali di una
vasta rete di sistemi di
pagamento elettronico e di
recupero di informazioni in
continua
crescita.
La
tecnologia rivoluzionò la
maniera in cui la gente
gestiva quotidianamente il
proprio denaro. Costò anche
ilpostodilavoroamigliaiadi
impiegati allo sportello e di
dipendenti.
I computer e i software
che erano alla base di questa
rivoluzione avrebbero avuto
conseguenze ancora più
profonde negli anni a venire.
Nel 1983, il consulente
bancario Edward E. Furash
predisse che il paese era
sull’orlo di una rivoluzione
finanziaria. La deregulation
aveva«cambiatolapsicologia
della gente, in particolare dei
giovani», trasformandoli «da
semplici risparmiatori in
investitori.Assisteremoauna
feroceconcorrenzaperifondi
degli investitori»90. La sua
intuizione
si
rivelò
particolarmentelungimirante.
6
Prima della deregulation
finanziaria, i risparmiatori
americani
erano
stati
abbastanza prudenti. La
maggiorpartedilorotenevai
risparmi in banca, dove
godevano per legge di un
interesse del 5,25%. I fondi
comuniapparivanocomeuna
cosaesotica;ipiani401(k)91
eititolidicreditoancoranon
erano stati inventati. Pochi
americani
prestavano
attenzione al Dow Jones. Ed
eranoancoramenoquelliche
investivanoneititolidiborsa.
Nel 1970, solo il 16% degli
americani possedeva delle
azioni. Le corporation erano
possedute quasi interamente
da individui facoltosi che
tenevano i propri certificati
azionari al sicuro all’interno
di cassette di sicurezza. Le
grandiaziende,dinorma,non
ridistribuivano i propri
profitti oligopolistici sotto
forma
di
dividendi.
Preferivano tenere i profitti
per sé e reinvestirli in
stabilimentieattrezzatureche
permettessero economie di
scala ancora maggiori, e
distribuire il resto ai
dipendenti. Questo, come
abbiamo visto, faceva parte
del contratto sociale siglato
durante l’età non proprio
dell’oro.
Poi cambiò tutto. Nel
corso degli anni Settanta, i
risparmiatorisitrasformarono
in investitori e gli investitori
si fecero più aggressivi. La
percentuale degli americani
che possedeva delle azioni,
nel 1985, salì al 20%. E poi
prese il volo. Nel 2005, la
maggior parte delle famiglie
americane possedeva ormai
delle azioni. (Ovviamente,
granpartedellorovaloreera
ancoracontrollatodallafascia
piùriccadellapopolazione)92.
Il volume medio di azioni
scambiategiornalmentepassò
dai 3 milioni degli anni
Sessanta ai 60 milioni dei
primi anni Ottanta, e da quel
momentoinpoisiimpennò.
L’interesse
degli
americani
nel
mercato
azionariofustimolatodalpiù
lungo ed energetico mercato
di rialzo nella storia
americana, dai primi anni
Ottanta al 2000 (con una
piccola, terrificante pausa
nell’ottobre del 1987). Le
cause di quel rialzo hanno
una
grande
rilevanza
economicaepolitica.
Comeinognimercatodi
rialzo, vi fu una buona dose
diaspirazionispeculativeche
si autorealizzarono. Man
mano che sempre più
americani
acquistavano
azioni, i prezzi aumentarono,
portando gli investitori ad
acquistare ancora più azioni,
nella speranza che i prezzi
continuassero a crescere. In
questo modo il mercato si
trasformò in una bolla, che
scoppiò nel 2000. Già nel
2006, però, il Dow Jones
aveva ripreso la sua scalata
verso l’alto. Le cause,
dunque, non vanno ricercate
solonellaspiralespeculativa,
ma in un mutamento della
struttura
stessa
delle
corporationamericane,tesoa
generare profitti sempre
maggioripergliazionisti.
Proprio come Wal-Mart
e gli altri gestori di
ipermercati aggregarono il
poterecontrattualedeisingoli
consumatori, così i fondi
comuni e i fondi pensione
aggregarono il potere dei
singoli investitori. Per tenere
conségliazionisti,oattirarne
di nuovi, i dirigenti delle
aziendedovevanofaretuttoil
tutto il possibile per
aumentareilvaloredelleloro
azioni. Non avevano altra
scelta
che
concentrarsi
semprepiùsullacreazionedi
“shareholder value”. (Nel
2002,
gli
investitori
scoprirono
che
una
percentuale del valore era
stata creata ad arte da
contabili e direttori finanziari
scaltri e senza scrupoli; gran
partediesso,però,erareale).
E così, come i consumatori
tenevano costantemente sotto
pressioneleaziendepassando
(o minacciando di passare)
con sempre maggiore facilità
a un’azienda concorrente che
offriva prezzi più bassi o
prodotti migliori, così gli
investitori, aiutati dai fund
manager, impararono ad
andare a caccia dell’offerta
migliore.NeglianniNovanta,
l’investitore medio teneva un
titolo per poco meno di due
anni. Nel 2002, il periodo di
detenzionemedioeradimeno
di una anno. Nel 2004, era
sceso a soli sei mesi,
stabilendounnuovorecord93.
Se i gestori finanziari
non riuscivano a generare
profitti sufficienti, anche gli
investitori
potevano
abbandonare. Dal momento
che i bonus dei gestori
finanziari superavano in
media il 50% dei loro salari,
erano ben ripagati per
mantenere soddisfatti gli
investitori, e attrarne di
nuovi.
Come Wal-Mart spreme
i fornitori affinché offrano
prezzisemprepiùbassi,cosìi
gestori dei fondi pensione e
dei fondi comuni più grandi
d’America spremono le
aziende affinché generino
profittisemprepiùalti,chesi
traducono (non sempre
direttamente,
ma
con
sufficienteprevedibilità,tanto
chedisolitoquestirialzisono
premiati) in un aumento del
prezzo delle azioni. Fino al
1980, Wall Street era stata al
servizio
dell’industria,
aiutando i grandi oligopoli a
trovare capitale quando ne
avevanobisogno.Dal1980in
poi, l’industria è passata al
serviziodiWallStreet.
Si dice che negli anni
Ottanta l’America sia stata
colta da un’ondata di
cupidigia, come se questa,
prima di allora, fosse stata
assente nel paese. In realtà,
oggipossiamodirechenonsi
è trattato di un mutamento
della natura umana, ma delle
strutture
del
mercato
finanziario. L’incontro tra le
nuove tecnologie e la
deregulation offrì a Wall
Street una moltitudine di
strumenti per accumulare
grandi quantità di denaro,
aiutando gli individui a
spostare il loro denaro
laddove potesse generare
profitti sempre più alti. Gli
americani si buttarono nella
mischia, grazie ai Cash
Management Accounts della
Merrill Lynch, ai popolari
fondi
comuni
Fidelity
Magellan della Peter Lynch,
agli strumenti della Charles
Schwab che permettevano
agli investitori di vendere e
comprareazionionlineoalle
migliaiadialtrifondicomuni,
fondi pensione, strumenti
d’avanguardia, modi per
aggirare le tasse e piani di
daytradingdisponibili94.
I
finanzieri
che
investivanoespostavanotutto
questo denaro per conto dei
singoli investitori tenevano
perséunabuonapercentuale.
Di conseguenza, il settore
finanziario americano è
diventato una delle industrie
più redditizie al mondo. Se
l’ammontaretotaledeiprofitti
delsettore,neglianniSettanta
eOttanta,eracircaunquinto
deiprofittitotalidelleaziende
nonfinanziarieamericane,nel
2000eracircalametà95.
Vorrei
sottolineare
ancoraunavoltachenonfula
cupidigia che alimentò le
acquisizioni
ostili,
gli
scalatori
aziendali,
le
obbligazioni capestro, le
proxy fights e i leveraged
buyouts degli anni Ottanta; o
che portò alla nascita dei
fondihedge,deifondiprivate
equity, degli “attivisti di
minoranza”eaunnuovogiro
di leveraged buyouts e di
proxy fights nel XXI secolo.
Cosìcomenonfulacupidigia
che spinse alcuni dei giovani
più aggressivi e dotati del
paese, a partire dagli anni
Ottanta, a iscriversi a
prestigiosescuoledibusiness
per poi inserirsi nelle banche
d’investimento, nelle società
diservizifinanziari,neifondi
hedge e nei fondi private
equity, e a volte giungere ai
ranghididirettorefinanziario
delle più grandi corporation
americane. Non fu la
cupidigia a concentrare un
tale sforzo intellettuale
sull’arido terreno della
finanza aziendale. E neanche
a mettere in relazione lo
stipendio dei dirigenti col
prezzodelleazionipermezzo
digenerosidirittidiopzionee
bonus.
In tutti questi casi la
causavaricercatanellenuove
opportunità che vennero a
crearsi.
Confondere
la
cupidigia con l’opportunità
equivale a confondere il
desiderioconladisponibilità.
La libido degli studenti
universitari di oggi non è
superiore a quella di
quarant’annifa;lafacilitàcon
cui possono soddisfarla,
invece,
è
sicuramente
maggiore.
I dirigenti che non
sfruttavano
tutte
le
opportunità per massimizzare
i profitti degli azionisti
lasciavano il campo libero a
finanzierid’assaltointeressati
a sfruttarli. Nel corso degli
anni Settanta, ci furono
tredici acquisizioni ostili per
ilvaloredipiùdiunmiliardo
di dollari; negli anni Ottanta,
furono
150.
Col
rallentamento della borsa
nellaprimadecadedelnuovo
secolo, sono emerse strategie
simili. I fondi hedge, i fondi
private equity
e
gli
shareholder activists diedero
il via a un altro giro di
acquisizioni e leveraged
buyouts.
A
volte
i
protagonistieranoglistessidi
sempre.Nel2006,CarlIcahn,
che nel 1987 aveva spinto la
Texaco e la TWA in
bancarotta, lanciò una proxy
fight per ottenere delle
poltrone nell’assemblea e il
controllo di una infiacchita
Time Warner. «Non ho mai
chiamato Dick Parsons
[amministratore
delegato
della Time Warner] un
idiota»,protestòIcahn96.
Si potrebbe dire che gli
aggressori vedevano delle
opportunitàchesfuggivanoai
dirigenti abituati al vecchio,
docile mondo degli stabili
oligopoli. O anche che erano
dispostiaesserepiùspietati–
non più “avidi” – prendendo
in prestito cifre enormi per
finanziare i loro assalti e poi
riducendoicostispremendoi
fornitori, combattendo i
sindacati, tagliando i salari e
subappaltando la produzione
dovunquenelmondocostasse
di meno. Entrambe le
descrizioni sarebbero esatte.
Il risultato furono maggiori
profitti, che voleva dire un
aumento del valore delle
azioni.
Molti dei guerrieri e dei
redelleobbligazionicapestro
che furono condannati negli
anni Ottanta per via dei loro
comportamentisenzascrupoli
sono oggi celebrati per aver
reso più efficienti le aziende
del paese. È sicuramente
vero, anche se le loro
strategie non funzionavano
sempre
come
previsto.
Quando i prezzi delle
obbligazioni
capestro
crollarono,allafinedeglianni
Ottanta,
molti
piccoli
investitori
andarono
in
rovina.La RJRNabisco,frutto
del più grande leveraged
buyout degli anni Ottanta, fu
scorporata senza troppo
rumore nel 1999. Inoltre, si
venivano a creare inquietanti
conflitti d’interesse nel
momento in cui i massimi
dirigenti che partecipavano a
unleveragedbuyoutfacevano
poiinmododialzareilvalore
delle
azioni,
quando
avrebbero potuto farlo prima
del buyout, a beneficio di se
stessi invece che dei
precedenti azionisti. In più,
l’ossessione
degli
amministratori delegati di
soddisfareosuperarelestime
di Wall Street sui guadagni
trimestrali di un’azienda –
una diretta eredità degli anni
Ottanta – ha senza dubbio
portatoiverticidelleaziende
a
pensare
troppo
all’imminente
e
creato
innumerevoli
abusi
e
distorsioni.
Come
ha
dichiaratoallagiuriaKathryn
Ruemmler,
il
pubblico
ministero nella causa del
governo contro Ken Lay e
Jeffrey Skilling della Enron:
«Possono far dire ai numeri
quellochevogliono»97.
Èindubbio,però,chegli
investitori
ne
abbiano
beneficiato. Così come i
consumatori
hanno
beneficiatodallapraticadelle
grandi corporation americane
di tagliare i costi e
privilegiare l’efficienza e
l’innovazione. Dopotutto, la
lorocontinuataredditività,da
cui dipendono i prezzi delle
loro azioni, è basata
principalmente
su
un
crescente
numero
di
consumatori soddisfatti. Era
finalmente
possibile
affermare – e gli economisti
americani non hanno perso
occasione di farlo notare agli
europei, ai giapponesi e ai
cinesi – che la disciplina
imposta
alle
grandi
corporation americane dal
vasto e trasparente mercato
finanziariostatunitenseaveva
migliorato l’efficienza e
stimolato
la
crescita
dell’economia
americana.
Anche se i vantaggi
economici sono innegabili,
però, resta da vedere se la
crescita e il predominio della
finanza siano state una cosa
buona o meno per il
capitalismodemocratico.
7
Nonvierapiùspazioper
gli statisti aziendali, che si
sforzavano di trovare un
equilibrio tra gli interessi dei
vari gruppi, inclusi i loro
dipendenti, i cittadini delle
comunità in cui operavano e
il paese nel suo intero.
Roberto C. Goizueta, ex
amministratoredelegatodella
Coca-Cola, spiegò la nuova
logica
dominante
con
impareggiabilechiarezza.«Le
aziende sono create per
andare incontro a esigenze
economiche», disse. Quando
«cercano di soddisfare tutti,
falliscono [...]. Noi abbiamo
un solo obiettivo: generare
dei buoni profitti per i nostri
proprietari [...]. Dobbiamo
concentrarci sul nostro scopo
principale: creare valore nel
corso degli anni»98. In altre
parole, massimizzare il
prezzodelleazioni.
Ai dirigenti di oggi non
è concesso il lusso di fare
altrimenti. Se i “numeri” –
ovvero un certo valore che i
gestori dei fondi comuni, dei
fondi pensione, dei fondi
hedge e dei fondi private
equity che amministrano il
denaro degli investitori si
aspettano dalle azioni – non
tornano,
verranno
rimpiazzati. I dirigenti degli
anni Cinquanta e Sessanta
non erano tenuti a rendere
conto agli azionisti o agli
investitoriistituzionali.Illoro
posto di lavoro era garantito.
Gli incontri annuali con gli
azionisti erano rituali formali
in cui gli amministratori
delegatirecitavanounpiccolo
discorso
preparato,
rispondevano a un paio di
domande e se ne andavano.
Oggi i dirigenti sono
impegnati in uno sforzo
continuo – di persona, al
telefono, in pubblico e per
mezzo di presentazioni
articolate–perrassicuraregli
investitori principali, fare
colpo sugli analisti di Wall
Street e sciogliere ogni
dubbio che potrebbero avere
le banche e le agenzie di
rating.
I ricercatori Margarethe
Wiersema
della
Rice
University e Mark Washburn
dellaUniversityofCalifornia,
a Berkeley, hanno preso in
esame la sorte dei massimi
dirigenti
delle
aziende
«Fortune500»trail1996eil
2000, dopo che gli analisti
avevano
decretato
l’abbassamento
delle
raccomandazioni sulle azioni
di una certa azienda.
Wiersema e Washburn
scoprirono che quando le
raccomandazioni scendevano
anche solo di un gradino –
per esempio da “buy” a
“hold” – le probabilità che
l’amministratore
delegato
dell’azienda
venisse
licenziato nell’arco di sei
mesi aumentavano del 50%.
L’impatto di tali giudizi
squalificanti sull’operato di
un amministratore delegato
era superiore perfino di un
calo dei profitti o di una
cadutadelvaloredelleazioni
dell’azienda99.
Gli
amministratori
delegati
oggi
vengono
sostituiti a un ritmo senza
precedenti, e i licenziamenti
hanno raggiunto cifre record.
La società di consulenza
Booz Allen Hamilton ha
analizzato che il tasso di
ricambiodegliamministratori
delegati
delle
2.500
corporation più grandi al
mondoèpassato,tra1995eil
2005,dal9%al15,3%.Enon
perché volessero andarsene,
ma perché non avevano
soddisfatto le aspettative. In
tutte queste aziende, i
licenziamenti
legati
al
rendimento
sono
quadruplicati nell’arco di
dieci anni. Nel 2005, «i
licenziamenti
legati
al
rendimento hanno raggiunto
un nuovo record in Nord
America, dove il 35% degli
amministratori delegati che
hanno lasciato il loro posto
sono stati cacciati via, e
hannosfioratoilrecordanche
inEuropaeinGiappone»100.
Le prime avvisaglie di
questatendenzasiebberogià
nel 1990, quando l’economia
cominciò
a
rallentare.
Quell’anno rotolarono molte
teste importanti alla AT&T,
alla Xerox, alla Coca-Cola,
alla Aetna e in altre delle
principali aziende del paese.
Queste
decapitazioni
avvenivano
spesso
rapidamente
e
senza
spargimento di sangue, a
voltedoposolopochimesidi
attività. Quando il mercato
azionario cominciò a dare
segni di stanchezza nel corso
deiprimiannidel XXIsecolo,
i licenziamenti ripresero a
pieno ritmo. Tra il 2004 e il
2006, fu chiesto di fare i
bagagli ai vertici della AIG,
della Pfizer, della Boeing,
della Fannie Mae, della
Hewlett-Packard, della Kraft,
della Disney, della Merck,
della Morgan Stanley e della
Bristol-Myers-Squibb.
La
tendenza a licenziare senza
troppi
complimenti
fu
accompagnata
da
una
diminuzione nella durata
media dell’attività degli
amministratori delegati. Nel
2006, circa il 60% dei
massimi dirigenti delle
aziende «Fortune 500» era
stato in carica meno di sei
anni,unminimostorico.
Alcuni amministratori
delegati puntarono i piedi,
come Hans McKinnell della
Pfizer, una figura venerabile
che era stata anche a capo
della Business Roundtable,
l’associazione
degli
amministratori delegati con
sede a Washington. Ma in
seguito a un declino costante
negli anni del valore delle
azioni
dell’azienda
(nonostante i 148 milioni di
dollari che finirono nelle sue
tasche in quello stesso
periodo),nell’estatedel2006,
diciannove mesi prima della
scadenza del suo contratto,
anche lui fu mandato a casa.
C’era un limite a quanto i
grandiazionistieranodisposti
atollerare101.
Nel 2006, la maggior
parte delle assemblee degli
azionisti si riuniva ormai
senza i dirigenti delle
aziende.
Questo
non
dipendeva
da
un
cambiamento legislativo ma
dal crescente potere degli
investitori,aggregatodafondi
semprepiùgrandi.Manmano
chegliinvestitorisifacevano
più esigenti, le assemblee
dovevano diventare più
indipendentipersoddisfarele
loro richieste. Allo stesso
tempo, i dirigenti che
riuscivano ad alzare i prezzi
delleazionidelleloroaziende
eranolodatianonfinire.Jack
Welch, il leggendario ex
amministratoredelegatodella
GE, nominato da «Fortune»
“managerdelsecolo”,ebbela
fortuna di assumere il suo
ruolonel1981,allavigiliadel
lungorialzodimercato.Fece
comunque la sua parte nel
tagliare i costi e contribuire
alla fortuna degli investitori
della GE. All’inizio del suo
regno, il valore dell’azienda
era stimato in borsa in meno
di 14 miliardi di dollari.
Quando diede le dimissioni,
nel 2001, l’azienda valeva
circa 400 miliardi di dollari.
Il valore delle azioni
dell’azienda era cresciuto tre
volte più velocemente del
mercato azionario nel suo
insieme.
Prima che arrivasse
Welch, gran parte dei
dipendenti della GE passava
l’interacarrieranell’aziendae
sapeva che questa si
sarebbero presa cura di loro
una volta che fossero andati
in pensione. Welch mise fine
atuttoquesto.Trail1981eil
1985 licenziò un dipendente
su quattro: più di 100.000
persone
in
tutto,
guadagnandosiilsoprannome
di “Neutron” Jack. Anche
quandol’aziendaandavabene
– e fu così per gran parte
dellapermanenzadiWelch–
incoraggiavaiseniormanager
arimpiazzareil10%deiloro
subordinati ogni anno per
mantenere la GE competitiva.
«Alcuni pensano che sia
crudele o brutale far fuori il
10% dei nostri dipendenti di
livello più basso», scrisse.
«Nonècosì.Èesattamenteil
contrario. Quello che penso
sia brutale e “falsamente
buono” è tenere con sé delle
persone che non possono
crescere
e
prosperare
nell’azienda». Classificava i
suoi manager in tre categorie
– A, Bo C–equellitargati C
non duravano mai più di
tanto102.
Welch lottò per tagliare
o ridurre al minimo tutti i
costi extra della GE, inclusi
quelliperrecuperareibifenili
policlorurati(PCB) tossici che
la GE aveva riversato nel
fiume Hudson. Welch fece
lobbying sul Congresso per
ammorbidire
le
leggi
ambientali sulla pulizia dei
sititossicielimitareicostidi
bonificadichiinquinava.Nel
1997,gliabitantidiPittsfield,
Massachusetts, vennero a
sapere che il terreno intorno
allelorocase,nonlontaneda
una fabbrica della GE, era
contaminato
coi
PCB.
Scoprirono anche che la GE
era a conoscenza del
problema sin dagli anni
Ottanta, ma gliel’aveva
tenuto nascosto103. Ma che
volete, il compito di Welch
era quello di accrescere al
massimo il valore degli
azionisti, non fare lo statista
aziendale.Èperquestocheè
stato nominato “manager del
secolo”.
Alcuni
dirigenti
cercarono
di
battere
“Neutron”Jacksulsuostesso
terreno.Neidueanniincuifu
amministratoredelegatodella
ScottPaper,“Chainsaw”104Al
Dunlap licenziò 11.000
operaieil71%delpersonale
della sede centrale. Wall
Strett, ovviamente, apprezzò:
leazionidell’aziendasalirono
del 225%. Il passaggio di
Dunlap alla Sunbeam si
rivelò meno propizio per gli
azionisti, ma la sua
reputazione da duro fece
salireleazionidellaSunbeam
non appena mise piede
nell’azienda. Andrew Shore,
un
analista
della
PaineWebber, promosse il
rating dell’azienda a “buy”
nell’ottobredel1997,dicendo
agli investitori che «la
Sunbeampossiedeuncapitale
intangibile,
il
fattore
Dunlap».Dunlapprocedettea
licenziare la metà dei 6.000
dipendenti della Sunbeam.
William Kirkpatrick, un
direttore operativo che ha
lavorato con Dunlap sia alla
Scott che alla Sunbeam,
spiegòlateoriadiDunlapsul
management. «Se i numeri
non tornavano, ti faceva a
pezzi»105.
Purtroppo,
l’assemblea della Sunbeam
scoprì nel 1998 che uno dei
metodi di Dunlap per far
tornare i conti era truccarli –
una prassi che negli anni a
venire i dirigenti della Enron
e della WorldCom avrebbero
usatoampiamente–causando
quell’anno alla Sunbeam una
perdita di 898 milioni di
dollari. Dopo essere stato
licenziato, Dunlap partì per
l’Australia, dove tenne una
serie di conferenze sulla
leadership, offrendo agli
australianipilloledisaggezza
quali: «Se volete un amico,
prendetevi un cane. Io ne ho
due».
Tra l’aggressività legale
di “Neutron” Jack e gli
eccessiillegalidi“Chainsaw”
Al, vi furono anche approcci
più moderati, ma tutti
comportarono una riduzione
deicostiedellaforzalavoro.
CarlosGhosndivennefamoso
come
amministratore
delegato
della
Nissan.
Quando prese le redini
dell’azienda, nel 2001, la
Nissanavevaundebitodi20
milioni di dollari e la sua
quotadelmercatoglobaleera
in discesa da ventisette anni
consecutivi. Ghosn adottò
una strategia decisamente
pocogiapponese:chiusevarie
fabbriche e licenziò migliaia
di lavoratori. Entro un anno,
Ghosn portò il margine
operativo della Nissan al
10,6%.Unrecord.
“Passare ai privati” non
metteva un amministratore
delegato al riparo dalle
pressioniesterne.Ipartnerdei
fondi private equity che
investivano in un’azienda si
aspettavano che i dirigenti
tagliassero i costi e
accrescessero
il
valore
dell’azienda con altrettanta
solerzia. Se non maggiore,
poiché intendevano rivendere
l’azienda in un momento
successivoaunprezzomolto
più alto. Se una buona
percentuale del capitale
investitoerapresoinprestito,
i dirigenti subivano una
pressione
ulteriore
per
generare abbastanza profitto
dacoprireanchegliinteressi.
Neanche le tradizionali
aziende di famiglia erano
immuni. La Malden Mills di
Lawrence,Massachusetts,era
appartenuta alla famiglia di
Aaron Feuerstein per tre
generazioni. Era una delle
ultime aziende manifatturiere
del New England. Dopo che
la fabbrica fu quasi
completamentedistruttadaun
incendio, nell’inverno del
1995, Feuerstein avrebbe
potuto prendere i soldi
dell’assicurazioneeriaprirela
fabbricanellaNorthCarolina,
dove gli stipendi erano più
bassi,osubappaltareillavoro
in Cina. Scelse invece di
spenderecirca450milionidi
dollari per ricostruire la
fabbrica a Lawrence e
continuare a pagare lo
stipendio a suoi 4.000 operai
mentre erano inattivi, a un
costo aggiuntivo di circa 15
milioni di dollari. In seguito
affermò:
«I
lavoratori
dipendono da me. La
comunità dipende da me. E
anchelamiafamiglia».Peter
Jennings,altempoconduttore
della ABC News, nominò
Feuerstein «uomo della
settimana». Tom Brokaw, ex
conduttoredellaNBCNews,lo
definì «il santo degli anni
Novanta». La settimana
seguenteilpresidenteClinton
lo citò nel suo discorso sullo
stato dell’Unione. Feuerstein
sembrava l’esempio moderno
di uno statista aziendale
sinceramente interessato ai
suoi dipendenti e alla
comunitàincuiopera.
Ma il suo sforzo costò
all’azienda un debito di 150
milioni di dollari. Un
consorzio di banche, insieme
alla GE Capital, impose a
Feuerstein un rigido schema
diratemensiliaunaltotasso
di interesse, poiché avevano
molti posti meno rischiosi e
più redditizi dove mettere i
lorosoldi.Feuersteincercòdi
rispettare le rate, ma rimase
indietro coi pagamenti.
Infine, nel novembre del
2001, la Malden Mills si
riorganizzò per bancarotta.
Quando riemerse, nel 2003, i
suoi creditori licenziarono
Feuerstein e scelsero un
nuovo
amministratore
delegato, che aprì subito due
fabbricheinCina.Ancheseil
nuovo
amministratore
delegato aveva promesso che
avrebbe mantenuto una
presenza
a
Lawrence,
sembrava poco probabile che
Lawrence avrebbe coperto
più del 15% dei 175 milioni
di dollari annuali di vendite
della
Malden
Mills
all’esercito americano, che è
obbligato per legge a
comprare le sue divise in
America106.
A ogni modo, non
preoccupatevi troppo della
sorte dei moderni dirigenti
aziendali. Nonostante la
pressioneesercitatasudiloro,
il rischio maggiore che
corrono di perdere il posto e
il costante pericolo che un
rivale eroda il loro mercato,
conducono ancora una vita
abbastanza agiata. I loro jet
privati sono tenuti in buone
condizioni; la loro iscrizione
ai circoli di golf e ai centri
SPA
viene
rinnovata
automaticamente; e i loro
stipendi, come vedremo nei
capitoli
seguenti
sulle
conseguenze sociali del
supercapitalismo,superanodi
gran lunga quelli dei comuni
mortali. E qualora dovessero
essere licenziati, ricevono
strabilianti
premi
di
consolazione.
8
Nel1995,piùdiunterzo
degli operai del settore
privato negli Stati Uniti era
iscritto al sindacato. Nel
2006, gli iscritti erano meno
dell’8%. La conseguenza
primaria
è
stata
un
drammatico declino del
potere contrattuale degli
operai americani di ottenere
stipendi e benefici più alti.
Tra il 1945 e il 1980, quasi
tutte
le
contrattazioni
sindacali portarono a un
aumento dei salari; da lì in
poi, gli accordi sindacali
riguardarono
spesso
concessioni al ribasso sugli
stipendi e sui benefici degli
operai.Ancheilavoratorinon
iscritti al sindacato ne
subirono le conseguenze. I
sindacati non possedevano
più in nessun settore la forza
necessaria per alzare gli
stipendi.
Unavisionecondivisada
molti che militano nei
sindacati
americani
attribuisce il declino nel
numerodiiscrittiaun’ondata
di
virulento
attivismo
antisindacale da parte delle
corporation, fomentato da
Ronald Reagan, dopo che
questo licenziò i controllori
del traffico aereo in sciopero
(uno
sciopero
illegale,
peraltro)il5agostodel1981,
interdicendoli per sempre dal
lavoro. Secondo questa
visione,legrandicorporation
del paese interpretarono il
gesto di Reagan come un via
liberaadaggredireisindacati,
cosachecominciaronoafare
senzapietà.
Uno
dei
punti
controversi di questa teoria è
la sua tempistica. Come si
può notare nel grafico 2.2, le
iscrizioni
al
sindacato
iniziarono
a
calare
rapidamente a partire dalla
metà degli anni Settanta,
durante la presidenza di
Jimmy Carter. Quando
Reagan licenziò i controllori
di volo, la frana si era già
trasformatainunavalanga107.
Èverochegliamministratori
delegati
delle
aziende
americane intensificarono la
loroattivitàantisindacale,ma
l’assalto iniziò negli anni
Settanta, non negli anni
Ottanta. Nel 1962, il 46,1%
delle elezioni sindacali ebbe
luogo col pieno consenso dei
datori di lavoro. Negli anni
Settanta,questicominciarono
a contestare i risultati delle
elezioni. Nel 1977, solo
l’8,6%
delle
elezioni
avveniva
senza
contestazioni108. A partire
daglianniSettanta,leaziende
iniziarono
anche
a
rimpiazzare i lavoratori in
sciopero,eunnumerosempre
maggiore
di
imprese
minacciava di fare lo stesso
se i lavoratori avessero osato
scioperare.
Cominciarono
anchealicenziareilavoratori
che praticavano attività
sindacale sul posto di lavoro
nelpienorispettodellalegge.
Negli anni Cinquanta, il
National Labor Relations
Board (Consiglio nazionale
delle relazioni sindacali)
registrò licenziamenti illegali
in una elezione sindacale su
venti. Il tasso crebbe
rapidamente a partire dagli
anni Settanta. Negli anni
Novanta,
un’elezione
sindacale su quattro aveva
come
conseguenza
un
allontanamento illegale dal
lavoro109.
Questavisionecomporta
un altro problema. Le
iscrizioni al sindacato non
sono calate solo negli Stati
Uniti, ma anche in Europa e
in Giappone. Per capire
perché, torniamo sui punti
affrontati in questo capitolo.
La struttura di tutte le
economie
avanzate
ha
attraversato
cambiamenti
profondi, man mano che lo
stabile sistema di produzione
di massa cominciava a
vacillare.Iprimicambiamenti
avvennero negli Stati Uniti.
Un tempo gli oligopoli erano
stati in grado di assorbire gli
aumentidistipendioalzandoi
prezzi dei prodotti, ma con
l’aumentaredellaconcorrenza
e il disfacimento dei vecchi
oligopoli, questo non fu più
possibile.
I consumatori ora
avevano accesso a una scelta
maggiorediprima.Nonerano
più costretti a pagare prezzi
che riflettevano i generosi
contratti sindacali. Potevano
setacciare il mercato alla
ricerca dell’offerta migliore.
Nel frattempo, un coro
crescente
di
investitori
cominciò a reclamare che gli
amministratori
delegati
incrementassero il valore
delle azioni della loro
azienda.Altrimentiavrebbero
dato i loro soldi a quelle
aziende che riuscivano a far
fruttare al meglio le loro
azioni.Coldiffondersidiuna
vasta gamma di nuovi fondi
comuniedistrumentisempre
piùsempliciperletransazioni
finanziarie,
anche
gli
investitori avevano adesso
unamaggiorelibertàdiscelta.
Nella
corsa
per
soddisfare le richieste dei
consumatori
e
degli
investitori, gli amministratori
delegati erano costantemente
sotto pressione affinché
tagliassero i costi. E dal
momentocheicostimaggiori
derivavano dagli stipendi e
dai benefici dei lavoratori –
ammontandoinmediaal70%
dellespesetotali–idirigenti
cominciaronoatagliarequesti
per primi. Ciò di solito
comportavaestenuantitestaa
testa coi sindacati, quando
non vere e proprie campagne
antisindacali. Ronald Reagan
probabilmente
legittimò
questestrategie,manonnefu
lacausascatenante.
Inoltre, se è vero che le
corporation presero di mira i
sindacati, questo non fu
l’unico motivo per cui i
sindacati persero la loro
influenza e molti dei loro
iscritti.DaglianniSettantain
poi,
il
settore
non
sindacalizzato dell’economia
americana
crebbe
più
velocemente
di
quello
sindacalizzato, perché i
consumatori e gli investitori
spostarono il loro denaro
laddove potevano fare gli
affari migliori110. In gran
parte
dell’economia
americana, e sempre più
anche nelle altre economie
avanzate, i consumatori e gli
investitori non erano più
disposti a sovvenzionare i
contrattieibeneficisindacali.
Leimpresesindacalizzateche
non tagliavano gli stipendi
perdevano la loro quota di
mercato a favore delle
imprese sindacalizzate che lo
facevano. Ed entrambe
perdevanoiconsumatoriegli
investitori a favore delle
impresenonsindacalizzate.
In
seguito
alla
deregulationdelsettoreaereo,
le aziende più grandi
dovettero affrontare una
feroce competizione da parte
delle nuove, piccole aziende
low-cost del settore che non
erano sindacalizzate, o che
anche qualora lo fossero non
dovevano sostenere i costi
delle
pensioni
o
dell’assistenza sanitaria per i
pensionati, che le grandi
aziende avevano negoziato.
In quello che sarebbe
divenutounincuboricorrente
per gli operai sindacalizzati
delle vecchie linee aeree,
Frank
Lorenzo,
amministratoredelegatodella
Continental Airlines, nel
1982 portò la compagnia
aerea, ormai al verde, alla
bancarotta. A quel punto
stracciò i contratti sindacali,
licenziòmigliaiadilavoratori
e assunse dei sostituti per i
pilotiegliassistentidivoliin
sciopero. Poi offrì ai nuovi
assunti la metà dello
stipendio
dei
vecchi
dipendenti sindacalizzati e
aumentò le ore di lavoro.
Ovviamente Lorenzo fu
ferocemente criticato, però
riuscìafardinuovodecollare
la Continental. Nel 1993, la
Northwest Airlines minacciò
di fallire e per prima cosa
insistette per rinegoziare i
contratti con gli assistenti di
volo
e
i
meccanici
dell’azienda. Dieci anni più
tardi, quando più di 4.000
meccanici della Northwest
scioperarono, la compagnia
aerea esternalizzò gran parte
deipostidilavoro.Circa500
lavoratori iscritti al sindacato
superarono il cordone degli
scioperanti per riprendere a
lavorare.Nel2002,laUnited
Airlines fallì. I piloti e gli
assistentidivolodell’azienda
furono costretti ad accettare
tagliaglistipenditrail9,5%e
l’11,8%. La United si
riorganizzò
dopo
la
bancarotta nel 2006. Molti
analisti di Wall Street,
comunque, ritenevano che
non avesse ancora tagliato
abbastanza gli stipendi per
esserecompetitiva.
La crisi non risparmiò
nessuno dei grandi sindacati
del paese. Prima della fine
degli anni Settanta, la United
Auto Workers era riuscita a
stipulareconiTreGrandidel
settore
automobilistico
contrattid’oro:ipiùgenerosi
eipiùsicuridituttiicontratti
sindacali del paese. Un posto
di lavoro in una fabbrica
automobilisticaamericanaera
un biglietto d’ingresso sicuro
verso il ceto medio. La UAW
era il re della strada, con il
suo milione e mezzo di
iscritti.Maapartiredallafine
degli anni Settanta, tutto
questocambiò.
General Motors, Ford e
Chrysler persero il potere di
fissareiprezzi.Iconsumatori
potevano ottenere condizioni
migliori dalla Toyota, dalla
Honda o dalle altre case
automobilistiche straniere,
anche quando le macchine
erano fabbricate negli Stati
Unitidaoperaiamericani.Più
calavano i profitti delle tre
grandi
aziende
automobilistiche americane,
più irrequieti si facevano gli
investitori. Gli stipendi e i
benefici
generosi
che
offrivano ai loro lavoratori
non erano di certo l’unico
problema di queste imprese.
Anni e anni di operato
all’interno dello stabile
sistema
oligopolistico
avevano intorpidito i vertici
delleaziende.Ladirezionesi
era fatta pigra. Troppe delle
loro macchine si rivelavano
dei rottami. Dalla fine degli
anni Ottanta in poi, però,
anche loro cominciarono a
svegliarsi e a imparare la
lezione dai giapponesi; nel
girodidiecianniriuscironoa
colmareilgapqualitativoedi
affidabilità che li separava
dallealtreaziendedelsettore.
Ma non riuscivano ancora a
essere competitive. I costi
erano troppo alti. La UAW
avevacombattutoperlasciare
inalterati il più possibile gli
stipendi e i benefici dei
lavoratori già assunti, in
particolare di quelli più
anziani,cheeranoprotettidal
licenziamento dalle regole
sull’anzianitàdiservizio.
Nel 2006, gli operai
sindacalizzati dei Tre Grandi
guadagnavanocirca60dollari
l’ora in stipendi e benefici,
una somma ancora notevole
rispetto ai lavoratori non
sindacalizzati del paese. I
fabbricanti di automobili
giapponesi che operavano
negli Stati Uniti pagavano i
loro dipendenti circa 40
dollari l’ora. Sui tre, inoltre,
gravava ancora il peso della
promessa fatta ai lavoratori
anni prima di assicurare loro
generose pensioni e benefici
di assistenza sanitaria una
volta lasciata l’azienda. I
produttori giapponesi non
dovevano affrontare queste
spese.
Non
c’è
da
sorprendersi, quindi, se le
aziende
americane
continuarono a restringersi e
quelle giapponesi – Toyota,
HondaeNissan–acrescere.
Nel2006,laforzalavoro
delle tre maggiori aziende
automobilistiche americane
era la metà di quella che era
stataneilorogiornidigloria.
Ed era destinata a diminuire
ulteriormente.
La
GM
annunciò i suoi piani per
chiudere una dozzina di
fabbriche e licenziare altri
30.000 lavoratori; la Ford
disse che avrebbe tagliato
75.000 posti di lavoro; la
Chrysler non faceva neanche
più parte del trio: ora si
chiamava Daimler Chrysler e
aveva la sede in Germania, a
Stoccarda. Nel 2006, la
Toyota possedeva quindici
fabbriche di assemblaggio e
di componenti in Nord
America e impiegava 38.000
operai, e si apprestava a
superare il numero di operai
della Ford. Solo il 60% dei
consumatori americani, e
quasi nessuno dei giovani,
acquistava più le automobili
dei Tre Grandi. Wall Street,
dal canto suo, non era più
disposta
a
investirvi.
Considerava le azioni della
GM e della Ford spazzatura.
Gliulterioritagliaglistipendi
ancora non soddisfacevano
gli investitori. «Quante volte,
negli ultimi vent’anni, la GM
ha annunciato imponenti
piani di ristrutturazione,
senza che questo facesse
crescere il valore delle sue
azioni?», si domandava
David Sowerby, gestore di
portafoglio della Loomis
Sayles, un fondo di gestione
finanziaria che possedeva un
patrimonio di 70 miliardi di
dollari111.
Anche altre aziende che
impiegavano
lavoratori
sindacalizzati
stavano
affrontando
gli
stessi
problemi. Deplhi, un’enorme
azienda di componenti per
automobili nata da una
costola della GM, nel 2006
pagava i suoi operai
sindacalizzati27dollaril’ora,
65considerandoibenefici.In
Cina, dove la Delphi
possedeva una fabbrica,
pagavaisuoioperai3dollari
l’ora. Robert “Steve” Miller
Jr, un noto “ribalta-aziende”,
che divenne l’amministratore
delegato della Delphi nel
2005,siimpegnòaridurredi
due terzi i 34.000 dipendenti
della Delphi e a tagliare gli
stipendi fino a un minimo di
10 dollari l’ora. La UAW non
ne voleva sentir parlare.
Allora Miller fece fallire la
Delphi e cancellò tutti i
contratti sindacali. Miller
avvertì che qualsiasi altra
scelta avrebbe messo a
rischio l’intera forza lavoro
dellaDelphi112.
Non importava che
un’aziendafosseredditizia;se
gli investitori potevano trarre
maggiori profitti e migliori
prezzi delle azioni altrove,
l’azienda era comunque a
rischio. Non importava
neanche che un prodotto
fosse
relativamente
economicoedibuonaqualità,
se i consumatori potevano
trovaredimeglioaltrove.Nel
2006, la Caterpillar Tractor
eraun’aziendacherealizzava
profitti, ma era sotto
pressione da parte degli
investitori affinché generasse
entrate maggiori. Il sindacato
voleva preservare i buoni
stipendi e i benefici dei suoi
lavoratori. Per soddisfare sia
Wall Street che il sindacato,
la Caterpillar decise di
distinguere in due gruppi la
sua forza lavoro. I lavoratori
già
assunti
avrebbero
continuato a ricevere 42
dollari l’ora, ma quelli che
sarebbero entrati nell’azienda
da quel momento in poi ne
avrebbero guadagnati 22
l’ora. «Bisogna trovare un
equilibrio»,
dichiarò
il
presidente
del
gruppo,
Douglas Oberhelman, al
«New York Times», «tra
essere
competitivi
e
continuare ad appartenere al
cetomedio»113.
I lavoratori del settore
terziario – negozi, ristoranti,
alberghi, centri di assistenza
ai giovani e agli anziani,
ospedali,trasporti–dovevano
affrontare una sfida diversa
daquelladeiloroequivalenti
nella grande industria. I loro
posti
di
lavori
non
rischiavano di scomparire.
Non potevano né essere
esternalizzati all’estero né
automatizzati. Al contrario, i
posti di lavoro nel terziario
negliStatiUniticontinuarono
a crescere. Il problema era
che di norma i lavoratori
ricevevano stipendi molto
bassiequasinessunbeneficio
e avevano poche opportunità
dicrescita.Inoltre,lamaggior
parte di loro non era
sindacalizzata. Se lo fosse
stata, forse avrebbe avuto un
maggiorpoterecontrattuale.I
sindacati di riferimento del
settore
–
il
Service
Employees
International
Unione (S), i Teamsters, gli
Hotel Employees e il
Restaurant
Employees
International
Union,
e
l’United
Food
and
Commercial Workers –
lasciarono l’AFL-CIO. La
scissioneeradovutapiùauna
divergenza di visione sulle
strategie che a problemi di
carattere
interpersonale,
anche se la stampa popolare
enfatizzò
quest’ultimo
aspetto.Isindacatidelsettore
terziario consideravano loro
compito quello di migliorare
le prospettive di lavoro della
gente piuttosto che salvare
deipostidilavoroarischiodi
estinzione. Il loro futuro
dipendeva
da
quanti
lavoratori
terziari
si
iscrivevano al sindacato, e in
quanto tempo. La questione
organizzativa
era
un
problemacentrale.
Si sarebbe rivelata una
battagliaardua,però,perchéi
consumatori avevano ormai
un’ampia scelta anche a
livello locale, dai negozi
online agli ipermercati come
Wal-Mart.Wal-Mart,daparte
sua, seguiva una ferrea
politica
antisindacale,
arrivando perfino a chiudere
una sede canadese in cui i
lavoratori avevano deciso di
riunirsi in un sindacato. Man
manocheWal-Martsiapriva
ai prodotti alimentari e ai
farmaci,lecatenealimentarie
farmaceutichecominciaronoa
tagliare gli stipendi. Questo
suscitò
una
reazione
prevedibile: nel 2003, circa
60.000dipendentiditredelle
principali
catene
di
supermercati della California
proclamarono uno sciopero.
Dopo una lunga e dolorosa
serrata, i lavoratori videro
soddisfatte alcune delle loro
richieste. Nell’estate del
2005, più di mille farmacisti
di Walgreens114 scioperarono
a Chicago. La protesta fu
soffocata quando la metà dei
farmacisti varcò il cordone
degli scioperanti per tornare
allavoro.
Il declino dei sindacati,
quindi, è da imputare anche
alla
ricerca
disperata
dell’affare migliore da parte
dei consumatori e degli
investitori. Con le spiacevoli
conseguenze per i dipendenti
chequestohacomportato.
9
Quindi, per riassumere:
le tecnologie emerse nel
corsodellaGuerraFredda–i
container, le navi e gli aerei
cargo,icaviafibraotticaei
sistemi di comunicazione
satellitare–hannospianatola
strada
verso
il
supercapitalismo.
Hanno
permesso la creazione di
catene di fornitura globali.
Hanno reso possibile lo
sviluppo commerciale di
computeresoftwareingrado
di ridurre drasticamente i
costi di produzione, senza il
bisogno di un’economia di
scala, e di creare reti di
distribuzione in Internet.
Tutto questo ha mandato in
frantumi il vecchio sistema
della produzione di massa e
aumentato enormemente la
concorrenza. Ha permesso
alle grandi catene di
ipermercati di aggregare il
potere
d’acquisto
dei
consumatorieottenereprezzi
semprepiùbassi.Hacreatole
condizioni giuste affinché
venisseroabbattutelebarriere
regolatrici nel settore aereo,
autotrasportato, del trasporto
marittimo,
delle
telecomunicazioni e dei
servizi finanziari, creando
nuove
opportunità
di
guadagno per i nuovi
imprenditori e favorendo
ulteriormente la concorrenza.
Le tecnologie emergenti e la
deregulation
finanziaria,
insieme, hanno offerto agli
investitori la possibilità di
depositare i loro risparmi in
enormi fondi comuni e fondi
pensione che esercitavano
pressione sulle aziende
affinché incrementassero i
profitti. Gli amministratori
delegati che soddisfacevano
le aspettative degli azionisti
erano ampiamente ripagati.
Quelli che non lo facevano
erano licenziati. Infine, la
crescente concorrenza per
accaparrarsi i consumatori e
gli investitori ha spinto le
aziende a tagliare i costi, a
danno
soprattutto
dei
lavoratorisindacalizzati.
Leistituzionicentralidel
capitalismo
democratico
durante l’età non proprio
dell’oro – le grandi aziende
oligopolistiche, i grandi
sindacatidimassaorganizzati
per settore e il Governo che
davavoceagliinteressilocali
e delle varie comunità per
mezzo
delle
agenzie
regolatrici – sono scomparse.
I cosiddetti statisti aziendali
hanno perso la capacità di
controbilanciare gli interessi
dell’azienda con quelli dei
dipendenti e delle comunità
locali. Il potere è passato
nelle mani dei consumatori e
degli
investitori.
Il
supercapitalismo
ha
rimpiazzato il capitalismo
democratico.
Cosapensiamodiquello
che è successo? Molti di noi,
sesiamoonesticonnoistessi,
sonoprofondamentedivisi.
63 Ilmaterialeinerenteallatransizione
dell’America e del mondo verso il
supercapitalismo tra gli anni ’70 e la
fine del xx secolo è scarso, ma ho
trovato i seguenti libri e articoli utili a
gettarelucesualcuniparticolariaspetti
della transizione. Vedi, per esempio,
Alice Amsden, Asia’s Next Giant:
SouthKoreaandLateIndustrialization,
New York, Oxford University Press,
1989; Leszek Balcerowicz, Socialism,
Capitalism, Transformation, Londra,
Central European University Press,
1995; Robert Barro, Getting It Right:
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Marketplace That Is Remaking the
Modern World, New York, Simon &
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64 Diego Comin - Thomas Philippon,
“The Rise in Firm-Level Volatility:
Causes and Consequences”, in «nber
Working Paper», n. 11388, maggio
2005; Diego Comin - Erica Groshern B. Rabin, “Turbulent Firms, Turbulent
Wages?”, in «NBER Working Paper»,
n.12032,febbraio2006.
65 John Micklethwait - Adrian
Woolridge, The Company: A Short
History of a Revolutionary Idea, New
York, Modern Library, 2003, pp. 129130.
66 La tecnologia utilizzata
programmicomeSkypeealtri.
da
67 Giornale online di annunci gratuiti;
tra i dieci siti più visitati degli Stati
Uniti.
68 Su questo punto, vedi Chris
Anderson, The Long Tail: Why the
Future of Business Is Selling Less of
More, New York, Hyperion, 2006 [La
lunga coda, trad. di Susanna Bourlot,
Torino,Codice,2007].
69 KateHafner,“ForeBay,Departures
Underscore a Risky Time”, in «New
York Times», 10 luglio 2006, pp. C1,
C3.
70 Su questo punto, vedi William
Nordhaus,“RetrospetiveonthePostwar
Productivity Slowdown”, in «Cowles
FoundationDiscussionPaper»,n.1494,
2004,
consultabile
all’indirizzo
<http://cowles.econ.yale.edu/P/cd/d14b/d
71IlRobinson-PatmanActdel1936,il
cui scopo era di proteggere i piccoli
rivenditori locali dalle grandi catene,
non pose alcun freno alla crescita di
Wal-Martodialtriipermercati.Questo
perché, quando Wal-Mart era ormai
un’azienda colossale, la legge era già
statasilenziosamentefattaapezzidalle
corti federali che, con una serie di
sentenze, decretarono che la legge non
avevacomescopoquellodidifenderela
libera concorrenza ma di difendere i
consumatori da un potere di mercato
eccessivocheavrebbepotutofarsalirei
prezzi. Secondo questa logica, dal
momento che molte grandi catene
offrivanoprezzimigliorideirivenditori
indipendenti, non violavano la legge.
Vedi, per esempio, United States v.
U.S. Gypsum Company, 438 US 442
(1978), Great Atlantic & Pacific Tea
Company v. FTC, 440 US 69 (1979),
FallsCityIndustriesv.VancoBeverage
(1983). Un altro piccolo ma
significativo
passo
verso
il
supercapitalismo.
72 Ira Magaziner - Robert Reich,
Minding America’s Business, New
York, Harcourt Brace Jovanovich,
1982,pp.230-231.
73 «Computer Aided Engineering»,
gennaio1981,pp.25-30.
74 MarcLevinson, The Big Box: How
theShippingContainerMadetheWorld
Smaller and the World Economy
Bigger,Princeton,PrincetonUniversity
Press,1996[Thebox:lascatolacheha
cambiato il mondo, trad. di S. Murer,
Milano,Egea,2007].
75 Alexander Jung, “The Box That
Makes the World Go Round”, in
«Spiegel Online», 25 novembre 2005,
consultabile
all’indirizzo
<http://www.spiegel.de/international/spie
76 Dati presa da Alan Greenspan,
“Goods Shrink and Trade Grows”, in
«WallStreetJournal»,23ottobre1988,
p.A1.
77 Quell’anno, stando al dipartimento
delCommercio,il66%delletvedelle
radioacquistatedagliamericani,il45%
delle macchine utensili, il 28% delle
automobilieil25%deicomputererano
prodotti fuori dagli Stati Uniti. Per un
sommario, vedi Monroe W. Karmin,
“Will the U.S. Stay Number One?”, in
«U.S. News & World Report», 2
febbraio, 1987, p. 18. Vedi anche
Robert Reich, The Work of Nations,
New York, Alfred A. Knopf, 1991
[L’economia delle nazioni, trad. di
Maria Antonietta Giannotta, Milano, Il
sole24ore,1993].
78 «BusinessWeek», 20 giugno 1980,
p.12.
79 Michael Dertouzos et al., Made in
America: Regaining the Productive
Edge, Cambridge, MIT Press, 1989, p.
1.
80 Dati presi da Joseph Grunwald Kenneth Flamm, The Global Factory:
Foreign Assembly in International
Trade, Washington D.C., Brookings
Institution,1985,pp.14-20.
81 Louis Uchitelle, “Made in the
U.S.A.(ExceptfortheParts)”,in«New
YorkTimes»,8aprile2005,p.C1.
82 Per un’analisi più dettagliata del
cambiamento del significato di
competitività nazionale, vedi il mio
L’economia delle nazioni, Milano, il
Sole24orelibri,1993.
83 Patricia Panchak, “Shaping the
Future of Manufacturing: A Tour
Through Manufacturing’s Recent
History Reveals Clues of What’s to
Come”,in«IndustryWeek»,1gennaio
2005,p.38.
84Anderson,op.cit.
85 Betsy Morris, “The New Rules”, in
«Fortune»,24luglio2006,p.80.
86 Sulla deregulation dell’industria
aerea e di altre, vedi Ronald Fox,
Managing
Business-Government
Relations: Cases and Notes on
Business-Government
Problems,
Homewood, Illinois, Richard D. Irwin,
1982.
87 Vedi Philip E. Strahan, “The Real
EffectsofU.S.BankingDeregulation”,
Federal Reserve Bank of St. Louis,
luglio-agosto2003;RandallS.Kroszner
e Philip E. Strahan, “What Driver
Deregulation? Economics and Politics
of the Relaxation of Bank Branching
Restrictions”, in «Quarterly Journal of
Economics»,n.14,novembre1999,pp.
1437-1467.
88ThomasH.HammondeJackKnott,
“The
Deregulatory
Snowball:
Explaining Deregulation in the
Financial Industry”, in «The Journal of
Politics»,n.50,1988,pp.3-30.
89 Citato in “A Quantum Leap for
Communications”,in«BusinessWeek»,
28novembre1983,p.92.
90 Citato in “Revolution in Financial
Services”, in «BusinessWeek», 28
novembre1983,p.89.
91Pianiacontribuzionedefinitaofferti
daunacorporationaipropridipendenti
peraccantonareunapartedelredditoa
scopi futuri previdenziali. Il nome
deriva dal numero della sezione del
codice fiscale che descrive il
programma.
92 Dati presi dal New York Stock
Exchance, dal Securities Industry
Association e dall’Economic Policy
Institute.
93 Dati presi dal New York Stock
ExchangeStatisticArchiveall’indirizzo
<http://www.nyse.com/marketinfo/datalib
94 Durante gli anni Novanta, il totale
delle azioni posseduto dalle famiglie
americane è aumentato del 443%, da
1,81a8,01biliardididollari.Leazioni
in mano ai fondi comuni sono
aumentate tre volte più velocemente,
passando 233 miliardi di dollari a 3,36
biliardididollari.Nel1980,esistevano
solo228fondicomuniconunvaloredi
inventario di soli 44,4 miliardi di
dollari.Nel1999,ifondicomunierano
3.952 con un valore di inventario di
4,04biliardididollari.Altri2,5biliardi
di dollari erano depositati nei fondi
pensione (con un aumento del 420%
rispetto ai 595 miliardi di dollari del
1990). Un’altra fetta consistente era
nelle
mani
delle
compagnie
d’assicurazione (1,17 biliardi di dollari
di azioni nel 1999, rispetto ai 162
miliardi di dollari del 1990) e dei
consorzi bancari. Dati presi da
Investment Company Institute, 2000
Mutual Fund Fact Book, New York,
Investment Company Institute, 2000,
pp. 69,71. Vedi anche U.S. Census
Bureau, Statistical Abstract of the
UnitedStates2000,p.523.
95 Bureau of Economic Analysis,
NationalIncomeandProductAccounts,
tavola
1.14,
all’indirizzo
<http://www.bea.gov/national/nipaweb/S
96 Citato in “Time of His Life”, in
«Economist»,9febbraio2006,p.64.
97 Floyd Norris, “Executives’
Downfall:The‘Managing’ofNumbers
Turned into Manipulating Them”, in
«New York Times», 27 maggio 2006,
p.C4.
98 CitatoinIanSomerville-D.Quinn
Mills,“LeadinginaLeaderlessWorld”,
in «Leader to Leader», estate 1999, p.
32.
99 Citato in Jason Leow, “Sell = Fire:
Analysts’ViewsCloudCEO’sJobs”,in
«WallStreetJournal»,5-6agosto2006,
p.B3.
100 Chuck Lucier - Paul Kocourek Ralf Habbel, The Crest of the Wave,
NewYork,BoozAllenHamilton,2006.
101 Gretchen Morgenson, “McKinnell
Fumbled Chance to Lead”, in «New
YorkTimes»,6agosto2006,p.C1.
102 Citato in Jack Welch, Jack:
Straight from the Gut, New York,
McGraw-Hill,1999,pp.38-39.
103 Bill Hutchinson, “Pittsfield Fears
PCBs Are Taking Lethal Toll”, in
«Boston Herald», 8 settembre 1997, p.
6.
104Motosega.
105 John Byrne, Chainsaw: The
Notorious Career of Al Dunlap in the
Era of Profit-at-Any-Price, New York,
HarperBusiness,2003,p.155.
106 Scott Malone, “Spillane: Malden’s
Next Chapter”, in «Women’s Wear
Daily»,18aprile2005,p.24.
107RestoringthePromiseofAmerican
LaborLaw,acuradiS.Friedmanetal.,
Ithaca,ILRPress,1994.
108 Richard Prosten, “The Rise in
NLRB Election Delays: Measuring
Business’s New Resistance”, in
«Monthly Labor Review» 102, n. 2,
1979,p.59.
109 Commission on the Future of
Worker-Management Relations, “Fact
Finding Report”, Washington D.C.,
U.S. Department of Labor, maggio
1994.
110 A riprova della crescita dei settori
non sindacalizzati dell’economia, vedi
HenryFarber-BruceWestera,“Round
UptheUsualSuspects:TheDeclineof
Unions in the Private Sector, 19731998”, Industrial Relations Section,
PrincetonUniversity,WorkingPapern.
437,aprile2000.
111 Citato in Lee Hawkins Jr, “Fitch
Takes Dim View of GM’s Moves”, in
«Wall Street Journal», 23 novembre
2005,p.A3.
112MichelineMaynard,“DelphiChief
FightsBattleofDetroit”,in«NewYork
Times»,23novembre2005,p.C1.
113 Louis Uchitelle, “Two Tiers,
Slipping into One”, in «New York
Times»,26febbraio2006,p.C1.
114 Grandecatenadifarmacieconpiù
di6000puntivenditaintuttal’America.
3.Lamentedivisa115
Negli ultimi anni, i
sostenitori del capitalismo
americano–ifrequentatoridi
Wall Street, i lobbisti di K
Street, a Washington, gli
occupantidellesuiteaziendali
e delle penthouse di New
York, gran parte dei
repubblicani,
molti
economisti, gli editorialisti
del «Wall Street Journal» e i
propagandisti del libero
mercato in tutto il mondo –
sono riusciti a malapena a
contenere il loro entusiasmo
per
l’andamento
dell’economia. Il prodotto
interno lordo statunitense è
quasi triplicato rispetto agli
anniSettanta!IlDowJonesè
passato da quota 1.000 di
alloraadoltre13.000dioggi!
Hanno visto la luce una
schiera di innovazioni e
invenzioni mirabili e una
miriade di nuovi prodotti e
servizi! I fan del sistema
disdegnano
quelle
che
considerano
limitazioni
all’ulteriore sviluppo del
capitalismo: le tasse e le
regolazioni, i sindacati, le
inefficienze della “vecchia
Europa”, tutto ciò che
ostacola il benessere del
consumatore e i profitti
dell’investitore.
Di
contro,
molti
sindacalisti e attivisti locali,
gran parte dei democratici,
alcuni economisti, molti
sociologi, gli editorialisti del
«New York Times», i fautori
del protezionismo e i
populisti di sinistra sono
preoccupati da quello che sta
accadendo. Sempre più
lavoratori non riescono a
tenereilpasso!Laforbicetra
ricchi e poveri si allarga
sempre di più! I lavori sono
precari! Le comunità si
disgregano! L’ambiente è
sempre più danneggiato! I
diritti umani all’estero sono
calpestati! A volte i
conservatori si uniscono al
coro, specialmente quando si
tratta
di
criticare
l’involgarimentodellacultura
americana e l’apparente
ossessione
dell’industria
dell’intrattenimento per il
sesso e la violenza. Secondo
questicritici,laresponsabilità
è da imputare a cupidi
amministratori
delegati,
corporation immorali e in
generale alla cricca di
rappresentanti
dell’élite
globale.
Le due visioni – È un
miracolo! È una tragedia! –
descrivono entrambe alcuni
aspetti del supercapitalismo
del XXI secolo. Ma prese
separatamente,sonoambedue
pericolosamente fuorvianti.
Ognuna esclude l’altra, che
nonèaltrocheilsuorovescio
della medaglia. Ognuna
accusa
delle
forze
immaginarieperlostatodelle
cose, quando in realtà siamo
tutti,
o
quasi
tutti,
responsabili.
Lascomodaveritàèche
moltidinoisonodivisi:come
consumatori e investitori
vogliamo l’affare migliore.
Come cittadini, però, non
apprezziamo molte delle
conseguenze sociali che
questo comporta. Nell’età
non proprio dell’oro gli
equilibri del capitalismo
democratico erano ben
diversi: come consumatori e
investitori eravamo messi
molto peggio; ma come
cittadini,lecoseciandavamo
meglio.
Qual è l’equilibrio
giusto? I benefici che
abbiamo ottenuto come
consumatori e investitori
giustificano il prezzo che
abbiamo pagato per essi? È
quasi impossibile dirlo. Le
vecchie
istituzioni
del
capitalismo democratico, e le
trattative
che
le
caratterizzavano,nonesistono
più. Ma al loro posto non
sono
emerse
nuove
istituzioni. Non abbiamo
nessuno
strumento
di
riequilibrio. I nostri desideri
in quanto consumatori e
investitori di solito hanno la
meglioperchénonabbiamoi
mezzi per esprimere i nostri
valori in quanto cittadini, se
non puntando il dito contro i
bersaglisbagliati.Questaèla
vera crisi della democrazia
nell’eradelsupercapitalismo.
1
Oggigiorno,
negli
ambienti progressisti, va di
moda criticare Wal-Mart.
«Quello che mi preoccupa di
Wal-Mart è che sembra
infischiarsene delle sorti del
cetomedio»,gridòilsenatore
Joe Biden dalla terrazza
dell’edificio della State
Historical Society of Iowa, a
Des Moines. Mancavano
poco più di due anni alle
elezioni presidenziali del
2008 e Biden, in quanto
candidato
democratico,
voleva presentarsi come uno
chesipreoccupavadellesorti
dei lavoratori americani. «Si
parladistipendidi10dollari
l’ora... Come puoi condurre
una vita middle-class con
quellacifra?»116.
Da
quando
ha
rimpiazzato la General
Motors come mascotte
dell’economia del paese,
Wal-Mart è divenuto il
simbolodituttociòchec’èdi
sbagliato nel capitalismo
americano.
Negli
anni
Cinquanta e Sessanta, la GM
guadagnava più di ogni altra
azienda sulla terra ed era il
datore di lavoro più grande
d’America. Pagava ai suoi
dipendenti solidi stipendi da
ceto medio, con tanto di
benefici, per l’equivalente di
circa 60.000 dollari di oggi
l’anno. Wal-Mart, l’azienda
più redditizia e il maggiore
datore di lavoro del paese,
paga i suoi dipendenti circa
17.500 dollari l’anno, o poco
meno di 10 dollari l’ora, e i
beneficicheoffresonoridotti
all’osso: nessuna pensione e
quasi nessun beneficio
sanitario.EWal-Martfatutto
ciò che è in suo potere per
tenere al minimo gli stipendi
e i benefici. Alcuni
memorandum interni del
2005
suggerivano
di
assumere più lavoratori parttime per diminuire le spese
sanitarie dell’azienda e di
porre tetti agli stipendi dei
dipendenti più anziani,
affinché non chiedessero
aumenti. Inoltre, come ho
detto in precedenza, WalMart
porta
avanti
un’aggressiva
politica
antisindacale.
L’amministratore
delegato di Wal-Mart nel
2007 era H. Lee Scott; Jr
Scott non aveva nulla a che
spartirecon“EngineCharlie”
Wilson,
che
come
amministratoredelegatodella
GM negli anni Cinquanta non
vedevaalcunadifferenzatrail
destino della sua azienda e
quello del suo paese. Scott
aveva una visione molto
meno romantica del ruolo di
Wal-Mart nella società.
«Alcuni critici credono in
buonafedecheWal-Mart,per
via delle sue dimensioni,
debba giocare lo stesso ruolo
che si pensa abbia giocato la
General Motors dopo la
seconda guerra mondiale.
Ovvero aver creato quella
classe media di cui questo
paese va così fiero», disse.
«Laveritàèchelavenditaal
dettaglio non ricopre quel
ruolo in questa economia»117.
Scott aveva ragione. Il vero
problema – e non è certo
colpa sua – è che quel ruolo
nonèpiùricopertopressoché
danessuno.
La retorica polemica su
Wal-Mart non è neanche
lontanamente
interessante
quanto il dibattito che
potremmo fare con noi stessi
secirendessimocontodiciò
che è in ballo. Milioni di noi
fanno la spesa da Wal-Mart
perché i prodotti sono
eccezionalmente economici.
Inoltre, molti di noi
possiedono delle azioni di
Wal-Martpermezzodifondi
pensioneefondicomuni.Non
è che Wal-Mart sta pagando
per i nostri peccati?
Dopotutto, il suo fondatore,
Sam Walton, e coloro che lo
hanno seguito non hanno di
certo creato la catena più
grandedelmondopuntandoci
una pistola alla testa e
costringendoci a fare acquisti
nelloronegoziooainvestirvi
inostririsparmi.
Senzadubbio,Wal-Mart
potrebbepermettersidioffrire
stipendiebeneficimiglioriai
propri
dipendenti.
Ma
rimarrebbe competitiva se lo
facesse?Nel2005,ilmargine
di profitto dell’azienda sulle
vendite era all’incirca del
3,5%. Questo ammontava a
circa 6.000 dollari per
dipendente. In teoria, quindi,
Wal-Mart ha un certo
margine di manovra. Se
aumentasse gli stipendi e i
beneficidituttiidipendentia
tempo pieno di 3,50 dollari
l’ora, il costo aggiuntivo
sfiorerebbe appena il 3% di
tutte le vendite di Wal-Mart
negli Stati Uniti. Potrebbe
assorbire i costi aumentando
un po’ prezzi o accettando
entratepiùbasse.Mapochidi
noi, in quanto clienti di WalMart, vedrebbero di buon
occhiounaumentodeiprezzi.
Potremmo decidere di andare
afareinostriacquistialtrove,
dove i prezzi sarebbero più
bassi.
Di
certo
non
apprezzeremmo
una
riduzione dei profitti in
quanto investitori. Potremmo
decidere di investire i nostri
soldi altrove, presso chi ci
garantisce
dei
ritorni
maggiori. In realtà, nel 2006,
i profitti di Wal-Mart hanno
cominciato a vacillare. Nel
secondo trimestre del 2006,
l’azienda ha registrato il
primo calo di profitti in un
decennio. A quanto pare, i
consumatori e gli investitori
stavano trovando offerte
migliori altrove. Il valore dei
titoli di Wal-Mart, che era
cresciuto del 1,1% negli anni
Novanta, all’alba del XXI
secolo stava subendo un
tracollo.
La questione degli
stipendi e dei benefici
relativamente bassi di WalMart – e la nostra complicità
in quanto consumatori e
investitori – non è nulla se
paragonata all’effetto che
Wal-Mart ha sugli stipendi e
sui benefici di decine di
milioni di lavoratori lungo
tutta la filiera dell’economia.
E qui la nostra responsabilità
è più rilevante. Come
abbiamo visto, Wal-Mart
riesce a ottenere dei prezzi
così bassi spremendo i suoi
fornitori. Essendo l’azienda
singola più grande al mondo,
Wal-Mart ha un enorme
potere contrattuale. «Ci
aspettiamo che nostri i
fornitori scarichino i costi al
di fuori della catena di
fornitura», ha affermato un
portavocedell’azienda118.Che
tradotto vuol dire: ci
aspettiamo che i nostri
fornitori spremano il più
possibile gli stipendi e i
benefici dei milioni di
personechelavoranoperloro
negli Stati Uniti e all’estero.
Se non lo fanno, ci
rivolgeremo a qualcuno che
lofarà.
I fornitori di Wal-Mart
potrebberoridurreicosticon
la creazione di prodotti e
servizi
migliori
dei
precedenti,
mantenendo
immutati gli stipendi. Ma
poiché i salari ammontano in
media al 70% dei costi di
un’azienda,
è
quasi
inevitabile che l’effetto si
farebbe sentire anche sui
salari e sui benefici. Se il
lavorocostatropponegliStati
Uniti, i fornitori possono
esternalizzare il lavoro in
Cina,nelSudestasiaticooin
Messico;opossonosostituire
gli esseri umani con delle
macchine.
Altrimenti,
come
potrebbe Wal-Mart vendere
un detersivo a un prezzo
ridottissimo rispetto a una
confezionedidetersivoTide?
O televisori a 50 dollari e
stampantia30?Oungallone
di sottaceti Vlasic – più di
cinque chili, la fornitura per
un anno intero – a 2,98?
Pensate a Wal-Mart come a
un rullo compressore che si
sposta lungo l’economia
globale,abbassandoicostidi
tuttociòcheincontralungola
strada–tracuiglistipendiei
benefici di milioni di
lavoratori – man mano che
spreme l’intero sistema
produttivo. È grazie a questa
politicacheiconsumatoriche
affollano i negozi Wal-Mart
alla ricerca del prezzo
migliore risparmiano almeno
100miliardididollaril’anno.
Alcuni studi hanno stimato il
risparmio più vicino a 200
miliardi di dollari119. Questo
ammontaapiùdi600dollari
a famiglia: non poco per il
consumatore medio di WalMart, che ha un reddito
familiare che nel 2005 si
aggirava sui 35.000 dollari
l’anno.
Wal-Mart è il rullo
compressore per eccellenza,
mavenesonoaltri.Grazieal
nostro accresciuto potere in
quanto
consumatori
e
investitori nello scegliere i
prodotti migliori e a minor
prezzo tra una vasta gamma
di alternative, quasi ogni
azienda è stata costretta a
diventare
un
rullo
compressore. È per questo
che gran parte dei prezzi si
sonoabbassatiinterminireali
e che molti prodotti e servizi
sono migliori ora di quanto
non lo fossero qualche
decenniofa,echeunnumero
maggiore di americani ha
accesso a una quantità di
prodottipiùvastachemai.
I mercati dei consumi
sono
lungi
dall’essere
perfetti, ovviamente. Alcune
grandi aziende conservano
ancora monopoli temporanei
per mezzo di brevetti e
copyright
o
strategie
predatorie atte a intimidire la
concorrenza. I consumatori a
volte hanno difficoltà a
orientarsi tra i prezzi e sono
manipolati
affinché
acquistinoprodottidicuinon
hanno bisogno: è per questo
che l’industria pubblicitaria
gioca un ruolo così enorme
nella nostra economia e che
“il rimorso del consumatore”
è un problema così diffuso.
Nonostantequestefalle,però,
negli ultimi decenni il
mercato è diventato più
sensibile alle nostre richieste
in quanto consumatori di
quantononlosiamaistato.
Laprovastaneinumeri.
(Per comodità, per fare i
raffronti che seguono, ho
preso come riferimento il
valore del dollaro nel 2000).
Un televisore a colori che
costava 2,227 dollari quando
furono introdotte le prime TV
negli anni Cinquanta, nel
1967giàcostavalametà.Nel
2000,ilsuoprezzoeracalato
a soli 175 dollari, divenendo
accessibile pressoché a tutte
lefamiglieamericane,incluso
oltre il 90% delle famiglie
che vivevano sotto la soglia
dellapovertà120.
I forni a microonde
hanno seguito la stessa
parabola.
Nel
1955,
costavano 1.300 dollari. Nel
1967, se ne poteva comprare
unoper495dollari.Nel2002,
il prezzo era sceso a 208
dollari121,allaportatadiquasi
tutte le famiglie americane,
incluso il 73% di quelle
classificate come povere. Il
prezzo dei videoregistratori è
diminuito più o meno alla
stessa velocità, permettendo
all’incirca al 78% delle
famigliepoveredipossederne
uno. Il prezzo delle radio a
transistorèpiombatodai228
dollari del 1962 ai 15 del
2000;ilprezzodiunfrigo,da
2.932dollaria1.000122.
Il personal computer
medio è passato dai 1.300
dollari del 1998 ai 770 del
2003 (la Dell Computers,
comeWal-Mart,faunastima
settimanale dei suoi fornitori
in una ricerca spietata dei
componenti migliori e più
economici). Nel frattempo, i
PC sono diventati più potenti.
Nel1996,nonpotevichiedere
dimegliodiunharddiskda1
gigabyte (1 gigabyte può
contenerepiùomenotuttele
parole e le informazioni di
tutti i libri che riesci a
caricare su un furgoncino).
Dieci anni più tardi, 1
gigabyte
poteva
essere
contenuto in una penna USB
delle dimensioni di un dito
mignolo.
Contemporaneamente,
a
partire dagli anni Novanta,
sono emersi e hanno
continuatoadiveniremigliori
gli iPod, le macchine
fotografiche digitali, le TV a
schermo piatto, gli hard disk
esterni per fare il backup dei
dati, i lettori DVD e i router
wireless. Man mano che la
qualità di questi prodotti
migliorava, il loro prezzo
scendeva.
Una generazione fa, la
tipica famiglia americana
possedevaunasolamacchina.
Nel 2006, quella stessa
famiglia ne aveva due. Un
terzo
delle
famiglie
americane possiede tre o più
macchine. Questa non è una
buona notizia per l’ambiente
o per la causa del risparmio
energetico, ma è benvenuta
per quei membri della
famiglia che non devono più
fare i turni per usare la
macchina.
L’automobile
media costava meno, in
terminireali,nel2006chenel
1982, nonostante fosse
equipaggiata con air bag,
lettore CD, freni ABS e altre
amenità considerate un lusso
nei primi anni Ottanta123.
Come abbiamo visto, i Tre
Grandi
hanno
dovuto
competere
molto
più
duramente e i consumatori
hanno avuto un gamma di
costruttori di automobili
molto più ampia tra cui
scegliere.
Nelle
industrie
deregolamentate,
i
consumatori hanno avuto la
meglio124. Le tariffe del
settore autotrasportato sono
scesedel30%trail1980eil
2000, abbassando i costi di
pressochétuttelespedizionia
lungo raggio. Anche il costo
dei viaggi aerei sulle tratte
lunghe è crollato, in termini
reali, permettendo per la
prima volta a milioni di
americani di compiere viaggi
fino a quel momento
impossibili.Nel1960,ilcosto
medio per passeggero era di
35 dollari ogni 100 miglia
(sempre in riferimento al
valore del dollaro nel 2000).
Nel1980ilprezzoerascesoa
20 dollari; nel 2000 aveva
raggiuntoi15.Nel2005,una
tratta media di sola andata di
1.000 miglia circa costava il
20% in meno rispetto al
2000125. Uno studio recente
ha rilevato che, nel 2000, i
viaggiatori avrebbero pagato
20miliardididollariinpiùin
tariffepiùalteeservizimeno
frequentisenonfosseesistita
laSouthwestAirlines126.
Date un’occhiata alle
vostre bollette del telefono,
tenendo conto dell’inflazione
(miriferiscosemprealvalore
del dollaro nel 2000). La
tariffamensilebasemediaper
un telefono fisso è rimasta
intorno ai 35 dollari lungo
tutto il corso degli anni
CinquantaeSessanta,perpoi
scendere a 18 nel 1980. Nel
1983, in seguito alla
deregulation del settore, la
MCI
faceva pagare 37
centesimi per una telefonata
di un minuto tra St Louis e
Atlanta, mentre la Bell
System continuava a far
pagare la sua vecchia tariffa
di 62 centesimi; alla fine le
tariffe della Bell scesero per
tenere testa alla concorrenza.
Calò anche il prezzo delle
apparecchiature telefoniche.
Dopoessereriuscitanel1983
aottenereunariduzionedegli
stipendi dei dipendenti della
WesternElectricCompany,la
AT&T riuscì ad abbassare i
costi di un telefono standard
di quasi di un terzo. Anche i
costi delle telefonate a
distanzasubironountracollo.
Negli anni Cinquanta, fare
una chiamata di dieci minuti
nella fascia giornaliera a una
personaapiùdi200migliadi
distanzacostavaall’incirca15
dollari. Nel 2000, quella
stessa chiamata ne costava
8,50. Le tariffe delle società
di telecomunicazioni sono
scese dal dollaro e cinquanta
del 1980 ai 25 centesimi del
2003127.Oggipossochiamare
gratis i miei amici in Europa
einAsiaviaInternet.
Nontuttoèdiventatopiù
economico in termini reali,
ovviamente.
Il
prezzo
dell’assistenzamedicaèsalito
alle stelle. Ma questo è
dovutosoprattuttoalfattoche
la
concorrenza
per
accaparrarsi i soldi dei
consumatori
e
degli
investitori ha portato alla
diffusione di una miriade di
nuovi farmaci e attrezzature
mediche. Il risultato è un
miglioramento
delle
condizioni di salute della
maggior parte delle persone.
Quando sono nato, nel 1946,
l’aspettativa di vita media di
unamericanoeradi66,7anni
(per cui l’assistenza sociale
governativa
“Social
Security”, che entrava in
vigore a 65 anni, non era
proprio un grande affare).
Una persona nata nel 2006,
invece, può aspettarsi di
vivere fino a ottant’anni.
Neanchelaterzaetàèuguale
a quella di un tempo.
Quarant’anni fa, un uomo
normalmente passava i suoi
sessant’anni stravaccato su
unasediaadondolooseduto
a un tavolo da gioco. Oggi
molti settantenni viaggiano,
fanno sesso e praticano degli
sport.Miopadre,anovantatré
anni, gioca a golf tre volte
allasettimana.
Anche la chirurgia ha
fatto molti passi in avanti.
Vent’anni fa riuscivo a
malapena a camminare; poi
mi hanno sostituito entrambe
le anche e oggi camminare è
un gioco da ragazzi.
L’incidenza di malattie
cardiache letali è oggi del
60% più bassa che nel 1950
(considerando la crescita
nella popolazione). Anche il
cancro miete meno vittime.
La mortalità infantile dal
1980 è scesa del 44%,
secondo i dati dei Centers of
Disease Control (Centri di
controllo delle malattie).
Grazie ai nuovi medicinali,
milioni di persone che
soffrivano di dolori cronici
hanno trovato sollievo,
milioni di persone sono state
guaritedalladepressioneegli
affetti da AIDS possono ora
condurreunavitanormale.
Il sistema sanitario ha
ancora molti problemi,
ovviamente. È estremamente
inefficiente. Le nostre cattive
abitudini alimentari hanno
creatoun’epidemiadiobesità.
Ben 47 milioni di americani
nonhannoassistenzasanitaria
e devono ricorrere al pronto
soccorso degli ospedali
quando le cose si mettono
male.Nondimeno,lamaggior
parte di noi vanta miglior
saluteoggidiquarant’annifa.
Anche il prezzo delle
case è aumentato, ma in
generale sono più grandi e
confortevoli.
L’aria
condizionata è standard nei
climi caldi, così come il
riscaldamentocentralizzatolo
è nei climi freddi128. Il costo
dell’istruzioneuniversitariasi
è impennato, ma non so dare
una spiegazione a questo
fenomeno, nonostante abbia
insegnato
in
numerose
università di prestigio. Il
settore
dell’istruzione
universitariaèridottoall’osso
e
risponde
a
leggi
economiche che sfidano la
logicacomune129.
2
Imercatidicapitali–tra
cuileborse,lebanche,ifondi
monetari e le altre istituzioni
finanziarie – sono molto più
efficienti oggi di quanto non
lo fossero nei decenni scorsi,
anche se la perfezione è
ancora lontana. I prezzi dei
titoli di borsa riflettono
ancora i profitti stimati
piuttostochequellireali,egli
investitori
a
volte
commettono dei grossolani
erroricollettivi,comecapitòa
molti di noi alla fine degli
anni
Novanta,
quando
investimmo in massa nella
bolla di Internet e poi ne
patimmo le conseguenze
quando questa esplose, nel
2000. Le aziende possono
occultare i loro problemi
finanziari per mezzo di
escamotagecontabili,almeno
per un po’, come fecero i
dirigenti della Enron. I fondi
comuni e i fondi pensione a
cui affidiamo i nostri soldi
non sempre agiscono nel
nostrointeresse,specialmente
se hanno redditizi rapporti
con le stesse aziende in cui
investonopercontonostro.E
Wall Street è celebre per la
sua miopia in quanto alle
prospettive future, dando più
importanza
ai
risultati
trimestralichealleprestazioni
alungotermine.
Nonostante tutto questo,
però,èstatountrionfopergli
investitori, così come per i
consumatori. I mercati di
capitalisonolostrumentopiù
efficiente per misurare con
quantozeloidirigentistanno
spremendoilvaloredelleloro
aziendeperaumentareinostri
profitti in quanto investitori.
Anche in questo caso, i
numerinesonolaprova.Man
mano che il vecchio sistema
oligopolistico si apriva alla
concorrenza – permettendo
agli operatori finanziari di
spremere le aziende affinché
generassero maggiori profitti
– il valore delle azioni si
impennava. Il 14 novembre
1972 il Dow Jones raggiunse
quota 1.000. L’8 gennaio
1987toccòquota2.000.Il17
aprile 1991 superò quota
3.000. Il 23 febbraio 1995 fu
superata la soglia di 4.000; il
16 luglio 1997 di 6.000; il 3
maggio1999di11.000.Calò
in seguito allo scoppio della
bolla di Internet ma poi
riprese a salire e raggiunse
quota 12.000 il 19 ottobre
2006 e 13.000 il 25 aprile
2007. Nonostante il fatto che
ogni
nuovo
traguardo
diventasse sempre più facile
da raggiungere e che alcuni
investimenti si rivelassero di
naturapuramentespeculativa,
gli investitori si sono
enormementearricchiti.
Questi
guadagni
colossali non furono la
conseguenza dei tagli alle
tasse di Ronald Reagan,
ispirate alla supply-side
economics, come alcuni
economisti
conservatori
continuano a credere. Il Dow
Jones è cresciuto anche dopo
gli incrementi delle tasse di
George Bush padre e di Bill
Clinton. Più di ogni altra
cosa,
ha
espresso
l’accresciuta capacità delle
aziende di generare profitto,
man
mano
che
si
incamminavano verso la
strada del supercapitalismo. I
massimi dirigenti delle
aziende hanno ricevuto forti
incentivi a essere più
efficienti:
in
quanto
consumatori
abbiamo
minacciato di andare a fare
affarialtrovesenonavessero
fattolecosenellamanierapiù
efficiente possibile, e in
quanto investitori abbiamo
minacciato di portare i nostri
soldi altrove a meno che non
ci avessero garantito dei
buoni ritorni sui nostri
investimenti. La pressione
che abbiamo esercitato – per
mezzo di intermediari come
Wal-Mart o Wall Street – ha
generato profitti da capogiro
per alcuni amministratori
delegatieoperatorifinanziari
di successo, così come ha
significato la perdita del
lavoro per quelli meno
fortunati, come abbiamo
visto.
Apartiredallafinedegli
anniNovanta,granpartedelle
famiglie
americane
è
diventata
azionista,
investendo i propri risparmi
in borsa, nei piani 401 (k) o
in altri piani pensionistici.
L’azionista medio possiede
solo circa 5.000 dollari di
azioni, ma è abbastanza
perché presti particolare
attenzione alle tendenze del
Dow Jones. Le pagine
finanziariedeiquotidiani,che
untempoeranolettesolodai
più ricchi, ora fanno a gara
con le pagine sportive
nell’attirare l’interesse di
tutti.
La
crescente
concorrenza per garantirsi i
nostri soldi in quanto
consumatori e investitori ha
reso tutta l’economia più
produttiva. Per ottenere i
migliori
risultati,
gli
amministratori delegati e i
finanzieri hanno dovuto
spostareisoldi,imacchinari,
le fabbriche e gli altri
patrimoni laddove potevano
fruttare di più. Hanno anche
dovuto investire in prodotti e
servizi migliori, e trovare
mezzi più economici per
trasportarli. E, ovviamente,
hanno spostato, ridotto di
grado, promosso o licenziato
milioni di persone. Come
conseguenzadituttociò,trail
1973 e il 2006 il prodotto
internolordodegliStatiUniti
è triplicato, tenendo conto
dell’inflazione.
Gli
economisti stimano che nel
corso di questi anni la
produzione sia aumentata
all’incirca dell’80%. Nel
2006, i lavoratori americani
producevanoogniorapiùdel
30% di quanto producevano
undecennioprima.
Man mano che il potere
economico è passato dalle
grandi corporation e dai
lavoratori sindacalizzati nelle
mani dei consumatori e degli
investitori, l’inflazione è
scesa notevolmente. Nell’età
non proprio dell’oro, il
grande capitale e i sindacati
di massa negoziavano salari
che
determinavano
gli
standard
dell’intera
economia. Oggi, gran parte
deilavoratorinonhailpotere
di ottenere un aumento di
stipendio, così come molte
aziendenonhannoilpoteredi
alzare i prezzi. Questo vuol
dire che l’economia può
correre più veloce e con un
tasso
minore
di
disoccupazione, senza il
rischio che i salari e i prezzi
crescano
oltremisura.
L’economia,
nel
suo
complesso, è abbastanza
produttiva e flessibile da
poter evitare un aumento
dell’inflazione nel momento
in cui cresce la domanda.
AlanGreenspan,comehogià
detto, fu uno dei primi a
intuirequestarealtà.
3
Ma molti di noi non
sono solo consumatori e
investitori.
Dobbiamo
lavorare per vivere. Se i
nostri salari e benefici non
cresconoallostessoritmodel
resto
dell’economia,
potremmo
avere
l’impressione di non fare
progressi.
A meno che non siamo
narcisisti indefessi, le nostre
preoccupazioni
non
si
limitanoainostrilavori,salari
e benefici. Molti dei nostri
genitori o dei nostri figli
lavorano, così come i nostri
fratelli, le nostre sorelle e i
loro figli, i nostri amici e
colleghi,iloroparentieiloro
figli. L’economia, come
disciplina,siconcentrasuuna
sfera di interesse personale
nettamente delimitata da
quello che gli analisti delle
agenzie
di
statistica
governativedefinisconocome
“famiglia”
o
“unità
familiare”.
Ma
queste
categorie sono arbitrarie.
L’essere umano può provare
empatia
–
che
può
comprendere sentimenti di
responsabilità, di lealtà o di
semplicevicinanza–benaldi
làdiquestasfera.
Siamo anche membri
della
nostra
comunità,
partecipanti attivi alla vita di
quartiere, membri di una
democrazia, patrioti. Alcuni
di noi sarebbero disposti a
morireperilpaese.Imodelli
economici
tradizionali
ignorano quasi del tutto
questi
sentimenti
di
altruismo. Come cittadini
potrebbepreoccuparciilfatto
che la maggior parte dei
lavori sono precari e i salari
stagnanti, e che una cerchia
ristretta di persone possiede
granpartedellericchezzedel
paese. Così come potrebbe
preoccuparci il fatto che le
comunità locali si stanno
disgregando,
perché
i
rivenditorilocalinonriescono
più a competere con gli
ipermercati. O il fatto che le
aziende stanno contribuendo
con le loro emissioni al
riscaldamento
globale,
violando i diritti umani
all’estero, assecondando i
nostri istinti più bassi con
stimoli sessuali e brividi
violenti o cercando di
riempireglistomacideinostri
figli(eforseancheinostri)di
cibospazzatura.
Anchequi,ilconfinetra
i nostri interessi legittimi e
l’attenzione per il prossimo
tende a confondersi. Per
esempio, voglio che i poveri
siano educati e inseriti nel
mercatodellavoro,altrimenti
il crimine aumenterà e
metterà a rischio i miei cari;
io o uno dei miei figli
potrebbe essere aggredito da
un ragazzino povero che non
pensa di avere alcun futuro
davanti
a
sé.
Sono
preoccupato dalla scomparsa
delle economie locali non
solo perché ho a cuore i
piccoli rivenditori, ma anche
perché provo piacere ad
ammirare le vetrine dei loro
negozi. Il riscaldamento
globale non minaccia solo il
pianeta ma anche la spiaggia
che mi piace tanto. Non
voglio che la pornografia sia
così facilmente accessibile in
Internet perchè non voglio
che finisca sotto gli occhi di
mionipote.
Queste questioni di
sicurezza economica, equità
sociale,difesadellecomunità
locali, salute dell’ambiente e
decoro erano centrali nel
capitalismo
democratico
dell’età non proprio dell’oro.
Ciriguardavanodavicino–e
lo fanno ancora – in quanto
cittadini. Man mano che il
poteresièspostatonellemani
dei consumatori e degli
investitori, queste questioni
sonostateoscurate.Abbiamo
siglato un patto faustiano.
L’economia moderna ci offre
molti vantaggi perché ci
punisce in altri modi.
Possiamo anche puntare il
dito contro le grandi
corporation, ma perlopiù
abbiamo siglato questo patto
connoistessi.
Dopotutto,
cosa
pensiamo che renda possibile
certi affari? In parte sono
dovuti ai salari più bassi, a
quei lavoratori che hanno
dovuto accettare salari e
benefici inferiori a quelli di
un tempo, o accettare nuovi
lavori che pagano meno. In
parte
alle
catene
di
ipermercati che mandano in
rovina i rivenditori locali
offrendo prodotti a prezzi
stracciati. In parte alle
aziende
che
hanno
abbandonatolelorocomunità
di riferimento per creare
catene di fornitura globali in
cui pagano pochi centesimi
all’ora a operai dodicenni in
Indonesia. In parte a quegli
amministratori delegati che
ricevono stipendi d’oro; alle
aziende che danneggiano
l’ambiente in giro per il
mondo; e, in alcuni casi, alle
aziende che riversano sul
mercato prodotti violenti o
pornograficiocibiebevande
spazzatura.
Sia io che voi siamo
complici.
In
quanto
consumatori e investitori,
facciamo correre il mondo
intero. I mercati sono
diventati
estremamente
sensibiliainostridesiderielo
sonoognigiornodipiù.Molti
di noi, però, sono divisi, e in
quanto
cittadini
sono
diventati
relativamente
impotenti.Ilsupercapitalismo
ha trionfato. Il capitalismo
democraticono.
4
Quando troviamo una
macchina, un frigo, una
cornice o qualsiasi altro
prodottoaprezzistracciati,il
più delle volte è perché gli
americani
che
l’hanno
plasmato, montato, serrato o
imbullonato hanno accettato
deitagliaisalarieaibenefici
ohannopersoillavoro.Iloro
salari sono crollati o i loro
lavori sono scomparsi del
tutto lungo la strada verso il
supercapitalismo
perché,
come
abbiamo
visto
nell’ultimo capitolo, un
software, un lavoratore
straniero o un lavoratore
statunitense
non
sindacalizzato
potevano
realizzarelostessolavoroper
molto meno. Molti di coloro
chesonostatilicenziatihanno
trovatonuovilavori,maquasi
sempre nel terziario locale –
negozi, ristoranti, alberghi e
ospedali–chepagadimenoe
offre minori benefici. Stando
a un sondaggio del 2002 del
dipartimento del Lavoro, gli
operai
del
settore
manifatturiero che avevano
perso il posto di lavoro a
causa delle importazioni
straniere avevano ora lavori
per i quali in media
percepivano il 13% in meno
rispetto
allo
stipendio
precedente. Gli operai che
avevano perso il lavoro per
altri motivi – come
l’automatizzazione del ruolo
dell’operaio, per esempio –
guadagnavanoorainmediail
12%inmeno130.
Quando troviamo dei
servizi
particolarmente
convenienti, vi sono buone
probabilità
che
stiamo
indirettamente
spingendo
verso il basso i salari e i
beneficidiqualchelavoratore
americano. Mettiamo caso
che acquistiamo un biglietto
low-cost su Internet. Scelte
simili da parte di milioni di
viaggiatori hanno avuto un
notevoleimpattosullavitadi
persone come Shannon
Wareham, una ventinovenne
assistente di volo della
Northwest intervistata nel
2006dal«NewYorkTimes»,
proprio mentre un giudice
fallimentare stava decidendo
se permettere alla Northwest
di effettuare ulteriori tagli ai
salari e vietare gli scioperi.
Dopo aver lavorato alla
Northwest per sette anni,
finalmente nel 2005 Shannon
guadagnava più di 30.000
dollari l’anno. Ma nel 2006
rischiava di scendere intorno
ai 21.000 dollari, in base ai
tagli che intendeva fare
l’azienda. «Sono abituata a
viveresecondoimieimezzi»,
scrisse in una lettera al
giudice. «Non possiedo un
condizionatore, la TV via
cavo, l’avviso di chiamata,
Internetadaltavelocitàouna
macchina. Vivo in un
appartamento di venti metri
quadrati
sulla
centoquarantaduesima,
ad
Harlem. Negli ultimi mesi,
però, dopo aver pagato le
bollette non mi rimangono i
soldi per mangiare e sono
costrettaapagarmiilcibocon
lacartadicredito»131.
Spingiamoversoilbasso
isalarieibeneficianchetutte
levoltechespostiamoinostri
risparmidaunfondoall’altro
per ottenere un maggior
margine di guadagno. Tra
coloro che spingono le
aziende
a
tagliare
radicalmente i costi vi sono i
manager di grandi istituzioni
caritatevoli, fondi pensione
per professori universitari e
fondi pensione del sindacato.
La concorrenza per avere il
denaro che investono per
conto dei loro beneficiari
agisce come una sorta di
volanopertuttoilresto.Echi
fa pressione su di loro per
ottenere ritorni maggiori? Io,
eprobabilmenteanchevoi.Se
ilgestorediportafogliochesi
occupa del mio fondo
pensione da professore non
ottiene i guadagni più alti
possibili sui miei risparmi,
cambieròfondo.Eoggiposso
farlo più facilmente che mai:
tutto quello che devo fare è
cliccaresuunfondocheoffra
ritornipiùalti.Losannobene
gliamministratorideifondie
si
comportano
di
conseguenza. Indirettamente,
quindi, anche io sto
spingendo gli amministratori
delegatiaspremereisalariei
benefici dei loro dipendenti.
Magarilistoanchespingendo
ademolireisindacati.
A
volte
gli
amministratori delegati si
impegnanoancheaformarei
loro dipendenti, al fine di
renderli più produttivi e non
sprecare
neanche
un
centesimo dei salari e dei
benefici che spendono su di
loro.Lacatenadiipermercati
Costco sottopone il proprio
personaleaunaddestramento
meticoloso,
affinché
conoscano i prodotti e
possano servire meglio i
clienti, e li paga bene. Nel
2005, guadagnavano una
media di 17 dollari l’ora, più
del 40% dei dipendenti della
Sam’s Club, una sottocatena
di Wal-Mart. Costco offre ai
suoi dipendenti anche un
generoso pacchetto sanitario.
Alcuniosservatoripresumono
che se può farlo la Costco,
può farlo anche Wal-Mart.
Ma la migliore formazione
del personale giustifica salari
e benefici più alti solo se i
clienti sono disposti a
sovvenzionarli nella forma di
prezzipiùalti.CostcoeWalMart, in realtà, non sono
concorrenti diretti. Il cliente
medio di Costco, nel 2005,
guadagnava 74.000 dollari,
piùdeldoppiodelredditodel
clientemediodiWal-Mart132.
I prezzi della Costco sono
generalmentepiùaltidiquelli
di Wal-Mart. I clienti della
Costco ricevono un servizio
migliore, e presumibilmente
sono disposti a pagarne il
costo.
Da anni mi impegno a
diffondere il verbo secondo
cuiidipendentivannotrattati
come risorse preziose, e ne
sono ancora fermamente
convinto.
Ma
quanto
un’azienda è disposta a
investire sui suoi dipendenti
dipende da quanto valore
questipossonogenerare.Sela
Costcononpotessescaricarei
costi dei salari e dei benefici
sui suoi clienti, sarebbe
costretta a decurtarli dai suoi
profitti, danneggiando gli
investitori. A ogni modo,
WallStreetnonhaapprezzato
troppo
la
generosità
dell’amministratore delegato
dellaCostco,JimSinegal,nei
confrontideisuoidipendenti.
Come ha dichiarato un
analistanel2004:«Dalpunto
di vista degli investitori, i
benefici che offre la Costco
sono eccessivi. Una società
perazionideveprimaditutto
rendere
conto
agli
azionisti»133.Unanalistadella
Deutsche Bank si lamentava
che alla Costco «è meglio
essere un dipendente o un
cliente che un azionista».
Quando
gli
analisti
criticarono la decisione di
Sinegal di scaricare sui
dipendenti solo il 4% dei
costidell’assistenzasanitaria,
l’amministratore
delegato
della Costco portò la
percentuale all’8%, ancora
benaldisottodellamediadel
25%. Questo spinse Emme
Kozloff, un analista di borsa
alla Sanford C. Bernstein &
Co.,aconcluderecheSinegal
«è stato troppo generoso. Ha
ragione a pensare che un
dipendente felice è un
dipendente produttivo, nel
lungo termine, ma potrebbe
costringere i suoi dipendenti
adaddossarsiunapercentuale
maggiore
dei
costi»134.
Kozloff, notate bene, non sta
dicendo a Sinegal ciò che
devefare.Stasuggerendoagli
amministratori dei fondi
azionari cosa fare per
incrementare al massimo il
valore dei nostri titoli, e così
facendo fa pressione su
Sinegal. Anche in questo
caso, indirettamente, stiamo
suggerendo a Sinegal di
essere meno generoso con i
suoidipendenti.
La nostra continua
ricerca dell’affare migliore
sta anche avendo un impatto
sui manager di medio livello
esugliingegneridelsoftware.
Nel settembre del 2006, per
esempio, la Intel ha
annunciato che avrebbe
tagliato 10.500 posti di
lavoro,circail10%dellasua
forza lavoro. Gli analisti
descrissero questi drastici
tagli come l’unica speranza
della Intel di strappare una
fetta di mercato alla sua
rivale, la Advanced Micro
Devices (AMD), nella vendita
di
microprocessori
per
computer. Molti analisti, in
realtà, si aspettavano che la
Intellicenziasseunnumerodi
dipendentianchemaggiore,e
i
titoli
dell’azienda
crollarono. Nel 2007, dopo
una sfiancante guerra dei
prezzi, la AMD si mise sulla
difensivaelaIntelcominciòa
riguadagnare una fetta di
mercato. Nella nostra ricerca
estenuante di computer
sempre più potenti a prezzi
sempre più bassi, abbiamo
messo pressione sia alla AMD
cheallaIntel.
IlrisultatoèchegliStati
Uniti sono molto più
produttivi oggi di venti o
trent’annifa,mapochihanno
potuto assaggiare una fetta
della torta. Se i redditi medi
delle famiglie americane
fossero cresciuti allo stesso
ritmodellaproduttività,negli
ultimi trent’anni, la famiglia
media, nel 2006, avrebbe
guadagnatoall’incirca20.000
dollari in più di quanto non
abbiafatto.
D’altro canto, i benefici
offerti dalle aziende sono in
caduta libera da tempo.
Ricordate la piena copertura
sanitaria che gran parte delle
aziende offriva nell’età non
proprio dell’oro? Man mano
che l’economia cambiava, la
percentuale di aziende grandi
e medie che offriva una
copertura completa scese dal
74% del 1980 al 18% del
2005135. Nel 1988, due terzi
delle aziende grandi e medie
(con più di duecento
dipendenti) offrivano ancora
l’assicurazione sanitaria ai
propridipendentiinpensione.
Nel 2005, lo faceva solo un
terzodiqueste136.
Nel 1980, più dell’80%
delle grandi e medie aziende
offriva ai propri dipendenti
delle formule pensionistiche
classiche, che prevedevano
un assegno mensile. Nel
2006, lo offriva poco più di
un terzo delle aziende.
Hewlett-Packard, Verizon,
Motorola e IBM misero tutte
fineailoropianipensionistici
tradizionali, rimpiazzandoli
con fondi a contribuzione
definita che non offrono
nessuna garanzia. Nella
migliore delle ipotesi, il
datore di lavoro mette da
parte dei soldi sulla base dei
contributi del dipendente. Un
terzo dei lavoratori non
contribuisce per nulla, e di
conseguenza non lo fa
neancheildatoredilavoro.
Il
responsabile
principale
di
questa
situazione non è l’avidità
delle
corporation
o
l’insensibilità
dei
loro
amministratoridelegati,mala
crescente pressione esercitata
su di loro dai consumatori e
dagli investitori come me e
comevoiperottenereprezzie
ritorni migliori. Né io né voi
ci aspettavamo che finisse
così, e probabilmente non ci
piace affatto quello che è
successoaisalarieaibenefici
di così tante persone –
inclusi, forse, noi stessi o i
nostri
figli
–
come
conseguenza. Ma possiamo
facilmente ignorare questi
sviluppipurchénonmettiamo
in
comunicazione
il
consumatore e l’investitore
che sono dentro di noi col
loro alter ego, il cittadino. È
più facile addossare le
responsabilità a coloro che
agiscono da intermediari tra
le nostre due metà: le
corporation,
gli
amministratori delegati, Wall
StreeteWal-Mart.
Un’altra conseguenza
delle nostre azioni è una
minore sicurezza economica.
Nell’etànonpropriodell’oro,
chi portava il pane a casa
poteva contare su un lavoro
stabile e su un salario che
sarebbe
cresciuto
gradualmente e stabilmente
nel corso degli anni. Ma da
quando il vecchio sistema è
crollato, i lavori e i salari
sono divenuti più instabili.
Molte fabbriche hanno
chiuso; altre sono apparse
doveprimanonven’erano,di
solito in paesi lontani. Sono
scomparse anche molte
aziende, per poi, a volte,
riemergere sotto forma
diversa dopo un fallimento o
riaffiorarecomesussidiariedi
altre aziende. Molte vecchie
linee di produzione o servizi
standard
sono
stati
rimpiazzati da altri. Nuovi
software “killer”, ovvero
indispensabili, hanno fatto
piazza
pulita
della
concorrenza,eavolteminato
le basi di intere industrie.
L’economista
Joseph
Schumpeter l’ha denominata
«distruzione creativa»: il
risultatodiunaconcorrenzaa
briglie sciolte, l’essenza del
dinamismo economico. La
distruzione creativa che ha
avuto luogo dagli anni
Settanta in poi ha senza
dubbio
beneficiato
i
consumatori e gli investitori.
Lungo la strada, però, sono
state create e distrutte anche
le fonti di reddito di un gran
numerodifamiglie.
IlPanelStudyofIncome
Dynamics (Commissione di
studio sulle dinamiche del
reddito) della University of
Michigan ha monitorato
65.000 persone dal 1968. I
ricercatori hanno scoperto
che, in genere, nell’arco di
due anni circa la metà delle
famiglie
registra
una
diminuzione di reddito, che
poi recupera più in là. Le
fluttuazioni, però, si sono
fatte sempre più ampie col
passare dei decenni. Nel
1970, il declino si aggirava
intorno al 25%. Alla fine
degli anni Novanta, era del
40%. Intorno alla metà della
decade del 2000, il reddito
mediodellefamigliecresceva
e diminuiva il doppio di
quanto non facesse alla metà
deglianniSettanta137.
I sondaggi mostrano un
notevole incremento negli
ultimi decenni del numero di
persone preoccupate di
perdereillavoro138.Nelcorso
deipriminovemesidel2006
– il quinto anno di una
cosiddetta ripresa economica
– circa 4,5 milioni di
americani, in media, hanno
lasciato o hanno perso il
posto di lavoro ogni mese, e
circa 4,8 milioni di persone
hanno iniziato un nuovo
lavoro
ogni
mese.
Presumibilmente, alcune di
queste
persone
erano
stimolatedalcambiodiritmo,
dalle nuove opportunità che
gli
si
presentavano,
dall’emozione
del
cambiamento. Altre, senza
dubbio, avrebbero preferito
continuare a fare la vita di
sempre. È lecito ritenere che
per un buon numero di
persone questo rappresentò
un vero e proprio dramma.
Uncambiamentoradicalepuò
essere stimolante se siamo in
grado di pagare le bollette e
di riempire il frigo. È
decisamente
meno
appassionante quando hai dei
bambini costretti a patire la
fame, anche solo per un
periododitempo.
Di nuovo, siamo divisi.
Siamo ansiosi di comparare i
prezziediandareallaricerca
dei prodotti più nuovi,
scintillanti,
potenti
ed
economici. Ma il cittadino
che è in noi si preoccupa
dello stress e dell’insicurezza
che questo inevitabilmente
comporta. Nell’età non
proprio
dell’oro,
i
consumatori e gli investitori
non avevano molta scelta se
non rimanere fedeli alla
stessa azienda. Negli ultimi
trent’anni, abbiamo avuto
accesso a una gamma
costantemente crescente di
alternative, ciascuna migliore
dell’altra.
E
abbiamo
imparatoachiudereirapporti
economici con estrema
facilità nella nostra ricerca
dell’affare migliore. La
conseguenza
è
stata
un’abbondanza di distruzione
creativa, tra le cui vittime vi
sono probabilmente anche i
lavoratori dell’azienda con
cuiabbiamoappenatroncatoi
rapporti.
I benefici che otteniamo
dalla distruzione creativa
valgono il prezzo che
dobbiamo pagare? Altre
societàcapitalistichesistanno
muovendo nella nostra
direzione,comevedremo,ma
riescono ancora a garantire
una maggiore sicurezza ai
propri cittadini. L’economia
della Gran Bretagna non è
significativamente
meno
efficientediquellaamericana,
anche se i suoi cittadini
vivono in case più piccole e
usano meno la macchina. La
gente,però,conservailposto
dilavoropiùalungo,eselo
perde riceve un sussidio di
disoccupazione molto più
generoso che negli Stati
Uniti. Sir Michael Marmot,
un
professore
di
epidemiologia e di sanità
pubblica alla University
CollegediLondra,insiemeai
suoicolleghihacomparatola
salute degli americani e dei
britannici, e nel 2006 ha
pubblicato le sue conclusioni
sul «Journal of the American
Medical Association». In
ogniclassesocialeefasciadi
reddito,trovaronountassodi
malattia più alto negli Stati
Uniti che in Gran Bretagna.
Marmot ipotizzò che la
differenza fosse da imputare
aipiùaltitassidistressnegli
StatiUniti139.
Ma sta a noi scegliere,
nonècosì?
5
Se il reddito medio per
famiglia è rimasto immutato
negliultimitrent’anni,mentre
l’economia
cresceva
a
dismisura, dove sono finiti i
soldi?Quasituttinelletasche
dicolorochesiedonoincima
alla piramide. I professori
Emmanuel
Saez,
dell’Università
della
California, a Berkeley, e
Thomas Piketty, dell’École
NormaleSupérieurediParigi,
hanno
studiato
le
dichiarazioni dei redditi dei
cittadini americani e hanno
scoperto che nel 2004 l’1%
più ricco del paese ha
percepito il 16% del reddito
totale nazionale, il doppio di
quello che percepiva nel
1980140. La percentuale
percepitadallo0,1%piùricco
del paese è più che triplicata
dal 1980, raggiungendo il
7%. Le disuguaglianze sono
aumentate anche in Europa e
in Giappone, anche se in
misuraminore.Ancheseuna
parte dei soldi è finita nelle
tasche dei laureati e dei
professionisti presenti tra il
20% dei maggiori percettori
di reddito, una laurea non
rappresentavaalcunagaranzia
in sé. Anche le entrate di
coloro nel 95 percentile –
ovvero
coloro
che
guadagnavano
più
di
diciannoveamericanisuventi
– sono aumentate meno
dell’1% l’anno, in media, tra
il1987eil2004141.
La cima della piramide
non è stata occupata sempre
dalle stesse persone lungo
tutto il periodo di tempo
preso in considerazione, ma
nonèquestoilpunto.Ilfatto
è che una cerchia molto
ristretta di persone si sono
portate a casa gran parte del
bottino, e nel corso degli
anni, man mano che la
cerchiasièfattapiùristretta,
la loro fetta della torta è
diventatasemprepiùgrande.
Anchequestatendenzaè
iniziata negli anni Settanta,
per poi accelerare negli anni
seguenti. È una radicale
inversione
di
tendenza
rispetto alle politiche sociali
inaugurate all’inizio del XXI
secolo e culminate nell’età
non
proprio
dell’oro,
finalizzate a una riduzione
della forbice tra ricchi e
poveri. Nel 2005, l’1% più
riccodelpaesehapercepitola
percentuale del reddito
nazionale più alta dal 1929
(conl’eccezionediunabreve
impennata durante la bolla
azionariadel2000).
Gran parte di questo
denaroèfinitonelletaschedi
persone già ricche, sotto
forma di redditi sugli
investimenti.
I
ricchi
possiedono un numero di
titoli decisamente maggiore
rispetto agli investitori del
cetomedio,quindiicrescenti
ritorni sul capitale sono
andati sproporzionatamente a
lorobeneficio.Maquestonon
è l’aspetto più significativo
deirecentisviluppi.
I professori Lucien
Bebchuk di Harvard e Yaniv
GrinsteindellaCornellhanno
esaminato da vicino gli 83
miliardididollarichelo0.1%
più ricco degli Stati Uniti ha
dichiarato nel 2001 e hanno
trovato che più della metà –
48miliardididollari–erala
somma delle entrate dei
cinque massimi dirigenti di
ogni azienda americana.
Quell’anno, lo stipendio
medio di un dirigente si
aggirava intorno ai 6,4
milioni di dollari, inclusi i
titoli di borsa e le indennità
accessorie;lostipendiomedio
diunamministratoredelegato
era di 14,3 milioni di dollari.
Quando
i
ricercatori
compararono gli stipendi dei
dirigenti con le entrate
annuali delle loro aziende,
notarono una pronunciata
crescita negli anni. A metà
deglianniNovanta,l’azienda
media pagava ai suoi cinque
massimi dirigenti il 5% dei
profitti totali. A partire dal
2000, i massimi dirigenti
cominciarono a ricevere il
10% dei profitti totali142. Nel
2006, un amministratore
delegato guadagnava in
media otto volte di più che
neglianniOttanta.
Paragonando
lo
stipendiodegliamministratori
delegati a quello del
lavoratorecomune,emergeva
la stessa tendenza. Durante
l’etànonpropriodell’oro,gli
amministratori delegati delle
più grandi aziende americane
si portavano a casa stipendi
all’incirca 25 o 30 volte
superiori a quelli del
lavoratore
comune.
A
cominciare
dagli
anni
Settanta, i salari delle due
categorie hanno cominciato a
biforcarsi ulteriormente. Nel
1980,
l’amministratore
delegato di una grande
aziendasiportavaacasacirca
40 volte tanto lo stipendio di
un lavoratore; nel 1990, 100
volte tanto. Nel 2001, i
pacchetti salariali degli
amministratori delegati erano
lievitati fino a 350 volte
quelli
dei
lavoratori
comuni143.Perrenderel’idea,
l’amministratore
delegato
delle General Motors, nel
1968, si portò a casa circa 4
milioni di dollari (secondo il
valore
attuale),
che
equivaleva all’incirca a 66
voltelostipendioeibenefici
dellavoratoremediodella GM
altempo.Nel2005,LeeScott
Jr,amministratoredelegatodi
Wal-Mart, si è portato a casa
17,5 milioni di dollari, un
pacchetto salariale circa 900
volte superiore a quello del
lavoratore medio di WalMart.
Come si spiega questo
impressionante mutamento di
direzione?
I
dirigenti
aziendali sono diventati più
avidi?
I
consigli
d’amministrazione
delle
corporationsonodiventatipiù
irresponsabili?
Gli
amministratori delegati più
corrotti? Gli investitori più
docili? Wall Street più
conciliante? Non c’è niente
che supporti una di queste
teorie. Ecco una spiegazione
più semplice. Quarant’anni
fa, gli stipendi di tutti in una
grande azienda – anche di
quelli in cima alla scala
aziendale–eranounprodotto
della contrattazione tra le
aziende, i sindacati di massa
e,indirettamente,ilGoverno.
Gli oligopoli e i loro
sindacati, organizzati per
settore,
pattuivano
direttamente i salari degli
operai, e i colletti bianchi
capivano che questo influiva
anche sui loro salari. Come
abbiamo visto, le grandi
corporation assomigliavano
alle
burocrazie
delle
amministrazioni civili. I
massimi dirigenti di queste
aziende dovevano ricercare il
consenso dei lavoratori
sindacalizzati.
Dovevano
anche mantenere buoni
rapporti con i funzionari
pubblici affinché potessero
essereliberidifissareiprezzi
eisalari;ottenereilvialibera
delle agenzie regolatrici su
prezzi, tariffe e licenze; e
continuare ad assicurarsi
contrattigovernativi.Sarebbe
stato fuori luogo concedersi
salarieccessivamentealti.
Daallora,laconcorrenza
è cresciuta a dismisura. Gli
oligopoli sono scomparsi
quasi del tutto e le barriere
d’ingresso sono diventate più
basse che mai. Con sempre
maggiore facilità, le aziende
rivalipossonoavereaccessoa
fornitoriabassocostoinogni
parte del mondo. Possono
ottimizzare le operazioni con
la
stessa
tecnologia
informatica; possono tagliare
la loro forza lavoro e
sostituire software con altri
efficienti offerti da molti
degli stessi venditori della
concorrenza.
Possono
facilmente esternalizzare il
lavoro fuori dai confini
nazionali. Possono ottenere
capitali
per
nuovi
investimenti pressoché agli
stessi termini. Possono avere
accesso
a
canali
di
distribuzione
altrettanto
efficienti, se non identici
(Wal-Martelealtrecatenedi
ipermercati).
Il dilemma che si
trovano ad affrontare molte
aziende, dunque, è come
differenziarsi: come offrire
prodotti o servizi superiori a
quellidellaconcorrenza–più
economici, più veloci o più
affascinanti – in modo da
attrarre
e
mantenere
consumatori che possiedono
strumenticomparativisempre
più efficienti; come fare
profitti
maggiori
della
concorrenza (o creare una
maggiore
aspettativa)
cosicchédaattrarreinvestitori
emassimizzareilvaloredelle
azioni dell’azienda. Per fare
questo, hanno bisogno della
persona giusta al timone
dell’azienda.
L’amministratore
delegato di un oligopolio
nell’età non proprio dell’oro
non
doveva
essere
particolarmente bravo o
sveglio. Non doveva essere
spietato o guidato da
un’ossessionecompulsivaper
il successo. Il successo era
quasicertodalmomentochei
profittieranoquasicerti.Non
doveva preoccuparsi della
concorrenza. Era perlopiù un
burocrateacapodiungrande
sistema di produzione le cui
regole
erano
così
standardizzate
che
richiedevano uno sforzo
minimo. L’amministratore
delegato
di
un’azienda
moderna, d’altro canto, si
trova in una situazione ben
diversa.
Subisce
continuamente la pressione
dei rivali, che minacciano di
rubargliiclienti,benfelicidi
farsi sedurre da un affare più
conveniente,odisottrargligli
investitori, pronti a mollare
tutto al primo accenno di un
miglioramento dei titoli di
un’azienda concorrente. Il
moderno
amministratore
delegato deve dunque essere
abbastanza
spietato
e
motivato
da
garantire
all’azienda un vantaggio
competitivo. Non vi sono
mosse da manuale da cui
trarre
insegnamento
o
strategie ben collaudate a cui
ispirarsi. Se vi fossero, la
concorrenza le starebbe già
mettendoinpratica.
I
consigli
d’amministrazione sono ben
consapevoli di ciò ed è per
questo che i dirigenti bravi
sonocosìrichiesti.L’offertaè
molto limitata, perché sono
pochi i dirigenti che hanno
avutol’opportunitàdiguidare
un’azienda e portarla al
successo. Inoltre, i consigli
d’amministrazione
delle
aziende più affermate non
vogliono correre rischi. Il
prezzodapagaresesisceglie
la persona sbagliata può
esseremoltoaltoedèriflesso
immediatamente nel calo di
valore
delle
azioni
dell’azienda. È un principio
economico
elementare:
quando la domanda cresce e
l’offerta rimane limitata, i
prezzi spiccano il volo. Le
aziende sono disposte a
pagare sempre di più per un
amministratoredelegatoeper
gli altri massimi dirigenti,
perché le aziende rivali
stanno facendo lo stesso. E
tuttisonodispostiapagaredi
più perché subiscono la
pressione dei consumatori e
degliinvestitori144.
Ovviamente,
alcuni
amministratori
delegati
mietono profitti enormi
nonostanteilcrollodelvalore
delleazionidellaloroazienda
e altri ricevono buone uscite
dacapogiroanchesevengono
licenziati.Maquestononpuò
durarealungo.Sonopochele
aziende che oggigiorno
possonorimanerecompetitive
se alla loro testa vi è un
amministratore delegato che
non si guadagna il suo
stipendio, incluse le buone
uscite. Un amministratore
delegato che rimane al suo
postograzieairapporticheha
col
consiglio
d’amministrazione
dell’azienda non otterrà
l’appoggio degli investitori e
dei consumatori quanto uno
che si guadagna la poltrona
col sudore della fronte. I
consumatori e gli investitori
non
danno
importanza
all’amicizia, alla lealtà o ai
sentimenti. I consumatori,
come
sappiamo
bene,
vogliono semplicemente i
migliori prodotti e servizi
possibili, e se non li
ottengonoprendonoillargo.
Ancora una volta, i
numeri ne sono la prova. Tra
il1980eil2003,cosìcomeil
fatturato medio delle 500
aziendepiùgrandid’America
è cresciuto di sei volte,
aggiustatoperl’inflazione,di
pari passo sono cresciuti i
salari degli amministratori
delegatidiquelleaziende145.
Nel
2005,
la
ExxonMobil ha fatturato 36
miliardi di dollari. L’ex
presidente dell’azienda, Lee
R. Raymond, se ne è andato
comodamente in pensione
con una buona uscita di 140
milionididollari.Standoaun
documento
di
procura
presentato dall’azienda alla
Securities and Exchange
Commission, a Raymond
spettavanoaltri258milionidi
dollari in titoli, diritti di
opzione e compensazione a
lungo termine. Una tale cifra
può sembrare vergognosa, se
non si considerano gli ottimi
guadagni ottenuti dagli
azionisti nel periodo in cui
Raymond era in carica: un
ritorno del ben 223%, merito
anche dell’acquisto della
Mobil da parte della Exxon
nel 1998. Anche se gli
azionisti di quasi tutte le
grandi compagnie petrolifere
beneficiarono dell’aumento
del prezzo del petrolio, i
ritorni delle altre aziende, in
confronto,furonopiùbassi:il
205%,inmedia.Quel18%in
più, secondo Fadel Gheit,
senior analyst del mercato
energetico alla Oppenheimer
& Company, citato da Alan
Murray nel «Wall Street
Journal», valeva per quegli
azionistichegiàpossedevano
azionidellaExxonall’incirca
16 miliardi di dollari. Alla
luce di questi numeri, la
buona uscita di Raymond
appare
economicamente
ragionevole: si è portato a
casa solo il 4% di quel
bottino da 16 miliardi di
dollari.
Interminieconomici,gli
amministratori delegati, da
che assomigliavano a dei
burocrati di alto livello, sono
diventati sempre più simili a
dellestardiHollywoododel
mondodellosport,portandosi
a casa una percentuale dei
profitti. Le celebrità più
famose
di
Hollywood
incassano all’incirca il 15%
dei profitti degli studios al
box office, e gli atleti
possono contare su una fetta
sempre maggiore della
torta146. Come ci ha
rammentato
James
Surowiecki
del
«New
Yorker», nel 1957 Mickey
Mantle guadagnò 60.000
dollari. Nel 2005, Carlos
Beltransièportatoacasa15
milioni di dollari. Anche
aggiustando le cifre per
l’inflazione, gli incassi di
Beltran erano 40 volte
superiori a quelli di Mantle.
Negli anni Quaranta, Clark
Cable guadagnava 100.000
dollari
a
film,
che
equivalevano all’incirca a
800.000dioggi.TomHanks,
d’altro canto, guadagna una
mediadi20milionididollari
a film147. Gli studios
cinematografici e le squadre
di baseball sono disposti a
pagare queste cifre perché
rappresentano
una
percentuale
relativamente
piccola dei profitti che
generano queste star. Lo
stesso motivo per cui le
grandi aziende, oggi, offrono
stipendi colossali ai loro
amministratoridelegati.
Questa
spiegazione
economica non rappresenta
una giustificazione sociale o
morale per tali compensi
astronomici.
Significa
solamente
che
come
consumatori
e
come
investitori pensiamo che
siano giustificati, anche se
come cittadini ne siamo
disgustati. Circa l’80% degli
americani, in due sondaggi
del 2006 del «New York
Times»edellaBloomberg,ha
dichiarato
che
gli
amministratori delegati sono
pagati troppo. La reazione
degliintervistatièstatapiùo
meno
la
stessa,
indifferentemente dalla loro
classe sociale o affiliazione
politica148. La Securities and
Exchange Commission ha
recentemente imposto alle
aziende di fornire agli
azionisti
maggiori
informazioni sui compensi
dei loro massimi dirigenti.
Date
le
circostanze
economiche che ho appena
menzionato,
però,
è
improbabile
che
tali
informazioni possano frenare
l’impennatadeglistipendi.La
pubblicazione degli stipendi
degli amministratori delegati
potrebbe rendere più difficile
per alcuni di loro giustificare
il loro peso sul bilancio se le
azioni dell’azienda hanno
perso terreno o il loro valore
non è cresciuto più della
mediasottolaloroguida.Ma
potrebbe anche aumentare la
concorrenza per i più celebri
amministratori
delegati,
facendo crescere ancora di
piùilorostipendi.
I principali banchieri
d’investimento e trader
guadagnano anche più degli
amministratori
delegati.
Fanno i soldi trattenendo
piccole
percentuali
su
transazioni enormi. Nel 2006
– un anno di fusioni e
acquisizioni colossali – i
massimi dirigenti delle
banche
d’investimento
ottennero
bonus
che
andavanodai20ai25milioni
di dollari, mentre i trader si
intascarono assegni che
ammontavano a 40 o 50
milionididollari149.
Ma anche queste cifre
impallidiscono di fronte ai
profittideimanagerdeifondi
hedge. Nel 2005, James
Simons della Renaissance
Technologies, dichiarò un
guadagno di 1,5 miliardi di
dollari,perlopiùcompensiper
lesueattivitàdimanagement;
T.BoonePickensJr,della BP
Capital
Management
guadagnò 1,4 miliardi di
dollari; George Soros della
SorosFundManagement,840
milioni di dollari; Steven
Cohen, della SAC Capital
Advisors, 550 milioni di
dollari. Il salario netto medio
dei 26 manager dei maggiori
fondihedge,nel2005,èstato
di 363 milioni di dollari, un
45% in più rispetto all’anno
precedente150. Questi fondi
sonocosìgrandi(arrivandoa
totalizzare
centinaia
di
miliardi di dollari) e i ritorni
medi per gli investitori così
alti(andandodal12%al20%
nel2005,moltopiùdeifondi
equity) che il 2% sul
patrimonioaziendaleoil20%
sui profitti che vanno al
manager sono briciole in
confronto.Ancoraunavolta,i
protagonistisiportanoacasa
una percentuale dei profitti,
ma in questo caso i profitti
sono immensi. Tra gli
investitorichevihannotratto
guadagno – nella forma di
frazioni infinitesimali di
grandifondipensioneefondi
comunichehannoinvestitoin
questi enormi hedge – vi
siamo, probabilmente, sia io
chevoi.
Come ho già detto,
siamoprofondamentedivisi.I
migliori
amministratori
delegati,
banchieri
d’investimentoemanagerdei
fondi hedge del paese ci
hanno procurato grandi
profitti. Ma in quanto
cittadini, molti di noi sono
nauseati dalle cifre che si
sono intascati, specialmente
in un momento in cui gran
partedeilavoratorièfermao
sta perdendo terreno. Ogni
due settimane, Lee Scott Jr,
della Wal-Mart, si porta a
casa all’incirca la stessa
somma che un dipendente
medio dell’azienda guadagna
in una vita intera. La
Continental Airlines offre al
suo presidente in pensione
Gordon Bethune e alla sua
famiglia
un
generoso
pacchetto sanitario, stando al
documento
di
procura
dell’azienda,
oltre
al
compenso
pensionistico
forfettario di 22 milioni di
dollari che la Continental ha
offerto a Bethune nel
momento in cui ha lasciato
l’azienda, nel 2004. Nel
frattempo, i dipendenti della
Continental sono costretti ad
accettare stipendi più bassi e
beneficipiùmiseri151.
Nel settembre del 2006,
la Ford Motor Company, in
difficoltà finanziarie, sedusse
un nuovo amministratore
delegato, Alan Mulally, con
l’offertadiuna“salariobase”
di 2 milioni di dollari; un
bonusdi7,5milionididollari
allafirma;opzionietitolidel
valoredi15milionididollari;
11 milioni di dollari come
compenso per i titoli che
avrebbe perso del suo ex
impresario, la Boeing; e altri
benefici
e
indennità
accessorie
non
meglio
specificati, per un totale di
circa 36 milioni di dollari.
Allo
stesso
tempo,
ovviamente, la Ford stava
freneticamente tagliando i
salari. Alla Boeing, Mulally
aveva ridotto la forza lavoro
di quasi il 60%, «un segno»,
stando al «Wall Street
Journal», che «è in grado di
prendere le sofferte decisioni
dicuilaFordhachiaramente
bisogno»152 (quando Wall
Street parla di “decisioni
sofferte”intendeferiteancora
più profonde inflitte ai
dipendenti, di certo non agli
azionisti. Tanto che, alla
notizia dell’assunzione di
Mulally, le azioni della Ford
sono salite immediatamente
del2%).
Il cittadino che è in noi
probabilmente è preoccupato
dalla concentrazione delle
ricchezze del paese nelle
mani di un numero sempre
più ristretto di persone. È
l’equivalente
finanziario
dell’idrodinamica:
grandi
flussi di reddito creano
concentrazioni
ancora
maggiori di denaro. Le
fortune della famiglia del
fondatore di Wal-Mart, Sam
Walton,
sono
stimate
all’incirca in 90 miliardi di
dollari. Nel 2005, Bill Gates
valeva 46 miliardi di dollari;
WarrenBuffett,44miliardidi
dollari. Allo stesso tempo,
semprenel2005,laricchezza
combinata del 40% più
povero del paese – circa 120
milioni di persone – era
stimataintornoai95miliardi
didollari153.
Dagli anni Settanta in
poi, l’1% più ricco del paese
– che nel 2004 comprendeva
all’incirca un milione e
mezzodifamiglie154–hapiù
che raddoppiato la sua
percentuale del reddito
nazionale.
Nel
1976,
possedeva circa il 20%
dell’America. Nel 1998, la
stimapiùrecentedisponibile,
aveva accumulato più di un
terzo delle ricchezze del
paese: più del reddito
combinato del 90% dei
cittadinidelpaese155.
In quanto cittadini,
probabilmente non riteniamo
che una tale disparità giovi
alla democrazia. Indebolisce
la solidarietà e la reciprocità
che sono alla base di una
convivenza
civile
responsabile.Creaunanuova
aristocrazia i cui privilegi si
perpetuano digenerazione in
generazione. Alimenta il
cinismo. Ma i super ricchi
non sono da incolpare per
questa situazione assurda. In
gran parte, essa è frutto del
mercato. E il mercato
reagisce alle nostre pressioni
in quanto consumatori e
investitori. Questo, però, non
lorendepiùgiusto.
6
Siamo anche divisi sulle
altre
conseguenze
del
capitalismo moderno: gli
effetti sull’ambiente, sulle
comunità locali e sulla
giustizia sociale. Trenta o
quarant’anni fa, questi erano
tutelati dal capitalismo
democratico. Erano varate
leggi
a
protezione
dell’ambiente;leaziendenon
erano
finanziariamente
indotte ad abbandonare le
loro comunità di riferimento;
codici ben precisi regolavano
ciòchepotevaesseredettoin
televisione, alla radio e al
cinema; e vi erano leggi che
punivano le oscenità. Da
allora,però,abbiamoottenuto
molti benefici in quanto
consumatorieinvestitori.
Conoscomoltiuominidi
mezza età che si professano
preoccupati da morire per i
crescenti livelli di anidride
carbonica nell’atmosfera. Ce
l’hannoamorteconlegrandi
aziende che continuano a
espellerla nell’aria, e coi
politici che non alzano
neppure un dito. Allo stesso
tempo, però, vanno in giro
con SUV o furgoncini a
quattro
ruote
motrici.
Qualcuno tra i più ricchi
possiededegliHumveeedue
o tre macchine per il resto
della famiglia. I loro stili di
vita richiedono numerosi
chilowatt di energia, la cui
produzionegeneraancorapiù
inquinamento atmosferico:
case di trecentocinquanta o
più
metri
quadrati
climatizzate tutto l’anno,
piene di televisori a schermo
piatto, stereo senza fili,
poltrone massaggianti e
vasche
idromassaggio.
Inoltre,investonoinqualsiasi
azienda gli offra ritorni
vantaggiosi, senza curarsi
dell’impattochequestapossa
avere sull’ambiente. Come
cittadini sono sinceramente
preoccupatidalriscaldamento
globale; come consumatori e
investitori,
però,
contribuiscono ad alzare la
temperatura.
Allo stesso modo, molti
di noi continuano ad avere a
cuore l’ideale della comunità
tradizionale
mentre
contribuiamo
alla
sua
erosione. Quelli abbastanza
anziani da ricordare le
vecchie vie commerciali dei
paesi e delle città americane
ricorderanno la varietà di
negozi
indipendenti,
i
rapporti di amicizia che in
molti casi i nostri genitori
stringevanoconinegoziantie
le chiacchierate che si
facevano coi vicini e con gli
amici lungo la strada. Negli
ultimi anni, architetti e
urbanisti in tutto il paese
hanno cercato di ricreare
l’atmosfera e il fascino di
queste realtà quasi del tutto
dimenticate. Potete trovare le
loro realizzazioni all’interno
di
comunità
recintate,
complessi condominiali di
alto livello, quartieri “neourbani” e anche di qualche
aeroportoecomplessodicase
popolari. Le vecchie case
popolaridiStThomas,aNew
Orleans, un tempo una delle
borgatepiùmiseredellacittà,
sono state convertite in
“River Garden”, un’area di
sviluppo urbano per famiglie
di reddito misto che
assomiglia a un vecchio
quartiere del XIX secolo.
Celebration, in Florida, il
contributo della Disney
all’odierna
ondata
di
nostalgia,
simula
«una
comunità ricca del fascino di
untempo»,standoalsitoweb
della città, «con una serie
unica di incantevoli negozi e
appetitosi ristoranti annidati
lungo la spettacolare riva di
unlago».
Niente di tutto questo è
ciò che sembra, però. Per
quanto pittoreschi, raramente
i negozi in queste pseudocomunità tradizionali sono
indipendenti. La maggior
parte di essi sono punti
vendita di catene nazionali o
globali,lecuimarcheelacui
atmosfera sono identiche in
ogni loro negozio negli Stati
Uniti o nel mondo. Come
consumatori, comunque, non
spendiamo molti soldi in
questi
viali
artificiali.
Oggigiorno, gran parte del
nostro denaro va a grandi
catene di ipermercati come
Wal-Martoaimmensioutlet.
Oppure, con sempre maggior
facilità, facciamo le nostre
comperepermezzodeinostri
asociali computer. Alcune
città, come Berkeley, in
California, vietano l’apertura
degliipermercati.Mapocoal
di là dei confini di Berkeley
si trova Emeryville, il cui
regolamento
urbanistico
sembra praticamente un
invito a ogni catena di
ipermercati al mondo. Nei
fine settimana, Emeryville è
presad’assalto.Gliideatoridi
RiverGardennonsisonofatti
scrupoli di alcun tipo,
accogliendo un Wal-Mart nel
belmezzodelquartiere.
I critici accusano WalMart di dissanguare i
rivenditori
indipendenti
americani, ma il responsabile
principale non è Wal-Mart.
L’assordanterumoredilingue
schioccanti che udite è dei
consumatori che affollano
Wal-Mart. Lee Scott Jr,
amministratore delegato di
Wal-Mart – il cui ufficio il
caso ha voluto si trovi a
Bentonville,inArkansas,una
piccolacittadinarepubblicana
e conservatrice – pensa che i
vecchi viali commerciali
siano anacronistici. «Vi sono
persone che si preoccupano
dello
sviluppo
urbano
incontrollato e sognano una
vita che assomigli più a
quella della mia infanzia, in
cui la gente parcheggiava
l’auto e camminava lungo le
viecommerciali,passandoda
un negozio all’altro», ha
dichiarato a John Heilemann
della rivista «New York».
«Homoltorispettoperquesta
gente. Penso che sia ben
intenzionata. Ma immagina
un mondo che penso non
riavremo mai più. E non
credo che la società debba
promuovere quella visione
delmondo»156.
Se la società debba
promuovere o meno quella
visione del mondo è una
questione aperta: come
ricorderete, lo scopo del
vecchio
Robinson-Patman
Act del 1936, prima che
venisse distorto dai tribunali,
era quello di proteggere i
rivenditori indipendenti dalle
grandicatene.C’èqualcosadi
strano, però, quando alcune
associazioni di quartiere
ingaggiano una battaglia per
tenereWal-Martlontanodalle
loro case. Verso la fine del
2004, dopo che Wal-Mart
aveva annunciato la sua
intenzione di aprire il suo
primo negozio nell’area
metropolitanadiNewYork,a
Rego Park, nel Queens – in
un centro commerciale di
12.500
metri
quadrati
all’intersezione tra Queens
Boulevard e Long Island
Expressway
–
varie
“associazioni di quartiere” si
opposero al progetto, finché
Wal-Mart non rinunciò al
pianol’annoseguente.Machi
condusse la battaglia, e cosa
preservarono esattamente a
RegoPark?Apochiisolatida
dove sarebbe dovuto sorgere
Wal-Martvieranogiànegozi
di Bed Bath & Beyond, CVS,
Pizza Hut, Payless, BaskinRobbins, Old Navy, Dunkin’
Donuts, Subway, Circuit
City,SearseMarshalls.Forse
la presenza di Wal-Mart
avrebbe costretto molte di
queste catene alla chiusura,
ma è improbabile che molti
avrebbero sentito la loro
mancanza.
L’opposizione
all’apertura del negozio WalMart a Rego Park ebbe
probabilmente molto a che
vedereconlepaurediqueste
catene e dei loro dipendenti.
Per quanto i cittadini comuni
possanoesseresolidaliconla
battaglia, le “associazioni di
quartiere” che si oppongono
all’insediamentodiWal-Mart
sono spesso guidate dai
sindacatiedallecatenerivali.
La ragione è semplice. I
prezzi bassi di Wal-Mart
costringonolealtrecatenead
abbassare i prezzi. Questi
significa una riduzione dei
profittieunadiminuzionedei
salari157. Alcuni ricercatori
hanno studiato il mercato del
lavoro in certe aree prima e
dopol’aperturadiunnegozio
Wal-Martehannotrovatoche
in seguito i salari di coloro
che operavano nel settore
della vendita al dettaglio
erano diminuiti del 3,5%.
Ancora una volta, i
consumatori
ottengono
benefici alle spese dei
lavoratori.
La
cosa
paradossaleèchespessosono
lestessepersone.
Nelfrattempo,quelliche
lavorano in città realmente
incantevoli come Nantucket,
nel
Massachusetts,
o
Berkeley – come cassieri,
camerieri,
insegnanti,
poliziotti o vigili del fuoco –
spesso
non
possono
permettersi di abitarci perché
il costo della vita là è troppo
alto.
Il
costo
degli
appartamenti è alto, perché
questiluoghisonostudiatiper
essereaffascinanti,eilprezzo
da pagare include i costi più
alti
dei
rivenditori
indipendenti e l’assenza di
qualsiasiipermercatoocentro
commerciale.Nantucketvieta
l’accesso anche alle grandi
catene, rendendo i suoi viali
commerciali particolarmente
deliziosi e incredibilmente
costosi. È facile trovare un
compromesso tra i valori del
cittadino e quelli del
consumatore quando uno è
abbastanza ricco da potersi
permettereentrambi.
La tensione tra il
consumatore-investitore e il
cittadinochesonoinnoipuò
assumere aspetti sorprendenti
e inquietanti. Per anni ho
frequentato una libreria
indipendente su Harvard
Square,acircadieciisolatida
casa mia. Mi piaceva quel
negozio, e continua a
preoccuparmi molto la moria
di librerie indipendenti. Le
grandicatenefannoisoldicoi
bestseller,ilchevuoldireche
i nuovi autori devono
appoggiarsi ai rivenditori
indipendenti
per
farsi
conoscere. Un giorno, però,
sono stato mortificato di
scoprire che un numero
crescentedilibricheappariva
sulle mie librerie proveniva
dai negozi Barnes & Nobles
presenti negli aeroporti o da
Amazon. Evidentemente non
avevo avuto – o non avevo
trovato – il tempo per fare
due passi fino alla mia solita
libreria.Quandofinalmenteci
sonotornato,hoscopertoche
aveva chiuso. Non era solo
colpa mia, ovviamente; varie
migliaia di persone avranno
fatto le stesse scelte che ho
fatto io, forse con le mie
stessebuoneintenzioni.
Di solito il conflitto è
impersonaleestandardizzato,
come quando le grandi
aziende abbandonano le loro
comunità di riferimento per
trasformarsi in catene di
fornitura globali. Lo fanno
persoddisfareiconsumatorie
gli investitori, alcuni dei
quali, ironia della sorte,
vivono in quelle stesse
comunitàchesitroverannoad
affrontare gravi difficoltà
economiche.LaBoeinginiziò
la sua attività a Seattle, dove
le sue fabbriche davano
lavoroadecinedimigliaiadi
persone.
La
GE
a
Schenectady, New York; la
General Motors a Detroit; la
Kodak a Rochester, New
York; la Alcoa a Pittsburgh;
la Procter & Gamble a
Cincinnati; la Gillette a
Boston. Queste aziende
costruironocampidabaseball
e
sponsorizzarono
le
istituzioni benefiche locali.
Le
agenzie
regolatrici
garantivanosufficientisussidi
pubblicidasostenerealivello
locale buoni servizi aerei,
ferroviari, telefonici e di
autobus.
I
politici
assicuravanoaquesteaziende
uno stabile flusso di contratti
governativi.
Man mano che il potere
passava nelle mani dei
consumatori
e
degli
investitori, i rapporti tra le
aziende e le loro città di
origine si sono indeboliti,
quandononsisonorecisidel
tutto. Nel corso degli ultimi
trent’anni, Pittsburgh, per
esempio,hapersotuttelesue
fabbriche,quasilametàdella
sua popolazione e gran parte
del
suo
quartiere
commerciale.
Alcuni
direbbero che è un posto più
piacevole in cui vivere oggi
di quando era una città
industriale, ma sempre meno
personescelgonodiviverelì,
el’etàmediadeisuoielettori
siavvicinaaisettant’anni.La
Alcoamantieneancoralasua
sedeufficialeaPittsburgh,in
un noto edificio a sei piani
della città. Ma poco dopo la
sua
nomina
come
amministratore
delegato
dell’azienda, nel 2001, Alain
Belda si insediò nel Lever
Building, su Park Avenue, a
NewYork,portandosiconsé
ladirigenzadell’azienda.Non
vi sono placche o cartelli
della Alcoa a ufficializzare il
trasferimento,madifattoèlì
che ora l’azienda ha la sede.
In un discorso al New York
CityBusinessSummit,Belda
haspiegatocosìlasuamossa:
«Abbiamo bisogno di avere
accesso ai giocatori migliori.
E ne abbiamo bisogno
quando ne abbiamo bisogno,
nontraunasettimana,quando
hannounagiornataliberaper
venireaPittsburgh.Abbiamo
bisogno di vederli a
colazione, o anche solo per
un caffè, quando ci viene
l’idea. E abbiamo bisogno di
vederlituttiigiorni»158.
Un tempo Pittsburgh
ospitava tutte le fabbriche e
gli operai di cui la Alcoa
aveva bisogno. Ma ora le
catene di fornitura globali
della
Alcoa
possono
rimediare queste risorse in
qualsiasi luogo della terra. I
dirigenti della Alcoa fanno
regolarmenteaffariingiroper
ilmondo.NewYorksoddisfa
meglio le esigenze della
Alcoa, perché è lì che
possono
avere
accesso
immediato ai “giocatori
migliori” nel campo della
finanza, della giurisprudenza,
dellaconsulenzaedeimedia.
Sono loro, insieme alla
dirigenza della Alcoa, a
gestire le catene di fornitura
globali dell’azienda e a
vendere i prodotti e i servizi
della Alcoa in una maniera
che soddisfi i suoi investitori
(rappresentatidaWallStreet)
e
consumatori
globali
(rappresentati da Wal-Mart e
dalle altre catene di
ipermercati), impegnati in
una
ricerca
incessante
dell’affaremigliore.
7
Come
cittadini,
probabilmente siamo anche
preoccupati dalla stabile
erosione degli standard di
decenza.
L’industria
dell’intrattenimento riversa
sul mercato un torrente
maleodorante di sesso e
violenza. I film sono più
luridiecruentichemai;itesti
delle canzoni, più volgari e
provocatori; la TV via cavo,
più squallida; Internet è un
magazzino virtuale del
peggiorsudiciumedellaterra;
neivideogiochifiguranoteste
che esplodono e corpi fatti a
pezzi.
I conservatori tuonano
contro l’involgarimento della
cultura americana e danno la
colpaallacausadituttiimali,
illiberalismo.«Inlineaconil
progresso del liberalismo»,
scriveRobertBork,ilgiurista
conservatore convertitosi in
un crociato morale, «la
cultura popolare [...] celebra
l’io libero da ogni vincolo e
aggredisce chiunque voglia
limitarlo [...]. Sempre più di
quellochel’Americaproduce
edistribuisceèintrisodiogni
perversione
e
oscenità
immaginabile»159. Per Bork e
altri conservatori sociali, il
cuore della bestia liberale si
trova a Hollywood. «Molti a
Hollywood
insistono
nell’arricchire i loro film di
oscenità,
in
quanto
considerano la brutalità e
l’oscenità dimostrazioni di
“autenticità”»160.
Personalmente,
sono
disgustatodacomelacultura
popolare riduce le donne a
oggetti sessuali, celebra la
violenza e scarica questa
spazzatura nelle nostre case.
Ma non è colpa di
Hollywood,edicertononha
nulla a che fare col
liberalismo. Il crollo della
cultura popolare americana è
finanziato
dai
grandi
conglomerati mediatici del
paese, come la Fox
Entertainment(posseduta,per
l’appunto, dal miliardario di
destra Rupert Murdoch), che
distribuisce banali volgarità
come Melrose Place e
Beverly Hills 90210. Altre
grandi corporation stanno
usando il sesso e la violenza
come veicoli pubblicitari per
vendereditutto,dagliarticoli
sportivi agli utensili da
cucina.
Queste aziende non
fanno ciò che fanno per
corrompere la morale della
gente, ma semplicemente
perché il sesso e la violenza
offrono lauti guadagni. È
quello che vogliono i
consumatori e coloro che
investono nelle aziende che
glielo
forniscono
non
potrebbero
chiedere
di
meglio. Se le centinaia di
milioni di persone negli Stati
Uniti
e
altrove
che
consumano questi prodotti
non li volessero, questi non
avrebbero un mercato. Se i
consumatorinonreagisseroin
maniera così entusiastica alle
pubblicità piene di attori e
attrici seminudi, queste non
esisterebbero. Ancora una
volta, il nemico è dentro di
noi.
Molti dei difensori dei
“valori tradizionali” e critici
ferocideimedia,guardacaso,
sono gli stessi che celebrano
il libero mercato e guardano
con sospetto a ogni forma di
intervento
governativo.
Sfortunatamenteperloro,non
possonoaverelabottepienae
la moglie ubriaca. Devono
scegliere tra la libertà di
espressione e un Governo
paternalista.
Se
non
apprezzanoquellocheititani
dei media americani stanno
offrendo a una schiera di
consumatori
più
che
soddisfatti, questi difensori
della
moralità
devono
chiedere al Governo di
intervenire per fermare la
vendita e l’acquisto di certi
prodotti,edevonofarlosenza
violareilprimoemendamento
dellaCostituzione.
Era tutto più semplice
nell’età non proprio dell’oro,
quando vi era solo una
manciatadicanalitelevisivie
ognuno doveva ottenere la
licenza
dalla
Federal
Communications
Commission,
che
si
assicuravachenessunoosasse
andare oltre ciò che era
comunemente
accettato;
quando i film dovevano
essere approvati dall’autorità
censoria di Hollywood;
quando la Corte Suprema
faceva rispettare le leggi
contro la pornografia (il
giudicePotterStewart,inuna
dichiarazione che divenne
celebre, disse una volta che
non sapeva definire cosa era
osceno,
ma
sapeva
riconoscerloselovedeva).A
quel tempo, i consumatori e
gli investitori non avevano
una gran voce in capitolo. Il
potere era nelle mani dei
regolatoriediunmanipolodi
grandi oligopoli: tre grandi
network
televisivi,
un
drappello di grandi studios
cinematografici
e
case
discografiche e una piccola
schiera di riviste distribuite a
livello nazionale. Qualcuno
dovrebbespiegareaimoderni
conservatoricheaqueltempo
il capitalismo democratico
imponeva con forza gli
standard borghesi di decenza
comune.
Oggi sono migliaia le
aziende
dell’industria
dell’intrattenimento
che
competono furiosamente tra
loro per attirare consumatori
e investitori. Anche i grandi
networktelevisivi,chehanno
ancora la decenza di tagliare
le esternazioni più volgari,
aggiranoilorocensoriinterni
e i commissari della FCC
distribuendo versioni non
censurate
dello
stesso
prodotto sui loro siti web161.
Unavoltachelospiritodella
concorrenza selvaggia è stato
liberato anche nel settore dei
media, il capitalismo ha
inevitabilmente cominciato
ad assecondare i nostri istinti
piùbassi.Questoperònonlo
rende giusto, ed è il nodo
centraledeltema.
Il
reciproco
corteggiamento
tra
il
supercapitalismo e i nostri
istinti più bassi potrebbe
essere alla base anche
dell’ondata di obesità che
affligge le nostre società. Gli
americani e molte altre
popolazioni in giro per il
mondo hanno oggi facile
accesso a una valanga senza
precedenti
di
prodotti
ipercalorici e di cibo
spazzatura.
La
forte
concorrenza tra le aziende di
fast food ha liberato un
torrente di cereali zuccherati,
grassi spuntini, porzioni
enormi di carni fritte,
bevande super-zuccherate e
un orrendo pane fatto di
carboidrati raffinati. La
concorrenza tra le aziende
produttrici di latticini, pani e
dolcihaportatoallacreazione
di gelati super-densi, infinite
variazioni sul tema dei
biscotti al cioccolato e una
cornucopia di torte, croissant
edolciumi,fatticonzucchero
a velo, zucchero granulato,
zucchero raffinato, zucchero
di canna e zucchero grezzo.
La quantità di bevande
gassate che consumiamo è
salita dagli 88,5 litri a
persona del 1970 ai 200 litri
dellafinedeglianniNovanta.
Laquantitàdigrassopresente
neinostricibièaumentatadel
25%trail1970elafinedegli
anni Novanta. Il numero di
calorie che assumiamo è
passatodaunamediadi3.300
al giorno nel 1970 a 3.800
alla fine degli anni Novanta:
il doppio della quantità
richiesta per soddisfare il
fabbisognoenergeticodigran
partedelledonneadulte,eun
terzo in più del fabbisogno
della maggior parte degli
uomini,emoltopiùdiquanto
abbiano bisogno i bambini e
glianziani162.
Anche l’età non proprio
dell’oro aveva i suoi cibi
spazzatura, ovviamente. Ho
passato
innumerevoli
pomeriggi, dopo scuola, ad
abbuffarmidibiscottiHostess
ripienidicrema.Mal’offerta
e l’accessibilità non erano
paragonabili a quelli di oggi,
enonsubivamolamartellante
pubblicità
tipica
del
supercapitalismo.Larichiesta
dicibi“biologici”e“naturali”
stacrescendo,manonquanto
larichiestadicibospazzatura.
Nel 1998, le aziende
alimentari introdussero poco
più di 11.000 nuovi prodotti;
più di due terzi di questi
erano condimenti, dolci e
spuntini, prodotti da forno,
bevande gassate, formaggi e
gelati163. La consapevolezza
del fatto che dobbiamo
ridurrelanostraassunzionedi
tali delizie non ha cambiato
un granché le cose,
soprattutto alla luce della
crescente concorrenza per lo
spaziolimitatomaincostante
aumento delle nostre pance e
dei nostri fianchi sempre più
voluminosi. Anche in questo
caso, il fatto che scegliamo
liberamente di mangiare
queste cose non lo rende
giusto.
8
Le conseguenze del
supercapitalismo si fanno
sentirebenaldilàdeiconfini
degli Stati Uniti. Qualche
anno fa, quando la Alcatel,
un’azienda di proprietà a
maggioranza
francese,
annunciò
che
avrebbe
fatturato meno di quanto
previsto, il prezzo delle sue
azioni crollò. Tornò a
crescere qualche mese più
tardi, quando l’azienda prese
la decisione molto poco
francese di tagliare 12.000
posti di lavoro e mettere in
crisi varie comunità. Il
presidente francese Jacques
Chirac spiegò poi nel suo
discorso
in
occasione
dell’anniversario della presa
della Bastiglia le cause della
crisi:
«I
pensionati
californiani
hanno
improvvisamente deciso di
vendere le loro azioni della
Alcatel», affermò stizzito,
riferendosi all’enorme fondo
pensione dei dipendenti
pubblicicaliforniani.
I dipendenti pubblici
della California – decine di
migliaia di anime amanti del
mueslicheprobabilmentenon
si vedono come dei difensori
fanatici del libero mercato –
investono i loro risparmi in
un enorme fondo pensione
chiamato CalPERS, che è
instancabilmenteimpegnatoa
tagliareipontitraleaziendee
i loro dipendenti e le loro
comunità di riferimento in
giroperilmondo.Cometutti
gli amministratori di tali
fondi, i dirigenti della
CalPERS sanno bene che il
loro lavoro è quello di
massimizzare il valore di
portafoglio dei clienti. La
CalPERS aveva investito
nella
Alcatel
perché
prometteva bene, purché
l’azienda avesse tagliato i
costi,
come
sembrava
probabile che avrebbe fatto.
Ma quando i dirigenti della
Alcatel si mostrarono troppo
lenti nel tagliare gli stipendi,
la CalPERS fece pressione
sull’azienda minacciando di
vendere le sue azioni. La
CalPERS non ce l’aveva coi
francesi.Qualcheannoprima
si era lamentata che
un’aziendadiservizipubblici
tedesca, la RWE, permetteva
alle città in cui operava un
eccessivo controllo sul suo
consiglio d’amministrazione,
danneggiando il valore delle
azioni dell’azienda. La RWE
argomentò che quell’accordo
rappresentava un elemento
centrale del rapporto di
fiducia tra l’azienda e i suoi
clienti.LaCalPERSminacciò
di mollare le sue azioni della
RWE, finché infine l’azienda
non si liberò del suo sistema
dirappresentanzalocale164.
In questo modo, i
simpatici dipendenti pubblici
della California stanno
impietosamente diffondendo
il supercapitalismo nella
“vecchia
Europa”.
I
dipendentipubblicidellacittà
di New York, per canto loro,
stanno
portando
il
supercapitalismoinIndonesia
con mezzi più controversi.
Nel gennaio del 2006,
possedevano circa 37 milioni
didollaridell’enormeminiera
d’oro a cielo aperto della
Freemont Mining Company,
a Papua, che ha riversato
miliardiditonnellatedirifiuti
tossici in quello che era un
fiumeincontaminato,cruciale
per la catena alimentare
locale.
Nonostante
le
sofferenze della popolazione
locale, l’azienda ha sempre
sostenutocheisuoimetodidi
smaltimento erano approvati
dalle autorità provinciali,
forse grazie ai quasi 20
milioni di dollari che la
Freemonthaversatosuiconti
bancari di numerosi ufficiali
dell’esercito e della polizia
indonesiani tra il 1998 e il
2004, come ha riportato il
«New York Times». Col
prezzo dell’oro più alto da
venticinque anni a questa
parte, però, a più di 550
dollari
l’oncia,
gli
amministratori del fondo
pensione di New York non
avevano alcuna fretta di
vendere le azioni della
Freemont. L’unico loro
dubbio,
stando
al
sovrintendente della città
William C. Thompson Jr, era
che la Freemont potesse aver
violato il Foreign Corrupt
Practices Act (Legge sulle
pratichecorrotteall’estero),il
cheavrebbemessoarischioil
valoredelleazioni165.
Anche i consumatori
stanno aiutando a diffondere
il supercapitalismo, con
conseguenze simili. Un
lavoro in una fabbrica tessile
indonesiana è senza dubbio
meglio di un’agricoltura di
sussistenzainIndonesia,mai
salari reali dei lavoratori
tessili indonesiani sono calati
regolarmente negli ultimi
anni, man mano che i
consumatori
americani
diventavano più abili a
reperire l’affare migliore. A
causa
della
crescente
concorrenza,
grandi
produttori come la Nike e
rivenditoricomeFootLocker,
IntersporteJ.C.Penneyhanno
fatto pressione sui loro
fornitori e subappaltatori
perché abbassassero i costi.
Come conseguenza, il prezzo
di una maglietta prodotta
all’estero per conto di note
marche di articoli sportivi è
calato dai 3,70 dollari a
dozzina del 2000 ai 2,85 del
2003. Una fabbrica in Sri
Lanka che fornisce prodotti
alla Nike ha riferito un calo
nel prezzo per unità del 35%
nel corso di un periodo di
diciotto mesi. La J.C. Penney
pagava 5 dollari per i suoi
vestitiperneonatichecinque
anni prima pagava 5,75.
Come ha dichiarato un
operaio di una fabbrica di
vestiti
indonesiana,
«il
manager
della
nostra
divisione utilizza spesso
[questo calo di prezzi] come
scusa per non aumentare i
nostristipendimensili»166.
Perquantoiconsumatori
e gli investitori americani
siano all’avanguardia, anche
altrove queste categorie
stanno scoprendo i benefici
dell’economia globale, anche
a costo dei valori condivisi
nella loro società. Le
disuguaglianzesonocresciute
pressoché in tutte le
economie avanzate, anche
nelle
cosiddette
“socialdemocrazie”167.
La spinta maggiore
verso la ristrutturazione delle
economie europee in chiave
corporativista iniziata alla
finedeglianniNovanta–che
ha comportato acquisizioni
poco
amichevoli,
il
licenziamento di dirigenti
considerati inefficienti e il
trasferimentodelleoperazioni
inpaesiincuilamanodopera
costava di meno – è venuta
dagli
europei
stessi.
L’amministratore delegato
della Daimler Chrysler,
Dieter Zetsche, per esempio,
si trovò a fare i conti con
ingenti perdite, man mano
che
gli
europei
abbandonavano l’azienda a
favore della concorrenza;
Zetsche eliminò 26.000 posti
di lavoro e chiuse sei
stabilimenti europei nel
tentativo di tagliare i costi e
riconquistare i consumatori e
gli investitori che aveva
perso. Quando il sindacato
degli operai di linea della
Volkswagen si oppose alla
decisione dell’azienda di
estendere le ore di lavoro
senza aumentare gli stipendi,
l’amministratore
delegato
WolfgangBernhardminacciò
di spostare le operazioni
dell’azienda
nell’Europa
dell’Est o in Asia se non
fosse riuscito ad abbassare il
costo del lavoro168. «Per
moltotempoabbiamopensato
che i nostri alti tassi di
produttività e la flessibilità
della nostra forza lavoro
giustificassero stipendi più
alti», spiegò Bernhard. «Ora,
con l’ascesa di nuovi
concorrenti
nell’Europa
dell’Est e in Asia, vediamo
che è possibile ottenere gli
stessi livelli di produttività
con stipendi molto più
bassi»169. Anche le aziende
tedescheconmaggioriprofitti
sono sotto pressione affinché
taglino i costi. Nel 2005, il
presidente della Deutsche
Bank, Josef Ackermann,
annunciò
contemporaneamente
un
aumentodeiprofittidell’87%
e un piano per tagliare 6.400
postidilavoroinGermaniae
spostarne1.200inpaesidalla
manodoperaabassocosto.
Nel frattempo, gli
stipendi degli amministratori
delegati europei stanno
lievitando rapidamente ai
livellidiquelliamericani.Nel
2005,
Jan
Bennink,
amministratoredelegatodella
Royal Numico, un’azienda
alimentare olandese, si è
portatoacasa13,4milionidi
dollari;LordBrownedella BP
18,5 milioni di dollari;
Antoine
Zacharias,
ex
presidente del gigante delle
costruzionifranceseVinci,tra
l’indennitàdilicenziamentoe
compensazioni varie, si è
intascato 22 milioni di
dollari170. Alcuni europei
sono preoccupati che le
tradizioni
egualitarie
cattoliche
e
socialdemocratiche
del
continentesistianoerodendo,
ma il motivo per l’aumento
degli
stipendi
degli
amministratori delegati è più
prosaico. Man mano che le
grandi corporation europee si
affacciano sul mondo, i
dirigenti di queste aziende si
trovano a competere con i
loro equivalenti americani.
Molto semplicemente, i
consumatori e gli investitori
globali stanno chiedendo a
gran voce i talenti migliori
disponibili sul mercato, a
qualsiasiprezzo.
I
salari
degli
amministratori
delegati
giapponesisonoancoramolto
più bassi di quelli degli
americaniodeglieuropei,ma
sono anch’essi in crescita,
man mano che le aziende
giapponesi vengono spronate
acercarenuovitalentiingiro
per il mondo. Nel 2005, per
esempio, Howard Stringer è
diventato
il
primo
amministratore
delegato
americano della Sony. Come
altrove, più i consumatori e
gli investitori giapponesi si
sono fatti esigenti, più hanno
cominciato ad aumentare le
disuguaglianzedientrateedi
reddito in un paese che si
vantavadiessere«unasocietà
di 100 milioni di persone,
tutte appartenenti alla classe
media»171. Molte aziende
hanno smesso di assumere i
dipendentiperunavitaintera
e hanno cominciato a
eseguire licenziamenti di
massa,alegarelepromozioni
alle prestazioni e a chiudere
le linee di produzione meno
redditizie. Solo pochi mesi
dopo il suo arrivo, Stringer
annunciò il licenziamento di
10.000lavoratori,il7%della
forza lavoro della Sony.
L’avvento
del
supercapitalismo
ha
beneficiato i consumatori e
gli investitori giapponesi –
nel 2006 la borsa giapponese
ha raggiunto il punteggio più
alto in quattordici anni e i
prezzideiterreninellegrandi
città erano in aumento – ma
ha lasciato indietro molti
lavoratori del paese. Tra il
2001 e il 2006, il numero di
giapponesi senza risparmi è
raddoppiato.
La Cina è diventata un
modello di rapido sviluppo
economico, con una tasso di
crescitaannuodicircail10%
dai primi anni Ottanta. È
certamente una buona notizia
periconsumatoricinesieper
tutticolorocheinvestononel
paese, ma le conseguenze
sociali sono state molteplici.
Negli ultimi anni, la
differenza di entrate è
aumentata drammaticamente.
La nuova élite aziendale
cinese si è rinchiusa
nell’equivalente
delle
comunitàrecintateamericane,
con tanto di mega villoni e
piscine,faseguireaisuoifigli
corsidigolfedipallanuotoe
limandaastudiareall’estero.
Allo stesso tempo, molte
delle città costiere cinesi si
sono riempite di contadini
venuti dalle campagne, che
soffrono la miseria urbana e
la disoccupazione. Stando
alla Banca Mondiale, anche
se il reddito totale cinese è
cresciutodimoltotrail2001
eil2003,ilredditomediodel
10% più povero del paese è
calato
del
2,5%172.
L’inquinamento ha raggiunto
livelli tali che gli abitanti di
alcune aree urbane indossano
regolarmente
delle
mascherine quando sono
all’aria aperta. Circa 24
milioni di acri di terra
coltivata – il 10% della terra
arabile del paese – sono così
inquinatidametterearischio
la sicurezza alimentare173. Le
disuguaglianze sono in
aumento anche in India,
nonostante i crescenti livelli
di prosperità174. Lo stesso
fenomeno si sta verificando
in gran parte dell’America
Latina, contribuendo alle
tensioni di classe. Dieci anni
dopoilsuoingressonell’area
di
libero
scambio
nordamericano, il PIL del
Messico è notevolmente
cresciuto ma sono aumentate
di
molto
anche
le
disuguaglianze di salario. È
cresciuto il ceto medio-alto
del paese, ma anche il
numero dei messicani che
vivono in povertà: uno degli
argomenti della contesa nelle
recenti elezioni presidenziali
del2006.
Il supercapitalismo ha
generatounaprosperitàsenza
precedenti per il mondo e
questo rappresenta senza
dubbio un successo. Man
mano che crescono le
disuguaglianze, i lavori
diventano
più
precari,
vengono recisi i vecchi
legami sociali, le vecchie
comunità
vengono
abbandonate, la qualità
dell’aria e dell’acqua si
deteriora e le culture
tradizionali
subiscono
l’affronto della volgarità
commerciale,
e
il
supercapitalismo
sta
fomentandosemprepiùanche
ilmalcontentosociale.Ilfatto
chelaspintamaggiorevenga
dai consumatori e dagli
investitoridituttoilmondo–
alcuni dei quali sono loro
stessimoltopreoccupatidalle
conseguenze sociali del
sistema – non rende le cose
menodolorose.
9
Selamaggiorpartedelle
persone è divisa nel suo
giudiziosulsupercapitalismo,
perché la parte di noi che
consumaeinvestehasempre
lameglio?Larispostaèchei
mercati
sono
diventati
incredibilmente sensibili alle
richieste individuali dei
consumatori
e
degli
investitori, ma non sono in
grado di soddisfare le
richieste della collettività.
Mentre Wal-Mart e Wall
Street aggregano le richieste
dei consumatori e degli
investitori in formidabili
blocchi di potere, le
istituzioni che un tempo
aggregavano le volontà dei
cittadini si sono indebolite.
Le trattative tra i grandi
oligopoli e i sindacati di
settore non hanno più nessun
impatto
sull’economia
politica nel suo insieme; le
associazioni volontarie locali
nonhannopiùnessunimpatto
sulle scelte dei politici; le
agenzie regolatrici non
difendono più l’interesse
pubblico; gli amministratori
delegati non possono più
permettersidifaregli“statisti
aziendali”.
C’è qualcosa di ironico
in tutto ciò. Proprio perché il
supercapitalismo è così
efficiente e dinamico, i
cittadini sono più vulnerabili
che mai. Se le aziende
rinunciano all’assicurazione
sanitaria e alla copertura
pensionistica
dei
loro
dipendenti, per esempio, un
sostegno pubblico nei loro
confronti diventa ancora più
urgente. Se i lavori e le
entrate diventano più precari,
il paracadute sociale diventa
essenziale. Se lo scopo delle
aziende diventa sempre più
quello di massimizzare i
profitti, vi è bisogno di
interventi più decisi in difesa
della salute, della sicurezza,
dell’ambiente e dei diritti
umani per arginare la
possibilità che i dirigenti
aggirinoleleggiinmateria.
Che cosa dovrebbero
fare i cittadini, quindi? Non
possiamo resuscitare il
capitalismo
democratico
dell’età non proprio dell’oro,
e non dovremmo neanche
aspirare a ciò. Come
consumatori e investitori,
forse,
facevamo
troppi
sacrificialtempo.Mavisono
buoni motivi per ritenere che
ci siamo spinti troppo in là
nelladirezioneopposta:verso
una
società
dominata
principalmente
dai
consumatori
e
dagli
investitori, in cui l’idea del
bene comune è del tutto
scomparsa.
Il problema è che le
scelte che effettuiamo sul
mercato
non
riflettono
appieno i nostri valori in
quanto
cittadini.
Forse
faremmo scelte diverse se
comprendessimo
e
riconoscessimo
le
conseguenzesocialideinostri
acquisti e dei nostri
investimenti, e se sapessimo
che tutti gli altri consumatori
e investitori ci seguirebbero
nel rifiutare quegli affari
vantaggiosi che comportano
conseguenze
sociali
inaccettabili.
È
invece
improbabile che faremmo
certi sacrifici se pensassimo
di
essere
gli
unici
consumatori e investitori a
darsi un freno. A volte,
l’ascesi solitaria è l’ultimo
rifugio dell’idiota di buona
volontà.
L’unico modo perché il
cittadinocheèinnoiabbiala
meglio sul consumatore e
l’investitorechesonoinnoiè
per mezzo di leggi e norme
che trasformino i nostri
acquistieinostriinvestimenti
in scelte sociali oltre che
personali. Leggi diverse sul
lavoro,cherendanopiùfacile
ai dipendenti organizzarsi e
reclamare
condizioni
migliori,
per
esempio,
potrebberoaumentaredipoco
il costo dei prodotti e dei
servizi, specialmente di quei
servizi locali protetti dalla
concorrenza globale. Il
consumatorecheèinmenon
nesaràtroppocontento,mail
cittadino che è in me ritiene
chesiaunprezzochevalgala
pena pagare. Sarei anche a
favorediunapiccolaimposta
alla fonte sulla vendita dei
titoli di borsa, al fine di
rallentare leggermente il
movimento di capitali e
permettereallepersoneealle
comunità di avere un po’ più
di tempo per adattarsi alle
nuove circostanze. Questo
potrebbe ridurre di una
piccola frazione i ritorni del
mio fondo pensione, ma il
cittadino che è in me pensa
che ne valga la pena. Per
molti degli stessi motivi,
penso che ci dovrebbero
essere degli “interruttori
automatici” che impediscano
a un’azienda grande e
redditizia di licenziare più di
una certa percentuale della
sua forza lavoro in una
determinata comunità nel
corsodiunanno.
Nonarrivereialpuntodi
regolamentare nuovamente
l’industriadeltrasportoaereo
o ostacolare il libero
commercioconlaCinaecon
l’India – questo mi
costerebbe troppo in quanto
consumatore – ma darei il
mioconsensoaunsussidiodi
disoccupazione prolungato
nel tempo, accompagnato da
una cassa integrazione e a
corsi
di
formazione
professionale
che
alleggeriscano il peso per i
lavoratori che subiscono le
conseguenze
della
deregulation
o
della
fluttuazione dei mercati. E
penso che tutti i trattati
commercialidebbanoimporre
ai paesi partecipanti di
consentire ai loro cittadini di
formare dei sindacati e di
stabilire un salario minimo
che sia la metà del salario
medio. Sosterrei anche che i
congedi per motivi familiari
siano
retribuiti,
per
permettere ai lavoratori di
imparare nuovi mestieri, o di
stare vicino a un bambino
appena nato o a un familiare
malato senza sacrificare il
proprio stipendio. Questi
provvedimenti
potrebbero
costarmiunpo’disoldi,mail
cittadino che è in me pensa
che ne valga la pena. Non
vedo come riusciremo a
ricreare dei lavori che
sostengano il ceto medio se
non
miglioriamo
radicalmente
l’educazione
pubblica, il che richiede che
gli insegnanti siano pagati
abbastanzadaattrarregiovani
ditalentonelleauledelnostro
paese(laleggedelladomanda
e dell’offerta non si ferma
sulla soglia delle scuole) e
che ne siano arruolati di più,
affinché le classi siano meno
affollate. Come rimediare i
soldi per tutto questo? Per
mezzo di una tassazione
maggiormente progressiva. Il
salario
netto
degli
amministratori delegati, dei
banchieri
d’investimento,
degliamministratorideifondi
hedge e delle celebrità ha
raggiunto vette così elevate
che non penso che tassare di
più
queste
categorie
scoraggerebbe le persone di
talento
dall’intraprendere
carriere di questo tipo175.
Infine,
svincolerei
l’assistenza sanitaria dal
lavoro e userei i proventi
delle tasse – vi ricordo che
l’assistenza sanitaria offerta
dall’aziendaèdetassata–per
offrireatuttiun’assicurazione
sanitaria completa. Ma
approfondiròquestotemapiù
avanti.
Forse
voi
avete
un’opinione diversa su questi
temi, nel senso che il
consumatore-investitorecheè
in
voi
interagisce
diversamente col cittadino
che è in voi, rispetto ai miei.
Il problema è che, come
nazione, non abbiamo quasi
mail’opportunitàdidiscutere
di tali questioni. I nostri
dibattiti sui cambiamenti
economici, invece, sono
monopolizzati quasi sempre
dai rappresentanti dei due
estremi
dello
spettro
ideologico:
quelli
che
vogliono il meglio per i
consumatoriegliinvestitorie
quelli
che
vogliono
preservare i posti di lavoro e
lecomunitàesattamentecome
sono ora. Invece di cercare
insieme
i
modi
per
ammorbidire i colpi, aiutare
chi rimane indietro o
rallentare il ritmo del
cambiamento – affinché i
consumatori
possano
beneficiare
di
prodotti
miglioriepiùeconomiciegli
investitori possano godere di
ritorni più alti senza
scontrarsi coi nostri valori in
quanto cittadini – ci diamo
addosso l’un l’altro. I
consumatori e gli investitori
vincono quasi sempre, anche
seavolteicittadinisonocosì
determinati da riuscire a
fermare temporaneamente le
cose,chesitrattidiunnuovo
trattato
commerciale
o
dell’apertura di un negozio
Wal-Mart.
È quello che accade
anche tutte le volte che si
parla di introdurre leggi
ambientali
più
severe,
garanzie sociali più ampie e
maggiori tutele per i diritti
umani
a
livello
internazionale. Dal momento
che
molti
di
questi
provvedimenti
aumenterebberoiprezziperi
consumatori e ridurrebbero i
ritornipergliinvestitori,sono
spesso politicamente difficili
da attuare. Ma il benessere
materiale dei consumatori e
degliinvestitorinondovrebbe
essere l’unico metro di
giudizio. Una riduzione dei
gas serra giustificherebbe il
sacrificio economico se si
tratta di salvare il pianeta.
Allostessomodo,sipotrebbe
sostenere che l’accesso
all’assicurazione sanitaria è
un
bene
comune
fondamentale. O che il
rispetto dei diritti umani,
ovunque nel mondo, ha un
valoreintrinseco.Nonvoglio,
per esempio, che le aziende
hi-tech americane forniscano
alle autorità cinesi gli
strumenti per sopprimere la
libertà di parola anche se
questo comporta una piccola
riduzionedelvaloredellemie
azionidiYahoo,diGoogleo
dellaMicrosoft.
La nostra democrazia
sembraincapacediaffrontare
questiargomenti,anchesene
abbiamo drammaticamente
bisogno. Le iniziative dei
cittadini, invece, avvengono
ai margini del dibattito
pubblico, il più delle volte a
livellostataleolocale,esono
spesso bloccate o indebolite
all’insaputa della gente. La
California introduce delle
regole molto restrittive sulle
emissioniinquinanti,soloper
vedersele gettare nel cestino
dalle corti federali. Il
Maryland vara una legge che
impone a Wal-Mart di
investire
l’8%
dell’ammontaredeglistipendi
nell’assistenza sanitaria per i
dipendenti e un giudice
federale la stronca. Il
consiglio
comunale
di
Chicago aumenta il salario
minimo dei dipendenti delle
catene di ipermercati e il
sindaco, preoccupato che
questo possa danneggiare la
competitività della città,
opponeilveto.
Le altre democrazie non
sembrano
più
abili
nell’affrontare gli stessi
problemi. Attratti dagli affari
che offre l’economia globale
matimorosidiperdereleloro
tradizionali garanzie sul
lavoro, gli europei hanno le
mani legate. Le loro
democrazie
sono
così
paralizzate che i cittadini
spesso sono costretti a
esprimereleloroopinioniper
mezzodiimponentiscioperie
boicottaggi. Nel 2006, la
Germania introdusse nuove
regole che rendevano più
facile per le aziende
licenziare i dipendenti nei
loro primi due anni
d’impiego, ma i tentativi del
cancelliere Angela Merkel di
deregolamentare
ulteriormente il mercato del
lavoro hanno incontrato
un’opposizione
totale.
Jacques Chirac valutò la
possibilità di introdurre una
legge che permettesse di
licenziare i dipendenti al di
sotto dei ventisei anni nei
primidueannid’impiego,ma
dovette tornare sui suoi passi
in seguito a una rivolta
popolare. In Italia, l’Unione
di centrosinistra di Romano
Prodi, nel 2006, ha strappato
per pochi voti la vittoria a
Silvio Berlusconi, il cui
programma
di
riforme
conservatrici
aveva
allontanato le simpatie di
molti cittadini. «I vecchi
centri vitali dell’Eurozona
sono
soffocati
dalla
disoccupazione e affamati da
una crescita lenta», ha
commentato
compiaciuto
l’«Independent» di Londra,
«ma i sistemi politici di
Francia, Germania e Italia
non riescono a produrre le
soluzioni necessarie»176. Ma
anche in Gran Bretagna le
disuguaglianze sono in
aumento e il lavoro si fa più
precario, e la sua flemmatica
democrazia è altrettanto
incapace
di
proporre
soluzioniefficaci.
AncheilGiapponesista
muovendo
verso
il
supercapitalismo, ma la sua
democraziaètropposfiancata
per rispondere alle sue
deleterieconseguenzesociali.
La Cina ha abbracciato il
supercapitalismo senza avere
neanche l’ombra di una
democrazia; il malcontento
sociale, che si può solo
manifestare con marce e
sommosse, è represso con la
forza. Nell’ottobre del 2006,
l’élite politica si è impegnata
a
riportare
l’”armonia
sociale” nel paese riducendo
il gap economico e
proteggendo l’ambiente, ma
non è chiaro come farà la
Cina a ottenere queste cose.
In Messico e in altre parti
dell’America Latina, le
democrazie
non
sono
abbastanzarobustedariuscire
aridistribuirelaricchezzaea
resistere ai colpi più duri del
supercapitalismo,
alimentando una reazione
radicale a questo sistema.
Parti del mondo musulmano
sono in aperta rivolta contro
la
cultura
del
supercapitalismo e hanno
abbracciato
un
fondamentalismo che li sta
riportando ai tempi premoderni; in tutte queste
realtà, la democrazia è, nella
migliore delle ipotesi, una
vagaaspirazione.
Perché è così difficile
per la democrazia rispondere
alla
sfida
del
supercapitalismo? Perché i
valorideicittadininonhanno
rappresentanza
nell’arena
politica? Perché è così
difficile creare una versione
nuova,
moderna
del
capitalismodemocratico?Èa
queste domande che ora
proveròadareunarisposta.
115 Il materiale, così come gli studi,
sulla dissonanza cognitiva tra l’euforia
relativa
del
consumatore
e
dell’investitore che sono in noi e le
crescenti preoccupazioni del cittadino
che è in noi sono altrettanto scarsi.
Negli ultimi anni, entrambe le parti
hanno avuto la loro schiera di
sostenitori. Buone espressioni del
consumatore e dell’investitore euforici
sono Michael Cox - Richard Alm,
Myths of Rich and Poor: Why We’re
Better Off Than We Think, New York,
BasicBooks,2000;GreggEasterbrook,
The Progress Paradox: How Life Gets
Better While People Feel Worse, New
York,RandomHouse,2003;Lawrence
Kudlow, American Abundance: The
New Economic and Moral Prosperity,
New York, HarperCollins, 1997;
Stephen Moore, It’s Getting Better All
the Time, Washington D.C., Cato
Institute,2000.
Buone espressioni del cittadino
allarmatosonoRobertBork, Slouching
Towards Gomorrah, New York,
HarperCollins, 1997; Lou Dobbs, War
on the Middle Class: How the
Government,BigBusiness,andSpecial
InterestGroupsAreWagingWaronthe
American Dream and How to Fight
Back, New York, Viking, 2006; Byron
Dorgan, Take This Job and Ship It:
HowCorporateGreedandBrain-Dead
Politics Are Selling Out America,New
York,ThomasDunne,2006;JeffFaux,
TheGlobalClassWar,NewYork,John
Wiley & Sons, 2006; David Gordon,
FatandMean:TheCorporateSqueeze
ofWorkingAmericansandtheMythof
Managerial Downsizing, New York,
Free Press, 1996; Al Gore, An
InconvenientTruth,NewYork,Rodale,
2006 [Una scomoda verità, trad. di
MarcoRossari,Milano,Rizzoli,2006];
Jacob Hacker, The Great Risk-Shift:
The Assault on American Jobs,
Families,HealthCare,andRetirement,
New York, Oxford University Press,
2006; Robert Kuttner, Everything for
Sale: The Virtues and Limits of
Markets, New York, Alfred A. Knopf,
1997; Louis Uchitelle, The Disposable
American:
Layoffs
and
Their
Consequences, New York, Alfred A.
Knopf, 2006; William Wolman, The
Judas Economy: The Triumph of
CapitalandtheBetrayalofWork,New
York, Perseus, 1997 [Il tradimento
dell’economia: come il capitale trionfa
a spese dell’occupazione, trad. di
Marina Astrologo, Milano, Ponte alle
Grazie,1997].
116 Adam Nagourney - Michael
Barbaro, “Eye on Election, Democrats
Run as Wal-Mart Foe”, in «New York
Times»,17agosto2006.
117 «Wall Street Journal», 3-4
dicembre2005,p.A9.
118 Dan Mitchell, “Manufacturers Try
to Thrive on Wal-Mart Workout”, in
«New York Times», 20 febbraio 2005,
p.C1.
119 Sono state effettuate numerose
ricerche sull’effetto di Wal-Mart sui
prezzi. Vedi, per esempio, Emek
Basker, “Selling a Cheaper Mousetrap:
Wal-Mart’sEffectonRetailPrices”,in
«JournalofUrbanEconomics»58,n.2,
settembre 2005, pp. 203-229; Jason
Furman, “Wal-Mart: A Progressive
Success Story”, New York, New York
University, 28 novembre 2005,
consultabile
all’indirizzo
<http://homepages.nyu.edu/~jf1264/walm
Vedi anche Jerry Hausman - Ephraim
Leibtag, “Consumer Benefits from
Increased Competition in Shopping
Outlets: Measuring the Effect of WalMart”, MIT and Economic Research
Service,
U.S.
Department
of
Agriculture, ottobre 2005. Hausman e
Leibtag hanno trovato che i prezzi di
Wal-Mart, in media, sono del 15-25%
più bassi di quelli degli stessi prodotti
venduti nei supermercati tradizionali.
Per i tipici prodotti per la casa come
shampoo, dentifricio e detersivi, i
risparmiperilconsumatorechesceglie
difareisuoiacquistiaWal-Martvanno
dall’1,5% al 3% nel breve termine per
poi quadruplicare nel lungo termine.
Tra il 1985 e il 2005, Wal-Mart ha
tenuto i prezzi dei beni alimentari più
bassidel9,1%edeibeninonalimentari
del4,2%alivellonazionale.
120 Dati presi da “Residential Energy
Consumption Survey, 2001”, U.S.
Department of Energy, Energy
Information Administration, tavola
HC5-3a; “Supplemental Measures of
Material Well-Being: Basic Needs,
Consumer Durables, Energy, and
Poverty,1981to2002”,U.S.Bureauof
theCensus,dicembre2005.Vedianche
Cox-Alm,op.cit.
121 Paul Liegey, “Hedonic Quality
Adjustment Methods for Microwave
Ovens in the U.S. CPI”, consultabile
all’indirizzo
<http://www.bls.gov/cpi/cpimwo.htm>.
122 Bureau of Labor Statistics,
Department of Labor; DePaul
University, emeroteca, The Tax
Foundation,
all’indirizzo
<http://www.bbhq.com/prices.htm>.
123 Gregg Easterbrook, “What’s Bad
for G.M. Is...“, in «Nation», 12 giugno
2005;vediancheJ.McCaracken,“U.S.
Automakers in Price Squeeze”, in
«DetroitFreePress»,4giugno2004.
124 Dati presi da Air Transport
Association,BureauofLaborStatistics,
Energy Information Administration,
Federal Communication Commission,
Paul Kagan Associates, raccolti da
ConsumerReports.
125 Hubert B. Herring, “Lower the
Fares and They Will Fly (a Bit More
Slowly)”, in «New York Times», 5
giugno2005,p.C2.
126 Robert W. Crandall - Clifford
Winston, “Unfriendly Skies”, in «Wall
Street Journal», 18 dicembre 2006, p.
A16.
127 Linda Blake, Trends in the U.S.
International
Telecommunications
Industry, Federal Communications
Commission,settembre2005.
128Vedi,ingenerale,Easterbrook,The
ProgressParadox.
129 Unaspiegazionepossibileèchele
universitàsianoinconcorrenzatraloro
per attrarre gli studenti di famiglie di
reddito medio-alto disposte a pagare
decine di migliaia di dollari l’anno – e
che anzi considerano l’alto costo di
un’università un elemento di merito –
non solo per le aule, i laboratori e i
professori, ma anche per sfarzose sale
comuni, dormitori forniti di ogni
moderno confort ed eserciti di
consulenti. Un’altra, come ha notato
l’economista William Baumol, è che è
più difficile ottenere certi livelli di
produttività in industrie che dipendono
fortemente dall’interazione umana,
come l’educazione e le arti dello
spettacolo.
130 Vedi anche U.S. Department of
Labor, Bureau of Labor Statistics,
Displaced Worker Survey, 2002,
consultabile
all’indirizzo
<http://www.bls.gov/opub/mlr/2004/06/a
Vedi anche Lori G. Kletzer, Job Loss
from Imports: Measuring the Costs,
Washington D.C., Institute for
InternationalEconomics,2001.
131 Citato in Jeff Bailey, “Northwest
andItsFlightAttendantsAwaitaStrike
Ruling”, in «New York Times», 25
agosto2006,p.C3.
132Furman,op.cit.
133 Citato in Ann Zimmerman,
“Costco’s Dilemma: Be Kind to Its
Workers or Wall Street”, in «Wall
StreetJournal»,26marzo2004,p.B1.
134 S. Greenhouse, “How Costco
Became the Anti-Wal-Mart”, in «New
YorkTimes»,17luglio2005,p.B1.
135 National Compensation Survey:
Employee Benefits in Private Industry
in the United States, U.S. Department
of Labor, Bureau of Labor Statistics,
marzo 2006, consultabile all’indirizzo
<http://www.bls.gov/ncs/ebs/sp/ebsm000
136 “Employer Health Benefits 2005”,
Kaiser Family Foundation and
EducationalTrust,2005,p.114.
137 Panel Study of Income Dynamics,
consultabile
all’indirizzo
<http://psidonline.isr.umich.edu>. Vedi
Jacob Hacker, The Great Risk Shift,
New York, Oxford University Press,
2006; Mark Rank, One Nation,
Underprivileged: Why American
Poverty Affects Us All, New York,
OxfordUniversityPress,2004,p.93.
138 Vedi, per esempio, Pew Social
Trends Poll, 30 agosto 2006. A un
campione rappresentativo di americani
fuchiesto:«Rispettoa20o30annifa,
pensicheillavoratoremediodelpaese
sia... più precario, meno precario o più
o meno nelle stesse condizioni di
prima?». Risultati: più precario, 62%,
meno precario, 11%, più o meno nelle
stesse condizioni di prima, 24%; non
sapevaosièrifiutatodirispondere,3%.
139 JamesBanks et al., “Diseases and
Disadvantage in the United States and
England”, in «Journal of the American
Medical Association» 295, n. 16, 3
maggio2006,pp.2037-45.
140 Dati presi da Internal Revenue
Service.
141 ThomasPiketty-EmmanuelSaez,
“IncomeInequalityintheUnitedStates,
1913-1998”, in «Quarterly Journal of
Economics»118,n.1,febbraio2003,,
con i dati aggiornati al 2004 presi dal
sito
degli
autori:
<www.econ.berkeley.edu/~saez/TabFig20
Il calcolo non include i capital gains.
VediancheIanDew-Becker-RobertJ.
Gordon, “Where Did the Productivity
Growth Go?”, uno studio presentato al
BrookingsPanelonEconomicActivity,
8-9 settembre 2005, consultabile
all’indirizzo
<http://facultyweb.at.northwestern.edu/economics/gordo
142LucienBebchuk-YanivGrinstein,
“The Growth of Executive Pay”, in
«Oxford Review of Economic Policy»
21, n. 2, 2005, , pp. 283303,consultabileall’indirizzo
<http://www.law.harvard.edu/faculty/beb
Grinstein.Growth-of-Pay.pdf>.
143 Carola Frydman - Raven E. Saks,
“Historical Trends in Executive
Compensation,
1936-2003”,
in
«working paper», 15 novembre 2005,
consultabile
all’indirizzo
<http://tinyurl.com/f3pzz>. Vedi anche
lo studio di 200 grandi aziende
effettuatodallaPearlMeyer&Partners,
della Clark Consulting, “2006
Compensation Report”, consultabile
all’indirizzo
<http://www.pearlmeyer.com>.
Un
altro studio della Mercer Human
Resource Consulting mostra che nel
2005 la busta paga media degli
amministratori delegati delle 350 più
grandi aziende d’America era di 6,8
milioni di dollari, inclusi i diritti di
opzionemaesclusiipagamentidifferiti,
lepensioniealtrivantaggi.
144 Questo fenomeno assomiglia, con
qualchedifferenza,aquellodeimercati
winner-take-all (il vincitore arraffa
tutto), caratterizzati da una grande
domanda
per
pochi
giocatori
d’eccezione. Vedi Robert H. Frank Philip S. Cook, The Winner-Take-All
Society:WhytheFewattheTopGetSo
Much More Than the Rest of Us, New
York,FreePress,1995.
145 XavierGabaix-AugustinLandler,
“Why Has CEO Pay Increased So
Much?”, in «MIT Working Paper» n.
06-13, 8 maggio 2006, consultabile
all’indirizzo
<http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?
abstract_id=901826>.
146CalcolipresidaFadelGheit,senior
analyst del mercato energetico per la
Oppenheimer & Co., citato in Alan
Murray, “Some Executives Get What
They Deserve”, in «Wall Street
Journal»,19aprile2006,p.A2.
147JamesSurowiecki,“NetWorth”,in
«NewYorker»,14marzo2005,p.62.
148 Il sondaggio è stato effettuato nel
febbraiodel2006.VediEricDash,“Off
to the Races Again, Leaving Many
Behind”, in «New York Times», 9
aprile2006,p.C1.
149 Jenny Anderson, “Big Bonuses
Seen Again for Wall Street”, in «New
YorkTimes»,7novembre2006,p.C1.
150 “The Very Richest Hedge Fund
Managers”, in «New York Times», 26
maggio2006,p.C1.
151 Ellen E. Schultz - Theo Francis,
“The CEO Health Plan in Era of
Givebacks, Some Execs Get Free
Coverage After They Retire”, in «Wall
Street Journal», 7 settembre 2006, p.
A20.
152 “Creative Destruction”, in «Wall
Street Journal» 7 settembre 2006, p.
A20.
153 EconomicPolicyInstitute,Stateof
Working America, 2006-2007, capitolo
5, tavola 5.9; U.S. Bureau of the
Census, American Community Survey,
2004.
154Piketty-Saez,op.cit.
155 Edward N. Wolff, “Recent Trends
in Wealth Ownership”, in «New York
University Working Paper», 12
dicembre1998,tavola2.
156JohnHeilemann,“Unstoppable”,in
«NewYork»,15agosto2004,p.23.
157 David Neumark - Junfu Zhang Stephen Ciccarella, “The Effects of
Wal-Mart on Local Labor Markets”, in
«NBER Working Paper», n. 11782,
novembre
2005,
consultabile
all’indirizzo
<http://papers.nber.org/papers/w11782.pd
new_windows=1>.
158 Patrick McGeehan, “Top
Executives
Return
Offices
to
Manhattan”, in «New York Times», 3
luglio2006,p.A1.
159Bork,op.cit.,pp.125,139.
160Ivi,pp.126-27.
161 Vedi, per esempio, Jacques
Steinberg, “Censored ‘SNL’ Sketch
Jumps Bleepless onto the Internet”, in
«NewYorkTimes»,12dicembre2006,
p.D1.
162 DatipresidaMarionNestle, Food
Politics, Berkeley, University of
CaliforniaPress,2002,pp.8-9.
163Ivi,p.25.
164 Robert Reich, “Look Who
Demands Profits Above All”, in «Los
AngelesTimes»,1settembre2000.
165 Raymond Bonner - Jane Perlez,
“New York Urges U.S. Inquiry in
Mining
Company’s
Indonesia
Payment”, «New York Times», 28
gennaio2006,p.A6.
166PlayFairattheOlympics,Oxford,
Oxfam,2004,p.36.
167 Vedi A. Atkinson, Economic
InequalityinoecdCountries:Dataand
Explanations, in «CesIFO Discussion
Paper»,2003,figura1-9;T.Smeeding,
“Public Policy and Economic
Inequality: The United States in a
Comparative
Perspective”,
«Luxembourg Income Study Working
Paper», n. 367, 2004, figura 3 e figura
4. Dati comparati per molti paesi si
trovano in Forster - D’Ercole, Income
Distribution and Poverty oecd
Countries in the Second Half of the
1990s, in «OECD Social Employment
and Migration Working Paper», n. 22,
2005. Stando al Luxembourg Income
Survey,ilrapportotrairedditinettidel
10%deicittadinidiredditopiùaltoeil
10%diredditopiùbasso,inGermania,
è aumentato da 3.1 nel 1980 a 3.3 nel
2000;inSveziada2.4nel1980a3nel
2000;nelRegnoUnitoda3.5nel1980
a4.6nel2000;enegliStatiUnitida3.7
nel1980a5.4nel2000.
168 “Europe Auto Relations Get
Testy”, in «Wall Street Journal», 15
giugno2006,p.A8.
169 “Hard New Realities of the
Marketplace for German Labor”, in
«New York Times», 26 ottobre 2005,
pp.C1,C4.
170 Nel2005,lostipendiomediodegli
amministratori delegati delle aziende
americane era ancora superiore di più
del50%diquellodeimassimidirigenti
delle aziende britanniche quotate al
FTSE 100, l’indice azionario delle 100
società più capitalizzate quotate al
London Stock Exchange, ma il divario
si andava colmando. Nel 1998, i
dirigenti americani si portavano a casa
quattro volte tanto quello che
guadagnavaunamministratoredelegato
britannico. Anche gli stipendi degli
amministratori delegati delle grandi
aziende francesi quotate nell’indice
CAC40sonoinaumento,passandodai
$780.000 del 1998 ai 3 milioni di
dollari del 2004, stando a Proxinvest,
societàdiconsulenzaperfondicomuni
e fondi pensione. In Germania, un
recente sondaggio condotto dal «Welt»
ha mostrato un incremento nel 2005
dell’11%nelsalariomediodeimembri
dei consigli d’amministrazione delle
trenta principali aziende quotate
all’indice DAX. Vedi, in generale,
Geraldine Fabrikant, “U.S.-Style Pay
DealsofChiefsBecomeAlltheRagein
Europe”, in «New York Times», 16
giugno2006,pp.A1,C4.
171 Norimitsu Onishi, “Revival in
Japan Brings Widening of Economic
Gap”,in«NewYorkTimes»,16aprile
2006,p.A1.
172 Andrew Batson - Shai Oster, “As
China Booms, the Poorest Lose
Ground”, in «Wall Street Journal», 22
novembre2006,p.A4.
173 Thomas Friedman, “Bring in the
GreenCat”,in«NewYorkTimes»,15
novembre 2006, p. A27; Jason Dean,
“How
Capitalist
Transformation
Exposes
Holes
in
China’s
Government”,in«WallStreetJournal»,
18dicembre2006,p.A2.
174 JosephStiglitz-AndrewCharlton,
Fair Trade for All, New York, Oxford
University Press, 2006 [Commercio
equopertutti,Milano,Garzanti,2007].
175 L’economista di Harvard Gregory
Mankiw,unexassistentedelpresidente
GeorgeW.Bush,hagiustamentenotato
nel suo blog che «gli amministratori
delegatisonopagatiquellochevalgono
perleloroaziende,eilorostipendialti
riflettono lo straordinario valore del
loro talento. Ma l’offerta di talento è
inelasticael’allocazioneditalentonon
verrebbescalfitasetuttipagasserodelle
alte aliquote d’imposta sul reddito».
Citato in David Wessel, “With CEO
Pay,SizeDoesMatter”,in«WallStreet
Journal»,2novembre2006,p.A2.
176 “The Only Certainty Is More
Uncertainty”, in «Independent», 12
aprile2006.
4.Lacrisidella
democrazia177
Gli americani stanno
perdendo
fiducia
nella
democrazia, come i cittadini
di molte altre democrazie.
Come ho notato nelle prime
pagine di questo libro,
trentacinque anni fa gran
partedegliamericaniriteneva
che il nostro sistema
democratico servisse gli
interessiditutti.Nelcorsodei
decenni successivi, però,
quella fiducia è lentamente
scemata. Oggi gran parte dei
cittadini crede che la politica
amministrativa serva gli
interessi di pochi grandi
gruppi interessati solo a se
stessi. Sondaggi effettuati
nelle
altre
democrazie
mostrano lo stesso calo di
fiducia nelle istituzioni178.
Cosaèandatostorto?
Nessuna delle solite
spiegazioni, come ho già
detto, è convincente. Una
causa più probabile, in
America e in misura minore
macrescenteanchealtrove,è
ilruolodominantechehanno
assunto i soldi in politica, in
particolare quelli provenienti
dalle grandi corporation179.
Ritengo che quel denaro sia
un sottoprodotto di quello
stesso elemento che ha
contribuito al successo
economico
del
supercapitalismo:
la
concorrenza sempre più forte
tra le aziende per attivare i
consumatori e gli investitori.
Quella concorrenza è filtrata
nell’arena politica, con le
corporation che sempre più
cercano di ottenere un
vantaggio competitivo per
mezzodiinterventistatali.La
perversa conseguenza è stata
di ridurre la capacità della
democraziadirisponderealle
esigenzedellagente.
1
Ildibattitosuquelloche
è successo è stato quasi
inesistente.Ilcrescenteflusso
di denaro riversato dalle
corporation a Washington e
nelle altri capitali del mondo
è sotto gli occhi di tutti.
Quello su cui la gente non
riesce a mettersi d’accordo è
come sia potuto succedere.
Risalire all’alba di questo
fenomeno può aiutarci a
trovareunarisposta.
Primachecominciassea
fluire questo torrente di
denaro dalle corporation,
Washington era un posto
alquanto decadente, «una
città dotata dell’efficienza di
unacittàdelSudedelfascino
di una città del Nord», come
disse John F. Kennedy180.
Anche a metà degli anni
Settanta, quando lavoravo
alla
Federal
Trade
Commission, gran parte del
centro era ancora piuttosto
malmesso. Ogniqualvolta un
lobbistainsistevaperoffrirmi
un pranzo, lo portavo in un
bar infestato dalle blatte sul
lato opposto di Pennsylvania
Avenue181, dopodiché non lo
rivedevomaipiù.Maquando
sono tornato a Washington
alla fine degli anni Novanta,
hotrovatoun’altracittà.Ilbar
non c’era più; la strada ora
risplendeva delle facciate
lucide degli hotel rimessi a
nuovo, dei ristoranti di lusso
e dei bistrò alla moda. Il
bagliore si estendeva da
Georgetown
fino
al
Campidoglio:ufficidicromo,
legno lucido e finestre a
specchio; condomini ben
arredati con tanto di portieri
che conoscevano i nomi e i
bisogni di ogni singolo
inquilino;alberghiconatriiin
marmo,tappetispessi,musica
d’ambiente e banconi di
granito;
ristoranti
con
tovaglioli di lino, menu
rilegati in pelle e argenteria
pesante,
che
servivano
bistecche da 75 dollari e
bottiglie di vino francese da
400.CharliePalmerSteak,ai
piedi del Campidoglio,
disponeva di una cantina
ripiena di 10.000 bottiglie di
vino. Il Bistro Bis, a fianco
dell’Hotel George, offriva
zampe di rana fritte
sottilmente
impanate
e
animelle alla zingara. The
Palm, sulla Diciannovesima,
sfoggiavaprezzidacapogiro,
in grado di impressionare
anche il funzionario pubblico
piùsfinito.
Ilflussodidenaroaveva
gonfiato tutto ciò che aveva
incontratolungolasuastrada:
non solo i prezzi dei
ristoranti, ma anche i
compensi degli avvocati, dei
lobbisti e degli esperti di
pubbliche relazioni più in
vista a Washington, per non
parlare dei prezzi delle case,
anchenelleconteevicine.Nel
2005, l’Ufficio Censimento
del paese includeva le sette
contee
suburbane
di
Washington tra le venti
contee del paese col maggior
redditoprocapite182.
Dagli anni Settanta in
poi, i finanziamenti ai
candidati si sono impennati
bruscamente. Con l’aumento
dei soldi in circolo, ogni
candidato
divenne
profondamente cosciente del
denaro che potenzialmente
potevano ricevere i suoi
rivali, a meno che il budget
dellasuacampagnaelettorale
non fosse stato così
imponente da spaventare la
concorrenza.Diconseguenza,
l’attenzionedeisenatoriedei
rappresentanti che un tempo
erano stati così solleciti nei
confronti
dei
gruppi
d’interesse
“pluralistici”
presenti nei loro Stati o
distretti di riferimento – in
particolare quelli che si
univano
in
federazioni
nazionali – si è concentrata
sempre più sulla ricerca di
potenzialifinanziamenti.Ela
fonte maggiore di denaro
destinato alle campagne
elettorali
proviene
dai
comitati di azione politica
(PAC) aziendali, composti da
dirigenti delle corporation e
lobbisti del settore che
“raccolgono” i contributi
degli altri dirigenti e dei loro
socid’affari.
I contributi diretti sono
solo le punte di enormi
iceberg di influenza politica
che
sono
cresciuti
enormemente negli ultimi
decenni, come mostrano i
grafici183seguenti.
Questa non è solo una
versione gonfiata e più
costosa del pluralismo dei
gruppi d’interesse che aveva
così affascinato gli scienziati
politici della metà del XX
secolo. La quasi totalità di
questa attività di lobbying è
finanziata dalle aziende. Il
contributo dei gruppi non
aziendali è irrisorio in
confronto. Nel 2005, per
esempio,l’AFL-CIOavevasolo
seilobbistisulsuolibropaga
al Campidoglio. Tra le
centinaia di organizzazioni
che hanno investito di più in
attività
di
lobbying
quell’anno, in cima alla lista
figurava la Camera di
Commercio
statunitense;
l’AFL-CIOeraal74°posto.La
maggior parte dei gruppi
d’interesse – impegnati in
cause come la difesa
dell’ambiente, l’assistenza ai
bambini o i diritti umani –
non figurava neanche nella
lista184.
Notate come anche in
questo caso l’escalation sia
iniziata negli anni Settanta.
Nel1950,eranomenodi100
le aziende che possedevano
degli uffici a Washington. A
partire dalla metà degli anni
Settanta in poi, il business
delle lobby è esploso. La
National Association of
Manufacturers (Associazione
nazionale dei fabbricanti)
spostò la sua sede a
Washington
nel
1973,
all’incirca
nello
stesso
periodo in cui aprì i battenti
nella capitale il Business
Roundtable, l’organizzazione
formata dagli amministratori
delegati del paese, i quali
andavano a fare lobbying di
personaincittà185.Neglianni
Novanta,vieranooramai500
aziende
americane
che
possedevano
uffici
permanenti a Washington, le
quali impiegavano 61.000
lobbisti,tracuiunaschieradi
avvocati186. A queste si
aggiungevano
numerosi
centri, istituti e fondazioni
sponsorizzati
dalle
corporation, affollati dei loro
esperti di politica e di
marketing. Vi erano poi
quelle aziende specializzate
nella propaganda di politiche
pubblichefavoritedaquestao
daquellacorporation187.
Una simile ondata di
lobbying aziendale si è
abbattuta anche sulle altre
capitali globali negli ultimi
anni, man mano che il
supercapitalismo si è diffuso
nel mondo. Nel 2005,
Bruxelles – che ospita la
Commissione Europea e altri
uffici
amministrativi
dell’Unione Europea –
ospitava all’incirca 10.000
lobbisti, gran parte dei quali
rappresentavano
grandi
aziende
globali
e
organizzazioni industriali188.
AvenuedeCortenbergh,oggi,
ricorda molto da vicino K
StreetaWashington.
2
Alcunispieganoilflusso
crescente di denaro versato
dalle corporation nelle tasche
dei politici con una accordo
cheilgrandecapitaleavrebbe
stretto
col
partito
repubblicano
ai
tempi
dell’elezione di Ronald
Reagan
e
che
ora
continuerebbe
sotto
l’amministrazione di George
W.Bush189.Standoaipresunti
termini di questo accordo, il
grande capitale avrebbe
fornito abbastanza soldi ai
repubblicani da garantirgli
unamaggioranzapermanente,
in cambio della quale il
partitoavrebbeportatoavanti
unprogrammaenergicamente
filo-aziendale.Alcunivedono
la dimostrazione di questo
accordo nel tristemente
celebre “K Street Project”
dell’amministrazione Bush,
con cui Tom DeLay,
capogrupporepubblicanoalla
Camera, e altri leader
repubblicani fecero pressione
sulle corporation e sulle
associazioni
commerciali
affinché assumessero solo
lobbistirepubblicani.
Maèunaspiegazionefin
troppo semplicistica. Non
chiarisce perché l’attività di
lobbying sia cresciuta così
tanto anche altrove. E ignora
il fatto cruciale che il
fenomeno ha riguardato
entrambi i partiti. Quando i
democratici
persero
il
controllo del Congresso, nel
1994, erano oramai anch’essi
dipendenti dai soldi delle
corporation. «Le aziende
devono parlare con noi, che
glipiacciaomeno,perchénoi
abbiamo la maggioranza»,
incalzò il rappresentante
democratico Tony Coelho,
che in qualità di capo del
Democratic Congressional
Campaign
Committee
(Comitatodellacampagnadei
democratici al Congresso),
negli anni Ottanta, ruppe il
ghiaccio tra il partito e le
corporationdelpaese.Coelho
portò avanti una dura
battaglia
vittoriosa
per
ottenere più o meno una
parità nei finanziamenti delle
aziende ai due partiti. Nel
1990, per esempio, il settore
autotrasportato divise i suoi
1,51 milioni di dollari di
contributi in parti uguali tra
democratici e repubblicani,
stando al Center for
Responsive
Politics.
Quell’equilibrioèduratofino
a quando i repubblicani
ottennero la maggioranza al
Congresso,nel1994edèpoi
stato ristabilito dopo la
vittoria democratica del
2006190 (stando a Political
Money
Line,
un’organizzazione che si
occupa dei finanziamenti alla
politica, nel primo trimestre
del 2007 i PAC hanno dato il
56,6% dei loro contributi al
partito
democratico)191.
Ovviamente, la dipendenza
delle
corporation
dal
Congresso democratico, che
Coelhodavaperscontato,finì
per rendere anche il partito
dipendente dalle corporation,
come fu evidente qualche
meseprimadellasconfittadel
1994,
quando
molti
democratici votarono contro
ilpianodiassistenzasanitaria
di Bill Clinton perché le
corporation
che
sponsorizzavano il partito vi
sieranoopposte.
Nonostante quel piano,
l’amministrazione Clinton –
dicuisonofierodiaverfatto
parte – è stata una delle
amministrazioni più filoaziendali
nella
storia
americana.Neisuoiprimidue
anni di presidenza, quando i
democratici
controllavano
entrambe le camere del
Congresso,Clintonspinseper
la creazione sia del North
American
Free
Trade
Agreement
(Trattato
nordamericano di libero
commercio, NAFTA) che
dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio,
due strumenti di importanza
crucialeperilgrandecapitale.
Siimpegnòanchearidurreil
deficit
pubblico,
come
speravano i trader di Wall
Street. Il mondo aziendale
non poteva chiedere di
meglio. I profitti delle
corporation salirono alle
stelle,laborsasiimpennòei
compensi
degli
amministratori
delegati
raggiunsero
somme
stratosferiche.
Questi fatti da soli non
indicano che Clinton o
qualche altro membro della
sua amministrazione fosse
particolarmente succube del
grande capitale o che le
aziende
dettassero
il
programmapresidenziale.Ma
laquantitàdidenaroconfluita
dalle corporation nelle casse
della campagna per la
rielezione di Clinton e del
Democratic
National
Committee
(Comitato
Nazionale
del
Partito
Democratico)
e
la
determinazione con la quale
Clinton corteggiò le aziende
per
ottenerlo,
sono
certamentefattidegnidinota.
L’ospitalità con la quale
Clinton assecondò i desideri
degli amministratori delegati
che volevano passare una
notte nella stanza da letto di
Lincoln confermò il vecchio
detto secondo cui la Casa
Bianca è l’unico albergo in
cui sono gli ospiti a lasciare
uncioccolatinosulcuscino.I
soldi erano una garanzia di
accesso, anche se non
necessariamente di successo.
Roger Tamraz, un magnate
delpetrolio,offrìalComitato
Nazionaledelpartito300.000
dollari per ottenere un
incontro personale con
Clinton,inducendoilsenatore
repubblicano Fred Thompson
a chiedere a Tamraz, durante
un’udienza del Congresso
sullacampagnaperlariforma
finanziaria, se ritenesse di
avere
«un
diritto
costituzionale affinché i suoi
affari fossero valutati dal
presidentedegliStatiUnitiin
persona».Tamrazrisposecon
straordinario
candore:
«Senatore, porto solo le cose
al limite. Perché non dovrei?
Voistabiliteleregoleenoile
seguiamo. È la politica di
sempre»192.
Il trattamento paritario
che oramai negli ultimi anni
le corporation riservano a
entrambi i partiti ha
influenzato le carriere di
molti democratici che, dopo
aver servito a Washington,
hanno trovato lavori molto
redditizi al servizio di grandi
corporation. Quando divenne
chiaro a tutti che i
democratici
avrebbero
trionfato alle elezioni di
medio termine del 2006, il K
Street Project di fatto morì.
Anticipando un sorpasso dei
democratici vari mesi prima
delle elezioni, uno dei
maggiori studi legali e di
lobbying di Washington, la
DLA
Piper, trasferì la
direzione del suo ufficio per
gli affari governativi dal
repubblicano Thomas F.
O’Neil III al democratico
James
Blanchard,
ex
governatore e membro del
Congresso dal Michigan.
«Essere un democratico non
mihacreatoproblemi,questo
èsicuro»,dichiaròBlanchard
al
«Washington
Post».
«Questo sarà un grande anno
per
i
democratici»193.
Improvvisamente,larichiesta
di personale democratico,
anche alle dipendenze di
membridimediolivellodella
Camera,subìun’impennata.
Unsostegnobipartisana
entrambi i partiti è ormai
diventato obbligatorio per le
corporation, poiché per
ottenere una maggioranza al
Congressodisolitoèrichiesta
un’opera di persuasione
bipartisan.Dopocheilleader
della minoranza democratica
al Senato, Tom Daschle, non
riuscì a essere rieletto nel
2004, fu assunto dall’ex
leader della maggioranza
repubblicana al Senato, Bob
Dole, per conto della società
di lobbying Alston & Bird.
«Lui ha molti amici al
Senato, e anch’io ho molti
amici al Senato», scherzò
Dole. «Insieme abbiamo il
51%»194.
Le società di lobbying
bipartisan sono al servizio di
numerose corporation di
prim’ordine. Per far passare
la legge sull’assistenza per i
medicinali del Medicare
dell’amministrazione Bush al
Campidoglio,
la
lobby
farmaceutica assunse il
lobbista democratico Vic
Fazio, un ex membro
democratico del Congresso,
David Beier, che era stato
uno dei principali consulenti
dipoliticainternadiAlGore
eJoelJohnson,untempouno
dei principali assistenti del
presidente Clinton e del
senatore Daschle195. Le
compagnie
farmaceutiche,
inoltre, assunsero Chris
Jennings, che aveva assistito
Clinton nella stesura del suo
odiato piano per l’assistenza
sanitaria, e l’ex assistente
repubblicanoMarkIsakowitz,
che aveva contribuito ad
affossare il piano di Clinton.
Allo stesso modo, nel 1998,
quando le multinazionali del
tabacco
cercavano
l’approvazionedelCongresso
sull’accordo che avevano
raggiunto con gli alti
magistrati di vari Stati sui
rimborsi alle vittime del
tabacco, chiesero aiuto sia ai
lobbisti repubblicani che a
quellidemocratici,tracuil’ex
assistente di Gore, Peter
Knight, l’ex governatore
democratico Ann Richards e
George Mitchell, ex leader
della
maggioranza
democraticaalSenato.
Se i gruppi d’interesse
non aziendali hanno avuto
una rappresentanza migliore
sotto le amministrazioni
democratiche, gli interessi
delle corporation sono stati
rappresentati benissimo sotto
le
amministrazioni
di
entrambi i partiti. Alla fine
del loro mandato, più della
metàdeifunzionariprincipali
dell’amministrazione Clinton
divennero lobbisti. Il primo
direttorelegislativodiClinton
lasciòilsuopostodopomeno
di un anno per diventare
presidente della Hill &
KnowltonWorldwide.Anche
il vicecapo di gabinetto di
Clinton se ne andò dopo
menodiunannoperdirigere
la US.TelephoneAssociation.
Stando al Center for Public
Integrity
(Centro
per
l’integrità pubblica), tra il
1998eil2004piùdi2.200ex
funzionari di governo di alto
livello, sia repubblicani che
democratici,hannointrapreso
la carriera di lobbisti, così
come 200 membri del
Congresso196. Nel 2003, più
della metà degli ex membri
del Congresso che facevano
attività di lobbying avevano
lavorato per il Partito
Democratico.
Ora,
lavoravano quasi tutti per
contodigrandicorporation.
Il paragone pertinente
non è tra democratici e
repubblicani, ma tra coloro
che hanno prestato servizio a
Washingtonalcunidecennifa
equellichelohannofattopiù
di recente. Negli anni
Settanta, solo il 3% dei
membri del Congresso in
pensione intraprendeva una
carriera da lobbista. Nel
2005, più del 30% dei
membri del Congresso – sia
repubblicani che democratici
– alla fine del mandato
passava a lavorare per le
societàdilobbying.Segliex
funzionari e assistenti oggi
sonopiùincliniareinventarsi
lobbistinonèperchéquestisi
facciano meno scrupoli
rispettoacolorochelihanno
preceduti a fare i soldi per
mezzo dei contatti e
dell’esperienza
acquisiti
durantelaloropermanenzaal
Governo, ma perché le
opportunità
economiche
offerte
dall’attività
di
lobbying oggi sono molto
maggiori rispetto al passato.
Esattamentecomeperiprezzi
dei ristoranti e delle case, le
tariffe delle società di
lobbying sono lievitate
enormemente a causa delle
grandiquantitàdidenaroche
le corporation riversano su
Washington.Lasommachei
lobbisti chiedono a un nuovo
cliente è passata dai 20.000
dollari al mese del 1995 ai
40.000del2005.Nel2006,il
salario di partenza di un ex
congressista o membro della
Casa Bianca con buoni
agganci, deciso a diventare
lobbista, era di circa 500.000
dollari l’anno. Gli ex
presidenti dei comitati e
sottocomitati
congressuali
prendevano fino a 2 milioni
di dollari l’anno per
influenzare le decisioni dei
loroexcomitati.
I
rapporti
tra
repubblicani e democratici al
Congresso, negli ultimi anni,
sono stati particolarmente
tesi, soprattutto per via di
quelle che vengono definite
guerre culturali – su temi
quali l’aborto, il matrimonio
gay, la ricerca sulle cellule
staminali e il Pledge of
Allegiance o “giuramento di
fedeltà”197 – e delle
divergenze sulla politica
estera. Questi conflitti di
solito riempiono le prime
pagine dei giornali perché
attirano l’attenzione della
gente, come solo le battaglie
trapersonaggipubblicisanno
fare. Ma non tengono conto
dell’attività quotidiana del
Congresso, in cui le
corporationriesconosemprea
comprarsi una voce in
capitoloindifferentementedal
partitodominante.
Un’altrateoriaindividua
le cause dell’incremento del
flusso di denaro verso
Washington nelle dimensioni
e nella portata sempre
maggiori
del
governo
federale.«Washingtonspende
2.600 miliardi di dollari
l’anno e ha l’autorità di
decidere tutto della vostra
vita», ha tuonato l’ex
presidentedellaCameraNewt
Gingrich. «Indovinate un
po’?C’ègentecheèdisposta
a spendere quantità inaudite
di denaro per avere una voce
in capitolo. Il problema di
fondoèilbiggovernmenteil
bigmoney»198.
Questa teoria non è
neanche supportata dai fatti.
L’incremento maggiore di
spesa
pubblica,
nel
dopoguerra, c’è stato tra il
1947 e il 1973, durante l’età
non proprio dell’oro. Come
percentuale dell’economia
nazionale,laspesapubblicasi
è impennata nel 1983,
raggiungendoil24%,perpoi
assestarsialdisottodel20%.
Nel
frattempo,
una
percentuale sempre maggiore
della spesa è andata
all’assistenza sociale, al
Medicare e alla Difesa. È
vero che i lobbisti fanno a
gara per mettervi le mani
sopra.
Ma
la
spesa
discrezionale non destinata
alla Difesa – che ci si
aspetterebbeesserequellapiù
appetibile per i lobbisti,
poiché gli stanziamenti
variano di anno in anno – ha
raggiunto il picco nel 1980,
arrivando
al
5,2%
dell’economianazionale,eda
alloraèincontinuocalo199.A
causa della crescita generale
dell’economia, la spesa
pubblica è aumentata. Ma i
finanziamenti
delle
corporation ai partiti sono
aumentati
molto
più
velocemente.
Questa escalation non si
spiega
neanche
con
l’incrementodelleregolazioni
governative. Come abbiamo
visto, gran parte delle
principali
regolazioni
economiche
sono
state
abrogate nel corso degli
ultimiquarant’anni.Inbaseal
numerodileggipromulgateo
proposte pubblicate nel
registro
federale,
le
regolazioni sono diminuite
costantemente a partire dal
1980.
Infine, l’aumento del
denaro in politica non può
spiegarsi neanche con la
necessità delle corporation di
contrastare il potere dei
sindacati. Come abbiamo
visto, la loro influenza è in
declino da vari decenni, e la
loro attività di lobbying al
Campidoglioèquasideltutto
oscurata da quella delle
corporation.
Una
terza
teoria
attribuisce
le
colpe
dell’odierna situazione a una
cospirazione di Wall Street e
del grande capitale per
assumere il controllo del
Governo e cooptare entrambi
ipartitipolitici.Illoroscopo,
secondo questa teoria, è
tenere i salari bassi, evitare
costosiinterventigovernativi,
ridurre le tasse per i ricchi,
sfruttare i paesi in via di
sviluppo e arricchirsi alle
spese di tutti gli altri. «La
classe dominante bipartisan,
negli Stati Uniti, protegge i
suoiclientiprivilegiatimentre
lascia tutti noi alla mercé di
un mercato globale a briglie
sciolte, e di conseguenza
brutale e senza pietà», scrive
Jeff Faux, fondatore ed ex
presidente
dell’Economic
PolicyInstitute(Istitutoperla
politicaeconomica).Ilgrande
capitale e il Governo sono
impegnati in una «guerra di
classe»controilavoratori,ha
affermato Lou Dobbs, un
giornalistadellaCNN200.
Per quanto possa essere
seducente
questa
idea,
neanch’essa è supportata dai
fatti. Lungi dal cospirare
l’una con l’altra, le aziende
sono diventate sempre più
competitive.
Come
dimostrerò nelle pagine
seguenti, la loro sfida è
tracimata nell’arena politica.
Le battaglie che hanno
quotidianamente luogo nel
Congresso, che tengono
occupati per settimane o
anche per mesi i membri del
Congresso, e che impegnano
maggiormente gli squadroni
di lobbisti e professionisti di
pubbliche
relazioni
di
Washington, di solito sono
battaglietraaziende,settorio,
occasionalmente, industrie
concorrenti.
Il cittadino che è in noi,
oggi, ha più difficoltà a farsi
sentire a Washington e nelle
altri capitali del mondo non
perché il grande capitale è
diventato più monolitico, ma
per l’esatto contrario: perché
la concorrenza tra le aziende
è diventata più spietata. Le
aziende sono entrate in
politica per ottenere o
mantenere un vantaggio
competitivo sulle loro rivali.
Il risultato è una mischia di
interessi concorrenti: una
cacofonia così assordante da
coprire qualsiasi dibattito
seriosulbenecomune.
3
Laspiegazionediquello
che è successo si trova nel
mutamento dell’economia,
iniziato negli anni Settanta,
provocatodaunaconcorrenza
più forte per attirare
consumatori e investitori. Il
supercapitalismo non si è
fermato al confine artificiale
che separa l’economia dalla
politica. L’obiettivo della
moderna corporation – su
pressione dei consumatori e
degli investitori – è fare
qualsiasicosaperottenereun
vantaggio competitivo. Per
fareciòdevemarciaresuogni
campo di battaglia dove
potrebbe
ottenere
tale
risultato. Washington – e le
altrecapitaliintuttoilmondo
in cui vengono prese le
decisioni politiche – sono
diventate dei campi di
battaglia perché le scelte
politiche spesso favoriscono
alcune aziende o industrie e
danneggianoquellerivali201.
La quantità di denaro
versatadallecorporationnelle
taschedeipoliticièaumentata
così tanto negli ultimi
decenni per via della
domanda e dell’offerta.
L’offerta
di
senatori,
rappresentanti e membri del
gabinettoedellaCasaBianca
nonèaumentatadimoltonel
corso di questo periodo. Ma
la domanda delle corporation
interessate a influenzare i
processi politici è aumentata
di molto, man mano che la
concorrenza si faceva più
intensa. È stato un po’ come
unacorsaagliarmamenti:più
unconcorrentepagaperavere
accesso alle stanze della
politica,piùilsuorivaledeve
pagarepercontrobilanciarela
suainfluenza.
Prendiamo uno degli
ultimi arrivati tra le file dei
colossi di Washington:
Google. Finché non si è
aperta agli investimenti
pubblicinell’agostodel2004,
l’aziendasivantavadiessere
un cane sciolto nel mondo di
Internet e non osava
avventurarsientroiconfinidi
Washington. Ma una volta
diventata una società per
azionimultimiliardaria,aveva
bisogno di entrare anch’essa
nell’establishment
della
capitale.Nel2005,Googleha
speso più di 500.000 dollari
tra consulenti e società di
lobbying, e ha aperto un suo
complesso di uffici nel Penn
Quarter a Washington. I
dirigenti e i lobbisti
dell’azienda
hanno
cominciato a finanziare con
milionididollarilecampagne
elettorali. «È stata la crescita
di Google come azienda e
come presenza nell’industria
checihaspintoaintrattenere
rapporticonWashington»,ha
dichiarato il suo direttore
amministrativo
Alan
Davidson. «Sono degli
ingegneri brillanti», ha detto
LaurenMaddox,dellasocietà
dilobbyingPodestaMattoon,
traicuiclientifiguraGoogle.
Ma, ha aggiunto la Maddox,
«nonsonodeipolitici»202. La
PodestaMattoonconduceuna
politica
bipartisan,
esattamente ciò di cui ha
bisogno Google. Anthony
Podesta è un democratico di
vecchia data, e fratello di
John Podesta, l’ex capo di
gabinetto di Clinton. Il suo
socio, Daniel Mattoon, è un
caroamicodell’expresidente
della Camera repubblicano
Tennis Hastert. Lauren
Maddox è stata una degli
assistenti principali di Newt
Gingrich.
Googlenonavevascelta.
Yahoo, Microsoft e una
miriade di altre società di
telecomunicazioni erano già
ben
rappresentate
a
Washington. Solo nel 2005,
laMicrosofthaspesoquasi9
milionididollariinattivitàdi
lobbying, e i suoi dirigenti
hanno donato milioni di
dollariaipoliticidientrambe
le sponde. Yahoo ha speso
1,6 milioni di dollari, stando
ai dati del Center for
ResponsivePolitics.Vierano
varie questioni politiche che
potevano
influire
positivamente
o
negativamente sulle sorti di
Microsoft e Google, in
particolare
quelle
che
concernevano
le
leggi
antitrust,
la
proprietà
intellettuale e il commercio
internazionale. L’esito di
queste scelte poteva spostare
l’ago della bilancia nella
competizione in favore o a
sfavorediGoogle,congrandi
conseguenze
finanziarie.
L’azienda cominciò anche a
finanziare le istituzioni di
Bruxelles, dove gli europei
stavano dibattendo molte
delle stesse questioni, e dove
Microsoft e Yahoo erano già
benpresenti.
Ecco un esempio che
simboleggiabeneimotiviper
cui Google dovette gettarsi
nella mischia di Washington:
nel 2006, la Microsoft, che
possedeva circa l’80% del
mercato dei browser di
navigazione
Internet,
annunciò di voler introdurre
un nuovo browser – Internet
Explorer 7 – che includeva
una casella di ricerca che
avrebbe portato gli utenti
direttamentealnuovomotore
di ricerca della Microsoft.
Ovviamente, Google voleva
che i consumatori potessero
andare direttamente alla
pagina di Google all’apertura
del browser. Allo stesso
modo, Microsoft non voleva
che gli fosse concessa questa
scelta. L’azienda argomentò
che questo creava solo
confusione nei consumatori,
ma il vero obiettivo della
Microsoft era portare i
consumatori da Google al
propriomotorediricerca.
Nell’aprile del 2006,
Google manifestò le sue
preoccupazioni
al
dipartimento di Giustizia
americano
e
alla
Commissione
Europea,
impiegando tutta la potenza
di fuoco della sua nuova
squadradilobbistieavvocati
diWashingtonperdimostrare
alle autorità antitrust, e alla
Microsoft, che faceva sul
serio. La domanda strategica
di fondo che Google stava
ponendo alla Microsoft con
questadimostrazionediforza
era: quanto siete disposti a
spendere in spese legali e di
lobbying per sostenere una
versione di Internet Explorer
che escluda Google? La
Microsoft aveva già avuto
problemi con l’antitrust in
passato. Google si dimostrò
un avversario molto più
pericoloso di quanto non lo
fosse stata l’azienda pioniera
dei browser Netscape anni
prima,quandolaMicrosoftsi
mosse per tagliarla fuori dal
mercato dei browser, e la
questione finì col verdetto di
una corte federale che
stabiliva che la Microsoft
avevaripetutamenteviolatole
leggi antitrust, seguito da un
accordo col dipartimento di
Giustizia.Googleavevamolti
piùsoldieprobabilmentepiù
idee da investire nella
battaglia.
La Microsoft aveva
cominciato a corteggiare la
politica nel 1996, in seguito
alla prima denuncia di
violazione
delle
leggi
antitrust da parte del
dipartimento di Giustizia.
Erano le stesse accuse mosse
daBruxelles.Primadiallora,
lacelebreindifferenzadiBill
Gates alla politica aveva
tenuto la Microsoft lontano
da Washington e da
Bruxelles. Ma in poco tempo
i dirigenti della Microsoft
cominciarono a elargire
generosi contributi sia ai
democratici
che
ai
repubblicani: 621.000 dollari
solo nella prima metà del
1999. L’azienda, inoltre,
assunse nove società di
lobbying e dieci lobbisti a
tempopieno,eunaschieradi
espertidipubblicherelazioni.
Nel giro di qualche mese, i
lobbisti stavano esortando il
Congresso a rifiutare la
richiesta della divisione
antitrust del dipartimento di
Giustiziadiunincrementodi
budget del 16%, necessario
per sostenere la causa legale.
Lo sforzo si rivelò un
insuccesso – anzi, fece
apparire
la
Microsoft
esattamente come il tipo di
Leviatano la cui ascesa le
leggi antitrust dovevano
evitare–mailobbistiebbero
piùfortunasuunaltrofronte.
Il Congresso ridusse le
limitazioni sulle esportazioni
di software crittografico del
tipo che vendeva la
Microsoft,
aumentando
notevolmente il fatturato
dell’azienda203.
Dopo la sentenza del
giudice Thomas P. Jackson
contro la Microsoft, in cui la
denunciava
come
un
aggressivo
monopolista,
l’azienda sguinzagliò i suoi
lobbisti ed esperti di
pubbliche relazioni contro
chiunque potesse influenzare
la divisione antitrust nel
trovare
una
possibile
soluzione.Duegiornidopola
sentenza,
i
giornali
pubblicarono le immagini di
Bill Clinton col braccio
intorno alle spalle di Bill
Gates,mentreelogiavalesue
donazioni a scopo benefico:
un colpaccio mediatico che
«BusinessWeek»definì«una
scena dolorosa per [il capo
dell’antitrustdeldipartimento
diGiustizia]JoelKlein»204.
IBM,
Oracle e Sun
Microsystems
sostennero
tuttelacausadeldipartimento
di Giustizia contro la
Microsoft,
così
come
sostennero quella della
Commissione Europea. La
Oracle arrivò persino a
ingaggiare degli investigatori
privatidiWashington,iquali
trovarono le prove che la
Microsoft aveva finanziato
uno studio della New York
University che sosteneva
come la causa dell’antitrust
danneggiava i fondi pensione
dello Stato, e che aveva
segretamente
comprato
numerose pubblicità a tutta
pagina sui più importanti
giornali degli Stati Uniti, in
cui
240
accademici
lanciavano un appello in
difesa dell’azienda. Gli
investigatori privati della
Oracle finirono sotto i
riflettori quando uno di loro
corruppe un custode perché
passasse al setaccio della
spazzatura
che
poteva
contenere
delle
prove
incriminantiperlaMicrosoft.
In risposta, la Microsoft
pubblicò
un
furioso
comunicato in cui dichiarava
che «i concorrenti della
Microsoft sono impegnati in
una campagna serrata per
promuovereuninterventodel
Governo contro l’azienda».
L’amministratore delegato
della Oracle, Larry Ellison,
insistette che le indagini
dell’azienda
erano
un
«serviziopubblico»205.
Google,
Microsoft,
Yahoo, IBM, Sun e Oracle
spendono ogni anno milioni
di dollari in contributi a
Washington,
perché
comprendono, come dice la
lobbista Lauren Maddox, che
«il processo politico è
un’estensione del campo di
battaglia del mercato»206.
Questeaziendesonospintein
politicadallostessospiritodi
concorrenza che le porta a
metteresulmercatoprodottie
servizi sempre migliori. Se
hanno successo, i profitti
aumentano, il valore delle
azionicresceeiloromassimi
dirigenti ottengono salari da
capogiro e l’approvazione di
Wall Street e dei media di
settore. Se falliscono, i
profitti calano, il valore delle
azioni precipita e i loro
massimi dirigenti potrebbero
perdere il posto di lavoro
(anche se con una generosa
indennità). Continuano a
pompare sempre più denaro
nelle casse di Washington
perché la corsa agli
armamenticontroilororivali
lorichiede.
Wal-Mart non aveva
nessun rappresentante a
tempo pieno a Washington
finoal1999epossedevasolo
unpiccolocomitatodiazione
politica, che nel 1998 versò
solo 148.250 dollari. L’ex
senatore dell’Arkansas, Dale
Bumpers, dichiara di non
avere«alcunricordo»chenei
ventiquattro anni in cui ha
lavorato al Senato Wal-Mart
abbia mai fatto lobbying nei
suoi
confronti.
«Semplicemente non si
interessavano di quello che
accadeva a Washington»,
dice. «La loro cultura era
estranea alle attività di
lobbying e ai tentativi di
influenzare
il
processo
decisionale»207. Stando a
Blanche Lincoln, la senatrice
democratica dell’Arkansas
che rimpiazzò Bumpers, i
legislatori
dovevano
contattare gli uffici di WalMart, a Bentonville, per
metterli al corrente di leggi
che
avrebbero
potuto
danneggiare l’azienda. «Li
incoraggiavo a essere un po’
più presenti a Washington»,
dice, «perché pensavo che
fosse
importante
che
potessero dire la loro a
qualcunaltrooltrecheamee
al resto della delegazione
dell’Arkansas».
Poi accadde a Wal-Mart
l’equivalente dello shock
antitrust della Microsoft. Era
da tempo che l’azienda
voleva entrare nel settore
bancario, immaginando che i
suoi milioni di consumatori
avrebbero apprezzato i
vantaggi che poteva offrire
una banca Wal-Mart, e che
questo si sarebbe rivelato un
affare
estremamente
redditizio. Wal-Mart sperava
di approfittare di una
scappatoia
nella
legge
federale che in genere
impediva
alle
aziende
commerciali di possedere
delle banche ma che faceva
un’eccezioneperleistituzioni
di risparmio e di credito. Nel
1999,Wal-Martnetrovòuna
chesembravafarealcasosuo
a Broken Arrow, in
Oklahoma. Ma l’industria
bancaria stava seguendo
molto da vicino le mosse
dell’azienda.Nelmomentoin
cui Wal-Mart si apprestò a
comprarelabanca,l’industria
sguinzagliò una squadra di
lobbisti al Congresso, che di
corsa mise una toppa alla
legge.
FuunalezionecheWalMart non si sarebbe scordata
facilmente. Quasi subito, il
PAC dell’azienda aumentò i
contributi ai membri della
Camera, ai senatori e ai
candidati
presidenziali,
divenendo uno dei PAC più
grandi del paese. Alle
elezioni presidenziali del
2004, versò 2,2 milioni di
dollariincontributi.Anchese
Wal-Mart
ha
sempre
prediletto i repubblicani, alle
elezionidimedioterminedel
2006hadatoquasiil30%dei
suoi dollari PAC ai
democratici.
«Abbiamo
deciso [...] di impegnarci di
più per tessere rapporti e
ottenere un sostegno da
entrambe le sponde, in
particolare coi democratici»,
ha dichiarato Lee Culpepper,
a capo della squadra di
lobbisti di Wal-Mart a
Washington. L’azienda ha
ancheinvestitovarimilionidi
dollari per aprire una propria
società di lobbying a
Washington e assumere una
squadra di esperti di
pubbliche relazioni. «Hanno
veramente affinato l’arte di
fare lobbying», ha detto Ron
Ence, vicepresidente della
Independent
Community
BankersofAmerica,parlando
della crescente influenza di
Wal-Mart a Washington. «Li
vedi a ogni evento PAC e la
fannodapadroni»208.
Nel luglio del 2005,
Wal-Mart chiese alla Federal
Deposit
Insurance
Corporation (FDIC)209 e ai
regolatori bancari dello Utah
l’autorizzazioneadacquistare
unacosiddettaindustrialloan
company210, che in base alle
leggi federali e dello Utah
poteva essere controllata
anche
da
un’azienda
commerciale. Una industrial
loan
company
non
rappresentava
esattamente
una porta d’ingresso per il
mercato bancario, ma era un
inizio. Wal-Mart assicurò i
funzionari delle agenzie
regolatricichel’avrebbeusata
solopergestireletransazioni
con carta di credito dei suoi
clienti. Ma i rivali di WalMart nell’industria bancaria
temevano che l’azienda
potesse usarla come una
cavallo di Troia per entrare
nel settore delle banche di
paeseediperiferia.Ilobbisti
delle banche, dei negozi
alimentari, delle drogherie e
degli agenti immobiliari
calarono in massa sulle
commissioni bancarie della
Camera e del Senato e
inondarono l’FDIC di più di
mille reclami in cui si
chiedeva all’agenzia di
respingerelarichiestadiWalMart. Nel novembre del
2005, l’American Bankers
Association, che rappresenta
lebanchegrandiepiccoledel
paese, avvertì i suoi 4.000
membri che c’era bisogno di
una legge che vietasse alle
aziende
non-finanziarie,
inclusa
Wal-Mart,
di
possedereunabanca.«Ilpeso
e l’influenza [di Wal-Mart]
sarebberonotevoli»,scrisseil
presidente dell’associazione.
«Bisognaagiresubito»211.
Entrambe
le
parti
giustificaronolalorobattaglia
in
nome
dell’interesse
pubblico – mentre i suoi
oppositori avvertivano che
una banca Wal-Mart avrebbe
sfruttato i poveri, Wal-Mart
sosteneva che il suo ingresso
nelmercatobancarioavrebbe
abbassato i prezzi di un
settore che aveva bisogno di
maggiore concorrenza – ma
l’interesse pubblico c’entrava
ben poco. Era una battaglia
per ottenere una vantaggio
competitivo. Nel luglio del
2006, l’FDIC annunciò una
moratoriasenzaprecedentisu
tutte le trattative di acquisto
delle banche industriali,
bloccando gli sforzi di Wal-
Mart. Alla fine, l’azienda
rinunciò. I banchieri avevano
vinto.
4
Come la battaglia per
l’ingresso di Wal-Mart nel
settore bancario, molte
battaglie che in superficie
sembrano essere di carattere
meramente politico sono in
realtà semplici questioni di
concorrenza aziendale, alla
cui base c’è il desiderio di
maggior
profitto.
Praticamente qualsiasi legge
o norma apparentemente
neutrale varata da un
Governo va a vantaggio o a
svantaggio
di
qualche
azienda, perché rispettarla ha
costi che possono modificare
gli equilibri di potere tra le
aziende. Di conseguenza, a
Washington e nelle altri
capitali, sono sempre più le
aziende o le industrie, la cui
posizione competitiva rischia
di essere influenzata dalle
scelte di un Governo, che
chiedono di essere consultate
sulle leggi in via di
approvazione, piuttosto che i
gruppi non aziendali come i
sindacati,gliambientalistioi
comitatidiquartiere.
Esaminando più da
vicino alcune delle questioni
che hanno impegnato il 109°
Congressostatunitense,lecui
sessioni si sono tenute dal
2004 al 2006, vi renderete
conto dello schema. In quel
periodoilCongressoerasotto
controllo repubblicano, ma i
democratici ebbero un ruolo
diprimopianoinmoltedelle
successive controversie. A
dire la verità, il partito di
appartenenza contava poco.
Di solito, i repubblicani e i
democraticieranopresentida
entrambi le parti delle
barricate.
Una delle decisioni più
dibattute
riguardò
l’abrogazione o meno del
divieto di lunga data del
Congresso di effettuare
sondaggi petroliferi in mare
aperto, in particolare al largo
della costa della California e
nellavastaareadelGolfodel
Messico.
Com’era
prevedibile, il partito del sì
includeva tutte le principali
società
petrolifere,
l’AmericanGasAssociatione
i
gruppi
del
settore
manifatturiero colpiti più
duramente dall’aumento del
costo della benzina. Ma
l’opposizione più dura al
progettononvennedaigruppi
ambientalisti, come ci si
sarebbe potuti aspettare. Di
certo, gli ambientalisti si
opposero al progetto, ma le
loro opinioni non avevano
molto peso: non avevano né
l’influenza né i soldi
necessaripergiocareunruolo
di primo piano, e le poche
forze di cui disponevano
eranoimpegnatesucosìtanti
fronti contemporaneamente
che furono quasi del tutto
assentidalcampodibattaglia.
L’opposizione
venne
soprattutto dall’industria del
turismo. Le principali catene
di alberghi e ristoranti
temevano che un disastro
petrolifero avrebbe potuto
danneggiare le spiagge
incontaminate della Florida o
la celebre linea costiera della
California, con perdite per
numerosi miliardi di dollari.
Duegovernatorirepubblicani,
Jeb Bush della Florida e
ArnoldSchwarzeneggerdella
California, si impegnarono
attivamente
contro
il
progetto.Moltirappresentanti
dei distretti del Golfo vi si
opposero. Alla fine, la legge
fu modificata così da
minimizzareipossibilieffetti
negativisulturismo.
Anche quelle battaglie
che sembrano essere di
caratteresocialeo“culturale”
spesso nascondono altri
interessi. Nell’ottobre del
2006, il Congresso approvò
una legge che vietava ogni
forma di gioco d’azzardo
online. Ufficialmente fu
giustificataconlanecessitàdi
proteggere la gente da quella
che è considerata un’attività
immorale
che
crea
dipendenza. Ma in realtà
l’iniziativa fu capeggiata
propriodaicasinò,piùdi900
negli Stati Uniti, che
vedevanonellarapidacrescita
del gioco d’azzardo online
unapotenzialeminacciaperi
loro profitti ma che a loro
voltavolevanorimanereliberi
daqualsiasirestrizione.Piùè
facile
giocare
online,
ovviamente,emenoqualcuno
sarà invogliato a guidare per
centinaiadichilometrifinoal
casinòpiùvicino.Laleggefu
una grande vittoria per
l’American
Gaming
Association (Associazione
del
gioco
d’azzardo
americano),cherappresentai
principali operatori di casinò
del paese. Mentre il progetto
dileggevenivaapprovatoalla
Camera, anche i lobbisti
dell’industria
delle
scommesse ippiche – che
negliStatiUnitiregistranoun
girod’affaridi1,5miliardidi
dollari
–
incassarono
un’importante
vittoria,
ottenendo un’esenzione dalla
legge (dal 2000, avevano
versato più di 3 milioni di
dollari ai legislatori)212. I
lobbisti della Major League
Baseball213 si assicurarono
chelaleggenonincludesseil
fantabaseball,acuiinpartesi
attribuisce
la
ritrovata
popolarità dello sport in
America. E i lobbisti delle
catene di negozi alimentari e
dei singoli Stati fecero in
modo che la legge non
toccasse i biglietti della
lotteria.
I grandi perdenti furono
leaziendedigiocod’azzardo
online, gran parte delle quali
hannolasedefuoridagliStati
Uniti. Molte di queste sono
società per azioni, registrate
alla borsa di Londra, i cui
investitori in passato hanno
incluso la Goldman Sachs e
fondi comuni affiliati alla
Fidelity Investments, per cui
vi hanno perduto dei soldi
anche alcuni investitori
americani.Èimprobabileche
la legge abbia una reale
influenza sulle abitudini al
giocodegliamericani.Eraun
sotterfugio.Ilsuoveroscopo
era quello di aumentare i
profitti di alcuni settori del
gioco d’azzardo, a scapito di
altri.
Un’altra
questione
controversa fu quella per cui
si dovette stabilire se il
prezzo del gas fosse stato
manipolato o meno e quali
azioniintraprendere.Versola
fine del 2005, la Camera
approvò una legge che
autorizzava la Commodity
Futures Trading Commission
(Commissione di vigilanza
deimercatifuturesamericani,
CFTC) ad avviare un’indagine
sul prezzo del gas, imponeva
ai produttori e ai venditori di
gas di tenere un registro dei
prezziestabilivamultesalate
per i trasgressori. Da fuori,
sembrava una battaglia tra i
cittadini indifesi del New
EnglandedelMinnesota,che
facevano affidamento sul gas
perriscaldarelelorocase,ei
soliti titani dell’energia. Ma
laleggeerainrealtàoperadei
lobbistidell’IndustrialEnergy
Consumers of America
(Consumatori di energia
industriale degli Stati Uniti),
una coalizione di corporation
chefannounusointensivodi
gas, in gran parte grandi
aziende manifatturiere e
produttori di fertilizzanti.
Erano irritate dal fatto che la
scarsitàdigasnel2005aveva
aperto il mercato agli
speculatori.
Probabilmente pensate
che a opporsi alla legge
furono
le
compagnie
petrolifere e del gas, ma in
realtà furono gli speculatori
finanziari, che si stavano
arricchendo con l’instabile
mercato del gas. Questi, a
loro volta, erano sostenuti
dalla lobby dei servizi
finanziari. «Faremo tutto ciò
che dobbiamo fare per
assicurarci che [questo
articolo] non passi», dichiarò
Robert Pickel, direttore
esecutivo dell’International
Swaps and Derivatives
Association (Associazione
internazionale degli swap e
degli strumenti derivati),
affiancato dalla Bond Market
Association (Associazione
del mercato obbligazionario),
dalla Securities Industry
Association (Associazione
delle imprese finanziarie) e
dalla
Futures
Industry
Association (Associazione
dell’industria dei futures).
Tutte sostennero la teoria
secondo cui il mandato della
CFTCavrebbespintolesocietà
ditradingversomercatimeno
regolati214. Alla fine, la legge
fuaccantonata.
IlCongresso,inunaltro
acceso dibattito, si chiese se
concedere o meno agli
stranieri il controllo delle
compagnie aeree americane.
Sembra un tema di interesse
pubblico, no? Quali sono le
implicazioni per la sicurezza
nazionale? Che impatto
avrebbe sui posti di lavoro?
In realtà, fu principalmente
una battaglia tra due lobby
dell’industria aerea. La
United Airlines era a favore
del
provvedimento,
soprattuttoperchèaltemposi
stava riorganizzando in
regime fallimentare e aveva
bisogno di capitale straniero
per rimettersi in piedi. A
opporsi vi era la Continental
Airlines,chefinanziariamente
era così sana da non avere
bisogno di capitale straniero,
e aveva solo da guadagnarci
in termini di clienti e di
profittiselaUnitedfalliva215.
Isindacatideltrasportoaereo
si unirono alla Continental.
Alla fine, questa ebbe la
meglio.
Allo stesso tempo, però,
i lobbisti della Continental
persero
una
battaglia
altrettanto importante: quella
per stabilire se le aziende
dovessero mettere da parte
abbastanza
soldi
per
finanziare
i
piani
pensionistici. Anche questo,
nonostantesembriuntemadi
interessegenerale,allafinesi
rivelò una sfida tra aziende
concorrenti che sarebbero
stateinfluenzatediversamente
dall’esito del dibattito. I
lobbisti delle compagnie
aeree
ottennero
un
provvedimento speciale che
concedeva alle aziende del
settore dieci anni per mettere
in ordine i propri piani
pensionistici, mentre gran
parte delle industrie avevano
solo sette anni per farlo.
Questo perché la United e la
US
Airways
avevano
rinunciato ai loro piani
pensionistici quando stavano
fallendo – scaricandoli sulla
Pension Benefit Guarantee
Corporation216 – e le altre
compagnie aeree avevano
minacciatodifarelostessoa
meno che non avessero
ottenuto più tempo per
mettersi in regola. Ma i
lobbisti della Delta e della
Northwest riuscirono a
infilareun’altraclausolanella
legge, che concedeva una
deroga di diciassette anni a
quelle aziende che avessero
congelato i propri benefici
pensionistici
e
negata
l’applicazione del piano ai
nuoviimpiegati.LaDeltaela
Northwest avevano già fatto
entrambe le cose mentre
erano in bancarotta, quindi
avrebberoottenutolaproroga
automaticamente. Ma dal
momentocheallaContinental
non mancavano di certo i
soldi, i suoi sindacati non
avrebbero mai accettato un
congelamento dei fondi;
l’azienda, dunque, sarebbe
stata costretta a sborsare il
denaro molto prima dei suoi
concorrenti217.
Ancheinquellebattaglie
dove ci si aspetterebbe un
ruolo di primo piano dei
sindacati e un’attenzione al
temadeipostidilavoroedei
salari – come nello scontro
sullaratificaomenodaparte
del Congresso del Central
American
Free
Trade
Agreement
(Accordo
centroamericano di libero
scambio, CAFTA) – il vero
scontro avviene tra settori
diversi della stessa industria.
In questo caso, tra gli
oppositori più forti vi furono
l’American Manufacturing
Trade Action Coalition
(Coalizione manifatturiera
americana per l’azione
commerciale) e il National
Council
of
Textile
Organizations
(Consiglio
nazionale
delle
organizzazioni tessili), due
associazioni di manifatturieri
di prodotti domestici che
temevano di perdere con
l’accordo
quel
leggero
vantaggio competitivo che
ancora possedevano nel
produrre tessuti negli Stati
Uniti. Tra i leader della
Coalition vi era Roger
Milliken, presidente della
Milliken & Company, una
grande azienda di prodotti
chimici e tessili non quotata
in borsa, con sede a
Spartanburg, nel South
Carolina. Milliken e i suoi
alleati impiegarono grandi
quantità di denaro e sforzi
lobbistici per bloccare il
CAFTA che, nonostante sia la
CameracheilSenatofossero
sottocontrollorepubblicanoe
alla Casa Bianca sedesse un
presidente repubblicano, fu
uno dei voti in materia
commerciale più combattuti
nella storia recente: alla fine
il provvedimento legislativo
passò per soli due voti alla
CameraediecialSenato.
Più recentemente, i due
gruppisonoriuscitiaopporsi
consuccessoaunprogettodi
legge che avrebbe permesso
ad Haiti di utilizzare una
percentuale maggiore di
tessuti prodotti all’estero, ad
esempioinCina,neisuoicapi
d’abbigliamento
da
esportazione, continuando a
non pagare dazi sui prodotti
esportati negli Stati Uniti.
Sedici membri repubblicani
del Sud al Congresso sono
accorsi in aiuto delle lobby.
Queste sono riuscite anche a
ottenere l’impegno da parte
della Casa Bianca a
monitorare da vicino le
importazionidalVietnamea
imporre tasse anti-dumping
su quelle importazioni che
danneggiano il mercato
americano. Chi uscì perdente
dalla battaglia fu la U.S.
Association of Importers of
Textiles
and
Apparel
(Associazione americana di
importatori di tessuti e
abbigliamento),
che
rappresenta la J.C. Penney
Companyealtrigrandicatene
interessate ad avere prodotti
importati ai prezzi più
bassi218.
Le aziende e le
coalizioni di settore di solito
si presentano come difensori
dell’interesse
pubblico,
quando in realtà l’unica cosa
che rappresentano è una
posizionecompetitivarispetto
ai loro rivali. Nel 2006 si è
fatto un gran parlare
dell’applicazione della legge
del 2003 sull’assistenza per i
medicinalidelMedicare.Agli
occhidellagente,laquestione
riguardava se e come gli
anziani avrebbero avuto
accesso a farmaci più
economici. Ma agli occhi
dell’esercito di lobbisti delle
corporation gettatisi nella
mischia,eraunabattagliaper
decidere i prodotti di quali
aziende
farmaceutiche
sarebberostaticoperti,eseil
Governo avrebbe privilegiato
i farmaci brevettati o quelli
generici. E la battaglia
continuò
anche
dopo
l’approvazionedellaproposta
di legge, man mano che i
funzionari del Medicare
cercavano di capire come
attuarla. La proposta, per
esempio,
imponeva
al
Medicare
di
coprire
«pressoché
tutti»
gli
antidepressivi
ma
non
specificava quali farmaci
dovessero essere inclusi.
Quando i funzionari decisero
di non includere il Lexapro,
un farmaco largamente usato
per curare la depressione tra
gli anziani, la Forest
Laboratories,
l’azienda
produttrice, assunse una
squadra di lobbisti per
spingere gli amministratori
del programma a cambiare
decisione. La Forest Labs
ottenne il sostegno di vari
membri del Congresso e
mobilitò le organizzazioni
che militavano nel campo
dell’igiene
mentale.
I
produttoridegliantidepressivi
già coperti dal Medicare si
opposero a una nuova
decisione. Alla fine, vinse la
ForestLabs.
Leaziendeproduttricidi
farmacigenericiincalzaronoi
funzionari del Medicare
perché approvassero un
sistema di prescrizione
elettronica che avrebbe
ricordato automaticamente ai
medici i casi in cui erano
disponibili dei generici. Le
aziendeproduttricidifarmaci
brevettati vi si opposero.
Medicare sposò la causa dei
farmaci generici. Il Servizio
Investitori di Moody’s – che
aveva seguito da vicino tutta
la vicenda – avvisò i propri
clienti che la decisione
avrebbe significato profitti
più bassi per le aziende di
farmaci
brevettati.
«Ci
aspettiamo
implicazioni
negative»,
scrisse
sommessamente l’analista di
Moody’s, «col crescente
potere dei consumatori che
potrebbe spingere le aziende
farmaceuticheaoffriresconti
o rimborsi maggiori o a
concentrarsi sui farmaci più
economicidelprontuario»219.
Molte battaglie possono
coinvolgere un apparato
governativodopol’altro,man
mano che i lobbisti e gli
avvocatidellefazioniinlotta
si destreggiano per ottenere
un vantaggio competitivo. Se
perdono in una delle camere
del Congresso, forse possono
vincerenell’altra,epoiavere
lameglioinunacommissione
congiunta. Se perdono nella
commissione,
possono
recuperare terreno alla Casa
Bianca,
che
potrebbe
minacciare di opporre il veto
se il Congresso non cambia
idea. Se perdono anche qui,
potrebbero ancora recuperare
nel
dipartimento
o
nell’agenzia incaricata di
applicare la legge. Se non
hanno successo neanche lì,
possono sempre tornare dai
loro alleati al Congresso e
chiedergli di fare pressione
sul
dipartimento
o
sull’agenzia in questione, o
ottenere un emendamento
vantaggioso sul prossimo
stanziamento
di
fondi
dell’agenzia. Queste battaglie
possono andare avanti per
anni.
Ildibattitosulsignificato
della parola “biologico”
sull’etichetta di un prodotto
alimentare ne è un perfetto
esempio.Anchesenel2006il
cibo biologico rappresentava
ancora, negli Stati Uniti, una
nicchia relativamente piccola
da 12 miliardi di dollari in
un’industria da 500 miliardi
di dollari, le sue vendite
erano in crescita del 20%
l’anno, spingendo Lee Scott
JrdellaWal-Martaesclamare
di fronte ai suoi azionisti:
«Siamo molto eccitati dal
cibo biologico, la categoria
alimentare in maggiore
crescita». Non era una
battaglia
tra
piccoli
agricoltorihippydelVermont
e giganti senza scrupoli del
settore agroindustriale; era
una battaglia tra due grandi
categorie
del
settore
agroindustriale.
Molti
alimenti biologici erano
prodotti da grandi aziende
come la Cascadian Farm,
nello stato di Washington,
che nel 1999 era diventata
una sussidiaria della General
Mills220. Dall’altra parte vi
erano le aziende alimentari
tradizionali,comelaKraft,ei
comuni coltivatori di mais,
soia e altri tipi di frutta e
verdura.
La battaglia risaliva agli
anni Novanta, quando gli
agricoltori che avevano
cominciatoausarecolorantie
pesticidi non sintetici in
risposta
alla
crescente
domanda di prodotti più
naturali, si appellarono al
dipartimento dell’Agricoltura
perché certificasse i loro
prodotti come “biologici”. I
segmenti agroindustriali più
tradizionali,
quindi,
premettero per standard più
elastici, così da poter usare
anch’essi l’etichetta sempre
più popolare del “biologico”.
Quando il dipartimento, alla
fine, accettò di abbassare gli
standard,ilprimogruppo,ora
organizzato in una coalizione
chiamata Organic Consumers
Association (Associazione
dei consumatori di prodotti
biologici), intentò una causa
contro il dipartimento perché
tornasse
allo
standard
originale. Come per molte
guerre politico-economiche,
ci furono molte battaglie.
Dopo la sentenza di un
giudicefederale,cheordinava
al dipartimento di tornare sui
suoi passi, il secondo gruppo
– che ora si faceva chiamare
con un nome alquanto
fuorviante di Organic Trade
Association (Associazione
del commercio biologico) –
riuscìainfilarenelbudgetdel
2006 del dipartimento un
emendamento
che
gli
permettevadiutilizzaremais,
olio di soia, pomodori e altri
ingredienti coltivati con
tecniche
tradizionali
all’interno
di
prodotti
“biologici”, purché non
fossero
state
«commercialmente
disponibili»versionipiùpure.
Il
contenzioso
si
trasformò in un caso, perché
la posta in gioco era molto
alta, anche se la gente
perlopiùsapevapocooniente
della battaglia in corso. I
lobbisti di entrambi i gruppi
calarono sui membri chiave
del Congresso e sui loro
assistenti. Charles Sweat,
amministratoredelegatodella
Earthbound
Farm,
il
principale
produttore
americano
di
prodotti
biologici di standard elevato,
sostenne che l’emendamento
permetteva
a
qualsiasi
azienda che non rispettava lo
standard, perché non voleva
assumersi i costi maggiori
degliingredientinonsintetici,
di«andaredalsegretario[del
dipartimento] e chiedere
un’esenzione»221.
L’emendamento, comunque,
passò. Non giocò certo a
sfavore della Kraft che uno
dei lobbisti che premeva per
l’emendamento fosse Abigail
Blunt, moglie del membro
della
Camera
dei
RappresentantiRoyBlunt,un
repubblicano del Missouri,
che diventò capogruppo alla
Cameradopoledimissionidi
TomDeLay.
Le “guerre biologiche”
finironoperinvestireancheil
latte. Intorno alla metà della
decade del 2000, la richiesta
di latte “biologico” era così
alta che si poteva arrivare a
pagare anche il doppio di
quello normale. Stando alle
norme del dipartimento
dell’Agricoltura,
affinché
possa
essere
chiamato
“biologico”, le vacche che
producono il latte devono
avere «accesso ai pascoli».
Ma il dipartimento non
specificava esattamente cosa
intendesse
con
questo,
aprendo la strada a una
battaglia tra i caseifici con
ampipascoliperlemucchee
quelli più industriali, che
possedevano pascoli molto
più
piccoli
(Wal-Mart
comprava gran parte del suo
latte “biologico” da enormi
caseificida4.000mucchecon
spazilimitatiperilpascolo).I
lobbistideicaseificiconspazi
più ampi presentarono un
ricorsoaldipartimento,incui
sostenevano che i caseifici
industriali
ammassavano
troppe mucche in spazi
ristretti, dove gran parte di
queste non pascolavano ma
seguivano una dieta ad alto
contenutodigrano.Icaseifici
industriali risposero che,
nonostante i pascoli limitati,
levaccheerano«moltosanee
felici». I lobbisti di entrambe
le parti, inoltre, fecero
pressione sui membri del
Congressoperchéalorovolta
premessero sui membri del
dipartimento
dell’Agricoltura222.
Al
momentoincuiquestolibroè
andatoinstampa,laquestione
eraancorairrisolta.
Come conseguenza di
questa intensa attività di
lobbying, molti degli scontri
che avvengono dietro le
quinte nel paese – battaglie
che possono anche durare
anni e coinvolgere i tribunali
federali – portano a
definizioni
ancora
più
dettagliate di certi termini,
come «accesso ai pascoli» o
«pressoché tutti» a proposito
degli antidepressivi. Gli
ideologiconservatorituonano
contro la grande quantità di
norme (che, come ho già
detto,inrealtàsonodiminuite
rispetto al 1980) senza
rendersi conto che una larga
parte di queste entrano in
vigore proprio sotto la spinta
dei lobbisti e degli avvocati
dellecorporation.
Nell’età non proprio
dell’oro,
quando
la
concorrenza era molto più
limitata, non vi era ragione
perché si verificassero questi
epici scontri. La AT&T, per
esempio,avevaunmonopolio
virtuale.
Nell’era
del
supercapitalismo, però, le
telecomunicazioni sono uno
spazioapertoincuila AT&Te
le altre aziende competono
conleaziendesatellitariecon
quelle che offrono servizi
Internet e via cavo, e tutte
queste a loro volta devono
fare i conti con aziende
fornitrici di contenuti che
offrono
informazioni,
intrattenimento, prodotti e
servizidiricerca.
Queste
rivalità
si
riversano di continuo nella
politica. Nel 2006, le
compagnie telefoniche e di
servizi
via
cavo
comunicarono
la
loro
intenzione di far pagare
tariffe più alte ai maggiori
fornitori di contenuti in rete,
comeeBay,GoogleeYahoo,
e questi reagirono alla
minaccia. Nella battaglia che
seguì, entrambe le parti si
impegnarono a presentarsi
come difensori dell’interesse
pubblico: le compagnie
telefoniche e di servizi via
cavo sostennero che avevano
bisogno dei soldi per
modernizzare i loro sistemi,
affinchépotesserosostenereil
trafficoincrescita,echenon
volevano far gravare i costi
sui singoli utenti; eBay,
Google e Yahoo sostennero
che tutti hanno il diritto di
accedere
alle
stesse
condizioni e pubblicare dei
contenuti in rete. Questi
ultimi cercarono di far
passareunalegge–inbaseal
principio
dell’astutamente
denominata “neutralità della
rete” – che impedisse alle
compagnie telefoniche e di
servizi via cavo di imporre
loro tariffe più alte. Queste
cercarono di bloccare la
legge, in base al principio
secondo cui il governo non
doveva mettere le mani sulla
rete. Solo nel 2006, le due
parti hanno speso 50 milioni
di dollari in attività
pubblicitarie e di lobbying.
La
guerra
si
fece
particolarmente brutale e
insolitamente di dominio
pubblico
quando
le
compagnie
telefoniche
pubblicarono una serie di
pubblicità in cui attaccavano
Google. Questa battaglia,
cometantealtre,andràavanti
ancora per molti anni, in una
formaonell’altra.
Anche se erano dalla
stessa parte nella battaglia
sulla“neutralitàdellarete”,le
compagnie telefoniche e di
servizi via cavo si trovarono
sufrontioppostinelmomento
in cui le compagnie
telefoniche ventilarono l’idea
di offrire servizi televisivi in
concorrenza con gli operatori
via cavo. Questi ultimi
pensavano di poter bloccare
le compagnie telefoniche
facendo leva sulla pressione
che erano in grado di
esercitare le oltre 30.000
autorità
locali
che
dipendevano dagli introiti
della TVviacavo(inmediail
5% delle vendite via cavo).
Ma nel giugno del 2006, i
lobbisti delle compagnie
telefoniche riuscirono a far
passare un progetto di legge
alla Camera che affidava la
decisione
alla
Federal
Communications
Commission,
dove
le
compagnie erano sicure di
avere la meglio. E avevano
ragione: sei mesi più tardi,
neldicembredel2006,la FCC
stabilì che anche le
compagnie
telefoniche
potevano fornire contenuti
televisivi. Gli operatori via
cavo giurarono di combattere
contro la decisione della FCC
nelle corti federali. Nel
frattempo, le compagnie
telefonicheeranoimpegnatea
fare lobbying sulle autorità
statali per ottenere da loro i
permessi, piuttosto che dalle
autoritàlocali.Questoscontro
coinvolse praticamente tutte
le principali società di
lobbyingdiWashington:oltre
a quelle che rappresentavano
lecompagnietelefonicheegli
operatori via cavo, anche
quelle che lavoravano per le
aziendehi-techedisoftware,
che contribuivano tutte con
milioni e milioni di dollari
allecampagnedelCongresso.
Anchequestaguerrapromette
diimpegnareenormiquantità
di tempo e di energia negli
anniavenire.
Èassolutamentenormale
che le corporation che si
riuniscono in coalizioni
aziendali per far fronte a un
certo conflitto in sede
legislativa o regolamentare si
ritrovinopocodoposuifronti
opposti della barricata, come
è accaduto alle compagnie
telefoniche e di servizi via
cavo.
L’amministrazione
Bush aveva messo su una
coalizione di quasi 6.000
membri
per
sostenere
l’estensione permanente dei
suoitaglialletassedel2001e
del 2003, ma la coalizione si
disgregò quasi subito, man
mano che i vari gruppi
stabilivano priorità diverse.
Le aziende hi-tech volevano
allargare l’applicazione del
credito di imposta sulla
ricerca e lo sviluppo; altre,
meno dipendenti dall’R&S,
ponevano l’enfasi sul taglio
delle tasse sui capital gain.
Quando i lobbisti delle
aziende hi-tech cominciarono
ad
allontanarsi
dalla
coalizione e a muoversi per
conto loro, la Casa Bianca li
criticò pubblicamente per la
loro mancanza di fair play223.
Ma anche tra le aziende hitech vi erano visioni
discordantisultipodiR&Sche
il credito sulle imposte
avrebbe dovuto coprire, a
seconda dell’ampiezza e del
tipodiricerchecheportavano
avanti. Una delle sfide più
ardue
di
qualsiasi
organizzazione commerciale
è tenere uniti i suoi membri
riguardoleggichepotrebbero
influenzare
diversamente
l’unool’altro.
Ovviamente,
questi
potenti eserciti di lobbisti al
soldo delle corporation
possono anche allearsi per
contrastare iniziative che
imporrebbero costi eccessivi
a interi settori o comparti
dell’economia.
Questo
accadde nel 109° Congresso,
per esempio, quando gli
ambientalisti
volevano
imporrealleaziendediservizi
didotarsidicostosisistemidi
depurazionescrubber;quando
gliattivistiperidirittiumani
e per il diritto alla salute
volevano che le compagnie
farmaceutiche rinunciassero
ai brevetti sui farmaci vitali
nei paesi poveri; quando le
associazioni per la sicurezza
alimentare riuscirono ad
alzare gli standard in alcuni
Stati, spingendo l’industria
alimentare a fare pressione
sul
Congresso
perché
aggirasselenormestatalicon
norme federali più flessibili.
Ma la ragione principale per
cui questi eserciti esistono
non è per difendersi dalla
minaccia imminente di una
spinta dal basso verso leggi
che rispecchino l’interesse
pubblico, ma per cercare di
ottenere
un
vantaggio
competitivo a favore di
un’azienda o di un settore
dell’industria, o evitare a
queste
uno
svantaggio
competitivo. Un aumento dei
costiinunsettoreocomparto
(i servizi, i farmaci, i beni
alimentari)ponequestiinuno
svantaggio
competitivo
rispetto ad altri settori o
industrie.
Come conseguenza, la
voce dei cittadini viene
ridotta al silenzio. E anche i
consumatori e gli investitori,
comegruppo,nonsonomessi
meglio. A differenza della
concorrenza sul mercato, la
concorrenza politica non
porta a prodotti e servizi
migliori e più economici, o a
ritorni più alti. Porta a nuove
leggi e norme che di solito
favoriscono
la
fazione
politicamente più potente.
Alcuni
consumatori
e
investitori vincono, altri
perdono.
5
L’usurpazionedell’arena
politica da parte delle
corporation influisce anche
sulla percezione della gente
dei fatti. Parte del lavoro del
lobbistaèquellodifornirele
prove di una maggiore
lungimiranzadelsuopuntodi
vista, che di solito richiede il
contributo di economisti,
politologi e in generale di
grandi quantità di dati, e di
maestri della parola in grado
di far sembrare sensata
pressochéqualsiasidecisione.
I legislatori devono essere in
grado di giustificare le loro
decisioni,senondirettamente
alla gente, almeno a quei
giornalisti che non si fanno
comprare.Iregolatoridevono
convincere i giudici che non
hanno agito arbitrariamente.
Poichétuttiigruppicoinvolti
devono fare la migliore
arringa possibile, grandi
quantità di denaro vengono
spese per ingaggiare esperti
affinché patrocinino idee che
sanno non essere vere o solo
parzialmentevere.Ciòchene
consegue è una forma di
corruzione particolarmente
odiosa: la corruzione del
sapere.
Ne
ho
avuto
dimostrazione
quando
guidavo il policy staff della
Federal Trade Commission,
alla fine degli anni Settanta.
Le corporation pagavano
degli “esperti” affinché
distorcessero i fatti in modo
taledacompiacerlemanonal
punto da compromettere la
loro integrità professionale.
Quando
arrivai
al
dipartimento del Lavoro,
negli anni Novanta, gli
“esperti” erano diventati
molto più sfacciati. Più volte
hovistorinomatiprofessorie
“senior fellows” dei think
tankdiWashingtonsostenere
argomentazioni – nelle
udienze del Congresso, nei
procedimenti regolatori e
anche sui media – che non
potevano ignorare essere
capziose.
Raramente
ammettevanodiesserepagati
dalle corporation o dalle
organizzazioni di settore che
speravano di trarre un
vantaggio economico dalle
loroargomentazioni.
Tra gli anni Settanta e
Novanta, una percentuale
sempremaggiorediespertiha
sacrificatolapropriaintegrità
perché la concorrenza si è
fatta più spietata e la posta
economicaingiocopiùalta,e
lecorporationeilorolobbisti
hanno cominciato a pagare
sempre di più per le
consulenze degli esperti. Gli
scrupoli, come qualsiasi altra
merce, si possono comprare
se il prezzo è giusto224. Nel
corso di questi anni, gli
esperti sono diventati parte
integrante
delle
cause
dibattute dalle corporation
nelle corti federali. Sempre
più, le cause non sono tra
corporation
e
pubblici
ministeri, ma tra corporation
in competizione, che si
trascinano in tribunale per
aver violato copyright o
brevetti, adottato pratiche
predatorie in violazione delle
leggi antitrust, abrogato
contratti o tentato di renderli
nulli, scaricato o tentato di
evitare
le
proprie
responsabilità. Gli esperti
delleduepartioffronospesso
informazioni
e
analisi
contradditoriesucuiigiudici
eilorocancellieriimpiegano
oreafarechiarezza.Apartire
dagli anni Settanta, le cause
tracorporationsonodiventate
la forma di controversia
legale in più rapida crescita
pressolecortifederali225.
Le grandi battaglie
politiche richiamano eserciti
di esperti ben pagati. Nel
2003,inprevisionedell’aspro
dibattito sulla proposta di
legge sull’assistenza per i
medicinali del Medicare, il
Pharmaceutical Research and
Manufacturers of America
investì un milione di dollari
in quella che descrisse come
«una cassa di risonanza
intellettualedieconomisti:un
network permanente di
economisti e intellettuali che
siimpegnerannoacontrastare
misuredicontrollodeiprezzi
per mezzo di articoli e
testimonianze,eaoffrireuna
pronta reazione quando
necessario»,
stando
ai
documenti interni del gruppo
pubblicati dal «New York
Times». Nei mesi precedenti
ladecisionedelCongressodi
prendere formalmente in
considerazione il progetto di
legge, il gruppo versò tra i
dueeiduemilioniemezzodi
dollari a varie organizzazioni
diricercaedianalisipolitica
«per
creare
capitale
intellettuale e generare un
maggior volume di messaggi
da fonti attendibili» in
sintonia con l’industria
farmaceutica226.
Spessobastainsinuareil
dubbio su un fatto accertato,
per spianare la strada alle
aziende o ai produttori, per
sostenere che “alcuni esperti
sonoindisaccordo”ochec’è
un
“vivace
dibattito”
sull’argomento, e che prima
di intervenire con norme e
regolazioni (o con iniziative
mascheratecomeinterventidi
interesse
pubblico)
bisognerebbe aspettare “di
aver esaminato tutte le
prove”.
L’industria
alimentare ha finanziato
schiere di esperti per
smontare le ricerche che
dimostrano la relazione tra
l’obesità infantile e le
malattie in età adulta e tra i
prodotti ricchi di grassi e di
zuccheroel’aumentodipeso.
Non
è
necessario
sponsorizzareunaricercache
dimostri il contrario; basta
che
sollevi
abbastanza
domande
affinché
il
legislatoreoilregolatoreche
voglia prendere le difese
dell’industria
alimentare
possa sostenere in modo
credibile di non essere
convintosulmaggiorpesodei
fatti che può addurre il
gruppoopposto.
Nel 1998, la Exxon si
imbarcòinunacampagnaper
dare «sostegno logistico e
morale»
a
chiunque
dissentisse con le ricerche
scientifiche
che
testimoniavano
il
surriscaldamento della terra,
«sollevando
così
delle
domande e indebolendo la
“teoria
scientifica
dominante”»,
stando
a
documenti
interni
dell’azienda227. Nel 2005, la
ExxonMobil distribuì 2,9
milionididollaria39gruppi
che mettevano in dubbio le
teorie sul riscaldamento
globale. Di fronte a questo,
anche la British Royal
Society,
una
delle
organizzazioni scientifiche
più prestigiose al mondo, si
vide costretta ad accusare
l’azienda di creare «un’idea
falsa [...] secondo cui vi
sarebbe un dibattito in seno
alla comunità scientifica su
questotema»228.
Con una cifra adeguata,
a quanto pare, si può anche
ottenere l’imprimatur di una
celebre università. Nel 2002,
l’università di Stanford firmò
un accordo di dieci anni con
la Exxon e altre compagnie
energetiche in cambio di 225
milioni di dollari per un
“Progetto sul clima e
l’energia globale” (Global
ClimateandEnergyProject).
Poco dopo aver firmato
l’accordo, la Exxon pubblicò
una serie di pubblicità sulle
pagine editoriali del «New
York Times» in cui
annunciava la sua nuova
alleanza con le «menti
migliori» di Stanford. Una di
queste pubblicità recitava:
«Anche se il clima è sempre
mutato per cause naturali nel
corso della storia della terra,
oggi è in corso un animato
dibattitosulla[...]rispostadel
clima alla presenza di una
maggiorequantitàdigasserra
nell’atmosfera».
Queste
parole erano a firma di Lynn
Orr, la professoressa di
Standfordacapodelprogetto.
La pubblicità riportava anche
il
sigillo
ufficiale
dell’università229.
Anche
quando
il
Governo paga per avere
l’opinione di esperti neutrali,
nonèdettochelaottenga.Un
influente studio accademico
del 2006, in cui si sosteneva
che gli antidepressivi erano
sicuriedefficaciancheperle
donne incinte, fu finanziato
dalla Food and Drug
Administration (Agenzia per
gli alimenti e i medicinali).
Ma stando al «Wall Street
Journal»,diversitraisuoi13
autori, tra i quali figuravano
eminentiprofessori,eranosul
libro paga delle corporation
produttrici
di
antidepressivi230.Conciònon
voglio dire che questi
professori – o, se è per
questo,gliespertiingenerale
– siano coscienti di prendere
delle
tangenti
che
compromettono la loro
integrità professionale. Gli
esseri
umani
sono
straordinariamente bravi a
trovare
giustificazioni
rassicurantiperleloroazioni.
I soldi rendono la mente più
elastica e più disposta a
trascurarefatticheverrebbero
invecepresiinconsiderazione
da esperti il cui giudizio non
siaannebbiatodauncontratto
diconsulenza.
Il
predominio
di
“esperti” al soldo delle
corporation nei dibattiti
politici induce la gente a
crederechegliunicitemiche
contano siano quelli che
riguardanoiconsumatoriegli
investitori, piuttosto che la
società o il pianeta nel suo
intero.
Anche
se
le
conclusioni in merito ai costi
e ai benefici di una certa
scelta non fossero viziati dai
soldi delle corporation in
gradodicomprareilmaggior
numero di mercenari, o i più
prestigiosi,
sarebbero
comunque molto parziali.
Nelle udienze del Congresso,
neiprocedimentiinmateriadi
regolazioni,
nelle
corti
d’appello, negli editoriali,
nellepubblicitàatuttapagina
dei principali quotidiani o
nella copertura dei mass
media – indifferentemente
dalla
fazione
che
rappresentano – il messaggio
degli esperti al servizio delle
corporationèquasisemprelo
stesso: gli interventi pubblici
devonoesserevalutatiinbase
a un metro utilitaristico,
ovvero il loro contributo
all’efficienza dell’economia.
Sono considerati sensati se i
benefici per i consumatoriinvestitori superano i costi e
insensatiincasocontrario.
Se
tali
benefici
aumentino o riducano le
disuguaglianze tra i cittadini,
se creino maggiori o minori
opportunità per le persone
meno fortunate del paese o
del mondo, offrano una
maggiore o minore sicurezza
economica a coloro che non
ne hanno, difendano o
indeboliscanoidirittiumanie
civili,favoriscanoomininola
sanità pubblica e l’armonia
del paese, sostengano o
spoglino le comunità locali,
generino un ambiente più o
meno pulito, promuovano o
ostacolino la causa della
tolleranza e della pace nel
mondo o, più in generale,
rafforzino o indeboliscano la
democrazia,
non
sono
questionidegnedinota.
Queste cose sono senza
dubbiodifficilidamisurareo
daquantificare,maciònonle
rende meno importanti del
benessere dei consumatori e
degli investitori. Anzi, alla
luce
della
crescente
disuguaglianza economica,
precarietà
sociale,
disgregazione delle comunità
locali e minaccia per
l’ambiente a cui abbiamo
assistitoinquestiultimianni,
discutere di questi temi è più
urgentechemai.
Consideriamo di nuovo
la battaglia tra le compagnie
telefonicheeglioperatorivia
cavo sulla possibilità delle
prime di offrire servizi
televisivi. Le compagnie
telefoniche sostennero che i
consumatori
avrebbero
risparmiato tra i 30 e i 40
dollari al mese; quelle di
servizi via cavo contestarono
queste cifre e asserirono che
la ricezione video sarebbe
statainaffidabile.Nonfurono
quasi per nulla prese in
considerazione le questioni
della responsabilità delle
aziende e dell’equità delle
loro
scelte,
o
delle
conseguenzeperlacomunità.
Se sono le compagnie
telefoniche piuttosto che
quelle dei servizi via cavo a
offrire i servizi televisivi, i
soldi che oggi gli operatori
via cavo versano ai paesi e
alle città evaporerebbero. Per
rimpiazzarli,
sarebbe
necessario aumentare le
impostesulpatrimoniooaltre
tassediquestotipo.Inoltre,i
cittadini più poveri non
godranno delle tariffe più
vantaggiose delle compagnie
telefoniche perché queste, in
base alla legge federale – a
differenzadellecompagniedi
servizi via cavo, in base alla
maggior
parte
delle
concessioni municipali – non
sono tenute a portare i loro
serviziancheneiquartieripiù
poveri231. Da questo punto di
vista, la questione non si
riduceva a una semplice
controversia tra regolazioni e
deregulation; si trattava di
capire quali norme avrebbero
garantito sia l’efficienza che
lagiustizia.
Allo stesso modo, fu
tenutafuoridaldibattitosulla
“neutralità della rete” la
questione di chi si sarebbe
dovuto accollare i costi
dell’incrementodellacapacità
di banda, tra cui quelli per
estendere il servizio anche in
queiquartierioinquellearee
rurali in cui il servizio era
assente. Nel 2006, il
Government Accountabilty
Office (Ufficio per la
responsabilità di Governo)
rilevòchenel42%dellecase
americane non vi era un
computerononvieraaccesso
a Internet, e che la maggior
parte delle famiglie più
povere del paese non aveva
accesso alla banda larga232.
Forsequesticittadinipossono
ancheviveresenzaYouTube.
Maèdavedereseilorofigli
possano imparare tutto ciò di
cui sono capaci senza avere
accesso al motore di ricerca
diGoogle.
O
prendiamo
l’estenuante battaglia tra i
produttori
di
farmaci
brevettati e di generici per la
coperturadelMedicare,eper
stabilire se i farmacisti e i
dottori debbano avere il
diritto di sostituire i farmaci
generici con quelli brevettati.
I produttori di generici
sostengono di far risparmiare
soldi ai consumatori; i
produttori
dei
farmaci
brevettati dicono che gli
investitori non finanzieranno
losviluppodinuovifarmacia
meno che non ottengano in
cambio generosi profitti, e
questi possono offrirli solo i
farmaci brevettati. Erano
completamente assenti dal
dibattito alcune questioni
fondamentali: è giusto che le
compagnie
pubblicizzino
farmaciperiqualièrichiesta
la ricetta medica, quando
dovrebbero essere i dottori a
scegliere la cura più
adeguata?Quantoincidonola
pubblicità e il marketing sul
costo dei farmaci? La
differenza tra due farmaci
quasi uguali è sufficiente a
giustificare la spesa per la
loromessasulmercato?
Le “guerre biologiche”
potrebbero essere viste come
battaglie tra diversi gruppi di
consumatori e investitori,
alcuni dei quali preferiscono
standard più alti, mentre altri
si accontentano di standard
più elastici. Ma la questione
deglieffettideipesticidiedei
prodotti
sintetici
sull’ambiente e sulla salute,
molto sentita da un gran
numerodicittadini,èesclusa
dal dibattito. Molti cittadini
preferirebbero un dibattito
sugli strumenti di cui la
società dovrebbe dotarsi per
proteggere
la
catena
alimentare, piuttosto che una
battaglia sui dettagli di ciò
che significa l’etichetta
“biologico”.
I
problemi
della
Microsoft con la legge
antitrust sono stati analizzati
da avvocati ed economisti
quasi esclusivamente in
termini di benefici per i
consumatori e ritorni per gli
investitori. È la solita storia.
Sotto il supercapitalismo, la
concorrenzaècosìfortechei
consumatori e gli investitori
netraggonomoltibenefici.Di
conseguenza, negli ultimi
anni le autorità antitrust si
sono limitate a soppesare i
possibili vantaggi per i
consumatori nel caso in cui
una grande azienda affronti
una concorrenza più forte su
alcuni prodotti specifici,
come il browser della
Microsoft, con la possibilità
che quelle aziende non
abbiano più l’incentivo a
creare prodotti nuovi se non
possono
approfittare
dell’esclusiva. Del tutto
assenti dai moderni dibattiti
antitrust, però, sono le
questioni del potere politico
chevieneaconcentrarsinelle
mani
delle
grandi
corporation,eleconseguenze
per le piccole aziende e i
cittadini che non possiedono
quel
potere.
Erano
preoccupazionidiquestotipo
che animarono i primi
dibattiti antitrust. Il senatore
John Sherman, autore della
legge antitrust del 1890 che
porta il suo nome, non dava
troppo peso ai consumatori e
agli
investitori.
Si
preoccupava soprattutto delle
«disuguaglianze
di
condizione, di reddito e [di]
opportunità» alimentate dalla
concentrazione industriale.
Anche secondo Woodrow
Wilson
l’antitrust
era
principalmente una questione
di giustizia, diretta a
mantenere l’economia aperta
«alnovizio»e«all’uomoche
disponedipococapitale»233.
6
In poche parole: la
nostra voce in quanto
cittadini – al contrario della
nostra voce in quanto
consumatori e investitori –
vieneascoltatasempremeno.
Forse c’è chi comincia a
pensare che quello che ha da
dire non conta nulla. Non ci
troviamo in questa situazione
perché le grandi corporation
hannocospiratopersoffocare
oemarginarelanostravocein
quanto
cittadini,
ma
principalmente perché le
corporation sono impegnate
in una battaglia politica
sempre più spietata per
ottenere dei vantaggi sulle
loro rivali. La sempre più
intensa
e
assordante
cacofoniadilobbistiall’opera
a Washington e nelle altre
capitalidelmondoètalechei
cittadini, anche quando
alzano la voce, riescono a
malapena a farsi sentire dai
politici. Il supercapitalismo
ha invaso la politica, e
inghiottitolademocrazia.
Lacompetizionepolitica
può assumere le forme più
varie. I politici devono
rendere conto ai lobbisti che,
per conto delle corporation,
contribuiscono con somme
sempre maggiori alle loro
campagne elettorali, anche
sotto la spinta dei politici
stessi, che temono che il
denaro possa andare ai loro
avversari. I procedimenti
regolatori e le udienze del
Congresso sono sempre più
intasati dalle testimonianze e
dalle ricerche di esperti al
soldo di aziende o segmenti
dell’industria che potrebbero
essere danneggiati dalle
politiche proposte. Sempre
più,itribunalisonointralciati
dagli
avvocati
delle
corporationchesiappellanoa
norme
o
procedure
regolatrici, o a sentenze del
tribunale, che favoriscano
un’azienda o un segmento
dell’industriarispettoadaltri,
o un pubblico ministero
rispetto a un’azienda. E,
sempre più, i giornali e i
telegiornali
fanno
da
grancassa a storie forgiate
dagli esperti di pubbliche
relazionidellecorporationper
favorire i loro clienti o
difenderli dalle teorie create
ad arte dagli esperti di
pubbliche relazioni delle
azienderivali.
Man mano che la
concorrenza si è fatta più
spietata, il costo del biglietto
d’ingresso nell’arena politica
èaumentato.Gliindividuiei
gruppi che hanno altri
obiettivi oltre a incrementare
al massimo i profitti
raramente hanno i mezzi per
raggiungerli. I gruppi di
“interesse pubblico” che si
trovano
a
Washington
impiegano una frazione
infinitesimale del budget dei
lobbisti delle corporation, e
sono pochi quelli che hanno
agganci politici al di fuori di
Washington. Internet si è
dimostrato uno strumento
efficace per finanziare le
campagne elettorali, e la
cosiddetta blogosfera una
chiassosavalvoladisfogoper
chivogliadirelasua,manon
c’è nessun rapporto diretto o
sistematico tra questi luoghi
di discussione e le istituzioni
politiche.
Nel
frattempo,
le
istituzioni che un tempo
davano
voce
alle
preoccupazioni dei cittadini
sono scomparse del tutto. I
sindacatisonoancorapresenti
a Washington e i loro
contributi alle campagne
elettorali hanno ancora un
peso, specialmente per i
democratici,manonsonopiù
abbastanzapotentidainfluire
sul processo decisionale, se
non sulle questioni più
importanti che coinvolgono i
lavoratori.
Le
agenzie
regolatrici che un tempo
avevano il compito di
difendere
l’”interesse
pubblico”
sono
state
progressivamente
ridimensionate. I gruppi
d’interesse locali, anche se
organizzati in federazioni
nazionali, riscuotono sempre
meno attenzione dai politici,
sempre più preoccupati di
racimolaredaiPACaziendali,
dai dirigenti e dai lobbisti
dellecorporationisoldiperle
loro campagne elettorali. I
gruppid’interessecontinuano
aintascarsidiscretesommedi
denaro,manonèpiùlìchesi
svolge
l’azione.
Le
federazioni come l’American
Legion, che nel 1947 era
riuscitadasolaafarpassareil
GIBill,nonhannopiùpeso.È
interessante
notare
il
contrastotralavicendadel GI
Bill e quello che è accaduto
nel1994,quandoBillClinton
cercòdiintrodurreunsistema
di
copertura
sanitaria
universale.Nonostanteilfatto
che a valutare la proposta
fosse
un
Congresso
democratico, la legge venne
accantonata. In parte era
dovuto al fatto che la
proposta era eccessivamente
complicata e burocratica. Ma
la legge non andò lontano,
anche perché non aveva una
base popolare che la
sostenesse.
Quando
le
corporation si mobilitarono
ferocemente contro di essa,
Clintonnonavevaimezziper
chiamare
a
raccolta
l’opinione pubblica per
difenderla234.
È vero che a volte le
preoccupazioni dei cittadini
vengono messe al centro
dell’agenda
politica,
specialmente quando i media
riportano, per esempio, la
toccante
storia
della
delocalizzazione di un gran
numero di posti di lavoro in
Asia, o di una devastante
fuoriuscita di petrolio da un
oleodotto in Alaska. Ma il
potere che hanno queste
storie di generare un
cambiamento politico è
limitato.Glielettorihannoun
tempo d’attenzione alquanto
limitato. Per continuare ad
attrarre i lettori e gli
spettatori, i redattori e i
produttori
passano
rapidamente al più recente
“scandalo della settimana”.
Gli attivisti di solito non
hanno le risorse per
catalizzarequell’indignazione
momentaneaetrasformarlain
azione politica. I grandi
partitisonotroppodipendenti
dai finanziamenti delle
corporation per rischiare di
offendere Wall Street o un
numero troppo grande di
aziende.Aognimodo,anche
se lo sdegno populista
permane, raramente genera
una reazione nei circoli
politici. Di solito viene
facilmente
reindirizzato
contro le élite aziendali e
“liberal” del paese. Questo
genere di rabbia si presta
bene ai comizi di piazza, ma
nonèingradodisostenereun
movimentopolitico.
Come
conseguenza,
abbiamo assistito a un
progressivocalodiattenzione
da parte della politica nei
confronti delle questioni di
giustizia o di equità sociale,
nonostanteuncontemporaneo
aumento
delle
disuguaglianze. Il professore
dell’Università di Tufts,
Jeffrey Berry, e i suoi
colleghi hanno studiato da
vicino i lavori del Congresso
nel1963,nel1979enel1991
(tuttianniincuiidemocratici
avevano la maggioranza). I
ricercatorisisonoconcentrati
supiùdi200dibattitipolitici
che sono stati oggetto di
udienze o hanno avuto una
coperturamediaticaminima.I
risultati
confermano
la
tendenza di cui abbiamo
parlato. Nel corso degli anni,
il Congresso ha dato sempre
meno
importanza
agli
interventi economici tesi a
ridurre le disuguaglianze,
come,peresempio,l’aumento
dei salari o la formazione
professionale delle fasce più
poveredellapopolazione.Nel
1963, il Congresso approvò
dieci progetti di legge
finalizzatiaridurrelaforbice
tra ricchi e poveri. Nel 1979,
ne approvò quattro su sette;
nel1991,duesusette235.
In politica, come sul
mercato, il consumatore e
l’investitore che sono in noi
sono ben rappresentati. Ma il
cittadino che è in noi è stato
quasi del tutto escluso dal
processo decisionale. Io
possiedo una manciata di
azioni della Microsoft. Non
hodubbichelaMicrosoftstia
facendotuttociòcheèinsuo
potere per alzare al massimo
il valore dei miei titoli e
attrarreetenereconsénuovi
clienti. In quanto azionista
dell’azienda,
ho
implicitamente sostenuto i
suoisforzipoliticiperridurre
i fondi della divisione
antitrust del dipartimento
della Giustizia, perché la
strategia della Microsoft era
finalizzata a rendere più alto
ilvaloredellemieazioni.Ma
in quanto cittadino, ero
indignato. Lo considerai un
abusodipotere.
In quanto investitore, so
benissimo come esprimere il
mio disappunto per la
Microsoftoperqualsiasialtra
azienda. Basta che venda le
mie azioni. È la stessa cosa
che faccio quando voglio
esprimere
la
mia
insoddisfazione
come
consumatore nei confronti di
un’azienda: semplicemente
smettodidargliimieisoldie
mi affido a un concorrente
che mi offra affari più
vantaggiosi. Wall Street e
Wal-Mart hanno accresciuto
il mio potere in entrambi i
campi,
offrendomi
la
possibilità di unire le mie
esigenze a quelle di molte
altrepersone.Ancheimotori
di ricerca di Internet
accrescono il mio potere;
posso trovare l’affare più
conveniente in un istante, e
concluderlo con un semplice
tocco di mouse. In poche
parole,ilsupercapitalismomi
permette di esprimermi più
liberamente che mai come
consumatore
e
come
investitore,
ma
come
cittadino,glistrumenticheho
a disposizione si sono ridotti
drasticamente. Come posso
esprimere il mio sdegno per
la strategia politica della
Microsoft? Non posso più
fare affidamento su grandi
istituzioni di mediazione
perché parlino a nome mio: i
sindacati, le federazioni
pluraliste, gli stessi partiti
politici. La mia voce viene
ridottaalsilenzioanchedalla
Microsoftstessa,edallealtre
aziendechesidannobattaglia
per ottenere un vantaggio
competitivo per mezzo delle
politiche pubbliche. Posso
sempre offrire o meno il mio
sostegno ai diversi candidati
quando vado a votare,
scrivereaimieirappresentanti
osenatori,allaCasaBiancae
ai giornali, versare dei
contributi ai partiti o
impegnarmiinprimapersona
in una battaglia politica. Ma
visonopocheprobabilitàche
la mia voce venga udita nel
mezzodelbaccanoprovocato
dallecorporation.
Quello che ho detto, sia
chiaro, è una semplice
spiegazione: dunque, né una
giustificazione
né
una
condanna. Ho descritto il
modo in cui la nostra
democrazia si è evoluta nel
corso degli ultimi decenni,
via via che il capitalismo è
stato
rimpiazzato
dal
supercapitalismo. Lo stesso
fenomeno è sempre più
evidente in molte altre
democrazie,manmanocheil
supercapitalismo conquista
nuovi territori. Ma sarebbe
sbagliato
accettare
passivamente questa realtà, o
più passivamente di quanto
non abbiamo fatto in altre
situazioni
in
passato.
Possiamo, se lo vogliamo,
modellare un capitalismo
democratico
che
sia
all’altezza
delle
nostre
aspirazioni più nobili per il
XXIsecolo.Maperfareciòè
necessario
separare
il
capitalismo dalla democrazia
e sorvegliare attentamente il
confinetraidue.
177 Il materiale sull’influenza delle
corporationsulgovernoamericanonon
manca ma è sbilanciato. Tra i libri più
stimolanti che ho letto sull’argomento
negliultimiannicisonoiduevolumidi
William Greider, The Soul of
Capitalism, New York, Simon &
Schuster, 2003 [Il capitalismo con
l’anima, trad. It. di Ornella Gava,
Milano, Orme, 2005] e Who Will Tell
the People? The Betrayal of American
Democracy, New York, Broadway,
2002; e i due libri di Kevin Phillips,
Arrogant Capital, Boston, Little,
Brown,1994eWealthandDemocracy,
NewYork,Broadway,2002[Ricchezza
edemocrazia,trad.diRobertoMerlini,
Milano, Garzanti, 2005]. Ho anche
trovato di grande aiuto David Kay
Johnson, Perfectly Legal: The Covert
Campaign to Rig Our Tax System to
Benefit the Super Rich and Cheat
Everyone
Else,
New
York,
Portfolio/Penguin,2003.
Primacheleelezionidimediotermine
del2006invertisserolarotta,variautori
hanno analizzato il potere esercitato
dalle aziende sulla crescente influenza
del partito repubblicano. Su questo
tema, ho trovato particolarmente utili
John
Micklethwait
-
Adrian
Wooldridge, The Right Nation: Why
America Is Different, Londra, Allen
Lane,2004;E.J.Dionne,Jr, They Only
Look Dead, New York, Simon &
Schuster, 1996; Jacob Hacker - Paul
Pierson, Off Center: The Republican
RevolutionandtheErosionofAmerican
Democracy, New Haven, Yale
UniversityPress,2005.
Non manca neanche il materiale
sull’influenza delle corporation sulla
politica. Vedi, per esempio, Jeffrey
Birnbaum, The Lobbyists: How
Influence Peddlers Work Their Way in
Washington, New York, Times Books,
1992;LeeDrutman-CharlieCray,The
People’s
Business:
Controlling
Corporations
and
Restoring
Democracy, San Francisco, BarrettKoehler,2004.
Alcuni studi recenti sul tema si sono
rivelatiutilieinteressanti,nonostantela
loro tendenza a subire il fascino delle
cospirazioni. Vedi, per esempio, Joel
Bakan, The Corporation, New York,
Free Press, 2004 [The Corporation,
trad. di Andrea Grechi, Roma,
Fandango Libri, 2004]; Carl Boggs,
The End of Politics: Corporate Power
and the Decline of the Public Spere,
New York, St. Martin’s, 1998; Charles
Derber, Corporation Nation, New
York, St. Martin’s, 1998; Jeff Gates,
Democracy at Risk, Cambridge,
Massachusets, Perseus, 2000; Mark
Green,SellingOut:HowBigCorporate
Money Buys Elections, Rams Through
Legislation, and Betrays Our
Democracy,NewYork,HarperColllins,
2002; Noreena Hertz, The Silent
Takeover: Global Capitalism and the
Death of Democracy, New York,
HarperBusiness, 2003 [La conquista
silenziosa: perché le multinazionali
minacciano la democrazia, trad. di
Dora Bertucci, Roma, Carocci, 2001];
David Korten, The Post-Corporate
World, San Francisco, Barrett-Koehler,
2004; Lawrence Mitchell, Corporate
Irresponsibility, New Haven, Yale
University Press, 2001; Greg Palast,
The Best Democracy Money Can Buy,
New York, Plume, 2003 [Democrazia
in vendita, trad. di Gianni Montanari,
Milano, Marco Tropea, 2003]; David
Sirota, Hostile Takeover: How Big
MoneyandCorruptionConqueredOur
Government—and How We Take It
Back,NewYork,Crown,2006.
178 Per i sondaggi sulla perdita di
fiduciadegliamericanineiconfrontidel
governo e del processo democratico,
vedi le fonti citate nell’introduzione.
Per i dati sulla medesima perdita di
fiduciainmoltealtredemocrazie,vedi,
per esempio, Citizens and the State, a
cura di Hans-Dieter Klingemann Dieter Fuchs, New York, Oxford
UniversityPress,1995;MichaelAdams
- Mary Jane Lennon, “Canadians, Too,
Fault Their Political Institutions and
Leaders”, in «The Public Perspective»,
3,settembre-ottobre1992,p.19;Susan
Pharr, “Confidence in Government:
Japan”, per il Visions of Governance
for
the
Twenty-First
Century
Conference, Bretton Woods, New
Hampshire,29luglio-2agosto1996.
179 Anche se il Tillman Act del 1970
ha vietato i finanziamenti diretti delle
corporation alle campagne elettorali, il
Federal Election Campaign Act del
1971halegalizzatoicomitatidiazione
politica(PAC)aziendali.Lesuccessive
riformedellaleggesuifinanziamentiai
partitihannolimitatoilpoteredeiPAC
mahannocreatodellescappatoielegali
che permettono contributi illimitati di
“softmoney” airappresentantistatalie
localideipartitinazionali.IlBipartisan
Campaign Reform Act del 2002
(comunemente chiamato McCainFeingold Act) chiuse quella scappatoia
ma autorizzò finanziamenti illimitati ai
cosiddetti gruppi 527 che non sono
sotto il controllo di alcun partito o
candidato.Nessunadiquesteriformeha
limitato la capacità dei dirigenti delle
corporation di “raccogliere” contributi
individuali da parte degli altri dirigenti
della stessa corporation, o dei lobbisti
aziendali di raccogliere i contributi dei
dirigenti di un’intera industria, o di
qualunque altro di raccogliere i
contributi di qualsiasi gruppo di
persone.
180
Citato
in
“Washington”,
«Encyclopedia Britannica online»,
consultabile
all’indirizzo
<http://www.britannica.com/eb/article24527>.
181 La strada di Washington che
collegalaCasaBiancaalCampidoglio.
182 Vedi Kevin Phillips, Arrogant
Capital: Washington, Wall Street, and
the Frustration of American Politics,
NewYork,Little,Brown,1994,pp.2627,32.
183 La stima ufficiale del numero di
lobbisti presenti a Washington è
probabilmente più bassa della cifra
reale perché molte persone che
praticano attività di lobbying non sono
registrate formalmente come lobbisti.
Le norme che impongono l’obbligo di
registrazione sono vaghe e le sanzioni
perchinonlerispettasonominime.La
legge del 1995 finalizzata a schedare i
lobbisti è particolarmente debole e i
membri del Campidoglio incaricati di
farla rispettare sono sempre a corto di
risorseesenzaipoteriinvestigativiedi
controllo necessari. Le stime sulla
quantità di denaro spesa dai lobbisti
ogniannosonobasatesuirapportidella
Camera dei Rappresentanti e del
Senato,esoffronodeglistessilimitiche
affliggono le stime del numero di
lobbisti. Numerosi studi e autori hanno
cercato di documentare il crescente
potere delle lobby a Washington nel
corso degli ultimi decenni. Vedi, per
esempio, Todd Purdum, “Go Ahead,
Try to Stop K Street”, in «New York
Times»,8gennaio2006,p.A1;Jeffrey
Birnbaum, “The Road to Riches Is
Called K Street”, in «Washington
Post», 22 giugno 2005, p. A1; e
Jonathan Rauch, “The Parasite
Economy”, in «National Journal», 25
aprile 1992. Vedi anche gli studi del
CenterforPublicIntegrityediPolitical
MoneyLinenelcorsodeglianni.
184 Center for Public Integrity,
<www.publicintegrity.org>.
185 David Vogel, “The Power of
Business in America: A Re-appraisal”,
in«BritishJournalofPoliticalScience»
13,1979,pp.19-43.
186VediidatipresidaBurdettLoomis
- Michael Struemph, “Organized
Interests, Lobbying and the Industry of
Politics”, una ricerca preparata per
l’incontrodelMidwestPoliticalScience
Association, 4-7 aprile, 2003, Chicago,
Illinois.
187 S. Prakash Sethi, Advocacy
Advertising and Large Corporations,
Lexington, Massachusets, Lexington
Books, 1977, aggiornato in S. Prakash
Sethi, “Grass-roots Lobbying and the
Corporation”,in«BusinessandSociety
Review», aprile 1979, pp. 8-14. Per
un’analisideglisforzidellaMobil,vedi
Randall Poe, “Masters of the
Advertorial”, in «Across the Board»,
settembre 1980, pp. 15-28. Vedi anche
David Liff - Mary O’Conner - Clarke
Bruno, Corporate Advertising: The
Business Response to Changing Public
Attitudes, Washington D.C., Investor
ResponsibilityResearchCenter,ottobre
1980.
188 Vedi, per esempio, rapporto
EurActiv, “EU and US Approaches to
Lobbying”,29agosto2005.
189 Perunresocontopiùapprofondito,
vedi John Micklethwait - Adrian
Wooldridge, The Right Nation:
Conservative Power in America, New
York,Penguin,2004[Ladestragiusta:
storia e geografia dell’America che si
sentegiustaperchéèdidestra,trad.di
Aldo Piccato, Milano, Mondadori,
2005]. Vedi anche Nolan McCarty Keith Poole - Howard Rosenthal,
Polarized America: The Dance of
Ideology and Unequal Riches,
Cambridge,MITPress,2006.
190 Robert Kuttner, The Life of the
Party: Democratic Prospects in 1988
and Beyond, New York, Viking, 1987,
p.62.
191B.Mullins-D.Treftz,“Companies
ShiftMoreDonationstoDemocrats”,in
«Wall Street Journal», 30 aprile 2007,
pp.A1,A9.
192 Citato da Bill Moyers in “Hostel
Takeover”, in «Sojourner», luglioagosto1998,p.18.
193 Citato in Jeffrey H. Birnbaum,
“Democrats’StockRisingonKStreet”,
in«WashingtonPost»,17agosto2006,
p.A1.
194ChristopherLee,“DaschleMoving
to K Street”, in «Washington Post», 4
marzo2005,p.17A.
195 Robert Pear, “Drug Companies
Increase Spending on Efforts to Lobby
Congress and Governments”, in «New
YorkTimes»,2003,p.A20.
196 Vedi le ricerche condotte dal
CenterforPublicIntegrity,consultabili
agli
indirizzi
<http://www.publicintegrity.org/lobby/rep
aid=774>
e
<http://www.publicintegrity.org/lobby/rep
aid=678>.
197 Una promessa di fedeltà agli Stati
Uniti e alla sua bandiera che viene
comunementerecitatanellescuoleenel
corso di eventi pubblici. È da sempre
oggettodipolemiche,inparticolareper
lasuadefinizionedegliStatiUniticome
una nazione «sotto la protezione di
Dio».
198Ibid.
199 Alice Rivlin, Reviving the
American Dream: The Economy, the
States and the Federal Government,
Washington
D.C.,
Brookings
Institution,1992,p.50.
200 Jeff Faux, op. cit., p. 3; Lou
Dobbs,op.cit.,p.12.
201 Questo punto è chiaro agli
scienziati politici ma perlopiù questi
hanno limitato le loro indagini ai
finanziamenti alle campagne elettorali,
trascurando tutti gli altri sforzi
finanziari fatti dalle corporation per
influenzare la politica. Vedi, per
esempio, Stephen Ansolabehere et al.,
“Why Is There So Little Money in
Politics?”, «Journal of Economic
Perspectives» 17, n. 1, 2003, pp. 105130.
202 Kate Phillips, “Once a Maverick,
Google Joins the Lobbying Herd”, in
«New York Times», 28 marzo 2006,
pp.A1,A13.
203 Amy Borrus, “It’s Back to Charm
School
for
Microsoft”,
in
«BusinessWeek»,8novembre1999.
204 Mike France, “The Unseemly
Campaign of Mr. Microsoft”, in
«BusinessWeek»,24aprile2000,p.53.
205 “Dirty Dealings”, in «Economist»,
29giugno2000.
206 Phillips, “Once a Maverick,
GoogleJoinstheLobbyingHerd”.
207 Citato in Michael Crittenden Rebecca Adams, “Mr. Sam Comes to
Washington”, in «CQ Weekly», 7
novembre2005,p.1.
208 Citato in Kim Chipman - Lauren
Coleman-Lochner,“Wal-MartGirdsfor
Showdown with New Congress on
Unions, Trade”, in <Bloomberg.com>,
4dicembre2006.
209 Corporation governativa nata nel
1933, in seguito alla grande
depressione, per garantire i depositi
dellebanchecommerciali.
210 Banca industriale senza sportelli
apertialpubblico.
211 Bernard Wysocki Jr, “How Broad
Coalition Stymied Wal-Mart’s Bid to
OwnaBank”,in«WallStreetJournal»,
23ottobre2006,p.A1.
212 Kate Phillips, “Interest Groups
Lining Up to Lobby on Web
Gambling”, in «New York Times», 20
febbraio2006,p.A6.
213Lalegaprofessionisticadibaseball
nordamericana.
214 Michael Schroeder, “Futures
TradersResistTighterOversightPlan”,
in «Wall Street Journal», 10 febbraio
2006,p.A11.
215 DavidRogers,“HouseDealsBlow
to ‘Open Skies’ as It Passes Latest
Spending Bill”, in «Wall Street
Journal»,15giugno2006,p.A4.
216 Un’agenzia indipendente del
Governo creata nel 1974 per
incoraggiare e sostenere i fondi
pensionevolontariprivatiaprestazione
definita, assicurare il pagamento dei
beneficipensionisticietenereipremidi
assicurazione dei fondi al minimo
necessariopersvolgerelelorofunzioni.
217 Deborah Solomon - Evan Perez,
“Airlines Split over Pension Package”,
in «Wall Street Journal», 31 luglio
2006,p.A3.
218 Greg Hitt, “Textile Makers Tap
Political Opportunity”, in «Wall Street
Journal»,18ottobre2006,p.A4.
219 Citato in Cristopher Bowe, “US
Pharmaceutical Industry Limbers Up
for Medicare’s Brave New World”, in
«Financial Times», 4 gennaio 2006, p.
2.
220 Vedi, in generale, Michael Pollan,
The Omnivore’s Dilemma, New York,
Penguin,2006.
221 MelanieWarner,“AStruggleover
Standards in Fast-Growing Food
Category”, in «New York Times», 1
novembre2005,p.C1.
222Ibid.
223 Brody Mullins - Ethan Wallison,
“Another Coalition of the Willing”, in
«RollCall»,7maggio2003.
224DavidVogel,“ThePoliticsofRisk
Regulation in Europe and the United
States”, in Yearbook of European
EnvironmentalLaw,NewYork,Oxford
UniversityPress,vol.3,p.42.
225 Dati presi da Marc Galanter, “The
LifeandTimesoftheBigSix;or,The
Federal Courts Since the Good Old
Days”, in «Wisconsin Law Review»,
1988, pp. 921-54. Vedi anche William
Nelson, “Contract Litigation and the
Elite Bar in New York City, 19601980”,«EmoryLawReview»39,1990,
pp.413-462.
226 Robert Pear, “Drug Companies
Increase Spending on Efforts to Lobby
Congress and Governments”, in «New
YorkTimes»,1giugno2003,p.A20.
227 Paul Krugman, “Enemy of the
Planet”, in «New York Times», 17
aprile2006,p.A21.
228 Heather Timmons, “Exxon
Accused of Deception on Climate
Change, Royal Society in U.K.
Complain to Firm”, in «International
HeraldTribune»,22settembre2006,p.
A1.
229 Jennifer Washburn, “The Best
Minds Money Can Buy”, in «Los
AngelesTimes»,21luglio2006,p.13.
230 David Armstrong, “Drug
Interactions: Financial Ties to Industry
Cloud Major Depression Study”, in
«Wall Street Journal», 11 luglio 2006,
p.A1.
231StephenLabaton,“HouseExpected
to Back Bill Favoring Phone
Companies”, in «New York Times», 9
giugno2006,p.C1.
232 U.S. Government Accountability
Office, Access to Broadband,
Washington D.C., U.S. Government
AccountabilityOffice,maggio2006.
233 Citato in “Let’s Bring Back
Antitrust”, in «Inc. Magazine», ottobre
1982,pp.12-13.
234 Su questo punto, vedi Theda
Skocpol, Diminished Democracy.
Skocpolhaattentamentedocumentatoil
declino delle organizzazioni locali
dotatedifederazioninazionali.
235 Jeffrey Berry, The New
Liberalism: The Rising Power of
Citizen Groups, Washington D.C.,
BrookingsInstitution,1999,p.56.
5.Lapolitica
deviata236
Negli ultimi anni, la
corporate
social
responsibility,
o
“responsabilità
sociale
d’impresa” è diventata per
moltilarispostaalparadosso
del capitalismo democratico.
È oggi uno degli argomenti
più trattati nelle scuole di
business; nel 2006, più della
metà di tutti i master in
amministrazione aziendale
prevedeva almeno un corso
sul tema. Più dell’80% dei
recruiter delle corporation
dice che i neo-laureati delle
scuoledibusinessdovrebbero
avere una buona conoscenza
dell’argomento237.
È
il
soggetto di centinaia di
conferenze aziendali ogni
anno. Decine di migliaia di
dirigenti aziendali si sentono
ripetere di continuo dai loro
consulenti la sua rilevanza. I
più importanti amministratori
delegatiepoliticidelmondo,
riuniti ogni anno al World
EconomicForumdiDavos,in
Svizzera,
ne
discutono
solennemente e dichiarano il
loro impegno. Numerosi
“auditori sociali” misurano
l’efficienza con la quale le
aziende la praticano, e
centinaia
di
aziende
pubblicanoogniannorapporti
patinati in cui sbandierano la
loro dedizione al principio
della
corporate
social
responsibility. Le ONG –
organizzazioni
non
governative con dipendenti a
tempo pieno, siti Internet,
newsletter e strumenti per la
raccolta dei fondi –
sviluppanocodicidicondotta
aziendale su alcune pratiche
specifiche e valutano le
corporation in base al loro
rispetto di quelle norme.
Almeno 800 fondi comuni in
tutto il mondo si dicono
consacrati a essa. Lo United
Nations Global Compact
(Patto globale delle Nazioni
Unite), siglato a Davos nel
1999,fissòalcuniobiettivida
raggiungere sul tema. Nel
2006, erano più di 3.000 le
aziende che lo avevano
firmato.LaGranBretagnaha
anche
un
ministero
appositamentededicato.
Gran parte di tutto
questo è fatto in buona fede.
E c’è chi vi crede
sinceramente. In parte ha
avuto effetti positivi. Ma è
avvenuto quasi tutto al di
fuori
del
processo
democratico. E non ha
cambiato quasi affatto le
regole del gioco. Vederlo
come una nuova forma di
capitalismo democratico vuol
dire non capire la logica del
supercapitalismo.
Inoltre,
distoglie l’attenzione dalla
sfida più ardua ma più
importante di istituire nuove
regole che proteggano e
facciano prosperare il bene
comune, e impediscano al
supercapitalismo di invadere
l’arenapolitica.
1
Il successo registrato
dalla
corporate
social
responsibility è da attribuire
al calo di fiducia nella
democrazia.Oggi,iriformisti
dicono che è più facile fare
lobbying sui dirigenti delle
corporation che sui politici;
sostengono che sia più
efficace cercare di migliorare
il comportamento di una
corporation piuttosto che di
influenzare le scelte di un
Governo. «Il Governo non è
in grado di dare una risposta
allamaggiorepreoccupazione
perl’ambiente,eleaziendesi
stanno dimostrando più
sensibili
sull’argomento»,
afferma Jonathan Lash,
presidente
del
World
Resources Institute (Istituto
perlerisorsemondiali)238.
La sfiducia dei cittadini
nei confronti dei politici è
perfettamente comprensibile,
malasituazioneènondimeno
curiosa. Una delle ragioni
principali per cui il Governo
non riesce a prendere le
iniziative necessarie è che,
come abbiamo visto, negli
ultimi anni le grandi
corporation sono diventate
molto efficaci nell’impedirgli
di fare pressoché qualsiasi
cosa per l’ambiente o per
qualsiasi altro settore che
possa
costringere
le
corporation ad adottare
soluzioni che preferirebbero
evitare. Perché le aziende
dovrebbero improvvisamente
diventaresensibiliaqueitemi
riguardo ai quali hanno fatto
di tutto per bloccare degli
interventi
governativi?
Ovviamente, all’interno di
un’azienda,
le
singole
persone incaricate di rendere
una corporation socialmente
più
responsabile
probabilmentenonsarannole
stesse che fanno attività di
lobbyingcontroquelleleggie
norme che la renderebbero
tale,maquestononcambiala
realtà delle cose: nel
supercapitalismo,
la
corporation, per ragioni di
concorrenza, deve evitare
qualsiasi cosa danneggi – e
dare una priorità minima a
qualsiasicosachenonaiuti–
la massimizzazione dei
profitti.
La
sfiducia
nella
democrazia
può
anche
rivelarsi una profezia che si
avvera,
distogliendo
l’attenzionedaquellochepuò
esserefattoperriformarla.Se
è vero che i cittadini di
nazioni relativamente piccole
non hanno grandi possibilità
di influenzare l’operato delle
grandicorporationglobaliper
mezzo delle loro procedure
democratiche, la situazione è
diversa per i cittadini degli
Stati Uniti o dell’Unione
Europea. Ogni corporation
che voglia fare affari in
luoghi così vasti e floridi
deve sottostare alle leggi di
quei paesi. Anche lo Stato
della California può stabilire
leggi ambientali che abbiano
un peso, perché gran parte
delle aziende globali vuole
avereaccessoaunmercatodi
quelle dimensioni. Inoltre,
moltemultinazionaliconsede
negli Stati Uniti o in Europa
gestiscono importanti attività
a livello globale: Starbucks
assorbe
una
grande
percentuale della produzione
mondiale
di
caffè,
McDonald’s controlla una
fetta importante del mercato
mondiale del manzo e del
pollo,Wal-Martèlacatenadi
negozipiùgrandedelmondo,
Home Depot è il maggior
acquirente di legname e
prodotti in legno al mondo.
Le leggi americane ed
europee, dunque, possono
influire pesantemente sulla
condottadellecorporationnel
mondo. I cittadini di paesi
così grandi e potenti che
pensano di poter avere un
impatto maggiore spingendo
lecorporationamigliorarese
stesse
piuttosto
che
intervenendo nel processo
democratico per costringerle
a farlo semplicemente si
sbagliano.
È facile comprendere
perché il grande capitale
abbia abbracciato la filosofia
della
corporate
social
responsibility
con
tale
entusiasmo. È una buona
pubblicità e rassicura la
coscienza dei consumatori.
Un voto di fedeltà ai valori
dellaresponsabilitàsocialeda
parte delle corporation,
inoltre, potrebbe anticipare e
sostituirsi a un intervento
governativo in quelle aree in
cuiunaopiùaziendesisiano
comportateinmodonegativo,
per esempio rovesciando
grandi quantità di petrolio in
mare per negligenza, o
violando i diritti umani
all’estero. Una rasserenante
promessa di responsabilità
può distogliere l’attenzione
della gente dalla necessità di
leggi o norme più severe, o
convincerla che il problema
non sussiste affatto. Le
corporation
che
hanno
firmatodeicodicidicondotta
impegnandosi a comportarsi
bene in effetti sembrano
essere diventate socialmente
unpo’piùresponsabili,mala
pressioneesercitatasudiesse
per
attrarre
nuovi
consumatori e investitori non
sièallentataneancheunpo’.
Nel supercapitalismo, non
possono essere socialmente
responsabili, non in una
misura che abbia veramente
unimpatto.
Allo stesso tempo, i
politici vengono sollevati da
qualsiasi
responsabilità.
Possono applaudire qualche
atto di apparente virtù
aziendale – o in alcuni casi
prendersi il merito di aver
spintolecorporationasiglare
pattiopromettereunmaggior
impegno – senza dover
prenderealcunainiziativache
potrebbe infastidire i consigli
d’amministrazione
delle
aziende che li appoggiano.
Non sono tenuti a prendere
posizionesumoltiargomenti;
si limitano a mostrarsi a
favore di un comportamento
più virtuoso da parte delle
corporation.
Una promessa ad agire
secondo la responsabilità
socialeèancheunaopportuna
rassicurazione per quei
giovani privilegiati o di
talento che vogliono sia i
compensi da capogiro che
offre una rapida scalata
aziendale sia il vantaggio
psicologico di pensare che
stiano contribuendo a un
mondo migliore. Piuttosto
che sporcarsi le mani nei
vigneti delle cooperative
sociali
o
nelle
aule
scolastiche dei quartieri più
poveridellenostrecittà,onel
serviziopubblicoingenerale,
si prendono il loro Master of
BusinessAdministrationepoi
se ne vanno a lavorare per
qualche grande azienda che
ogni anno pubblica un
rapporto su tutte le cose
buonechefaperilmondo.In
questomodo,possonoaiutare
sia se stessi che il mondo, o
almenoèquellochepensano.
Daquestopuntodivista,
la
corporate
social
responsability ha lo stesso
peso dello zucchero filato.
Piùcerchidiaddentarlaepiù
velocemente si dissolve. Uno
degli argomenti più gettonati
ècheleaziende“socialmente
responsabili”
sono
più
redditizie.LaDowChemicals
riduce le sue emissioni di
anidride
carbonica
per
abbassare i suoi costi
energetici.
McDonald’s
introduce
tecniche
di
macellazione più umane per
diminuire i rischi di costosi
incidenti sul lavoro e
produrremaggioriquantitàdi
carne. Wal-Mart adotta
confezioni “ecologiche” per i
suoi prodotti freschi – buste
di
plastica
trasparenti
prodotte con lo zucchero di
canna–perchécostanomeno
diquelletradizionaliabasedi
petrolio. Starbucks offre ai
suoi dipendenti part-time
l’assistenza sanitaria perché
questo riduce il turnover e fa
risparmiare soldi all’azienda.
LaAlcoastimadirisparmiare
ogni anni 100 milioni di
dollarigrazieallasuapolitica
di risparmio energetico e di
difesadell’ambiente239.
Misure di questo tipo
sono importanti, ma vengono
prese non perché sono
socialmente
responsabili.
Vengono prese per ridurre i
costi.
Definire
queste
corporation
“socialmente
responsabili” equivale a
distorcere il termine al punto
daincluderviqualsiasiazione
che un’azienda intraprende
per aumentare i profitti, se il
caso vuole che questa abbia
ancheunimpattopositivosul
resto della società. È
semplicemente la logica da
manuale portata all’estremo,
secondo cui ogniqualvolta
un’azienda aumenta i suoi
profittihaunimpattopositivo
sulla società, perché impiega
risorse
più
efficienti,
permettendo
a
quelle
inutilizzate
di
essere
impiegate più efficacemente
altrove. Da questo punto di
vista, tutte le aziende che
produconobuoniprofittisono
socialmenteresponsabili.
Da anni ormai vado
sostenendo
che
la
responsabilità sociale e la
redditività nel lungo termine
convergono. Questo perché
un’azienda che rispetta e
valorizzaisuoidipendenti,la
comunità in cui opera e
l’ambiente alla fine ottiene il
rispetto e la gratitudine dei
suoi
dipendenti,
della
comunitàedell’interasocietà,
che si traducono poi in
maggiori profitti. Ma non
sono mai riuscito a
dimostrare questa teoria o a
trovare uno studio che la
confermi. Dal punto di vista
della
grande
azienda
moderna, però, il lungo
termine potrebbe risultare
irrilevante.
Sotto
il
supercapitalismo, il “lungo
termine” è il valore attuale
dei guadagni futuri. Non c’è
misuramigliorediquestadel
valoredelleazioni.
Altrettanto confusa è la
questione dei cosiddetti
investimenti
socialmente
responsabili in prodotti
destinatiaesplodereinfuturo
a causa della maggiore
sensibilità della gente per un
certo tema. Nel 2004, la
CalPERS–ilfondopensione
dei dipendenti pubblici della
California (California Public
Employees’
Retirement
System)–annunciòinpompa
magna che avrebbe investito
200 milioni di dollari in
quello che definì il «fiorente
settore della tecnologia
ambientale».
Finanziariamente
aveva
senso, considerando che le
tecnologie ambientali che
brucianoicombustibilifossili
inmodopiùpulitopotrebbero
diventare molto redditizie in
futuro. Ma descrivere la
mossa della CalPERS come
“socialmente responsabile”
significa confondere quella
che potrebbe essere una
buona
strategia
d’investimento
con
un’iniziativa finalizzata a
rendere migliore la società. I
dipendenti pubblici della
California non hanno mai
detto di voler sacrificare i
lororisparmiperilbenessere
del pianeta. Se l’intuizione
della CalPERS si rivela
corretta, i suoi clienti
godranno di generosi ritorni.
Ma se non è così, questi
saranno comprensibilmente
adirati.
Logicamente, anche i
consumatori sono disposti a
pagaredipiùperprodottiche
consideranopiùefficienti.Ma
neanche questo rende i
prodotti
“socialmente
responsabili”. Utensili che
consumanodimenoedunque
fanno risparmiare soldi ai
consumatori, cibi biologici
che li fanno sentire meglio,
gelati artigianali più gustosi
perché prodotti col latte di
mucche che hanno accesso a
vasti pascoli, salmoni più
gustosiperchépescatiinmare
aperto piuttosto che negli
allevamenti, e le uova di
galline ruspanti che fanno
sentire i consumatori più
protetti dalla salmonella
probabilmente valgono il
costoextracheiconsumatori
sono disposti a pagare. Ma i
consumatori non spendono
queisoldiinnomediqualche
benessere sociale, ma perché
vi traggono dei benefici
personali.
I
ristoranti
Wendy’s hanno smesso di
friggere i loro cibi nei grassi
acidi trans, che sono stati
eliminati anche dai biscotti
OreoedaglisnackFrito-Lay.
LaGeneralMillsoraproduce
i Cheerios e i Wheaties con
cereali integrali. Sono i
consumatoriaesserediventati
più coscenziosi, non le
aziende240.
Allo stesso modo, le
aziende che offrono salari e
benefici generosi per attrarre
e tenere con sé dipendenti di
alto livello non lo fanno per
“responsabilità sociale”, ma
per esigenze di management.
«Nonèobbligatorioscegliere
tra gli ideali e il profitto»,
afferma una delle numerose
pubblicitàdiStarbucksincui
l’azienda sbandiera il proprio
impegno per la società.
«Quandoabbiamocominciato
a fornire l’assicurazione
sanitaria ai nostri dipendenti
part-time,abbiamonotatouna
netta
diminuzione
del
turnover»241.Èquichesicrea
confusione. Se i profitti di
Starbucks sono migliorati da
quando l’azienda ha offerto
l’assicurazione sanitaria ai
suoi dipendenti part-time,
vuol dire che non lo sta
facendo in nome di qualche
ideale; non importa quali
fossero le nobili volontà del
suo fondatore. Starbucks
agisce in nome dei suoi
consumatori e investitori. I
costi
aggiuntivi
sono
giustificati dai risparmi. Si
chiamasmartbusiness.
In generale, una grande
azienda che sceglie di
migliorare la qualità dei suoi
prodotti senza aumentare i
prezzi, o di migliorare
l’efficienza e la produttività
perpoterabbassareiprezzio
generare profitti e ritorni
maggiori per gli investitori,
non lo fa per una spiccata
sensibilità sociale. Lo fa
perché sono buone scelte di
management che devono
essere – e, considerando le
pressioni esercitate dal
supercapitalismo, saranno –
intraprese indifferentemente
dai benefici che apportano
allasocietà.
L’economista
Milton
Friedman, anni fa, dichiarò
cheilcompitodelleaziendeè
quello di fare soldi, non
beneficenza242.
Friedman
sostenne questa teoria in un
momento in cui molte
aziende avevano ancora
abbastanzaspaziodimanovra
per
essere
socialmente
responsabili. Come abbiamo
visto,legrandiaziendeerano
nella maggior parte dei casi
degli oligopoli con un ampio
potere discrezionale in fatto
di prezzi. Quello che voleva
dire Friedman era che le
aziende non dovrebbero
preoccuparsi del sociale,
perché non sono preposte a
portare avanti tali politiche.
Che siate d’accordo o meno
con lui, nel supercapitalismo
alle aziende non è data la
possibilità
di
essere
coscienziose. La concorrenza
è così forte che gran parte
delle aziende non possono
fare scelte a favore della
collettivitàsenzafarnepagare
ilprezzoaiconsumatorieagli
investitori, che passerebbero
alla concorrenza. Anche se
alcuni singoli consumatori o
investitori fossero disposti a
compiere un sacrificio, senza
una legge che impone a tutte
le aziende e quindi a tutti i
consumatori e gli investitori
difarelostesso,leloroscelte
nonavrebberoalcuneffetto.
2
Man
mano
che
l’economia si è incamminata
verso il supercapitalismo, le
aziende che al tempo di
Friedman erano note per il
loro impegno sociale sono
stateseveramentepunitedagli
investitori. La Cummins
Engine, uno dei pionieri del
movimento della corporate
social responsability, di
fronte alle pressioni degli
investitori
dovette
abbandonare
le
sue
paternalistiche
politiche
occupazionali e i generosi
contributiallecomunitàincui
operava. La Dayton Hudson,
un’altra azienda un tempo
rinomata per la sua politica
socialmente responsabile, da
quando rischiò di venire
inghiottitadaun’acquisizione
ostile, negli anni Ottanta, ha
dedicato tutta la sua
attenzione ai consumatori e
agli investitori. La Levi
Strauss, anch’essa un tempo
incimaallalistadelleaziende
socialmente più responsabili
degli Stati Uniti, in parte per
via della sua scelta di
appoggiarsi ad aziende
manifatturiere locali, subì un
drammatico calo di profitti
negli anni Novanta e dovette
abbandonare
ciò
che
rimaneva
della
sua
produzione domestica. La
Polaroid, un altro pioniere,
dichiarò fallimento nel 2001.
Le azioni della catena
britannicadinegoziMarks&
Spencer,
che
si
era
classificata ai primi posti in
unsondaggiosullecondizioni
di lavoro nel mondo, erano
così malridotte che nel 2004
l’azienda subì un tentativo di
acquisizione ostile243. Sia la
Body Shop International che
la Ben & Jerry’s erano state
sbandierate come due tra le
aziende socialmente più
responsabilidelpaese,finché
gli investitori non hanno
relegato la fondatrice del
BodyShop,AnitaRoddick,a
una funzione consultiva e la
Ben & Jerry’s non è stata
compratadallaUnilever.
In
regime
di
supercapitalismo,
una
promessaall’impegnosociale
non cancella la dedizione
ossessivaall’importanzadegli
azionisti. Il celebre motto
degli anni Cinquanta di
George Merck244 – «La
medicina è per la gente. Non
per il profitto. Quello viene
dopo» – incarnava alla
perfezione l’ideale della
responsabilità
sociale245.
L’azienda vi prestò fede
quando, negli anni Ottanta,
sviluppò e distribuì senza
costiunfarmacopercurarela
“cecità del fiume” che
affliggeva le nazioni povere
deitropiciepiùrecentemente
quando ha deciso di
distribuire i farmaci contro
l’AIDS in Botswana. I profitti
però non arrivarono, e negli
ultimi
anni
il
titolo
dell’azienda è crollato. Forse
èperquestochel’aziendasiè
sforzata di mettere sul
mercato il suo antidolorifico
Vioxx il prima possibile, una
scelta decisamente poco
responsabile.LaEnron,prima
che crollasse, era classificata
tra le cento migliori aziende
degli Stati Uniti in cui
lavorare, aveva ricevuto
numerosi premi ambientali,
era stata tra le prime grandi
aziende a pubblicare un
triple-bottom-line in cui
riportava i suoi progressi nel
campo sociale e ambientale
ed era rinomata per le sue
generose
iniziative
di
filantropia. Col senno di poi,
è difficile credere che la
dedizione della Enron per la
società fosse più sincera di
quellaperisuoiinvestitori246.
Allo stesso tempo, gli
investitori non puniscono
quelle aziende o industrie
redditizie ma rinomate per il
loro disprezzo dei valori
sociali. Nei primi anni del
nuovosecolo,laExxonMobil
aveva il ritorno sul capitale
investito più alto di qualsiasi
altra compagnia petrolifera.
Gli azionisti accorsero verso
l’azienda nonostante fosse
considerata “criminale” dai
gruppi ambientalisti per le
sue appariscenti campagne
contro i combustibili non
fossili e l’effettiva esistenza
del riscaldamento globale247.
Gli analisti di Wall Street e i
banchieri
d’investimento
pensano solo al profitto, così
come la maggior parte di
coloro per conto dei quali
gestiscono i risparmi. «Gli
investitori non si rifiutano di
comprare [le azioni di una
certaazienda]perchépensano
che il suo amministratore
delegato sia pagato più del
dovuto, così come i membri
delsindacatononboicottanoi
negozi non sindacalizzati che
vendono prodotti importati a
prezzi invitanti», afferma
Anthony M. Maramarco,
managing director della
Babson
Capital
Management248.
Il malcostume sociale
non
è
necessariamente
dannoso per gli affari. Poche
industriesonostatescreditate
come quella del tabacco, ma
le multinazionali del tabacco
nonhannoalcunadifficoltàa
ottenere i soldi degli
investitori in cerca di buoni
ritorni. Le aziende che
producono alcolici o armi da
fuoco, che profittano del
gioco d’azzardo e che
pubblicano riviste e film
pornografici se la cavano
abbastanza bene a Wall
Street;moltediquestehanno
superato anche l’indice S&P
500249. Le azioni delle
aziende legate alla Difesa,
considerate
moralmente
riprovevoli da alcuni, hanno
anch’esse superato l’indice
S&P 500 a partire dagli anni
Ottanta250. È possibile che le
aziende
che
realizzano
prodotti
dannosi
siano
costrette a fare meglio della
media per attrarre capitali.
Forse esiste un premio per il
vizio così come esiste un
premio per il rischio. Ma è
più probabile che agli
investitorisemplicementenon
gliene importi niente. Hanno
dato istruzioni ai gestori dei
loro fondi pensione o dei
fondicomunidiaumentareal
massimo il valore dei propri
risparmi, a qualsiasi costo. Il
distaccodellenostredecisioni
dimercatodaglieffettisociali
è, lo ripeto, uno degli aspetti
fondamentali
del
supercapitalismo.
Gliinvestitorichehanno
a cuore la moralità delle
grandi aziende possono
piazzare i loro soldi in quelli
che vengono chiamati “fondi
di investimento socialmente
responsabili”, che escludono
alcune delle industrie più
nocive. Ma sono pochi gli
investitori che lo fanno. Nel
2004, il totale delle azioni
controllate da questi fondi
ammontava a meno del 2%
del totale delle azioni dei
fondi comuni in circolazione
sulla borsa statunitense251. In
Europa, i fondi comuni
socialmente
responsabili
rappresentano
una
percentuale minore: circa lo
0,33%. Se tali fondi
fruttassero meglio dei fondi
comuni
tradizionali
attirerebbero più investitori,
ma raramente è così. E
comunque, il portafoglio
della maggior parte dei fondi
“socialmente responsabili”
include pressoché tutte le
grandi aziende presenti nel
portafoglio dei fondi comuni
classici. Nel 2004, 33 fondi
socialmente
responsabili
possedevano azioni di WalMart, 23 fondi possedevano
azioni della Halliburton, 40
possedevano azioni della
ExxonMobil e quasi tutti
possedevano azioni della
Microsoft, nonostante le sue
scaramucce con l’antitrust.
All’albadel XXIsecolo,molti
possedevano azioni della
Enron, di WorldCom e della
Adelphia,enessunadiqueste
aziende brillava per i suoi
contributiallacollettività252.
È vero, gli investitori
chiedono
una
migliore
corporate governance. Ma
una governance migliore
rende le aziende più sensibili
allerichiestedegliinvestitori,
nondeisuoidipendenti,delle
comunità o della società nel
suointero.
Le probabilità che in
futuro
un
consiglio
d’amministrazione
possa
nuovamente accettare una
tenda da doccia con
decorazioni floreali da 6.000
dollari come quella che
inconsapevolmente
gli
azionisti della Tyco hanno
comprato all’ex presidente
dell’azienda,
Dennis
Kozlowski; i 100 milioni di
dollari che gli azionisti della
Adelphia Communications
hannoinvolontariamentedato
all’ex
amministratore
delegato dell’azienda, John
Rigas; il dominio quasi
assoluto
che
l’ex
amministratoredelegatodella
WorldCom, Bernard Ebbers,
aveva sull’azienda – solo
alcunidegliscandalichesono
venutiallaluceneiprimianni
del 2000 – con buona
speranza diminuiranno con
una migliore corporate
governance. Quando gli
azionisti avranno maggiore
voce in capitolo nella scelta
dei dirigenti di un’azienda,
quando coloro che rivestono
carichepiùaltealsuointerno
dovranno
firmare
personalmente i bilanci e i
loro stipendi saranno più
trasparenti, probabilmente i
dirigenti
avranno
un
maggiore incentivo a fare
quellopercuihannoottenuto
laresponsabilitàfiduciaria.
Iniziative di questo tipo,
però, non renderanno gli
amministratori delegati più
responsabili nei confronti
della società. Al contrario,
maggiore è il potere che gli
investitori
hanno
sugli
amministratori delegati e sui
massimi
dirigenti
di
un’azienda,maggiorisaranno
le probabilità che questi
ultimi taglino i salari nella
corsa verso profitti più alti,
abbandonino le tradizionali
comunità di riferimento
dell’aziendaesiappogginoa
catene di fornitura globali,
assecondino i desideri più
volgari dei consumatori,
costringano i lavoratori nei
paesi in via di sviluppo a
operare in condizioni di
insicurezza e malsane, e
devastino l’ambiente, se
questi
comportamenti
antisociali
servissero
a
incrementare i profitti e il
valoredelleazioni.
Alcuni sostengono che i
consigli d’amministrazione
delle corporation dovrebbero
rappresentare
tutti
gli
stakeholders253 – tra cui i
dipendenti, le comunità e la
società in generale – e lo
considerano il modo per
conciliare gli interessi degli
investitoriconquellidelresto
della società. L’idea di
“capitalismo
degli
stakeholder”, ricorderete, fu
avanzata
da
Walter
Lippmann, Adolf Berle e
GardinerMeansall’iniziodel
XXsecolo,etrovòespressione
negli “statisti aziendali”
dell’età non proprio dell’oro.
Comprendo il fascino di
questaidea.Hafunzionatoin
altri tempi e in altri luoghi.
Per molti anni, le aziende
tedesche hanno avuto due
consigli d’amministrazione:
uno
tradizionale,
che
rappresentava coloro che
avevanodelcapitalearischio,
e
un
secondo,
che
rappresentavaglistakeholder.
Alcune aziende americane,
come la United Airlines,
hanno sperimentato forme
limitatedirappresentanzadei
dipendenti sindacalizzati in
cambio di proroghe o
riduzioni degli aumenti degli
stipendi e dei benefici. Sono
stato uno dei primi a
manifestare
il
proprio
entusiastico appoggio per la
decisionedellaUnited.
Ma è difficile che un
consigliodistakeholderpossa
funzionare
sotto
il
supercapitalismo. Qualsiasi
azienda che sacrifichi una
parte dei ritorni degli
azionisti a favore di un
gruppodistakeholderperderà
isuoiinvestitori,chepossono
facilmente traghettare i loro
soldi verso aziende che
offrono ritorni più alti. E a
ogni modo, si è già rivelato
abbastanza
difficile
assicurarsi che i membri dei
consigli d’amministrazione
tradizionali rappresentino gli
interessidegliazionisti.
Laredditivitàpresuntadi
un’azienda è facilmente
calcolabile tramite il valore
delle sue azioni. Ma non
esiste un metro di giudizio
altrettanto
preciso
per
misurare il servizio reso
dall’azienda agli stakeholder.
Sono stati fatti degli sforzi
ammirevoli per calcolare la
triple-bottom-line
di
un’azienda:lasuacapacitàdi
generarevalore,oltrecheper
gli azionisti, anche per i
dipendentielasocietànelsuo
intero. Nessuno di questi
tentativi, però, è riuscito a
superare
l’ostacolo
principale:
nel
supercapitalismo,
l’unica
forma di pressione che ha
qualche effetto è quella che
vienedaiconsumatoriedagli
investitori. Se ogni consiglio
d’amministrazione diventasse
un’assemblea in cui diversi
gruppi
di
stakeholder
stabilisseroilsalariominimo,
gli standard di sicurezza, le
politiche ambientali e così
via,leaziendesitroverebbero
a competere su piani
radicalmente
diversi.
Presumibilmente, quelle con
gli standard, e quindi i costi,
più bassi e i profitti più alti
attirerebbero i consumatori e
soddisferebbero le volontà
degliinvestitoriconmaggiore
facilità. Senza leggi che
dettino standard per tutte le
aziende, i consigli degli
stakeholder saranno sempre
svantaggiati.
Nel
supercapitalismo, quindi, la
vaga promessa di una
democrazia societaria si
riveladeltuttoillusoria.
Ifattiindicherebberoche
i consumatori, come gli
investitori,
non
hanno
abbastanza a cuore la
responsabilitàsocialealpunto
da
sacrificarsi
economicamente per essa.
Dopounostudioapprofondito
dei dati, il mio collega
professoreDavidVogel,della
Haas School of Business
dellaUniversityofCalifornia,
a Berkeley, ha concluso che
«le pratiche sociali e
ambientali della stragrande
maggioranza delle aziende
non hanno avuto alcun
impattosullelorovendite»254.
Ai consumatori piace
essere associati alle aziende
più simpatiche; specialmente
a quei consumatori che
possono permettersi il prezzo
della simpatia. Non a caso
Starbucks
compra
innumerevoli
spazi
pubblicitarisuigiornaliincui
elenca
i
finanziamenti
dell’azienda ai corsi di
alfabetizzazione per bambini
(«inapparenza,puòsembrare
chelaletturanonabbiamolto
achevederecolcaffè,peròa
tutto a che vedere con
un’azienda che vuole mettere
in pratica i suoi ideali e
relazionarsipositivamentecol
mondo»)255.Il brandimage è
sempre più importante.
Nell’etànonpropriodell’oro,
il valore contabile della
maggior parte delle aziende
consisteva in risorse fisiche,
comefabbricheeattrezzature,
oltre ai soldi depositati in
banca. Oggi, all’alba del XXI
secolo, questi hard assets, o
beni materiali, rappresentano
solo un terzo del valore
azionario dell’azienda tipo; il
resto è composto da beni
intangibili: brevetti, knowhow e la forza del brand.
Questo è uno dei motivi per
cui l’image advertising256 è
divenuto così importante e le
aziendespendonounafortuna
in attività di relazioni
pubbliche: 3,7 miliardi di
dollarisolonel2005257.Inun
universo di blog e di chat
room, l’immagine delle
corporation è sempre a
rischio.
Ma, come abbiamo
detto, c’è una differenza tra i
desideri
privati
del
consumatore e gli ideali
pubblici del cittadino. La
maggior
parte
dei
consumatori
cerca
la
convenienza, punto. Quasi il
50%
dei
consumatori
intervistati in un sondaggio
del 2002 ha affermato di
avere a cuore la difesa
dell’ambiente, ma che stava
alleaziendeoccuparsene,non
a loro. Stando a un altro
studio,
i
consumatori
comprano prodotti ecologici
solo quando non costano più
dei prodotti standard, hanno
almeno la stessa qualità ed
efficienza di questi ultimi,
appartengono a una marca
fidata, sono disponibili nei
negozi in cui sono soliti fare
la spesa e non richiedono un
cambio significativo delle
loroabitudini258.
Dopo
aver
scelto
espressamentediadottareuna
tecnicadipescadeltonnoche
proteggesse i delfini, la
Starkistpubblicòunaseriedi
pubblicitàincuideclamavala
lungimiranzadell’azienda.
La Starkist registrò in
poco tempo un aumento del
livello di approvazione dei
consumatori e della sua fetta
dimercato.Mal’aziendanon
sipotevapermetteredialzare
i prezzi per coprire i costi
dellenuovetecnichedipesca.
Come spiegò J.W. Connolly,
presidente della casa madre
della Starkist, «i consumatori
volevanounprodottochenon
minacciasse i delfini ma non
eranodispostiaspenderviun
po’ di soldi in più. Tra un
prodotto dolphin-safe e uno
più economico, la gente
sceglie quest’ultimo. Anche
se costa solo un penny di
meno»259.
I consumatori dicono di
avere
a
cuore
la
responsabilitàsociale,manei
fatti pochi sono disposti a
pagare per essa. In un
sondaggio europeo del 2004,
tre quarti degli intervistati si
dichiarano
disposti
a
cambiare i loro consumi a
causa del comportamento
socialeeambientaledialcune
aziende,masoloil3%dicedi
averlo effettivamente fatto260.
Anche quando viene chiesto
loro
di
definire
la
“responsabilità sociale”, i
consumatori la descrivono in
termini di appagamento
personale piuttosto che di
bene comune. In un
sondaggio co-sponsorizzato
dal «Wall Street Journal», fu
chiesto agli intervistati di
citare 43 attività che
influenzano positivamente
l’opinione che hanno delle
corporation.Incimaallalista
figuravano: «Prendersi la
responsabilità per i loro
prodotti/servizi e onorare le
garanzie» e «Creare prodotti
eservizidialtaqualità»261.
Iconsumatoridichiarano
di volere che le aziende
rispettino i diritti umani
all’estero.Nel1993,dopogli
eventi di piazza Tiananmen,
la Levi Strauss decise di
cominciare a chiudere la sua
produzione in Cina a causa
dello stato dei diritti umani
nel paese, una decisione
molto apprezzata al tempo262.
MaiconsumatoridellaLevi’s
noneranodispostiapagaredi
piùperdeijeansprodotticon
costi più alti in paesi che
rispettavano i diritti umani.
Nel 1998, quindi, l’azienda
ritornò sui suoi passi. O si
appoggiava alle aziende
manifatturiere
cinesi
o
rischiava
«di
rimanere
indietro nella competizione
per il mercato globale
dell’abbigliamento», come
spiegò
Peter
Jacobi,
presidente
della
Levi
Strauss263.
D’altra parte, un attacco
coordinato contro Wal-Mart,
nel 2004, da parte di
numerosi sindacati e gruppi
ambientalisti e studenteschi
potrebbe aver sortito qualche
effetto.IprofittidiWal-Mart
continuavano a crescere man
mano che l’azienda apriva
nuovi negozi, ma hanno
subito un rallentamento nel
2005, così come i profitti dei
singoli
negozi.
Questo
potrebbe essere dovuto al
colpo sferrato al portafoglio
dei clienti di Wal-Mart
dall’aumentodelprezzodella
benzina e dal declino dei
salari.Maunrapportoredatto
dalla McKinsey & Company
per conto di Wal-Mart, reso
pubblico da un gruppo antiWal-Mart, rivelò che tra il
2% e l’8% degli ex clienti
dell’azienda aveva smesso di
frequentare i suoi negozi a
causa delle «cattive notizie
pubblicate sui giornali»264.
Approfondiròquestotemapiù
avanti.
3
È da molto tempo che i
riformisti sociali denunciano
gli abusi delle corporation al
fine di mobilitare la gente a
favore di nuove leggi o
regolamenti che vi pongano
un freno. Il libro della
giornalista investigativa Ida
Tarbell, The History of the
Standard Oil Company,
pubblicato nel 1904, in piena
era progressista265, ispirò la
causa antitrust che portò allo
scorporo dell’azienda. Il
classico del 1906 di Upton
Sinclair, La giungla, svelò i
retroscena
dell’industria
dell’impacchettamento della
carneespianòlastradaverso
le prime norme sulla salute e
lasicurezza.Illibrodel1966
diRalphNaderUnsafeatAny
Speed rivelò l’indifferenza
dell’industria
delle
automobili alla sicurezza e
portò alla creazione della
National Highway Safety
Administration
(Agenzia
nazionale per la sicurezza in
autostrada). Lo scopo di
questi
e
altri
scoop
giornalistici non era spingere
lesingoleaziendeacambiare
rotta,mafomentareun’azione
politicachecostringesse tutte
le aziende a farlo. Tali sforzi
non sostituivano l’azione
politica, ma ne costituivano
unpresuppostonecessario.
Apartiredallafinedegli
anni Sessanta, i riformisti
feceropressionesulleaziende
che avevano rapporti col
Sudafrica perché aderissero a
delle linee guide antidiscriminazione note come
“Principi di Sullivan”, dal
nome di Leon Sullivan,
reverendo e membro del
consiglio d’amministrazione
della General Motors. Tra le
formedipressioneadottatevi
erano anche boicottaggi da
parte dei consumatori e degli
investitori nei confronti delle
aziende che non firmavano.
L’obiettivo,però,erapolitico:
costringere il governo del
Sudafrica
a
rinunciare
all’apartheid. Il movimento
anti-apartheid riuscì infine a
spingere il Congresso a
imporre sanzioni economiche
alSudafrica;altripaesifecero
lo stesso. Molte aziende
abbandonarono il paese. Alla
fine,l’apartheidcrollò.
Su scala minore, la
campagna del 1995 di
Greenpeace
contro
le
intenzioni della Shell Oil di
affondare
una
vecchia
piattaforma petrolifera nel
Mare del Nord britannico
aveva anch’essa un chiaro
obiettivo politico. Anche se
fu lanciato un boicottaggio
dell’azienda, l’obiettivo della
campagnanoneraumiliarela
Shell ma stimolare un’azione
politica che impedisse a
qualsiasi
compagnia
petrolifera di abbandonare le
proprie
piattaforme
semplicemente affondandole
nell’oceano. La campagna fu
unsuccesso.LaCommissione
Oslo-Parigi stabilì, nel 1998,
che ogni piattaforma di
questo tipo doveva essere
smantellata e smaltita a
terra266. Queste campagne
avevanoloscopodicambiare
le regole del gioco. I
consumatori e gli investitori
probabilmente finirono col
pagareleggermentedipiùper
cose come l’oro, visto che le
sanzioni economiche del
Congresso non rendevano
disponibile quello delle
miniere sudafricane, o il
petrolio, proveniente da
piattaforme che ora avevano
costi di smaltimento più alti.
Ma questi piccoli aumenti di
prezzo con ogni probabilità
erano
giustificati
dalle
conquiste sociali che li
determinavano, come aveva
decretato
il
processo
democratico267. I sindacalisti
fanno pressione sulle grandi
aziende perché consentano ai
lavoratori
di
decidere
liberamente se formare un
sindacato o meno; anche in
questo caso, l’obiettivo
politicoèquellodialteraregli
equilibridipoteretrapadroni
edipendenti.
Senza uno specifico
obiettivo
politico,
la
corporate
social
responsibility
è
solo
l’espressionedell’influenzadi
un certo gruppo su una
specifica azienda o industria,
edunqueèdeltuttoarbitraria.
Un fondo di investimento
socialmente
responsabile
dovrebbeescludereleaziende
che producono energia
nucleare, come sostengono
alcuni antinuclearisti? Quegli
ambientalisti che sostengono
che l’energia nucleare è
l’alternativa migliore ai
combustibili fossili non
sarebbero
d’accordo.
Dovrebbero
essere
privilegiate le uova prodotte
dalle aziende agroindustriali
che
impiegano
galline
ruspanti, come sostengono
alcuni animalisti? C’è chi
preferisce le galline in
batteria perché questo limita
il loro contatto con uccelli
migratori
potenzialmente
portatori di aviaria. I
consumatori e gli investitori
socialmente
responsabili
dovrebbero boicottare le
aziende che producono ogni
tipo di bevanda alcolica, tra
cuiilvinoelabirra,osoloi
liquori? Dovrebbero evitare
tutte
le
società
di
comunicazione
che
producono materiali violenti
odicaratteresessuale,osolo
quelle che cadono sotto la
sogliadelladecenza?
Senza un processo
politico che stabilisca quali
sono le priorità, le risposte a
queste domande sono del
tutto
arbitrarie.
La
democrazia elettorale è una
faccenda
difficile
e
complicata, nel migliore dei
casi. Come abbiamo visto, le
corporation hanno invaso il
sistema politico al punto che
le voci dei cittadini si
possono a malapena sentire.
Ma non c’è altro modo per
determinare gli obblighi
sociali del settore privato se
non attraverso il processo
democratico. Rendere le
società “socialmente più
responsabili” è un obiettivo
meritevole, ma possiamo
perseguirlopiùefficacemente
cercando di far funzionare
megliolademocrazia.
Fare pressione sulle
aziende perché rendano più
virtuosi i loro comportamenti
è un meccanismo arbitrario
che dovrebbe essere lasciato
ai politici. Prendete le
laceranti controversie negli
Stati Uniti su temi come i
diritti dei gay, l’aborto e le
armidafuoco.IlCongressoe
i singoli Stati vi si sono
destreggiati per anni; alcune
battaglie sono arrivate anche
nelle corti statali e federali.
Anche se non vi sarà mai un
consenso unanime su certe
questioni, almeno il processo
democratico e i tribunali
offrono gli strumenti per
trovare un equilibrio tra le
varie posizioni. A differenza
delsettoreprivato.
Nel 2006, l’American
Family
Association
(Associazione delle famiglie
americane),
un’organizzazione no-profit
con sede a Tupelo, nel
Mississippi, criticò Wal-Mart
peraveraderitoallaGayand
Lesbian
Chamber
of
Commerce e lanciò un
boicottaggio dell’azienda268.
All’inizio,Wal-Martdifesela
propria scelta e sfidò il
boicottaggio. Ma quando una
coalizione di gruppi religiosi
intimò alle farmacie WalMart di non vendere il
contraccettivo d’emergenza
comunemente noto come
“pillola del giorno dopo”,
Wal-Mart si arrese. Quando
numerose
associazioni
femminili chiesero a WalMartdirimettereinvenditala
pillola, l’azienda tornò
parzialmente sui suoi passi:
rese disponibile la pillola ma
prese le difese dei farmacisti
che per motivi personali si
rifiutavano di venderla. Le
associazioni
femminili
continuaronoafarepressione
sull’azienda
perché
obbligasse i suoi farmacisti a
fornirelapillola269. Qual è la
scelta
socialmente
responsabile che Wal-Mart
deveprendere?L’aziendanon
ha gli strumenti per prendere
una decisione equilibrata, se
non vedere quale delle due è
menodannosaperiprofitti.
L’American
Family
Association organizzò anche
un boicottaggio della Ford
Motor Company per aver
pubblicatodellepubblicitàsu
alcune riviste per gay. Come
conseguenza,laFordsmisedi
pubblicarle. Non sorprende
che la decisione dell’azienda
abbiaadiratogliattivistiperi
diritti dei gay. «Come
dovremmo reagire quando i
nostri amici ci dicono: “Gay,
sentite, dobbiamo troncare i
rapporti perché abbiamo la
destra
religiosa
alle
calcagna”?», si chiese Kevin
Cathcart, direttore esecutivo
del Lamda Legal Defense
Fund.«Nondovrestistringere
accordi coi prepotenti e
mollareituoiamici»270.Dopo
vari incontri coi leader di
numerosi gruppi per i diritti
deigay,laFordannullòlasua
decisione271,
spingendo
l’American
Family
Association e altri 43 gruppi
religiosi a ripristinare il
boicottaggio. «Non possiamo
stare a guardare mentre la
Forddàilsuosostegnoauna
politica finalizzata alla
distruzione della famiglia, e
non lo faremo», dichiararono
i gruppi in una lettera
all’amministratore delegato
della Ford, William Clay
FordJr272.
Nel 2004, Focus on the
Family, un altro gruppo
religioso conservatore, incitò
i consumatori a boicottare i
due prodotti principali della
Procter & Gamble, il
detergente Tide e il
dentifricio Crest. L’azienda
aveva irritato il gruppo per
aver preso pubblicamente le
difese di un’ordinanza della
cittàdiCincinnatichevietava
la discriminazione contro gli
omosessuali. Nel frattempo,
l’Action League of Chicago,
un’organizzazione
antiabortista, decretò il
boicottaggio delle bambole
American Girl, di proprietà
dellaMattel,perchél’azienda
avevadonato50.000dollaria
un’organizzazione di nome
Girls, Inc., che offriva corsi
doposcuola
a
ragazze
svantaggiate su temi che
andavano dalla prevenzione
delle gravidanze all’abuso di
droga e che, in una delle sue
pubblicazioni,
aveva
appoggiato la decisione della
Corte Suprema nel caso Roe
v.Wade273.Piùrecentemente,
la National Rifle Association
(Associazionenazionaledelle
armidafuoco)haminacciato
di erigere centinaia di
cartelloni in cui avrebbe
descritto il gigante del
petrolioConocoPhillipscome
un nemico dei possessori di
armi
da
fuoco.
La
ConocoPhillips aveva attirato
verso di sé le ire della NRA
prendendo parte a una causa
per bloccare una legge
dell’Oklahoma
che
permetteva ai dipendenti di
portare armi da fuoco sul
postodilavoro.Unportavoce
della ConocoPhillips disse
chel’aziendaerapreoccupata
per la sicurezza dei suoi
dipendenti274.
In casi come questi, le
aziende si trovano nel mezzo
di un fuoco incrociato. Dal
momentochequestebattaglie
hanno luogo al di fuori dei
tradizionali canali politici e
sono indirizzate ad aziende
specifiche, costringono i
dirigenti delle corporation ad
assumereloscomodoruolodi
politici che cercano un
equilibrio
tra
visioni
contrastantidelbenecomune.
Ma i dirigenti non hanno gli
strumentiperprenderequeste
scelte. Sono stati assunti per
soddisfare le richieste dei
consumatori
e
degli
investitori.
È per questo che, per
quanto
possano
essere
convincenti o irritanti gli
attivisti di una o dell’altra
parte, alla fine le corporation
devono fare ciò che è
necessario per ridurre i costi.
Seun’aziendadovessecedere
di fronte a una richiesta che
impone dei costi aggiuntivi
all’impresa, un concorrente
che non ha preso parte
all’accordo
prenderebbe
rapidamente il suo posto.
AncheseungiornoWal-Mart
si convincesse ad aumentare
gli stipendi e offrire una
migliorecoperturasanitariaai
suoi dipendenti – portando
l’azienda ad aumentare i
prezzipercompensareicosti
aggiuntivi–un’altracatenadi
ipermercati prenderebbe il
suoposto,offrendosalaripiù
bassi e benefici sanitari più
esigui e quindi prodotti più
economici.
Alla fine degli anni
Novanta, la Nike finì nel
mirino
di
numerose
organizzazioni
che
denunciavano il trattamento
subito dai lavoratori stranieri
nelle fabbriche dell’azienda
situate nei paesi poveri. Il
fumetto di Garry Trudeau,
Doonesbury,
attaccò
l’aziendaperunasettimanadi
fila. Alla fine la Nike istituì
un meccanismo di controllo
delle
aziende
a
cui
subappaltava il lavoro,
licenziando i manager più
autoritari,
rimpiazzando
forme di colla cancerogene
con equivalenti solubili in
acqua e permettendo ai
sindacati l’accesso ad alcuni
stabilimenti. Ma un decennio
più tardi, la Nike si trovò a
competere con aziende come
la New Balance, che non
disponevanoditalisistemidi
controllo.Gliattivistidunque
presero di mira la New
Balance, denunciando, nel
gennaio del 2006, che gli
operai delle sue fabbriche
cinesieranocostrettiafaregli
straordinari per dei salari da
fameeincondizionidilavoro
insicure275.Forseungiornola
New Balance si assumerà le
sue responsabilità. Ma cosa
dovrebbe impedire alla
Adidas, alla Airwalk e a
centinaia di altre aziende di
prendereilsuoposto?Senon
si cambiano le regole del
gioco,nelsupercapitalismole
aziende meno “socialmente
responsabili”
godranno
sempre di un vantaggio
competitivo. È una corsa
senzafine.
Inoltre, non solo non
dovrebbe
spettare
alle
corporationstabilireciòcheè
meglio per la collettività, ma
nel supercapitalismo queste
sono spesso incapaci di
offrire servizi che sono per
loro
natura
pubblici.
Costringerleafarlofasorgere
ladomandasetaliservizinon
sarebbero
amministrati
meglio dal settore pubblico.
La campagna contro WalMart, nelle sue numerose
pubblicità a tutta pagina,
denunciavache«isalaribassi
e i benefici miseri offerti da
Wal-Mart costringono decine
di migliaia di dipendenti
dell’azienda a ricorrere al
Medicaid276,
ai
buoni
alimentarieaglialloggiperi
poveri.Sipotrebbedefinirela
“Tassa Wal-Mart”. E ogni
anno, in tasse federali, costa
ai cittadini 1,5 miliardi di
dollari»277. Il problema con
questoragionamentoèchegli
StatiUnitihannogiàsceltodi
offrire il Medicaid, i buoni
alimentari e gli alloggi ai
poveri, anche se questi
lavorano. Si è deciso che era
piùefficientechetalibenefici
venisserooffertidalGoverno,
e che i datori di lavoro
informasseroilorodipendenti
sottopagati
della
loro
esistenza, piuttosto che farli
gravaresulsettoreprivato.Se
vogliamo cambiare le regole
e imporre alle aziende di
offrire salari e benefici
sanitari sufficientemente alti
da non costringere nessun
dipendente
a
ricorrere
all’assistenza
governativa,
dovremmo sforzarci di
raggiungere questo obiettivo
per mezzo del processo
democratico. Ma ha poco
senso
rimproverare
un’azienda, anche se delle
dimensionidiWal-Mart,solo
perché segue le regole del
gioco.
Dovremmo cambiare le
regole del gioco, come
sostengono i critici di WalMart? È un tema di cui
varrebbe la pena discutere,
maciònonavviene.Daparte
mia, credo che il salario
minimo dovrebbe essere
portato al livello di circa la
metàdellostipendiomediodi
un lavoratore. Questo era il
rapporto in vigore durante
l’età non proprio dell’oro, e
mi pare ancora oggi un
compromesso ragionevole.
Ma i critici di Wal-Mart
vogliono anche che l’azienda
offra ai suoi dipendenti una
buona copertura sanitaria,
che, secondo me, non è più
una
responsabilità
che
dovrebbero assumersi le
aziende.
Abbiate la pazienza di
seguire un attimo il mio
ragionamento, perché questo
è esattamente il tipo di
discussione che dovremmo
affrontare piuttosto che
concentrarci unicamente su
Wal-Mart.Laragionepercui
le aziende hanno cominciato
a offrire ai loro dipendenti
l’assicurazionesanitariaèche
questa era una forma di
pagamento detassata. Questo,
nell’età non proprio dell’oro,
larendevaattraentesiaperle
aziende che per i dipendenti,
prima
che
i
costi
dell’assistenza
medica
schizzassero alle stelle e la
concorrenza si facesse più
intensa.Anchesel’assistenza
sanitariaaziendaledaallorasi
è progressivamente ridotta,
nel 2006 rappresentava
ancora
la
principale
agevolazionefiscaledituttoil
sistema fiscale federale
americano. Stando a una
stima
recente,
se
si
cominciassero a tassare i
benefici sanitari, le aziende
pagherebbero 126 miliardi
all’anno di tasse in più278. In
altre parole, l’assistenza
sanitaria
aziendale
rappresenta un sistema
sanitariostataleombrada126
miliardi di dollari l’anno già
perfettamentefunzionante.
Maèunsistemaassurdo.
Non ne avete diritto proprio
quando è probabile che voi e
la vostra famiglia ne avreste
più bisogno: quando perdete
il lavoro e il vostro reddito
precipita. E di questi tempi,
come abbiamo visto, nessun
lavoro è garantito. Perché
gravare con questo ulteriore
peso sui dipendenti che
vengono
licenziati,
escludendoli da questo
sistema sanitario ombra?
Inoltre, il sistema distorce il
mercato del lavoro. Trattiene
molte persone dal cambiare
lavoro per paura di perdere
l’assicurazione sanitaria e i
benefici che ricevono al
momento. E invita i datori di
lavoro ad aggirare il sistema,
assumendo
dipendenti
giovani e in buona salute
piuttosto che persone più
anziane e dunque più a
rischio. Il sistema incoraggia
anche le aziende a spingere i
dipendenti sposati a passare
sull’assicurazione sanitaria
delconiuge,cosìdascaricare
i costi sull’azienda di
quest’ultimo.
È un sistema che
funziona al contrario. In
generale, meno paghi, meno
garanzie sanitarie hai. Anche
se si riuscisse a convincere
Wal-Mart a migliorare la
copertura sanitaria per i suoi
dipendenti di reddito più
basso,
questo
non
cambierebbe il quadro più
ampio delle cose nel paese. I
lavoratori meno pagati di
solito non godono di alcuna
coperturasanitaria.Piùaltoè
lo stipendio, migliore è la
copertura sanitaria, con i
massimi dirigenti e le loro
famiglie che beneficiano di
piani sanitari in grado di
garantire cure mediche nelle
migliori strutture del paese
praticamente per qualsiasi
acciacco
si
possa
immaginare.Diconseguenza,
il nostro sistema sanitario
stataleombrada126miliardi
didollaribeneficiasoprattutto
lefascediredditopiùalte.
Per tutti questi motivi,
sonoarrivatoallaconclusione
che l’assicurazione sanitaria
dovrebbe essere svincolata
dal lavoro. Invece di
condannare le aziende come
Wal-Martperchéoffronouna
misera copertura sanitaria,
dovremmo dire alle aziende
di rinunciare a offrire
qualsiasi forma di assistenza
sanitaria e eliminare l’intero
sistema sanitario ombra da
126 miliardi di dollari.
Sarebbe molto più utile
investire quel denaro in un
sistema sanitario universale
accessibile
a
tutti,
indifferentemente da quanto
guadagnano,dovelavoranoo
ancheselavorano.
Ma non possiamo
affrontare
questa
conversazione
finché
continuiamoabatterciperché
Wal-Mart offra una migliore
copertura sanitaria ai suoi
dipendenti e finché questa
battaglia avviene al di fuori
del processo democratico.
Trasformandola in una
crociata morale contro Wal-
Mart,gliattivistitrasformano
quellochedovrebbeessereun
dibattito nazionale sulle
politiche pubbliche del paese
in un una battaglia sul brand
imagediunasingolaazienda.
4
Anche se le guerre
d’immaginesullevirtùdiuna
singola azienda possono
ricorrere a tutto il repertorio
delle campagne politiche, i
loro esiti non sono affatto
politici. Non viene eletto né
deposto nessuno, né attuato
alcun
programma
o
piattaforma
politica
o
cambiata alcuna legge. La
questione di fondo di queste
guerre non è quale sia la
miglior politica possibile, ma
quanto sia proba un’azienda.
È un surrogato della politica:
una distrazione di massa dai
problemireali.
I protagonisti della
campagna contro Wal-Mart
hannodescrittolabattagliain
terminialtisonanti.«Questaè
un’offensiva contro un
modello aziendale», ha
dichiarato Carl Pope, un
leader di vecchia data del
movimento ambientalista che
si è unito alla battaglia nel
2005. «Non vogliamo far
chiudere
Wal-Mart»279.
Andrew Grossman, direttore
esecutivo
di
Wal-Mart
Watch, una coalizione di
gruppi anti-Wal-Mart, ha
chiarito:
«Stiamo
concentrando i nostri sforzi
su Wal-Mart perché influisce
sucosìtantiaspettidellavita
americana». Grossman ha
ammesso che Wal-Mart offre
molti prodotti di qualità ai
prezzi più bassi che ci siano,
mahaaggiuntochequesto«a
volte ha un alto costo per la
società».
L’obiettivo
dichiaratodellacampagnaera
far guadagnare a Wal-Mart
«più soldi, ma in maniera
responsabile»280.
Cosa
significa questo esattamente?
Cosa volevano ottenere
veramente i promotori della
campagna?
La campagna ha fatto
usodipubblicitàsullastampa
e in televisione, di video,
libri, siti web, eventi e anche
di un film. I membri del più
grande
sindacato
degli
insegnanti degli Stati Uniti
hanno
lanciato
un
boicottaggio
dell’azienda,
esortandoglistudentieiloro
genitori a non comprare gli
articoli scolastici nei negozi
Wal-Mart.
Un
sistema
telefonico automatico ha
contattato decine di migliaia
di persone nello Stato natale
di Wal-Mart, l’Arkansas, alla
ricerca
di
potenziali
informatori che rivelassero
notizie
scomode
per
l’azienda. È stato distribuito
inInternetunkitinformativo
sucomeimpedireaWal-Mart
di aprire un negozio nella
propriacittà.
Il movimento è guidato
dapersoneconun’esperienza
politica diretta. Paul Blank,
uno degli organizzatori, è
statoildirettorepoliticodella
campagna presidenziale di
Howard Dean. Chris Kofinis,
un altro dei promotori, ha
contribuitoallacampagnaper
arruolare il generale Wesley
Clark
nelle
elezioni
presidenziali del 2004. Jim
Jordan è stato il direttore
della campagna presidenziale
di John Kerry. Tracy Sefl ha
lavorato per il Democratic
National Committee, per il
quale era incaricata di
diffondere sui media cattive
notizie su George Bush nel
2004.
Wal-Mart ha risposto
con una contro-campagna
multimiliardaria diretta a
dipingere l’azienda come
amica dei lavoratori, attenta
all’ambiente e socialmente
responsabile. Anch’essa ha
assunto la sua squadra di
politici navigati, guidati da
Michael Deaver, un tempo il
curatore d’immagine di
Ronald Reagan, e Leslie
Dach, uno dei consulenti
mediatici di Bill Clinton, che
ha anche assistito Al Gore ai
dibattiti presidenziali del
2000, coadiuvati da Jonathan
Adashek, che ha diretto la
strategia
nazionale
dei
delegati per conto di John
Kerry,eDavidWhite,cheha
aiutato a organizzare, nel
1998, la rielezione della
repubblicana del Connecticut
NancyJohnson.Ilconsulente
del gruppo è Terry Nelson,
che è stato direttore politico
nazionale della campagna di
GeorgeBush,nel2004.
Ha lanciato una serie di
pubblicità televisive in cui
dipendenti neri, ispanici e di
sesso femminile lodano i
benefici e le opportunità di
carriera offerte dall’azienda.
Ha
comprato
spazi
pubblicitari sui giornali in
lingua asiatica e ispanica per
raggiungere il maggior
numero di consumatori
possibili, pubblicità a tutta
pagina
sui
principali
quotidiani del paese e ampi
spazi su specifici media
d’élite, accusando i critici
dell’azienda di distorcere la
realtà.«Quandoinostricritici
manipolano la realtà per
servire i loro interessi
economici e potenziali ci
sentiamo in dovere di
difenderci», era la frase di H.
Lee Scott Jr citata in una
pubblicità a due pagine sulla
«New York Review of
Books».
Wal-Mart
ha
prodotto anche degli spot
televisivi che ricordavano
molto da vicino lo spot
realizzato da Bill Clinton per
lacampagnapresidenzialedel
1992, Un luogo chiamato
speranza (A Place Called
Hope). La pubblicità di WalMart inizia con un’immagine
della prima bottega di Sam
Walton. «È iniziato tutto con
un grande sogno in una
piccola cittadina», recita una
sonora voce narrante. «Il
sognodiSamWalton».
Come ha riportato il
«New York Times», il
“consigliodiguerra”diWalMart si riunisce tutte le
mattine alle 7, esamina la
rassegna stampa e video che
riguarda
l’azienda
e
ogniqualvolta trova delle
critiche
telefona
immediatamentealgiornalista
ediffondemessaggisulwebe
comunicati stampa in cui
controbatte. Tiene aggiornati
ibloggeresuggeriscelorogli
argomenti dei post. Ha
organizzato e finanziato un
gruppo che si chiama
Working Families for WalMart(Famiglielavoratriciper
Wal-Mart) e ha arruolato i
fornitori dell’azienda nella
battaglia.
La squadra di Wal-Mart
descrive la sua controcampagna con un linguaggio
comunemente riferito alle
battaglie politiche. L’hanno
definita “candidato Wal-
Mart”. Robert McAdam, un
ex stratega politico al
Tobacco Institute chiamato a
bordo come responsabile
delle
corporate
communications, dice che
Wal-Mart sta prendendo di
mira «gli elettori indecisi»:
quei consumatori che non
hanno ancora sviluppato
un’opinione negativa nei
confronti
dell’azienda.
Descrive coloro che sono
andati a vedere il film anti-
Wal-Mart
come
«profondamente credenti nel
loro punto di vista», che
probabilmente
avevano
costruito
già
precedentemente.
«Loro
hanno la loro base. Noi
abbiamolanostra.Mac’èun
gruppo al centro a cui
cerchiamotuttidiarrivare»281.
Wal-Mart,
come
conseguenza di tutto questo
trambusto, è rinata come
un’azienda
socialmente
responsabile?
Immediatamente in seguito
alla devastazione causata
dall’uragano Katrina, WalMart donò 15 milioni di
dollari in contanti al BushClinton Katrina Fund e offrì
vari milioni di dollari
all’Esercito della Salvezza e
alla Croce Rossa americana.
Nel giro di qualche giorno,
l’azienda offriva a tutti i
dipendenticostrettifuoricasa
dall’alluvione 1.000 dollari
come assistenza d’emergenza
–circatresettimanedisalari,
esentasse – e lavori
temporanei negli altri negozi
delpaese.L’aziendaspedìpiù
di cento camion di merci ai
centridievacuazione;offrìai
cittadini delle zone colpite
razioni gratuite dei farmaci
con prescrizione; e destinò
almenounadozzinadiedifici
Wal-Mart per essere usati
come rifugi, banche del cibo
e centri di comando della
polizia282.
Wal-Martsièimpegnata
aessere–oadapparirecome
– un’azienda più vicina ai
lavoratori e alle comunità in
cui opera. Ha inaugurato un
ufficio per la promozione
della diversità e ha esteso
l’assicurazione sanitaria ai
bambini dei lavoratori parttime.Haannunciatounpiano
per aiutare i piccoli
rivenditori vicini ai negozi
Wal-Mart.Edèdiventata–o
almeno così sembrerebbe –
ambientalista convinta. Ha
lanciato un programma per
incentivare il riciclo delle
buste della spesa e degli altri
materialidiplasticacheisuoi
consumatori
di
solito
spediscono nelle discariche;
ha iniziato a sperimentare
l’utilizzo di alberi e altre
piante nei suoi parcheggi per
assorbire le emissioni di
anidride carbonica e l’acqua
contaminata;sièimpegnataa
investire nell’energia solare
ed eolica, a utilizzare
lampadine
a
risparmio
energetico e a riciclare i
materiali impiegati nella
pavimentazione esterna dei
suoinegozi.L’amministratore
delegato Scott, nel 2006, ha
dichiarato che l’azienda si
sarebbe
appoggiata
esclusivamente a fonti di
energia rinnovabile «che
tutelino le risorse e
l’ambiente»283.
Tutti questi sforzi sono
encomiabili,
ma
anche
sommati,
ammontano
comunque a una frazione
irrisoria del fatturato annuale
diWal-Mart.Alcunidiquesti
impegni, come quello di
privilegiare
le
energie
rinnovabili,nonhannoalcuna
precisa scadenza: lo stesso
Scott ammette di non avere
«un’idea precisa di come
metterle in pratica»284. E non
è chiaro quanto rimarrà viva
l’attenzione nei confronti
della “responsabilità sociale”
quando e se la pressione
sull’azienda
dovesse
allentarsielacampagnaantiWal-Mart giungere alla fine,
come presumibilmente dovrà
accadere un giorno. Non è
necessario
essere
particolarmente cinici per
immaginarecheWal-Martsta
facendo
il
minimo
indispensabile, in termini
economici,percontrastaregli
effetti
negativi
della
campagna di denuncia. È ciò
che
le
impone
il
supercapitalismo. Non c’è
modo di sapere se un
successivo studio della
McKinsey abbia informato
Wal-Mart di aver recuperato
la clientela persa o se vi è
invece ancora un 2% o 3%
che non vi mette più piede e
dunque
l’immagine
dell’azienda necessiti di
un’ulteriore spolverata. Ma
possiamostarecerticheWalMartprestagrandeattenzione
ai sondaggi, e calibra le sue
azionidiconseguenza.
Ricordate,poi,cheWalMart rappresenta un caso
particolare. È un’istituzione
enorme, ubiqua e molto
visibile–ilpiùgrandedatore
dilavorod’Americaeunodei
più grandi al mondo – il che
la rende particolarmente
sensibile
alle
tattiche
essenzialmente politiche dei
suoi avversari. Per quanto la
campagna anti-Wal-Mart sia
riuscita a migliorare il
comportamento dell’azienda,
è improbabile che le stesse
tattiche possano essere
altrettanto efficaci con la
maggior parte delle altre
aziende.
La
capacità
della
moderna corporation di
comprarsi una via d’uscita
pressoché
da
qualsiasi
problema
di
pubbliche
relazioni suggerisce che le
campagne finalizzate a
rendere
le
aziende
“socialmente
più
responsabili” difficilmente
riusciranno a stabilire nuove
norme di comportamento
aziendale. Questo anche se
propongono standard precisi,
e sempre che qualche rivale
non corra a riempire il vuoto
lasciato da un’azienda che si
assume costi più alti. È
probabile che entrambe le
parti impieghino tecniche
prettamente politiche nella
battaglia, e che qualche
candidato politico critichi la
condottadiun’azienda.Main
questi contesti la politica
reale – quella dei conflitti e
delle
deliberazioni
democratiche – è del tutto
assente.
5
Lo zelo con il quale le
corporation
hanno
abbracciato la filosofia della
responsabilità
sociale
potrebbe indurre la gente a
illudersi che non esistano
problemi che necessitano
urgentemente della nostra
attenzione.Vivideespressioni
di bontà aziendale possono
finire per oscurare quei
problemicheunademocrazia
dovrebbe affrontare – che
senza dubbio affronterebbe –
se la gente ne comprendesse
lerealiimplicazioni.Epoiché
il tempo d’attenzione della
gente è sempre più breve,
queste
manifestazioni
temporanee
possono
prevenire
soluzioni
permanenti.
In seguito ai brontolii
della
Federal
Communications
Commission e dei politici
conservatori in merito ai
contenuti violenti e sessuali
dellaprogrammazioneofferta
dalle compagnie via cavo,
all’inizio del 2006 gli
operatori hanno annunciato
unpianoperoffrirecanaliper
tutta la famiglia, affinché i
genitori possano controllare
ciò che guardano i loro figli.
«A questo punto non serve
più alcuna legge», ha
affermato
il
senatore
repubblicanodell’AlaskaTed
Stevens, presidente del
Senate
Commerce
Committee,
dopo
le
rassicurazioni delle aziende
fornitrici di servizi via cavo.
«Dobbiamo prima vedere se
il piano funziona»285. Ma le
compagnie via cavo avevano
già fatto promesse di questo
tipo in passato, senza mai
tenervi fede. Con ogni
probabilità,
queste
continueranno a privilegiare
programmi
violenti
e
sessualmente espliciti finché
il Congresso o l’FCC non le
fermerà, perché cose di
questo tipo vendono molto
bene.
Non molto tempo fa, la
Kraft Foods ha annunciato
che avrebbe smesso di
pubblicizzare alcuni prodotti
rivolti a bambini al di sotto
dei12anni.Lanotiziaèstata
accolta come un radioso
esempio di responsabilità
sociale. Ma non era affatto
così. Uno studio governativo
pubblicato poco prima che la
Kraft facesse il suo annuncio
aveva concluso che la
pubblicitàrivoltadirettamente
ai
bambini
contribuiva
all’obesità infantile; due
progetti di legge del
Congresso proponevano di
regolamentare tali pubblicità.
L’iniziativadellaKraftaveva
lo scopo di prevenire
l’introduzione di queste leggi
e mantenere un livello di
discrezionalità nella scelta
delle sue pubblicità. Afferma
Michael Mudd, il principale
organizzatore della strategia
anti-obesità della Kraft: «Se
l’industriadeltabaccopotesse
tornare indietro di venti o
trent’anni, riformare le sue
strategie di comunicazione,
disarmare i suoi critici e
sacrificare qualche centinaio
di milioni di dollari, sapendo
ciò che sanno oggi, non
credete che lo farebbe in un
batter d’occhio? È la stessa
opportunità che oggi si
presentaanoi»286.Manmano
che montava la pressione
popolare per una legge che
vietasse le pubblicità di cibo
spazzaturarivolteaibambini,
l’annunciodellaKraftèstato
seguitodall’impegnodaparte
della General Mills, di
McDonald’s e della CocaCola di dedicare almeno la
metà delle loro pubblicità
mirate ai bambini alla
promozione di «stili di vita
salutari»287. Ma le aziende si
sono guardate bene dal dire
cosa intendevano per stili di
vita salutari, e come questi
sarebbero coesistiti con gli
stili di vita con ogni
probabilità poco salutari che
avrebbero reclamizzato con
l’altra metà del loro budget
pubblicitario.
Allo stesso modo, la
News
Corporation,
il
conglomerato mediatico di
Rupert
Murdoch,
ha
recentemente lanciato una
campagna
pubblicitaria
multimiliardaria
di
sensibilizzazione
nei
confronti dei potenziali
pericoli che la rete presenta
per le adolescenti. Pensate si
tratti di un caso di
responsabilità
sociale?
Ricredetevi. Diversi alti
magistrati statali avevano
minacciato iniziative legali
contro MySpace, di proprietà
della News Corp., affinché
introducesse degli strumenti
gratuiti che permettessero ai
genitori di bloccare l’accesso
al sito dal loro computer di
casa. Ma misure di questo
tipo avrebbero leso i profitti
della News Corporation.
L’azienda, dunque, ha deciso
di lanciare la sua campagna
“responsabile” nella speranza
di bloccare qualsiasi misura
legale288.
Manifestazioni di virtù
aziendale
come
questa
possono indurre la gente a
illudersichecisipossafidare
di un’azienda affinché faccia
ciò che è meglio per la
società, anche a spese dei
consumatoriedegliazionisti.
Nel 2002, la British
Petroleum cambiò il proprio
nome in BP e iniziò a
presentarsi
come
una
compagnia petrolifera attenta
all’ambiente e con una
visione che andava “Oltre il
petrolio”
(“Beyond
Petroleum”), a includere
l’energia solare ed eolica. In
una campagna pubblicitaria
da 200 milioni di dollari
gestita
dall’agenzia
pubblicitaria Ogilvy &
Mather, la BP trasformò il
suologodaunoscudoinuno
sprazzodisoleverde,gialloe
bianco
dall’aspetto
decisamente più naturalista.
L’amministratore delegato
dellaBP,LordJohnBrowne,
cominciò a parlare dei rischi
del riscaldamento globale e
disse che l’azienda aveva la
responsabilità sociale di
affrontareilproblema289.
Nonostante
il
suo
cambio d’immagine, la BP
continua a essere uno dei
principali produttori di
petrolio crudo sul pianeta.
Anche se si è impegnata a
investire otto miliardi di
dollari
nelle
energie
alternative nel corso di dieci
anni, circa 800 milioni di
dollaril’anno,questaèancora
una cifra irrisoria rispetto al
fatturato annuale della BP di
piùdi20miliardididollarie
alle sue spese in conto
capitale che negli ultimi anni
hanno superato i 14 miliardi
di dollari290. Nel 2006, col
petroliointornoai70dollaria
barile e la BP che mieteva
profitti record, sarebbe stato
lecito
aspettarsi
che
un’azienda impegnata ad
andare «oltre il petrolio»
investissedipiùnellefontidi
energia non fossile. Ma gli
investitoridellaBPnonerano
interessati
a
essere
socialmente
responsabili.
Volevanomassimizzareiloro
ritorni, e i ritorni dei
combustibili non fossili
erano, nella migliore delle
ipotesi, a diversi anni di
distanza,mentreiritornidella
produzione di petrolio erano
ingenti
e
immediati.
Nell’estate del 2006, il
Congresso
approvò
un
progetto di legge sull’energia
che destinava poche briciole
allaricercadifontidienergia
non fossile e lauti compensi
allecompagniepetrolifereper
l’esplorazione e per lo
sviluppo di combustibili
fossili. È probabile che la
campagna pubblicitaria della
BP
abbia
rafforzato
l’opinione
della
gente
secondo cui il settore privato
si stava già prendendo cura
delproblema.
Nelfrattempo,laBPnon
sembrava troppo preoccupata
dall’opinione pubblica. Nel
marzodel2005,lacorrosione
delle
condutture
e
dell’attrezzatura
della
compagnia a North Slope, in
Alaska, portò a una
fuoriuscita di un milione di
litri di petrolio, il più grave
incidente del genere mai
avvenuto in quel fragile
territorio. I critici accusarono
la BP di non investire
abbastanza nella prevenzione
degli incidenti. Infine, nel
2006, dopo essere stata
costretta
dal
Governo
statunitenseaispezionaretutti
i suoi oleodotti per mezzo di
undispositivoautomaticoche
striscia lungo le condutture,
l’azienda rilevò danni agli
oleodotti talmente estesi che
fu costretta a chiudere un
raccordo di 25 chilometri
verso l’oleodotto TransAlaska. E nonostante gli
sforzi dei lobbisti e degli
avvocati della BP a
Washington, l’azienda finì
sotto
indagine
per
un’esplosione avvenuta nel
suo stabilimento di Texas
City,cheprovocòlamortedi
15operaiecostòallaBPuna
sanzione di 21,3 milioni di
dollari da parte delle agenzie
per la sicurezza. Una
commissione federale per la
sicurezza individuò le cause
della tragedia nei tagli della
BP ai costi per la
manutenzione
e
la
sicurezza291.Iregolatoridella
Commodity Futures Trading
Commission accusarono la
BP di manipolare il prezzo
del propano approfittando
dellasuaposizionedominante
sul mercato, aumentando
quindi
il
costo
del
riscaldamento di milioni di
famiglie al picco della
domandainvernale292.Inoltre,
l’azienda era sotto indagine
da parte dell’Environmental
Protection Agency (Agenzia
per
la
protezione
dell’ambiente) per violazione
delle
norme
sull’inquinamento dell’aria e
da parte del dipartimento del
Lavoro e della Chemical
Safety
and
Hazard
Investigation
Board
(Commissione per la verifica
della sicurezza e dei pericoli
chimici) per violazione delle
norme sulla sicurezza. Forse
tutti questi illeciti e queste
negligenze sarebbero venuti
alla luce comunque, ma è
probabile che gli sforzi della
BP per presentarsi come
un’azienda
socialmente
responsabileabbianomitigato
lo sdegno della gente e
frenato la richiesta per una
riformapiùgenerale.
Le manifestazioni di
virtùaziendalepossonoanche
oscurare realtà che altrimenti
alimenterebbero la richiesta
di riforme. Ricordate il
fermento mediatico nei
confronti delle aziende che
sfruttavano i lavoratori
all’estero,allametàdeglianni
Novanta? I produttori e i
grandi
rivenditori
di
abbigliamento
evitarono
l’introduzione di qualsiasi
leggeonormapromettendodi
istituire
misure
di
autocontrollo. Elaborarono
codici di comportamento
volontari e iniziarono a
monitorare le loro fabbriche
all’estero, in particolare in
Cina, dove si trovava la
maggior parte di queste.
Stando a uno studio dei
documenti
interni
dell’industria condotto da
«Business Week» alla fine
del 2006, però, quei codici
vengono
continuamente
violati.Moltefabbrichecinesi
mantengono
due
libri
contabili, per ingannare i
revisori, e distribuiscono
copioni ai dipendenti da
recitare
in
caso
di
interrogatorio.
Gli
amministratoridellefabbriche
cinesi si lamentano che la
continua pressione da parte
delle aziende americane per
tagliare i costi è un forte
incentivoadelinquere.Male
aziende
americane
continuano a sbandierare i
codici di comportamento a
testimonianza della loro
responsabilità sociale. E,
stando sempre a «Business
Week»,icodici«hannoavuto
un ruolo importante nel
generare un sostegno politico
negli Stati Uniti a favore dei
crescenti legami commerciali
conlaCina»293.
Ciò che rende possibile
aggirare il processo politico
sono,comehodettoprima,la
brevità della memoria delle
gente
e
del
tempo
d’attenzione dei media. La
gente se ne dimentica perché
in generale dimentica le cose
con gran facilità. Può anche
essere persuasa con un’astuta
campagna pubblicitaria che
un’azienda
un
tempo
disprezzataperlesuepratiche
disoneste
sia
ora
sinceramente consacrata al
bene comune. Di recente, la
GE è stata celebrata come
un’azienda all’avanguardia
nelladifesadell’ambienteper
le restrizioni che si è
autoimposta sulle emissioni
di gas serra. Ma la gente e i
media sembrano essersi
dimenticati di quando la GE
contaminòilfiumeHudsone
i suoi affluenti con scorie
tossiche di PCB, della tenace
battagliadell’aziendacontroi
regolatori federali per non
effettuare la bonifica e della
sua intensa attività di
lobbyingperevitarequalsiasi
norma che la costringesse ad
accollarsi una fetta maggiore
deicosti294.
Il Governo statunitense
non aumenta gli standard di
efficienza energetica delle
automobili da vari decenni, e
non ha preso nessuna
iniziativa seria per tassare
ulteriormente la benzina al
fine di riflettere meglio il
reale costo sociale del
petrolio. Questo in parte è
dovuto
al
fatto
che
ogniqualvolta si diffonde una
domanda forte per una
maggiore
efficienza
energetica,igrandiproduttori
di automobili si riscoprono
nuovamente
amici
dell’ambienteesiimpegnano
a migliorare l’efficienza
energetica
delle
loro
macchine. Finché l’interesse
della gente non cala. Nel
2000,laForderalaprincipale
produttrice di SUV e
furgoncinidelNordAmerica,
equestiveicolieranonotiper
i loro consumi da capogiro
(quando la Sierra Club
sponsorizzò un concorso per
trovareunnomeeunoslogan
pubblicitarioperl’ultimo SUV
della Ford, che consumava
più di 3,5 litri ogni venti
chilometri, il primo premio
andò a «Ford Valdez: hai
guidato una petroliera di
recente?295»)296.
Ma
quell’annolaFordanticipòle
pressioni politiche su di essa
e
su
altre
aziende
automobilistiche per una loro
maggiore attenzione verso
l’ambiente
impegnandosi
volontariamente a migliorare
del
25%
l’efficienza
energeticadeisuoiSUV.Due
anni più tardi, quando i
profitti
della
Ford
cominciarono a calare e i
consumatori
chiedevano
ancora a gran voce le grandi
macchineadaltoconsumo,la
Ford ritornò sui suoi passi.
Arrivò anche a fare lobbying
e una campagna pubblicitaria
contro una proposta di legge
del Senato per aumentare gli
standard
di
efficienza
energetica297. Nel 2005,
quando il prezzo del petrolio
iniziò una rapida ascesa e
l’interesse dei consumatori
periSUVepericamioncini
ad alto consumo cominciò a
calare, la Ford annunciò al
mondointerodiaverritrovato
la passione per l’efficienza
energetica. Si impegnò ad
aumentare di dieci volte la
produzione di auto ibride
entroil2010.
Starbucks e Ben &
Jerry’s, come ho già detto,
sono rinomate per la loro
responsabilità sociale, ma
anche questi modelli di virtù
aziendale potrebbero aver
rassicurato il pubblico più di
quanto le due aziende
meritassero. Da quando il
presidente di Starbucks,
Howard Schultz, ha scelto di
trasformare la sua catena di
caffè in una corporation dal
cuore d’oro, non ha perso
occasione per pubblicizzare i
suoi «principi guida», come
«creare
un
piacevole
ambiente di lavoro» e altri.
Malepoliticheoccupazionali
diStarbucksnonsonoproprio
senza macchia. Alla fine del
2005, il National Labor
Relations Board (Consiglio
nazionale delle relazioni
sindacali) – controllato,
voglio sottolineare, dai
repubblicani – denunciò che
l’azienda stava impedendo a
molti dei suoi dipendenti di
diversi negozi del paese di
iscriversi al sindacato, e che
ne aveva licenziato almeno
uno che aveva «sostenuto e
favorito» il sindacato298. La
litania
ipnotizzante
a
proposito della bontà di
Starbucks maschera la realtà
di un’azienda estremamente
pragmaticaquandositrattadi
controllare i costi, come le
impone
di
fare
il
supercapitalismo. Ma la
rassicurante campagna di
pubbliche
relazioni
dell’azienda rischia anche di
distogliere l’attenzione da un
importante dibattito pubblico
sulla necessità di una
maggiorelibertàsindacaledei
lavoratori, specialmente di
colorochelavoranoinsettori
dell’economia al riparo dalla
concorrenzaglobale.
Ben & Jerry’s pone una
grande enfasi sull’impegno
dell’azienda in difesa delle
foreste
tropicali.
La
campagna aiuta a vendere
gelati
perché
rinforza
l’immagine di Ben & Jerry’s
come un’azienda affabile.
Salta all’occhio, però, la
totale
mancanza
nelle
pubblicità dell’azienda di
qualsiasi avvertimento sui
pericoli legati al consumo di
gelati grassi e superzuccherati,deltipochevende
Ben&Jerry’s.Salvaguardare
l’Amazzonia è senza dubbio
un obiettivo ammirevole, ma
lo è anche salvaguardare la
gente dall’obesità e dal
diabete. Ben & Jerry’s,
ovviamente, non ha nessun
obbligo morale o legale a
fornire cibi più salutari. In
base al supercapitalismo,
l’azienda farà tutto ciò che è
in suo potere per attirare i
consumatori e appagare gli
investitori. Il problema è che
molti, a livello inconscio,
potrebberoessereconvintidal
marketing
accattivante
dell’azienda a fidarsi di essa
anche per quel che concerne
la propria salute. Come la
strategia della Kraft Foods,
anchequestamiraaprevenire
qualsiasi forma di pressione
pubblicasullaFoodandDrug
Administration per vietare le
pubblicitàdiprodottigrassie
zuccheratidiretteaibambini.
6
Negli ultimi anni, i
politici
hanno
preso
l’abitudine di rimproverare
pubblicamenteleaziendeche
in una maniera o nell’altra
hanno seguito una condotta
riprovevole. I dirigenti
colpevoli di solito sono
trascinati di fronte a qualche
comitatodelCongresso,dove
vengono
severamente
criticati. Ma raramente ne
segue qualche iniziativa
legislativa che costringa le
aziende
a
comportarsi
diversamenteinfuturo.
L’idea secondo cui
mettereallagognaun’azienda
e
infangarne
temporaneamente
la
reputazione contribuisca a
migliorarneilcomportamento
è un ulteriore diversivo dalla
necessità di norme che
bilancino gli interessi dei
consumatori
e
degli
investitoriconquellidelresto
della società. Inoltre, dà ai
politici l’opportunità di
rimanere in buoni rapporti
conleaziendeeleindustrie–
raccogliendocontribuitiperle
campagne
elettorali,
godendosi partite a golf coi
dirigenti, sfruttando i lobbisti
aziendali per favori di vario
tipo – dando allo stesso
tempo
ai
cittadini
l’impressione di trattare
“severamente”imalfattori.Di
nuovo, la gente è portata a
credere che la democrazia
funzioni quando in realtà
l’unica cosa che funziona
veramente sono le operazioni
diPR.
Quando il prezzo del
petrolio salì alle stelle, nel
2005 e nei primi mesi del
2006,
le
compagnie
petrolifere
realizzarono
profitti straordinari, mentre
milioni di americani furono
costrettiapagaredipiùperla
benzina e per riscaldare le
loro case. Questo generò
numerose pressioni sul
Congresso perché imponesse
alle compagnie petrolifere
una
“tassa
sulle
sopravvenienze
attive”
(windfall profit tax), ma non
cifudibattito.IlCongressosi
limitò a rimproverare le
compagnie petrolifere e a
criticarlepubblicamente.Man
mano che il prezzo del
petrolio e i profitti delle
aziende
del
settore
raggiungevano livelli record,
il senatore Chuck Grassley,
un repubblicano dell’Iowa e
presidentedelSenateFinance
Committee
(Consiglio
nazionale delle relazioni
sindacali), diffuse una lettera
in
cui
rimproverava
l’industria del petrolio e del
gas ed esortava le aziende a
devolvere il 10% dei profitti
di quel trimestre a istituzioni
caritatevoli per aiutare le
famiglie più povere a pagare
le bollette del gas per il
riscaldamentodellelorocase.
«Avete la responsabilità di
aiutare gli americani meno
fortunatiadaffrontareglialti
costi del riscaldamento»,
disseGrassley299.
L’ammonimento
di
Grassleyfinìsututteleprime
pagine dei giornali ma
ovviamente non sortì alcun
effetto. Perché le compagnie
petrolifere avrebbero dovuto
volontariamente dar via i
propri soldi? L’unico effetto
della gogna fu quello di far
apparire Grassley e i suoi
colleghi
particolarmente
compassionevoli,
e
rassicurare una porzione
dell’opinione pubblica che il
Congresso stava “facendo
qualcosa” a proposito del
prezzo del petrolio e dei
profitti stratosferici delle
aziende del settore. Ma
poiché qualsiasi dibattito
serio sull’opportunità di una
tassa sulle sopravvenienze
attive fu deviato dalla mossa
di Grassley, la gente non ha
mai avuto l’opportunità di
decidere se l’utilizzo di una
parte dei profitti delle
compagnie petrolifere per
aiutare le famiglie a basso
reddito valesse il rischio che
le aziende, private di una
parte dei loro profitti,
investissero
meno
nell’esplorazione e nello
sviluppo, portando i prezzi
ancorapiùaltinelfuturo.
Quando la negligenza
della BP a North Slope
provocò
la
chiusura
temporanea del più grande
campo petrolifero del paese,
nell’agosto del 2006, il
Congresso chiese ai dirigenti
dellaBPdiveniredipersona
arenderecontodell’accaduto.
Nel corso dell’udienza, i
membri di entrambi i partiti
accusarono i dirigenti di
grossolana negligenza. Joe
Barton, un repubblicano del
Texas e presidente della
commissione,tuonò:«Seuna
dellecompagniepetroliferedi
maggiorimportanzaalmondo
non riesce a fare la
manutenzionebasenecessaria
per mantenere in funzione il
giacimento della baia di
Prudhoe senza interruzioni,
forse non dovrebbe gestire
l’oleodotto. Sono ancora più
preoccupato dalla cultura
aziendale della BP di
apparente disprezzo per la
sicurezza e l’ambiente. E
questo da un’azienda che
nelle sue pubblicità si vanta
di salvaguardare l’ambiente.
Vergogna,
vergogna,
vergogna»300 I membri della
commissione poi fecero il
terzo grado ai dirigenti della
BP per capire perché
l’aziendaperben14anninon
avessesvoltoleoperazionidi
ispezione e di manutenzione
che venivano effettuate ogni
due settimane sull’oleodotto
Trans-Alaska, a cui si
aggancianoglioleodottidella
BP. I dirigenti della BP si
impegnarono solennemente a
starepiùattentiinfuturo.
Ma né i membri del
Congressonéidirigentidella
BP posero l’accento sulla
questione più pertinente di
tutte: le frequenti ispezioni
dell’oleodotto Trans-Alaska
erano imposte dalla legge,
mentre lo stesso non era
richiesto per gli oleodotti
secondari come quelli gestiti
dalla BP. Se la commissione
avesse avuto veramente a
cuorechelaBPmigliorassei
propri costumi, avrebbe
introdotto una legge per
eliminare questa scappatoia
legale.Teneteamentechela
BP avviò l’ispezione interna
che portò alla chiusura
dell’oleodotto solo dopo
essere stata costretta dal
Governo,
in
seguito
all’incidente del 2005. La
commissione non introdusse
nessuna legge perché le
udienze erano solo una
sceneggiata. Barton e i suoi
colleghi
avevano
sponsorizzato
numerosi
progetti di legge a favore
dell’industria petrolifera e
non erano certo pronti a
rinnegare tutto proprio ora.
La gogna dei dirigenti della
BPperlaloroirresponsabilità
sociale non ha portato
beneficio in alcun modo alla
gente.
I
dirigenti
delle
corporation
non
sono
autorizzati da nessuno – men
che
meno
dai
loro
consumatori e investitori – a
trovareuncompromessotrai
profittieilbenecomune.Non
hanno neanche gli strumenti
per prendere decisioni morali
di questo tipo. È per questo
che viviamo in una
democrazia,incuiilgoverno
dovrebbe fare queste scelte a
nomedeicittadini.
Prendeteladecisionenel
2005diYahoo,quandopassò
alleautoritàcinesiinomidei
dissidenti
che
avevano
utilizzato l’e-mail di Yahoo
convinti
di
rimanere
nell’anonimato. Uno di
questi, un giornalista, fu
condannato a dieci anni di
carcere per aver diffuso
all’esterounmessaggiocheil
suo giornale aveva ricevuto
dalleautoritàcinesi,incuigli
veniva intimato di non dare
troppospazioalquindicesimo
anniversariodegliincidentidi
piazza Tiananmen. Un altro,
che
Yahoo
aiutò
a
rintracciare, fu condannato a
ottoanni,eunterzoaquattro
anni. Non ci è dato sapere
quanti altri dissidenti si
trovino nelle prigioni cinesi
grazie alla collaborazione di
Yahooconleautoritàdiquel
paese.
Ladecisionedelcolosso,
per un po’ di tempo, scatenò
un putiferio negli Stati Uniti.
I dirigenti dell’azienda
spiegarono che non avevano
altrasceltachesottostarealla
legge cinese se volevano
avere accesso a quell’enorme
e crescente mercato. Yahoo
disse anche che la sua
presenza in Cina era
necessaria per aiutare il
cammino del paese verso la
democrazia. «Ho sempre
pensato che fosse meglio
giocaresecondoleregoledei
governi e affermare una
nostra
presenza»,
ha
dichiarato il presidente di
Yahoo a una conferenza sul
Web a San Francisco. «Parte
del nostro ruolo in qualsiasi
piattaforma mediatica è far
entrare tutto quello che
possiamo in quei paesi e
aiutare,
lentamente,
le
personeadapprezzarelostile
divitaoccidentaleelanostra
cultura e a imparare»301. Il
ruolo di Yahoo? Nessuno ha
mai incaricato l’azienda di
essere l’ambasciatore della
cultura
occidentale
né
l’arbitro che decide come sia
meglio presentare questa alla
Cina.Questononèilcompito
di nessuna multinazionale.
Tant’è che gran parte di
queste fanno di tutto per
evitare di essere associate a
qualsiasi cultura, nazionalità
o ideologia in particolare, a
meno che non ne possano
trarre qualche vantaggio
economico.
L’accusa più forte alla
decisione di Yahoo è venuta
da Liu Xiaobo, un dissidente
cinese di Pechino che ha
passato anche un periodo in
prigione,inunaletteraaperta
indirizzata al fondatore
dell’azienda, Jerry Yang.
«Devo dirle che la mia
indignazione e il mio
disprezzo nei confronti di lei
e della sua azienda non sono
inferiori all’indignazione e al
disprezzo che provo per il
regimecomunista»,hascritto,
stando a una traduzione
disponibile sul sito Internet
delChinaInformationCenter,
con sede in Virginia. «I
profittilarendonoinsensibile
alla moralità. Le è mai
passato per la testa che
dovrebbe vergognarsi di
essere
considerato
un
traditore
dai
suoi
consumatori?». Liu non dà
molto
peso
alle
argomentazioni di Yahoo.
«Ciò che ha detto in sua
difesa indica che la sua
ricchezzaeconomicanonpuò
nasconderelapovertàdelsuo
spirito e la sua mancanza di
integritàmorale».Laletterasi
chiudevaconunanotaamara.
«Ilsuogloriosostatussociale
non nasconde la sua sterile
moralità e il suo portafogli
rigonfio non è che la
dimostrazione
del
suo
immiseritostatusdiuomo»302.
Entrambe le posizioni –
siaquelladiYahoochequella
di Liu – riflettono un
equivoco fondamentale sul
ruolo
della
moderna
corporation
in
una
democrazia. Yahoo non è
un’entità morale, e nessuno
l’ha autorizzata a trovare un
equilibrioeticotraspediredei
dissidenti in prigione e
diffondere la cultura e la
democrazia americane in
Cina. I dirigenti di Yahoo
hannounasolaresponsabilità
sotto il supercapitalismo: far
guadagnare gli azionisti e
soddisfare i consumatori. In
questo caso, uno dei
principali “consumatori” di
YahooerailGovernocinese,
perché rappresentava la porta
d’accesso a tutti gli altri
consumatori cinesi. A meno
che non via sia una legge
americana
che
glielo
impedisca, Yahoo continuerà
a fare ciò che gli chiede il
Governo cinese, perché la
posta economica in gioco e i
potenziali profitti sono troppi
alti perché faccia altrimenti.
LaCinaèilsecondomercato
di internet più grande al
mondo dopo gli Stati Uniti.
Nel 2006, erano già più di
100 milioni i cinesi connessi
alla rete. All’attuale ritmo di
diffusione di internet nel
paese, nel giro di un paio di
anni vi saranno in rete più
cinesicheamericani.
Anche Google è finito
nel mirino dell’opinione
pubblicaquandohacreatoper
leautoritàcinesiunaversione
censurata del suo motore di
ricerca, eliminando i risultati
per parole incendiarie come
“diritti
umani”
e
“democrazia”. «Penso sia
arrogante entrare in un paese
dove
abbiamo
appena
cominciato a fare affari e
dirgli come fare le cose», ha
dichiarato a un gruppo di
giornalisti stranieri Eric
Schmidt,
l’amministratore
delegato di Google303. Ma la
decisione di Google di
cooperare con le autorità
cinesi non aveva nulla a che
vedere con l’arroganza o con
la modestia. Come la
decisionepresadaYahooera
dettata
solamente
dal
desiderio di profitto, come
doveva essere. Qualche
giornoprimadellerivelazioni
sulla complicità dell’azienda
negli abusi del governo
cinese, Google si dimostrò
eroicamente arrogante nei
confronti
del
governo
statunitense, che aveva
chiesto
all’azienda
informazionisullericerchedi
materiale pedopornografico
effettuate sul suo motore di
ricerca, oltre a un campione
casuale di un milione di
parole chiave immesse nel
motore di ricerca. Il governo
USAstavacercandoconsensi
per ripristinare il Child
OnlineProtectionAct(Legge
per la salvaguardia dei
bambini online), i cui
parametrieranostatigiudicati
troppo elastici e quindi in
violazione
del
primo
emendamento dalla Corte
Suprema.Googlesirifiutòdi
collaborare304.
Perché Google ha scelto
di collaborare con le autorità
cinesi e non con quelle
americane?
Se
avesse
veramentevolutocomportarsi
secondo morale, avrebbe
resistito alle richieste di un
regime totalitario e sarebbe
venuto incontro a quelle di
una democrazia. Ma la
moralità non c’entra un bel
niente. L’accesso all’enorme
mercato cinese dipendeva
dall’acquiescenza
del
Governo cinese e Google,
come Yahoo, avrà pensato
che l’unico modo per
ottenerlaerafaretuttociòche
le chiedevano le autorità
cinesi. Google non voleva
rischiare di essere messa alla
porta,mentrelaMicrosoftera
libera di distribuire il suo
motorediricercasulmercato
cinese.
L’accesso
ai
consumatori
americani,
d’altro canto, non dipende
dall’acquiescenza
del
Governostatunitense.Google
puòvendereilpropriomotore
di ricerca agli americani
indifferentemente dal fatto
che soddisfi le richieste del
Governo o meno, contro le
qualiGoogleeraanchepronta
a dare battaglia in tribunale.
Anzi, il rifiuto di Google di
accontentare il Governo era
anche
giustificato
economicamente, perché i
suoiconsumatorisisarebbero
rivoltati se l’azienda avesse
fornito
al
Governo
informazioni su di loro. La
differenza,ovviamente,èche
gli Stati Uniti sono una
democrazia e la Cina no. I
dirigenti di Google non si
sono mai posti il dilemma
morale dell’opportunità di
collaborare
con
alcuni
Governi e con altri no. Non
hanno l’autorità per prendere
decisioni di questo tipo. Il
loro compito è far arricchire
gliazionisti.
Qualsiasidecisionesulla
“responsabilità sociale” di
Yahoo o di Google dovrebbe
essere lasciata al processo
democratico statunitense; è
negli Stati Uniti che le
aziende hanno la sede e si
presume che i suoi cittadini
abbiano interesse a difendere
i diritti umani nel mondo.
Una delle sedi adatte in cui
stabilire i doveri di queste
aziende è il Congresso, di
fronte al quale sono stati
chiamati a testimoniare i
dirigenti di entrambe le
corporation. I membri del
Congresso avrebbero dovuto
chiedersi se era il caso di
vietare alle aziende hi-tech
americane di cooperare con
regimi dittatoriali, anche a
costo
di
rimetterci
economicamente. Ma la
questione non è mai stata
affrontata.
Il Sottocomitato della
Camera sui Diritti Umani ha
tenuto alcune udienze nel
febbraio del 2006. Oltre a
Yahoo e Google, furono
convocati anche i dirigenti
dellaMicrosoftedellaCisco.
La
Microsoft
aveva
cancellato i blog che non
erano graditi al governo
cinese; la Cisco aveva fatto
affari con la polizia cinese,
progettando un sistema di
Internet wireless capace di
individuareisingoliutenti,un
sistemadisorveglianzavideo,
unostrumentoperintercettare
automaticamenteletelefonate
e uno per spiare le e-mail di
qualsiasicittadinocinese.
Il repubblicano del New
Jersey Christopher Smith,
presidente
della
sottocommissione,dichiaròal
«NewYorkTimes»diessere
sconvolto.«Sitrattadiaiutare
una dittatura. È vergognoso
che [queste aziende] si
rendano complici della
repressione dei dissidenti»305.
Smith accusò Yahoo di aver
stretto
un
«rapporto
nauseante». Mise in ridicolo
la giustificazione ufficiale
dell’azienda, dicendo che se
Anne Frank avesse spedito i
suoi diari via e-mail e i
nazisti avessero voluto
trovarla,
probabilmente
Yahoo
gliel’avrebbe
consegnata se questo avesse
aiutato a portare la cultura
americana nella Germania
nazista. Tom Lantos, uno dei
democratici alla guida del
comitato e l’unico superstite
dell’Olocausto di tutto il
Congresso,chieseaidirigenti
riuniti, «Vi vergognate? Sì o
no?». Definì il loro
comportamento«disdicevole»
echieselorocomeriuscivano
a dormire la notte. James
Leach, un repubblicano
dell’Iowa, accusò Google di
essere «un funzionario del
Governo
cinese»,
aggiungendo
che
«se
volessimoimparareausarela
censura,verremmodavoi»306.
Smith, poi, propose un
progetto di legge per vietare
alle aziende americane, tra le
altre cose, di collaborare alla
censura, ma nessuno si
aspettava che passasse, e
nessun
membro
del
Congresso, incluso Smith, si
impegnò perché non fosse
così.
Poco
dopo,
il
dipartimento
di
Stato
annunciò che stava creando
unataskforcepermonitorare
le aziende hi-tech americane
che
collaboravano
alla
repressione della libertà di
parola in Cina. Mettere su
unataskforceèunodeimodi
per
dare
l’idea
che
Washington
si
stia
impegnando su un tema
quando in realtà non sta
facendounbelniente.
Se il Governo USA
avesse veramente a cuore i
diritti umani in Cina,
potrebbe approvare domani
stessounaleggechevietialle
aziende americane di aiutare
ilGovernocineseasoffocare
la libertà di parola dei suoi
cittadini, esattamente come
un tempo vietò il commercio
col Sudafrica e tuttora
mantiene un embargo nei
confrontidipaesicomeCuba
e la Birmania, e così come è
riuscito a costringere quasi
tutte le principali banche del
mondo a troncare i rapporti
conlaCoreadelNord307.Ma
non illudetevi. Nonostante le
accuse
indignate
del
Congresso, e nonostante la
retorica dell’amministrazione
Bush sulla diffusione della
democrazia nel mondo, i
diritti umani non sono una
priorità né per il Congresso
néperlaCasaBianca.Piùdi
ogni altra cosa, le aziende
americane vogliono avere
accesso all’enorme mercato
cinese senza interferenze di
alcun tipo. Nel corso delle
udienze, Robert Wexler, un
democratico della Florida, e
un altro membro del
Sottocomitato sui Diritti
Umani
portarono
il
ragionamento di Lantos alla
sua logica conclusione e si
chiesero se il Congresso si
sarebbe dovuto vergognare
peraverconcessoallaCinalo
statusdipartnercommerciale
privilegiato. In un raro
momento di candore, Dana
Rohrabacher,unrepubblicano
della California, difese
l’innocenza del Congresso.
«Chi ha fatto lobbying per
ottenere quello status?»,
chiese,
scaricando
la
responsabilità su coloro che
avevano fatto pressioni sul
Congresso
perché
autorizzasse le concessioni
commerciali.«Dai.Sonostate
lecorporation»308.
I lobbisti di Yahoo,
Google, Microsoft e Cisco
capivano le preoccupazioni
dell’opinione pubblica nei
confronti dell’operato di
queste aziende in Cina.
Presumibilmente, capivano
anche che la gente voleva
essere rassicurata che il
Congresso stesse “facendo
qualcosa”.
Con
ogni
probabilità, cooperarono col
Congresso nell’architettare la
gogna pubblica e mediatica
delle
aziende.
Quasi
certamente, sapevano che il
Congressononavrebbepreso
nessunainiziativaconcreta.
Nel frattempo, come era
prevedibile, i consumatori e
gli investitori di queste
aziende
rimasero
imperturbabili.Fuminacciato
un
boicottaggio
(booyahoo.blogspot.com
esortò «i cittadini di Internet
amantidellalibertàasmettere
di usare i servizi di Yahoo a
causa delle loro politiche
repressive»), ma non si
concretizzò. Reporter senza
frontiere, un’organizzazione
con sede a Parigi, convinse
due dozzine di aziende di
asset
management
“socialmente responsabili”,
che gestivano circa 21
miliardi di dollari, a firmare
una risoluzione in cui si
chiedeva alle aziende di
Internetdidaregaranziechei
loroprodottinonfosserousati
perviolareidirittiumaniedi
introdurre
e
sostenere
risoluzioni da parte degli
azionistiafavoredellalibertà
di espressione. Ma le
risoluzioni non arrivarono
mai. Un analista della UBS
avvertìisuoiclientiche«una
pubblicità
negativa
danneggerà il brand di
Google»309, ma non fu così.
Unapropostapresentataauna
delle riunioni annuali degli
azionistidellaCiscochiedeva
all’azienda di elaborare e
implementare una politica di
difesa dei diritti umani, ma
non se ne fece niente. C’era
forsequalcunochesiilludeva
che gli investitori avrebbero
mollatolaCisco,laMicrosoft
e Google per via di questo
pasticcio? Al contrario,
l’accesso al mercato cinese
avrebbe quasi certamente
incrementato i profitti e il
valore delle azioni delle
aziende. Qualcuno forse si
illudeva che i consumatori
americaniavrebberoscaricato
questeaziende?Impossibile.
Queste aziende non
avevano violato alcuna legge
statunitense aiutando le
autorità cinesi a violare i
diritti umani nel loro paese.
Avevanosolamenteseguitole
regole del gioco. Nel
supercapitalismo, è tutto
quello che possiamo e che
dovremmo aspettarci dalle
aziende.Porrelaquestionein
terminimorali–elencandole
malefatte delle aziende e dei
loro dirigenti – ha solo
distolto l’attenzione dalla
questione più spinosa ma più
importante dell’opportunità o
meno di cambiare le regole
delgioco.
Quando Joe Biden, un
candidato
alle
elezioni
presidenziali del 2008,
attaccò Wal-Mart per il
trattamento
riservato
dall’azienda
ai
suoi
dipendenti, gli fu dato il
merito di avere a cuore i
lavoratori americani, senza
che avesse dovuto introdurre
alcuna legge per costringere
Wal-Marteisuoiconcorrenti
a comportarsi diversamente.
Quando John Kerry, il
candidato democratico alle
presidenzialidel2004,accusò
i vertici delle aziende che
esternalizzano il lavoro
all’estero
di
essere
«amministratori delegati alla
Benedict Arnold»310, anche a
luifudatoilmeritodiaverea
cuore i milioni di lavoratori
americani che hanno perso il
lavoro e i cui salari sono
fermi da anni. Il suo sfogo,
però, servì solo a mascherare
la triste realtà del fatto che
Kerry non aveva alcun piano
perfrenarequestatendenza,e
continuaanonaverlo.
7
Un altro mezzo che le
aziende usano per aggirare
qualsiasi
intervento
governativo è prendere
l’iniziativa
in
difesa
dell’interesse pubblico, come
chiesedifareallecompagnie
petrolifere
il
senatore
Grassley.
All’inizio
dell’amministrazioneBush,la
Casa Bianca si imbarcò in
un’iniziativa
chiamata
“Leader climatici” (Climate
Leaders), in cui il presidente
chiese in pompa magna alle
aziende più inquinanti del
paese di ridurre le loro
emissionidigasserraalmeno
del 10% entro la fine del
decennio. L’iniziativa poteva
far
pensare
che
l’amministrazione prendesse
sul serio i rischi del
riscaldamento globale, ma
non era così. Nel gennaio
2004, solo cinquanta delle
mille aziende americane più
inquinanti avevano accettato
di
diventare
“Leader
climatici” e ridurre le loro
emissioni, e di queste solo
quattordici si posero degli
obiettivi specifici. Anche se
le aziende produttrici di
energia sono quelle che
inquinano di più, solo sei di
queste aderirono. Nel giro di
qualche anno, l’iniziativa era
silenziosamente morta. Un
rapporto del 2004 del World
Economic Forum di Davos
plaudì gli sforzi di alcune
multinazionali lungimiranti
nel ridurre le loro emissioni
digasserra,maconcluseche
lescelteindividualinonsono
sufficienti a contrastare i
cambiamenticlimatici311.
Certochenonlosono.Il
supercapitalismo
non
permette gesti di altruismo
che nuocciano ai profitti.
Nessuna
azienda
può
“volontariamente” accollarsi
dei costi a meno che non lo
facciano anche i suoi
concorrenti, che è la ragione
per cui nel supercapitalismo
l’intervento statale è l’unica
maniera di far fare alle
aziende
scelte
che
compromettano i profitti.
Come ha concluso il
professor David Vogel in
seguito a un’analisi delle
cosiddette
iniziative
ambientalistevolontarienegli
Stati Uniti e in Europa, sono
poche le aziende che le
intraprendono in assenza di
norme o della minaccia di
queste ultime312. Suggerire
che esista un vasto bacino
inutilizzatodibontàaziendale
da poter sfruttare vuol dire
illudere
gravemente
i
cittadini, e ancora una volta
distogliere
l’attenzione
dall’importantecompitodella
scelta di queste norme. Nel
caso specifico, il fiume di
iniziative
aziendali
“volontarie”percontrastareil
cambiamento climatico sta
distogliendo
l’attenzione
pubblica dalla necessità di
introdurre leggi e norme più
severe
per
affrontare
seriamenteilproblema.
È più o meno la stessa
storia con la filantropia
aziendale. Le aziende fanno
beneficenza esclusivamente
nellamisuraincuigarantisce
lorounritornod’immagine,e
dunque maggiori profitti. Gli
azionisti non affidano i loro
soldiallecorporationaffinché
queste li diano via, a meno
che ciò non garantisca loro
ritorni maggiori. Quando lo
tsunami nel 2005 devastò
l’Indonesia e altre aree
costieredelSudestasiatico,il
presidente Bush chiese alle
corporation americane di
offrire il loro aiuto alle
vittime. Dopo che molte di
queste ebbero versato vari
milioni di dollari, Bush le
lodò per la loro generosità.
«Uno degli aspetti meno
discussi del mondo degli
affari statunitense è il gran
benechefanno,inparticolare
alle comunità in cui
operano», disse. «Lo tsunami
ha messo il settore privato
americano di fronte a uno
spartiacque. Penso che abbia
inaugurato una nuova era di
responsabilità sociale per le
grandi aziende»313. Le sue
parolefuronoaccolteconuno
scroscio di applausi, ma non
avevano alcun senso. Gli
amministratori delegati delle
aziende che hanno devoluto
dei soldi alle vittime del
disastro non erano mossi
dall’altruismo:noneranoloro
i soldi che hanno donato, ma
degli azionisti. Se l’hanno
fatto era perché pensavano
che gli azionisti avrebbero
beneficiato
del
ritorno
d’immagine che questo
avrebbe generato. Altrimenti,
avrebbero violato il loro
contratto fiduciario con gli
azionistierischiatochequesti
ultimi li abbandonassero a
favore di aziende che non
sperperano i loro soldi.
Quando
gli
azionisti
investono in un’azienda, non
si aspettano che i loro soldi
vengano usati a scopo di
beneficenza. Investono per
ottenere ritorni proficui. Gli
azionisti che vogliono fare
beneficenza lo possono fare
dilorospontaneavolontà,alle
condizionichedecidonoloro.
Il pericolo maggiore è
che
queste
ostentate
manifestazioni di filantropia
aziendaleinducanolagentea
credere che le corporation
abbiano
degli
impulsi
caritatevoli su cui è possibile
fare leva in qualsiasi
momento. Un terremoto che
colpì il Pakistan nell’ottobre
del2005uccisepiùdi87.000
persone e creò un numero di
profughitrevoltesuperiorea
quello
dello
tsunami
nell’Oceano Indiano. Ma
all’inizio l’amministrazione
Bush si impegnò a donare
solo500.000dollari,unacifra
talmente irrisoria che fu
sbeffeggiatadagranpartedei
pachistani314. Bush, quindi,
promisediaumentaregliaiuti
e chiese a cinque delle
principali
corporation
americane di mettere su
un’imponente raccolta di
fonditraleaziendedelpaese.
La General Electric contribuì
conpiùdi5milionididollari
incontanti,assistenzamedica
e attrezzature energetiche; la
Pfizer diede 1 milione di
dollari alle agenzie di
soccorso e 5 milioni in
medicine e prodotti per
l’assistenzamedica;laXerox,
1 milione in contanti;
Citigroup,3milioni.Intotale,
le aziende raccolsero una
sommadicirca100milionidi
dollari,
spingendo
il
presidente
a
reiterare
pubblicamente
la
sua
gratitudine. «Se non fosse
intervenuta la comunità
internazionale», disse ai
dirigenti, «avremmo lasciato
la porta aperta a influenze
islamichepiùradicali»315.
A dire il vero, la
comunità internazionale è
stata molto meno presente di
quanto avrebbe dovuto. Il
Pakistan aveva bisogno di
miliardi di dollari, non di
centinaia di milioni, e il
primapossibile.Senelgirodi
due
settimane
furono
distribuitipiùdi3miliardidi
dollari alle aree colpite dallo
tsunami, ben sei settimane
dopo il terremoto erano
arrivati al Pakistan solo 17
milionididollari.Standoalle
Nazioni Unite, il totale degli
aiuti versati ammontò a
malapena a un quarto di
quello che sarebbe stato
necessario. Il vuoto, in parte,
fu riempito dai gruppi
islamisti radicali. Il ministro
dell’Interno
pachistano
dovettericonoscerechequesti
erano «il nodo vitale
dell’operazionedisalvataggio
edisoccorso»316.
All’indomani
dell’uragano
Katrina,
nell’estate del 2006, il
presidente chiese alle grandi
corporation di fornire un
aiuto. E lo fecero. Steve
Odland,
amministratore
delegato di Office Depot,
offrì all’incirca 17 milioni di
dollari di materiali d’ufficio,
acqua, batterie e attrezzature
scolastiche. Come ho già
detto, Wal-Mart donò vari
milionididollari.«Siamouna
parte talmente integrante di
questecomunitàcheabbiamo
il dovere di intervenire»,
spiegò Lee Scott di Wal-
Mart. Ma il senso di
responsabilità non c’entrava
niente. Come abbiamo visto,
una
spettacolare
manifestazione di generosità
aziendale era esattamente ciò
di cui aveva bisogno per
contrastareglieffettinegativi
della campagna anti-WalMart317.
Lecorporationnonsono
nate per fare beneficenza. I
più grandi filantropi del
mondo,BilleMelindaGates,
non utilizzano i soldi della
Microsoft, ma quelli della
loro vasta fortuna personale.
L’unico motivo per cui una
corporation decide di aiutare
la gente con i soldi degli
azionisti è perché questo
porta benefici al suo brand
image, ma questa logica ha
dei limiti. All’indomani
dell’uragano Katrina, Scott
della Wal-Mart fu molto
chiaroinmeritoailimitidella
generosità della sua azienda.
«Non possiamo spedire tre
camion di merci a chiunque
ce lo chieda», disse,
rifiutando una richiesta di
2.000 coperte. «Alla fine di
tutto questo, dobbiamo
ancora avere un’azienda sana
tra le mani»318. I contributi
delle
grandi
aziende
rappresentano una frazione
infinitesimale di quello che
dispensailsettorepubblico.
Le manifestazioni di
gratitudineneiconfrontidelle
corporationsonodiventateun
marchiodifabbricadellavita
pubblicaamericana,manonè
chiaro chi è che dovrebbe
esseregratoachi.«Ajay,sali
quassù,perfavore»,disseBill
Clinton, chiamando sul palco
duranteunadellesueannuali
raccolte fondi aziendali uno
dei dirigenti di Citigroup,
Ajay Banga. Di fronte a una
platea di amministratori
delegati
e
investitori
milionari, Clinton lodò
Citigroup per aver destinato
5,5 milioni di dollari
all’educazionedellefascepiù
povere della popolazione319.
Ma chi stava lodando
veramente Clinton? I 5,5
milionididollarinoneranodi
Banga. Con ogni probabilità,
venivano dai profitti di
Citigroup. Se gli azionisti
hanno
beneficiato
indirettamente del ritorno
d’immagine positivo in
terminidimaggioriguadagni,
allora non meritano nessun
ringraziamento.Senonhanno
ottenuto alcun beneficio,
Banga e gli altri dirigenti di
Citigroup dovrebbero essere
criticati per aver sperperato i
soldi degli azionisti. In
seguitoagliuraganiKatrinae
Rita, e allo tsunami
indonesiano, la Croce Rossa
pubblicòunapubblicitàadue
pagine sul «New York
Times» in cui ringraziava i
suoi oltre 225 “donatori” per
il loro contributo superiore a
unmilionedidollari.Lalista
includeva anche alcune
famiglie e istituti, ma
perlopiù erano società per
azioni. Alcune di queste
erano segnalate per le
donazioni effettuate dai loro
dipendenti o clienti ma la
maggior parte di esse aveva
investitoatitoloufficiale.«Vi
ringraziamo per il sostegno
che ci avete dato nel
momento più difficile dei
nostri 125 anni di servizio in
America»320, recitava la
pubblicità. Anche qui, non
era chiaro chi stesse
ringraziandolaCroceRossa.
Le corporation, a volte,
fanno anche del bene, ma
queste
espressioni
di
gratitudine inducono la gente
a credere che le aziende
faccianocertecoseinmaniera
disinteressata, e che vi sia
“qualcuno” in particolare che
vada
ringraziato.
Ma
un’azienda disinteressata non
esiste, così come non esiste
nessun “io” aziendale. Nel
supercapitalismo, le aziende
esistono solo per servire i
consumatori e così facendo
fararricchiregliinvestitori.È
questo il loro servizio alla
società.
8
Democrazia
e
capitalismo si sono scambiati
i ruoli. Come abbiamo visto,
il capitalismo ha invaso la
sfera della politica. Le leggi
vengonogiustificateinbasea
logiche politiche che hanno
pocoonullaachevederecon
le reali motivazioni delle
corporationedeilobbistiche
hannofattopressioniperloro
conto, o dei politici che le
hanno votate. Norme, tasse,
agevolazioni fiscali e sussidi
vengono giustificati in nome
dell’”interesse pubblico”, ma
nella maggior parte dei casi
sono la conseguenza di
intenseattivitàdilobbyingda
parte di aziende e industrie
alla ricerca di un vantaggio
competitivo l’una sull’altra. I
cittadini sono completamente
esclusi
dal
processo
decisionale. Le loro voci
vengono
soffocate.
Le
giustificazioni
ufficiali
servono a mascherare quello
che avviene realmente,
ovveroqualiaziendevincono
equaliperdono.
Allo stesso tempo, una
sortadidemocraziafasullaha
invaso
la
sfera
del
capitalismo. I politici e gli
attivisti lodano le aziende
quando
si
comportano
“responsabilmente” e le
criticano quando non lo
fanno. Ma in entrambi i casi
nonvièalcunaleggeonorma
che definisca ciò che è
responsabile. L’idea che le
aziende siano soggetti morali
con responsabilità sociali
distoglie l’attenzione della
gente dalla necessità di
stabilire tali leggi e norme.
Inoltre, suggerisce l’idea che
le aziende siano moralmente
equivalenti ai cittadini, con
tanto di diritti, tra cui quello
di essere rappresentate in
democrazia. Le lodi e le
critiche vengono presto
dimenticate, e influiscono a
malapena sul comportamento
dei consumatori e degli
investitori. Nel frattempo, il
vero processo democratico è
lasciato in mano alle aziende
e alle industrie che cercano
unvantaggiocompetitivo.
Il primo passo per
rimettere la democrazia e il
capitalismo ai loro posti è
capire cos’è reale e cosa non
loè.
236 Il materiale sulla corporate social
responsibilityèampioecrescente.Trai
libri più recenti, i migliori che ho
trovato sono stati David Vogel, The
Market for Virtue, Washington D.C.,
Brookings Institution, 2006; Michelle
Micheletti, Political Virtue and
Shopping: Individuals, Consumerism
and Collective Action, New York,
Palgrave Macmillan, 2003 e David
Henderson, Misguided Virtue: False
Notions
of
Corporate
Social
Responsibility, Londra, Institute of
EconomicAffairs,2001.Granpartedei
libri sul tema pongono l’accento sulla
redditività della corporate social
responsibility. Vedi, per esempio,
Christine Arena, Cause for Success:
Ten Companies That Have Put Profits
Second and Come in First, Novato,
California, New World, 2004; Michael
Hopkins, The Planetary Bargain:
Corporate
Social
Responsibility
Matters, Londra, Earthscan, 2003; Ira
Jackson - Jane Nelson, Profits with
Principles: Seven Strategies for
Delivering Value with Values, New
York, Currency/Doubleday, 2004;
Kevin Jackson, Building Reputational
Capital: Strategies for Integrity and
Fair Play That Improve the Bottom
Line, New York, Oxford University
Press, 2004; Malcolm McIntosh et al.,
Corporate Citizenship: Successful
Strategies for Responsible Companies,
Londra, Financial Times, 1998; Robert
Willard, The Sustainability Advantage:
Seven Business Case Benefits of a
Triple Bottom Line, Gabriola Island,
BritishColumbia,NewSociety,2002.
237 Entrambi i sondaggi sono presi da
RonaldAlsop,“RecruitersSeekMBAs
Trained in Responsibility”, in «Wall
Street Journal», 13 dicembre 2005, p.
B6.,
238 Citato in Claudia H. Deutsch,
“Companies
and
Critics
Try
Collaboration”, in «New York Times»,
17maggio2006,p.E1.
239 Per informazioni sugli sforzi della
Dow per ridurre le sue emissioni di
CO2, vedi il sito dell’azienda
sull’energia e i cambiamenti climatici,
all’indirizzo
<http://www.dow.com/energy>.
Sull’adozione da parte di McDonald’s
di tecniche di macellazione più umane,
vedi Joby Warrick, “Big Mac’s Big
VoiceinMeatPlants”,in«Washington
Post», 10 aprile 2001, p. A11. Sul
passaggio di Wal-Mart agli imballaggi
ecologici,vediHaroldBrubaker,“WalMart Picks Corn for Its Packaging”, in
«HoustonChronicle»,BusinessSection,
21
ottobre
2005,
p.
4.
Sull’assicurazione
sanitaria
dei
dipendenti di Starbucks, vedi Lisa
Schmeiser, “Perks Can Aid Bottom
Line”, in «Investor’s Business Daily»,
17 ottobre 2005, p. A10. Vedi anche
DavidVogel,TheMarketforVirtue, p.
130.
240 Sulle reazioni delle aziende alle
preoccupazionideiconsumatorisuicibi
grassi, vedi “Wendy’s Cuts Trans Fats
in Fries and Chicken”, in «Consumer
Affairs», 9 giugno 2006, consultabile
all’indirizzo
<http://www.consumeraffairs.com/news0
“OreoTakesonaNewTwistwithNew
Varieites That Contain Zero Grams of
Trans Fat Per Servine”, in «PR
Newswire», 6 aprile 2004; “Frito-Lay
Chips Down-to Zero Trans Fat”, in
«HoustonChronicle»,BusinessSection,
28settembre2003,p.1.
241 Pubblicità a tutta pagina di
Starbucks, «New York Times», 24
luglio2005,p.13.
242 Milton Friedman, “The Social
Responsibility of Business Is to
IncreaseProfits”,in«NewYorkTimes
Magazine»,13settembre,1970.
243 Per esempi di come gli investitori
hanno spinto le aziende a sacrificare il
profitto in nome della “responsabilità
sociale”, vedi, sulla Cummins Engine,
Michael Oneal, “Global Economy
Strains Loyalty in Company Town”, in
«ChicagoTribune»,4aprile2004;sulla
Dayton Hudson, Caroline Mayer,
“Dayton Hudson Acts to Fend Off
Hafts”, in «Washington Post», 20
giugno1987,p.C1;sullaLeviStrauss,
“Levi Strauss Announces Intention to
Close Six Plants”, Associated Press
State&LocalWire,8aprile2002;sulla
Polaroid, Claudia Deutsch, “Deep in
Debt Since 1988, Polaroid Files for
Bankruptcy”,in«NewYorkTimes»,13
ottobre 2001; sulla Marks & Spencer,
Michael Skapinker, “Why Corporate
Laggards Should Not Win Ethics
Awards”, in «Financial Times», 21
luglio2004,p.8.
244
Fondatore
della
compagnia
farmaceutica Merck & Co., una delle
piùgrandiaziendedelsettorealmondo.
245 Peter Landers - Joann Lublin,
“Merck’s Big Bet on Research by Its
Scientists Comes Up Short”, in «Wall
Street Journal», 28 novembre 1993, p.
A1.
246 Su questo punto, vedi Alison
Maitland, “Scandals Draw Attention to
‘Superficial’ Measures”, in «Financial
Times»,10dicembre2002,p.A1.
247 Felicity Barringer, “ExxonMobil
BecomesFocusofaBoycott”,in«New
YorkTimes»,12luglio2005,p.A19.
248ClaudiaH.Deutsch,“NewSurveys
Show That Big Business Has a P.R.
Problem”, in «New York Times», 9
dicembre2005,p.C1.
249 Realizzato da Standard & Poor’s
nel1957,l’indiceseguel’andamentodi
un paniere azionario formato dalle 500
aziende statunitensi a maggiore
capitalizzazione.
250 Vedi Dan Ahrens, Investing in
Vice: The Recession-Proof Portfolio of
Booze, Bets, Bombs and Butts, New
York, St. Martin’s, 2004. Vedi anche
Oaul Koku - Aigbe Akhigbe - Thomas
Springer, “The Financial Impact of
Boycotts and Threats of Boycott”, in
«Journal of Business Research» 40,
1997,n.1,pp.15-20.
251 Jeffrey Hollender - Stephen
Fenichell, What Matters Most: How a
Small Group of Citizen Pioneers Is
Teaching Social Responsibility to Big
Business and Why Big Business Is
Listening, New York, Basic Books,
2004,p.47.
252PaulHawken,SociallyResponsible
Investing,Sausalito,California,Natural
CapitalInstitute,ottobre2004.
253Conquestoterminesiindividuanoi
soggetti “portatori di interessi” nei
confronti di un’iniziativa economica,
siaessaun’aziendaounprogetto.
254 David Vogel, The Market for
Virtue…,cit.,p.73.
255 Pubblicità a tutta pagina di
Starbucks, in «New York Times», 10
agosto2006,p.A7.
256 Una tecnica pubblicitaria che
consiste nell’infondere al prodotto una
personalità unica e attraente piuttosto
checomunicareinformazionisudiesso,
come fa invece la pubblicità
informativa.
257“DoWeHaveaStoryforYou!”,in
«Economist»,21gennaio2006,p.57.
258 Dara O’Rourke, “Market
Movements:
Nongovernmental
Strategies to Influence Global
Production and Consumption”, in
«Journal of Industrial Ecology» 9,
2005, n. 1-2, che cita J. Makower,
“Whatever Happened to Green
Consumers?”, Organic Consumer
Association,luglio-agosto2000.
259 David Vogel, The Market for
Virtue…,cit.,p.135.
260 Michel Capron - Françoise
Quairel-Lanoizelée, Mythes et réalités
de l’enterprise responsable, Parigi, La
Découverte,2004,p.57.
261 David Vogel, The Market for
Virtue…,cit.,p.54.
262Ivi,p.154.
263Ibid.
264MichaelBarbaro,“ANewWeapon
forWal-Mart:AWarRoom”,in«New
YorkTimes»,1novembre2005,p.A1.
265 Unperiododiriformeprogressiste
che andò dalla decade del 1890 agli
anniVentidelxxsecolo.
266 David Vogel, The Market for
Virtue…,cit.,p.112-113.
267 Alcuni boicottaggi, soprattutto in
Europa, hanno portato all’introduzione
di pratiche comunemente accettate
molto simili a leggi vere e proprie,
come l’etichetta “Rugmark” che
certifica che tappeti e tappetini non
siano stati prodotti sfruttando il lavoro
minorile, o l’accordo per escludere il
mercurio dalle batterie. Sorge però il
dubbio che se la concorrenza potesse
offrire prodotti non certificati a prezzi
molto più bassi, i consumatori
sarebbero tentati di trascurare le
conseguenzesocialidelleloroscelte.Se
vi è un’intesa generale su certe norme,
sarebbebenetrasformarleinleggi.
268 Vedilapetizioneonlinedell’AFA,
all’indirizzo
<http://www.afa.net/Petitions/IssueDetail
id=220>.
269 Ann Zimmerman, “Morning-After
Pill Comes to Wal-Mart”, in «Wall
Street Journal», 18-19 marzo 2006, p.
A2.
270 Jeremy Peters, “Gays Pressure
Ford to Reject Boycott Group”, in
«NewYorkTimes»,13dicembre2005,
p.C4.
271 Jeremy Peters, “Ford, Reversing
Decision,WillRunAdsinGayPress”,
«NewYorkTimes»,15dicembre2005,
p.C3.
272 Donald E. Wildmon, presidente,
American Family Association, lettera
indirizzata al presidente Bill Ford, 10
gennaio2006,consultabileall’indirizzo
<http://afa.net/fordletter.asp>.
273 Lasentenzadelgiudice,diportata
storica per la legislazione sull’aborto
statunitense, decretò che la maggior
parte delle leggi contro l’aborto in
vigorenegliStatiUnitiviolavaildiritto
costituzionale alla privacy e abolì tutte
leleggistataliefederalichelimitavano
o negavano l’aborto che non
rispettasserotalediritto.
274 Sull’esortazione ai consumatori di
Focus on the Family di boicottare i
prodottiProcter&Gamble,vediDavid
Kirkpatrick, “Conservatives Urge
Boycott of Procter & Gamble”, in
«NewYorkTimes»,17settembre2004,
p. A18. Sul tentativo di boicottaggio
delle bambole American Girl da parte
dell’Action League of Chicago, vedi
Laura Berman, “Don’t Drag Girls into
Debate”, in «Chicago Sun-Times», 28
novembre 2005, p. 61. Sulle pressioni
della National Rifle Association sulla
ConocoPhillips,
vedi
Ralph
Blumenthal, “N.R.A. Fights Energy
Giant over Stance on a Lawsuit”, in
«New York Times», 3 agosto 2005, p.
A13.
275 Sulla Nike, vedi Tom McCawley,
“Inside Track: Racing to Improve Its
Reputation”, in «Financial Times», 21
dicembre 2000, p. 14; sulla New
Balance, vedi Chris Reidy, “Labor
Group Hits New Balance”, in «Boston
Globe»,7gennaio2006,p.4.
276 Programma federale che provvede
a fornire aiuti agli individui e alle
famiglieconbassoredditosalariale.
277 Il testo di questa pubblicità è
apparsosunumerosigiornali.Vedi,per
esempio,«NewYorkTimes»,20aprile
2005, p. A20. È consultabile anche sul
sito
di
Wal-Mart
Watch
<http://walmartwatch.com/pdf/ad-nyt042005.pdf>.
278 Questa stima si trova in Executive
Office of the President of the United
States, Office of Management and
Budget, Analytic Perspectives, Budget
oftheUnitedStatesGovernment,Fiscal
Year 2006, Washington D.C., U.S.
Government Printing Office, 2006, p.
324.
279StevenGreenhouse,“Opponentsof
Wal-Mart to Coordinate Efforts”, in
«New York Times», 3 aprile 2005, p.
A12.
280Ibid.
281MichaelBarbaro,“ANewWeapon
forWal-Mart:AWarRoom”,p.A1.
282 Sulla risposta di Wal-Mart
all’uragano Katrina, vedi Michael
Barbaro - Justin Gillis, “Wal-Mart at
Forefront of Hurricane Relief”, in
«Washington Post», 6 settembre 2005,
p.d1.
283 Sulle iniziative a difesa
dell’ambiente di Wal-Mart, vedi Mark
Gunther, “The Green Machine”, in
«Fortune»,7agosto2006.Scottècitato
in Matther Wald, “What’s Kind to
Nature Can Be Kind to Profits”, in
«New York Times», 17 maggio 2006,
p.E1.
284 Matther Wald, “What’s Kind…,
cit.,p.4.
285 Jennifer Kerr, “Comcast to Help
Shield Kids from Smut on TV”, in
«Detroit Free Press», 13 dicembre
2005,p.4.
286SarahEllison,“WhyKraftDecided
toBanSomeFoodAdstoChildren”,in
«WallStreetJournal»,31ottobre2005,
p.A1.
287 Andrew Martin, “Leading Makers
Agree to Put Limits on Junk Food
Advertising Directed at Children”, in
«New York Times», 16 novembre
2006,p.C1.
288 Julia Angwin, “News Corp. Sets
Online-Safety Ads”, in «Wall Street
Journal»,10aprile2006.
289 Joe Nocera, “Green Logo, but BP
IsOldOil”,in«NewYorkTimes»,12
agosto2006,p.C1.
290 Ibid. Vedi anche Eric Reguly,
“FactsDiscolourBP’sGreenImage”,in
«Globe and Mail», 21 settembre 2006,
p.B2.
291 Jim Carlton, “BP Finds New
Pipeline Rupture Caused by Corrosion
inAlaska”,in«WallStreetJournal»,17
aprile 2006, p. 14. Vedi anche Ralph
Blumenthal, “Company Deficiencies
Blamed in 2005 Texas Explosion”, in
«NewYorkTimes»,21marzo2007,p.
A15.
292 Jad Mouawad, “BP Named in
Inquiry on Pricing”, in «New York
Times»,29giugno2006,p.C1.
293 Dexter Roberts - Peter Engardio,
“Secrets, Lies, and Sweatshops”, in
«BusinessWeek»,27novembre2006,p.
50.
294 “Waiting for GE”, in «New York
Times», 26 marzo 2006, Sezione 14
WechesterWeeklyDesk,p.15.
295 Il nome si riferisce alla Exxon
Valdez,unasuperpetrolieradiproprietà
della Exxon Mobil che il 24 marzo
1989 si incagliò in una scogliera dello
stretto di Prince Williams, in Alaska,
disperdendoinmareoltre38milionidi
litridipetrolio.
296 David Vogel, The Market for
Virtue…,cit.,p.122.
297Ibid.
298 Carol Hymowitz, “Big Companies
Become Big Targets Unless They
Guard Images Carefully”, in «Wall
Street Journal», 12 dicembre 2005, p.
B1.
299 “Mr. Grassley Goes Begging”, in
«New York Times», 14 novembre
2005,p.20.
300FelictyBarringer,“PanelQuestions
BPonManagingAlaskaOil”,in«New
York Times», 8 settembre 2006, p.
A16.
301TomZeller,Jr,“ToGoGlobal,Do
You Ignore Censorship?”, in «New
YorkTimes»,24ottobre2005,p.C3.
302Ibid.
303 Jim Yardley, “Google Chief
Rejects Putting Pressure on China”, in
«New York Times», 13 aprile 2006, p.
C7.
304 Jon Swartz, “Google, Justice
DepartmentFaceOffonSearch/Privacy
Issue”, in «USA Today», 14 marzo
2006,p.3B.
305 TomZellerJr,“ToGoGlobal,Do
YouIgnoreCensorship?”.
306 JosephNocera,“EnoughShameto
Go Around on China”, in «New York
Times»,18febbraio2006,pp.B1,B13;
TomZellerJr,“WebFirmsAreGrilled
on Dealings in China”, in «New York
Times»,16febbraio2006,p.C1.
307 JosephNocera,“EnoughShameto
Go Around on China”, pp. B1, B13.
Vedi anche Joel Brinkley, “U.S.
SqueezesNorthKorea’sMoneyFlow”,
in«NewYorkTimes»,10marzo2006,
p.A12.
308 Tom Zeller Jr, “Web Firms Are
GrilledonDealingsinChina”,p.C1.
309SullarisoluzionediReportersenza
frontiere, vedi Tom Zeller, “Critics
Press Companies on Internet Rights
Issues”, in «New York Times», 8
novembre2005.L’analistadellaUBSè
citatoinLeeDrutman,“GoogleMayBe
the Least of Three Evils”, in
«Providence Journal», 21 febbraio
2006.
310 Celebre combattente della
rivoluzioneamericana,passatopoidalla
parte dei britannici. Da allora il suo
nome, negli Stati Uniti, è diventato
sinonimoditraditore.
311 David Vogel, The Market for
Virtue…,cit.,p.131,132.
312Ibid.,p.134.
313“CorporateSocialResponsibilityin
Action:PrivateSectorSummitonPostTsunami
Rehabilitation
and
Reconstruction”,
Asia
Society,
WashingtonD.C.,12maggio2005.
314 Elizabeth Davies, “Earthquake
Tragedy: West’s Response Condemned
as Slow and Inadequate”, in
«Independent»,11ottobre2005,p.1.
315 William Holstein, “The Impact of
Image on the Bottom Line”, in «New
YorkTimes»,9aprile2006,p.C13.
316 HusainHaqqani-KennethBallen,
“Earthquake Relief: If We Don’t Help
Pakistan, Al-Qaeda’s Friends Will”,
Carnegie Endowment for International
Peace,17novembre2005.
317 Alan Murray, “The Profit Motive
HasaLimit:Tragedy”,in«WallStreet
Journal»,7settembre2005,p.A2.
318Ibid.
319 Celia W. Dugger, “Clinton,
Impresario of Philanthropy, Gets a
Progress Update”, in «New York
Times»,1aprile2006,p.A9.
320 Una copia della pubblicità della
Croce rossa è visibile al seguente
indirizzo
<http://www.nestlewatersna.com/PDF/ARC_wsj_ad_122805
6.Guidapraticaal
supercapitalismo
Per ricapitolare: man
mano che il potere è passato
nelle mani dei consumatori e
degli
investitori,
il
supercapitalismohafinitoper
trionfare. Questi hanno oggi
unasceltapiùampiachemai
e possono passare da
un’azienda all’altra, alla
ricerca dell’affare migliore,
con una facilità senza
precedenti. E la concorrenza
tra aziende per attrarre e
tenereconséiconsumatorie
gliinvestitorisifasemprepiù
forte. Questo vuol dire
prodotti migliori e più
economici, e ritorni più alti.
Ma
col
trionfo
del
supercapitalismo, anche le
sue conseguenze sociali
negative hanno assunto
dimensioni preoccupanti. Tra
queste vi sono una crescente
disuguaglianzasociale,conla
maggior parte dei frutti della
crescitaeconomicachevanno
ai più ricchi, una maggiore
precarietà
sul
lavoro,
l’instabilità o la perdita delle
comunità tradizionali, la
devastazione ambientale, la
violazione dei diritti umani
all’estero e un’infinità di
prodotti e servizi che
assecondano i nostri istinti
più
bassi.
Queste
conseguenze sono sentite più
negli Stati Uniti che in
qualsiasi altra economia
avanzata,perchésonoilposto
in cui il supercapitalismo ha
preso maggiormente piede.
Le altre economie, però, che
seguono a ruota, hanno
cominciato a registrare molti
deglistessiproblemi.
Lo
strumento
appropriatoperaffrontaretali
questioni è la democrazia. È
lì che dovremmo poter
esprimere i nostri valori in
quanto cittadini, scegliere
quello che vogliamo per noi
in quanto consumatori e
investitoriequellocheinvece
vogliamo
in
quanto
collettività. Ma la stessa
concorrenza
che
ha
alimentatoilsupercapitalismo
ha contagiato il processo
politico. Le grandi aziende
hannoassoldatounesercitodi
lobbisti, avvocati, specialisti
ed esperti di pubbliche
relazioni, e investito sempre
di più nelle campagne
elettorali.Questohasoffocato
levocieivalorideicittadini.
Man mano che questa
trasformazione
prendeva
piede, le vecchie istituzioni
che avevano dato voce ai
cittadini nell’età non proprio
dell’oro – i sindacati
organizzati per settore, le
organizzazioni civiche locali,
gli “statisti aziendali” che
rendevano conto a tutti gli
stakeholder e le agenzie
regolatrici – sono state
spazzate via dal ciclone
supercapitalista.
Invece di salvaguardare
la
democrazia
dagli
inquietanti effetti collaterali
del supercapitalismo, molti
riformistihannoconcentratoi
loro sforzi nel modificare il
comportamento di specifiche
aziende,lodandoleperlaloro
sensibilità
sociale
o
criticandole per la loro
irresponsabilità
sociale.
Questo, però, ha influito
marginalmente sulla condotta
delleaziendeingenerale.Più
di ogni altra cosa, ha distolto
l’attenzione della gente dalla
necessità di riformare la
democrazia.
1
Le idee su come
alleviare gli effetti più
negativi del supercapitalismo
non mancano, e ne ho
suggerito alcune alla fine del
terzo capitolo. Magari non
siete d’accordo, ma non
siamo in grado di affrontare
un dibattito serio perché le
politiche pubbliche sono
diventate
sempre
più
ininfluenti in politica. Nuove
idee vengono tirate fuori a
ogni tornata elettorale, ma
non hanno pressoché nessun
impatto sulle decisioni che
vengono prese a elezioni
concluse.Illavoroquotidiano
del Congresso, dei comitati e
dei dipartimenti e delle
agenzie del Governo è stato
preso in ostaggio dalle
corporation alla ricerca di un
vantaggio competitivo. Gran
parte delle nuove leggi e
norme vengono promulgate
sulla spinta di qualche
azienda
o
segmento
d’industria; i conflitti e i
compromessi hanno quasi
sempre come protagoniste le
aziende o le industrie. Se
viene ventilata un’iniziativa
di Governo che potrebbe
alzareicostidivarieaziende
o industrie, queste si alleano
persconfiggerla.
Senza una democrazia
chesiaingradodimetterlein
pratica,leideesu“quelloche
andrebbe fatto” non hanno
alcunvalore.Ladomandapiù
pressante, dunque, è come
tornare a far funzionare la
democrazia.
Anche a questo sono
state date molte risposte: c’è
chihasuggeritodifinanziare
le campagne elettorali per le
cariche più importanti col
denaro pubblico, di imporre
agli enti televisivi e
radiofonici che utilizzano le
frequenze pubbliche di
ospitare gratuitamente gli
annunci
elettorali
dei
candidati
alle
elezioni
generali, di proibire ai
lobbisti
di
raccogliere
eccessive somme di denaro
dailoroclientidadestinareai
politici, di eliminare i regali
fatti dalle corporation o dai
lorodirigentiaglistudilegali,
di proibire i viaggi-regalo a
politici e assistenti e le feste
“in onore” di politici
organizzate coi contributi
delle corporation, di proibire
agli ex politici e funzionari
pubblici di fare attività di
lobbying per almeno cinque
annidopoaverlasciatoilloro
posto, di pretendere che i
lobbisti rivelino per intero i
costi delle loro attività e di
esigere che tutti gli esperti
chiamati a testimoniare nelle
udienze
legislative
e
regolatrici
dichiarino
i
rapportieconomicichehanno
con le parti interessate.
Ognuna di queste riforme
dovrebbe essere monitorata e
fattarispettaredaunispettore
generale indipendente col
poterediindagaregliabusie
imporre sanzioni severe ai
trasgressori321.
Sarebbero tutte misure
positive. Ma la questione di
come applicarle non fa che
sollevare un interrogativo
ancora più profondo. Non
sarà possibile ottenere alcuna
riforma finché i politici
saranno dipendenti da quelle
stesse corporation il cui
potere si vuole limitare. Il
sistema non può essere
riparato dall’interno. La
rivelazione occasionale di un
qualche episodio di esplicita
corruzione genera sufficiente
sdegnonellagentedaindurre
i politici a impegnarsi
solennementeperriformareil
sistema. Ma queste promesse
vengono dimenticate non
appena la rabbia si assopisce
elamemoriasiannebbia.
A ogni modo, il
problemaprincipalenonsono
le tangenti e le mazzette nel
senso stretto del termine, che
non sono così diffuse. Ma è
l’intrusione
del
supercapitalismo in ogni
aspetto della democrazia: il
potere dei lobbisti, degli
avvocati e degli esperti di
relazioni pubbliche al soldo
delle corporation sull’intero
processo politico; il denaro
aziendale
che
inquina
l’attività
quotidiana
di
Governo, soffocando la voce
deicittadini.Nonsolodevono
essere drasticamente ridotti i
contributi
privati
alle
campagne elettorali, ma
anche i soldi spesi dalle
corporation in attività di
lobbying e di pubbliche
relazioni
finalizzate
a
influenzare l’esito delle
decisionipolitiche.
Una
speranza
di
salvaguardare la democrazia
dal supercapitalismo risiede
nel fatto che gran parte delle
corporation sarebbero ben
felici di non spendere questi
soldi se avessero la certezza
che anche la concorrenza si
astenesse dal farlo. In questo
senso, le aziende potrebbero
essere disposte a una tregua
nella corsa politica agli
armamenti. Qualche anno fa,
prima che il McCainFeingold Act mettesse un
frenotemporaneoalflussodi
soft money (finanziamenti
indiretti ai partiti politici per
pubblicità
a
carattere
tematico, che spesso si
trasformano in attacchi
abbastanza espliciti agli altri
candidati), centinaia di
dirigenti aziendali riuniti nel
Committee for Economic
Development – tra cui quelli
della General Motors, della
Xerox, della Merck e della
Sara Lee Corporation –
diederoilloroappoggioauna
riformapiùdecisadelsistema
di
finanziamento
delle
campagne
elettorali.
Il
presidente del comitato,
Charles Kolb, riassunse così
la posizione del gruppo:
«Queste persone stanno
dicendo: siamo stanchi di
doverversaresoldiadestrae
amanca.Lapoliticadovrebbe
esserequalcosachevaoltrela
semplice riscossione di
denaro dalle corporation»322.
È anche grazie a loro se il
McCain-Feingold Act è
passato.
Èpossibilecheinfuturo
le
corporation
trovino
ulterioriaccordiperlimitarei
finanziamenti alla politica,
magari proibendo ai lobbisti
di sollecitare donazioni
ingentidapartedelleaziende
clienti e abolendo i regali ai
politicidapartedelleaziende
stesseedeilorodirigenti.Nel
2002,
l’amministratore
delegato della BP, Lord
Browne,
annunciò
che
l’azienda aveva deciso di
porre fine a tutti i contributi
ai candidati politici in giro
per il mondo. «Dobbiamo
essere molto cauti nei nostri
rapporti con il processo
politico», disse, «non perché
non sia importante, ma al
contrarioperchélalegittimità
ditaleprocessoècrucialesia
per la società che per
un’azienda come la nostra
cheoperaall’internodiquella
società»323.Masaràmoltopiù
difficile convincere le grandi
aziende a non inondare più
Washington e le altre città
capitali di lobbisti, avvocati
ed esperti di pubbliche
relazioni.Tant’èchelaBPsi
è guardata bene dal mettere
un termine ai suoi rapporti
conquestepersone.
Perché sia efficace,
qualsiasi tregua deve essere
sostenuta da una legge. Una
tregua
volontaria
non
potrebbe
garantirsi
l’appoggio di ogni singola
grande azienda. I potenziali
benefici
offerti
dalla
possibilità
di
stipulare
liberamente
vantaggiosi
accordi politici sarebbero
troppo
appetitosi
per
rinunciarvi.
Basterebbe
questo
per
vanificare
qualsiasi sforzo collettivo;
finché alcune grandi aziende
continueranno a riversare
denaro a Washington e nelle
altre capitali, le altre si
sentirannoobbligateafarelo
stesso.
Ma l’ostacolo principale
aqualsiasiprogettodiriforma
risiede nella dura realtà del
fatto che gran parte dei
politici e dei lobbisti vuole
continuareaestorceresoldial
settore privato. È così che i
politici si tengono aggrappati
al potere e i lobbisti ai loro
soldi.
2
Una vera riforma del
sistema avverrà solamente
quando e se lo vorrà la
maggioranza dei cittadini.
Affinché questo avvenga, la
gente deve comprendere
molti aspetti dell’attuale
sistema che gli vengono
tenutinascosti.Ancheimedia
devono comprenderli ed
essereprontiacomunicarlial
momento giusto. Le mezze
verità, i miti e le distorsioni
che ora oscurano il confine
tra il settore privato e quello
pubblicorendonoimpossibile
per i cittadini capire dove
finisce l’uno e inizia l’altro.
Questa confusione è un
ostacolo al tentativo di
salvare la democrazia dal
supercapitalismo.
Una guida pratica al
supercapitalismo dovrebbe
iniziare con un avvertimento
ai cittadini a guardarsi bene
da quei politici che accusano
le corporation e i loro
dirigenti per le negative
conseguenze sociali del
supercapitalismo, che siano i
salari e i benefici bassi o in
diminuzione,
la
disoccupazione,
le
disuguaglianze economiche,
il riscaldamento globale, i
prodotti osceni, o qualsiasi
altra
cosa
di
cui
comunementecisilamenta.I
dirigenti aziendali hanno la
responsabilità di rispettare la
legge e dovrebbe rispondere
dieventualiillegalità.Manon
cisipuòenoncisidovrebbe
aspettare da loro niente di
più. Il loro compito è quello
di soddisfare i consumatori e
cosìfacendofararricchiregli
investitori. Se non riescono a
farloallapari,senonmeglio,
della concorrenza, saranno
punitidaiconsumatoriedagli
investitori che spenderanno i
lorosoldialtrove.
I
dirigenti
delle
corporation
non
sono
coinvolti
in
qualche
cospirazione diabolica. Le
conseguenze sociali negative
delle loro azioni sono la
logica
conseguenza
dell’aumento
della
concorrenza per dare ai
consumatori e agli investitori
affari
sempre
migliori.
Questo può esigere il
trasferimento di lavoro
all’esterno,
dove
la
manodoperaèpiùeconomica,
il rimpiazzo di persone con
computer e software, o
l’opposizione ai sindacati.
Può avvenire a spese dei
rivenditori indipendenti, che
non possono offrire prezzi
bassi neanche lontanamente
paragonabili a quelli delle
grandi catene, o di intere
comunità, che perdono il
principale datore di lavoro,
costretto a esternalizzare il
lavoroall’esteroperrimanere
competitivo. Può necessitare
del talento di celebri
amministratoridelegatipagati
come stelle del baseball. O
può avvenire a spese
dell’atmosfera terrestre. Può
anche dipendere dal riempire
l’etere di prodotti violenti e
adaltotassoerotico,oinostri
stomaci di cibo spazzatura.
Può comportare l’abuso dei
diritti umani all’estero o lo
sfruttamento del lavoro
minorile nel Sudest asiatico.
Finchétuttoquestoèlegale,e
finché sono contenti i
consumatori e gli investitori,
le corporation e i loro
dirigenti continueranno a
praticarlo.
Questo non lo rende
giusto, ma l’unico modo per
renderlo sbagliato – l’unico
modo per impedire alle
aziende di offrire ai
consumatori e agli investitori
affari che abbiano un tale
costo sociale – è renderlo
illegale. Non ha senso
criticare le aziende solo
perché seguono le regole del
gioco; se vogliamo che
giochino
diversamente,
dobbiamo cambiare le regole
delgioco.
Ne segue che la gente
deve guardarsi anche da quei
dirigenticheaffermanochela
loro azienda sta agendo in
nome del “bene comune” o
del suo impegno per la
“responsabilità sociale”. Alle
aziende non importa un tubo
del bene comune. Essere
buone non è il loro compito.
Possonofaredellecosebuone
per migliorare il loro brand
image,alfinediaumentarele
vendite e i profitti. Possono
fare scelte redditizie che il
caso vuole abbiano effetti
collaterali positivi per la
società.Manonfarannodelle
cose buone solo perché sono
tali.
Allo stesso modo,
quandoidirigentiaziendalio
i lobbisti e gli avvocati che
agiscono per conto loro
combattono una battaglia
politica o legale, non credete
a una sola parola di quello
chediconoiloroportavoceo
i loro “esperti” quando
sostengono che lo fanno in
nome dell’interesse pubblico.
Può darsi che l’esito benefici
veramente
l’interesse
pubblico, ma le aziende non
sono motivate a fare niente
solo perché è nell’interesse
pubblico. Il loro unico
movente legittimo, lo ripeto,
è quello di soddisfare i
consumatori al fine di
generare
profitti
che
soddisfino gli investitori.
L’unica ragione per cui
sostengonounacertabattaglia
politica o legale è far
avanzareoproteggerelaloro
posizione
competitiva.
L’unica ragione per cui
sostengono di farlo in nome
dell’interesse pubblico è
ottenere l’appoggio dei
cittadini e fare politicamente
levasudiesso.
Spero risulti chiaro che
dovreste anche guardarvi da
quei politici che sostengono
chelagentepuòaffidarsialla
cooperazione“volontaria”del
settore
privato
per
raggiungerequalcheobiettivo
di carattere pubblico. Le
corporation e i loro dirigenti
non hanno alcuna licenza di
utilizzare i soldi degli
azionisti per opere di
interesse pubblico. Possono
anche decidere di donare
“volontariamente” dei soldi a
una causa meritevole, o di
limitare
le
emissioni
inquinanti, o di creare nuovi
posti di lavoro in un certo
luogo, ma solo se questo
aumenta i profitti, garantisce
unritornod’immaginetaleda
aumentareiprofitti,ometteil
frenoaqualchenuovaleggeo
norma che costerebbe loro
ancoradipiù.Manegliultimi
casi, queste buone azioni
“volontarie”sarannoconogni
probabilità
limitate
e
temporanee, solo finché
sussistano le condizioni che
le hanno rese necessarie. In
queste circostanze, dovreste
sempre chiedervi perché, se
l’obiettivo
di
carattere
pubblico è così meritevole, i
politici non si sforzano di
disporre una legge che
costringa il settore privato a
raggiungerlo.
Siate altrettanto scettici
riguardo a quei politici che
criticano una corporation
anche quando questa non ha
infranto alcuna legge o
l’accusano di non prendere
un’iniziativaquandononviè
una legge che la obbliga a
farlo. Informatevi se quel
politico si impegna in prima
persona per cambiare le
regole del gioco affinché
questaetuttelealtreaziende
siano costrette a cambiare il
lorocomportamentoinbasea
una legge. Se il politico in
questionenonfanulladitutto
ciò, potete stare certi che le
sue parole di condanna
servono solo a mascherare il
suorifiutodifarequalcosadi
concreto per risolvere il
problema.
Guardatevi anche dagli
sforzi concertati di attivisti e
riformisti – nella forma di
campagne
di
opinione
pubblica, boicottaggi e
movimenti civici – per
costringere una singola
azienda a comportarsi in
modo
socialmente
più
responsabile.
Informatevi
sullospecificoobiettivodella
campagnainquestione.Sevi
trovate d’accordo con esso,
chiedetevisenonsarebbepiù
utile cambiare la legge o la
normativainmateriaaffinché
tutteleaziendesianocostrette
a modificare il loro
comportamento alla stessa
maniera. A volte, come
abbiamo visto, i riformisti
prendono di mira delle
aziende specifiche al fine di
coinvolgere la gente in una
battagliapolitica;altrevoltei
sindacati concentrano i loro
sforzi su una singola azienda
al fine di costringerla a
concedere ai suoi dipendenti
unarappresentanzasindacale.
Queste strategie riformiste
possono anche rivelarsi
efficaci. Ma qualsiasi attacco
ben orchestrato nei confronti
di aziende specifiche per
costringerle a modificare il
loro operato in una misura
taledaprovocareunaumento
dei costi o una diminuzione
dei profitti dovrebbe essere
guardatoconsospetto.Anche
se
socialmente
utile,
l’obiettivo perseguito rischia
di apparire ingiustificato alla
lucediunaumentodeicostio
di una diminuzione dei
profitti. E comunque, una
volta che un’azienda è stata
costrettaadaccettarecostipiù
alti e ritorni più bassi, le
aziende concorrenti il cui
comportamento è rimasto
quello di sempre e che
godono di costi più bassi e
ritorni più alti potrebbero
prendere il suo posto,
vanificandoognisforzo.
In generale, la sede più
adatta per discutere delle
responsabilità delle aziende
nei confronti della gente è il
processo democratico, non i
consigli d’amministrazione. I
riformisti
dovrebbero
concentrare i loro sforzi per
cambiare le leggi e le norme
vigenti e mobilitare la gente
verso questo obiettivo. Se la
campagna contro Wal-Mart,
peresempio,hal’obiettivodi
costringere l’azienda ad
accettare i sindacati, questo
dovrebbe
essere
detto
chiaramente.Sehal’obiettivo
di sensibilizzare la gente nei
confronti di modifiche della
legge sul lavoro che
renderebbero più facile per i
dipendenti a basso reddito
formare dei sindacati, ci si
dovrebbe
concentrare
direttamente su questo. La
battaglia legislativa che ne
seguirebbe rafforzerebbe la
democrazia piuttosto che
indebolirla.
La cosa più utile che
possano fare i riformisti è
ridurre gli effetti deleteri del
denaro
aziendale
sulla
politica, e dare più voce ai
cittadini.Nessunaltrariforma
è altrettanto importante. La
cosa migliore che possano
fare quei dirigenti aziendali
che siano veramente animati
da buone intenzioni è tenere
la loro azienda fuori
dall’arena politica. Se la
responsabilità sociale ha
qualche senso, essa consiste
proprio nell’astenersi dal
corromperelademocrazia.
3
Un’ultima verità, la più
importanteditutte,chemerita
diesseresottolineata,èchele
aziende non sono persone.
Sono finzioni giuridiche,
nient’altrochepilediaccordi
contrattuali. Sì, esistono
“culture aziendali”, stili e
norme dominanti come in
qualsiasi altro gruppo. Ma la
grande azienda in sé non
possiede una dimensione
materiale.
Questo
è
particolarmente vero nel
supercapitalismo, ora che le
aziendesistannorapidamente
trasformando in catene di
fornitura
globali.
Le
corporation non dovrebbero
avere maggiore libertà di
parola, diritti giuridici o
rappresentazione politica di
qualsiasi altro pezzo di carta
su cui sono scritti dei
contratti. I politici o i giudici
che vogliono concedere tali
diritti alle aziende sono in
malafede,
o
non
comprendono gli effetti del
supercapitalismo. Certi diritti
dovrebbero
essere
una
prerogativa esclusiva delle
persone.
Quando alle aziende
vengono attribuite qualità
antropomorfiche – quando,
per
esempio,
vengono
definite dai media come
nobiliovolgari,patriotticheo
traditrici, rispettose della
legge o criminali, o con
qualsiasi altro attributo
umano – la gente è portata a
credere che non siano così
diverse da noi. Anche la
convezione linguistica, negli
Stati Uniti e altrove, di
associare i verbi direttamente
alle aziende – come
«Microsoft sta tentando
di…»,o«Wal-Martvuole…»
– rafforza inconsciamente
l’idea che queste entità
abbiano una volontà propria
(ibritannici,conlalorotipica
impeccabilità,usanoilplurale
per descrivere l’operato delle
aziende: «[i dirigenti della]
Rolls-Royce
stanno
considerando»,ecosìvia).
Questa
illusione
antropomorfa
porta
a
riconoscerealleaziendediritti
e doveri che appartengono
esclusivamente alle persone.
Questo rende sfumato il
confine tra capitalismo e
democrazia e conduce a una
serie di politiche pubbliche
sbagliate. Prendete, per
esempio,
l’imposta
sul
reddito aziendale. La gente è
erroneamente convinta che le
corporation la paghino e
quindiabbianodirittoaessere
rappresentate nel processo
democratico, secondo il
vecchio adagio “nessuna
tassazione
senza
rappresentanza”. Ma solo le
persone pagano le tasse. In
realtà, l’imposta sul reddito
aziendale viene pagata,
indirettamente,
dai
consumatori,dagliazionistie
dai dipendenti dell’azienda.
Vari studi hanno tentato di
determinare esattamente in
qualemisuralatassagravisui
tregruppi,maladistribuzione
rimane tuttora poco chiara.
Ciò che è chiaro è che
l’imposta
sul
reddito
aziendale è inefficiente e
ingiusta.
È inefficiente perché le
corporation possono detrarre
dallaloroimpostasulreddito
aziendale gli interessi pagati
suldebitomanonidividendi.
Questo spinge le aziende ad
affidarsi troppo al debito di
finanziamento per quanto
riguarda il valore azionario e
atrattenereiprofittipiuttosto
che ridistribuirli sotto forma
didividendi.Ilrisultato,negli
ultimianni,èstatochemolte
corporation
hanno
accumulatograndiquantitàdi
denaro che poi hanno
utilizzato per comprare altre
aziende o ricomprarsi le loro
azioni. I mercati di capitali
sarebberomoltopiùefficienti
se i profitti accumulati
fossero ridistribuiti agli
azionisti sotto forma di
dividendi. Le decisioni di
milioni di azionisti in merito
a come e quando reinvestire
questi fondi sarebbero, con
ogni
probabilità,
più
lungimiranti delle decisioni
prese da un ristretto numero
didirigentiaziendali.Abolire
l’imposta
sul
reddito
aziendale,dunque,aiuterebbe
i mercati di capitali a
funzionaremeglio.
L’imposta sul reddito
aziendale, inoltre, è ingiusta
perchégliutilinondistribuiti
degliinvestitoridiredditopiù
basso sono tassati a
un’aliquota che spesso è più
alta di quella sulle altre
entrate, mentre gli utili degli
azionisti di reddito più alto
sonotassatiaun’aliquotache
spesso è più bassa di quella
che pagano sul resto del
reddito.Comeabbiamovisto,
nel supercapitalismo gli
investitori hanno molto più
poterediqualchedecenniofa.
Le loro decisioni su dove
investire i loro soldi per
massimizzare i profitti sono
simili a qualsiasi altra
decisione che prendono su
come incrementare i loro
guadagni. A rigor di logica,
nonvièalcunmotivopercui
i loro utili “aziendali”
dovrebbero essere tassati
diversamente dal resto delle
loro
entrate.
Abolire
l’imposta
sul
reddito
aziendale e trattare tutte le
entrateaziendalicomeentrate
personali degli azionisti
porrebbe fine a questa
anomalia.
Un’idea avanzata dal
professoreLesterThurowdel
MIT è di eliminare l’imposta
sul reddito aziendale e far
pagareagliazionistiperconto
loro le tasse sugli introiti
generati dalla corporation,
che gli utili vengano
ridistribuiti o meno. Questo
costringerebbe la corporation
a rivelarsi per quello che è
realmente: una partnership di
azionisti. Tutti gli utili
aziendali sarebbero trattati
come entrate personali.
Questo non creerebbe grandi
problemi agli azionisti. Man
mano che il reddito
“aziendale” si accumula nel
corso dell’anno, l’azienda
tratterrebbeletassedovutein
base
allo
scaglione
dell’azionista, come fa il
datoredilavorodell’azionista
col suo salario. Alla fine
dell’anno,
gli
azionisti
riceverebbero dall’impresa
l’equivalente di un modulo
delle tasse W-2324 che gli
indica il reddito che deve
essere aggiunto al resto delle
loro entrate e a quanto
ammonta l’imposta sul
reddito trattenuta. In questo
modo,
gli
azionisti
pagherebbero
automaticamente le tasse sui
“loro” utili aziendali a
un’aliquota appropriata alle
loroentrate325.
Questo
risolverebbe
entrambi i problemi. Le
corporation non sarebbero
incoraggiate a trattenere gli
utili e le tasse sarebbero più
basse per gli azionisti di
reddito più basso e più alte
pergliazionistidiredditopiù
alto326. Tra le altre cose,
questa riforma servirebbe
anche a sfatare il mito
secondo cui le corporation
pagano le tasse e dunque
meritano una rappresentanza
politica. Ripeto, le aziende
non dovrebbero avere né
dirittinéresponsabilitàinuna
democrazia. Queste cose
spettano esclusivamente alle
persone.
Altrettanto ambigui e
ingiusti sono i casi in cui le
aziende vengono ritenute
penalmente responsabili per i
misfatti dei loro dirigenti o
degli altri dipendenti. La
responsabilità penale delle
corporation non solo rinforza
l’illusione antropomorfa –
dopotutto, i criminali godono
di diritti pressoché in tutti i
sistemi legali democratici –
mafinisceperarrecaredanno
a un gran numero di
innocenti.
Prendete il caso della
ArthurAndersen,l’exsocietà
contabile condannata per
ostruzione della giustizia a
causa della distruzione, per
mano di alcuni partner
dell’azienda, di documenti
che
testimoniavano
le
certificazioni di bilancio che
questi avevano redatto per la
Enron nel momento in cui il
gigante dell’energia stava
implodendo, poco prima che
la Securities and Exchange
Commission desse il via
all’indagine. Quando la
Andersen fu condannata, nel
2002,
i
suoi
clienti
abbandonarono l’azienda e
assunsero
altre
società
contabili. Il numero dei
dipendentisceseda28.000ad
appena
200,
che
si
occuparono delle pratiche di
chiusura dell’azienda. La
stragrande maggioranza dei
dipendenti della Andersen
nonavevanullaachevedere
con la Enron ma finì
comunque per perdere il
proprio posto di lavoro.
Alcuni senior partner si
spostaronoversoaltresocietà
contabili o di consulenza.
Joseph
Berardino,
l’amministratore
delegato
della Andersen al tempo,
ottenne
un
posto
profumatamente pagato in un
fondo private equity. Altri
senior partner formarono una
nuova società contabile.
Moltidipendentidilivellopiù
basso, però, non furono così
fortunati. Tre anni dopo la
condanna,ungrannumerodi
questi era ancora senza un
lavoro, stando a un associato
dellaAndersenchegestivaun
sito internet per gli ex
dipendenti
dell’azienda.
Inoltre, i partner e i
dipendenti in pensione
persero
una
porzione
sostanziale dei loro benefici
pensionistici. La Corte
Suprema infine revocò la
condanna, ma a quel punto
era troppo tardi. L’azienda
non esisteva più. Un ex
dipendente ha scritto sul sito
web: «Vuol dire che
possiamo lanciare una class
action contro il dipartimento
della Giustizia per aver
rovinatelenostrevite?»327.
Le aziende non possono
agire con intento criminale
perché, a differenza degli
umani, non possiedono una
coscienza. Il nome Arthur
Andersen poteva richiamare
quello di una persona, ma la
societàcontabilenoneraaltro
cheunafinzionegiuridica.La
CorteSupremaharevocatola
decisionedeltribunaleperché
il giudice di prima istanza
non aveva comunicato alla
giuria che questa doveva
trovare le prove che la
Andersen era cosciente di
compiere un illecito. Ma
come può una giuria, in
qualsiasi
circostanza,
dimostrare che un’azienda
“era cosciente” di qualcosa?
Un’aziendanonèingradodi
distinguere il bene dal male;
un’azienda non sa un bel
niente. E non agisce di sua
spontanea volontà. Solo le
persone sanno distinguere il
bene dal male e solo loro
scelgono di agire in una
manieraonell’altra328.Questo
è uno dei fondamenti della
democrazia.
D’altra
parte,
la
responsabilità
civile
–
laddove un’azienda è multata
acausadelleazioniillegalidi
alcuni dirigenti o dipendenti
che profittano da essa – è
perfettamente coerente con
l’idea di responsabilità
personale. Non vi è motivo
percuigliazionistioglialtri
dipendentidovrebberogodere
dei frutti di azioni illegali,
compresi quelli di cui non
sono a conoscenza. Ma la
multa
deve
essere
proporzionale a ciò che è
stato ottenuto illegalmente.
Pene
economiche
che
superano
l’ammontare
ottenutoillegalmentealpunto
da mettere a rischio
l’esistenza
dell’azienda
assomigliano più a pene
criminali, e non dovrebbero
esserepermesse.
Allo stesso modo, non
ha senso criticare o
penalizzare quelle aziende
americane che esternalizzano
il lavoro all’estero o lasciano
i loro profitti in altri paesi.
Così come non ha senso che
il Governo statunitense
favoriscaleaziendeconsede
negli Stati Uniti rispetto a
quelle con sede altrove,
secondo l’idea che sarebbero
in qualche modo più
patriottiche delle altre. Le
aziendenonsonopatriottiche.
Credere che debbano esserlo
–oanchesolochepotrebbero
esserlo,inbaseallalogicadel
supercapitalismo–servesolo
ad
antropomorfizzare
ulteriormente le corporation,
e a sfumare i confini tra i
contratti
legali
che
costituiscono un’azienda e i
diritti e le responsabilità di
cui solo le persone fisiche
possono essere titolari. Sotto
il supercapitalismo, tutte le
multinazionali,
indifferentemente da dove
abbianolasede,assomigliano
sempre più l’una all’altra
perché competono tra di loro
perattirareiconsumatoriegli
investitori di tutto il mondo.
Tutte si stanno trasformando
in catene di fornitura globali,
sempre
alla
ricerca
dell’offerta migliore in
qualsiasipartedelmondo.
I
dirigenti
che
esternalizzano il lavoro
all’estero non sono dei
traditori della patria. Non
possono sacrificare dei
vantaggi per i loro clienti e
investitori in nome di un
presunto dovere patriottico
dell’azienda di assumere più
americani e in generale di
comportarsi
come
un
cittadino responsabile. Se lo
facessero, i clienti e gli
investitori abbandonerebbero
la loro azienda a favore di
altre che offrano prodotti e
servizipiùconvenientigrazie
all’esternalizzazione
del
lavoro all’estero. Nel 2006,
come abbiamo visto, le
aziende USA ricoprivano
quasi
la
metà
delle
importazioni americane. Il
principale importatore di
lavatriciprodotteinGermania
è la Whirpool. La forza
lavoroamericanadell’azienda
è rimasta invariata dal 1990,
mentre la sua forza lavoro
all’estero è triplicata. Due
terzi dei suoi utili, però,
vengono
ancora
dai
consumatori
americani329.
Anche Wal-Mart si sta
trasformando in un’azienda
globale,
crescendo
più
rapidamente all’estero che
negliStatiUniti.
Perlostessomotivo,non
hamoltosensolimitarealcuni
contratti
militari
alle
cosiddetteaziendeamericane.
Il motivo ufficiale per cui
questo viene fatto è che le
aziende
americane
effettuerebbero la ricerca, il
design ingegneristico e la
produzione negli Stati Uniti,
trattenendo
informazioni
cruciali per la sicurezza del
paese all’interno dei confini
nazionali. Ma, in realtà,
sempre più le aziende
americane legate alla Difesa
si appoggiano alle stesse
catene di fornitura globali
delle altre imprese. Una
buona parte del software
militare è prodotto all’estero.
Nel 2006, il 90% di tutti i
circuiti
stampati
erano
prodotti all’estero. Se gli
appaltatori della Difesa
dovesseroprodurretuttonegli
Stati Uniti, i costi della
Difesa sarebbero ancora più
astronomici di quanto siano
oggi330.
Altrettanto discutibile è
l’idea di limitare certe
responsabilità pubbliche alle
aziende americane. Crea
confusione tra chi possiede
un’azienda
e
chi
effettivamente vi lavora, e
presupponechelanazionalità
dei dirigenti o degli altri
dipendenti di un’azienda
globale influisca in qualche
maniera sul suo operato. Nel
2006, il Congresso diede
ragioneaquestalogicafallace
quando
intervenne
per
impedire alla Dubai Ports
World,
di
proprietà
dell’emiro del Dubai, di
assumere la gestione di sei
porti americani, ritenendola
un pericolo per la sicurezza
nazionale. Ma a quel tempo
circa l’80% dei porti
americani era già gestito da
aziendestraniere,tracuiisei
portiinquestione.Granparte
di queste aziende assumeva
personale americano per la
manutenzione quotidiana dei
porti per via della loro
esperienza. Il chief operating
officer della Dubai Ports
World era americano, così
come
il
suo
ex
amministratore delegato e i
dirigentiportualidell’azienda
britannicachevolevavendere
isuoiappaltiallaDubaiPorts
World. E a ogni modo,
l’attività ordinaria nel porto
sarebbe comunque stata
gestita
da
scaricatori,
impiegatietecniciamericani.
E la sicurezza del porto
sarebbe rimasta nelle mani
della guardia costiera, della
dogana,dellapoliziaportuale
e del governo americani, che
decidono e applicano le
regole331.
Sovvenzionarelaricerca
delle aziende americane è
altrettanto privo di logica.
Non rende gli Stati Uniti più
competitivi,perchéleaziende
americanestannoconducendo
R&S in tutto il mondo.
Sovvenzioni di questo tipo
nonfannoaltrochefinanziare
ricerche che sarebbero state
condotte
comunque,
permettendo alle corporation
di allocare ancora più denaro
alla ricerca all’estero. La
Microsoft ha recentemente
annunciatouninvestimentodi
1,7 miliardi di dollari in
India,lametàdeiqualiandrà
al suo centro di R&S a
Hyderabad,
nel
sud
dell’India. All’inizio del
2006, la IBM ha annunciato
l’imminente apertura di un
laboratorio per lo sviluppo
del software a Bangalore, in
India. La Dow Chemical sta
costruendo un centro di
ricerca a Shanghai che
impiegherà più di 600
ingegneri, e un grande
stabilimento in India. In un
sondaggio
effettuato
dall’Unione delle Accademie
Nazionali americane, il 38%
delleoltre200multinazionali
americane
ed
europee
intervistate hanno dichiarato
di avere intenzione di
spostare una percentuale
crescentedelloroR&SinCina
e in India, e di dover
diminuire quello negli Stati
UnitieinEuropa332.
L’obiettivo del governo
statunitense dovrebbe essere
quello di rendere più
competitivi gli americani e
non le aziende americane. È
una distinzione importante,
compresaanchedagranparte
dei
dirigenti
aziendali
americani. Le grandi aziende
sonoentitàglobali;lepersone
no. «La verità è che, come
azienda, abbiamo molte
opzioni», ha detto William
Banholzer, chief technology
officer
della
Dow.
«Personalmente, però, quello
che mi preoccupa è che una
forza lavoro innovativa nei
campi della scienza e
dell’ingegneria è cruciale per
l’economia. Se perdiamo
quella, a lungo andare gli
StatiUnitinerisentiranno»333.
Il governo federale dovrebbe
sovvenzionare l’R&S di base
di
qualsiasi
azienda,
indifferentemente da dove
questa ha la sede, purché
assuma lavoratori americani,
sviluppando le conoscenze
sul campo degli ingegneri e
degliscienziatidelpaese.
Non ha alcun senso
trattare le aziende come
“persone” col diritto di
contestare in un tribunale
leggi e norme dello Stato.
Quel
diritto
spetta
esclusivamente ai cittadini
reali. Gli investitori, i
consumatori e i dipendenti
posseggono già il diritto di
rivolgersiauntribunale–sia
come individui che come
membri di una class action –
per contestare leggi e norme
che ritengono arrechino un
dannoeconomico.Nonhanno
bisogno
di
essere
rappresentati
da
una
corporation. Inoltre, dal
momento che quasi tutte le
grandicorporationdipendono
dal capitale di investitori
presenti in tutto il mondo,
legittimareleaziendeacitare
in giudizio il Governo
conferisce nei fatti ad alcuni
investitori non-americani il
dirittoditentaredirovesciare
leggienormeamericane.Chi
non è un cittadino americano
non dovrebbe godere di tale
diritto,amenochelaleggeo
la norma in questione non
violi
qualche
trattato
internazionale. Altrimenti, le
decisioni
prese
democraticamente rischiano
di essere rovesciate da
persone che non sono
neanchecittadiniamericani.
Ed è proprio quello che
succede
ogniqualvolta
un’azienda
decide
di
intraprendere
un’azione
legale.Nelgennaiodel2005,
nove
multinazionali
dell’industria automobilistica
fecero causa alla California
per bloccare la nuova legge
dello Stato sulle “macchine
pulite”,cheimponediridurre
del 30% le emissioni delle
macchine
vendute
in
California entro il 2016,
adducendo che la legge
rappresentavaunalimitazione
incostituzionalealcommercio
interstatale. La maggioranza
degliazionistidialmenosette
delleaziendeeracompostada
cittadini non-americani, ma
nonostantequestoiltribunale
ha concesso loro il diritto di
contestare, e potenzialmente
rovesciare,unaleggeemanata
dai cittadini della California.
Non ha senso. Tale diritto
dovrebbe essere accordato
solo ai cittadini americani, e
permettendosoloallepersone
di iniziare un procedimento
legale, e non alle aziende, si
otterrebbe
esattamente
questo. Qualsiasi cittadino o
gruppo di cittadini americani
che ritiene di essere
danneggiato dalla nuova
legge della California – tra
cui gli investitori americani
della Toyota – deve avere il
diritto di contestarla, ma non
gli investitori non americani
dellaGeneralMotors.
Infine, il punto più
importante di tutti è che, dal
momentochesololepersone
possono essere cittadini, solo
a loro dovrebbe essere
concesso il diritto di
partecipare al processo
decisionale democratico. I
consumatori, gli investitori, i
dirigenti e tutti gli altri
dipendenti hanno il diritto di
difendere i loro interessi in
democrazia.
Ma
come
concluseloscienziatopolitico
di Yale, Charles Lindblom,
molti anni fa, non è né etico
né logico concedere alle
corporation una voce in
capitolo
nel
processo
decisionale334.
A lungo i lobbisti
antisindacalihannospintoper
l’approvazione di quelle che
chiamano “leggi per la
protezione della busta paga”,
ufficialmente finalizzate a
proteggere i membri del
sindacato dall’obbligo di
sostenere indirettamente, per
mezzo delle loro quote
sindacali, attività politiche
con cui non si trovano
d’accordo. In base a queste
leggi – già in vigore in vari
stati – un sindacato non può
investire denaro in attività
politiche, tra cui il lobbying,
se queste non sono state
espressamente approvate dai
membri del sindacato. La
cosa più ovvia sarebbe
adottare lo stesso principio
per difendere gli azionisti
dall’obbligo di sostenere
indirettamente,permezzodei
loro investimenti, attività
politiche con cui non si
trovano d’accordo. Le “leggi
per la protezione degli
azionisti”335
renderebbero
necessaria
l’approvazione
degli azionisti per qualsiasi
attivitàpoliticadapartedella
corporation. Se un’azienda
decide di investire, diciamo,
100.000 dollari in attività
politichenelcorsodiunanno
– per attività di lobbying,
contributi elettorali, regali e
feste in onore dei politici di
turno – gli azionisti che non
desiderano che il loro denaro
venga utilizzato a tale scopo
riceverebbero degli utili
speciali o delle azioni in più
in base alla loro quota pro
rata della spesa. I fondi
comuni e i fondi pensione
dovrebbero rendere i loro
azionisti consapevoli di tali
attività politiche, e cercare il
loro accordo. Queste attività,
dunque, sarebbero finanziate
dagli azionisti che decidono
di spendere per esse una
porzione
dei
profitti
dell’azienda.
Ancheseaccettiamoche
le attività politiche delle
corporationriflettonolescelte
del
consumatore
e
dell’investitore che sono in
noi, il cittadino che è in noi
nonhaneancheminimamente
lo stesso potere politico.
Un’altramanieradiovviarea
questo squilibrio potrebbero
essere quella di offrire ai
contribuenti un credito di
imposta, diciamo, di 1.000
dollari l’anno, che potremmo
destinare a tutte quelle
organizzazioni che si battono
persostenereinostrivaloriin
quanto cittadini, come quelli
che lottano per un aumento
del minimo sindacale, per un
ambientepiùpulitooperuna
riduzione dei contenuti
violentiesessualineiprodotti
video
e
musicali.
L’organizzazione dovrebbe
essere no-profit, ma la scelta
del gruppo spetterebbe a noi.
Questo
aiuterebbe
ad
amplificare la voce dei
cittadiniinpolitica336.
Questi sono solo alcuni
esempi di come potremmo
assicurarci che i diritti e le
responsabilità del fatto di
essere cittadini di una
democrazia siano garantiti
solo alle persone. Insieme ad
altre misure – l’abolizione
dell’imposta sul reddito
aziendale,
l’eliminazione
della responsabilità penale
dellecorporation,lafinedella
retoricasullanecessitàchele
aziende siano patriottiche, la
cancellazionedeldirittodelle
corporation di contestare in
un tribunale le leggi dello
Stato – offrono una visione
realistica e coerente della
corporation come finzione
giuridica e delle persone
comecittadini.Inquestolibro
hopresoprincipalmentecome
modello di riferimento gli
Stati Uniti, ma la stessa
logica vale per qualsiasi
democrazia.
4
Il
trionfo
del
supercapitalismo ha portato,
indirettamente
e
involontariamente, a un
declinodellademocrazia.Ma
questo non è inevitabile.
Possiamo
avere
una
democrazia vibrante e al
contempo un capitalismo
vibrante. Perché sia così, le
due sfere devono rimanere
nettamente
distinte.
L’obiettivo del capitalismo è
servire
al
meglio
i
consumatori e gli investitori.
Lo scopo della democrazia è
realizzare degli obiettivi che
non possiamo conseguire
individualmente. Quando le
aziende sembrano prendere a
cuorelaresponsabilitàsociale
o utilizzano la politica per
acquisire o conservare un
vantaggio competitivo, gli
argini delle due sfere si
rompono.
Siamo tutti consumatori
emoltidinoisonoinvestitori,
e in quanto tali cerchiamo di
ottenere le migliori offerte
possibili. È così che
partecipiamo all’economia di
mercato e godiamo dei frutti
delsupercapitalismo.Maquei
benefici personali hanno
quasi sempre un costo
sociale. Siamo anche dei
cittadinichehannoildirittoe
la
responsabilità
di
partecipare al processo
democratico. Il potere di
ridurre quei costi sociali,
rendendo così il prezzo reale
dei beni e dei servizi che
acquistiamo il più basso
possibile, è dunque nelle
nostre mani. Ma possiamo
farcela solo se ci assumiamo
seriamente
le
nostre
responsabilità in quanto
cittadini,esalvaguardiamola
nostra democrazia. Il primo
passo, che spesso è il più
difficile, è cominciare a
vederelecoseperquelloche
sono.
321 Ognuna di queste riforme sarebbe
anche stata in linea col primo
emendamento della Costituzione. Al
momento di scrivere, la Corte suprema
è nettamente divisa sul fatto se i
finanziamenti alle campagne elettorali
violino o meno il primo emendamento.
First National Bank of Boston v.
Bellotti, 435 U.S. 765 (1978) era una
causa iniziata da un gruppo di grandi
corporation interessate a spendere il
loro denaro per pubblicizzare la loro
posizione su questioni statali. La legge
del Massachusetts vietava alle
corporation di comprare spazi
pubblicitari per il sostegno a cause
politiche. La Corte Suprema sentenziò
che la legge del Massachusetts violava
ilprimoemendamento.Dodiciannipiù
tardi, però, la Corte decretò la
costituzionalità di una legge del
Michigan che limitava i finanziamenti
delle corporation alle campagne
politiche. Vedi Austin vs Michigan
State Chamber of Commerce 494 U.S.
652(1990).
322 Don Van Natta, Jr, “Defying
Senator, Executives Press Donation
RulesChange”,in«NewYorkTimes»,
1settembre1999,p.A1.
323 John Browne, “Leading Toward a
Better World? The Role of
Multinational
Corporations
in
Economic and Social Development of
PoorCountries”,3aprile2002,discorso
alla
Harvard
University,
consultabileall’indirizzo
<http://greenmoneyjournal.com/article.m
newsletterid=2&articleid=177>.
324 Il modulo più diffuso negli Stati
Uniti.
325 Lester Thurow, The Zero-Sum
Society,NewYork,BasicBooks,1980
[La società a somma zero, trad. di
Daniele Tirelli, Bologna, il Mulino,
1980].
326 Questa integrazione tra reddito
aziendale e individuale già avviene nei
cosiddette S corporation che hanno
meno di cento azionisti ed emettono
solo un tipo di azioni. Per una grande
società per azioni con diversi tipi di
azioni ordinarie e privilegiate, e i cui
azionisticambianonelcorsodell’anno;
sarebbe certamente più complesso
attribuiregliutiliaisingoliazionisti,ma
i computer potrebbero risolvere il
problema. Vedi John McNulty,
“Corporate Income Tax Reform in the
UnitedStates:ProposalsforIntegration
oftheCorporateandIndividualTaxes”,
in «International Tax and Business
Lawyer»,xii,1994,pp.161-259.
327 Jonathan Glater - Alexei
Barrionuevo, “Decision Rekindles
Debate over Andersen Indictment”, in
«New York Times» 1 giugno 2005, p.
C1.
328Ipubbliciministerisostengonoche
è difficile dimostrare la volontà dei
singoli individui in circostanze che
coinvolgono un gran numero di
persone,comenellegrandicorporation.
Questo non giustifica in alcun modo
l’estensione della pena anche agli
impiegati di basso livello, che sono
quelli con le minori probabilità di
essere stati coinvolti nell’attività
criminalemaanchequellicherischiano
di soffrire più di tutti nel caso la
corporation dovesse restringersi o
scomparire completamente a causa
delleazionidipochi.
329 Louis Uchitelle, “Globalization:
It’s Not Just Wages; for Whirlpool,
High-Cost Germany Can Still Have
Advantages”,in«NewYorkTimes»,17
giugno2005,p.C1.
330Vedi,peresempio,“IsOffshoringa
National Security Threat?”, in «CIO
Magazine»,13novembre2006,p.1.
331 Simon Romero - Heather
Timmons, “A Ship Already Sailed:
AmericaCededItsSeaportTerminalsto
Foreigners Years Ago”, in «New York
Times»,24febbraio2006,p.C1.
332 William Broad, “Advisory Panel
Warns of an Erosion of the U.S.
CompetitiveEdgeinScience”,in«New
YorkTimes»,13ottobre2005,p.A16.
333 Steve Lohr, “Outsourcing Is
Climbing the Skills Ladder”, in «New
YorkTimes»,16febbraio2006,pp.C1,
C17.
334 Charles Lindblom, Politics and
Markets,NewYork,BasicBooks,1977
[Politica e mercato, trad. di Luciano
Aleotti,Milano,Etas,1979].
335 Questa idea mi fu suggerita da
JohnWilson.
336 Questa idea mi fu suggerita da
Stephen Sugarman, un professore di
giurisprudenza della University of
California,aBerkeley.
Sommario
Prefazione
Prefazione.Ilparadosso
1. L’età non proprio
dell’oro
2. La strada verso il
supercapitalismo
3.Lamentedivisa
4. La crisi della
democrazia
5.Lapoliticadeviata
6. Guida pratica al
supercapitalismo
TableofContents
Leterre
Colophon
Frontespizio
Prefazione
Supercapitalismo
Dedica
Esergo
Introduzione.
Il
paradosso
1.L’etànonproprio
dell’oro
2.Lastradaversoil
supercapitalismo
3.Lamentedivisa
4. La crisi della
democrazia
5. La politica
deviata
6. Guida pratica al
supercapitalismo
Sommario