Supercapitalismo
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Supercapitalismo
Leterre 174 Iedizionedigitale:ottobre 2013 Iedizione:maggio2008 ©2007byRobertB.Reich ©2008FaziEditoresrl ViaIsonzo42,Roma Tuttiidirittiriservati Titolooriginale: Supercapitalism.The Transformation ofBusiness,Democracy,and EverydayLife Traduzionedall’inglesedi ThomasFazi ISBN:978-88-7625-371-3 www.fazieditore.it www.facebook.com/fazieditore @FaziEditore www.youtube.com/EditoreFazi GoogleplusFaziEditore Prefazione diGuidoRossi Robert B. Reich, professore a Berkeley e già ministro del lavoro sotto la presidenza Clinton, non ha certo bisogno di presentazioni, anche se quest’ultimo suo libro, dal titoloSupercapitalismo,ancor più intrigante nel sottotitolo “Come cambia l’economia mondiale e i rischi per la democrazia”,merita,oltreche precisazioni,alcunerispostea tesi ora sicuramente accettabili, altre volte discutibili.Sitrattadiunlibro molto meditato, dagli innumerevoli spunti e dalle conclusionisullequalisipuò concordare o dissentire, ma comunquenonmeritacertola breve segnalazione, come invece sostiene nella sua replica stizzita Tony Judt, sulla «New York Review of Books» (17 gennaio 2008, p. 61), che pur gli aveva dedicatosullasuarivistadel6 dicembre 2007 una lunghissima recensione. È difficiledissentiredallaverità dei fatti registrati accuratamente nel volume, e questo è un grande merito dell’autore. Il dissenso eventualepuòsoloderivare– comedelrestoèovvio–sulla lorointerpretazione. Iltemacentraleriguarda il rapporto tra l’attuale capitalismo, il cosiddetto supercapitalismo, e la democrazia. Il supercapitalismo inizierebbe verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando l’America aveva creato un capitalismo democratico, inteso come un’economia pianificata, sia pur diretta dalle grandi corporation. Le famiglie americane,cheinqueglianni erano prevalentemente composte da operai e impiegati, godevano di salari decenti, di garanzie sindacali del posto di lavoro, di stabilità economica, di assicurazione sulla malattia e sui diritti alla pensione. In queste ultime situazioni, favorite da uno stabile sviluppo economico, garantito da poche grandi imprese, come la General Motors, in un’America abbastanza chiusa e protezionista, si potevano riconoscere i principi fondamentali di una democrazia sostanziale che, d’altra parte, non aveva politicamente mai avvertito incertezze o vocazioni antidemocratiche. Non era proprio l’età dell’oro. Ma si trattava comunque del capitalismo democratico. La rivoluzione, parola che l’autore non usa mai, o comunque il grande cambiamento, si verifica sul finire appunto degli anni Settanta, quando l’economia americana si apre a mercati più concorrenziali e il potere si sposta dai cittadini verso i consumatoriegliinvestitorie così gli aspetti democratici del capitalismo declinano. L’affermazione è tassativa, sicché gli spocchiosi nostrani adepti del libero mercato e dellaconcorrenzadovrebbero forse avere oltre che un sussulto alla lettura delle pagine di Reich, anche qualche spunto di umile autocritica.Insomma,illibero mercato e la concorrenza spietatafraleimprese,cioèil supercapitalismo, hanno minato, se non distrutto, una parte assai importante della democrazia e dei diritti dei cittadini. La tecnologia, la globalizzazione, la deregolamentazione hanno dato potere ai consumatori e agli investitori e i cittadini l’hannoperduto. Naturalmente il grande sviluppo tecnologico degli anni Settanta è dovuto a quello che io tenderei a definire una distorta vera spinta politica keynesiana, nella quale la spesa pubblica si dirige verso gli armamenti (era il periodo della guerra fredda) e a cascata spinge la tecnologia che viene sfruttata poi dalle grandi corporation. GliesempichefaReichsono molti, da Internet alla fibra ottica e ai satelliti, dai container inventati per la necessità di rifornimenti di ogni tipo, alle truppe americaneinVietnam. La deregolamentazione ha distrutto gran parte dei diritti dei lavoratori e, in definitiva, la base di tutto è sempre la stessa. Wal-Mart e Wall Street, insieme ovviamente ad altre multinazionali, invadevano con i loro lobbisti Washington, suggerendo leggi a favore delle corporation e tenendo in nessuncontoilbenecomune. Tutto questo ha creato una concorrenza spietata fra le industrie americane e stranierepercui,perattrarrei consumatori, si abbassano i prezzi e il metodo più semplice è quello di tagliare salariedirittideilavoratori.Il cittadino ha perso, non il consumatore, che con la deregolamentazione dei mercatifinanziaridiventaalla fine investitore nelle nuove potenti istituzioni, i fondi pensione e quelli di vario genere, oltre alle continue invenzioni di nuove strutture per attivare il risparmio da parte del sistema bancario. E anche qui, con i rischi che abbiamo appena vissuto, è la concorrenza l’unica responsabile. Il terzo capitolo, “La mente divisa”, è l’inno alla schizofrenia. In ciascuno di noi ci sono due personalità: quella del consumatore (del supercapitalismo)equelladel cittadino (del capitalismo democratico). Ebbene il primo trionfa e il secondo ha perso. Ma ciò che sorprende nellatrattazionediReichèla conferma della schizofrenia americana da lui proposta, contenuta in uno studio pubblicatosul«Journalofthe American Medical Association». Ma neppure lo colpisce il fatto che il CEO della General Motors nel 1968 riceveva un compenso di4milionididollari(tradotti in valuta attuale) pari a circa 66 volte il salario del lavoratore medio, mentre nel 2005ilcompensodelCEOdi Wal-Mart di 17,5 milioni di dollari è pari a novecento volte la paga del tipico lavoratore medio dello stesso Wal-Mart. E allora? I CEO vengono sempre più pagati perchéiconcorrentilipagano sempredipiùenonèdunque la loro avidità che crea [stock-option, frodi e tutto quello che ho scritto nel mio ultimo libro, Il mercato d’azzardo, Milano, Adelphi, 2008] quelle disparità di ricchezze, che si finge costituiscano un effetto della democrazia, perché frutto della libertà (ma quale libertà?).Èlavecchiatesiche l’autore aveva sostenuto anche nel suo precedente libro,L’infelicitàdelsuccesso (Roma, Fazi Editore, 2001), soprattutto nel quarto capitolo. E la conclusione qual è: sta nella nostra dissociazione mentale. Il problema siamo noi: io e voi che secondo Reich vogliamo che siano strapagati i manager, perché vuoldirechesonobravienoi possiamo acquistare a basso prezzo i beni che le loro società producono e siamo noi che come investitori vogliamo i migliori risultati sul nostro investimento. Facilequindiprenderselacon questi o con quelli, perché invece siamo noi che spingiamo la concorrenza ad abbassare i prezzi e quindi siamo noi gli unici responsabili. E così è per la televisione oscena contro la qualesièscagliatopersinoil noto giurista conservatore Robert Bork, perché siamo noi a volere il sesso e le deviazioni televisive, se no noncisarebbemercato. Naturalmente il tutto condito con una “corruzione della conoscenza” che pervade spesso l’operato dei legislatori e dei giudici, con l’aiutodilobbisti,economisti, avvocatietuttaquellaseriedi nuovi professionisti che distorcono la conoscenza dandocomeunicoriferimento ilvaloreeconomico. Finalmente una frustata Reich la dà alla corporate social responsibility, altro falso mito del supercapitalismo,eallateoria fasulla della corporate governance e dei “codici di condotta”. Insomma la corporate social responsability ha lo stesso significato del cotton candy, cioèlozuccherofilato. E ancora la corporate governance non può avere nessuna responsabilità, né alcunvalore,peridipendenti, la comunità e la società intera. Insomma una grossolana presa in giro, ben lungi dalle sue pretese di reintrodurre la democrazia azionaria.Maancordipiù:la social corporate responsibility dà alle corporation un compito che non è loro e che invece è dello Stato. Le rispettive funzioni appagano i consumatori (e arricchiscono i manager), vanno tenute distintedaogniresponsabilità sociale, che incombe sullo Stato.Laconfusionedeiruoli potrebbe, secondo Reich, creare effetti devastanti sia sul supercapitalismo sia su quel brandello di democrazia checihalasciato. E qui, pur partendo da altrepremessenonpossoche essere pienamente d’accordo conReich,comedelrestoho ripetutamentescritto.Nonmi pare dubbio che neppure Reich è, a questo punto, un adepto della Law and Economics, la nota analisi economica del diritto, la qualegiudicalenormesoloin baseallaloroefficienzaeche continua a trovare da noi accaniti sostenitori, mentre negli Stati Uniti è ormai in declino. Ed è meglio così, poiché gli ultimi contributi dei massimi esponenti della LawandEconomics,Richard Posner e Gary Becker (in «TheEconomicLawVoice», vol. III, marzo 2006), sono davvero infelici. Considerando il rapporto costi-benefici come unico criterio per giudicare la validità delle norme, essi hanno giustificato (anzi sostenuto che esiste un obbligo “morale” dello Stato a emanare) la norma sulla pena di morte, poiché allo Stato costa certamente meno che il sostentamento del condannatoall’ergastolo. Ma al di fuori di questa assai facile scelta se considerare che l’efficienza dello Stato o dell’impresa valga più dei diritti dei cittadini, il determinismo che non abbandona mai, né mai puòabbandonare,lareichiana visione del supercapitalismo rivela tutta la sua pregnante contraddizione nei confronti delproblemacinese.LaCina serve solo a dimostrare che i managernonsonoautorizzati da nessuno e meno che mai dai loro consumatori o investitori a diminuire il profittoafavoredell’interesse pubblico. Si apre così la descrizione delle incredibili vicende cinesi per chi continua a teorizzare sulla corporate social responsability, di Yahoo, che con la sua attività ha aiutato le autorità cinesi a imprigionare una ignota quantità di dissidenti, e di Google, che ha creato per la Cinaunamacchinadiricerca che ha cancellato alcune parole incendiarie come “democrazia” e “diritti umani”. La democrazia e il capitalismo hanno rovesciato illororapporto:ilcapitalismo ha invaso la democrazia e le leggi ovunque non toccano il potere delle corporation e ormai solo di striscio e raramente si occupano dei dirittideicittadini.Ildiscorso dell’autore è limitato soprattutto agli Stati Uniti, anche se riferimenti puntuali sia all’Europa sia all’Asia nonmancano. Qualche parola deve invece essere ancora spesa sulla Cina e sul rapporto capitalismo-democrazia, poiché la Cina ha dimostrato negli ultimi anni, sotto ogni profilo, di essere il sistema capitalista più avanzato. Nel numero di gennaio-febbraio 2008, l’autorevole rivista «Foreign Affairs» tratta ampiamentequestoproblema. Elezioni per la nomina dei capi dei villaggi rurali, qualche libera professione forenseincortiriformate,ma sempresottoil“controllodel partito”, la possibilità di inviare studenti all’estero, sono gli esempi più evidenti di piccoli passi verso un sistema “democratico”, se così può essere chiamato, dall’ampio significato che, forse il più longevo della storia, è durato sempre con accezioni positive, ma con i contenuti più contraddittori, da Pericle a Bush e Putin. E le riforme recenti del 2006 del diritto societario cinese (quale un assai grossolano principio del piercing the corporate veil) sono tutte dirette ad assecondare la tesi di base del supercapitalismo reichiano, che in fondo esige libero mercato, concorrenza, società per azioni sfrenate pronte a infrangere qualsivoglia diritto dei lavoratori pur di abbassare i prezzi per vincere i concorrenti. Sulle ultime riforme del diritto societario cinese è particolarmente interessantel’articolodiMark Wu, Piercing China’s Corporate Veil: Open Questions from the New Company Law («The Yale Law Journal», n. 117, novembre2007,p.329). Chi avesse la minima illusionecheilcapitalismoin Cina possa portare a una democrazia, intesa nei suoi minimi requisiti di rispetto dei diritti umani e delle libertà civili dei cittadini, sia purdiquellifondamentaliche NorbertoBobbiohachiamato idirittidiprimagenerazione, deve scordarselo. Senza parlare poi dei diritti di seconda generazione, cioè i diritti sociali che come abbiamo visto in parte sono già calpestati anche dal supercapitalismo negli Stati Uniti. Infatti,secondoReich,il supercapitalismo ha consciamente vilipeso e strapazzato anche i diritti sociali,cioèappuntoquellidi seconda generazione, nati dall’Europa all’inizio dello scorso secolo a difesa dei lavoratori;traquesti,ildiritto all’istruzione e all’assistenza, la cui soppressione Reich, conunapuntualitàesemplare, esaminaericordaindettaglio. Tant’ècheunadelleproposte per migliorare la situazione potrebbe essere quella che il legislatore obbligasse WalMartadaccettarelapresenza dei sindacati e che si emanassero nuove leggi sul lavoro e si ritoccassero le leggi fiscali. Si tratta ovviamente di cure omeopatiche poiché il determinismo tipicamente americano dell’autore non mette mai in discussione il sistema. Cadono anche i diritti che Norberto Bobbio chiama di terza generazione, come quello a vivere in un ambiente non inquinato, alla comunicazione, alla solidarietà, alla qualità della vitaecosìvia. Quel che è ancora più strano è che, in un libro pubblicato nel 2007, non vi sia neppure un accenno alle crisi e alle storture del capitalismo finanziario, che sembra non esistere. Le grandi banche d’affari, coinvoltenellecrisiattualidi un supercapitalismo in declino, non sono che citate poche volte, ma paradossalmente per lodarne il comportamento. Così, ad esempio, Merrill Lynch per aver aperto la strada ai fondi di investimento con lauti guadagni, dove «i fattori motivanti erano le opportunità» e non l’avidità. «Confondere avidità con opportunità è confondere il desiderio con la disponibilità». E che dire di Citygroup per i 3 milioni di dollari in aiuto al Pakistan colpito da un devastante terremotonel2005eperaltri 5 milioni e 500 mila dollari come aiuto finanziario ai poveri, con un pubblico ringraziamentodelpresidente Clinton in un evento mondano dell’aprile 2006. Aggiunge Reich, non erano certo gli amministratori esecutivi di Citygroup che dovevano essere ringraziati dalpresidente,masemmaigli azionisti, ai quali i manager avevano portato via quelle somme. Nessun altra banca americana è menzionata, né vi è un accenno ai sub-prime mortgages, ai futures, ai derivati e a tutti gli altri strumenti finanziari che hanno invaso il mercato e causatolerecenticrisi. È allora il momento di trarre qualche conclusione, seguendo le orme di Reich. La prima e più inquietante è che è pur vero che la globalizzazione e il supercapitalismo riducono la differenza fra i vari paesi – prendiamoadesempioCinae StatiUniti–,maall’internodi ciascun paese aumentano vertiginosamente le disuguaglianze, con conseguenze politiche ancora imprevedibili. E con esse aumentano l’insicurezza (non solo del posto di lavoro) e la paura del futuro, alle quali si accompagna l’unico potere dello Stato, quando non gli è tolto o col quale collude qualche grande corporation nel controllo sulle comunicazioni, sui movimenti,sulleopinioni. Gli Stati supercapitalisti arretrano continuamente fino a mettersi a disposizione di un nuovo padrone: la concorrenza nel libero mercato che soddisfa, facendo scendere i prezzi, il consumatore (e l’investitore, ma qui Reich sbaglia) che ormai si è dimenticato di essere un cittadino con dei diritti. Il libro è rivoluzionario: alcentrodelsupercapitalismo c’èlaconcorrenzacheuccide lademocrazia.Cosìscompare la tanto amata tesi – il luogo comune degli economisti – che il libero mercato è prodromico alla democrazia. E puntualmente alla prima pagina del libro l’autore ricordaquestatesisbandierata dall’economista Milton Friedmannelmarzodel1975 asostegnodiPinochet,lacui dittaturabrutaleduròbenaltri quindicianni.Stranodestino: i due morirono a poche settimanedidistanzaversola finedel2006. Infine, la concorrenza necessaria a soddisfare il consumatore e l’investitore diventaunmaleinesorabilee incurabile. Quanto siamo lontani dalle stesse meditazioni di Friedrich A. von Hayek, raccolte nel volune Legge, legislazione e libertà(Milano,ilSaggiatore, 1994), e quindi dal liberalismo classico lo dimostrafral’altroilfattoche nel poderoso libro di Robert Reich non vi è neppure una citazione di striscio di Von Hayek. Ma questa è l’Americaliberale! E come libro rivoluzionario l’autore invita indirettamenteaunarivolta:il cittadino schizofrenico è inconsciamente esortato a far rientrareloStatoagarantirgli i diritti di varie generazioni, secondo la terminologia di Bobbio, e a limitare il ruolo delle corporation, soprattutto nella loro operatività e struttura. Ma le ricette predispostesonopochesicché personalmente non so neppurequantol’autoresisia reso conto che aver sottolineato la dissociazione consumatore-cittadino, l’aver indicato nella concorrenza e nel libero mercato la caduta senza ritorno della democrazia, sia un manifesto rivoluzionario. Se identifichiamo la classe medio-alta con la nuova borghesia, a partire dalla fine degli anni Settanta la trasformazione è evidente: da lavoratori e impiegati a professionisti e dirigenti, con un’indagine spietata sui lobbisti e sugli avvocati che condizionano a Washington sia l’operato del governo, sia del potere legislativo, c’è ovviamente l’assimilazione borghesia-corporation. In conclusione: «La grande industria ha creato quel mercato mondiale [...] che ha dato sviluppo immenso al commercio [...] alle comunicazioni». E ancora: «Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affaricomunidituttalaclasse borghese» e con «i bassi prezzi delle merci [...] costringe tutte le nazioni ad adottare il (suo) sistema di produzione». Queste citazioni non sono di Robert Reich, bensì sono tratte dal Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, del 1848 (Torino,Einaudi, 1998, pp.8-11). E allora, pur arrivando allestesseconclusioni,nonsi puònonessered’accordocon RobertReichchelasoluzione al problema non è la rivoluzioneproletaria,etuttii disastrichehaportatoconsé neivaripaesi. Un’osservazione finale mi appare necessaria per inquadrare e valutare, entro i suoigiustilimiti,unlibroche deveesserelettodachiunque voglia capire il mondo in cui viviamo e non si lasci affascinare dai falsi sacerdoti che vanno noiosamente, ma insistentemente predicando chetuttosipuòrisolverecon la concorrenza e il libero mercato. Un libro, tuttavia, chetradisceundifettodicerta cultura americana, in base alla quale le crisi finanziarie sono delle malattie temporanee che in qualche modo si risolvono. Di conseguenza il sistema americano non è e non può essereoggettodidiscussione, perché è il solo che può garantiresviluppoeconomico eglobalizzazione.Questaèla tesisottostante. L’impostazione non regge,primadituttoperchéil supercapitalismoèsoprattutto un capitalismo finanziario, e qui invece la finanza non appare quasi neanche come comprimaria. Basti ricordare cheilpiùapprofonditostudio sulle crisi finanziarie, cioè il volume di Robert J. Shiller, Irrational Exuberance (Princeton, Princeton University Press, 2000, p. 233),concludeche«imercati speculativi realizzano funzioni critiche di allocazione delle risorse, sicché qualsivoglia interferenza col mercato per addomesticare le bolle speculative interferisce di conseguenza su tali funzioni». Quindi meglio lasciar perdere. E non regge neppure perché le dramatis personae del capitalismo democratico sino alla fine degli anni Settanta, cioè le corporation e i mercati finanziari, hanno subito una trasformazione radicale: insomma, non sono più le stesse. È mai possibile, mi chiedo, che un attento studioso come Robert Reich nonsisiaresocontochesolo la concorrenza sfrenata che ciascuno di noi vuole come consumatore non sia l’unica origine del deficit di democrazia,machedallafine degli anni Settanta nella struttura stessa delle corporation e dei mercati è apparso un vero e proprio malanno che ha minato l’intero sistema e ha oltraggiato spesso la stessa concorrenza: cioè il conflitto di interessi, neppure nominato nel libro. Così, come ho già detto, è assente qualunque critica al sistema bancarioefinanziario.Quindi non si è neppure accorto che il vero deficit di democrazia sta nella nuova lex mercatoria, di medievale memoria, la quale è imposta dalle multinazionali, dai suoi studi legali, dalle sue private corti arbitrali, e che esclude spesso le norme fissate dai legislatori e certamente non tieneinminimocontoidiritti del cittadino o i più elementari principi di democrazia. Quel che a me pare, in definitiva, è che il deficit grave di democrazia che con grande lucidità Reich ha descritto debba essere invece affrontato mettendo sotto accusa l’intero sistema, perché la colpa sempre più grave di quel deficit non siamo noi, anzi ciascuno di noi nel suo schizofrenico sdoppiamento fra consumatore vincente e cittadinoperdente.Noncredo che siamo noi che abbiamo bisogno di uno psicanalista per diventare meno consumistiepiùcittadini,ma sono le società per azioni, le banche e i mercati finanziari che,comedelrestohoscritto nel mio ultimo libro, abbisognanodiunlegislatore, magari sovranazionale, severo ma né improvvisato, né prodigo di troppe inutili norme. Maciòvaleancheperil clima,l’ambiente,perlalotta alla povertà, per il diritto cosmopolitico dei popoli ad avereasiloeunavitadecente. È purtroppo una scelta alternativa,condizionanteper il resto del mondo, sapere se gli Stati Uniti vorranno continuare a pensare che il supercapitalismo è ineluttabile o che la democraziadeidirittidivarie generazioni, secondo le classificazioni di Norberto Bobbio, sia il valore prioritario da perseguire per tutti. SUPERCAPITALISMO AllamemoriadiMildredReich Gliimperativitecnologicie organizzativi,enonle ideologie,sonociòchedeterminala forma dellasocietàeconomica. JOHNKENNETH GALBRAITH, Ilnuovostatoindustriale (1968) Iltipodiorganizzazione economicacheoffre direttamentelalibertàeconomica, sarebbeadireil capitalismocompetitivo,promuove anchelalibertà politicaperchéseparaipoteri economicidaipoteri politiciepermettecosìall’unodi controbilanciarel’altro. MILTONFRIEDMAN, Capitalismoelibertà(1987 Introduzione.Il paradosso Nel marzo del 1975, l’economista Milton Friedman accettò un invito a incontrarsi in Cile con Augusto Pinochet, che circa diciotto mesi prima aveva rovesciato il governo democraticamente eletto di Salvador Allende. Friedman fu criticato dalla stampa americanaperaverintrapreso quel viaggio, ma non c’è motivo di supporre che approvasse l’operato di Pinochet. Friedman andò in Cile per esortare la giunta di Pinochet ad adottare il libero mercato–aliberarsidimolte dellerestrizionieconomichee dello stato sociale che avevanoprosperatoneilunghi anni di democrazia – e ad aprirsi al commercio e agli investimenti esteri. In una serie di conferenze che tenne in Cile, Friedman ripeté la sua vecchia idea secondo cui il libero mercato è un presupposto indispensabile per garantire libertà politiche eunademocraziasostenibile. Pinochet accettò l’invito di Friedman ad abbracciare il libero mercato, ma la sua brutale dittatura durò altri quindici anni. Entrambi sono morti a distanza di qualche settimana l’uno dall’altro nell’invernodel2006. Di tutti i paesi del mondo, l’America è considerataquellochemeglio incarna il legame tra capitalismo e democrazia1. Ma negli anni che sono passati dalla visita di Friedman in Cile, il rapporto si è fatto sempre più teso. Il libero mercato ha trionfato. La democrazia però si è indebolita. Dagli anni Settanta, nonostante tre recessioni, l’economia statunitense ha spiccato il volo. Ai consumatori è stata offerta una vasta gamma di nuovi prodotti – i personal computer, gli iPod, gli antidepressivi e le macchine ibride,percitarnesoloalcuni – mentre i prezzi dei beni e dei servizi standard sono calati, adattati all’inflazione. La sanità oggi costa di più, mamediamentegliamericani vivono quindici anni più a lungo che negli anni Cinquanta, soprattutto per merito di nuovi farmaci e attrezzaturemediche. Le società sono diventate molto più efficienti elaborsasièimpennata.Nel 1975, il Dow Jones si aggirava intorno a 600. Era relativamente stagnante da anni. Verso la fine del 2006 aveva raggiunto quota 12.000.Inoltre,daiprimianni Ottanta in poi, l’inflazione è rimasta pressoché sotto controllo. Questo modello è stato replicato con successo anche altrove. Il capitalismo americano ha vinto la battagliacontroilcomunismo e si è diffuso quasi ovunque nel mondo. Gran parte delle nazioni oggi sono integrate nel sistema capitalistico globale. L’Europa dell’Est è stata assorbita all’interno dell’Europa capitalistica e la Russia si avvia a diventare una potenza capitalistica. La Cina, benché ufficialmente ancoracomunista,èdiventata uno dei focolai del capitalismoglobale. Da quasi tutti i punti di vista,untrionfo. Alcuni commentatori giustamente fanno notare che questi risultati sono stati accompagnati da una crescente disuguaglianza nelle entrate e nei redditi. A ciò si aggiungono una crescente insicurezza sul lavoro e una serie di rischi ambientali come il riscaldamento globale. A rigor di termini, però, questi non sono difetti del capitalismo. Il ruolo del capitalismo è di ampliare la torta dell’economia. Sta poi alla società decidere come suddividere le fette e se impiegarle per i beni privati come i personal computer o peribenipubblicicomel’aria pulita. Questo è il compito che affidiamo alla democrazia. La democrazia è qualcosadipiùdiunsistema dielezionilibereeregolari. La democrazia, a mio modo di vedere, è quel sistema che rende possibile ciò che può essere ottenuto solo quando i cittadini si uniscono ad altri cittadini: stabilireleregoledelgiocoin modo che i suoi esiti esprimanoilbenecomune.Le regole, ovviamente, possono influenzarelarapiditàconcui cresce l’economia: portata all’estremo, una regola che divide la torta in parti uguali smorzerebbe la spinta individuale a risparmiare, investire e innovare. Una regola diversa potrebbe stimolare di più la crescita economica. La democrazia dovrebbe permetterci di trovare un equilibrio, o aiutarci a realizzare una crescita giusta o qualsiasi altro obiettivo che condividiamocomesocietà. Ma la democrazia oggi faticaasvolgereanchequeste funzioni elementari. Mentre le disuguaglianze sono cresciute,glistrumenticheun tempo l’America aveva per mitigarle – una tassazione progressiva, buone scuole pubbliche, sindacati che contrattavanostipendipiùalti – si sono erosi. Contemporaneamente all’aumentodelrischiodiuna perdita improvvisa di lavoro o di reddito il paracadute sociale è divenuto meno affidabile. Sempre più americani sono privi di assicurazione medica. Come nazione, non sembriamo in grado di fare ciò che ci è richiesto per ridurre i cambiamenti climatici. Molti americani, poi, sono preoccupati per la stupidità e la volgarità di molta della nostra cultura contemporanea e per la disgregazione delle comunità tradizionali. La democrazia non è stata in gradodiaffrontarenessunadi queste problematiche, o anche solo di articolare le scelte e i sacrifici che questo avrebbecomportato. Il capitalismo è diventato più sensibile alle nostre richieste individuali in quanto consumatori, ma la democrazia è sempre meno sensibile alle nostre richieste collettiveinquantocittadini.I sondaggi indicano un crescentesensodiimpotenza. Senel1964soloil36%degli americani riteneva che «ai funzionari pubblici non importaungranchédiciòche pensanoquellicomeme»,nel 2000 questa sensazione era condivisa da più del 60% della popolazione. Nel 1964, quasi due terzi degli americani credeva che il Governo agisse nell’interesse di tutti e solo il 29% dichiaravacheeracontrollato «da pochi grandi gruppi interessati solo a se stessi». Nel 2000, questo rapporto si era quasi ribaltato: solo il 35% credeva che il Governo agisse nell’interesse di tutti, mentre più del 60% riteneva che fosse controllato da un manipolodigrandigruppi2. Perché il capitalismo ne è uscito trionfante e la democrazia così indebolita? C’è un legame tra queste opposte tendenze? Qualcosa può ancora essere fatto per rafforzarelademocrazia? Nel riassumervi le mie argomentazioni, rischio di semplificarle troppo, ma voglio darvene un’idea generale. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un progressivo svuotamento del nostro potere in quanto cittadiniafavorediunpotere maggiore in quanto consumatorieinvestitori. Dopo essere sopravvissuta alla Grande Depressione del ‘29, l’America emerse dalla seconda guerra mondiale vittoriosa e con un’economia e una democrazia ben funzionanti. Negli anni a venire godette di una prosperità senza precedenti, largamentecondivisa.Nonfu proprio un’età dell’oro – le donne e le minoranze erano ancoraconsideratecittadinidi seconda classe e la politica eralaceratadaunacacciaalle streghe anticomunista – ma tutte le classi sociali e di redditoguadagnaronoterreno, le disuguaglianze nelle entrate e nei redditi diminuironoelaclassemedia crebbe considerevolmente. Più lentamente cominciò a emergere una classe media più estesa anche in Europa e in Giappone. Man mano che riempivanoleloronuovecase diproprietàconlavastoviglie, frigoriferi, televisori e stereo e i suoi vialetti con Ford, Chevrolet o Plymouth, la maggiorpartedegliamericani esprimevanounaltogradodi fiducia nella democrazia americana. I due sistemi – il capitalismoelademocrazia– sembravanoconiugarsiinuna simbiositalechefinironoper essere considerati un unico sistema, il capitalismo democratico americano, che sarebbediventatounmodello per il mondo e l’alternativa storica al comunismo sovietico. Il sistema di produzione dei beni e dei servizi era di gran lunga di più facile controlloepiùstabiledioggi, econcentratonellemanidiun gruppo notevolmente più ristrettodiimprese,comeitre grandi produttori di automobili (GM, Ford e Chrysler). Per poter godere dei frutti della produzione di massa,questeenormiaziende avevanobisognodisicurezza, di stabilità e della minor concorrenzapossibile.Inoltre avevano bisogno della collaborazione dei colletti blu,inquantogliscioperiole interruzioni del lavoro avrebbero arrestato lo stabile flusso di produzione da cui dipendevano. Dunque accettarono di concedere ai loro operai, organizzati per settore, una fetta più alta dei profitti. Queste gigantesche aziende giocavano un ruolo talmente centrale nell’economia, che avevano bisogno anche del sostegno dei cittadini. Negoziarono quindi col Governo misure per ridistribuire i benefici della crescita economica, proteggendo allo stesso tempo i posti di lavoro, le comunità e, all’occorrenza, l’ambiente. Questi accordi vennero stipulati, di volta in volta, con le agenzie regolatrici, all’interno della legislazione o attraverso la mediazione di amministratori delegatinellevestidi“statisti aziendali”. Il risultato fu un’espressione, per quanto indiretta e approssimativa, di ciò che allora era percepito comeilbenecomune. Il prezzo da pagare per questo sistema relativamente stabile ed equo era la scelta molto limitata per i consumatori e gli investitori. Un notevole risparmio alla cassa era possibile solo a costo di grandi fatiche. Le grandi innovazioni erano una rarità. Sulle automobili, le pinne divennero più lunghe, le griglie più elaborate e il cromo più stravagante, ma la tecnologia di fondo non subì grandi cambiamenti. Mio padre rimase fedele alla Plymouth, ma sapeva bene cheeraunasceltachecontava poco. Anche gli investitori erano piuttosto passivi, spostando di rado il loro denaro.Nonven’eramotivo, dato che pressoché tutti gli investimenti offrivano gli stessi moderati ricavi. Tutto questo era riflesso nel lento passodelDowJones. A partire dagli anni Settanta, le cose cambiarono radicalmente. Le grandi aziende americane divennero più competitive e innovative e si affacciarono sul mercato globale. Era la nascita di quello che io chiamo supercapitalismo. Questa nuova fase ci ha portato numerosi benefici in quanto consumatori e investitori. Comecittadiniallaricercadel bene comune, però, abbiamo fattoungrossobalzoindietro. Ilcambiamentoiniziòquando le tecnologie fatte sviluppare dal Governo durante la Guerra Fredda furono integrate all’interno di nuovi prodotti e servizi. Ciò spianò la strada a una serie di nuovi concorrenti nel campo dei trasporti, delle comunicazioni, dell’industria e della finanza. Questi smantellarono lo stabile sistemadiproduzionecheera esistito fino ad allora e, a partire dalla fine degli anni Settanta e poi con crescente intensità, costrinsero tutte le aziende a competere più aggressivamente per accaparrarsi consumatori e investitori. Il potere dei consumatori venne aggregato eaccresciutodagrandicatene come Wal-Mart, che usarono laforzacontrattualeoffertagli damilionidiconsumatoriper ottenere migliori condizioni dai fornitori. Il potere degli investitori venne aggregato e accresciuto da grandi fondi pensioneefondicomuni,che spinseroleaziendeagenerare maggioriprofitti. Di conseguenza, consumatori e investitori ebbero accesso a una gamma di opzioni più vasta e remunerativa. Ma gli enti e gli organi che avevano operato per ridistribuire i profitti e proteggere i valori condivisi dai cittadini cominciarono a scomparire. Le enormi aziende che avevano dominato interi settori dell’industria persero importanza e i sindacati si indebolirono. Le agenzie regolatriciperserorilevanza.I dirigenti non potevano più indossare le vesti di statisti aziendali.Emanmanochela crescente concorrenza tra le aziende invadeva sempre più la sfera della politica, i funzionari pubblici cominciarono a preoccuparsi piùdeifinanziamentialleloro campagne elettorali che delle comunità dei loro distretti. I lobbisti invasero Washington e le altre città capitale per ottenereleggienormechegli garantissero un vantaggio competitivo(oevitasserouno svantaggio competitivo) sui loro avversari, esercitando una crescente influenza sul processo decisionale. È cosi che il supercapitalismo ha presoilpostodelcapitalismo democratico. Comprendere ciò che è avvenuto, e ciò che può essere fatto per ripristinare una democrazia funzionante, richiede un’indagine dettagliatadeicambiamentiin atto nella struttura dell’economica politica. È quello che farò nei capitoli seguenti. Lungo la strada, verrannosvelatimoltienigmi: perché, per esempio, lo stipendio dei dirigenti è schizzato alle stelle e perché questo non avveniva prima. Perché l’inflazione è una minaccia minore oggi di quanto non lo fosse trenta o quarant’anni fa. E perché le leggi antitrust, rispetto al passato, sono oggi strumenti meno importanti per limitare il potere economico. Spiegherò anche perché il numero dei lobbisti e degli avvocati esperti di diritto aziendaleaWashington D.C.è così alto rispetto a trent’anni fa, anche se il loro ruolo sembrerebbe essere meno importante (dopotutto la spesa discrezionale del Governo ricopre oggi una fetta minore dell’economia nazionalerispettoadallora,vi sono in proporzione meno regolamenti e il potere dei sindacati, a Washington, è oramai il fantasma di se stesso). Perché i politici pretendono che le aziende siano patriottiche e mettano l’America al primo posto, benché sia sempre più difficile per le imprese ottenere consensi in patria se vogliono competere con successo all’estero. E perché si fa un gran parlare di filantropia aziendale quando le corporation non sono nate per essere istituzioni caritatevoli e sono sempre meno capaci di operare in quellasfera. Metteròancheinlucele ipocrisie di taluni: quelli che si lamentano della riduzione deglistipendinegliStatiUniti e allo stesso tempo vanno a caccia dell’offerta migliore dallaCinaodall’India,anche se a pagarne le spese sono spesso proprio gli stipendi o anche i posti di lavoro americani. Quelli che compiangono il declino dei rivenditori indipendenti nella propriacomunitàeallostesso tempofannolamaggiorparte dei loro acquisti nelle grandi catene o su Internet. Quelli che pur dicendosi profondamente preoccupati per l’ambiente guidano un SUV. O i politici che biasimano pubblicamente i dirigenti aziendali (di società petrolifere che godono di enormi profitti, di multinazionali del tabacco che incitano a fumare, di aziende hi-tech che calpestano i diritti umani in Cina), ma non introducono nessuna legge per rendere il lorooperatoillegale. Infine, giungerò ad alcune conclusioni che potrebbero sorprendervi: vi spiegherò perché, per esempio, gli impegni per una maggior corporate governance rendono le aziende socialmente meno responsabili. Perché la promessa di una democrazia societaria è illusoria. Perché le imposte sulle società andrebbero abolite. Perché le aziende non dovrebbero essere considerate penalmente responsabili. E perché alle società di capitali dovrebbe essere impedito di usareildenarodegliazionisti per fini politici senza il loro consenso. In questo libro mi occupo principalmente degli Stati Uniti, anche se i cambiamenti che sono avvenuti qui hanno generato cambiamenti simili anche altrove. Da un capo all’altro delmondo,èpiùfacileperla gente realizzare i propri desiderietrarreguadagnodai propri investimenti. Nonostante i benefici che ne traggono in quanto consumatori e investitori, però,moltisisentonofrustrati nei loro diritti di cittadini. Anche le loro democrazie faticano sempre più a individuare e realizzare il bene comune. Sondaggi elettorali in Italia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Olanda, Norvegia, Svezia, Irlanda e Giappone mostrano cheicittadinidiqueipaesisi sentono impotenti quasi quantogliamericani3. Il capitalismo è quasi sicuramente un presupposto necessarioperlademocrazia, come sosteneva Milton Friedman. La democrazia richiedecheicentridipotere economicosianoindipendenti dall’autorità centrale; altrimenti la gente non può dissentire dall’ortodossia ufficiale senza mettere a repentaglio il sostentamento della propria famiglia. Gli eventi dei decenni scorsi, però, particolarmente nel Sudest asiatico, ci hanno mostrato che la democrazia non è necessariamente un presupposto essenziale per il capitalismo. La Cina, la seconda nazione capitalistica perimportanzadopogliStati Uniti, la cui economia, agli attuali ritmi di crescita, tra vent’anni supererà quella statunitense,haabbracciatoil libero mercato ma non la libertà politica. Un mercato liberoappareessenzialeperil suo sviluppo capitalistico; se lepersonenonpossonoavere delleproprietàescambiarsele senza preoccuparsi che i loro beni vengano confiscati dall’autorità centrale, non avranno nessun incentivo a risparmiareeinvestire.Esolo sehannofiducianelfattoche le regole del gioco capitalistico non sono truccate saranno disposte a prendervi parte al meglio delle loro capacità. Ma la libertà politica potrebbe rivelarsi non indispensabile. Alcuni osservatori ritengono che la Cina, prima o poi, passerà a una forma di capitalismo democratico. Altri, invece, credono che la Cina rappresenti un nuovo sistema che si potrebbe definire capitalismo autoritario4. Oggigiorno, molti più paesirispettoatrent’annifasi definiscono delle “democrazie”. Gli ex paesi satelliti sovietici nell’Europa dell’Est sono oggi democrazie indipendenti. La Russiastessasiconsiderauna democrazia.Molteexnazioni coloniali in Africa e in Asia hanno sviluppato dei sistemi democratici. L’America Latinahaabbracciatolacausa della democrazia. Trent’anni fa solo un terzo dei paesi nel mondo godeva di libere elezioni;oggisonoquasidue terzi. Nel 1970, meno di cinquantapaesigodevanodel tipo di libertà civili che associamo alla democrazia; allafinedel XXsecolo,erano quasinovanta5. Questoèsicuramenteun fattodicuigioire,amenoche nonguardiamolecosepiùda vicino. Molti di questi paesi sono democrazie solo di nome. Su di essi gravano gli stessi problemi che hanno ostacolato la democrazia americana negli ultimi anni, su una scala maggiore: corruzione endemica, concentrazione del potere nelle mani di una ristretta élite o regimi de facto a partito unico. Nessuno di questi paesi è in grado di difendersi dagli effetti collaterali del supercapitalismo. La mia posizione è in contrasto con molte opinioni consolidate. Alcuni osservatori attribuiscono il trionfo del capitalismo e l’indebolimento della democrazia all’ascesa di multinazionali talmente potenti da poter scagliare un paese contro l’altro e comprarsi i politici per aumentare i loro profitti. Ma inrealtàlegrandicorporation hanno oggi meno potere economico di trent’anni fa. Allora,peresempio,vierano negli Stati Uniti tre gigantesche società automobilistiche che informalmente stabilivano prezzi e investimenti. Ora vi sono almeno sei aziende che producono automobili negli Stati Uniti, e tra di loro vige una concorrenza feroce. Trent’anni fa esistevano solo tre grandi network televisivi, un’unicaimmensacompagnia telefonica e un manipolo di produzioni cinematografiche e di case discografiche. Oggi migliaia di aziende competono ferocemente all’interno di uno spazio esteso e amorfo in cui il confine tra telecomunicazioni, hi-tech e intrattenimento è spesso indistinguibile. Trent’anni fa la maggior parte delle persone affidava i propri risparmiallebanche,epoteva sceglieresolotradueotredi queste all’interno del proprio paese o della propria città. Oggi sono migliaia le istituzionifinanziarie–tracui i fondi comuni e i fondi pensione–chesicontendono i risparmi dei cittadini. In generale, in ogni campo dell’economia le società hanno un minor potere di mercato oggi che trent’anni fa. Èancheverochealcune corporation sono di dimensioni colossali e hanno unpotereglobale.Maaziende di ogni dimensione competonopiùenergicamente che mai. L’economia globale comprendemenooligopolidi qualche decennio fa, e pressoché nessun monopolio, eccetto quelli creati e sostenuti dai governi. Il potere e l’impulso che un tempo possedevano le grandi corporation – la pianificazione e l’esecuzione della produzione di massa – nonesistonopiù. Per quanto riguarda i politici, non sono diventati visibilmente più corrotti, rapaci o irresponsabili di trent’annifa.Nonvisonopiù mele marce in politica di quante non ve ne siano in ognialtrocampo,solochein genere agli altri sono risparmiate le prime pagine dei giornali. Negli ultimi decenni, però, i politici sono stati soggetti a una pressione maggiore da parte delle grandi lobby, e hanno bisogno di molto più denaro per finanziare le loro campagne elettorali. Questo ha influito sul loro comportamento. Lo straordinario aumento del denaro speso per fare lobbying o nelle campagne elettorali,aognimodo,nonè dovuto all’accresciuto potere di mercato di nessuna specifica corporation; come dimostrerò, deriva, paradossalmente, da una diminuzione del loro potere dimercato. Altri attribuiscono il merito o la colpa della situazione attuale a Ronald Reagan, a Margaret Thatcher o più in generale al predominio dei leader conservatori negli ultimi decenni. I politici sono importanti, ma non possono realizzare un cambiamento economico e sociale a meno che le condizioni per il cambiamento non siano già presenti, o che circostanze fuori dal comune non lo rendano possibile. Quando Reagan prese il potere, l’economia aveva già cominciato a cambiare. Un processo di deregulation, per esempio, aveva spianato la strada a una serie di nuovi attori nell’industria statunitense già da prima che Reagan entrasse in carica. Piccoleeproficuecompagnie aeree, banche e società hitech avevano già ottenuto un vantaggio competitivo nei varisettoriesidavanodafare per abbattere numerose norme regolatrici. La percentuale di lavoratori americani iscritti ai sindacati aveva già cominciato a diminuire. E il numero di lobbistidell’industriapresenti a Washington D.C. stava già crescendo, e anzi subì un’impennata durante l’amministrazione democraticadiBillClinton. Un’ultimateoriaèquella secondo cui gli Stati Uniti, seguiti da gran parte del mondo, negli ultimi decenni si siano fatti sedurre da una serie di idee su come dovrebbero essere organizzate le imprese. Tali precetti – etichettati di volta in volta col termine “neoliberismo”, “teorie neoclassiche”, “neoconservatorismo” o “il Washington consensus” – includonoilliberomercato,la deregulation, le privatizzazioni e, più in generale,l’ideasecondocuisi debba fare maggior affidamento sui mercati che sui governi e privilegiare l’efficienza sulla giustizia. Il fattochegranpartediqueste idee siano state elaborate in senoalleuniversitàamericane è un probabile indicatore del perché coloro che attribuisconolorolemaggiori responsabilità per aver cambiato il volto del pianeta negli ultimi trent’anni siano spesso anch’essi accademici che coltivano una visione particolarmente generosa dell’impatto del mondo accademico sulla società. È vero che i politici a volte prestano attenzione ai consigli del mondo accademico, come fece Pinochet con Friedman. «Pazzi al potere, i quali odono voci nell’aria», scrisse l’economista John Maynard Keynes, «distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochianniaddietro»6. Ma le teorie di cui si parla qui erano esistite più o meno nella stessa forma dai tempi in cui le aveva profetizzate Adam Smith nel XVIII secolo. È probabile che abbiano improvvisamente preso piede negli ultimi decenni del XX secolo, negli Stati Uniti e altrove, semplicemente perché offrivano una comoda giustificazione per cambiamenticheeranogiàin atto. Non furono esse a produrre il cambiamento; semmailolegittimarono. Le storie di dirigenti e finanzieri eroici o abietti, di politicibrillantiocorrottiodi mercanti di idee diabolicamente potenti, per quanto gratificanti possano essere, dovrebbero arrendersi allarealtà.Ilfattochealcune di queste figure siano state particolarmente lungimiranti ospregiudicateèunelemento quasideltuttosecondarionel grande schema delle cose. I cambiamenti di cui parliamo qui sono strutturali, non individuali.Allostessomodo, va abbandonata anche l’idea di una cricca di multinazionali potenti e immorali che cospira contro la gente, perché è troppo semplicistica.Leaziendenon sono né morali né immorali. Spiegazioni di questo tipo, attribuendo i meriti o le responsabilità alle figure sbagliate, sono un comodo diversivo e dunque ostacolano ogni concreto tentativo di riformare il capitalismoelademocrazia. La verità è che molti di noi sono consumatori e investitori, e di conseguenza beneficiano enormemente dal supercapitalismo. Wal-Mart, per esempio, è riuscita ad abbassare i prezzi di una vasta gamma di prodotti, a vantaggio dei suoi clienti. Nello stesso tempo, il successo di Wal-Mart ha significato un beneficio per i suoiazionisti.Mamoltidinoi sono anche cittadini che credono nel fair play. E in questo senso molti di noi sono sconcertati dagli stipendi bassi e dagli elusivi benefici che Wal-Mart offre ai suoi dipendenti, dal potere che ha di costringere i fornitori a tagliare i propri compensi e i propri benefici ed esternalizzare il lavoro all’estero e dall’effetto distruttivo che ha sui rivenditoriindipendenti. IdirigentidiWal-Marto di qualsiasi altra azienda, però, non sono persone particolarmente avide o insensibili. Fanno semplicemente quello che devonofaresecondoleregole del gioco: offrire i prezzi migliori ai loro clienti e massimizzare i profitti dei loro azionisti. Come in qualsiasi altro gioco, fanno tuttociòcheènecessarioper vincere. Ma così come tutti i giochi necessitano delle regolechegarantiscanoilfair play, in economia spetta al Governo stabilire le regole. Se il Governo volesse veramente migliorare le condizioni dei dipendenti di Wal-Mart potrebbe cambiare leregole. In teoria, potrebbe varare delle leggi per facilitare la sindacalizzazione dei loro dipendenti, costringere tutte le grandi aziende a offrire l’assicurazione sanitaria ai propri dipendenti, introdurre regolamenti urbanistici per proteggere i rivenditori indipendenti dall’aggressione degli ipermercati e innalzare il minimo sindacale affinché garantisca alla gente un vero standard “di vita” minimo. Misure di questo tipo porterebbero probabilmente Wal-Mart e le altre grandi aziendeadaumentareiprezzi dei loro prodotti e ridurre i profittideiloroazionisti. Personalmente,sareiben felice di rinunciare ad alcuni benefici in quanto consumatore e azionista in cambio di queste conquiste sociali,purchélosianoanche glialtri.Macomecambiarele regoledelgioco?Ilmercatoè abile nel soddisfare i nostri bisogni in quanto consumatorieazionisti,mala democrazia è sempre meno sensibile alle nostre richieste in quanto cittadini che cercano di rendere le regole del gioco più giuste. La ragione principale, come mostrerò in questo libro, è che il supercapitalismo ha contaminatoanchelapolitica. I cittadini devono competere con le ingenti quantità di denaro versate a Washington e nelle altre grandi città capitale da Wal-Mart e dalle altreaziende. La soluzione, a mio avviso, non sta nel tentativo di costringere le aziende a essere più “socialmente responsabili”. Criticare WalMart perché si rifiuta di aumentare gli stipendi e i benefici sanitari dei suoi dipendenti può anche essere emotivamente gratificante, mahapocoachefareconle forze che hanno spinto WalMart a ridurre al minimo gli stipendieaoffrireaffaricosì vantaggiosiaisuoiclientieai suoi azionisti. Wal-Mart, come ho sottolineato, segue solamenteleregoledelgioco, così come tutti gli altri partecipanti capitalisti. Ma dovremmoesserenoiafarele regole,affinchériflettanosiai nostri valori in quanto cittadinicheinostrivaloriin quanto consumatori e azionisti. La storia che vi racconterò non è né tecnologicamente né economicamente determinista. Il futuro è ancora nelle nostre mani. Ma per fare le scelte corrette dobbiamo comprendere appieno il passato e il presente,eresisterealfascino dei miti. Tornare al capitalismo democratico americano degli anni Cinquanta e Sessanta è impossibile–enonèquelloa cui dovremmo aspirare – ma è certamente possibile orientare il futuro in una direzionecherispondameglio ai nostri obiettivi e ai nostri interessidicittadini. Ilprimoepiùimportante passo è avere un’idea chiara del giusto confine tra capitalismo e democrazia – tra il gioco economico e chi stabilisceleregole–affinché possa essere difeso più efficacemente. Le aziende non sono cittadini. Sono una pila di contratti. L’obiettivo delle aziende è partecipare al gioco capitalista nella maniera più aggressiva possibile. La sfida per noi cittadinièimpedirechesiano loro a dettare le regole. Evitare che il supercapitalismo invada il campodellapoliticaèl’unico obiettivo costruttivo se vogliamo cambiare le cose. Tutto il resto, come dimostrerò chiaramente, è solo un gioco o una dimostrazione. 1 Nel suo libro Capitalismo e libertà, pubblicatoperlaprimavoltanegliStati Uniti nel 1962, Friedman disse chiaramenteche,nellasuavisionedella storia,«ilcapitalismoèunacondizione necessaria per la libertà politica [ma] nonèunacondizionesufficiente».Notò come l’Italia fascista, la Spagna franchista, la Germania in momenti diversi nel corso del xx secolo e il Giappone prima delle due guerre mondialieranotuttipaesiincuivigeva la libera impresa, eppure non erano politicamente liberi. «È, quindi, ovviamente possibile il caso di assetti economici che sono fondamentalmente capitalisticiediassettipoliticichenon sono liberi». Capitalism and Freedom, Chicago, University of Chicago Press, 1962 [Capitalismo e libertà, trad. di Renato Pavetto, Pordenone, Studio Tesi,1987,p.22]. Fin dai tempi dell’illuminismo settecentesco, gran parte del pensiero occidentalehapresuppostounrapporto trailliberomercatoelalibertàpolitica. Sia Adam Smith alla University of Chicago che Anne Robert Jacques TurgotallaSorbonadiParigiarrivarono a vedere l’economia come un processo afasiprevedibili,incuiognifaseporta alla creazione di istituzioni politiche e legali progressivamente più complesse, e a un progresso sociale. Il pensiero di Smith fu espresso nel suo Lectures on Jurisprudence (Lezioni di giurisprudenza), che oggi esiste solo nella forma degli appunti presi dagli studenticheassistetteroallesuelezioni tra il 1762 e il 1764. Le riflessioni di TurgotappaiononelsuoLericchezze,il progressoelastoriauniversale,scritto originariamente nel 1750 o 1751, e rimastoineditofinoalxixsecolo.Vedi anche Sir John Dalrymple, An Essay Towards a General History of Feudal Property, Londra, 1757. Più un generale, vedi Ronald L. Meek, Smith, Marx and After: Ten Essays in the Development of Economic Thought, Londra, Chapman & Hall, 1977, capitolo 1 e Benjamin M. Friedman, The Moral Consequences of Economic Growth, New York, Alfred A. Knopf, 2005,capitolodue[Ilvaloreeticodella crescita, trad. di Nanni Negro - Sonia Cambursano, Milano, Università Bocconi,2006]. 2VediTheAmericanNationalElection Studies all’indirizzo <http://www.electionstudies.org>. 3 Vedi, per esempio, Hans-Dieter Klingemann - Dieter Fuchs, a cura di, Citizens and the State, New York, OxfordUniversityPress,1995;Michael Adams - Mary Jane Lennon, “Canadians, Too, Fault Their Political Institutions and Leaders”, in «The Public Perspective», n. 3, settembreottobre 1992, p. 19; Susan Pharr, “Confidence in Government: Japan”, per il Visions of Governance for the Twenty-First Century Conference, Bretton Woods, New Hampshire, 29 luglio-2agosto1996. 4 La prima persona che ho sentito utilizzare il termine “capitalismo autoritario” in riferimento alla Cina è stato Orville Schell, lo studioso della Cina della University of California di Berkeley. 5 I dati sulle libertà civili sono del FreedomHouse. 6 John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, Londra, Longmans, Green, 1936[Occupazione,interesseemoneta: teoria generale, trad. di Alberto Campolongo, Torino, Utet, 2006, p. 577]. 1.L’etànonproprio dell’oro Trail1945eil1975,più o meno, l’America giunse a uncompromessosignificativo tra capitalismo e democrazia. Visicombinavanounsistema economico enormemente produttivo e un sistema politico sensibile alle domande della gente e ammirato da molti. In quegli anni la forbice tra ricchi e poveri toccò un minimo storico in America (da quando la si misura). Furono creati un numero senza precedenti di posti di lavoro ben remunerati, e che non verràmaipiùeguagliatonegli anniavenire,eunamaggiore sicurezza economica per un più grande numero di cittadini.Forsenonacaso,in quegli anni gli americani esprimevanounaltogradodi fiducianellademocraziaenel Governo, che declinò radicalmente negli anni successivi7. Quel singolare successo e la potente promessa che racchiudeva accrebbero l’autorità morale del sistema americano nel mondo. In contrasto al comunismo sovietico, gli Stati Uniti divennero il simbolo della libertà politica e dell’opulenza della classe mediasuburbana. L’economia era basata sullaproduzionedimassa.La produzione di massa era remunerativa poiché vi era un’estesa classe media che si poteva permettere di comprareiprodottidimassa. E poteva permetterselo perché i profitti della produzione di massa erano spartiti tra le grandi corporation e i loro fornitori, rivenditori e dipendenti. Il potere contrattuale di queste tre categorie era favorito e difesodalGoverno.Quasiun terzo della forza lavoro era iscritta a un sindacato. I benefici della crescita economica erano ridistribuiti in lungo e in largo per il paese – ad agricoltori, veterani, cittadine e piccole imprese – per mezzo di regolazionigovernative(sulle ferrovie,latelefonia,iservizi e l’energia) e di sussidi (prezzi di sostegno, autostrade e prestiti federali). In tal modo la democrazia compensò il potere della produzione su larga scala e distribuì ampiamente i suoi benefici. Ma non era proprio un’etàdell’oro.Ledonneele minoranze lottavano ancora per l’uguaglianza politica e maggiori opportunità economiche.Granpartedella povertàdelpaeseeranascosta nellelontanezoneruralionei ghetti neri. La politica estera americana, ufficialmente motivatadaquellacheveniva percepita come la minaccia del comunismo sovietico, troppo spesso si piegava alla necessitàdellegrandiimprese di avere accesso a risorse a basso costo, come le banane, lo stagno e il petrolio. Le libertà civili furono minacciate dalla caccia alle streghe anticomunista del senatore Joe McCarthy. In generale, la vita dell’americano medio era monotona, conformista e incredibilmente noiosa. Ma nonostante tutte le sue debolezze, il capitalismo democratico sembrava funzionare particolarmente bene, e destinato solo a migliorare. Percapirecosaèandato storto nell’età non proprio dell’oro è necessario prima capirecomecisiarrivò. 1 L’evoluzione cominciò mentre il XIX secolo volgeva alla fine, in un momento in cui le grandi corporation rappresentavano una profonda minaccia per la democrazia americana. Queste crearono livelli di prosperità senza precedenti ma sfruttavano i lavoratori, inclusi i minori, costretti a operare in condizioni di lavoro pericolose. Inoltre, monopolizzarono interi settoridell’industria.Ilpotere economico senza precedenti di queste aziende permetteva loro di non rispondere politicamente delle loro pratiche. L’America cercava disperatamente una maniera perreagire. Tutto ebbe inizio con alcuni personaggi molto influenti, la cui eredità è presente ancora oggi: J.P. Morgan, figlio di un banchiere, che vendeva titoli delle ferrovie e architettò enormi concentrazioni nel settore, diventando un ricco finanziere(la J.P.Morganand Sonsdivennequellacheoggi è la Morgan Stanley); Andrew Carnegie, che iniziò la sua carriera come telefonista, ascese alla presidenzadellaPennsylvania Railroad e fece una fortuna comemagnatedell’acciaio(la Carnegie Steel); John D. Rockefeller, che iniziò come contabile a Cleveland, acquistò la sua prima raffineria nel 1862, arrivò a dominare il mercato del petrolio con la sua Standard Oil Company (antenata della odiernaExxonMobil)epoisi espanse nei settori del carbone, del commercio, del rameedellebanche(laChase Manhattan); e, successivamente,HenryFord. Questi uomini e altri come loro portarono con sé unaseriedinuoveinvenzioni – il motore a vapore, la locomotiva, il telegrafo, la turbina elettrica, il motore a combustione interna e numerosi macchinari in ferro ed acciaio con parti intercambiabili – che permisero la costruzione e il trasportodigrandiquantitàdi nuovi prodotti. I costi erano spalmati su così tante unità che ognuna di queste si poteva fabbricare a costi ridotti. La Procter & Gamble inventò una nuova macchina per la produzione in massa del sapone Ivory. La Diamond Match utilizzava una macchina che fabbricava e inscatolava miliardi di fiammiferi alla volta. Una macchina per produrre sigarette inventata nel 1881 era così efficiente che ne bastavano quindici per soddisfare la domanda annualedisigarettedelpaese. La Standard Oil, l’American Sugar Refining, l’International Harvester e la Carnegie Steel furono solo alcune delle aziende che beneficiarono enormemente delle fornaci giganti, delle centrifughe,deiconvertitorie delle macchine laminatrici e finitrici. La produttività si impennò. Se nei primi anni del XIX secolo il lavoratore americano medio produceva uno 0,3% in più ogni anno (conlaseminaeilraccolto,il disboscamento, la pesca o le varie tecniche artigianali), verso gli ultimi decenni del secolo la sua produttività era aumentata di sei volte8. Anchelaproduzioneesplose. La produzione di ferro raddoppiò in pochi anni; quella di acciaio aumentò di venti volte9. Le reti ferroviarie e telegrafiche si espansero di pari passo. Una rete di trasporto veloce, regolare e affidabile portava le materie prime alle fabbriche dagli angoli più remoti degli Stati Uniti e poi spediva i prodotti finiti ai grossisti e ai negozianti di tuttoilpaese. Una rivoluzione economica di questa portata ebbe ovviamente pesanti ripercussioni sociali. L’offerta superò la domanda, portando a una seria depressione che nel 1873 scossel’Americaegranparte dell’Europa. Un’altra depressione, nell’estate del 1893, ridusse in miseria migliaia di agricoltori, fece chiudere varie banche e ridusse disoccupati più di un quarto degli operai non specializzati del paese. Un coro crescente di socialisti in Europa e in America proclamarono l’imminente collasso del capitalismo. Una schiera sempre più numerosa di populisti dell’Ovest indebitati con le banche dell’Est chiese di convertire la valuta da oro in argento. Essendo l’argento di gran lunga più abbondante dell’oro,ciòavrebbegonfiato ilvaloredellavalutaeridotto ilorodebiti.Gliindustrialisu entrambe le sponde dell’Atlantico chiesero barriere tariffarie più alte per difendersi dalle importazioni straniere. (Solo la Gran Bretagna, la cui industria manifatturiera avanzata era una delle maggiori beneficiarie del libero scambio,sirifiutòdialzarele tariffe,provocandoquellache venne vista come una “invasione economica” tedescaeamericana)10. Centinaia di migliaia di persone si spostarono dalle colline alle fabbriche. Nel 1870, meno dell’8% della popolazioneadultaamericana lavorava in fabbrica e solo unapersonasucinqueviveva in un centro di 8.000 o più abitanti; mezzo secolo più tardi, quasi un terzo della popolazione lavorava in fabbrica e quasi la metà viveva in città. Nel corso di questi anni tumultuosi la popolazione di New York quadruplicò e Chicago divenne dieci volte più grande. Negli anni Settanta del XIX secolo, 280.000 immigrati entravano ogni anno negli Stati Uniti. Nel corso degli anni Ottanta ne arrivarono cinque milioni e mezzo; negli anni Novanta altri quattro milioni. Nel primodecenniodel XXsecolo il flusso di immigrati, molti dei quali indigenti al loro arrivo, aveva raggiunto la cifra di un milione all’anno. Stando a uno studio governativo del 1908, quasi tre quinti degli operai dei campi principali dell’industria americana erano nati all’estero11. Al tempo gli immigrati costituivano una percentuale della forza lavoro americana più alta che un secolo più tardi. Man mano che l’America e gli altri paesi industrializzati cominciavano a setacciare le regioni più sottosviluppatedellaterraalla ricerca di potenziali mercati, il termine “imperialismo” diventava di uso comune. Teddy Roosevelt rivendicò il destino imperiale dell’America in America Latina. «L’espansione territoriale», commentò un ufficiale del Dipartimento di Stato nel 1900, «non è altro che la naturale conseguenza dell’espansione commerciale»12. La Gran Bretagna e la Germania giudicavano la loro potenza economica alla luce della propria sfera d’influenza globale. L’economista britannico J.A. Hobson predisse amaramente la conseguenza logica di una tale concorrenza: gli uomini d’affari,ammonì,scelgonola via della guerra quando hanno esaurito i mercati domestici. Come farà John Maynard Keynes trent’anni dopo, Hobson esortò i paesi avanzatiaincrementareiloro mercati domestici rendendo un maggior numero dei loro cittadini abbastanza ricchi da poter acquistare i prodotti nazionali. «Se la ripartizione delleentratefossetaledanon evocare un risparmio eccessivo, potremmo offrire un impiego pieno e costante in casa per il capitale e il lavoro»13. Ma la guerra mondialechetemevaHobson esploseprimacheunnumero sufficiente di cittadini avesse i mezzi per acquistare una porzione sostanziale di ciò cheproducevano. NeiprimidecennidelXX secolo la produttività aumentò nuovamente. Le fabbriche in cui lo sfruttamento era all’ordine del giorno vennero rimpiazzate da grandi impianti manifatturieri, sul modello delle nuove teorie sull’”organizzazione scientifica del lavoro” di Frederick Winslow Taylor, cheauspicavaladivisionedel lavoro in fabbrica in ruoli altamente specializzati e ripetitivi. Il modello divenne la catena di montaggio di Henry Ford. Non solo gli operai lungo la catena potevano produrre più macchineinunminortempo, ma la produzione poteva essere concentrata in pochi grandi stabilimenti e i materiali potevano essere comprati all’ingrosso, con un notevolerisparmio.Nel1909, la Ford produsse 10.607 macchine;nel1913,168.000; l’annoseguente248.000.Alla vigilia della prima guerra mondiale gran parte dell’industria americana era concentrata nelle mani di poche aziende giganti che divennero quasi sinonimo dell’America: Ford Motor, U.S. Steel, American Telephone & Telegraph, United States Rubber, National Biscuit, American Can, l’Aluminum Company ofAmerica,GeneralElectric, GeneralMotorselaStandard OildiRockefeller. La dimensione di queste imprese era tale che rendeva quasi impossibile l’ingresso nel mercato di aziende più piccole. Esse dominarono il mercato americano, e gran parte dell’economia globale, perbuonapartedelXXsecolo. Nel1994,piùdellametàdelle 500 corporation più grandi d’Americapresentinellalista stilata annualmente dalla rivista «Fortune» era composta da aziende fondate tra il 1880 e il 193014. Molte più di quante videro la luce nel lungo, stabile periodo tra il1945eil1975;unelemento importante da tenere a mente inquestastoria. UNCAMPIONEDELLE AZIENDE«FORTUNE500» DEL1994 FONDATENELCORSODEL 1880(53INTUTTO) EastmanKodak Johnson&Johnson Coca-Cola Westinghouse Sears Roebuck (R.W. SearsWatchCompany) Avon Products (California Perfume Company) Hershey Foods (Lancaster Caramel Company) Chiquita Brands International (Boston Fruit Company) FONDATENELCORSODEL 1890(39INTUTTO) GeneralElectric Knight-Ridder (Ridder Publications) Ralston Purina (Robinson Danforth Company) Reebok International (J.W.FosterandSons) Harris Corporation (Harris Automatic Press Company) Pepsico Goodyear Tire and Rubber FONDATENELCORSODEL 1900(52INTUTTO) Weyerhaeuser USX(UnitedStatesSteel) FordMotor Gillette (American SafetyRazorCompany) Minnesota Mining and Manufacturing UPS (American MessengerCompany) GeneralMotors McGraw-Hill FONDATENELCORSODEL 1910(45INTUTTO) Black&Decker IBM (ComputingTabulating Recording Company) MerrillLynch Safeway(SkaggsUnited Stores) Boeing (Pacific Aero Products) CumminsEngine ReynoldsMetals FONDATENELCORSODEL 1920(58INTUTTO) Chrysler TimeWarner MarriottCorporation Delta Air Lines (Huff Daland) AceHardware WaltDisney NorthwestAirlines Fruit of the Loom (Union Underwear Company)15 2 NeiprimidecennidelXX secolo il capitalismo sembrava destinato a un colossaletrionfo.Molti,però, erano preoccupati dalle sue conseguenze sociali: squallore urbano, stipendi bassi e lunghe ore di lavoro per gli operai, sfruttamento minorile, una crescente disparità economica, il declino o l’abbandono dei centri urbani più piccoli. La democrazia non sembrava in gradodidareunarisposta.Le dimensioniel’influenzadelle grandi corporation si trasformavano in potere politico, rendendole pressoché immuni alle pressioni che giungevano dal basso. La democrazia americana non aveva mai assistito a un fenomeno della portata del capitalismo industriale e non aveva gli strumenti per reagire. La democrazia si era sviluppata in comunità che assomigliavano molto più all’ideale di Thomas Jefferson – paesi, villaggi e piccoli centri urbani in cui ogni voto contava (sarebbe a dire i voti degli uomini bianchi) – che alla nazione enormemente industrializzata e urbanizzata che stavano diventandogliStatiUniti.Gli elettorisisentivanoimpotenti di fronte a questi titani dell’industria. Non si può dire che i capitani dell’industria dell’epocasidistinseroperla loro vocazione pubblica. Alcuni,comeCarnegieeJohn D.Rockefeller,crearonodelle famose istituzioni di beneficenza, ma la maggior parte di loro si riconosceva nelle parole di William H. Vanderbilt, il magnate delle ferrovie,cheaunreporterdel «New York Times» che gli chiedeva se non fosse il caso di tenere aperta la linea New York-NewHavenabeneficio della gente, rispose con l’oramaileggendario:«Chese ne vada al diavolo la gente». Vanderbilt passò poi a dare una breve lezione di capitalismo al reporter. «Non credoaquestestupidagginidi chi vorrebbe far credere che lavoriamo per il bene di qualcuno al di fuori di noi stessi. Le ferrovie non sono gestite coi buoni sentimenti, ma sulla base di ferrei principi economici, e devono generareprofitto»16. Le ferrovie, così come gli altri colossi industriali americani, esistevano per generareprofitto.Lagentene avrebbe beneficiato fintanto che il richiamo del profitto avesse spinto le aziende a investire più soldi, creare più posti di lavoro e offrire prodottieservizimigliori.Ma Vanderbilt si dimenticò di menzionare un punto cruciale. Grazie alle tattiche senza scrupoli utilizzate da luiedaaltriperingigantirele loro aziende, queste ora dominavano tutti i mercati. La strategia principale era quella di soggiogare la concorrenza, permettendogli così di far pagare prezzi più alti per i loro prodotti e fare più o meno quello che volevano. In poche parole, nondovevanorenderecontoa nessuno. Lagenteeraindignata;il potere fuori controllo delle grandi corporation sembrava incompatibile con la democrazia. Il tema fu per decennialcentrodiunlogoro dibattito politico. Teddy Roosevelt accusò le grandi aziende di essere «malfattori di enorme ricchezza». Anche Woodrow Wilson si scagliò contro di loro. «Il Governo è in mano ai capitalisti e agli industriali di questo paese», tuonò durante la campagna elettorale del 1912. «I genitori illegittimi del governodegliStatiUnitisono oggi i grandi gruppi di interesse»17. Franklin D. Roosevelt espresse più o meno la stessa opinione nel 1936 quando incolpò «le famiglierealidell’economia», che controllavano enormi corporation, orchestravano i prezzi e ostacolavano la concorrenza, di essere responsabili dei problemi economicidelpaese18. Il problema della mancanza di controllo sulle corporation sorgeva dovunque prendesse piede il capitalismo, e riguardava gran parte del mondo industrializzato. Negli anni Trenta il politico ed economista tedesco Gustav Stolperosservòche«intuttii paesi il moderno processo di industrializzazione è determinato da due tendenze in conflitto: quella verso una liberazione dell’individuo dai legamiedaicodicidell’epoca medioevale e mercantilista, e quella verso un’integrazione su base meno monopolistica»19. La sfida era di fare in modo che il capitalismo servisse gli interessi della gente. Alcune risposte sembrarono arrivare dall’Europa e dalla Russia. Una consisteva nel controllo statale dei monopoli e delle imprese più grandi: quello che si chiamava socialismo. Un’altra, più radicale, era il comunismo: la proprietà comune di tutti i «mezzi di produzione»,comelidefiniva Karl Marx. Una terza proponeva di trasformare le grandi corporation in estensioni del governo e riunire tutta l’autorità dello Stato nelle mani di una sola persona: il fascismo. Tutte le strade furono battute. E alla finefallironotutte20. L’America ebbe un breveflirtcolsocialismo,ma l’atto non fu mai consumato. Nelsuomomentodimassima espansione, alla vigilia della prima guerra mondiale, il Partito Socialista d’America contava 100.000 membri e 1.200funzionariin340cittàe paesi–moltimenodelPartito Democratico e del Partito Repubblicano ma abbastanza perottenerevisibilitàalivello nazionale. Il giornale del partito contava mezzo milionediabbonati.Nel1914 la roccaforte del partito era l’Oklahoma, con 12.000 membri paganti e più di 100 funzionari eletti. Il movimento, però, scomparve in poco tempo: gli obiettivi del socialismo apparivano troppo vaghi, i suoi ideali internazionalistici incompatibili col feroce nazionalismo scatenato dalla prima guerra mondiale e i suoimetodiunaminacciaper l’individualismoamericano. Alla fine il paese optò per una combinazione di soluzioni più pragmatiche. Una fu quella di scorporare i grandi monopoli in unità più piccole e competitive. Nel 1890venneemanatalaprima legge antitrust del paese, lo ShermanAct.SialaStandard Oil che l’American Tabacco furono smembrate su ordine della Corte Suprema. Nei decenni successi finirono nel mirino dell’antitrust anche la U.S. Steel, l’International Harvester,laGeneralElectric e la AT&T. Le leggi antitrust, però, si rivelarono un’arma inadeguata. La “monopolizzazione” era un concetto difficile da dimostrare. I giudici erano riluttanti a colpire aziende ben consolidate. Ancor più, i titani dell’industria non potevano essere smembrati senza sacrificare tutti i vantaggi della produzione di massa. Ciò che era iniziato come un movimento politico finì per diventare un cavillo legale21. Emerse però un’altra idea. Nel 1909, Herbert Croly, un giovane filosofo della politica e giornalista, argomentò nel suo bestseller ThePromiseofAmericanLife chelegrandicorporationnon andavano smembrate ma regolate secondo l’interesse pubblico. «L’idea costruttiva dietro una politica di riconoscimento delle corporation semimonopolistiche è, ovviamente, quella secondo cuiquestepossonoconvertirsi inagentieconomici[...]peril bene degli interessi economici nazionali». Un processodiregolamentazione nazionale avrebbe preservato l’efficienza della produzione di massa e «messo [le corporation] al servizio del sistema economico democraticonazionale»22. Eraunamiscelaunicadi capitalismo e democrazia. Agenzie regolatrici indipendenti, guidate da commissari nominati dai governatori o dai presidenti, avrebberofissatoiprezziele tariffeelimitatoilnumerodei concorrenti. Questo avrebbe garantito rispettivamente alle aziende e ai clienti profitti e prezzi stabili. I commissari avrebbero stabilito certi standard,comequellopercui il servizio ferroviario doveva essere garantito anche nelle cittàeneipaesipiùpiccoli,e definito quale fosse “l’interesse pubblico” che le aziendedovevanoperseguire. Vi sono poche cose che un amministratore delegato apprezzi più di uno stabile flussodientrate.Anchesein pubblico i dirigenti di molte grandicorporationcriticarono i tentativi di regolamentazione del Governo,eranopiùchefelici di accettare il suo aiuto nel prevenire la riduzione dei prezzi e escludere dal gioco potenziale rivali. Il modello fu la Interstate Commerce Commission (ICC), istituita nel 1887 per stabilizzare le tariffe dei treni e garantire così proficui profitti alle compagnie ferroviarie. Il magnate dei servizi, Samuel Insull, esortò i vari Stati a trattare anche le società elettriche come monopoli regolamentati,sostenendoche la concorrenza creava troppo incertezza per i clienti. Quando la fetta del mercato telefonico della AT&T cominciò a diminuire, il suo presidente, Theodore Vail, lanciò una campagna per trasformare anche la sua azienda in un monopolio regolamentato dallo Stato, dicendo che questo avrebbe garantito agli americani servizi più economici ed efficienti. Nel 1914, Woodrow Wilson istituì la Federal Trade Commission per prevenire pratiche di concorrenza“sleali”,comela vendita di prodotti a prezzi così bassi da danneggiare i profittidellealtreaziende. Entro la metà del XX secolo, circa il 15% dell’economia nazionale fu sottoposto a una regolamentazione diretta: la Civil Aeronautics Board stabiliva i prezzi e le rotte delle compagnie aeree; la Interstate Commercial Commission (ICC) si occupava del trasporto ferroviario, su chiatta e su gomma; alla Federal Communications Commission (FCC) era affidata la supervisione dell’industria telefonica, radiofonica e della nascente industriatelevisiva;laFederal Power Commission aveva la competenza sui gasdotti, le centrali idroelettriche e l’energia nucleare; il Farm Bureau del Dipartimento dell’Agricoltura sul settore agroindustriale e il Federal Maritime Commission sul trasporto marittimo. Ovviamente, aziende così regolamentate esercitavano una notevole influenza sui loro regolatori. Gli scienziati politici parlarono di “scacco” deiregolamentatiadannodei regolatori. Tutte le norme introdotte,infatti,ridusserola concorrenzaediconseguenza imposero prezzi più alti ai consumatori. Solo un cinico indefesso, però, potrebbe sostenere che i regolatori fossero completamente indifferentiagliinteressidella gente. La regolamentazione rese salda l’industria, mantennestabiliglistipendie i posti di lavoro e difese le basi economiche di quelle comunità in cui le aziende regolamentate operavano o avevano la sede. Inoltre, cercòditrovareunequilibrio tra la necessità di guadagno dell’industria e l’esigenza della gente di avere servizi sicuri,equieaffidabili. Il restante 85%, una miscela meno formale di capitalismoedemocrazia,era costituito da associazioni e consigli industriali volontari che collaboravano strettamente con le agenzie governative per dettare degli standard di settore. Nessuno osava chiamarla “pianificazione”, per via dell’odore nefasto di socialismo che emanava quella parola. Era semplicemente un’altra manieraconcuilepiùgrandi aziende di ogni settore armonizzavano i prezzi, arginavano la concorrenza e, a volte, incassavano assegni governativi. Molte di queste associazioni si erano formate durante la prima guerra mondiale e continuarono a esistere, in vesti diverse, per vari decenni. Il War Finance Board (Consiglio finanziario di guerra), nel corso della prima guerra mondiale, sottoscrisse vari prestiti bancarialleindustriebelliche. Anticipò la Reconstruction Finance Corporation (Società di ricostruzione finanziaria) di Herbert Hoover, nata nel 1932, e numerosi altri progetti di finanziamento appoggiati dal Governo nel corso del New Deal, il salvataggiodellaChryslerdel 1979, gli interventi in difesa dei risparmi e dei prestiti del 1989, e anche il salvataggio delle compagnie aeree del 2001. Allo stesso modo, il War Industry Board (Consiglio industriale di guerra), nato sempre durante laprimaguerramondiale(che alcuni partecipanti ribattezzarono «l’assemblea cittadina dell’industria americana»), diede vita dopo la guerra a varie associazioni e consigli commerciali, coordinatidaHerbertHoover in qualità di segretario del Commercio, e in seguito alla National Recovery Administration(NRA,Agenzia per la ricostruzione nazionale)diRoosevelt. La NRAreseiprogettidi pianificazione industriale ancora più espliciti. Ogni settore industriale dovette istituiredeicodicidicondotta leale, anche per quel che riguardava i prezzi e gli stipendi. Gli stessi leader commerciali che non perdevano occasione per condannare il socialismo ne furonoentusiasti.Lacrisidel ‘29 li aveva lasciati con una capacità produttiva di gran lungasuperiorealladomanda, provocandocosìuncrollodei prezzi. La NRA gli diede la possibilità di limitare la produzione e arrestare il taglio dei prezzi. La Camera di Commercio statunitense affermòentusiastachela NRA era «la Magna Carta dell’industria e del lavoro». Henry I. Harriman, il suo presidente, dichiarò senza mezzi termini che il libero mercato «deve essere sostituito da una filosofia di pianificazione economica nazionale»23 e che la NRA avrebbe permesso alle industrie americane di liberarsi dei «pirati dell’industria» e dei «tagliaprezzi senza scrupoli»24. Dando l’opportunità a ogni singolo settore di fissare prezzi e stipendi, i codici della NRA garantivano eque entrate sia al capitale che al lavoro. Harrimanesclamòentusiasta: Dobbiamo sottrarre alla concorrenza il diritto di abbassare gli stipendi al punto in cui non possono garantire uno standard di vita americano, e dobbiamo riconoscere che il capitale ha diritto a entrate giuste e ragionevoli [...], che [...] i beni devono essere venduti a un prezzo che permetta al fabbricante di pagarelematerieprimeun giustoprezzo,dipagarelo stipendio ai suoi uomini e dioffrireequiutiliaisuoi investitori.25 La National Association of Manufacturers (Associazionenazionaledegli industriali), altrettanto entusiasta, progettò un modello per controllare i prezzi e la produzione e lo offrì a tutte le altre associazioni di categoria. Mentreglieuropeiistituivano cartelli e flirtavano col socialismo democratico, l’Americaandòdrittaalcuore del problema, creando un capitalismo democratico in un’economia pianificata direttadagliindustriali. La NRA non ottenne l’approvazione della Corte Suprema, ma le associazioni commerciali continuarono a trovaremetodiperlimitarela produzione e stabilizzare i prezzi, finché la seconda guerra mondiale non incrementò la domanda al punto che il problema divenne quello di tirare giù i prezzi piuttosto che tenerli a galla. Le associazioni continuaronoaoperareanche in questo contesto più favorevole. Agivano da consulenti per il War Production Board (Consiglio della produzione di guerra) e per l’Office of Price Administration (Ufficio per l’amministrazione dei prezzi) e negli anni Cinquanta e Sessanta si trasformarono in commissioni industriali all’interno dei Dipartimenti del Commercio, degli Interni edellaDifesa. Ilprogettodiriconciliare fino in fondo la democrazia colcapitalismosulargascala nonfumairealizzato,mafua lungodiscussonelcorsodella prima metà del XX secolo, e influenzò la visione di molti americanisucomesisarebbe evoluto il capitalismo democratico. Esso consisteva nel democratizzare le corporation stesse. Già nel 1914 il popolare editorialista e filosofo Walter Lippmann aveva esortato i dirigenti dellecorporationamericanea mettersiallaguidadell’intero paese. «Gli uomini addentro alle [grandi corporation] non possono evadere il fatto che lagentesiaspettasemprepiù che si comportino come funzionari pubblici [...]. Tutti i grandi imprenditori con un minimo di intelligenza se ne rendono conto. Sempre più parlano di “responsabilità” e di “leadership”»26. Nel 1932, l’avvocatoAdolf A.Berleeil professore di economia Gardiner C. Means pubblicarono Società per azioni e proprietà privata, unostudiomoltoinfluentesu comeipiùaltidirigentidelle piùgrandiaziended’America non rispondevano del loro operatoneanchedifronteagli azionisti ma gestivano le imprese «nel loro personale interesse» o impiegavano «una parte del patrimonio o dei profitti a proprio esclusivo vantaggio»27. L’unicasoluzione,conclusero BerleeMeans,eraaumentare all’internodelpaeseilpotere di tutti quei gruppi che subivano le azioni delle grandi corporation, inclusi i lavoratori e i consumatori. Immaginavanoildirigentedel futuro come un amministratore di grande professionalità, capace di bilanciare con imparzialità i bisogni degli investitori, dei lavoratori, dei consumatori e dei cittadini e di ridistribuire leentratediconseguenza.«Si può supporre (in realtà sembra quasi necessario, perchéilsistemadellesocietà perazionipossadurare)cheil “controllo” delle grandi societàdebbadareoriginead una teocrazia imperiale, che valuti i vari interessi dei diversi gruppi della comunità e distribuisca a ciascuno una quota degli utili, basandosi sull’interesse pubblico piuttosto che sulla cupidigia deisingoli»28. Negli anni del dopoguerra, come vedremo presto, i massimi dirigenti delle più grandi corporation degli Stati Uniti cominceranno veramente a considerarsi come degli “statisti aziendali”, responsabili di bilanciare gli interessi degli azionisti, dei lavoratori e della gente comune, col sostegno crescentediquest’ultima. 3 Ognidubbiolatentesulla compatibilità tra democrazia e capitalismo su larga scala venne fugato dall’esplosiva prosperità degli anni Cinquantaedall’evidenzadel fatto che la ricchezza veniva ampiamente distribuita. David Lilienthal, uno dei fautoridelNewDeal,incensò la grande corporation americana nel suo bestseller del 1952, Big Business: A NewEra(Il grande capitale: una nuova era): «La Grandezza: ecco cos’è alla base della nostra superiorità produttiva e distributiva e della nostra fortuna economica»29. La rivista «Fortune», commentando un sondaggio del 1953 che mostrava che la maggioranza degli americani era favorevolealgrandecapitale, concluse con consueta esuberanza che «le enormi società per azioni [...] sono diventate il più importante fenomeno del capitalismo della metà del secolo. Il grande capitale comincia finalmente a essere accettato come parte integrale di una grande economia. Ogni critica teorica che può essere mossa contro le grandi corporation è smentita dai fatti»30. L’unico motivo per cui queste avevano superato il test era perché il Governo aveva investito una somma senza precedenti per tirare la nazione fuori dalla depressioneeavevaspintole aziende a ottenere livelli di produzioni inimmaginabili fino a poco prima. Ora, alla fine della guerra, gli investimenti del Governo vennero lentamente sostituiti dalla spesa dei consumatori. Milionidisoldatitornaronoa casa per mettere su famiglia, studiare (pagati dal Governo) e comprare casa (con prestiti sovvenzionati dal Governo). Nel 1950, queste giovani famiglie prendevano casa a un ritmo senza precedenti di quattromila al giorno, riempiendole di asciugatrici, friggitrici, condizionatori d’aria, lavatrici, passeggini e frigoriferi. E tutti avevano almenounamacchinanelloro vialetto. I proprietari di auto balzarono dai 10 milioni del 1949 ai 24 milioni del 1957. William J. Levitt comprò centinaiadiettaridicampidi patate a Long Island e vi costruìsopramigliaiadicase, utilizzando una tecnica di produzione così economica che con meno di 10.000 dollari – con una caparra di 1.000eunaratadi70almese – era possibile comprare una casa con tre stanze da letto, un camino a legna, una cucina munita di forno e frigorifero e un lotto panoramicodiventiduemetri per trenta. In luoghi come Levittown sparsi in tutta l’America,legiovanifamiglie preserod’assaltoisobborghi. Molte nazioni erano state sopraffate dalla tirannia nei decenni precedenti. Negli Stati Uniti la democrazia aveva prevalso, e il paese si congratulava con se stesso per la capacità del suo sistema di superare le avversità. La produzione di massa su larga scala stava creando una grande e stabile classe media come baluardo della democrazia. La società che J.A. Hobson aveva sognato mezzo secolo prima, incuilaprosperitàfossecosì diffusa che i frutti della produzione di massa potessero trovare uno sbocco sul mercato domestico, era finalmente realizzata. Gli americani vedevano il consumo come un gesto patriottico. Stando al presidente del Council of Economic Advisers (Comitato dei consiglieri economici) del presidente Dwight D. Eisenhower, il “fine ultimo” dell’economia americana era «produrre più beni di consumo»31. Era ben chiarocheilfineultimodella democrazia americana fosse quello di creare uno standard di vita migliore per un numero sempre maggiore di americani. Unaproduzionesularga scala voleva dire ancora menogiocatoriincampo,ma la gente, appagata, non si preoccupava più del potere economico delle corporation. Charles Erwin “Engine Charlie” Wilson, presidente della General Motors prima che Eisenhower lo scegliesse nel1953comesegretarioalla Difesa,all’udienzadelSenato per la conferma del suo incarico espresse quella che era oramai l’idea condivisa daipiù.Quandoglifuchiesto se sarebbe stato capace di prendere una decisione nell’interessedegliStatiUniti contro gli interessi della GeneralMotors,risposedisì. Poi si affrettò a rassicurare i senatori che nessun conflitto d’interessisarebbemaipotuto emergere. «Non riesco a immaginarlo,perchéperanni ho pensato che ciò che era buono per il paese fosse buono per la General Motors e viceversa. Non vi era nessuna differenza. La nostra aziendaètroppogrande.Essa dipende dal benessere del paese»32. Con la domanda alle stelle,leaziendechieseroche i regolamenti e la pianificazione combinata tra le industrie e il Governo venissero allentati. Inoltre, le aziende più grandi erano cresciute a tal punto che potevano stabilizzare i prezzi e la produzione semplicemente prendendo accordi con altre due o tre grandi aziende del settore (o, per usare il linguaggio più tecnico e meno allarmante dell’economia, attraverso un “coordinamento oligopolistico”).L’acciaioera controllato da tre giganti del settore: United States Steel, Republic e Bethlehem; l’industria degli impianti e delle apparecchiature elettriche da due: General Electric e Westinghouse. Nel campo della chimica di base, erano tre: DuPont, Union Carbide e Allied Chemicals. L’industria del cibo processato era dominata da tre aziende: General Foods, QuakerOatseGeneralMills. R.J. Reynolds, Liggett & Myers e American Tobacco controllavano l’industria del tabacco; General Electric e Pratt & Whitney quella dei motoriapropulsione;General Motors, Ford e Chrysler quelladelleautomobili.Nella nascente industria televisiva, la facevano da padroni tre network: NBC, CBS e ABC. Consolidamentidiquestotipo ebbero luogo lungo tutto il vasto orizzonte dell’industria americana. Alla fine degli anni Cinquanta,laricostruzionein Europa e in Giappone era quasi ultimata. Nonostante questo, l’America ricopriva ancora circa il 60% della produzionedeisettemaggiori paesi capitalisti. L’industria manifatturiera americana produceva all’incirca il doppio (per ciascun lavoratore impiegato) di quella britannica, il triplo di quellatedescaenovevoltedi più di quella giapponese33. Una delle cose più sorprendenti era che meno di cinquecento aziende erano responsabili di quasi metà dell’intera produzione industriale americana (che allora ammontava a circa un quarto della produzione di tutto il mondo libero) e impiegavanopiùdiunquinto di tutti i lavoratori non agricoli34. Queste aziende possedevano all’incirca tre quarti del patrimonio industriale nazionale e incidevano per il 40% dei profitti delle corporation nazionali.LaGeneralMotors, la più grande azienda manifatturieradelpianeta,nel 1955 generava da sola il 3% di tutto il prodotto interno lordoamericano,eall’incirca l’equivalente dell’intero prodottointernolordoitaliano all’epoca. La Standard Oil of New Jersey (uno dei pezzi della vecchia Standard Oil Company) e la AT&T generavano entrambe introiti superiori a quelli della Danimarca. Questi giganti riunivano intorno a sé varie migliaia di grandi, ma non immense, corporation in qualità di clienti o di fornitori e alcune società di servizi, come banche, società di assicurazione, società ferroviarie e rivenditori all’ingrosso quali Sears, Montgomery Ward e J.C. Penney. Intorno a queste si muovevano a loro volta centinaia di migliaia di aziende più piccole specializzate in specifiche nicchie di mercato. Il resto dell’economia privata sorgeva lungo i marciapiedi delle strade d’America – negozi al dettaglio, ristoranti, barbieri,alberghi,studilegali – o nelle sempre più esigue fattorie del paese. A differenza dei grandi oligopoli, queste aziende perifericheeranopiùsensibili ai capricci del mercato. Dovendo fare i conti con la continua incertezza della concorrenza,iloroproprietari e datori di lavoro conducevano una vita molto più precaria di quella dei dirigenti delle grandi corporation. Le corporation più grandi non potevano correre il rischio della concorrenza. La loro produzione doveva essere pianificata con grande anticipoeconlasicurezzadi venderla a un prezzo prestabilito.Ilcoordinamento e la programmazione erano fondamentali. La «tecnologia [della produzione di massa], col suo impegno comune di tempo e capitale, necessita cheibisognidelconsumatore vengano anticipati, di mesi o anchedianni»,spiegavaJohn Kenneth Galbraith, uno dei pochi economisti del tempo che capì il sistema di pianificazione delle corporation. La grande corporation, quindi, «deve esercitare un controllo sulle vendite [...]. Deve sostituire al mercato la pianificazione [...]. Gran parte di ciò che l’impresa considera pianificazione consiste in effetti nel minimizzare o nell’evitare l’influenza del mercato».35 Le immense corporation americane della metà del secolo possedevano necessariamente un enorme potere economico, che esercitavano con notevole discrezionalità. Una pianificazione efficace richiedeva che tutti i processi produttivi fossero organizzati con precisione e ben programmati, affinché ogni passo potesse essere sincronizzato con l’altro. L’organigramma era delineato come una precisa catena di comando. Le decisioni chiave venivano prese dai quadri dirigenti. La loroesecuzioneeraaffidataa responsabili di medio livello (quasi sempre uomini), ognuno dei quali esercitava un controllo limitato sui responsabilidibassolivelloe sui capi divisione. Per ogni prodottoprincipalevierauna divisione e una gerarchia. Tutti i ruoli d’ufficio e della catena di montaggio erano classificati secondo un rigido ordine burocratico. Regole e procedure operative standard determinavano chi doveva fare cosa e come. Non ci si aspettava che la maggior partedegliimpiegatipensasse con la propria testa, se non all’internodiparametrimolto ristretti. In molti casi un pensiero autonomo poteva mettere a repentaglio l’intero piano. Nonostante la preparazione e l’esecuzione meticolosa, i piani non sempre riuscivano. La Edsel della Ford divenne famosa per il buco nell’acqua che fece. Ma il successo era la norma e la norma consisteva nell’evitare ogni rischio inutile, che di solito voleva dire accantonare le novità a favore di variazioni su prodotti e servizi che già si erano dimostrati di successo. Un sistema di questo tipo producevapocheinnovazioni. La General Motors, per esempio, nel 1965 vendette piùdiunmilionediesemplari della Chevrolet Impalas, ma lamacchinanonoffrivaquasi niente in più rispetto ai modelliprecedentioaquello che proponeva la concorrenza.Selatecnologia base della combustione interna rimase immutata per anni, i Tre Grandi (Big Three) si concentrarono sullo stile e sul comfort delle loro automobili. Aggiunsero il servofreno, il servosterzo, il finestrino elettrico, il condizionatore d’aria e motori più grandi e potenti. Le pinne divennero più lunghe e le luci raddoppiarono. (Un effetto che all’epoca venne a malapena notato fu un calo nel numero di chilometri per litro tra gli anni Cinquanta e glianniSessanta). Ancheseilcapitalismoe il comunismo erano ritenuti agliantipodil’unodell’altro,i sovieticiimplementaronouna loro forma di pianificazione con una determinazione e un successo non dissimili. Le grandi economie su larga scala ben si confacevano ai piani quinquennali sovietici. Così come l’economia americanasieraripresadopo laguerra,anchelaproduzione industriale sovietica si era impennata. La produzione di acciaio crebbe al ritmo del 9%l’annopertuttaladecade degli anni Cinquanta. Tra il 1960eil1973,lacrescitapro capite nell’Unione Sovietica era circa del 3,4% l’anno, mentre negli Stati Uniti si aggirava intorno al 3% e in Europa al 4,4%36. Durante la presidenza di John F. Kennedy, Nikita Chrusˇcˇëv poteva vantarsi, a ragione, chealritmoconcuicresceva la sua economia, questa avrebbe superato quella americana vent’anni. nel giro di 4 Negli Stati Uniti, il grande capitale trovò il suo corrispondente nel sindacalismo di massa; il primo generò il secondo. Gli accordi che le due parti trovarono sugli stipendi e sulle condizioni di lavoro dettaronoleregoledell’intero sistema economico, ridistribuendo i benefici dell’alta produttività e contribuendo alla crescita della borghesia americana. Il lororapportosarebbestatoun elemento centrale del capitalismo democratico nel corso dell’età non proprio dell’oro. L’ascesa del sindacalismo non fu semplice. Ebbe certamente i suoi personaggi battaglieri – John L. Lewis della United MineWorkers(UMW),Walter Reuther della United Auto Workers (UAW), Philip Murray della United Steelworkers(USW)–macosì come per l’ascesa delle grandicorporation,lacrescita del sindacalismo ebbe più a che fare con cambiamenti strutturali nell’economia che conlefigurecarismaticheche riempivano i giornali. Nei primi anni del XX secolo, la Corte Suprema aveva deliberato che gli accordi tra lavoratori sotto la bandiera del sindacato violavano le leggi antitrust del paese. Anche se la legge antitrust proibiva gli accordi che limitavano gli scambi commerciali,laCorteagìcon notevole cinismo, dato il crescente potere economico dellegrandicorporation.Man mano che quel potere cresceva, i lavoratori intensificarono comunque i lorosforziorganizzativi. DopocheilWagnerAct nel1935legittimòfinalmente la contrattazione collettiva, i sindacati crebbero notevolmente. La General Motors riconobbe la United Auto Workers come rappresentante dei propri operaielaUnitedStatesSteel fece lo stesso con la United Steelworkers. Lo fecero non solo perché la legge riconosceva i sindacati, ma per molti degli stessi motivi per cui le grandi corporation non avevano opposto una gran resistenza all’introduzione del Wagner Act. Entrambe vedevano nella contrattazione collettiva un mezzo per mantenere una forza lavoro stabile e minimizzare eventuali disturbi, presupposti chiave perlaproduzionedimassa. Durante la seconda guerra mondiale, le fila del sindacato crebbero fino a 14 milioni di iscritti. Le grandi aziende non si opposero più di tanto. Stavano mietendo enormi profitti, principalmente grazie ai contratti governativi. In quelle circostanze, un aperto conflitto con i sindacati sarebbe stato fuori luogo. I lavoratori, da parte loro, si impegnarono a non scioperare, cosa che sarebbe statavistacomeunattopoco patriottico. All’indomani della guerra, però, i sindacati reclamarono la loro fetta di torta. L’industria americana era ingrassata sui proventi della guerra, ma lo stipendio del lavoratore americano medio era rimasto immutato per anni. Un’autorevole ricerca nel 1945 della University of California (a nome del dottor Walter Heller, che in seguito diresse il Council of Economic Advisers durante le amministrazioni di John F. Kennedy e Lyndon Johnson) trovò che la famiglia americana media aveva bisogno di circa 50 dollari alla settimana per mantenere uno «standard di vita decente» ma che l’operaio medio ne guadagnava solo 40.98 alla settimana (45.60 nel settore siderurgico; 44.81 in quello automobilistico; 41.25 nel comparto elettrico; 23.75 nell’abbigliamento).37 William H. Davis, allora direttore dell’Office of Economic Stabilization del Governo, stimò che l’industriaraccoglievaprofitti tali da potersi permettere di aumentare gli stipendi del 40% o anche del 50% senza alzare i prezzi. Il presidente Harry S. Truman, che riteneva di avere abbastanza problemi per le mani senza immischiarsi nelle dispute sindacali, rigettò la stima di Daviselolicenziòintronco. Il presidente del sindacato dei siderurgici, Philip Murray, denunciò i miliardi di dollari raccolti dalleaziendesiderurgichenel corso della seconda guerra mondiale e i quasi 750 milioni di dollari elargiti ai loro azionisti, a fronte dei miseri stipendi offerti agli operai. Il presidente della UAW, Walter Reuther, chiese alla General Motors di agganciare i salari degli operai alla «disponibilità economica» del gigante delle auto. Durante una celebre seduta di contrattazione, la cui trascrizione fu resa pubblica, Reuther minaccio che «a meno che non otteniamo una distribuzione più realistica delle ricchezze del paese, non avremo abbastanzasoldipertenerein vita questa macchina». Reuther tirò in causa una questione che trascendeva la specifica trattativa. Egli si riferiva ai lavoratori americani in generale, e all’urgenza evidente di condividereconloroiprofitti delle grandi aziende affinché potessero comprare macchine, utensili da cucina, radio, lavatrici e stipulare le polizze sulla vita che l’industria americana riversava sul mercato. Fu un momento chiave nella storia del sindacato e del capitalismo democratico, ma l’avvertimento di Reuther, nell’immediato, non portò a un dialogo particolarmente costruttivo: GM: Non può affermare queste cose [...] senza rivelare le sue tendenze socialiste. REUTHER: Se combattere per una distribuzione giusta ed equa delle ricchezze di questo paese è un’idea socialista, allora sono colpevole di essere un socialista. GM:Ècondannato. REUTHER: Mi dichiaro colpevole. La minaccia di Reuther – non solo lo sciopero della UAW ma il fatto che a meno cheiprofittidellecorporation non fossero stati maggiormentecondivisiconi lavoratori, questi non sarebbero stati in grado di consumare i prodotti delle aziende americane – toccò unacordasensibile.Spinsela GM a realizzare una serie di pubblicità a tutta pagina sui maggiori giornali americani incuidelineavalasuavisione filosofica: LA QUESTIONE È QUESTA: L’industria americana deve essere basata sulla libera concorrenza, oppure è destinata a essere sottoposta a una visione socialista; controllata e irreggimentata in ogni sua attività? [...]. L’America è a un bivio! O difende la libertàdiognicomponente dell’industriadidecidereil proprio destino, o sceglie di affidare a qualche burocrazia o agenzia statale, o a un sindacato, quelle responsabilità amministrative che sono alla base dell’economia americana!38 Le corporation americane fecero muro; i sindacati reagirono: nel 1946 più di due milioni di operai dei settori automobilistico, siderurgico, elettrico e della carne scioperarono. Truman non ebbe altra scelta che immischiarsi nella faccenda. Istituì una commissione d’indagine che dimostrò che il costo della vita era aumentatodicircail33%dai tempi prima della guerra, mentre il congelamento degli stipendi in tempo di guerra aveva limitato al 15% gli aumenti per il lavoratore medio. La commissione esortò l’industria ad aumentare gli stipendi del 33% rispetto a quelli del gennaio1941.Idirigentidelle corporation, pur riluttanti, accettarono. Le conseguenze furono benmenogravidiquelloche temevano. Poiché tutte le aziendepiùgrandi,pressoché in ognuno dei settori industriali principali, dovettero fare le stesse concessioni, nessuna azienda o industria soffrì uno svantaggio competitivo in patria, e senza dover temere ancora la concorrenza all’estero. Le più grandi aziende dei vari settori già coordinavano i prezzi e la produzione; coordinare gli stipendi risultò una faccenda piuttostosemplice.Isindacati avevano fatto tutte le mosse giuste: organizzandosi per settore – tra cui quello automobilistico, aereo, chimico, elettrico, dell’acciaio, della gomma e dei cantieri navali – emularono gli oligopoli già esistenti, minimizzando il costo di ogni singola azienda nell’accettare le richieste del sindacato. Inoltre, i mercati crescevano in fretta. Grazie alla crescita costante delle economie di scala, cresceva anche la produzione, facendo sì che gran parte dei beni fossero prodotti a un prezzo più basso rispetto al passato, nonostante stipendi più alti per gli operai. I dirigenti aziendali, poi, sapevano bene che, se necessario, gli aumenti del costo della forza lavoro potevano essere scaricati sui consumatori sottoformadiprezzipiùalti. Iconsumatori,dopotutto,non avevano molta scelta. E infine,piùdiognialtracosa,i dirigenti ora si rendevano pienamente conto delle conseguenze che uno scioperooun’interruzionedel lavoro potevano avere sul ciclo della produzione di massa. Spesso era semplicemente più conveniente assecondare le richiestedeisindacati. «Quando hai un’industria e un sindacato solidi, arrivi al punto in cui scioperarenonhapiùsenso», osservò ironicamente George Meany, presidente della Federazione Americana del Lavoro e dell’Associazione delle Organizzazioni Industriali(AFL-CIO)39. Le tensioni si allentaronoquasideltuttonel corso degli anni Cinquanta. Aumentarono sia gli stipendi che le cosiddette indennità accessorie. Queste ultime divennero un elemento sempre più centrale delle buste paga degli operai americani. Nel 1950, il 10% dei contratti sindacali offriva pacchetti pensionistici e il 30% includeva l’assicurazione sanitaria. Cinqueannipiùtardi,il45% delle medie e grandi aziende garantivaailorodipendentila pensioneeil70%offrivaloro una gamma di assicurazioni sulla vita, sugli infortuni e sullasalutecheincludevanoil ricovero in ospedale e la maternità. Benefici di questo tipo erano allettanti sia per i datori di lavori che per i dipendenti perché, sebbene equivalenti a un’entrata economica, non erano tassati come tali, e di conseguenza erano di fatto sovvenzionati daicontribuentiamericani.In quegliannipochicompresero che il paese si stava imbarcando in una nuova formadiassicurazionesociale agganciata al lavoro e sovvenzionata dallo Stato. Alla fine del XX secolo, questaavevaraggiuntolivelli stupefacenti. La spesa delle corporation per le pensioni e l’assicurazione sanitaria dei loro dipendenti, sostenuta indirettamente dal Governo, ricopriva una percentuale dell’economia nazionale grande quanto la spesa governativa diretta per le pensioni e l’assicurazione sanitaria degli altri paesi avanzati40. Gli accordi sindacali arrivarono a includere aggiustamenti automatici per il costo della vita, in base ai quali gli stipendisalivanodiparipasso con l’inflazione. Anche le vacanze pagate divennero la norma. Sussidi di disoccupazionesupplementari (oltre a quelli forniti dall’assicurazione per disoccupazione del Governo) garantivano ai lavoratori uno stipendiopienoanchequando venivano licenziati sull’onda diunaflessioneeconomica. Nel1955,piùdiunterzo dei lavoratori americani era iscritto a un sindacato. Una larga parte di quelli che non erano iscritti ricevevano stipendi e benefici simili a quelli dei lavoratori sindacalizzati, poiché i datori di lavoro non volevano portare i sindacati laddove non ve n’erano. Anche le aziende più piccole aspiravano a offrire ai loro dipendenti quelli che gli economisti definivano stipendi e benefici “dominanti”,alfinediattirare etenereconséilavoratoridi cuiavevanobisogno. I sindacati divennero anche una significativa forza politica. Le rappresentanze locali, unite in federazioni statali e nazionali, suddivise per settore o incorporate nell’AFL-CIO, lottarono con successo per far alzare il minimo sindacale (facendo cosìsaliretuttiglistipendial di sopra del minimo), allargare la previdenza socialeecreareilMedicare41. «Il nuovo leader sindacale appartiene a una classe nuova», commentò la rivista «Fortune».«Riceveunbuono stipendio. È una figura pubblica. Gode di un ruolo importantenellasocietà»42.Il sindacalismo di massa entrò così a far parte del sistema economico americano a fianco del grande capitale. Non più un movimento sociale, il sindacato era ora un elemento affermato del capitalismo democratico, e condividevaconleaziendeil merito e la responsabilità della crescente prosperità sociale. 5 E che prosperità. Dalla fine della seconda guerra mondialeallametàdeglianni Settanta, i salari e i benefici dei lavoratori americani crebberoinmediatrail2,5% e il 3% l’anno, di pari passo allacrescitadellaproduttività. Tra il 1947 e il 1973, le entrate reali della famiglia americana media raddoppiarono, così come raddoppiò il valore di quello che produceva il lavoratore americano medio. Se pochi divennero enormemente ricchi,lagrandemaggioranza degli americani viveva meglio di quanto avesse mai fatto. E lavorava meno ore, man mano che il paese andava verso la settimana lavorativadicinquegiorni. La prosperità e la crescita del ceto medio americano fu uno dei maggiori successi del capitalismo democratico. A metà degli anni Cinquanta, quasi il 50% delle famiglie americane vi rientrava, nel senso che guadagnavano, detratteletasse,trai4.000ei 7.500 dollari l’anno. Gran parte di quelle famiglie non aveva alla sua testa professionisti o dirigenti d’azienda, ma operai semispecializzati e impiegati, che amministravano il flusso della produzione o il lavoro d’ufficio delle grandi corporation. Molti di quelli che portavano il pane a casa erano uomini e mariti; gran parte delle donne di quel vasto e crescente ceto medio nonlavorava. Le disuguaglianze economiche diminuivano sempredipiù.Nel1928,l’1% della fascia più alta dei percettori di reddito si portava a casa il 19% del totale delle entrate personali, tasse escluse. Nel 1950, le entrate della fascia più alta ammontavano al 7% del totale43. Anche le tasse al netto delle imposte erano più equilibrate. Sotto la presidenza repubblicana di Eisenhower, i maggiori percettoridiredditopagavano un’aliquota marginale dell’imposta sul reddito del 91%. Sotto la presidenza democraticadiKennedy,poi, questasceseal78%,unacifra comunque significativa. Le tasse alte non sembravano ostacolare l’economia, che insieme alla produttività continuava a crescere inesorabilmente. Un testo universitario del 1956 intitolato The American Class Structure sottolineava quanto fossero diminuite le divisioni di classerispettoaglianniVenti. «Tutti sono dipendenti, non proprietari. Il loro ruolo all’interno del sistema dipende dalle regole burocratiche di entrata e di promozione». L’autore, il sociologo Joseph Kahl, osservò che, con l’innalzarsi dei salari ai piani più bassi della scala aziendale e la limitazione dei salari ai piani più alti per via di ruoli che assomigliavano sempre più a quelli della pubblica amministrazione, le burocrazie aziendali stavano livellando sempre più le entrate. «La tendenza nella distribuzione del reddito», concluse Kahl, «è diretta versounacrescenteriduzione delle disuguaglianze. I proprietari percepiscono una fetta delle entrate sempre minore in relazione ai dipendenti; i professionisti e gliimpiegatistannoperdendo alcuni dei vantaggi che avevano rispetto agli operai»44. Ipostidilavoro,inoltre, eranodigranlungapiùstabili che nei decenni precedenti: un’altra conseguenza della sindacalizzazione e della rigida struttura oligopolistica chelimitavalaconcorrenzae l’innovazione a favore di un’economia di scala. In un sondaggiodel1925,dueterzi dei dirigenti di alto livello intervistati stavano nella stessa azienda da più di vent’anni45. Le carriere e gli stipendi di questi «uomini dell’organizzazione», per usare la felice definizione adottata dal sociologo William H. Whyte Jr in un bestseller dell’epoca, divennero preordinati e controllatiquantoquellidelle loro controparti in colletto blu. I giovani impiegati che intervistò espressero quello cheerailsentimentocomune di quegli anni: «Sii fedele all’azienda e l’azienda sarà fedele a te» (corsivo nell’originale). «In genere, i giovani accarezzano la speranza[...]diinstaurarecon l’Organizzazione dei rapporti aventi carattere di stabilità», scriveva Whyte. La logica della fiducia reciproca era basata sull’idea che «le grandiimpresecondividono[i punti di vista dei giovani]»46. Un fatto ancora più importante (che Whyte non colse affatto) era che la struttura dell’economia permetteva e incoraggiava questotipodirapporto. Il salario netto degli impiegatidipendevapiùdagli anni passati nell’azienda che dai loro sforzi individuali. Allo stesso modo, anche i contratti sindacali prevedevano un aumento del salariocolpassaredeglianni. Questa traiettoria ascendente facilmente prevedibile non soloaiutavalegrandiaziende a programmare i costi di produzione; aiutava anche le famiglie a pianificare il loro futuro. Il “grado” degli stipendi partiva a livelli modesti, quando il nucleo familiare era ancora ristretto, e cresceva man mano che crescevano le famiglie. I dipendenti stipulavano mutui eprestiticonlacertezzaquasi assolutachesarebberostatiin gradodiestinguerli.Potevano cambiare regolarmente sia la casa che la macchina. A sessantacinque anni, con alle spalle quarant’anni o più passati nell’azienda, il dipendentemedioricevevaun orologio d’oro o una spilla e una modesta ma prevedibile pensione aziendale con cui vivere per il resto della sua vita. “Il resto”, a quei tempi, non durava molto. Non era un’età dell’oro in termini di longevità. I pensionati potevano sperare al massimo in altri cinque o sei anni di partite a carte coi vecchi amici e pranzi coi nipotini primadimoriresoddisfattidi aver vissuto una vita perfettamenteprevedibile. Non era un’età dell’oro neanche in termini di pari opportunità. L’America degli anniCinquantaeSessantaera ancora attraversata da gravi disuguaglianze. La fascia più povera della popolazione era quasi invisibile al resto della nazione. I neri erano esplicitamente o implicitamente relegati a cittadini di seconda classe e spesso costretti a svolgere lavori inferiori. Poche donne osavanoaspirareaprofessioni che non fossero quella di insegnante, infermiera o hostess. Sarebbe passato ancoraunpo’ditempoprima che queste barriere venissero abbattute, nonostante il crescente numero di americanicheentravanonelle fila della burocrazia stabile e standardizzata delle corporation americane. A ogni modo il paese aveva intrapresounanuovastrada– fatta di lavori sicuri e ben pagati all’interno di una struttura che ripartiva generosamente i frutti della crescitaeconomica–ecreato un ceto medio abbastanza vasto da rendere il capitalismo democratico un sistemamoltopiùinclusivo. 6 I politologi del tempo cercaronodidescrivereiltipo di democrazia che negli anni si era sviluppata in America con termini astratti come «pluralismo dei gruppi di interesse», per delineare un sistema che, pur non conformandosi ai modelli classici di democrazia diretta o rappresentativa, riusciva ancoraasoddisfareidesideri eleaspirazionidellamaggior parte dei cittadini47. C’era un certo autocompiacimento in tutto questo, ma anche una realevolontàdicapireperché la democrazia americana aveva avuto un tale successo a fronte, altrove, delle derive socialiste, comuniste e totalitariedeimodernisistemi industriali. La democrazia, sostenevano, è una mediazione continua tra gruppiinconcorrenzatraloro ma intrecciati l’uno all’altro. «La principale forza equilibratrice in una società multi-gruppo come quella statunitense», scriveva lo scienziato politico della University of Columbia, David Truman, nel suo autorevole trattato del 1951, The Governmental Process, consiste nell’«appartenenza comune a più gruppi di interesse»48. Truman sosteneva che la maggior parte degli americani apparteneva a uno o più di questi gruppi (club, associazioni, partiti politici, sindacati), il cui scopo era rappresentare ai leader politici le istanze dei propri membri. Questi gruppi, spesso sovrapposti, rendevano stabile la democraziaefacilitavanoallo stesso tempo cambiamenti pacifici. Lo scienziato politico di Yale, Robert A. Dahl,nelsuoPrefazionealla teoria democratica del 1956, suggerì che la democrazia aveva trionfato negli Stati Unitienonaltroveperchéqui avevaabbracciatounmaggior numero di gruppi, ognuno una minoranza politica a sé. Poiché questi dovevano necessariamente formare delle coalizioni per raggiungereiloroobiettivi,il sistema nella sua interezza rimase flessibile e sensibile alle richieste dal basso. Il risultato non fu né un dominio della maggioranza, né uno della minoranza, ma un «dominio delle minoranze»49. Quando Dahl studiò la tipica città americana (New Haven, Connecticut),scoprì,com’era prevedibile, che gran parte dei cittadini era esclusa dal processopolitico.Ilcontrollo effettivo era nelle mani di élite concorrenti, molte delle quali auto-elette. Ma a meno che non rappresentassero al megliogliinteressidellaloro gente, rischiavano di perdere quest’ultimapermanodialtre élite. Era una teoria rassicurante che ometteva alcuni dettagli meno rassicuranti,comeilfattoche i gruppi di interesse non gareggiavano automaticamente su un terreno eguale, o che ignoravano quasi sempre le fasce più povere della popolazione. È certamente vero, però, che nell’età non proprio dell’oro i politici prestavano una grande attenzionealleélitelocali–le piccole aziende che componevano la camera di commercio locale, per esempio – o alle organizzazioninazionaliicui membri erano attivi nelle sezioni locali, come l’American Legion50, il Farm Bureau51 e le sezioni dei sindacati. A differenza delle lobby di “interesse pubblico” di oggi, che passano le giornate a spedire lettere dai loro piccoli uffici di Washington sollecitando contributi ai fedeli sparsi in giro per il paese, questi gruppi erano abbastanza radicatisulterritoriodapoter effettivamente influire sulle scelte dei legislatori. L’American Legion, per esempio, riuscì da sola a far passarenel1944il GIBill,un progetto di legge che garantiva un’educazione secondaria quadriennale e mutui e finanziamenti agevolati a tutti i veterani di ritornoacasa52. Ipolitologitralasciarono un altro elemento, ugualmente importante per comprendere come il capitalismo democratico ridistribuisse i frutti della crescita economica. A fatica, il governo federale era riuscito a creare nuovi centri di potere economico che controbilanciavano l’enorme potere delle grandi corporation.Isindacati,come abbiamo visto, riuscirono a legalizzare la contrattazione collettiva.Ipiccoliagricoltori ottennero un intervento stataleasostegnodeiprezzie una voce in capitolo nelle decisioni di politica agricola. Lecooperativeagricole,come i sindacati, conseguirono l’esenzione dalle leggi antitrust. I piccoli negozianti ottennero una protezione dalle grandi catene attraverso leggisul“commercioequo”e il Robinson-Patman Act, che imponeva ai fornitori di offrireglistessiprezziatuttii rivenditori, indifferentemente dalle loro dimensioni, e vietavaallecateneditagliare i prezzi (Wal-Mart non avrebbe avuto scampo). Allo stesso tempo, alle grandi catenefupermessodiriunirsi in grandi organizzazioni nazionali nonostante le leggi antitrust, contrastando così il potere di mercato dei grandi produttori. I piccoli investitori ottennero numerose protezioni sotto il Securities and Exchange Act (Legge sulla borsa valori). E così lungo tutta la catena dell’economia. John Kenneth Galbraith, con tono d’approvazione, lo definì «potere compensativo»53. «Data l’esistenza nell’economia di un potere privato di mercato», scrisse, «lo sviluppo del potere di equilibriorafforzalacapacità dell’economia di autoregolarsi autonomamente,eriducecosì la misura totale di controllo governativo o di pianificazione necessari o desiderati»54. Oggi sappiamo che vi erainballopiùdellasemplice stabilità economica. I nuovi centri di potere economico diedero al sistema emergente anche gran parte della sua stabilità politica55. Ridistribuendo i frutti della crescita tra gruppi che altrimenti ne avrebbero visti pochi o nessuno, e dando a questi voce, i nuovi centri di potere economico rafforzarono il capitalismo democratico. I politologi dell’epoca notarono correttamente che i politici erano sensibili a coloro che sapevano ben organizzare e comunicaregliinteressilocali (lepiccoleaziende,iveterani, i medici e, sempre più, gli anziani, per esempio). Non colsero però il quadro più grande: la democrazia aveva permesso ad altri gruppi (i lavoratori sindacalizzati, gli agricoltori, i fornitori, i rivenditori e i piccoli investitori) di curare direttamenteipropriinteressi economici. 7 La preoccupazione degli Stati Uniti nei confronti dell’Unione Sovietica nel corso di questi anni – l’apparente sfida tra capitalismo e comunismo, che in realtà era più una competizionetratotalitarismo e democrazia – servì da giustificazione per una serie diinterventipubblicisularga scala.Lariduzionepressoché diogniaspettodellapoliticaa una questione di “difesa nazionale” sembrava giustificare automaticamente grandi spese di denaro pubblico. Il contributo dello Sputnik al sistema scolastico americano, per esempio, fu chiamato National Defense Education Act (Legge a favore dell’educazione di difesa nazionale), il cui scopo, ufficialmente, era quellodiformareunmaggior numero di scienziati e ingegneri che potessero competere coi sovietici. Una delle conseguenze fu quella di creare una generazione di ricercatori e insegnanti all’avanguardiainmoltedelle tecnologiechesarebberostate al centro dell’industria americana. Il National Interstate and Defense Act (Legge nazionale a favore delle autostrade e della difesa) – più di 60.000 chilometri di autostrade a quattro corsie che rimpiazzarono le vecchie strade federali a due corsie cheattraversavanomoltecittà e paesi – fu giustificata dal Congressoconlanecessitàdi dover trasportare più facilmente le munizioni da unaparteall’altradelpaesein caso di guerra. In pratica, questo incrementò notevolmente la produzione nazionale,riducendodimolto il costo del trasporto e della distribuzione di beni nel paese, promuovendo la venditadinuoveautomobilie generandounrapidosviluppo delleperiferie. Eisenhower mise il paese in guarda dai pericoli del «complesso militareindustriale», ma non parve comprendere la sua importanzanelcrearepostidi lavoro e stabilizzare l’intera economia. Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, circa cento corporation ricevettero i due terzi di tutti gli appalti per la Difesa, in termini economici. Molte di queste enormi aziende erano sindacalizzate, il che significava che i lavoratori si spartivano un’ampia fetta della torta. Nel 1959, il 20% di tutta la forza lavoro non agricola della California lavorava direttamente o indirettamente per le grandi aziende della Difesa. Nello Stato di Washington, la percentualearrivavaal22%. Gli appalti per la Difesa stimolaronoanchelosviluppo di tecnologie che avrebbero giocato un ruolo centrale nel campo aerospaziale e delle telecomunicazioni. I miliardi didollaridedicatiallaricerca e allo sviluppo di complessi strumenti bellici portarono alla creazione dei primi transistor, che poi sarebbero andati a finire nei computer; delle fibre ottiche, che poi avrebbero formato l’“autostrada” informatica di Internet; dei laser, che un giorno avrebbero rimodellato ibulbiocularidellagente;dei motori a propulsione, che avrebberopermessoagliaerei di linea di viaggiare per decine di migliaia di chilometri senza sosta; e di un’ampia gamma di misuratori di precisione, strumenti di rilevazione e gadget elettronici che avrebbero trovato applicazione in migliaia di prodotti e servizi commerciali. Come vedremo neicapitoliseguenti,moltedi queste tecnologie, e le aziende e le industrie che ne facevano uso, contribuirono infine alla distruzione dello stabile,oligopolisticosistema americano. GliStatiUnitidellametà del secolo scorso non erano una nazione commerciale. Pochi dei paesi recentemente devastatidallaguerraeranoin grado di vendere qualcosa agli americani o di comprare buona parte delle cose che questi ultimi vendevano. Nel 1960,ancorasoloil4%delle automobili comprate dagli americani era costruito fuori dagli Stati Uniti, solo il 4% dell’acciaio usato dagli americanivenivadall’esteroe meno del 6% dei televisori, delle radio e degli altri prodotti di consumo aveva vistolalucefuoridaiconfini del paese. Nondimeno, in quegli anni gli Stati Uniti si impegnarono in un progetto ambizioso per diffondere i benefici del capitalismo americanoanchenelrestodel mondo, e per arginare ulteriormente il comunismo sovietico. Come vedremo, anche questo contribuì all’erosione dello stabile sistemaoligopolistico. Nei primi anni del dopoguerra, gli Stati Uniti promossero un sistema di tassi di cambio fissi per minimizzare la fluttuazione della moneta, il Fondo Monetario Internazionale per assicurareliquiditàalmondo, laBancaMondialepergestire i finanziamenti per lo sviluppo e l’Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio (GATT) per garantireunliberosistemadi scambio. Il paese riversò numerosimiliardididollariin Europa occidentale e in Giappone per ricostruire fabbriche, ferrovie, strade e scuole. «Il vecchio imperialismo – lo sfruttamento per il profitto straniero – non trova posto nei nostri piani», disse il presidente Truman, annunciando il suo programmainquattropuntidi assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo, «ciò che noi intendiamo è un programma di sviluppo fondato sul concetto di un leale comportamento democratico»56(potrebbeaver aggiunto:«esulcontenimento dellaminacciasovietica»). Sotto quasi tutti i punti divista,ilpianosirivelòuno strepitoso successo. Tra il 1945 e il 1970, il reddito monetario nel mondo triplicò eilcommerciointernazionale quadruplicò. Non a caso, la politica estera degli Stati Uniti creò nuove opportunità per le maggiori corporation americane – al tempo più grandi, ricche e tecnologicamente avanzate di quellediqualsiasialtropaese – per espandere il proprio mercato all’estero. Col regime mondiale di cambi fissi basato sul dollaro, i banchieri e le grandi corporation statunitensi poteronoallargarelasferadel capitalismo americano senza correre troppi rischi. Sotto l’egida di una Banca Mondiale controllata dagli Stati Uniti, i finanziamenti per lo sviluppo potevano essere indirizzati esattamente verso quelle aree del mondo in cui le corporation americanevedevanomaggiori opportunità. Gli effetti non furono tutti positivi. Con sorprendente precisione, la CIA scopriva complotti comunisti proprio laddove le maggiori corporation americane volevano assicurarsi il controllo sulle risorse naturali di quei paesi. Quando, nel 1953, sull’onda diunmovimentonazionalista anticoloniale iraniano, Mohammed Mossadeq sfidò il potere dello scià e assunse il controllo della Compagnia Anglo-Iraniana del Petrolio, la CIA fornì segretamente vari milioni di dollari a ufficialidell’esercitoiraniano perché riportassero al potere lo scià. Una volta raggiunto lo scopo, alle multinazionali americane fu garantito l’accesso al petrolio del paese. L’anno seguente, Jacobo Arbenz Guzmán, il presidente democraticamente elettodelGuatemala,diedeil viaaunariformaagrariache, tra gli altri provvedimenti, prevedeva la confisca delle piantagioni della United Fruit.LaCIA,allora,finanziò dei rivoluzionari di estrema destraperché,assiemeapiloti della CIA e a caccia forniti dal dittatore nicaraguense Anastasio Somoza, risparmiassero alla United Fruit un destino altrimenti funesto.Semprenel1954,gli Stati Uniti cominciarono a interessarsi discretamente dell’Indocina, un’altra regione ricca di risorse naturali. In America Latina, in Vietnam e nel Medio Oriente la politica estera americana sparse i semi di molti dei gravi problemi di oggi. In patria, il senatore del Wisconsin Joe McCarthy diede inizio a una caccia controipresunticomunistiin seno all’apparato politico americano, ai media e all’industria dello spettacolo. Molte carriere furono rovinate, e le libertà civili messearischio. 8 Un altro aspetto di quegli anni merita di essere menzionato, in quanto serve da vivido contrasto con quello che abbiamo di fronte oggi. Sul trono delle più grandi corporation americane sedevano persone che non si stancavano mai di ripetere (secondo l’ideale propugnato da Adolf Berle e Gardiner Means decenni addietro in Societàperazionieproprietà privata) che il loro compito eraditrovareunequilibriotra gliinteressiditutticoloroche subivano l’influenza delle corporation, inclusa la gente comune. «Il ruolo di un dirigenteaziendale»,dissenel 1951 Frank Abrams, presidente della Standard Oil ofNewJersey,rispecchiando quello che andavano affermando anche gli altri dirigenti, «è quello di mantenere un equilibrio giusto e funzionale tra i bisogni dei vari gruppi interessati: gli azionisti, i dipendenti,iclientielagente comune. La reputazione dei dirigenti aziendali è in crescitainparteperchéquesti cominciano a riconoscere le responsabilità nei confronti della gente che il loro lavoro comporta, così come altri professionisti lo hanno riconosciuto da tempo in merito al loro». «Fortune» esortava continuamente i dirigenti ad assumere nella loro professione una prospettiva di respiro nazionale: «Per vedere le cose da professionista, il dirigentedeveessereingrado diassumereunatteggiamento distaccato e riservato sulle opportunità e le tattiche del momento. Deve diventare unostatistaindustriale»57. Una veste in cui questi uomini si trovavano perfettamente a loro agio, avendo molti di loro svolto incarichi governativi di alto livello durante la seconda guerra mondiale e poi fatto parte di numerose commissioni, consigli e comitati pubblici (quando “Engine Charlie” Wilson portòconséalPentagonoun plotone di dirigenti della General Motors, il democratico Adlai Stevenson disse scherzando che i rivenditori di automobili avevano preso il posto dei politici del New Deal58). Questi “statisti aziendali” autoeletti facevano spesso relazioni al Congresso; offrivano generosamente il loro tempo e le loro opinioni su ciò che era meglio per il paese. Sotto la guida di Paul Hoffman,altempopresidente dellaStudebakerCorporation, di Bill Benton dell’agenzia pubblicitaria Benton & Bowles e di Marion Folsom della Eastman Kodak, formarono il Committe for Economic Development. Questa non era un’organizzazione commerciale nell’accezione moderna del termine, dedita solo agli interessi dell’industria. Il comitato spinse per l’approvazione del Full Employment Act del 1946, che poneva la piena occupazione tra gli obiettivi centrali della politica economica del paese. Inoltre, siimpegnòafavoredelPiano Marshall per la ricostruzione dell’Europa e aiutò a farlo accettarealrestodelpaese(lo stessoHoffmannedivenneil primoamministratore). Questi dirigenti potevano permettersi di fare glistatistiaziendali–agendo così, dal loro punto di vista, per il miglioramento del paese e non solo a beneficio dei loro clienti e azionisti – perché il sistema oligopolistico glielo consentiva. Così come potevano offrire ai loro lavoratori salari generosi senza temere di favorire la concorrenza,allostessomodo potevano andare a Washington a sostenere la causa del Piano Marshall senza temere che un rivale potesse rubargli la fetta di mercato mentre loro si occupavanodialtro. 9 In poche parole: durante l’etànonpropriodell’oro,gli elementi centrali, sia politici che economici, del capitalismo democratico americano si combinarono per comporre un sistema singolarmente coerente. Le più grandi corporation del paese pianificavano ed eseguivano la produzione di un gran volume di beni, creandonotevolieconomiedi scala e di conseguenza abbassando il costo di produzione di ogni singolo bene. Coordinandosi direttamente o indirettamente con le poche grandi aziende di ogni settore, potevano fissare dei prezzi abbastanza alti da garantirsi considerevoli guadagni. Una porzione di quei profitti veniva poi reinvestita in nuove fabbriche o nuovi macchinari. Un’altra veniva suddivisa tra i dirigenti e gli amministratoriinbasealloro grado all’interno dell’organizzazione. E un’altra ancora finiva ai lavoratori, organizzati in sindacati per settore. Gli stipendi e i benefici di questi ultimi venivano assicurati da contratti che riguardavano tuttiilavoratoridiunsettore; i benefici includevano assicurazioni sanitarie e pensionidetassate.Incambio, i sindacati si impegnavano a evitare il più possibile gli scioperi e le interruzioni del lavoro, che avrebbero interferito con lo stabile flusso di produzione necessario in un’economia di massa.Entrambeleparti,poi, cercavano di astenersi dal fissare prezzi o stipendi troppoalti,talidaindurreuna crescita inflazionistica. I contratti collettivi, di fatto, introdussero nei salari e nei benefici degli standard di cui godettero anche i lavoratori noniscrittialsindacato. Le agenzie regolatrici, nel frattempo, stabilivano i prezzi e gli standard dei servizi di base al fine di uniformare il più possibile l’offerta per mezzo dei monopoli: nei servizi pubblici,nellelineeaereeche operavano su certe tratte specifiche, nel trasporto su strada, nelle ferrovie e nelle compagnie telefoniche. I legislatori prestavano particolare attenzione agli interessi delle loro comunità, compresi quelli delle piccole aziende, dei rivenditori e degli agricoltori locali. Il governo federale imponeva un’alta aliquota marginale sulle entrate della fascia più ricca della popolazione e delleaziende.Inoltre,usòuna buonapartedellaspesaperla difesa nazionale contro il comunismo sovietico – secondo un’accezione molto vaga del termine, che includeva investimenti nelle autostrade, nel sistema scolastico, nello sviluppo di nuove tecnologie, nell’industria aerospaziale e in politica estera – per espandere i mercati all’estero e garantire il controllo delle risorse naturali da parte delle grandi multinazionali americane. In quell’epoca il capitalismo democratico si basava su una complessa e continua gamma di negoziazioni,siadirettamente tra gli attori principali, come ilgrandecapitaleeisindacati di massa, che indirettamente, all’interno delle agenzie regolatrici o in sede legislativa. Vi furono diverse conseguenze importanti: primo, le grandi economie di scala,chegeneravanoun’alta produttività e quindi notevoli profitti; secondo, decine di milioni di posti fissi; terzo, un’ampia ridistribuzione dei profitti (sia verticalmente verso gli operai che orizzontalmente verso le piccole comunità, gli agricoltori e le altre componenti sociali); quarto, milioni di consumatori che usarono il diffuso benessere per acquistare beni e servizi prodotti in quantità sempre maggiore,creandolastabilità necessaria per la produzione su larga scala. Il risultato fu l’ascesa di un ampio ceto medio in tutto il paese che rafforzò anche il sistema politico. Era la chiusura del cerchio. Questo sistema aveva poco a che vedere col capitalismo democratico dei libriditesto,cheimponeuna rigorosa separazione tra “governo” ed “economia” e ritiene che il capitalismo evolva quasi automaticamente dagli ingranaggi di un idealizzato “libero mercato”, mentre la democraziasimanifestanelle elezioni, in cui i cittadini scelgono chi debba sovrintendere al settore pubblico. Nei fatti, il ruolo spessosottaciutodelGoverno fu quello di dare ordine ai processi spesso confusi con cui queste negoziazioni politiche ed economiche avevano luogo. Erano rare le volte in cui il ruolo del Governo emergeva con chiarezza, come quando, nel 1962, John F. Kennedy rimproverò pubblicamente Roger Blough, al tempo presidentedellaUnitedStates Steel, di aver alzato i prezzi dell’acciaio, violando così l’accordo sui prezzi e sui salari raggiunto con il sindacato dei siderurgici e con le altre aziende del settore. Senza dubbio, alcuni benefici venivano sacrificati. I prezzi e la qualità dei prodotti non erano i migliori chefossepossibileottenere.I consumatori sopportavano pazientemente il fatto che le automobili diventavano obsoletedopounpaiodianni e i tecnici del telefono che arrivavano con due giorni di ritardo. Anche gli investitori erano altrettanto docili. L’economista John Kenneth Galbraith descrisse il tipico azionistadell’epocacomeuna «figurapassivaeinutile»59.Il volume di azioni scambiate giornalmente, nei primi anni Sessanta,eradisoli3milioni; non superò i 10 milioni fino al1970,esoloalloradecollò, insiemeaiprezzi60.Intuttoil paese, molti patrimoni non erano sfruttati al massimo delle loro potenzialità. Era spesso assente il potente incentivo dato dall’accumulazione di grandi quantità di denaro. L’innovazione ristagnava. Come abbiamo visto, furono poche le grandi aziende fondateinquestoperiodo. Incompenso,lamaggior partedellepersonegodevadi una sicurezza e di una stabilità, e di una fetta del reddito nazionale, maggiore che in qualsiasi altra epoca, passata o futura. I salari reali deilavoratoricontinuaronoad aumentare fino agli anni Settanta. La stabilità sociale fuprotettaesalvaguardata.Si era riusciti a realizzare qualcosa che si avvicinava al bene comune. La tendenza verso una maggiore uguaglianza sociale avrebbe presto animato il movimento peridiritticivili,checulminò nelle leggi sul diritto di voto (Voting Rights Act) e sui diritti civili (Civil Rights Act). Il crescente ceto medio avrebbe dato voce a preoccupazioni diffuse, come quella sull’assicurazione sanitariaperipensionati(che sfocerà nel Medicare) e sul bisognodiariaeacquapulite (l’Environmental Protection Act). Non era raro che noti dirigenti,nelruolodi“statisti aziendali”, spingessero per politiche che fossero nell’interesse della nazione, anchesenonnecessariamente delle loro aziende. Vi era grande fiducia nella democrazia e nel sistema americano. In un sondaggio del 1964, tre quarti degli americani dichiararono di avere fiducia che il Governo, nella maggior parte dei casi, avrebbe fatto la scelta giusta61, una percentuale che, rispetto a oggi, appare sorprendentementealta. L’Europa e il Giappone seguirono strade alquanto diverse per raggiungere gli stessi scopi: una stabile produzione di massa e una ripartizione sempre più equa dei benefici che questa portava. I governi europei assunserounruolopiùdiretto nella pianificazione industriale rispetto agli Stati Uniti;inGermania,lapolitica della “co-determinazione” prevedeva eguale rappresentanza per i dipendenti e per gli azionisti nei consigli d’amministrazione delle aziende del ferro e dell’acciaio, e una minore rappresentanza in altre sedi. In Giappone, enormi concentrazioni industriali lavoravano in stretta collaborazione con il Governo per progettare le politiche industriali. Grazie alle sue straordinarie dimensioni e alla sua egemonia politica, il sistema americanoindicòlastrada. C’era ancora molto lavoro da fare, ma sembrava che gli Stati Uniti stessero superando le ideologie e le divisioni di classe per affrontare finalmente i problemi più pressanti che li affliggevano. Durante il suo discorsoperlaconsegnadelle lauree all’università di Yale, nel 1962, John F. Kennedy espresse quello che era un sentimentocomuneall’epoca. «Ciò che è in gioco», disse, «non è un’epica guerra tra ideologie rivali [...] ma la gestione pratica di un’economia moderna. Non abbiamo bisogno di etichette ediclichémadipiùsemplici discussioni in merito alle questione tecniche e sofisticate che riguardano l’avanzata di una grande macchinaeconomica[...].Ciò di cui abbiamo bisogno non sono risposte politiche, ma tecniche»62. Poi accadde qualcosa checambiòtutto:l’Americae il mondo intrapresero la strada verso il supercapitalismo. 7 I sondaggi più utili sui sentimenti degli americani nei confronti del governo sono quelli dell’American National Election Studies, condotti dalla University of Michigan. Sono consultabili all’indirizzo <http://www.electionstudies.org>. 8 Dati presi da Simon Kuznets, Economic Growth and Structure, New York,W.W.Norton,1965,pp.305-27. 9 Dati presi dal U.S. Bureau of the Census, Historical Statistics of the United States: Colonial Times to 1970, Washington D.C., vol. 1, U.S. Government Printing Office, 1975, pp. 201-202,224. 10 Alla fine del xix secolo, videro la luce in Gran Bretagna numerosi libri che descrivevano in termini particolarmente violenti l’assalto economicotedescoeamericanoelesue drammatiche conseguenze per il paese. Tra questi, E.E. Williams, Made in Germany,Londra,WilliamHeinemann, 1896 e Frederick McKenzie, American Invaders, Londra, G. Richards, 1902. Sia nella forma che nella sostanza, questi libri avevano molto in comune con le descrizioni dell’”invasione” giapponese che apparvero negli Stati Unitiunsecolopiùtardi. 11 Dati presi da Jeremiah Jenks - Jett Lauck,TheImmigrationProblem,New York,Funk&Wagnalls,1926,p.148. 12 Citato in W.A. Williams, The Tragedy of American Diplomacy, Cleveland,World,1959,p.44. 13 J.A. Hobson, Imperialism, Londra, J.Nisbet,1902[L’imperialismo,trad.di Luca Meldolesi e Nicoletta Stame, Milano,Isedi,1974,p.112]. 14 Estratto da Harris Corporation, “Founding Dates of the 1994 Fortune U.S.Companies”,in«BusinessHistory Review», n. 70, primavera 1996, pp. 69-90. 15Ibid. 16 Citato in Richard S. Tedlow, Keeping the Corporate Image: Public Relations and Business, 1900-1950, Greenwich, Connecticut, JAI Press, 1979,p.5. 17 The Papers of Woodrow Wilson, a cura di Arthur S. Link, Princeton, PrincetonUniversityPress,1977. 18 Discorso di accettazione, Philadelphia,27giugno1936.Speeches of Franklin D. Roosevelt, New York, Dutton,1949. 19 Gustav Stolper, The German Economy, New York, Reynal & Hitchcock,1940,p.83. 20 Vedi, per esempio, Barrington Moore Jr, The Social Origins of Dictatorship and Democracy, Boston, Beacon, 1966 [Le origini sociali della dittatura e della democrazia, trad. di Domenico Settembrini, Torino, Einaudi,1969]. 21 Richard Hofstadter, “What HappenedtotheAntitrustMovement?”, in The Paranoia Style in American Politics and Other Essays, Chicago, UniversityofChicagoPress,1952. 22 Herbert Croly, The Promise of American Life, New York, World, 1909. 23 Citato in Robert M. Collins, The Business Response to Keynes, 19291964, New York, Columbia University Press,1984,pp.29-30. 24 Citato in Ellis Hawley, The New Deal and the Problem of Monopoly, Princeton, Princeton University Press, 1966,p.19. 25Ivi,p.27. 26 Walter Lippmann, Drift and Mastery, Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall, 1. ediz. 1914; ripubblicatonel1961,pp.22,23. 27AdolfA.Berle-GardinerC.Means, The Modern Corporation and Private Property, New York, Macmillan, 1932 [Societàperazionieproprietàprivata, trad. di Giovanni Maria Ughi, Torino, Einaudi,1966,p.334]. 28Ivi,p.336. 29 David Lilienthal, Big Business: A NewEra, New York, World, 1953, pp. 47,190. 30«Fortune»,ottobre1955,p.81. 31«Fortune»,settembre1953,p.94. 32 U.S. Senate, Armed Services Committe, Confirmation Hearings on Charles E. Wilson as Secretary of Defense,18febbraio,1953. 33 PhilipArmstrong et al., Capitalism Since 1945, Oxford, Blackwell, 1991, tab.10.1. 34 Morris Albert Adelman, “The Measurement of Industrial Concentration”, in «Review of Economics and Statistics», n. 33, novembre1951,pp.275-277. 35 John Kenneth Galbraith, The New Industrial State, Londra, Hamish Hamilton, 1968 [Il nuovo stato industriale, trad. di Pierluigi Ciocca GiacomoCosta,Torino,Einaudi,1968, pp.22-24]. 36 Angus Maddison, Monitoring the World Economy, 1820-1992, Parigi, Organizzazioneperlacooperazioneelo sviluppoeconomico,1995,tav.D. 37 Heller Committe for Research in Social Economics, Quantity and Cost Budgets for Three Incomes Levels, Prices for San Francisco, Berkeley, UniversityofCaliforniaPress,1946. 38 Citato in Joseph C. Goulden, The Best Years, 1945-1950, New York, Atheneum,1976,p.116. 39 Citato in Daniel Bell, “The Language of Labor”, in «Fortune», settembre1951,p.86. 40 JacobHacker, The Divided Welfare State,NewYork,CambridgeUniversity Press,2002. 41 Programmadiassicurazionemedica amministrato dal governo degli Stati Uniti, riguardante le persone dai sessantacinque anni in su o che vi rientranosecondoaltricriteri. 42«Fortune»,ottobre1951,p.114. 43 Da U.S. Bureau of the Census, Historical Statistics of the United States: Colonial Times to 1957, Washington D.C., U.S. Government PrintingOffice,1960. 44 Joseph Kahl, The American Class Structure, New York, Holt, Rinehart, 1956, pp. 109-110. Vedi anche Robert Dahl,WhoGoverns?,NewHaven,Yale UniversityPress,1961. 45 Il sondaggio del 1952 fu incluso in un libro pubblicato da «Fortune» dal titolo TheExecutiveLife, Garden City, N.Y.,Doubleday,1956,p.30. 46 William H. Whyte Jr, The Organization Man, New York, Simon & Schuster, 1956 [L’uomo dell’organizzazione, trad. di Luciano Gallino,Torino,Einaudi,pp.163-165]. 47 Alcune delle espressioni più influenti della prospettiva pluralista sonoDavidTruman,TheGovernmental Process, New York, Alfred A. Knopf, 1951; Robert A. Dahl, A Preface to Democratic Theory, Chicago, University of Chicago Press, 1956 [Prefazione alla teoria democratica, trad. di Gianni Rigamonti, Milano, Edizioni di Comunità, 1994]; Nelson W. Polsby, Community Power and Political Theory, New Haven, Yale University Press, 1963; Arnold M. Rose,ThePowerStructure,NewYork, Oxford University Press, 1967; Edwin Epstein, The Corporation in American Politics,EnglewoodCliffs,NJ,Prentice Hall,1969. 48Truman,op.cit.,p.535. 49 Robert A. Dahl, Prefazione alla teoriademocratica,Milano,Edizionidi Comunità,1994. 50Organizzazionediveteranidiguerra natadopolaprimaguerramondiale. 51 Potentelobbydegliagricoltoriedei ranchersstatunitensi. 52 Vedi, per un’idea generale, Theda Skocpol, Diminished Democracy, Norman,UniversityofOklahomaPress, 2003. 53 John Kenneth Galbraith, American Capitalism: The Concept of Countervailing Power, Boston, HoughtonMifflin,1952[Ilcapitalismo americano: il concetto di potere di equilibrio, trad. di Luciano Franci, Milano,EdizionidiComunità,1965]. 54Ivi,p.155. 55Ivi,p.159. 56 Harry Truman, discorso inaugurale, 1949,inSpeechesofPresidentHarryS. Truman, Washington D.C., U.S. GovernmentPrintingOffice,1952. 57 Citato in «Fortune», ottobre 1951, pp.98-99. 58 Gioco di parole sull’assonanza tra cardealers(‘rivenditoridiautomobili’) eNewDealers(politicidelNewDeal). 59Galbraith,Ilnuovostatoindustriale, p.346 60 New York Stock Exchange, Fact Book, 1991, New York, New York StockExchange,1991. 61 Vedi The American National Election Studies, University of Michigan. 62 John F. Kennedy, discorso per la consegna delle lauree alla Yale University, 11 giugno 1962, in SpeechesofPresidentJohnF.Kennedy, Washington D.C., U.S. Government PrintingOffice,1964. 2.Lastradaversoil supercapitalismo Apartiredallafinedegli anni Settanta, è avvenuto un cambiamento fondamentale nel capitalismo democratico americano e gli echi di quel cambiamento si sono fatti sentire in tutto il mondo. Il capitalismo ha trionfato, e non solo come ideologia. La struttura dell’economia americana – e di gran parte del mondo – si è spostata versomercatipiùcompetitivi. Ilpotereèpassatonellemani dei consumatori e degli investitori. Nelfrattempo,gliaspetti democratici del capitalismo sono diminuiti. Le istituzioni che intraprendevano negoziazioni formali e informali per ripartire la ricchezza, stabilizzare il mercato del lavoro e le comunità locali e dotare il gioco di regole giuste – i grandioligopoli,isindacatidi massa,leagenzieregolatricie ipoliticisensibilialleaziende e alle comunità locali – si sonoeclissate.Lecorporation oranonhannoaltrasceltache perseguire il profitto. Sono scomparsi anche gli statisti aziendali. In questo senso, il trionfo del capitalismo e il declino della democrazia sonointimamentecollegati.Il capitalismo democratico è stato rimpiazzato dal supercapitalismo. Come è potuto succedere? 1 Poche domande hanno incontrato risposte più rabbiosamente sbagliate di questa.Alcuniinsistonocheil catalizzatore del cambiamento fu l’inflazione fuoricontrollodellafinedegli anni Settanta, alimentata dall’embargo petrolifero arabo, che culminò con la decisione di Paul Volcker, presidente della Federal Reserve,edeisuoicolleghidi stroncare l’inflazione portando i tassi d’interesse a breve termine a un livello così alto che l’economia fu messainginocchio.Altri,che hanno fatto della supply-side economics (economia dell’offerta) una religione, sono altrettanto convinti che tuttoècambiatoperilmeglio quando il presidente Ronald Reagan iniziò a tagliare le tasse nell’estate del 1981, liberando lo spirito selvaggio del capitalismo. Altri ancora sono sicuri che l’impulso fu l’ondata di liberalizzazioni iniziata nei primi anni Settanta.C’èpoichidiceche la colpa è della globalizzazione. Chi individua la radice del problema in un accesso di cupidigiacheavrebbecolpito l’éliteindustrialeefinanziaria americananeglianniOttanta. Chi punta il dito contro quei teorici dell’economia che hannorisvegliatolospiritodi Adam Smith. Chi dice che è tutta colpa della corruzione del sistema politico, di cui il Watergate ne è il simbolo. E chi pensa che alla base di tutto ci sia un declino della societàcivile. Perlopiù sono stupidaggini. Le cose sono cominciate a cambiare molto prima di quanto non riconoscanoquesteteorie(gli alti tassi di produzione degli anni Cinquanta e Sessanta, per esempio, subirono una battutad’arrestogiàneiprimi anni Settanta: un drammatico campanello d’allarme) e hanno subito un’escalation fino ai giorni nostri – passandoperglialtieibassi delcicloproduttivo,pervarie amministrazioni democratiche e repubblicane, per periodi buoni e meno buoni – indifferentemente dallastupidità,dallacupidigia e dalla moralità dei leader politici e industriali che si sono succeduti nel paese. Senza dubbio la deregulation e la globalizzazione hanno giocato un ruolo, ma questo ci induce a chiederci con ancora maggiore enfasi perché queste abbiano preso piedeproprioneglianni‘70e nonprima.Inoltre,nessunadi queste teorie analizza il sistema nella sua totalità e spiega in maniera esauriente la trasformazione del capitalismo democratico. Infine, molte di queste spiegazioni sono così americanocentriche che trascurano il fatto che una transizione simile è avvenuta anche in Europa e in Giappone, e che riguarda ormaigranpartediqueipaesi che si professano delle democraziecapitalistiche. La spiegazione reale di questo fenomeno ha a che vedere con la maniera in cui le nuove tecnologie hanno permesso ai consumatori e agli investitori di fare affari sempre migliori, ma allo stessotempohannoeliminato la relativa uguaglianza e stabilità del sistema, e altri importanti valori sociali. Mi spiegomeglio. A partire dalla metà degli anni Settanta, i grandi oligopoli che tenevano ancoratoilsistemaamericano cominciarono a vacillare. I salari, i profitti e l’occupazione divennero molto più volatili. Nei decenni precedenti, un’azienda che occupava un posto tra le prime cinque di quel settore poteva essere quasi certa di rimanerci. Avevaunasolapossibilitàsu dieci di perdere la sua posizionedalìacinqueanni. Nel 1998, le possibilità di perderequelpostonelgirodi cinque anni erano aumentate a una su quattro63. Le grandi aziende rimasero tali; molte addirittura crebbero. Ma la loro competitività divenne assaipiùprecaria.Trail1970 e il 1990, il ritmo con cui le aziende scomparivano dalla lista di «Fortune 500» quadruplicò64. Iniziò ad accadere una cosa strana. Le aziende più grandi divennero sempre più vulnerabili. Nel 1993, per esempio, la capitalizzazionediborsadella Microsoft superò quella della IBM, nonostante che i 3 milioni di dollari di fatturato della Microsoft rappresentassero solo una minima frazione di quello dellaBigBlue. Questo processo generò una maggiore scelta per i consumatoriegliinvestitori.I Tre Grandi del mercato delle automobili che nel corso degli anni Cinquanta e Sessantaavevanocoordinatoi prezzi,isalarielaproduzione del settore dovettero fare spazio ad altre sei aziende americane,dicuitreavevano la sede in Giappone e le grandicatenediassemblaggio negli Stati Uniti, tutte in feroceconcorrenzatradiloro. Itregrandinetworktelevisivi che negli anni Cinquanta e Sessantaavevanotrasformato l’etere in un «vasto deserto» (secondo le memorabili parole del membro della Federal Communications Commission, Newton Minow) di commedie e sceneggiati soporiferi furono affiancati da centinaia di canali specializzati in ogni genere di programma, dal meteo ai documentari naturalistici, e in cui non mancavano di certo le commedie e gli sceneggiati, tutti in lotta tra loro per attirare gli spettatori. La manciata di compagnie aeree che per anni avevano servito da sole le rotte principali a prezzistabilitidovetterofarei conti con dozzine di nuove compagniecheoffrivanorotte e prezzi in continuo cambiamento, in una lotta furibonda. Un’industria dello spettacolo dominata da pochi grandi studios hollywoodiani si trasformò in un campo di battaglia in cui produzioni indipendenti, canali satellitari e aziende fornitrici di contenuti in rete si facevano la guerra. La Ma Bell, evoluzione della monopolista AT&T, insieme alla sua progenie, la Baby Bell, si trovò a competere con cellulari, Internet via cavo e servizi di voice-over-internet (VOIP)65 che minacciavano di offrire chiamate gratis. Big Pharma, il cartello delle grandi case farmaceutiche, che un tempo si spartiva il mercato, dovette fare i conti con aziende biotech che offrivano medicinali d’avanguardia. Le catene dovettero vedersela con gli ipermercati.Egliipermercati conirivenditorionline66. Le barriere d’ingresso crollarono con sorprendente rapidità. A partire dagli anni Novanta, la rivoluzione digitale cominciò a eliminare persino i confini tra le varie industrie. Decine di grandi aziende dai settori più disparati cominciarono a offrire i loro prodotti online: informazione, e-mail, instant messagging,mappe,motoridi ricerca, film, TV, musica. Quasi tutto, in poche parole. Quellicheperannieranostati settori ben definiti si trasformarono in “spazi” amorfi in cui praticamente qualsiasi rivenditore poteva avventurarsi. Quale categoria industriale poteva descrivere lafusionedicomunicazionee contenuti offerta da Google, MySpace, MSNBC, AOL, YouTube,Yahoo,Microsofte Disney? AOL era abbastanza sicura del suo bacino di utenze finché non è arrivato Google. La Disney era convinta di non avere rivali nel campo dell’animazione finché la Pixar non ha cominciatoafaruscirelesue meraviglie digitali. I giornali erano convinti di poter contare sui profitti degli annunci finché Craigslist67 nonharubatolorolapiazza.I confini si fecero più sfumati anche in altri settori: tra la finanza e la vendita al dettaglio (Wal-Mart tentò di fondareunabanca;gliistituti di credito si diedero alla vendita online), tra l’hightech e la consulenza (la IBM cominciò a offrire soluzioni per il management), tra la consulenza finanziaria e l’industria dell’intrattenimento (vedi la nuova schiera di libri che trattano il tema, e di programmi e celebrità televisivi). E con il progressivo spostamento dei canali di distribuzione dalla strada e da Wal-Mart verso spazi virtuali di portata virtualmente illimitata (Netflix, iTunes e Amazon, per esempio), dove il costo dell’offerta di un prodotto di nicchia si avvicinava allo zero,lagammadisceltesubì un’ulterioreespansione68. Le dimensioni di un’azienda non rappresentavano più una barrierad’ingresso.Nel2006, l’azienda media di «Fortune 500» era tre volte più grande che negli anni Ottanta, in termini reali. Ma contava poco. Qualsiasi azienda che alzasseiprezzioriducessela qualità dei suoi prodotti rischiava l’assalto di un’azienda rivale che vendeva lo stesso prodotto a un prezzo o a una qualità migliore. Gli esperti finanziari ritenevano che eBay fosse inespugnabile in quanto aveva creato da zero unpropriomercatodelleaste. MaquandoeBaycominciòad aumentare le commissioni sulle transazioni, l’azienda scoprì quanto fosse vulnerabile. Gli utenti che vendevanosueBaymiserosu i propri negozi online, utilizzando delle parole chiave comprate da Google per generare traffico sui loro siti. «Penso che il ritmo del declino nella popolarità del modello di asta di eBay stia accelerando», avvertì Safa Rashtchy, un analista della Piper Jaffray & Company69. Come molti analisti, Rashtchy vedeva solo i numeri, non l’architettura sottostante.Nonvieraniente di sbagliato nel modello di asta di eBay, e non stava perdendopopolarità.L’errore di eBay fu quello di presumerecheipropriclienti nonavesseroaltriluoghidove andare e che dunque sarebbero stati costretti ad accettaregliaumentidellesue tariffe. Il problema, se c’era, era l’arroganza dell’azienda nel pensare di avere il potere di imporre i prezzi che voleva, un potere che le grandiaziendeoligopolistiche di quarant’anni prima avevano esercitato regolarmente, ma che oggi nonesistepiù. Quel vecchio potere, ricordatebene,erafondatosu grandi economie di scala. Quelle aziende potevano spalmare i costi fissi di fabbriche e macchinari costosi su migliaia, se non milioni, di elementi quasi identici, i cui pezzi erano prodotti in massa da macchine e poi assemblati a manonellefabbriche.Questo riducevadrasticamenteicosti di ogni singola unità. Significava dire che le due o tre aziende dominanti potevano tranquillamente coordinare i prezzi, la produzione, lo stile, anche la qualità dei prodotti, senza temere la concorrenza di qualchenuovoarrivato. Oggi i prezzi bassi possono essere attuati da un ampio numero di concorrenti che non producono su larga scala.Usanodeisoftwareper il controllo della contabilità, degli acquisti e dell’inventario; utilizzano la rete per comunicare con i clienti; e si affidano ad aste online per subappaltare la produzione a coloro che offrono il servizio più economico e affidabile. La produzione ha costi abbastanza bassi; film e registrazioni musicali di qualità,peresempio,possono essere realizzati con attrezzature e programmi che costano qualche migliaio di dollaripiuttostochecentinaia di migliaia di dollari, come nei decenni passati. Se è necessaria un’economia di scala e le attrezzature sono troppo costose o ingombranti da noleggiare, l’imprenditore in erba può appaltare la produzioneafornitoriingiro per il mondo che già realizzano prodotti simili (a volteanchepervarieaziende concorrenti). Se gli imprenditori devono loro stessi realizzare qualcosa, possono noleggiare lo spazio e le attrezzature di cui hanno bisognoecollegarleaunodei numerosisoftwareinvendita. Prestare servizi è ancora più facile, come dimostra il caso di eBay. Inoltre, molte aziende hanno accesso ai mercati di capitali a condizioni pressoché identiche, specialmente se hanno un buon rischio di credito o si sono dimostrate degne di private equity. In questo modo, tutti i vecchi alti costi fissi che un tempo dovevano essere spalmati su molte unità ora possono essereconvertiti,senzatroppi rischi, in costi variabili che salgono o scendono in proporzione al volume della produzione.Piùfacilmenteun prodotto o un servizio può essere ridotto a un numero, minore sarà il costo per produrneunaltro. Di conseguenza, la produzione di massa non rappresenta più una barriera all’ingresso. Questa ha cominciatoasgretolarsinegli anni Settanta, in una varietà di modi, che andremo a esaminare. La prova ne è la costante riduzione di potere sui prezzi delle grandi aziende che occupano una posizione centrale dell’economia. La logica degli oligopoli e della pianificazione industriale cominciò ad avere sempre meno senso. Questa frattura contribuì al calo di produzione che iniziò negli anniSettanta70. Le dimensioni per un’azienda contano ancora. Non però per favorire la produzionedimassaotenere a bada la concorrenza in mododapoteralzareiprezzi. Ma perché permettono di aggregare il potere di un ampionumerodiconsumatori e ottenere un maggior potere contrattuale nei confronti dei fornitori. L’esempio più noto è senza dubbio Wal-Mart, fondata nel 1962, insieme a KmarteTarget.Wal-Martha superatoisuoirivali–eogni altraaziendainAmerica,seè per questo – perché Sam Walton si è concentrato inflessibilmente su un unico principio di base: ottenere i prezzipiùbassi.Piùl’azienda cresceva, più potere contrattualeavrebbeavutosui fornitori dei prodotti che vendeva nei suoi negozi. Riducendoalminimoanchei costi interni, Wal-Mart riuscì a offrire ai propri clienti un’ampiavarietàdiprodottia prezzistracciati.Questoattirò nuoviconsumatori,chealoro volta permisero a Wal-Mart di crescere ancora e ottenere maggiori sconti dai fornitori71. Soprattutto, le sue dimensioni non hanno dato a Wal-Martilpoteredialzarei prezzi. Se ci provasse, cadrebbenellastessatrappola di eBay. I clienti andrebbero a fare acquisti da qualche altra parte: da Target o da qualsiasi altro ipermercato che offrisse prezzi più convenienti. Al contrario, le dimensioni di Wal-Mart le hanno permesso di chiedere maggiori sconti ai suoi fornitori, che poi passa ai consumatori. Nei fatti, WalMart aggrega il potere d’acquisto dei singoli consumatori, come se questi avessero formato un sindacato per contrattare collettivamente prezzi migliori. Come vedremo, i grandi fondi pensione e i fondi comuni stanno facendo qualcosadisimileperipropri investitori:aggregareilpotere d’acquistodegliindividuiper ottenere benefici a favore dell’interogruppo. A ogni livello dell’economia americana, il potere delle grandi corporationdifissareiprezzi è notevolmente diminuito. Unadelleconseguenzeèstata un’inflazione molto più moderata.AlanGreenspan,in qualità di presidente della Federal Reserve negli anni Novanta, comprese perfettamente questo punto. Capì che l’economia poteva correre più veloce di prima e con un maggior tasso d’occupazione senza favorire l’inflazionepoichéleaziende non avevano più il potere di alzareiprezzi.Lostessovale peroggi. La storia che segue non ha né eroi né cattivi, e la trama si sviluppa con una certa linearità. Inizia negli anni Settanta con l’avvento dellenuovetecnologie,molte delle quali sviluppate dal Pentagono, come ho già detto.Poipassaallacatenadi fornitura, che si espande in tutte le direzioni, anche al di fuorideiconfininazionali,ea sistemi di produzione che fannosemprepiùaffidamento sui software per abbassare i costi per unità. Entrambe le cose riducono la necessità di un’economia di scala. Gli imprenditori, a loro volta, spingono per la deregulation dei mercati perché le loro aziende possano funzionare più efficientemente, più velocemente e a un costo minore di quanto non facessero le aziende protette dalle barriere regolamentari. La tecnologia, la globalizzazione e la deregulation:questitrefattori intensificano la concorrenza tra le aziende per attrarre o mantenereiconsumatoriogli investitori. La concorrenza, a suavolta,spingeleaziendea tagliare i costi. Dal momento che i salari rappresentano la fetta maggiore dei costi, i posti di lavoro e gli stipendi sono i primi a venire sacrificati. La storia si conclude con la scomparsa dei grandi oligopoli di un tempo, delle grandi unioni sindacali, degli statisti aziendaliedimoltecomunità tradizionali, e col disfacimento di quella logica dellacontrattazionecheaveva caratterizzato il capitalismo democratico americano. I consumatori e gli investitori acquistano potere; i cittadini loperdono. 2 Molte delle invenzioni che contribuirono al crollo dello stabile sistema oligopolistico degli anni Cinquanta e Sessanta si svilupparono in seno al dipartimento della Difesa (e alla sua istituzione contigua, laNASA:NationalAeronautics and Space Administration). Questo, durante la Guerra Fredda, fu il centro innovativo del capitalismo americano. In un periodo in cui i grandi oligopoli del settoreprivatoamericanonon avevano nessun interesse a sviluppare idee radicalmente nuove, la competizione con l’Unione Sovietica stimolò il Pentagono e la NASA a investire nelle nuove tecnologie con un’audacia senza precedenti. Molte di queste un giorno avrebbero trovato applicazione nel mondodelcommercio. NonfusololoSputnike la corsa allo spazio a inaugurare questa nuova stagione, ma anche la sfida più banale, ma non meno complicata, di progettare missili di precisione che potessero essere lanciati da un sottomarino e colpire obiettivi a decine di migliaia di chilometri di distanza, caccia bombardieri in grado di sfuggire ai radar, occhialetti che permettessero divederealbuio,carriarmati adattiaognitipoditerreno,e così via. Tutte queste macchine, nate dalla fantasia dei progettisti del Pentagono o dei futuristi della NASA, furono realizzate nei laboratori e nei centri di ricerca degli immensi appaltatori della Difesa. L’energia creativa di decine di migliaia di ingegneri fu dunque messa al servizio di obiettivi di gran lunga più ambiziosi e importanti del designdiunnuovotostapane. Unodiquestiobiettivifu quello di creare armi che avessero una memoria. Chi aveva mai sentito parlare di unacosadelgenere?Ilprimo passo fu quello di creare i tubi a vuoto, che poi si evolsero nei semiconduttori, che si trasformarono in microscopici circuiti integrati su fette di silicio, che poi diventarono le particelle elementari dei computer. Dal momento che il Pentagono e la NASA avevano bisogno di strumenti incredibilmente precisi e affidabili, erano disposti a pagare praticamente qualsiasi cifra. Finanziarono con ingenti somme le ricerche di base. Patrocinarono esperimenti falliti. Diedero decine di migliaiadidollariaingegneri di inestimabile valore. E poi, una volta che le attrezzature furonopronte,ilPentagonoe la NASA cominciarono a comprarne in grandi quantità nonostante il loro costo di produzione fosse ancora esorbitante. Nel 1962, un singolo circuito integrato costava all’incirca 50 dollari. Nel 1968, dopo anni di ricercheedisperimentazioni, il prezzo era sceso a 2,33 dollari,trasformandoicircuiti integrati da gadget esotici utilizzati in strumenti bellici all’avanguardia in oggetti potenzialmente utili per rendere più efficienti gli utensili per la casa e le automobili. Non a caso, in quell’intervallo di tempo, il mercato dei semiconduttori lievitò da 4 milioni di dollari a31milionididollari72.Man mano che i circuiti dei semiconduttori diventavano sempre più piccoli e potenti, l’idea di computer fu completamente rivoluzionata. L’elaboratoremedionel1968 occupava un edificio intero. Solamente i governi, le universitàelegrandiaziende di servizi pubblici potevano permetterseneuno.Vent’anni più tardi, i computer erano diventatipersonal. Internetnonènatonella testa di Al Gore (a dire la verità, non l’ha mai detto in questi termini) ma dalla necessità del Pentagono di potere comunicare in tempo reale una gran mole di dati. Manmanochelareteveniva lentamente tessuta, come farebbeunragno,l’Advanced Research Project Agency (Agenzia per i progetti di ricerca avanzata) del dipartimento della Difesa la soprannominò ARPANET. Nessuno poteva immaginare l’immensaretecheungiorno sarebbe diventata. O prevedere le sue rivoluzionarie potenzialità commerciali. Lo stesso valeva per i nuovi software sviluppati per i sistemi di controllo dei missili e dei radar,pericaviafibraottica eperillaser,incuivenivano investiti centinaia di milioni di dollari, e per le leghe e i compositi, leggeri ma straordinariamente resistenti, progettati per i caccia supersonici. Chi poteva immaginarechegranpartedi queste invenzioni un giorno avrebbe trovato posto nei macchinari industriali e nei prodotti di consumo? Il Pentagono e la NASA erano impegnati a combattere la Guerra Fredda, non a pianificare l’economia del futuro. I grandi oligopoli del settore privato erano altrettanto ignari delle potenzialità commerciali di queste invenzioni. Anche l’industria aeronautica, la cui ala commerciale sembrava cosìvicinaaquellamilitare– dopotuttogliaereisonoaerei, no? – mantenne queste due nettamente separate, gestite da burocrazie e personali completamente diversi, sia a livello manageriale che di ingegneristica. Era quasi come se i dirigenti di massimo livello delle grandi corporation americane avessero intuito che il Pentagono e la NASA, nella loro fervida ricerca di strumenti sempre più innovativi e potenti per mandare in rovina il comunismo sovietico, si fossero imbarcati in una missione che avrebbe scosso le fondamenta stesse della tecnologiaedellaproduzione e destabilizzato l’intero sistemaeconomico.Erasenza dubbio un’impresa lucrosa per i titani dell’industria; la Boeing e la McDonnell Douglas accolsero a braccia apertegliappaltimilitari. Nonostante la separazione delle sfere d’interesse, le scoperte degli ingegneri impegnati negli appalti militari cominciarono lentamente a filtrare nell’impresacommerciale.La conoscenza non si lascia dividere facilmente in compartimenti stagni. Gli ingegneri parlano tra loro. L’entusiasmo può essere contagioso. Il famoso DC-8 della McDonnell Douglas racchiudeva molti dei sistemi sviluppati per i velivoli militari A-3D e A-4D della Douglas.Ildesigndelcelebre Boeing 707 è quasi ricalcato sul modello dei bombardieri B-47 e B-52 della Boeing. Il jumbo 747 è basato sul progetto con cui la Boeing persel’appaltoperl’aereoda trasporto militare C-5. Alla fine degli anni Settanta, il dipartimento della Difesa stava finanziando il 70% della ricerca e dello sviluppo dell’industria aeronautica americana, un fatto che gli europei usarono – e continuano a tirare in ballo ancoraoggi–pergiustificare laspesapubblicaafavoredel loroAirbus. Consideriamo molte delle tecnologie avanzate che presero piede negli ultimi decenni del XX secolo e noteremo uno schema simile. Alla fine degli anni Settanta, il Governo statunitense provvedeva per metà alla ricerca e sviluppo dell’industria delle telecomunicazioni del paese, incampicomelafibraottica, il satellite e i centri di commutazione automatica. Preoccupati per il fatto che i grandi oligopoli commerciali utilizzassero tecnologie di produzione antiquate, l’aviazione statunitense e la NASA investirono inoltre 75 milioni di dollari per sviluppare una “fabbrica del futuro” completamente automatizzata, basata su tecnologie di produzione computerizzate73. Tutte queste invenzioni rivoluzionarie,questaricerca, questo talento ingegneristico finirono per frantumare lo stabilesistemaoligopolistico. L’effetto, però, non fu né immediato né diretto. Fu più quello di un sassolino che colpisce il parabrezza di una macchinaadaltavelocità:dal buco comincia a espandersi una crepa che alla fine avvolge l’intero vetro, che deve quindi essere rimpiazzato. Il braccio commerciale dei grandi oligopoli cominciò lentamente a trovare delle applicazioni per le nuove invenzioni. I laboratori di ricerca delle università approfondirono le nuove scoperte. I più intraprendenti – ingegneri, finanzieri, professorierranti,universitari allosbando–lesvilupparono ulteriormente.Nacquerodelle piccoleaziende.Emerserodei mercatidinicchia.Nelgirodi un paio d’anni, tutta l’economia cominciò a trasformarsi. Da lì a venti o trent’anni, sarebbe nata un’economia completamente nuova. Tre sviluppi, tutti conseguenza indiretta delle innovazionidurantelaGuerra Fredda, meritano una menzione particolare. Il primo è quello oggi noto come “globalizzazione”. Il secondo è l’avvento di nuovi processi produttivi. Il terzo è la deregulation. Tutti e tre accelerarono il tracollo delle economie di scala e del capitalismodemocraticodella metàdelsecoloscorso. 3 Stando alla versione semplicisticaemitizzatadella globalizzazione, negli anni Settanta le corporation americane cominciarono a perdere la loro competitività internazionale.GliStatiUniti iniziarono a essere invasi da prodotti fatti da persone contente di lavorare per una frazione dello stipendio americano medio, segnando la fine del periodo dei buoni salari operai. Questa storia omette varie cose. Prima di tutto non spiega perché l’occupazione cominciò a diminuireneglianniSettanta, in una spirale descrescente semprepiùrapida.Leaziende americane, inoltre, non persero affatto la loro “competitività”.Latempistica non fu casuale. Ricorderete glisforzifattidagliStatiUniti per ricostruire le economie devastate dalla guerra in Europa e in Giappone. Ci volleroduedecennimafuun successo. La scintilla che diede veramente il via alla globalizzazione, però, fu una vasta gamma di nuove tecnologieperiltrasportoela comunicazione, gran parte delle quali erano un derivato dellaGuerraFredda–lenavi mercantili e gli aerei da trasporto, i cavi internazionali, i container d’acciaio, fino ad arrivare ai satelliti, in grado di far rimbalzare un segnale elettrico da un continente all’altro – che ridussero drasticamente i costi di trasporto da un punto della superficieterrestreall’altro. I container – delle scatolediacciaiolunghetrai 6 e 12 metri in grado di trasportare un peso superiore alle 28 tonnellate – potevano essere facilmente spediti via trenooviacamion,esserepoi imbarcati su navi o aerei e infinecaricatinuovamentesu vagoni ferroviari o su autocarri fino alla destinazionefinale,riducendo notevolmente gli sforzi di caricoediscaricoeirischidi furto o danneggiamento. I container erano esistiti fin dalla metà degli anni Cinquanta, ma non furono impiegati in maniera massiccia fino alla guerra in Vietnam, per la quale l’esercito statunitense ebbe bisognodiunenormesistema di distribuzione per accontentare i suoi bisogni insaziabili nelle giungle del Sudest asiatico. Le tradizionalicassedatrasporto erano troppo piccole e inaffidabili, quindi la Marina creò un porto container nella baia di Cam Ranh, e i porti americani furono attrezzati per supportare le navi mercantili (con fondali profondi, gru appositamente progettate e enormi ponti di carico). Una delle conseguenze impreviste fu quella di incrementare le esportazioni giapponesi verso gli Stati Uniti.Piuttostochetornarein America coi container vuoti, gli spedizionieri si resero contochepotevanofaresoldi facendo una tappa in Giappone sulla rotta di ritorno e imbarcando tonnellate di orologi, televisori e utensili per la cucina giapponese per il mercato statunitense. Nel 1967, non vi era nessun servizio di trasporto marittimo commerciale che collegava il Giappone agli Stati Uniti. L’anno seguente, quellatrattaeraservitadaben sette aziende74. Da quel momento in poi, il commercio marittimo, anche grazie ai container, si impennò.Nel2005,eranopiù di 3.500 le navi mercantili chesolcavanoleacque,cona bordo più di 15 milioni di container. Tra il 1970 e il 2000,ilmercatodeicontainer è cresciuto tre volte più velocemente dell’economia mondiale75. Di conseguenza, il costo per trasportare i prodottidaunaparteall’altra delmondoèprecipitato. I costi di trasporto diminuirono anche alla luce del fatto che i prodotti si facevano sempre più piccoli. Un numero di funzioni sempre maggiori all’interno di televisori, elettrodomestici ealtribenidiconsumodiuso comune era svolto da piccolissimi microchip. L’acciaioel’alluminiofurono rimpiazzati da plastiche ultraleggere. Tra il 1970 e il 1988, per ogni dollaro di importazioni, il numero di chili trasportato negli Stati Uniti scese del 4% l’anno76. Diconseguenza,ilmercatofu sommerso da una valanga di prodottiesteri.Trail1970eil 1980, il valore delle importazionimanifatturierein rapporto alla produzione domesticaschizzòdal14%al 28%.Nel1986,perogni100 dollari spesi in beni prodotti negli Stati Uniti, gli americani ne spendevano 45 inbeniprodottiall’estero77. Questo generò un malcontento generale per la cosiddetta perdita di competitività dell’industria americana. Il Congresso commissionò decine di relazioni sul tema. I think tank pubblicarono centinaia di libri bianchi. Le associazioni industriali organizzarono delle task force. I governatori istituirono commissioni d’indagine e pannelli di esperti. I media si sbizzarrirono. «La perdita di competitività dell’industria americana nel corso dell’ultimo decennio è paragonabile a un disastro economico», scrissero i redattoridi«BusinessWeek» nel giugno del 198078. Le università studiarono la portata del danno. La Commission on Industrial Productivity (Commissione sulla produttività industriale) del MIT commentava pesantemente nella sua relazionedel1989che«certe aziende americane che un tempo dominavano il commerciointernazionale[...] hanno perso gran parte della loro fetta di mercato sia in patriacheall’estero;inalcuni settori [...] la presenza americana sul mercato è scomparsadeltutto»79. In realtà le aziende americanestavanobenissimo. Si erano solo affacciate sul mondo. Utilizzavano le innovazioni nel campo dei trasporti e delle telecomunicazioni per inaugurare fabbriche all’estero o appaltare ai fornitori esteri i componenti di cui avevano bisogno. Per metterla in un altro modo, utilizzavano i container e gli sviluppi nelle telecomunicazioni (tra cui, di lìapoco,Internet)percreare delle catene di fornitura globali. Il vecchio sistema di produzione dell’età non proprio dell’oro poteva ora essere frammentato e commissionato a chi producevaipezzimiglioriea minorcosto,inqualsiasiparte nelmondo.Coltempo,queste catene di fornitura sarebbero divenutecosìcomplessechei progettisti in un paese avrebbero potuto creare un prototipo tridimensionale di unnuovoprodottomentregli ingegneri in un altro paese stabilivano le catene di montaggio e le apparecchiature necessarie per assemblarlo in un paese terzo. Era questo il reale processo di globalizzazione chelestatistichecommerciali non mostravano. Dal 1969 al 1983, il valore totale delle importazioni dalle fabbriche americane all’estero salì da 1,8miliardididollariaquasi 22 miliardi, depurati dell’inflazione80.Tuttoquesto negli stessi anni in cui le aziende americane avrebbero sofferto di una “perdita di competitività”. Le catene di fornitura globali continuarono ad allungarsi e a mettere radici sempre più profonde. Negli anni Novanta, il 45% delle importazioni americane riguardava aziende nazionali che operavano all’estero. Nel 2006, la loro fetta era cresciuta al 48%, stando ai dati del dipartimento del Commercio. Se poi si considerano i componenti acquistatidaaziendestraniere per poi essere assemblati negli Stati Uniti e i prodotti comprati all’estero per poi essere venduti con marchi americani, la percentuale si alza notevolmente. La catena di fornitura globale della Whirlpool include forni a microonde progettati in Svezia e fabbricati in Cina. La General Electric produce piccoli motori a propulsione per gli aerei charter prodotti dalla Bombardier in Canada; quasiunquartodelvaloredei motori è costituito da componenti costruiti in Giappone. La Dell mette i propri clienti direttamente in contatto con i suoi fornitori esteri; quando un cliente clicca sul sito Internet della Dell per acquistare un portatile, l’ordine appare direttamentesulloschermodi un terminale in una fabbrica cinese gestita dalla Quanta, un’azienda di Taiwan, dove viene assemblato e rapidamente spedito in America al cliente che l’ha ordinato. La Eaton Corporationproducealberidi trasmissione per camion in Brasile, alcuni dei quali sono spediti in Ohio per essere montati sulle vetture della Navistar. Anche una percentuale crescente delle macchine dei Tre Grandi proviene dall’estero. Anche se vengono assemblate in America, una porzione in continua crescita delle parti interneprovienedafuori81. Una percentuale sempre maggiore di quello che le aziendeamericanevendevano all’estero era prodotto dalle lorofabbricheinloco.Anche i dati sulle esportazioni americane, dunque, sottovalutavanopesantemente la “competitività” delle aziendedelpaese.Allostesso modo, sempre più di quello che le aziende straniere vendevano negli Stati Uniti era prodotto dalle loro fabbriche nel paese. La Toyota,laHonda,laNissane la BMW costruirono delle immense fabbriche nel Kentucky, nel Tennessee e nell’Indiana.Nel2006,queste aziende impiegavano il 20% degli operai del settore automobilisticoinAmerica. Qual era il confine tra “noi”e“loro”?Invecedidire che le aziende americane hanno cominciato a “perdere competitività” negli anni Settanta, sarebbe più corretto direchegliStatiUnitihanno cominciato a perdere le proprie aziende. Non vi era più nessun legame tra il successo delle aziende americaneeilbenesseredegli americani. Questo segnò un cambiamento profondo. Quellarelazioneerastatauna delle premesse di base del capitalismo democratico dell’età non proprio dell’oro. Ricordate il detto di “Engine Charlie” Wilson a proposito della simbiosi tra la General Motorseilrestodelpaese?I grandi oligopoli americani erano intrecciati ai lavoratori ealGovernopermezzodiun sistema di intricate connessioni, per cui man mano che l’economia diventava più produttiva, i salari e i benifici crescevano. Quel sistema stava ora subendo profonde mutazioni. Leconnessionidiuntemposi andavano allentando, e se ne andavano affermando altre, sia dentro che fuori dal paese82. I media, i politici e ancheidirigentidelleaziende continuarono a parlare dell’economia americana comesequestaesistessesolo in funzione delle corporation con sede negli Stati Uniti, e come se il successo o il fallimento di queste, o entrambe le cose, dipendessero dalle statistiche commerciali. La “globalizzazione” era vista comeunasfidatraleaziende straniere e quelle americane. Ma era tutt’altra cosa. La rivoluzione che ebbe inizio negli anni Settanta fu una rivoluzione tecnologica, e uno dei suoi effetti fu quello di frammentare il vecchio sistema oligopolistico americano in una miriade di catene di fornitura globali in cui i componenti o i servizi erano commissionati a chiunque offrisse la qualità e il prezzo migliori. Queste catene di fornitura terminavano in realtà come Wal-Mart,cheaggregavanoil potere contrattuale dei consumatori per assicurarsi ovunquenelmondogliaffari migliori, indifferentemente dalla marca che appariva sugli elettrodomestici, sui cuscini, o su qualsiasi altro prodottovolesseroacquistare. 4 Forseigrandivolumidi produzione sarebbero diminuiti comunque, anche senza le catene di fornitura globali. A partire dagli anni Settanta, una miriade di gadget ideati per incrementare la produzione industriale cominciarono ad apparireall’internodirobote apparecchiature computerizzate, abbassando notevolmente i costi di ogni singola unità pur non permettendograndivolumidi produzione. Gli ingegneri, seduti ai loro computer, potevanomodificareildesign di un prodotto in pochi secondi, e incaricare le macchine di modellare o assemblare tutte le unità necessarie.NeglianniOttanta furonointrodottisoftwareche permettevano ai clienti di contribuire al design del prodotto83. Le nuove tecnologieinvestironoanchei servizi. Le banche, le assicurazioni e le telecomunicazioni potevano ora offrire servizi modellati sulle specifiche necessità di ogni cliente. L’avvento di Internet, poi, negli anni Novanta,introdusseunavasta gamma di nuove modalità di distribuzione dei servizi, tra cui la possibilità di indirizzare il marketing e la pubblicitàatargetspecificidi persone che condividono gli stessigustieinteressi.Grazie ai motori di ricerca e alle recensioni online, i consumatori potevano ora trovare esattamente il prodotto che cercavano al miglior prezzo. Allo stesso modo, qualsiasi venditore poteva utilizzare un software percreareun’aziendavirtuale checonsistevainpocopiùdi una catena di contratti di fornitura con un’asta a ogni anello della catena per ottenere il miglior prezzo lungotuttalafiliera. Gli oligopoli non erano più necessari; un’azienda di dimensionimedie,graziealle nuove tecnologie, poteva ora competere con le vecchie economie di scala. Non a caso, tutti quei settori dell’industriachesibasavano su una stabile produzione di massa si specializzarono in prodotti e mercati di nicchia. Gli acciai particolari (zincati per immersione a caldo o elettrozincati) sostituirono l’acciaio standard nelle automobili, nei camion, negli elettrodomestici e in quegli stabilimenti che usavano gli archi elettrici e i rottami per andare incontro alle specifiche esigenze dei clienti. Altri materiali standard furono rimpiazzati da polimeri che potevano essere modellati in forme intricate (come quelle presenti nei cellulari o nei computer)esopportarelivelli di sollecitazione e di calore più alti. La lana e il cotone furono sostituiti da un’ampia gamma di nuove fibre sintetiche su cui potevano essere applicati speciali rivestimenti. I servizi telefonici di una volta vennero frammentati in un gran numero di offerte su misura che coprivano le chiamate a distanza, le chiamate video e il trasferimento dati, mentre le aziende private costituirono deinetworkperpermettereai lorodipendentidirimanerein contatto anche a grandi distanze. Le grandi aziende che pensavanodidominarequesta o quella fetta di mercato dovettero fare i conti con un numero sempre maggiore di concorrenti. Anche la CocaCola–lacuiformulasegreta unita a un enorme sistema di produzione e di distribuzione e a colossali budget pubblicitari l’avevano resa quasi imbattibile (nonostante la concorrenza della Pepsi) – all’inizio del XXI secolo cominciavaaperderecolpidi fronte all’inarrestabile avanzata di nuovi intrugli, come le bevande sportive, le bibite gassate, i tè freddi aromatizzati e le bevande energetiche vitaminizzate, oltre all’acqua in bottiglia. I costi sempre più bassi della banda larga e degli archivi digitali hanno spianato la stradaaunagammaillimitata di canali distributivi – jukeboxe digitali, film in rete, archivi fotografici web, biblioteche artistiche – in gradodisoddisfareigustipiù disparati84. Perfarlabreve:apartire dal 1970, e con crescente rapidità, un’ondata di nuove tecnologie ha rimpiazzato gli stabili sistemi di produzione di un tempo con una varietà di venditori in continuo cambiamento. Il risultato fu simileaquellodellecatenedi fornitura globali: i vecchi, stabili oligopoli furono scalzati e la concorrenza aumentò. All’inizio del XXI secolo, secondo una ricerca della società di consulenza Bain & Company, la tipica azienda americana perde più della metà dei suoi clienti ogni quattro anni, costringendola a cercarne continuamente di nuovi mentre fa di tutto per trattenere quelli di un tempo85. 5 La spinta verso una deregulation sempre maggiore – l’esatto opposto dellatendenzaregolatriceche prese piede in America tra la prima e la seconda guerra mondiale,echefuispiratada Herbert Croly e da altri progressisti dell’epoca – è a volte attribuita alla passione diRonaldReaganperillibero mercato.QuandoReagansalì alla presidenza del paese nel 1981,però,ilmercatosistava già muovendo in quella direzione da almeno un decennio. Le cose avevano cominciato a cambiare quando, anche in quel 15% dell’economia in cui i prezzi eirequisitidiingressoerano fissati da agenzie regolatrici indipendenti, le tecnologie emergenti avevano iniziato a creare nuove opportunità commerciali. Le aziende che colsero questi cambiamenti reclamarono anch’esse una fetta della torta. Cominciarono a fare pressione sulle commissioni, afarelobbyingsulCongresso e sugli organi legislativi statali,aingaggiareprofessori perché dimostrassero i benefici che la deregulation avrebbe apportato al consumatore. Intrapresero cause legali, sostenendo che le aziende regolate inibivano l’innovazione e agivano contro gli interessi dei consumatori. Man mano che lapressionemontava,erasolo unaquestioneditempoprima che la diga regolatrice crollasse. Nelletelecomunicazioni, per esempio, già nel 1968 le aziende che producevano nuove apparecchiature cominciarono a percepire i vantaggi della vendita diretta alconsumatore.Mailpotente monopolio della Ma Bell, nota come AT&T, glielo impediva. Al sicuro dietro la sua barriera di regolazioni, l’azienda sosteneva che le altre società non potevano allacciarsi al sistema della AT&T senza pregiudicarne l’efficienza. I nuovi arrivati fecero causa. Quello stesso anno, nel caso della Cartefone, la Corte Suprema prese le difese degli insorti, infliggendoilprimo,decisivo colpo alla barriera protettiva dellaAT&T. Questa cominciò a vacillare. Le nuove tecniche di comunicazione a distanza, come il satellite, il cavo e la fibra ottica, spianarono la strada a una vasta gamma di nuoveopportunità.Quandola MCI creò un network relativamente economico di ripetitori a microonde, volle entrareanch’essasulmercato. La AT&Tsioppose.Unavolta che la MCI ottenne dalla Federal Communications Commission l’autorizzazione ad allacciarsi alla rete telefonica locale, la AT&T trascinò la FCC di fronte alle corti federali, finché non perselabattaglia.Nel1974,il dipartimento di Giustizia intentò una causa antitrust contro la AT&T, sostenendo che costituiva un monopolio illegale. Otto anni più tardi e conmilionididollaridispese legali, la AT&T patteggiò e accettò di dismettere le sue aziende telefoniche locali della Baby Bell. Probabilmente scelse la via del patteggiamento perché ormai prendeva atto delle opportunità offerte dagli altri settori delle telecomunicazioni, tra cui l’elaborazione dati e le reti informatiche, che erano stati fuori dalla sua portata negli annidelmonopolio. La deregulation del trasporto aereo seguì una strada simile. Gli sviluppi nelle telecomunicazioni e nel design dei velivoli (materiali ad alta resistenza, una migliore aerodinamicità, una maggiore efficienza energetica) crearono nuove opportunitàdiguadagnoaldi fuori dello stabile sistema regolato. Nei primi anni Settanta,lenuovecompagnie aeree che non erano soggette alle regolazioni federali – la Pacific Southwest in California e la Southwest AirlinesinTexas–intuironoi vantaggi di offrire prezzi più bassi, aerei più piccoli e servizi ridotti all’osso. Le aziende che operavano voli charter ebbero la stessa idea. Fecero pressione sull’Ente dell’Aeronautica Civile affinché deregolamentasse i prezzi e le rotte. Nel frattempo, la Pan Am e la TWA,incrisi,volevanoessere libere di alzare i prezzi. E la United voleva poter operare su più rotte86. Vari studi accademici sembravano confermare i benefici della deregulation del trasporto aereo. Erano in pochi oramai adifenderelostatusquo.Nel 1978, quindi, il Congresso deregolamentò le compagnie aeree e iniziò a dismettere l’Ente dell’Aeronautica Civile. Nel frattempo, gli spedizionieri che avevano guidato la rivoluzione dei container reclamavano maggiore libertà nella scelta delle rotte e dei prezzi e nel consolidamento delle loro operazioni, anticipando i profittichesicelavanodietro l’abbattimento delle barriere commerciali. La UPS e la FedEx spingevano nella stessa direzione. Nel 1980, il Congresso deregolamentò il settore ferroviario e autotrasportato, e cominciò a chiudere la Interstate CommerceCommission. Le grandi banche e le grandi istituzioni finanziarie capeggiarono la campagna per la deregulation finanziaria. Nel 1970 cominciarono ad avere accesso a nuovi strumenti di pagamento elettronico e di ricezione computerizzata che facilitaronosiaildepositoche il prestito di denaro. Ma non potevanoavereaccessoaquei mercatiincuilebanchelocali erano protette dalla concorrenza,eciòlespinsea chiedere l’abbattimento delle regolazioni. Nel frattempo, i fondi pensioni, i fondi comuni e le compagnie assicurative, armate di computer e di software, vedevano le opportunità economiche di una gestione più attiva dei risparmi della gente,maeranobloccatidalla regolazione finanziaria. Quindi si unirono al coro di coloro che reclamavano la deregulationdelsettore87. Una ad una, cominciarono a crollare tutte le barriere finanziarie. Nel 1974, dopo un lungo dibattito, il Congresso approvò l’Employee Retirement Income Security Act(Leggesullasicurezzadel reddito dei lavoratori pensionati–forselaleggepiù complicata mai promulgata, che assicurò la fortuna a migliaiadiavvocatiecuratori testamentari). Essa permetteva ai fondi pensione e alle compagnie assicurative diinvestireilloroportafoglio in borsa e non solo nelle obbligazioni aziendali e governative di alta qualità. L’annoseguente,laSecurities and Exchange Commission (Commissione di vigilanza dellaborsaamericana)ordinò agli agenti di borsa di interromperelaloropraticadi fissare delle commissioni sulletransazioni,permettendo così a broker come Merrill Lynchdioffrireailoroclienti fondi comuni (definiti Cash Management Accounts) su cui potevano essere scritti degli assegni88. Nel 1980, il Governo diede alle banche commercialiedirisparmiola possibilità di fissare liberamenteitassidiinteresse sui depositi e sui prestiti. Fu concesso alle banche di fondersiediconsolidarsi,edi aprire filiali dovunque volessero.Nel1982,anchele banche di risparmio e le banche di prestito – i pilastri del mercato dei mutui sulle case (ricordate La vita è meravigliosa di Frank Capra?) – ottennero grande libertà su come investire i lorodepositi. Va di moda tra gli economisti considerare la deregulation un successo assoluto, con l’eccezione di qualche isolato incidente come la crisi dei risparmi e dei prestiti (non avrebbe dovuto sorprendere nessuno che le banche di risparmio e di prestito utilizzassero la loro nuova libertà per investire in obbligazioni capestro ad alto rendimento, dal momento che i loro depositi erano assicurati dal Governo, con un costo finale per il contribuente di circa 600 miliardi di dollari. Una situazione che offre tutti i benefici agli investitori privati e delega tutte le responsabilità al Governo è destinata a generare investimenti azzardati). In generale, la deregulation fu un successo in termini di efficienza economica. Vista attraverso la lente più ampia del capitalismo democratico, però, la faccenda si fa più complessa. I sistemi regolatori che furono smantellati includevano sussidi incrociati (crosssubsidies) di ogni tipo, finalizzati a trovare un equilibrio tra numerosi interessi diversi. Con la deregulation, questi scomparvero. Gran parte dei consumatori ne beneficiarono. Alcuni, però, insieme a molte piccole comunità e ai dirigenti di mediolivelloeaglioperaidei grandi monopoli o oligopoli, nefuronodanneggiati. Prima che la Bell System fosse scorporata, per esempio, i servizi telefonici più remunerativi sovvenzionavanoquellimeno vantaggiosi per l’azienda. I clienti delle città sovvenzionavano i clienti delle campagne. Gli utenti che facevano chiamate a distanza sovvenzionavano coloro che si limitavano alle chiamate locali. I clienti professionali sovvenzionavano quelli privati. Le persone che usavano di rado il telefono sovvenzionavano quelle che lo usavano più spesso. Il professore di economia della Cornell ed ex regolatore Alfred Kahn descrisse il sistema della Bell System come «un welfare state col potere di tassare i clienti e usare i proventi a fin di bene»89. Dopo la scorporo, quando la competizione si fece più feroce, tutte queste sovvenzioni sparirono, insieme alle opere «a fin di bene». Anche la deregulation del settore aereo, nel 1978, alterò radicalmente gli equilibri. Nel 1983, centinaia dipiccolecomunitàeranogià state tagliate fuori del tutto o quasi dalle rotte delle compagnie aeree. La Braniff e altre compagnie aeree più piccoleeranostatecostrettea chiudere. Insieme a queste (a meno che o finché non avessero trovato altri lavori altrettanto ben stipendiati) affondarono anche i loro dipendenti e numerose personedellecomunitàincui avevano la sede. La Continental, nel frattempo, era sotto la tutela della procedura fallimentare e aveva ottenuto dal tribunale l’autorizzazione a rompere i suoi contratti sindacali, una tatticachelealtrecompagnie aeree avrebbero replicato nel corso dei successivi venticinque anni. La Eastern e la Republic faticavano a rimanere a galla. La United effettuavaquasiglistessivoli diuntempo,macol20%del personale in meno. In tutto il paese, i sindacati dei piloti, degliassistentidivoloedegli operai accettarono condizioni di lavoro più flessibili. Furono create quattordici nuovecompagnieaeree,quasi tutte non sindacalizzate, e tutte libere dal peso delle pensioni e dell’assistenza sanitaria per i propri dipendenti. Nei primi tre anni che seguirono la deregulation del settore autotrasportato, circa trecento aziende chiusero i battenti. Molte di queste erano di dimensioni notevoli. Illorocollassocreòuneffetto a catena che coinvolse molte persone che dipendevano da esse. Dall’altra parte, decine dimigliaiadipiccoleimprese di autotrasporti si affacciarono sul mercato. Prima della deregulation, la maggior parte delle tariffe eranofissatedalla ICC.Ora,il 90% di queste erano il frutto di negoziazioni tra lo spedizioniere e il corriere. Prima della deregulation, la maggiorpartedegliautistiera iscritta all’International Brotherhood of Teamsters, il sindacato dei camionisti americani.Pochiannidopola deregulationdelsettore,circa unterzodiquestiavevaperso il posto di lavoro. Nelle piccole imprese di autotrasporti, i membri del Teamsteraccettaronotaglidel 10% o anche del 15% sui salari. Il sindacato nazionale siglò un contratto che aumentava gli stipendi e i benefici solo della metà rispettoall’inflazione. La deregulation del settoreaereoeautotrasportato creò nuove opportunità e nuove forme di concorrenza. La UPS era nata come una società di autotrasporti: per anniisuoifurgoncinimarroni avevano annunciato allegramente alle famiglie americane l’arrivo di un pacco. Ora, spinta dalla concorrenza a effettuare spedizioni più rapide e più efficienti, acquistò una flotta di aerei cargo e divenne anche una compagnia aerea. LaFedEx,invece,erastatada sempreunacompagniaaerea. La richiesta per un miglior servizio di consegna porta a porta,però,laspinseadotarsi diunnutritoparcomacchine. Il testa a testa tra queste due aziende (e altre, come la DHL Worldwide Express, ansiose di accaparrarsi una fetta maggiore di un mercato così redditizio) generò servizi semprepiùefficienti,comela consegna del giorno dopo dellaUPS.Ecostrinseancheil malmesso servizio postale americanoamodernizzarsi. Anche la deregulation finanziaria ebbe un enorme impatto sul capitalismo democratico. Ai fini del nostro discorso, però, basta pensare che nei tre anni che seguirono la liberalizzazione delsettorebancario,nel1980, chepermettevaallebanchedi aprire filiali dovunque volessero, furono installati circa 2.200 sportelli automaticinellebanche,negli aeroporti e nelle facciate dei negozi: i terminali di una vasta rete di sistemi di pagamento elettronico e di recupero di informazioni in continua crescita. La tecnologia rivoluzionò la maniera in cui la gente gestiva quotidianamente il proprio denaro. Costò anche ilpostodilavoroamigliaiadi impiegati allo sportello e di dipendenti. I computer e i software che erano alla base di questa rivoluzione avrebbero avuto conseguenze ancora più profonde negli anni a venire. Nel 1983, il consulente bancario Edward E. Furash predisse che il paese era sull’orlo di una rivoluzione finanziaria. La deregulation aveva«cambiatolapsicologia della gente, in particolare dei giovani», trasformandoli «da semplici risparmiatori in investitori.Assisteremoauna feroceconcorrenzaperifondi degli investitori»90. La sua intuizione si rivelò particolarmentelungimirante. 6 Prima della deregulation finanziaria, i risparmiatori americani erano stati abbastanza prudenti. La maggiorpartedilorotenevai risparmi in banca, dove godevano per legge di un interesse del 5,25%. I fondi comuniapparivanocomeuna cosaesotica;ipiani401(k)91 eititolidicreditoancoranon erano stati inventati. Pochi americani prestavano attenzione al Dow Jones. Ed eranoancoramenoquelliche investivanoneititolidiborsa. Nel 1970, solo il 16% degli americani possedeva delle azioni. Le corporation erano possedute quasi interamente da individui facoltosi che tenevano i propri certificati azionari al sicuro all’interno di cassette di sicurezza. Le grandiaziende,dinorma,non ridistribuivano i propri profitti oligopolistici sotto forma di dividendi. Preferivano tenere i profitti per sé e reinvestirli in stabilimentieattrezzatureche permettessero economie di scala ancora maggiori, e distribuire il resto ai dipendenti. Questo, come abbiamo visto, faceva parte del contratto sociale siglato durante l’età non proprio dell’oro. Poi cambiò tutto. Nel corso degli anni Settanta, i risparmiatorisitrasformarono in investitori e gli investitori si fecero più aggressivi. La percentuale degli americani che possedeva delle azioni, nel 1985, salì al 20%. E poi prese il volo. Nel 2005, la maggior parte delle famiglie americane possedeva ormai delle azioni. (Ovviamente, granpartedellorovaloreera ancoracontrollatodallafascia piùriccadellapopolazione)92. Il volume medio di azioni scambiategiornalmentepassò dai 3 milioni degli anni Sessanta ai 60 milioni dei primi anni Ottanta, e da quel momentoinpoisiimpennò. L’interesse degli americani nel mercato azionariofustimolatodalpiù lungo ed energetico mercato di rialzo nella storia americana, dai primi anni Ottanta al 2000 (con una piccola, terrificante pausa nell’ottobre del 1987). Le cause di quel rialzo hanno una grande rilevanza economicaepolitica. Comeinognimercatodi rialzo, vi fu una buona dose diaspirazionispeculativeche si autorealizzarono. Man mano che sempre più americani acquistavano azioni, i prezzi aumentarono, portando gli investitori ad acquistare ancora più azioni, nella speranza che i prezzi continuassero a crescere. In questo modo il mercato si trasformò in una bolla, che scoppiò nel 2000. Già nel 2006, però, il Dow Jones aveva ripreso la sua scalata verso l’alto. Le cause, dunque, non vanno ricercate solonellaspiralespeculativa, ma in un mutamento della struttura stessa delle corporationamericane,tesoa generare profitti sempre maggioripergliazionisti. Proprio come Wal-Mart e gli altri gestori di ipermercati aggregarono il poterecontrattualedeisingoli consumatori, così i fondi comuni e i fondi pensione aggregarono il potere dei singoli investitori. Per tenere conségliazionisti,oattirarne di nuovi, i dirigenti delle aziendedovevanofaretuttoil tutto il possibile per aumentareilvaloredelleloro azioni. Non avevano altra scelta che concentrarsi semprepiùsullacreazionedi “shareholder value”. (Nel 2002, gli investitori scoprirono che una percentuale del valore era stata creata ad arte da contabili e direttori finanziari scaltri e senza scrupoli; gran partediesso,però,erareale). E così, come i consumatori tenevano costantemente sotto pressioneleaziendepassando (o minacciando di passare) con sempre maggiore facilità a un’azienda concorrente che offriva prezzi più bassi o prodotti migliori, così gli investitori, aiutati dai fund manager, impararono ad andare a caccia dell’offerta migliore.NeglianniNovanta, l’investitore medio teneva un titolo per poco meno di due anni. Nel 2002, il periodo di detenzionemedioeradimeno di una anno. Nel 2004, era sceso a soli sei mesi, stabilendounnuovorecord93. Se i gestori finanziari non riuscivano a generare profitti sufficienti, anche gli investitori potevano abbandonare. Dal momento che i bonus dei gestori finanziari superavano in media il 50% dei loro salari, erano ben ripagati per mantenere soddisfatti gli investitori, e attrarne di nuovi. Come Wal-Mart spreme i fornitori affinché offrano prezzisemprepiùbassi,cosìi gestori dei fondi pensione e dei fondi comuni più grandi d’America spremono le aziende affinché generino profittisemprepiùalti,chesi traducono (non sempre direttamente, ma con sufficienteprevedibilità,tanto chedisolitoquestirialzisono premiati) in un aumento del prezzo delle azioni. Fino al 1980, Wall Street era stata al servizio dell’industria, aiutando i grandi oligopoli a trovare capitale quando ne avevanobisogno.Dal1980in poi, l’industria è passata al serviziodiWallStreet. Si dice che negli anni Ottanta l’America sia stata colta da un’ondata di cupidigia, come se questa, prima di allora, fosse stata assente nel paese. In realtà, oggipossiamodirechenonsi è trattato di un mutamento della natura umana, ma delle strutture del mercato finanziario. L’incontro tra le nuove tecnologie e la deregulation offrì a Wall Street una moltitudine di strumenti per accumulare grandi quantità di denaro, aiutando gli individui a spostare il loro denaro laddove potesse generare profitti sempre più alti. Gli americani si buttarono nella mischia, grazie ai Cash Management Accounts della Merrill Lynch, ai popolari fondi comuni Fidelity Magellan della Peter Lynch, agli strumenti della Charles Schwab che permettevano agli investitori di vendere e comprareazionionlineoalle migliaiadialtrifondicomuni, fondi pensione, strumenti d’avanguardia, modi per aggirare le tasse e piani di daytradingdisponibili94. I finanzieri che investivanoespostavanotutto questo denaro per conto dei singoli investitori tenevano perséunabuonapercentuale. Di conseguenza, il settore finanziario americano è diventato una delle industrie più redditizie al mondo. Se l’ammontaretotaledeiprofitti delsettore,neglianniSettanta eOttanta,eracircaunquinto deiprofittitotalidelleaziende nonfinanziarieamericane,nel 2000eracircalametà95. Vorrei sottolineare ancoraunavoltachenonfula cupidigia che alimentò le acquisizioni ostili, gli scalatori aziendali, le obbligazioni capestro, le proxy fights e i leveraged buyouts degli anni Ottanta; o che portò alla nascita dei fondihedge,deifondiprivate equity, degli “attivisti di minoranza”eaunnuovogiro di leveraged buyouts e di proxy fights nel XXI secolo. Cosìcomenonfulacupidigia che spinse alcuni dei giovani più aggressivi e dotati del paese, a partire dagli anni Ottanta, a iscriversi a prestigiosescuoledibusiness per poi inserirsi nelle banche d’investimento, nelle società diservizifinanziari,neifondi hedge e nei fondi private equity, e a volte giungere ai ranghididirettorefinanziario delle più grandi corporation americane. Non fu la cupidigia a concentrare un tale sforzo intellettuale sull’arido terreno della finanza aziendale. E neanche a mettere in relazione lo stipendio dei dirigenti col prezzodelleazionipermezzo digenerosidirittidiopzionee bonus. In tutti questi casi la causavaricercatanellenuove opportunità che vennero a crearsi. Confondere la cupidigia con l’opportunità equivale a confondere il desiderioconladisponibilità. La libido degli studenti universitari di oggi non è superiore a quella di quarant’annifa;lafacilitàcon cui possono soddisfarla, invece, è sicuramente maggiore. I dirigenti che non sfruttavano tutte le opportunità per massimizzare i profitti degli azionisti lasciavano il campo libero a finanzierid’assaltointeressati a sfruttarli. Nel corso degli anni Settanta, ci furono tredici acquisizioni ostili per ilvaloredipiùdiunmiliardo di dollari; negli anni Ottanta, furono 150. Col rallentamento della borsa nellaprimadecadedelnuovo secolo, sono emerse strategie simili. I fondi hedge, i fondi private equity e gli shareholder activists diedero il via a un altro giro di acquisizioni e leveraged buyouts. A volte i protagonistieranoglistessidi sempre.Nel2006,CarlIcahn, che nel 1987 aveva spinto la Texaco e la TWA in bancarotta, lanciò una proxy fight per ottenere delle poltrone nell’assemblea e il controllo di una infiacchita Time Warner. «Non ho mai chiamato Dick Parsons [amministratore delegato della Time Warner] un idiota»,protestòIcahn96. Si potrebbe dire che gli aggressori vedevano delle opportunitàchesfuggivanoai dirigenti abituati al vecchio, docile mondo degli stabili oligopoli. O anche che erano dispostiaesserepiùspietati– non più “avidi” – prendendo in prestito cifre enormi per finanziare i loro assalti e poi riducendoicostispremendoi fornitori, combattendo i sindacati, tagliando i salari e subappaltando la produzione dovunquenelmondocostasse di meno. Entrambe le descrizioni sarebbero esatte. Il risultato furono maggiori profitti, che voleva dire un aumento del valore delle azioni. Molti dei guerrieri e dei redelleobbligazionicapestro che furono condannati negli anni Ottanta per via dei loro comportamentisenzascrupoli sono oggi celebrati per aver reso più efficienti le aziende del paese. È sicuramente vero, anche se le loro strategie non funzionavano sempre come previsto. Quando i prezzi delle obbligazioni capestro crollarono,allafinedeglianni Ottanta, molti piccoli investitori andarono in rovina.La RJRNabisco,frutto del più grande leveraged buyout degli anni Ottanta, fu scorporata senza troppo rumore nel 1999. Inoltre, si venivano a creare inquietanti conflitti d’interesse nel momento in cui i massimi dirigenti che partecipavano a unleveragedbuyoutfacevano poiinmododialzareilvalore delle azioni, quando avrebbero potuto farlo prima del buyout, a beneficio di se stessi invece che dei precedenti azionisti. In più, l’ossessione degli amministratori delegati di soddisfareosuperarelestime di Wall Street sui guadagni trimestrali di un’azienda – una diretta eredità degli anni Ottanta – ha senza dubbio portatoiverticidelleaziende a pensare troppo all’imminente e creato innumerevoli abusi e distorsioni. Come ha dichiaratoallagiuriaKathryn Ruemmler, il pubblico ministero nella causa del governo contro Ken Lay e Jeffrey Skilling della Enron: «Possono far dire ai numeri quellochevogliono»97. Èindubbio,però,chegli investitori ne abbiano beneficiato. Così come i consumatori hanno beneficiatodallapraticadelle grandi corporation americane di tagliare i costi e privilegiare l’efficienza e l’innovazione. Dopotutto, la lorocontinuataredditività,da cui dipendono i prezzi delle loro azioni, è basata principalmente su un crescente numero di consumatori soddisfatti. Era finalmente possibile affermare – e gli economisti americani non hanno perso occasione di farlo notare agli europei, ai giapponesi e ai cinesi – che la disciplina imposta alle grandi corporation americane dal vasto e trasparente mercato finanziariostatunitenseaveva migliorato l’efficienza e stimolato la crescita dell’economia americana. Anche se i vantaggi economici sono innegabili, però, resta da vedere se la crescita e il predominio della finanza siano state una cosa buona o meno per il capitalismodemocratico. 7 Nonvierapiùspazioper gli statisti aziendali, che si sforzavano di trovare un equilibrio tra gli interessi dei vari gruppi, inclusi i loro dipendenti, i cittadini delle comunità in cui operavano e il paese nel suo intero. Roberto C. Goizueta, ex amministratoredelegatodella Coca-Cola, spiegò la nuova logica dominante con impareggiabilechiarezza.«Le aziende sono create per andare incontro a esigenze economiche», disse. Quando «cercano di soddisfare tutti, falliscono [...]. Noi abbiamo un solo obiettivo: generare dei buoni profitti per i nostri proprietari [...]. Dobbiamo concentrarci sul nostro scopo principale: creare valore nel corso degli anni»98. In altre parole, massimizzare il prezzodelleazioni. Ai dirigenti di oggi non è concesso il lusso di fare altrimenti. Se i “numeri” – ovvero un certo valore che i gestori dei fondi comuni, dei fondi pensione, dei fondi hedge e dei fondi private equity che amministrano il denaro degli investitori si aspettano dalle azioni – non tornano, verranno rimpiazzati. I dirigenti degli anni Cinquanta e Sessanta non erano tenuti a rendere conto agli azionisti o agli investitoriistituzionali.Illoro posto di lavoro era garantito. Gli incontri annuali con gli azionisti erano rituali formali in cui gli amministratori delegatirecitavanounpiccolo discorso preparato, rispondevano a un paio di domande e se ne andavano. Oggi i dirigenti sono impegnati in uno sforzo continuo – di persona, al telefono, in pubblico e per mezzo di presentazioni articolate–perrassicuraregli investitori principali, fare colpo sugli analisti di Wall Street e sciogliere ogni dubbio che potrebbero avere le banche e le agenzie di rating. I ricercatori Margarethe Wiersema della Rice University e Mark Washburn dellaUniversityofCalifornia, a Berkeley, hanno preso in esame la sorte dei massimi dirigenti delle aziende «Fortune500»trail1996eil 2000, dopo che gli analisti avevano decretato l’abbassamento delle raccomandazioni sulle azioni di una certa azienda. Wiersema e Washburn scoprirono che quando le raccomandazioni scendevano anche solo di un gradino – per esempio da “buy” a “hold” – le probabilità che l’amministratore delegato dell’azienda venisse licenziato nell’arco di sei mesi aumentavano del 50%. L’impatto di tali giudizi squalificanti sull’operato di un amministratore delegato era superiore perfino di un calo dei profitti o di una cadutadelvaloredelleazioni dell’azienda99. Gli amministratori delegati oggi vengono sostituiti a un ritmo senza precedenti, e i licenziamenti hanno raggiunto cifre record. La società di consulenza Booz Allen Hamilton ha analizzato che il tasso di ricambiodegliamministratori delegati delle 2.500 corporation più grandi al mondoèpassato,tra1995eil 2005,dal9%al15,3%.Enon perché volessero andarsene, ma perché non avevano soddisfatto le aspettative. In tutte queste aziende, i licenziamenti legati al rendimento sono quadruplicati nell’arco di dieci anni. Nel 2005, «i licenziamenti legati al rendimento hanno raggiunto un nuovo record in Nord America, dove il 35% degli amministratori delegati che hanno lasciato il loro posto sono stati cacciati via, e hannosfioratoilrecordanche inEuropaeinGiappone»100. Le prime avvisaglie di questatendenzasiebberogià nel 1990, quando l’economia cominciò a rallentare. Quell’anno rotolarono molte teste importanti alla AT&T, alla Xerox, alla Coca-Cola, alla Aetna e in altre delle principali aziende del paese. Queste decapitazioni avvenivano spesso rapidamente e senza spargimento di sangue, a voltedoposolopochimesidi attività. Quando il mercato azionario cominciò a dare segni di stanchezza nel corso deiprimiannidel XXIsecolo, i licenziamenti ripresero a pieno ritmo. Tra il 2004 e il 2006, fu chiesto di fare i bagagli ai vertici della AIG, della Pfizer, della Boeing, della Fannie Mae, della Hewlett-Packard, della Kraft, della Disney, della Merck, della Morgan Stanley e della Bristol-Myers-Squibb. La tendenza a licenziare senza troppi complimenti fu accompagnata da una diminuzione nella durata media dell’attività degli amministratori delegati. Nel 2006, circa il 60% dei massimi dirigenti delle aziende «Fortune 500» era stato in carica meno di sei anni,unminimostorico. Alcuni amministratori delegati puntarono i piedi, come Hans McKinnell della Pfizer, una figura venerabile che era stata anche a capo della Business Roundtable, l’associazione degli amministratori delegati con sede a Washington. Ma in seguito a un declino costante negli anni del valore delle azioni dell’azienda (nonostante i 148 milioni di dollari che finirono nelle sue tasche in quello stesso periodo),nell’estatedel2006, diciannove mesi prima della scadenza del suo contratto, anche lui fu mandato a casa. C’era un limite a quanto i grandiazionistieranodisposti atollerare101. Nel 2006, la maggior parte delle assemblee degli azionisti si riuniva ormai senza i dirigenti delle aziende. Questo non dipendeva da un cambiamento legislativo ma dal crescente potere degli investitori,aggregatodafondi semprepiùgrandi.Manmano chegliinvestitorisifacevano più esigenti, le assemblee dovevano diventare più indipendentipersoddisfarele loro richieste. Allo stesso tempo, i dirigenti che riuscivano ad alzare i prezzi delleazionidelleloroaziende eranolodatianonfinire.Jack Welch, il leggendario ex amministratoredelegatodella GE, nominato da «Fortune» “managerdelsecolo”,ebbela fortuna di assumere il suo ruolonel1981,allavigiliadel lungorialzodimercato.Fece comunque la sua parte nel tagliare i costi e contribuire alla fortuna degli investitori della GE. All’inizio del suo regno, il valore dell’azienda era stimato in borsa in meno di 14 miliardi di dollari. Quando diede le dimissioni, nel 2001, l’azienda valeva circa 400 miliardi di dollari. Il valore delle azioni dell’azienda era cresciuto tre volte più velocemente del mercato azionario nel suo insieme. Prima che arrivasse Welch, gran parte dei dipendenti della GE passava l’interacarrieranell’aziendae sapeva che questa si sarebbero presa cura di loro una volta che fossero andati in pensione. Welch mise fine atuttoquesto.Trail1981eil 1985 licenziò un dipendente su quattro: più di 100.000 persone in tutto, guadagnandosiilsoprannome di “Neutron” Jack. Anche quandol’aziendaandavabene – e fu così per gran parte dellapermanenzadiWelch– incoraggiavaiseniormanager arimpiazzareil10%deiloro subordinati ogni anno per mantenere la GE competitiva. «Alcuni pensano che sia crudele o brutale far fuori il 10% dei nostri dipendenti di livello più basso», scrisse. «Nonècosì.Èesattamenteil contrario. Quello che penso sia brutale e “falsamente buono” è tenere con sé delle persone che non possono crescere e prosperare nell’azienda». Classificava i suoi manager in tre categorie – A, Bo C–equellitargati C non duravano mai più di tanto102. Welch lottò per tagliare o ridurre al minimo tutti i costi extra della GE, inclusi quelliperrecuperareibifenili policlorurati(PCB) tossici che la GE aveva riversato nel fiume Hudson. Welch fece lobbying sul Congresso per ammorbidire le leggi ambientali sulla pulizia dei sititossicielimitareicostidi bonificadichiinquinava.Nel 1997,gliabitantidiPittsfield, Massachusetts, vennero a sapere che il terreno intorno allelorocase,nonlontaneda una fabbrica della GE, era contaminato coi PCB. Scoprirono anche che la GE era a conoscenza del problema sin dagli anni Ottanta, ma gliel’aveva tenuto nascosto103. Ma che volete, il compito di Welch era quello di accrescere al massimo il valore degli azionisti, non fare lo statista aziendale.Èperquestocheè stato nominato “manager del secolo”. Alcuni dirigenti cercarono di battere “Neutron”Jacksulsuostesso terreno.Neidueanniincuifu amministratoredelegatodella ScottPaper,“Chainsaw”104Al Dunlap licenziò 11.000 operaieil71%delpersonale della sede centrale. Wall Strett, ovviamente, apprezzò: leazionidell’aziendasalirono del 225%. Il passaggio di Dunlap alla Sunbeam si rivelò meno propizio per gli azionisti, ma la sua reputazione da duro fece salireleazionidellaSunbeam non appena mise piede nell’azienda. Andrew Shore, un analista della PaineWebber, promosse il rating dell’azienda a “buy” nell’ottobredel1997,dicendo agli investitori che «la Sunbeampossiedeuncapitale intangibile, il fattore Dunlap».Dunlapprocedettea licenziare la metà dei 6.000 dipendenti della Sunbeam. William Kirkpatrick, un direttore operativo che ha lavorato con Dunlap sia alla Scott che alla Sunbeam, spiegòlateoriadiDunlapsul management. «Se i numeri non tornavano, ti faceva a pezzi»105. Purtroppo, l’assemblea della Sunbeam scoprì nel 1998 che uno dei metodi di Dunlap per far tornare i conti era truccarli – una prassi che negli anni a venire i dirigenti della Enron e della WorldCom avrebbero usatoampiamente–causando quell’anno alla Sunbeam una perdita di 898 milioni di dollari. Dopo essere stato licenziato, Dunlap partì per l’Australia, dove tenne una serie di conferenze sulla leadership, offrendo agli australianipilloledisaggezza quali: «Se volete un amico, prendetevi un cane. Io ne ho due». Tra l’aggressività legale di “Neutron” Jack e gli eccessiillegalidi“Chainsaw” Al, vi furono anche approcci più moderati, ma tutti comportarono una riduzione deicostiedellaforzalavoro. CarlosGhosndivennefamoso come amministratore delegato della Nissan. Quando prese le redini dell’azienda, nel 2001, la Nissanavevaundebitodi20 milioni di dollari e la sua quotadelmercatoglobaleera in discesa da ventisette anni consecutivi. Ghosn adottò una strategia decisamente pocogiapponese:chiusevarie fabbriche e licenziò migliaia di lavoratori. Entro un anno, Ghosn portò il margine operativo della Nissan al 10,6%.Unrecord. “Passare ai privati” non metteva un amministratore delegato al riparo dalle pressioniesterne.Ipartnerdei fondi private equity che investivano in un’azienda si aspettavano che i dirigenti tagliassero i costi e accrescessero il valore dell’azienda con altrettanta solerzia. Se non maggiore, poiché intendevano rivendere l’azienda in un momento successivoaunprezzomolto più alto. Se una buona percentuale del capitale investitoerapresoinprestito, i dirigenti subivano una pressione ulteriore per generare abbastanza profitto dacoprireanchegliinteressi. Neanche le tradizionali aziende di famiglia erano immuni. La Malden Mills di Lawrence,Massachusetts,era appartenuta alla famiglia di Aaron Feuerstein per tre generazioni. Era una delle ultime aziende manifatturiere del New England. Dopo che la fabbrica fu quasi completamentedistruttadaun incendio, nell’inverno del 1995, Feuerstein avrebbe potuto prendere i soldi dell’assicurazioneeriaprirela fabbricanellaNorthCarolina, dove gli stipendi erano più bassi,osubappaltareillavoro in Cina. Scelse invece di spenderecirca450milionidi dollari per ricostruire la fabbrica a Lawrence e continuare a pagare lo stipendio a suoi 4.000 operai mentre erano inattivi, a un costo aggiuntivo di circa 15 milioni di dollari. In seguito affermò: «I lavoratori dipendono da me. La comunità dipende da me. E anchelamiafamiglia».Peter Jennings,altempoconduttore della ABC News, nominò Feuerstein «uomo della settimana». Tom Brokaw, ex conduttoredellaNBCNews,lo definì «il santo degli anni Novanta». La settimana seguenteilpresidenteClinton lo citò nel suo discorso sullo stato dell’Unione. Feuerstein sembrava l’esempio moderno di uno statista aziendale sinceramente interessato ai suoi dipendenti e alla comunitàincuiopera. Ma il suo sforzo costò all’azienda un debito di 150 milioni di dollari. Un consorzio di banche, insieme alla GE Capital, impose a Feuerstein un rigido schema diratemensiliaunaltotasso di interesse, poiché avevano molti posti meno rischiosi e più redditizi dove mettere i lorosoldi.Feuersteincercòdi rispettare le rate, ma rimase indietro coi pagamenti. Infine, nel novembre del 2001, la Malden Mills si riorganizzò per bancarotta. Quando riemerse, nel 2003, i suoi creditori licenziarono Feuerstein e scelsero un nuovo amministratore delegato, che aprì subito due fabbricheinCina.Ancheseil nuovo amministratore delegato aveva promesso che avrebbe mantenuto una presenza a Lawrence, sembrava poco probabile che Lawrence avrebbe coperto più del 15% dei 175 milioni di dollari annuali di vendite della Malden Mills all’esercito americano, che è obbligato per legge a comprare le sue divise in America106. A ogni modo, non preoccupatevi troppo della sorte dei moderni dirigenti aziendali. Nonostante la pressioneesercitatasudiloro, il rischio maggiore che corrono di perdere il posto e il costante pericolo che un rivale eroda il loro mercato, conducono ancora una vita abbastanza agiata. I loro jet privati sono tenuti in buone condizioni; la loro iscrizione ai circoli di golf e ai centri SPA viene rinnovata automaticamente; e i loro stipendi, come vedremo nei capitoli seguenti sulle conseguenze sociali del supercapitalismo,superanodi gran lunga quelli dei comuni mortali. E qualora dovessero essere licenziati, ricevono strabilianti premi di consolazione. 8 Nel1995,piùdiunterzo degli operai del settore privato negli Stati Uniti era iscritto al sindacato. Nel 2006, gli iscritti erano meno dell’8%. La conseguenza primaria è stata un drammatico declino del potere contrattuale degli operai americani di ottenere stipendi e benefici più alti. Tra il 1945 e il 1980, quasi tutte le contrattazioni sindacali portarono a un aumento dei salari; da lì in poi, gli accordi sindacali riguardarono spesso concessioni al ribasso sugli stipendi e sui benefici degli operai.Ancheilavoratorinon iscritti al sindacato ne subirono le conseguenze. I sindacati non possedevano più in nessun settore la forza necessaria per alzare gli stipendi. Unavisionecondivisada molti che militano nei sindacati americani attribuisce il declino nel numerodiiscrittiaun’ondata di virulento attivismo antisindacale da parte delle corporation, fomentato da Ronald Reagan, dopo che questo licenziò i controllori del traffico aereo in sciopero (uno sciopero illegale, peraltro)il5agostodel1981, interdicendoli per sempre dal lavoro. Secondo questa visione,legrandicorporation del paese interpretarono il gesto di Reagan come un via liberaadaggredireisindacati, cosachecominciaronoafare senzapietà. Uno dei punti controversi di questa teoria è la sua tempistica. Come si può notare nel grafico 2.2, le iscrizioni al sindacato iniziarono a calare rapidamente a partire dalla metà degli anni Settanta, durante la presidenza di Jimmy Carter. Quando Reagan licenziò i controllori di volo, la frana si era già trasformatainunavalanga107. Èverochegliamministratori delegati delle aziende americane intensificarono la loroattivitàantisindacale,ma l’assalto iniziò negli anni Settanta, non negli anni Ottanta. Nel 1962, il 46,1% delle elezioni sindacali ebbe luogo col pieno consenso dei datori di lavoro. Negli anni Settanta,questicominciarono a contestare i risultati delle elezioni. Nel 1977, solo l’8,6% delle elezioni avveniva senza contestazioni108. A partire daglianniSettanta,leaziende iniziarono anche a rimpiazzare i lavoratori in sciopero,eunnumerosempre maggiore di imprese minacciava di fare lo stesso se i lavoratori avessero osato scioperare. Cominciarono anchealicenziareilavoratori che praticavano attività sindacale sul posto di lavoro nelpienorispettodellalegge. Negli anni Cinquanta, il National Labor Relations Board (Consiglio nazionale delle relazioni sindacali) registrò licenziamenti illegali in una elezione sindacale su venti. Il tasso crebbe rapidamente a partire dagli anni Settanta. Negli anni Novanta, un’elezione sindacale su quattro aveva come conseguenza un allontanamento illegale dal lavoro109. Questavisionecomporta un altro problema. Le iscrizioni al sindacato non sono calate solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in Giappone. Per capire perché, torniamo sui punti affrontati in questo capitolo. La struttura di tutte le economie avanzate ha attraversato cambiamenti profondi, man mano che lo stabile sistema di produzione di massa cominciava a vacillare.Iprimicambiamenti avvennero negli Stati Uniti. Un tempo gli oligopoli erano stati in grado di assorbire gli aumentidistipendioalzandoi prezzi dei prodotti, ma con l’aumentaredellaconcorrenza e il disfacimento dei vecchi oligopoli, questo non fu più possibile. I consumatori ora avevano accesso a una scelta maggiorediprima.Nonerano più costretti a pagare prezzi che riflettevano i generosi contratti sindacali. Potevano setacciare il mercato alla ricerca dell’offerta migliore. Nel frattempo, un coro crescente di investitori cominciò a reclamare che gli amministratori delegati incrementassero il valore delle azioni della loro azienda.Altrimentiavrebbero dato i loro soldi a quelle aziende che riuscivano a far fruttare al meglio le loro azioni.Coldiffondersidiuna vasta gamma di nuovi fondi comuniedistrumentisempre piùsempliciperletransazioni finanziarie, anche gli investitori avevano adesso unamaggiorelibertàdiscelta. Nella corsa per soddisfare le richieste dei consumatori e degli investitori, gli amministratori delegati erano costantemente sotto pressione affinché tagliassero i costi. E dal momentocheicostimaggiori derivavano dagli stipendi e dai benefici dei lavoratori – ammontandoinmediaal70% dellespesetotali–idirigenti cominciaronoatagliarequesti per primi. Ciò di solito comportavaestenuantitestaa testa coi sindacati, quando non vere e proprie campagne antisindacali. Ronald Reagan probabilmente legittimò questestrategie,manonnefu lacausascatenante. Inoltre, se è vero che le corporation presero di mira i sindacati, questo non fu l’unico motivo per cui i sindacati persero la loro influenza e molti dei loro iscritti.DaglianniSettantain poi, il settore non sindacalizzato dell’economia americana crebbe più velocemente di quello sindacalizzato, perché i consumatori e gli investitori spostarono il loro denaro laddove potevano fare gli affari migliori110. In gran parte dell’economia americana, e sempre più anche nelle altre economie avanzate, i consumatori e gli investitori non erano più disposti a sovvenzionare i contrattieibeneficisindacali. Leimpresesindacalizzateche non tagliavano gli stipendi perdevano la loro quota di mercato a favore delle imprese sindacalizzate che lo facevano. Ed entrambe perdevanoiconsumatoriegli investitori a favore delle impresenonsindacalizzate. In seguito alla deregulationdelsettoreaereo, le aziende più grandi dovettero affrontare una feroce competizione da parte delle nuove, piccole aziende low-cost del settore che non erano sindacalizzate, o che anche qualora lo fossero non dovevano sostenere i costi delle pensioni o dell’assistenza sanitaria per i pensionati, che le grandi aziende avevano negoziato. In quello che sarebbe divenutounincuboricorrente per gli operai sindacalizzati delle vecchie linee aeree, Frank Lorenzo, amministratoredelegatodella Continental Airlines, nel 1982 portò la compagnia aerea, ormai al verde, alla bancarotta. A quel punto stracciò i contratti sindacali, licenziòmigliaiadilavoratori e assunse dei sostituti per i pilotiegliassistentidivoliin sciopero. Poi offrì ai nuovi assunti la metà dello stipendio dei vecchi dipendenti sindacalizzati e aumentò le ore di lavoro. Ovviamente Lorenzo fu ferocemente criticato, però riuscìafardinuovodecollare la Continental. Nel 1993, la Northwest Airlines minacciò di fallire e per prima cosa insistette per rinegoziare i contratti con gli assistenti di volo e i meccanici dell’azienda. Dieci anni più tardi, quando più di 4.000 meccanici della Northwest scioperarono, la compagnia aerea esternalizzò gran parte deipostidilavoro.Circa500 lavoratori iscritti al sindacato superarono il cordone degli scioperanti per riprendere a lavorare.Nel2002,laUnited Airlines fallì. I piloti e gli assistentidivolodell’azienda furono costretti ad accettare tagliaglistipenditrail9,5%e l’11,8%. La United si riorganizzò dopo la bancarotta nel 2006. Molti analisti di Wall Street, comunque, ritenevano che non avesse ancora tagliato abbastanza gli stipendi per esserecompetitiva. La crisi non risparmiò nessuno dei grandi sindacati del paese. Prima della fine degli anni Settanta, la United Auto Workers era riuscita a stipulareconiTreGrandidel settore automobilistico contrattid’oro:ipiùgenerosi eipiùsicuridituttiicontratti sindacali del paese. Un posto di lavoro in una fabbrica automobilisticaamericanaera un biglietto d’ingresso sicuro verso il ceto medio. La UAW era il re della strada, con il suo milione e mezzo di iscritti.Maapartiredallafine degli anni Settanta, tutto questocambiò. General Motors, Ford e Chrysler persero il potere di fissareiprezzi.Iconsumatori potevano ottenere condizioni migliori dalla Toyota, dalla Honda o dalle altre case automobilistiche straniere, anche quando le macchine erano fabbricate negli Stati Unitidaoperaiamericani.Più calavano i profitti delle tre grandi aziende automobilistiche americane, più irrequieti si facevano gli investitori. Gli stipendi e i benefici generosi che offrivano ai loro lavoratori non erano di certo l’unico problema di queste imprese. Anni e anni di operato all’interno dello stabile sistema oligopolistico avevano intorpidito i vertici delleaziende.Ladirezionesi era fatta pigra. Troppe delle loro macchine si rivelavano dei rottami. Dalla fine degli anni Ottanta in poi, però, anche loro cominciarono a svegliarsi e a imparare la lezione dai giapponesi; nel girodidiecianniriuscironoa colmareilgapqualitativoedi affidabilità che li separava dallealtreaziendedelsettore. Ma non riuscivano ancora a essere competitive. I costi erano troppo alti. La UAW avevacombattutoperlasciare inalterati il più possibile gli stipendi e i benefici dei lavoratori già assunti, in particolare di quelli più anziani,cheeranoprotettidal licenziamento dalle regole sull’anzianitàdiservizio. Nel 2006, gli operai sindacalizzati dei Tre Grandi guadagnavanocirca60dollari l’ora in stipendi e benefici, una somma ancora notevole rispetto ai lavoratori non sindacalizzati del paese. I fabbricanti di automobili giapponesi che operavano negli Stati Uniti pagavano i loro dipendenti circa 40 dollari l’ora. Sui tre, inoltre, gravava ancora il peso della promessa fatta ai lavoratori anni prima di assicurare loro generose pensioni e benefici di assistenza sanitaria una volta lasciata l’azienda. I produttori giapponesi non dovevano affrontare queste spese. Non c’è da sorprendersi, quindi, se le aziende americane continuarono a restringersi e quelle giapponesi – Toyota, HondaeNissan–acrescere. Nel2006,laforzalavoro delle tre maggiori aziende automobilistiche americane era la metà di quella che era stataneilorogiornidigloria. Ed era destinata a diminuire ulteriormente. La GM annunciò i suoi piani per chiudere una dozzina di fabbriche e licenziare altri 30.000 lavoratori; la Ford disse che avrebbe tagliato 75.000 posti di lavoro; la Chrysler non faceva neanche più parte del trio: ora si chiamava Daimler Chrysler e aveva la sede in Germania, a Stoccarda. Nel 2006, la Toyota possedeva quindici fabbriche di assemblaggio e di componenti in Nord America e impiegava 38.000 operai, e si apprestava a superare il numero di operai della Ford. Solo il 60% dei consumatori americani, e quasi nessuno dei giovani, acquistava più le automobili dei Tre Grandi. Wall Street, dal canto suo, non era più disposta a investirvi. Considerava le azioni della GM e della Ford spazzatura. Gliulterioritagliaglistipendi ancora non soddisfacevano gli investitori. «Quante volte, negli ultimi vent’anni, la GM ha annunciato imponenti piani di ristrutturazione, senza che questo facesse crescere il valore delle sue azioni?», si domandava David Sowerby, gestore di portafoglio della Loomis Sayles, un fondo di gestione finanziaria che possedeva un patrimonio di 70 miliardi di dollari111. Anche altre aziende che impiegavano lavoratori sindacalizzati stavano affrontando gli stessi problemi. Deplhi, un’enorme azienda di componenti per automobili nata da una costola della GM, nel 2006 pagava i suoi operai sindacalizzati27dollaril’ora, 65considerandoibenefici.In Cina, dove la Delphi possedeva una fabbrica, pagavaisuoioperai3dollari l’ora. Robert “Steve” Miller Jr, un noto “ribalta-aziende”, che divenne l’amministratore delegato della Delphi nel 2005,siimpegnòaridurredi due terzi i 34.000 dipendenti della Delphi e a tagliare gli stipendi fino a un minimo di 10 dollari l’ora. La UAW non ne voleva sentir parlare. Allora Miller fece fallire la Delphi e cancellò tutti i contratti sindacali. Miller avvertì che qualsiasi altra scelta avrebbe messo a rischio l’intera forza lavoro dellaDelphi112. Non importava che un’aziendafosseredditizia;se gli investitori potevano trarre maggiori profitti e migliori prezzi delle azioni altrove, l’azienda era comunque a rischio. Non importava neanche che un prodotto fosse relativamente economicoedibuonaqualità, se i consumatori potevano trovaredimeglioaltrove.Nel 2006, la Caterpillar Tractor eraun’aziendacherealizzava profitti, ma era sotto pressione da parte degli investitori affinché generasse entrate maggiori. Il sindacato voleva preservare i buoni stipendi e i benefici dei suoi lavoratori. Per soddisfare sia Wall Street che il sindacato, la Caterpillar decise di distinguere in due gruppi la sua forza lavoro. I lavoratori già assunti avrebbero continuato a ricevere 42 dollari l’ora, ma quelli che sarebbero entrati nell’azienda da quel momento in poi ne avrebbero guadagnati 22 l’ora. «Bisogna trovare un equilibrio», dichiarò il presidente del gruppo, Douglas Oberhelman, al «New York Times», «tra essere competitivi e continuare ad appartenere al cetomedio»113. I lavoratori del settore terziario – negozi, ristoranti, alberghi, centri di assistenza ai giovani e agli anziani, ospedali,trasporti–dovevano affrontare una sfida diversa daquelladeiloroequivalenti nella grande industria. I loro posti di lavori non rischiavano di scomparire. Non potevano né essere esternalizzati all’estero né automatizzati. Al contrario, i posti di lavoro nel terziario negliStatiUniticontinuarono a crescere. Il problema era che di norma i lavoratori ricevevano stipendi molto bassiequasinessunbeneficio e avevano poche opportunità dicrescita.Inoltre,lamaggior parte di loro non era sindacalizzata. Se lo fosse stata, forse avrebbe avuto un maggiorpoterecontrattuale.I sindacati di riferimento del settore – il Service Employees International Unione (S), i Teamsters, gli Hotel Employees e il Restaurant Employees International Union, e l’United Food and Commercial Workers – lasciarono l’AFL-CIO. La scissioneeradovutapiùauna divergenza di visione sulle strategie che a problemi di carattere interpersonale, anche se la stampa popolare enfatizzò quest’ultimo aspetto.Isindacatidelsettore terziario consideravano loro compito quello di migliorare le prospettive di lavoro della gente piuttosto che salvare deipostidilavoroarischiodi estinzione. Il loro futuro dipendeva da quanti lavoratori terziari si iscrivevano al sindacato, e in quanto tempo. La questione organizzativa era un problemacentrale. Si sarebbe rivelata una battagliaardua,però,perchéi consumatori avevano ormai un’ampia scelta anche a livello locale, dai negozi online agli ipermercati come Wal-Mart.Wal-Mart,daparte sua, seguiva una ferrea politica antisindacale, arrivando perfino a chiudere una sede canadese in cui i lavoratori avevano deciso di riunirsi in un sindacato. Man manocheWal-Martsiapriva ai prodotti alimentari e ai farmaci,lecatenealimentarie farmaceutichecominciaronoa tagliare gli stipendi. Questo suscitò una reazione prevedibile: nel 2003, circa 60.000dipendentiditredelle principali catene di supermercati della California proclamarono uno sciopero. Dopo una lunga e dolorosa serrata, i lavoratori videro soddisfatte alcune delle loro richieste. Nell’estate del 2005, più di mille farmacisti di Walgreens114 scioperarono a Chicago. La protesta fu soffocata quando la metà dei farmacisti varcò il cordone degli scioperanti per tornare allavoro. Il declino dei sindacati, quindi, è da imputare anche alla ricerca disperata dell’affare migliore da parte dei consumatori e degli investitori. Con le spiacevoli conseguenze per i dipendenti chequestohacomportato. 9 Quindi, per riassumere: le tecnologie emerse nel corsodellaGuerraFredda–i container, le navi e gli aerei cargo,icaviafibraotticaei sistemi di comunicazione satellitare–hannospianatola strada verso il supercapitalismo. Hanno permesso la creazione di catene di fornitura globali. Hanno reso possibile lo sviluppo commerciale di computeresoftwareingrado di ridurre drasticamente i costi di produzione, senza il bisogno di un’economia di scala, e di creare reti di distribuzione in Internet. Tutto questo ha mandato in frantumi il vecchio sistema della produzione di massa e aumentato enormemente la concorrenza. Ha permesso alle grandi catene di ipermercati di aggregare il potere d’acquisto dei consumatorieottenereprezzi semprepiùbassi.Hacreatole condizioni giuste affinché venisseroabbattutelebarriere regolatrici nel settore aereo, autotrasportato, del trasporto marittimo, delle telecomunicazioni e dei servizi finanziari, creando nuove opportunità di guadagno per i nuovi imprenditori e favorendo ulteriormente la concorrenza. Le tecnologie emergenti e la deregulation finanziaria, insieme, hanno offerto agli investitori la possibilità di depositare i loro risparmi in enormi fondi comuni e fondi pensione che esercitavano pressione sulle aziende affinché incrementassero i profitti. Gli amministratori delegati che soddisfacevano le aspettative degli azionisti erano ampiamente ripagati. Quelli che non lo facevano erano licenziati. Infine, la crescente concorrenza per accaparrarsi i consumatori e gli investitori ha spinto le aziende a tagliare i costi, a danno soprattutto dei lavoratorisindacalizzati. Leistituzionicentralidel capitalismo democratico durante l’età non proprio dell’oro – le grandi aziende oligopolistiche, i grandi sindacatidimassaorganizzati per settore e il Governo che davavoceagliinteressilocali e delle varie comunità per mezzo delle agenzie regolatrici – sono scomparse. I cosiddetti statisti aziendali hanno perso la capacità di controbilanciare gli interessi dell’azienda con quelli dei dipendenti e delle comunità locali. Il potere è passato nelle mani dei consumatori e degli investitori. Il supercapitalismo ha rimpiazzato il capitalismo democratico. Cosapensiamodiquello che è successo? Molti di noi, sesiamoonesticonnoistessi, sonoprofondamentedivisi. 63 Ilmaterialeinerenteallatransizione dell’America e del mondo verso il supercapitalismo tra gli anni ’70 e la fine del xx secolo è scarso, ma ho trovato i seguenti libri e articoli utili a gettarelucesualcuniparticolariaspetti della transizione. Vedi, per esempio, Alice Amsden, Asia’s Next Giant: SouthKoreaandLateIndustrialization, New York, Oxford University Press, 1989; Leszek Balcerowicz, Socialism, Capitalism, Transformation, Londra, Central European University Press, 1995; Robert Barro, Getting It Right: MarketsandChoicesinaFreeSociety, Cambridge, MIT Press, 1996; Richard Baum, Burying Mao: Chinese Politics intheAgeofDengXiaoping,Princeton, Princeton University Press, 1996; StephenBeckner, BackfromtheBrink: TheGreenspanYears,NewYork,John Wiley & Sons, 1996; National DiversityandGlobalCapitalism,acura di Suzanne Berger e Ronald Dore Ithaca, Cornell University Press, 1991; Richard Bernstein - Ross Munro, The Coming Conflict with China, New York, Alfred A. Knopf, 1997; Jagdish Bhagwati, India in Transition: Freeing the Economy, Oxford, Oxford UniversityPress,1995; TheRegulatory Challenge, a cura di Matthew Bishop, John Kay e Colin Mayer Oxford, OxfordUniversityPress,1995;Stephen Breyer, Regulation and Its Reform, Cambridge, Harvard University Press, 1982; Lowell Bryan - Diana Farrell, Market Unbound: Unleashing Global Capitalism, New York, John Wiley & Sons, 1996; Javed Burki - Sebastian Edwards, Dismantling the Populist State: The Unfinished Revolution in Latin America and the Caribbean, Washington D.C., World Bank, 1996; Richard Cockett, Thinking the Unthinkable: Think-tanks and the Economic Counter-Revolution, 19311983,Londra,Fontana,1995; Statesor Markets? Neo-Liberalism and the Development Policy Debate, a cura di Christopher Colclough - James Manor, Oxford,OxfordUniversityPress,1995; “The Future of the State: A Survey of the World Economy”, a cura di Clive Crook, in «Economist», 20-26 settembre, 1997; The Neoconservative Imagination, a cura di Christopher DeMuth-WilliamKristol,Washington D.C., AEI Press, 1995; Jorge Domínguez, Technopols: Freeing Politics and Markets in Latin America in the 1990s, University Park, Pennsylvania State University Press, 1997; Grzegorz Ekiert, The State Against Society: Political Crises and Their Aftermath in East Central Europe,Princeton,PrincetonUniversity Press,1996;JamesFallows,Lookingat theSun:TheRiseoftheNewEastAsian Economic and Political System, New York, Pantheon, 1994; American EconomicPolicyinthe1980s,acuradi Martin Feldstein, Chicago, University of Chicago Press, 1994; Milton Friedman, Capitalism and Freedom, Chicago, University of Chicago Press, 1982 [Capitalismo e libertà, trad. di Renato Pavetto, Pordenone, Studio Tesi, 1987]; Francis Fukuyama, The EndofHistoryandtheLastMan,New York, Free Press, 1992 [La fine della storia e l’ultimo uomo, trad. di Delfo Ceni, Milano, Rizzoli, 1992]; William Greider,OneWorld,ReadyorNot:The Manic Logic of Global Capitalism, New York, Simon & Schuster, 1998; Bennett Harrison - Barry Bluestone, The Great U-Turn, New York, Basic Books, 1988; Paul Holden - Sarath Rajapatirana, Unshackling the Private Sector: A Latin American Story, Washington D.C., World Bank, 1995; Douglas Irwin, Against the Tide: An Intellectual History of Free Trade, Princeton, Princeton University Press, 1996; Christopher Johnson, The Economy Under Mrs. Thatcher, 19791990, Londra, Penguin, 1991; Alfred Kahn, Economics of Regulation: Principles and Institutions, New York, John Wiley & Sons, 1970; Ethan Kapstein, Governing the Global Economy: International Finance and the State, Cambridge, Harvard University Press, 1996 [Governare l’economia globale: la finanza internazionaleelostato,trad.diElena Ganelli, Trieste, Asterios, 1999]; Paul Krugman, The Age of Diminished Expectations: U.S. Economic Policy in the1990s,Cambridge,MITPress,1995 [Il silenzio dell’economia: una politica economica per un’epoca di aspettative deboli, trad. di Giuseppe Barile, Milano, Garzanti, 1991]; Steven A. Morrison - Clifford Winston, The Evolution of the Airline Industry, Washington D.C., Brookings Institution, 1995; William Niskanen, Reaganomics: An Insider’s Account of thePoliciesandthePeople,NewYork, Oxford University Press, 1988; Sylvia Ostry, The Post-Cold War Trading System: Who’s on First?, Chicago, University of Chicago Press, 1997; Peter Temin - Louis Galambos, The Fall of the Bell System: A Study in Prices and Politics, New York, Cambridge University Press, 1987; Raymond Vernon - Debora Spar, BeyondGlobalism:RemakingAmerican Foreign Economic Policy, New York, FreePress,1989;JohnVicker-George Yarrow, Privatization: An Economic Analysis,Cambridge,MITPress,1993; Daniel Yergin - Joseph Stanislaw, Commanding Heights: The Battle Between Government and the Marketplace That Is Remaking the Modern World, New York, Simon & Schuster,1998. 64 Diego Comin - Thomas Philippon, “The Rise in Firm-Level Volatility: Causes and Consequences”, in «nber Working Paper», n. 11388, maggio 2005; Diego Comin - Erica Groshern B. Rabin, “Turbulent Firms, Turbulent Wages?”, in «NBER Working Paper», n.12032,febbraio2006. 65 John Micklethwait - Adrian Woolridge, The Company: A Short History of a Revolutionary Idea, New York, Modern Library, 2003, pp. 129130. 66 La tecnologia utilizzata programmicomeSkypeealtri. da 67 Giornale online di annunci gratuiti; tra i dieci siti più visitati degli Stati Uniti. 68 Su questo punto, vedi Chris Anderson, The Long Tail: Why the Future of Business Is Selling Less of More, New York, Hyperion, 2006 [La lunga coda, trad. di Susanna Bourlot, Torino,Codice,2007]. 69 KateHafner,“ForeBay,Departures Underscore a Risky Time”, in «New York Times», 10 luglio 2006, pp. C1, C3. 70 Su questo punto, vedi William Nordhaus,“RetrospetiveonthePostwar Productivity Slowdown”, in «Cowles FoundationDiscussionPaper»,n.1494, 2004, consultabile all’indirizzo <http://cowles.econ.yale.edu/P/cd/d14b/d 71IlRobinson-PatmanActdel1936,il cui scopo era di proteggere i piccoli rivenditori locali dalle grandi catene, non pose alcun freno alla crescita di Wal-Martodialtriipermercati.Questo perché, quando Wal-Mart era ormai un’azienda colossale, la legge era già statasilenziosamentefattaapezzidalle corti federali che, con una serie di sentenze, decretarono che la legge non avevacomescopoquellodidifenderela libera concorrenza ma di difendere i consumatori da un potere di mercato eccessivocheavrebbepotutofarsalirei prezzi. Secondo questa logica, dal momento che molte grandi catene offrivanoprezzimigliorideirivenditori indipendenti, non violavano la legge. Vedi, per esempio, United States v. U.S. Gypsum Company, 438 US 442 (1978), Great Atlantic & Pacific Tea Company v. FTC, 440 US 69 (1979), FallsCityIndustriesv.VancoBeverage (1983). Un altro piccolo ma significativo passo verso il supercapitalismo. 72 Ira Magaziner - Robert Reich, Minding America’s Business, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1982,pp.230-231. 73 «Computer Aided Engineering», gennaio1981,pp.25-30. 74 MarcLevinson, The Big Box: How theShippingContainerMadetheWorld Smaller and the World Economy Bigger,Princeton,PrincetonUniversity Press,1996[Thebox:lascatolacheha cambiato il mondo, trad. di S. Murer, Milano,Egea,2007]. 75 Alexander Jung, “The Box That Makes the World Go Round”, in «Spiegel Online», 25 novembre 2005, consultabile all’indirizzo <http://www.spiegel.de/international/spie 76 Dati presa da Alan Greenspan, “Goods Shrink and Trade Grows”, in «WallStreetJournal»,23ottobre1988, p.A1. 77 Quell’anno, stando al dipartimento delCommercio,il66%delletvedelle radioacquistatedagliamericani,il45% delle macchine utensili, il 28% delle automobilieil25%deicomputererano prodotti fuori dagli Stati Uniti. Per un sommario, vedi Monroe W. Karmin, “Will the U.S. Stay Number One?”, in «U.S. News & World Report», 2 febbraio, 1987, p. 18. Vedi anche Robert Reich, The Work of Nations, New York, Alfred A. Knopf, 1991 [L’economia delle nazioni, trad. di Maria Antonietta Giannotta, Milano, Il sole24ore,1993]. 78 «BusinessWeek», 20 giugno 1980, p.12. 79 Michael Dertouzos et al., Made in America: Regaining the Productive Edge, Cambridge, MIT Press, 1989, p. 1. 80 Dati presi da Joseph Grunwald Kenneth Flamm, The Global Factory: Foreign Assembly in International Trade, Washington D.C., Brookings Institution,1985,pp.14-20. 81 Louis Uchitelle, “Made in the U.S.A.(ExceptfortheParts)”,in«New YorkTimes»,8aprile2005,p.C1. 82 Per un’analisi più dettagliata del cambiamento del significato di competitività nazionale, vedi il mio L’economia delle nazioni, Milano, il Sole24orelibri,1993. 83 Patricia Panchak, “Shaping the Future of Manufacturing: A Tour Through Manufacturing’s Recent History Reveals Clues of What’s to Come”,in«IndustryWeek»,1gennaio 2005,p.38. 84Anderson,op.cit. 85 Betsy Morris, “The New Rules”, in «Fortune»,24luglio2006,p.80. 86 Sulla deregulation dell’industria aerea e di altre, vedi Ronald Fox, Managing Business-Government Relations: Cases and Notes on Business-Government Problems, Homewood, Illinois, Richard D. Irwin, 1982. 87 Vedi Philip E. Strahan, “The Real EffectsofU.S.BankingDeregulation”, Federal Reserve Bank of St. Louis, luglio-agosto2003;RandallS.Kroszner e Philip E. Strahan, “What Driver Deregulation? Economics and Politics of the Relaxation of Bank Branching Restrictions”, in «Quarterly Journal of Economics»,n.14,novembre1999,pp. 1437-1467. 88ThomasH.HammondeJackKnott, “The Deregulatory Snowball: Explaining Deregulation in the Financial Industry”, in «The Journal of Politics»,n.50,1988,pp.3-30. 89 Citato in “A Quantum Leap for Communications”,in«BusinessWeek», 28novembre1983,p.92. 90 Citato in “Revolution in Financial Services”, in «BusinessWeek», 28 novembre1983,p.89. 91Pianiacontribuzionedefinitaofferti daunacorporationaipropridipendenti peraccantonareunapartedelredditoa scopi futuri previdenziali. Il nome deriva dal numero della sezione del codice fiscale che descrive il programma. 92 Dati presi dal New York Stock Exchance, dal Securities Industry Association e dall’Economic Policy Institute. 93 Dati presi dal New York Stock ExchangeStatisticArchiveall’indirizzo <http://www.nyse.com/marketinfo/datalib 94 Durante gli anni Novanta, il totale delle azioni posseduto dalle famiglie americane è aumentato del 443%, da 1,81a8,01biliardididollari.Leazioni in mano ai fondi comuni sono aumentate tre volte più velocemente, passando 233 miliardi di dollari a 3,36 biliardididollari.Nel1980,esistevano solo228fondicomuniconunvaloredi inventario di soli 44,4 miliardi di dollari.Nel1999,ifondicomunierano 3.952 con un valore di inventario di 4,04biliardididollari.Altri2,5biliardi di dollari erano depositati nei fondi pensione (con un aumento del 420% rispetto ai 595 miliardi di dollari del 1990). Un’altra fetta consistente era nelle mani delle compagnie d’assicurazione (1,17 biliardi di dollari di azioni nel 1999, rispetto ai 162 miliardi di dollari del 1990) e dei consorzi bancari. Dati presi da Investment Company Institute, 2000 Mutual Fund Fact Book, New York, Investment Company Institute, 2000, pp. 69,71. Vedi anche U.S. Census Bureau, Statistical Abstract of the UnitedStates2000,p.523. 95 Bureau of Economic Analysis, NationalIncomeandProductAccounts, tavola 1.14, all’indirizzo <http://www.bea.gov/national/nipaweb/S 96 Citato in “Time of His Life”, in «Economist»,9febbraio2006,p.64. 97 Floyd Norris, “Executives’ Downfall:The‘Managing’ofNumbers Turned into Manipulating Them”, in «New York Times», 27 maggio 2006, p.C4. 98 CitatoinIanSomerville-D.Quinn Mills,“LeadinginaLeaderlessWorld”, in «Leader to Leader», estate 1999, p. 32. 99 Citato in Jason Leow, “Sell = Fire: Analysts’ViewsCloudCEO’sJobs”,in «WallStreetJournal»,5-6agosto2006, p.B3. 100 Chuck Lucier - Paul Kocourek Ralf Habbel, The Crest of the Wave, NewYork,BoozAllenHamilton,2006. 101 Gretchen Morgenson, “McKinnell Fumbled Chance to Lead”, in «New YorkTimes»,6agosto2006,p.C1. 102 Citato in Jack Welch, Jack: Straight from the Gut, New York, McGraw-Hill,1999,pp.38-39. 103 Bill Hutchinson, “Pittsfield Fears PCBs Are Taking Lethal Toll”, in «Boston Herald», 8 settembre 1997, p. 6. 104Motosega. 105 John Byrne, Chainsaw: The Notorious Career of Al Dunlap in the Era of Profit-at-Any-Price, New York, HarperBusiness,2003,p.155. 106 Scott Malone, “Spillane: Malden’s Next Chapter”, in «Women’s Wear Daily»,18aprile2005,p.24. 107RestoringthePromiseofAmerican LaborLaw,acuradiS.Friedmanetal., Ithaca,ILRPress,1994. 108 Richard Prosten, “The Rise in NLRB Election Delays: Measuring Business’s New Resistance”, in «Monthly Labor Review» 102, n. 2, 1979,p.59. 109 Commission on the Future of Worker-Management Relations, “Fact Finding Report”, Washington D.C., U.S. Department of Labor, maggio 1994. 110 A riprova della crescita dei settori non sindacalizzati dell’economia, vedi HenryFarber-BruceWestera,“Round UptheUsualSuspects:TheDeclineof Unions in the Private Sector, 19731998”, Industrial Relations Section, PrincetonUniversity,WorkingPapern. 437,aprile2000. 111 Citato in Lee Hawkins Jr, “Fitch Takes Dim View of GM’s Moves”, in «Wall Street Journal», 23 novembre 2005,p.A3. 112MichelineMaynard,“DelphiChief FightsBattleofDetroit”,in«NewYork Times»,23novembre2005,p.C1. 113 Louis Uchitelle, “Two Tiers, Slipping into One”, in «New York Times»,26febbraio2006,p.C1. 114 Grandecatenadifarmacieconpiù di6000puntivenditaintuttal’America. 3.Lamentedivisa115 Negli ultimi anni, i sostenitori del capitalismo americano–ifrequentatoridi Wall Street, i lobbisti di K Street, a Washington, gli occupantidellesuiteaziendali e delle penthouse di New York, gran parte dei repubblicani, molti economisti, gli editorialisti del «Wall Street Journal» e i propagandisti del libero mercato in tutto il mondo – sono riusciti a malapena a contenere il loro entusiasmo per l’andamento dell’economia. Il prodotto interno lordo statunitense è quasi triplicato rispetto agli anniSettanta!IlDowJonesè passato da quota 1.000 di alloraadoltre13.000dioggi! Hanno visto la luce una schiera di innovazioni e invenzioni mirabili e una miriade di nuovi prodotti e servizi! I fan del sistema disdegnano quelle che considerano limitazioni all’ulteriore sviluppo del capitalismo: le tasse e le regolazioni, i sindacati, le inefficienze della “vecchia Europa”, tutto ciò che ostacola il benessere del consumatore e i profitti dell’investitore. Di contro, molti sindacalisti e attivisti locali, gran parte dei democratici, alcuni economisti, molti sociologi, gli editorialisti del «New York Times», i fautori del protezionismo e i populisti di sinistra sono preoccupati da quello che sta accadendo. Sempre più lavoratori non riescono a tenereilpasso!Laforbicetra ricchi e poveri si allarga sempre di più! I lavori sono precari! Le comunità si disgregano! L’ambiente è sempre più danneggiato! I diritti umani all’estero sono calpestati! A volte i conservatori si uniscono al coro, specialmente quando si tratta di criticare l’involgarimentodellacultura americana e l’apparente ossessione dell’industria dell’intrattenimento per il sesso e la violenza. Secondo questicritici,laresponsabilità è da imputare a cupidi amministratori delegati, corporation immorali e in generale alla cricca di rappresentanti dell’élite globale. Le due visioni – È un miracolo! È una tragedia! – descrivono entrambe alcuni aspetti del supercapitalismo del XXI secolo. Ma prese separatamente,sonoambedue pericolosamente fuorvianti. Ognuna esclude l’altra, che nonèaltrocheilsuorovescio della medaglia. Ognuna accusa delle forze immaginarieperlostatodelle cose, quando in realtà siamo tutti, o quasi tutti, responsabili. Lascomodaveritàèche moltidinoisonodivisi:come consumatori e investitori vogliamo l’affare migliore. Come cittadini, però, non apprezziamo molte delle conseguenze sociali che questo comporta. Nell’età non proprio dell’oro gli equilibri del capitalismo democratico erano ben diversi: come consumatori e investitori eravamo messi molto peggio; ma come cittadini,lecoseciandavamo meglio. Qual è l’equilibrio giusto? I benefici che abbiamo ottenuto come consumatori e investitori giustificano il prezzo che abbiamo pagato per essi? È quasi impossibile dirlo. Le vecchie istituzioni del capitalismo democratico, e le trattative che le caratterizzavano,nonesistono più. Ma al loro posto non sono emerse nuove istituzioni. Non abbiamo nessuno strumento di riequilibrio. I nostri desideri in quanto consumatori e investitori di solito hanno la meglioperchénonabbiamoi mezzi per esprimere i nostri valori in quanto cittadini, se non puntando il dito contro i bersaglisbagliati.Questaèla vera crisi della democrazia nell’eradelsupercapitalismo. 1 Oggigiorno, negli ambienti progressisti, va di moda criticare Wal-Mart. «Quello che mi preoccupa di Wal-Mart è che sembra infischiarsene delle sorti del cetomedio»,gridòilsenatore Joe Biden dalla terrazza dell’edificio della State Historical Society of Iowa, a Des Moines. Mancavano poco più di due anni alle elezioni presidenziali del 2008 e Biden, in quanto candidato democratico, voleva presentarsi come uno chesipreoccupavadellesorti dei lavoratori americani. «Si parladistipendidi10dollari l’ora... Come puoi condurre una vita middle-class con quellacifra?»116. Da quando ha rimpiazzato la General Motors come mascotte dell’economia del paese, Wal-Mart è divenuto il simbolodituttociòchec’èdi sbagliato nel capitalismo americano. Negli anni Cinquanta e Sessanta, la GM guadagnava più di ogni altra azienda sulla terra ed era il datore di lavoro più grande d’America. Pagava ai suoi dipendenti solidi stipendi da ceto medio, con tanto di benefici, per l’equivalente di circa 60.000 dollari di oggi l’anno. Wal-Mart, l’azienda più redditizia e il maggiore datore di lavoro del paese, paga i suoi dipendenti circa 17.500 dollari l’anno, o poco meno di 10 dollari l’ora, e i beneficicheoffresonoridotti all’osso: nessuna pensione e quasi nessun beneficio sanitario.EWal-Martfatutto ciò che è in suo potere per tenere al minimo gli stipendi e i benefici. Alcuni memorandum interni del 2005 suggerivano di assumere più lavoratori parttime per diminuire le spese sanitarie dell’azienda e di porre tetti agli stipendi dei dipendenti più anziani, affinché non chiedessero aumenti. Inoltre, come ho detto in precedenza, WalMart porta avanti un’aggressiva politica antisindacale. L’amministratore delegato di Wal-Mart nel 2007 era H. Lee Scott; Jr Scott non aveva nulla a che spartirecon“EngineCharlie” Wilson, che come amministratoredelegatodella GM negli anni Cinquanta non vedevaalcunadifferenzatrail destino della sua azienda e quello del suo paese. Scott aveva una visione molto meno romantica del ruolo di Wal-Mart nella società. «Alcuni critici credono in buonafedecheWal-Mart,per via delle sue dimensioni, debba giocare lo stesso ruolo che si pensa abbia giocato la General Motors dopo la seconda guerra mondiale. Ovvero aver creato quella classe media di cui questo paese va così fiero», disse. «Laveritàèchelavenditaal dettaglio non ricopre quel ruolo in questa economia»117. Scott aveva ragione. Il vero problema – e non è certo colpa sua – è che quel ruolo nonèpiùricopertopressoché danessuno. La retorica polemica su Wal-Mart non è neanche lontanamente interessante quanto il dibattito che potremmo fare con noi stessi secirendessimocontodiciò che è in ballo. Milioni di noi fanno la spesa da Wal-Mart perché i prodotti sono eccezionalmente economici. Inoltre, molti di noi possiedono delle azioni di Wal-Martpermezzodifondi pensioneefondicomuni.Non è che Wal-Mart sta pagando per i nostri peccati? Dopotutto, il suo fondatore, Sam Walton, e coloro che lo hanno seguito non hanno di certo creato la catena più grandedelmondopuntandoci una pistola alla testa e costringendoci a fare acquisti nelloronegoziooainvestirvi inostririsparmi. Senzadubbio,Wal-Mart potrebbepermettersidioffrire stipendiebeneficimiglioriai propri dipendenti. Ma rimarrebbe competitiva se lo facesse?Nel2005,ilmargine di profitto dell’azienda sulle vendite era all’incirca del 3,5%. Questo ammontava a circa 6.000 dollari per dipendente. In teoria, quindi, Wal-Mart ha un certo margine di manovra. Se aumentasse gli stipendi e i beneficidituttiidipendentia tempo pieno di 3,50 dollari l’ora, il costo aggiuntivo sfiorerebbe appena il 3% di tutte le vendite di Wal-Mart negli Stati Uniti. Potrebbe assorbire i costi aumentando un po’ prezzi o accettando entratepiùbasse.Mapochidi noi, in quanto clienti di WalMart, vedrebbero di buon occhiounaumentodeiprezzi. Potremmo decidere di andare afareinostriacquistialtrove, dove i prezzi sarebbero più bassi. Di certo non apprezzeremmo una riduzione dei profitti in quanto investitori. Potremmo decidere di investire i nostri soldi altrove, presso chi ci garantisce dei ritorni maggiori. In realtà, nel 2006, i profitti di Wal-Mart hanno cominciato a vacillare. Nel secondo trimestre del 2006, l’azienda ha registrato il primo calo di profitti in un decennio. A quanto pare, i consumatori e gli investitori stavano trovando offerte migliori altrove. Il valore dei titoli di Wal-Mart, che era cresciuto del 1,1% negli anni Novanta, all’alba del XXI secolo stava subendo un tracollo. La questione degli stipendi e dei benefici relativamente bassi di WalMart – e la nostra complicità in quanto consumatori e investitori – non è nulla se paragonata all’effetto che Wal-Mart ha sugli stipendi e sui benefici di decine di milioni di lavoratori lungo tutta la filiera dell’economia. E qui la nostra responsabilità è più rilevante. Come abbiamo visto, Wal-Mart riesce a ottenere dei prezzi così bassi spremendo i suoi fornitori. Essendo l’azienda singola più grande al mondo, Wal-Mart ha un enorme potere contrattuale. «Ci aspettiamo che nostri i fornitori scarichino i costi al di fuori della catena di fornitura», ha affermato un portavocedell’azienda118.Che tradotto vuol dire: ci aspettiamo che i nostri fornitori spremano il più possibile gli stipendi e i benefici dei milioni di personechelavoranoperloro negli Stati Uniti e all’estero. Se non lo fanno, ci rivolgeremo a qualcuno che lofarà. I fornitori di Wal-Mart potrebberoridurreicosticon la creazione di prodotti e servizi migliori dei precedenti, mantenendo immutati gli stipendi. Ma poiché i salari ammontano in media al 70% dei costi di un’azienda, è quasi inevitabile che l’effetto si farebbe sentire anche sui salari e sui benefici. Se il lavorocostatropponegliStati Uniti, i fornitori possono esternalizzare il lavoro in Cina,nelSudestasiaticooin Messico;opossonosostituire gli esseri umani con delle macchine. Altrimenti, come potrebbe Wal-Mart vendere un detersivo a un prezzo ridottissimo rispetto a una confezionedidetersivoTide? O televisori a 50 dollari e stampantia30?Oungallone di sottaceti Vlasic – più di cinque chili, la fornitura per un anno intero – a 2,98? Pensate a Wal-Mart come a un rullo compressore che si sposta lungo l’economia globale,abbassandoicostidi tuttociòcheincontralungola strada–tracuiglistipendiei benefici di milioni di lavoratori – man mano che spreme l’intero sistema produttivo. È grazie a questa politicacheiconsumatoriche affollano i negozi Wal-Mart alla ricerca del prezzo migliore risparmiano almeno 100miliardididollaril’anno. Alcuni studi hanno stimato il risparmio più vicino a 200 miliardi di dollari119. Questo ammontaapiùdi600dollari a famiglia: non poco per il consumatore medio di WalMart, che ha un reddito familiare che nel 2005 si aggirava sui 35.000 dollari l’anno. Wal-Mart è il rullo compressore per eccellenza, mavenesonoaltri.Grazieal nostro accresciuto potere in quanto consumatori e investitori nello scegliere i prodotti migliori e a minor prezzo tra una vasta gamma di alternative, quasi ogni azienda è stata costretta a diventare un rullo compressore. È per questo che gran parte dei prezzi si sonoabbassatiinterminireali e che molti prodotti e servizi sono migliori ora di quanto non lo fossero qualche decenniofa,echeunnumero maggiore di americani ha accesso a una quantità di prodottipiùvastachemai. I mercati dei consumi sono lungi dall’essere perfetti, ovviamente. Alcune grandi aziende conservano ancora monopoli temporanei per mezzo di brevetti e copyright o strategie predatorie atte a intimidire la concorrenza. I consumatori a volte hanno difficoltà a orientarsi tra i prezzi e sono manipolati affinché acquistinoprodottidicuinon hanno bisogno: è per questo che l’industria pubblicitaria gioca un ruolo così enorme nella nostra economia e che “il rimorso del consumatore” è un problema così diffuso. Nonostantequestefalle,però, negli ultimi decenni il mercato è diventato più sensibile alle nostre richieste in quanto consumatori di quantononlosiamaistato. Laprovastaneinumeri. (Per comodità, per fare i raffronti che seguono, ho preso come riferimento il valore del dollaro nel 2000). Un televisore a colori che costava 2,227 dollari quando furono introdotte le prime TV negli anni Cinquanta, nel 1967giàcostavalametà.Nel 2000,ilsuoprezzoeracalato a soli 175 dollari, divenendo accessibile pressoché a tutte lefamiglieamericane,incluso oltre il 90% delle famiglie che vivevano sotto la soglia dellapovertà120. I forni a microonde hanno seguito la stessa parabola. Nel 1955, costavano 1.300 dollari. Nel 1967, se ne poteva comprare unoper495dollari.Nel2002, il prezzo era sceso a 208 dollari121,allaportatadiquasi tutte le famiglie americane, incluso il 73% di quelle classificate come povere. Il prezzo dei videoregistratori è diminuito più o meno alla stessa velocità, permettendo all’incirca al 78% delle famigliepoveredipossederne uno. Il prezzo delle radio a transistorèpiombatodai228 dollari del 1962 ai 15 del 2000;ilprezzodiunfrigo,da 2.932dollaria1.000122. Il personal computer medio è passato dai 1.300 dollari del 1998 ai 770 del 2003 (la Dell Computers, comeWal-Mart,faunastima settimanale dei suoi fornitori in una ricerca spietata dei componenti migliori e più economici). Nel frattempo, i PC sono diventati più potenti. Nel1996,nonpotevichiedere dimegliodiunharddiskda1 gigabyte (1 gigabyte può contenerepiùomenotuttele parole e le informazioni di tutti i libri che riesci a caricare su un furgoncino). Dieci anni più tardi, 1 gigabyte poteva essere contenuto in una penna USB delle dimensioni di un dito mignolo. Contemporaneamente, a partire dagli anni Novanta, sono emersi e hanno continuatoadiveniremigliori gli iPod, le macchine fotografiche digitali, le TV a schermo piatto, gli hard disk esterni per fare il backup dei dati, i lettori DVD e i router wireless. Man mano che la qualità di questi prodotti migliorava, il loro prezzo scendeva. Una generazione fa, la tipica famiglia americana possedevaunasolamacchina. Nel 2006, quella stessa famiglia ne aveva due. Un terzo delle famiglie americane possiede tre o più macchine. Questa non è una buona notizia per l’ambiente o per la causa del risparmio energetico, ma è benvenuta per quei membri della famiglia che non devono più fare i turni per usare la macchina. L’automobile media costava meno, in terminireali,nel2006chenel 1982, nonostante fosse equipaggiata con air bag, lettore CD, freni ABS e altre amenità considerate un lusso nei primi anni Ottanta123. Come abbiamo visto, i Tre Grandi hanno dovuto competere molto più duramente e i consumatori hanno avuto un gamma di costruttori di automobili molto più ampia tra cui scegliere. Nelle industrie deregolamentate, i consumatori hanno avuto la meglio124. Le tariffe del settore autotrasportato sono scesedel30%trail1980eil 2000, abbassando i costi di pressochétuttelespedizionia lungo raggio. Anche il costo dei viaggi aerei sulle tratte lunghe è crollato, in termini reali, permettendo per la prima volta a milioni di americani di compiere viaggi fino a quel momento impossibili.Nel1960,ilcosto medio per passeggero era di 35 dollari ogni 100 miglia (sempre in riferimento al valore del dollaro nel 2000). Nel1980ilprezzoerascesoa 20 dollari; nel 2000 aveva raggiuntoi15.Nel2005,una tratta media di sola andata di 1.000 miglia circa costava il 20% in meno rispetto al 2000125. Uno studio recente ha rilevato che, nel 2000, i viaggiatori avrebbero pagato 20miliardididollariinpiùin tariffepiùalteeservizimeno frequentisenonfosseesistita laSouthwestAirlines126. Date un’occhiata alle vostre bollette del telefono, tenendo conto dell’inflazione (miriferiscosemprealvalore del dollaro nel 2000). La tariffamensilebasemediaper un telefono fisso è rimasta intorno ai 35 dollari lungo tutto il corso degli anni CinquantaeSessanta,perpoi scendere a 18 nel 1980. Nel 1983, in seguito alla deregulation del settore, la MCI faceva pagare 37 centesimi per una telefonata di un minuto tra St Louis e Atlanta, mentre la Bell System continuava a far pagare la sua vecchia tariffa di 62 centesimi; alla fine le tariffe della Bell scesero per tenere testa alla concorrenza. Calò anche il prezzo delle apparecchiature telefoniche. Dopoessereriuscitanel1983 aottenereunariduzionedegli stipendi dei dipendenti della WesternElectricCompany,la AT&T riuscì ad abbassare i costi di un telefono standard di quasi di un terzo. Anche i costi delle telefonate a distanzasubironountracollo. Negli anni Cinquanta, fare una chiamata di dieci minuti nella fascia giornaliera a una personaapiùdi200migliadi distanzacostavaall’incirca15 dollari. Nel 2000, quella stessa chiamata ne costava 8,50. Le tariffe delle società di telecomunicazioni sono scese dal dollaro e cinquanta del 1980 ai 25 centesimi del 2003127.Oggipossochiamare gratis i miei amici in Europa einAsiaviaInternet. Nontuttoèdiventatopiù economico in termini reali, ovviamente. Il prezzo dell’assistenzamedicaèsalito alle stelle. Ma questo è dovutosoprattuttoalfattoche la concorrenza per accaparrarsi i soldi dei consumatori e degli investitori ha portato alla diffusione di una miriade di nuovi farmaci e attrezzature mediche. Il risultato è un miglioramento delle condizioni di salute della maggior parte delle persone. Quando sono nato, nel 1946, l’aspettativa di vita media di unamericanoeradi66,7anni (per cui l’assistenza sociale governativa “Social Security”, che entrava in vigore a 65 anni, non era proprio un grande affare). Una persona nata nel 2006, invece, può aspettarsi di vivere fino a ottant’anni. Neanchelaterzaetàèuguale a quella di un tempo. Quarant’anni fa, un uomo normalmente passava i suoi sessant’anni stravaccato su unasediaadondolooseduto a un tavolo da gioco. Oggi molti settantenni viaggiano, fanno sesso e praticano degli sport.Miopadre,anovantatré anni, gioca a golf tre volte allasettimana. Anche la chirurgia ha fatto molti passi in avanti. Vent’anni fa riuscivo a malapena a camminare; poi mi hanno sostituito entrambe le anche e oggi camminare è un gioco da ragazzi. L’incidenza di malattie cardiache letali è oggi del 60% più bassa che nel 1950 (considerando la crescita nella popolazione). Anche il cancro miete meno vittime. La mortalità infantile dal 1980 è scesa del 44%, secondo i dati dei Centers of Disease Control (Centri di controllo delle malattie). Grazie ai nuovi medicinali, milioni di persone che soffrivano di dolori cronici hanno trovato sollievo, milioni di persone sono state guaritedalladepressioneegli affetti da AIDS possono ora condurreunavitanormale. Il sistema sanitario ha ancora molti problemi, ovviamente. È estremamente inefficiente. Le nostre cattive abitudini alimentari hanno creatoun’epidemiadiobesità. Ben 47 milioni di americani nonhannoassistenzasanitaria e devono ricorrere al pronto soccorso degli ospedali quando le cose si mettono male.Nondimeno,lamaggior parte di noi vanta miglior saluteoggidiquarant’annifa. Anche il prezzo delle case è aumentato, ma in generale sono più grandi e confortevoli. L’aria condizionata è standard nei climi caldi, così come il riscaldamentocentralizzatolo è nei climi freddi128. Il costo dell’istruzioneuniversitariasi è impennato, ma non so dare una spiegazione a questo fenomeno, nonostante abbia insegnato in numerose università di prestigio. Il settore dell’istruzione universitariaèridottoall’osso e risponde a leggi economiche che sfidano la logicacomune129. 2 Imercatidicapitali–tra cuileborse,lebanche,ifondi monetari e le altre istituzioni finanziarie – sono molto più efficienti oggi di quanto non lo fossero nei decenni scorsi, anche se la perfezione è ancora lontana. I prezzi dei titoli di borsa riflettono ancora i profitti stimati piuttostochequellireali,egli investitori a volte commettono dei grossolani erroricollettivi,comecapitòa molti di noi alla fine degli anni Novanta, quando investimmo in massa nella bolla di Internet e poi ne patimmo le conseguenze quando questa esplose, nel 2000. Le aziende possono occultare i loro problemi finanziari per mezzo di escamotagecontabili,almeno per un po’, come fecero i dirigenti della Enron. I fondi comuni e i fondi pensione a cui affidiamo i nostri soldi non sempre agiscono nel nostrointeresse,specialmente se hanno redditizi rapporti con le stesse aziende in cui investonopercontonostro.E Wall Street è celebre per la sua miopia in quanto alle prospettive future, dando più importanza ai risultati trimestralichealleprestazioni alungotermine. Nonostante tutto questo, però,èstatountrionfopergli investitori, così come per i consumatori. I mercati di capitalisonolostrumentopiù efficiente per misurare con quantozeloidirigentistanno spremendoilvaloredelleloro aziendeperaumentareinostri profitti in quanto investitori. Anche in questo caso, i numerinesonolaprova.Man mano che il vecchio sistema oligopolistico si apriva alla concorrenza – permettendo agli operatori finanziari di spremere le aziende affinché generassero maggiori profitti – il valore delle azioni si impennava. Il 14 novembre 1972 il Dow Jones raggiunse quota 1.000. L’8 gennaio 1987toccòquota2.000.Il17 aprile 1991 superò quota 3.000. Il 23 febbraio 1995 fu superata la soglia di 4.000; il 16 luglio 1997 di 6.000; il 3 maggio1999di11.000.Calò in seguito allo scoppio della bolla di Internet ma poi riprese a salire e raggiunse quota 12.000 il 19 ottobre 2006 e 13.000 il 25 aprile 2007. Nonostante il fatto che ogni nuovo traguardo diventasse sempre più facile da raggiungere e che alcuni investimenti si rivelassero di naturapuramentespeculativa, gli investitori si sono enormementearricchiti. Questi guadagni colossali non furono la conseguenza dei tagli alle tasse di Ronald Reagan, ispirate alla supply-side economics, come alcuni economisti conservatori continuano a credere. Il Dow Jones è cresciuto anche dopo gli incrementi delle tasse di George Bush padre e di Bill Clinton. Più di ogni altra cosa, ha espresso l’accresciuta capacità delle aziende di generare profitto, man mano che si incamminavano verso la strada del supercapitalismo. I massimi dirigenti delle aziende hanno ricevuto forti incentivi a essere più efficienti: in quanto consumatori abbiamo minacciato di andare a fare affarialtrovesenonavessero fattolecosenellamanierapiù efficiente possibile, e in quanto investitori abbiamo minacciato di portare i nostri soldi altrove a meno che non ci avessero garantito dei buoni ritorni sui nostri investimenti. La pressione che abbiamo esercitato – per mezzo di intermediari come Wal-Mart o Wall Street – ha generato profitti da capogiro per alcuni amministratori delegatieoperatorifinanziari di successo, così come ha significato la perdita del lavoro per quelli meno fortunati, come abbiamo visto. Apartiredallafinedegli anniNovanta,granpartedelle famiglie americane è diventata azionista, investendo i propri risparmi in borsa, nei piani 401 (k) o in altri piani pensionistici. L’azionista medio possiede solo circa 5.000 dollari di azioni, ma è abbastanza perché presti particolare attenzione alle tendenze del Dow Jones. Le pagine finanziariedeiquotidiani,che untempoeranolettesolodai più ricchi, ora fanno a gara con le pagine sportive nell’attirare l’interesse di tutti. La crescente concorrenza per garantirsi i nostri soldi in quanto consumatori e investitori ha reso tutta l’economia più produttiva. Per ottenere i migliori risultati, gli amministratori delegati e i finanzieri hanno dovuto spostareisoldi,imacchinari, le fabbriche e gli altri patrimoni laddove potevano fruttare di più. Hanno anche dovuto investire in prodotti e servizi migliori, e trovare mezzi più economici per trasportarli. E, ovviamente, hanno spostato, ridotto di grado, promosso o licenziato milioni di persone. Come conseguenzadituttociò,trail 1973 e il 2006 il prodotto internolordodegliStatiUniti è triplicato, tenendo conto dell’inflazione. Gli economisti stimano che nel corso di questi anni la produzione sia aumentata all’incirca dell’80%. Nel 2006, i lavoratori americani producevanoogniorapiùdel 30% di quanto producevano undecennioprima. Man mano che il potere economico è passato dalle grandi corporation e dai lavoratori sindacalizzati nelle mani dei consumatori e degli investitori, l’inflazione è scesa notevolmente. Nell’età non proprio dell’oro, il grande capitale e i sindacati di massa negoziavano salari che determinavano gli standard dell’intera economia. Oggi, gran parte deilavoratorinonhailpotere di ottenere un aumento di stipendio, così come molte aziendenonhannoilpoteredi alzare i prezzi. Questo vuol dire che l’economia può correre più veloce e con un tasso minore di disoccupazione, senza il rischio che i salari e i prezzi crescano oltremisura. L’economia, nel suo complesso, è abbastanza produttiva e flessibile da poter evitare un aumento dell’inflazione nel momento in cui cresce la domanda. AlanGreenspan,comehogià detto, fu uno dei primi a intuirequestarealtà. 3 Ma molti di noi non sono solo consumatori e investitori. Dobbiamo lavorare per vivere. Se i nostri salari e benefici non cresconoallostessoritmodel resto dell’economia, potremmo avere l’impressione di non fare progressi. A meno che non siamo narcisisti indefessi, le nostre preoccupazioni non si limitanoainostrilavori,salari e benefici. Molti dei nostri genitori o dei nostri figli lavorano, così come i nostri fratelli, le nostre sorelle e i loro figli, i nostri amici e colleghi,iloroparentieiloro figli. L’economia, come disciplina,siconcentrasuuna sfera di interesse personale nettamente delimitata da quello che gli analisti delle agenzie di statistica governativedefinisconocome “famiglia” o “unità familiare”. Ma queste categorie sono arbitrarie. L’essere umano può provare empatia – che può comprendere sentimenti di responsabilità, di lealtà o di semplicevicinanza–benaldi làdiquestasfera. Siamo anche membri della nostra comunità, partecipanti attivi alla vita di quartiere, membri di una democrazia, patrioti. Alcuni di noi sarebbero disposti a morireperilpaese.Imodelli economici tradizionali ignorano quasi del tutto questi sentimenti di altruismo. Come cittadini potrebbepreoccuparciilfatto che la maggior parte dei lavori sono precari e i salari stagnanti, e che una cerchia ristretta di persone possiede granpartedellericchezzedel paese. Così come potrebbe preoccuparci il fatto che le comunità locali si stanno disgregando, perché i rivenditorilocalinonriescono più a competere con gli ipermercati. O il fatto che le aziende stanno contribuendo con le loro emissioni al riscaldamento globale, violando i diritti umani all’estero, assecondando i nostri istinti più bassi con stimoli sessuali e brividi violenti o cercando di riempireglistomacideinostri figli(eforseancheinostri)di cibospazzatura. Anchequi,ilconfinetra i nostri interessi legittimi e l’attenzione per il prossimo tende a confondersi. Per esempio, voglio che i poveri siano educati e inseriti nel mercatodellavoro,altrimenti il crimine aumenterà e metterà a rischio i miei cari; io o uno dei miei figli potrebbe essere aggredito da un ragazzino povero che non pensa di avere alcun futuro davanti a sé. Sono preoccupato dalla scomparsa delle economie locali non solo perché ho a cuore i piccoli rivenditori, ma anche perché provo piacere ad ammirare le vetrine dei loro negozi. Il riscaldamento globale non minaccia solo il pianeta ma anche la spiaggia che mi piace tanto. Non voglio che la pornografia sia così facilmente accessibile in Internet perchè non voglio che finisca sotto gli occhi di mionipote. Queste questioni di sicurezza economica, equità sociale,difesadellecomunità locali, salute dell’ambiente e decoro erano centrali nel capitalismo democratico dell’età non proprio dell’oro. Ciriguardavanodavicino–e lo fanno ancora – in quanto cittadini. Man mano che il poteresièspostatonellemani dei consumatori e degli investitori, queste questioni sonostateoscurate.Abbiamo siglato un patto faustiano. L’economia moderna ci offre molti vantaggi perché ci punisce in altri modi. Possiamo anche puntare il dito contro le grandi corporation, ma perlopiù abbiamo siglato questo patto connoistessi. Dopotutto, cosa pensiamo che renda possibile certi affari? In parte sono dovuti ai salari più bassi, a quei lavoratori che hanno dovuto accettare salari e benefici inferiori a quelli di un tempo, o accettare nuovi lavori che pagano meno. In parte alle catene di ipermercati che mandano in rovina i rivenditori locali offrendo prodotti a prezzi stracciati. In parte alle aziende che hanno abbandonatolelorocomunità di riferimento per creare catene di fornitura globali in cui pagano pochi centesimi all’ora a operai dodicenni in Indonesia. In parte a quegli amministratori delegati che ricevono stipendi d’oro; alle aziende che danneggiano l’ambiente in giro per il mondo; e, in alcuni casi, alle aziende che riversano sul mercato prodotti violenti o pornograficiocibiebevande spazzatura. Sia io che voi siamo complici. In quanto consumatori e investitori, facciamo correre il mondo intero. I mercati sono diventati estremamente sensibiliainostridesiderielo sonoognigiornodipiù.Molti di noi, però, sono divisi, e in quanto cittadini sono diventati relativamente impotenti.Ilsupercapitalismo ha trionfato. Il capitalismo democraticono. 4 Quando troviamo una macchina, un frigo, una cornice o qualsiasi altro prodottoaprezzistracciati,il più delle volte è perché gli americani che l’hanno plasmato, montato, serrato o imbullonato hanno accettato deitagliaisalarieaibenefici ohannopersoillavoro.Iloro salari sono crollati o i loro lavori sono scomparsi del tutto lungo la strada verso il supercapitalismo perché, come abbiamo visto nell’ultimo capitolo, un software, un lavoratore straniero o un lavoratore statunitense non sindacalizzato potevano realizzarelostessolavoroper molto meno. Molti di coloro chesonostatilicenziatihanno trovatonuovilavori,maquasi sempre nel terziario locale – negozi, ristoranti, alberghi e ospedali–chepagadimenoe offre minori benefici. Stando a un sondaggio del 2002 del dipartimento del Lavoro, gli operai del settore manifatturiero che avevano perso il posto di lavoro a causa delle importazioni straniere avevano ora lavori per i quali in media percepivano il 13% in meno rispetto allo stipendio precedente. Gli operai che avevano perso il lavoro per altri motivi – come l’automatizzazione del ruolo dell’operaio, per esempio – guadagnavanoorainmediail 12%inmeno130. Quando troviamo dei servizi particolarmente convenienti, vi sono buone probabilità che stiamo indirettamente spingendo verso il basso i salari e i beneficidiqualchelavoratore americano. Mettiamo caso che acquistiamo un biglietto low-cost su Internet. Scelte simili da parte di milioni di viaggiatori hanno avuto un notevoleimpattosullavitadi persone come Shannon Wareham, una ventinovenne assistente di volo della Northwest intervistata nel 2006dal«NewYorkTimes», proprio mentre un giudice fallimentare stava decidendo se permettere alla Northwest di effettuare ulteriori tagli ai salari e vietare gli scioperi. Dopo aver lavorato alla Northwest per sette anni, finalmente nel 2005 Shannon guadagnava più di 30.000 dollari l’anno. Ma nel 2006 rischiava di scendere intorno ai 21.000 dollari, in base ai tagli che intendeva fare l’azienda. «Sono abituata a viveresecondoimieimezzi», scrisse in una lettera al giudice. «Non possiedo un condizionatore, la TV via cavo, l’avviso di chiamata, Internetadaltavelocitàouna macchina. Vivo in un appartamento di venti metri quadrati sulla centoquarantaduesima, ad Harlem. Negli ultimi mesi, però, dopo aver pagato le bollette non mi rimangono i soldi per mangiare e sono costrettaapagarmiilcibocon lacartadicredito»131. Spingiamoversoilbasso isalarieibeneficianchetutte levoltechespostiamoinostri risparmidaunfondoall’altro per ottenere un maggior margine di guadagno. Tra coloro che spingono le aziende a tagliare radicalmente i costi vi sono i manager di grandi istituzioni caritatevoli, fondi pensione per professori universitari e fondi pensione del sindacato. La concorrenza per avere il denaro che investono per conto dei loro beneficiari agisce come una sorta di volanopertuttoilresto.Echi fa pressione su di loro per ottenere ritorni maggiori? Io, eprobabilmenteanchevoi.Se ilgestorediportafogliochesi occupa del mio fondo pensione da professore non ottiene i guadagni più alti possibili sui miei risparmi, cambieròfondo.Eoggiposso farlo più facilmente che mai: tutto quello che devo fare è cliccaresuunfondocheoffra ritornipiùalti.Losannobene gliamministratorideifondie si comportano di conseguenza. Indirettamente, quindi, anche io sto spingendo gli amministratori delegatiaspremereisalariei benefici dei loro dipendenti. Magarilistoanchespingendo ademolireisindacati. A volte gli amministratori delegati si impegnanoancheaformarei loro dipendenti, al fine di renderli più produttivi e non sprecare neanche un centesimo dei salari e dei benefici che spendono su di loro.Lacatenadiipermercati Costco sottopone il proprio personaleaunaddestramento meticoloso, affinché conoscano i prodotti e possano servire meglio i clienti, e li paga bene. Nel 2005, guadagnavano una media di 17 dollari l’ora, più del 40% dei dipendenti della Sam’s Club, una sottocatena di Wal-Mart. Costco offre ai suoi dipendenti anche un generoso pacchetto sanitario. Alcuniosservatoripresumono che se può farlo la Costco, può farlo anche Wal-Mart. Ma la migliore formazione del personale giustifica salari e benefici più alti solo se i clienti sono disposti a sovvenzionarli nella forma di prezzipiùalti.CostcoeWalMart, in realtà, non sono concorrenti diretti. Il cliente medio di Costco, nel 2005, guadagnava 74.000 dollari, piùdeldoppiodelredditodel clientemediodiWal-Mart132. I prezzi della Costco sono generalmentepiùaltidiquelli di Wal-Mart. I clienti della Costco ricevono un servizio migliore, e presumibilmente sono disposti a pagarne il costo. Da anni mi impegno a diffondere il verbo secondo cuiidipendentivannotrattati come risorse preziose, e ne sono ancora fermamente convinto. Ma quanto un’azienda è disposta a investire sui suoi dipendenti dipende da quanto valore questipossonogenerare.Sela Costcononpotessescaricarei costi dei salari e dei benefici sui suoi clienti, sarebbe costretta a decurtarli dai suoi profitti, danneggiando gli investitori. A ogni modo, WallStreetnonhaapprezzato troppo la generosità dell’amministratore delegato dellaCostco,JimSinegal,nei confrontideisuoidipendenti. Come ha dichiarato un analistanel2004:«Dalpunto di vista degli investitori, i benefici che offre la Costco sono eccessivi. Una società perazionideveprimaditutto rendere conto agli azionisti»133.Unanalistadella Deutsche Bank si lamentava che alla Costco «è meglio essere un dipendente o un cliente che un azionista». Quando gli analisti criticarono la decisione di Sinegal di scaricare sui dipendenti solo il 4% dei costidell’assistenzasanitaria, l’amministratore delegato della Costco portò la percentuale all’8%, ancora benaldisottodellamediadel 25%. Questo spinse Emme Kozloff, un analista di borsa alla Sanford C. Bernstein & Co.,aconcluderecheSinegal «è stato troppo generoso. Ha ragione a pensare che un dipendente felice è un dipendente produttivo, nel lungo termine, ma potrebbe costringere i suoi dipendenti adaddossarsiunapercentuale maggiore dei costi»134. Kozloff, notate bene, non sta dicendo a Sinegal ciò che devefare.Stasuggerendoagli amministratori dei fondi azionari cosa fare per incrementare al massimo il valore dei nostri titoli, e così facendo fa pressione su Sinegal. Anche in questo caso, indirettamente, stiamo suggerendo a Sinegal di essere meno generoso con i suoidipendenti. La nostra continua ricerca dell’affare migliore sta anche avendo un impatto sui manager di medio livello esugliingegneridelsoftware. Nel settembre del 2006, per esempio, la Intel ha annunciato che avrebbe tagliato 10.500 posti di lavoro,circail10%dellasua forza lavoro. Gli analisti descrissero questi drastici tagli come l’unica speranza della Intel di strappare una fetta di mercato alla sua rivale, la Advanced Micro Devices (AMD), nella vendita di microprocessori per computer. Molti analisti, in realtà, si aspettavano che la Intellicenziasseunnumerodi dipendentianchemaggiore,e i titoli dell’azienda crollarono. Nel 2007, dopo una sfiancante guerra dei prezzi, la AMD si mise sulla difensivaelaIntelcominciòa riguadagnare una fetta di mercato. Nella nostra ricerca estenuante di computer sempre più potenti a prezzi sempre più bassi, abbiamo messo pressione sia alla AMD cheallaIntel. IlrisultatoèchegliStati Uniti sono molto più produttivi oggi di venti o trent’annifa,mapochihanno potuto assaggiare una fetta della torta. Se i redditi medi delle famiglie americane fossero cresciuti allo stesso ritmodellaproduttività,negli ultimi trent’anni, la famiglia media, nel 2006, avrebbe guadagnatoall’incirca20.000 dollari in più di quanto non abbiafatto. D’altro canto, i benefici offerti dalle aziende sono in caduta libera da tempo. Ricordate la piena copertura sanitaria che gran parte delle aziende offriva nell’età non proprio dell’oro? Man mano che l’economia cambiava, la percentuale di aziende grandi e medie che offriva una copertura completa scese dal 74% del 1980 al 18% del 2005135. Nel 1988, due terzi delle aziende grandi e medie (con più di duecento dipendenti) offrivano ancora l’assicurazione sanitaria ai propridipendentiinpensione. Nel 2005, lo faceva solo un terzodiqueste136. Nel 1980, più dell’80% delle grandi e medie aziende offriva ai propri dipendenti delle formule pensionistiche classiche, che prevedevano un assegno mensile. Nel 2006, lo offriva poco più di un terzo delle aziende. Hewlett-Packard, Verizon, Motorola e IBM misero tutte fineailoropianipensionistici tradizionali, rimpiazzandoli con fondi a contribuzione definita che non offrono nessuna garanzia. Nella migliore delle ipotesi, il datore di lavoro mette da parte dei soldi sulla base dei contributi del dipendente. Un terzo dei lavoratori non contribuisce per nulla, e di conseguenza non lo fa neancheildatoredilavoro. Il responsabile principale di questa situazione non è l’avidità delle corporation o l’insensibilità dei loro amministratoridelegati,mala crescente pressione esercitata su di loro dai consumatori e dagli investitori come me e comevoiperottenereprezzie ritorni migliori. Né io né voi ci aspettavamo che finisse così, e probabilmente non ci piace affatto quello che è successoaisalarieaibenefici di così tante persone – inclusi, forse, noi stessi o i nostri figli – come conseguenza. Ma possiamo facilmente ignorare questi sviluppipurchénonmettiamo in comunicazione il consumatore e l’investitore che sono dentro di noi col loro alter ego, il cittadino. È più facile addossare le responsabilità a coloro che agiscono da intermediari tra le nostre due metà: le corporation, gli amministratori delegati, Wall StreeteWal-Mart. Un’altra conseguenza delle nostre azioni è una minore sicurezza economica. Nell’etànonpropriodell’oro, chi portava il pane a casa poteva contare su un lavoro stabile e su un salario che sarebbe cresciuto gradualmente e stabilmente nel corso degli anni. Ma da quando il vecchio sistema è crollato, i lavori e i salari sono divenuti più instabili. Molte fabbriche hanno chiuso; altre sono apparse doveprimanonven’erano,di solito in paesi lontani. Sono scomparse anche molte aziende, per poi, a volte, riemergere sotto forma diversa dopo un fallimento o riaffiorarecomesussidiariedi altre aziende. Molte vecchie linee di produzione o servizi standard sono stati rimpiazzati da altri. Nuovi software “killer”, ovvero indispensabili, hanno fatto piazza pulita della concorrenza,eavolteminato le basi di intere industrie. L’economista Joseph Schumpeter l’ha denominata «distruzione creativa»: il risultatodiunaconcorrenzaa briglie sciolte, l’essenza del dinamismo economico. La distruzione creativa che ha avuto luogo dagli anni Settanta in poi ha senza dubbio beneficiato i consumatori e gli investitori. Lungo la strada, però, sono state create e distrutte anche le fonti di reddito di un gran numerodifamiglie. IlPanelStudyofIncome Dynamics (Commissione di studio sulle dinamiche del reddito) della University of Michigan ha monitorato 65.000 persone dal 1968. I ricercatori hanno scoperto che, in genere, nell’arco di due anni circa la metà delle famiglie registra una diminuzione di reddito, che poi recupera più in là. Le fluttuazioni, però, si sono fatte sempre più ampie col passare dei decenni. Nel 1970, il declino si aggirava intorno al 25%. Alla fine degli anni Novanta, era del 40%. Intorno alla metà della decade del 2000, il reddito mediodellefamigliecresceva e diminuiva il doppio di quanto non facesse alla metà deglianniSettanta137. I sondaggi mostrano un notevole incremento negli ultimi decenni del numero di persone preoccupate di perdereillavoro138.Nelcorso deipriminovemesidel2006 – il quinto anno di una cosiddetta ripresa economica – circa 4,5 milioni di americani, in media, hanno lasciato o hanno perso il posto di lavoro ogni mese, e circa 4,8 milioni di persone hanno iniziato un nuovo lavoro ogni mese. Presumibilmente, alcune di queste persone erano stimolatedalcambiodiritmo, dalle nuove opportunità che gli si presentavano, dall’emozione del cambiamento. Altre, senza dubbio, avrebbero preferito continuare a fare la vita di sempre. È lecito ritenere che per un buon numero di persone questo rappresentò un vero e proprio dramma. Uncambiamentoradicalepuò essere stimolante se siamo in grado di pagare le bollette e di riempire il frigo. È decisamente meno appassionante quando hai dei bambini costretti a patire la fame, anche solo per un periododitempo. Di nuovo, siamo divisi. Siamo ansiosi di comparare i prezziediandareallaricerca dei prodotti più nuovi, scintillanti, potenti ed economici. Ma il cittadino che è in noi si preoccupa dello stress e dell’insicurezza che questo inevitabilmente comporta. Nell’età non proprio dell’oro, i consumatori e gli investitori non avevano molta scelta se non rimanere fedeli alla stessa azienda. Negli ultimi trent’anni, abbiamo avuto accesso a una gamma costantemente crescente di alternative, ciascuna migliore dell’altra. E abbiamo imparatoachiudereirapporti economici con estrema facilità nella nostra ricerca dell’affare migliore. La conseguenza è stata un’abbondanza di distruzione creativa, tra le cui vittime vi sono probabilmente anche i lavoratori dell’azienda con cuiabbiamoappenatroncatoi rapporti. I benefici che otteniamo dalla distruzione creativa valgono il prezzo che dobbiamo pagare? Altre societàcapitalistichesistanno muovendo nella nostra direzione,comevedremo,ma riescono ancora a garantire una maggiore sicurezza ai propri cittadini. L’economia della Gran Bretagna non è significativamente meno efficientediquellaamericana, anche se i suoi cittadini vivono in case più piccole e usano meno la macchina. La gente,però,conservailposto dilavoropiùalungo,eselo perde riceve un sussidio di disoccupazione molto più generoso che negli Stati Uniti. Sir Michael Marmot, un professore di epidemiologia e di sanità pubblica alla University CollegediLondra,insiemeai suoicolleghihacomparatola salute degli americani e dei britannici, e nel 2006 ha pubblicato le sue conclusioni sul «Journal of the American Medical Association». In ogniclassesocialeefasciadi reddito,trovaronountassodi malattia più alto negli Stati Uniti che in Gran Bretagna. Marmot ipotizzò che la differenza fosse da imputare aipiùaltitassidistressnegli StatiUniti139. Ma sta a noi scegliere, nonècosì? 5 Se il reddito medio per famiglia è rimasto immutato negliultimitrent’anni,mentre l’economia cresceva a dismisura, dove sono finiti i soldi?Quasituttinelletasche dicolorochesiedonoincima alla piramide. I professori Emmanuel Saez, dell’Università della California, a Berkeley, e Thomas Piketty, dell’École NormaleSupérieurediParigi, hanno studiato le dichiarazioni dei redditi dei cittadini americani e hanno scoperto che nel 2004 l’1% più ricco del paese ha percepito il 16% del reddito totale nazionale, il doppio di quello che percepiva nel 1980140. La percentuale percepitadallo0,1%piùricco del paese è più che triplicata dal 1980, raggiungendo il 7%. Le disuguaglianze sono aumentate anche in Europa e in Giappone, anche se in misuraminore.Ancheseuna parte dei soldi è finita nelle tasche dei laureati e dei professionisti presenti tra il 20% dei maggiori percettori di reddito, una laurea non rappresentavaalcunagaranzia in sé. Anche le entrate di coloro nel 95 percentile – ovvero coloro che guadagnavano più di diciannoveamericanisuventi – sono aumentate meno dell’1% l’anno, in media, tra il1987eil2004141. La cima della piramide non è stata occupata sempre dalle stesse persone lungo tutto il periodo di tempo preso in considerazione, ma nonèquestoilpunto.Ilfatto è che una cerchia molto ristretta di persone si sono portate a casa gran parte del bottino, e nel corso degli anni, man mano che la cerchiasièfattapiùristretta, la loro fetta della torta è diventatasemprepiùgrande. Anchequestatendenzaè iniziata negli anni Settanta, per poi accelerare negli anni seguenti. È una radicale inversione di tendenza rispetto alle politiche sociali inaugurate all’inizio del XXI secolo e culminate nell’età non proprio dell’oro, finalizzate a una riduzione della forbice tra ricchi e poveri. Nel 2005, l’1% più riccodelpaesehapercepitola percentuale del reddito nazionale più alta dal 1929 (conl’eccezionediunabreve impennata durante la bolla azionariadel2000). Gran parte di questo denaroèfinitonelletaschedi persone già ricche, sotto forma di redditi sugli investimenti. I ricchi possiedono un numero di titoli decisamente maggiore rispetto agli investitori del cetomedio,quindiicrescenti ritorni sul capitale sono andati sproporzionatamente a lorobeneficio.Maquestonon è l’aspetto più significativo deirecentisviluppi. I professori Lucien Bebchuk di Harvard e Yaniv GrinsteindellaCornellhanno esaminato da vicino gli 83 miliardididollarichelo0.1% più ricco degli Stati Uniti ha dichiarato nel 2001 e hanno trovato che più della metà – 48miliardididollari–erala somma delle entrate dei cinque massimi dirigenti di ogni azienda americana. Quell’anno, lo stipendio medio di un dirigente si aggirava intorno ai 6,4 milioni di dollari, inclusi i titoli di borsa e le indennità accessorie;lostipendiomedio diunamministratoredelegato era di 14,3 milioni di dollari. Quando i ricercatori compararono gli stipendi dei dirigenti con le entrate annuali delle loro aziende, notarono una pronunciata crescita negli anni. A metà deglianniNovanta,l’azienda media pagava ai suoi cinque massimi dirigenti il 5% dei profitti totali. A partire dal 2000, i massimi dirigenti cominciarono a ricevere il 10% dei profitti totali142. Nel 2006, un amministratore delegato guadagnava in media otto volte di più che neglianniOttanta. Paragonando lo stipendiodegliamministratori delegati a quello del lavoratorecomune,emergeva la stessa tendenza. Durante l’etànonpropriodell’oro,gli amministratori delegati delle più grandi aziende americane si portavano a casa stipendi all’incirca 25 o 30 volte superiori a quelli del lavoratore comune. A cominciare dagli anni Settanta, i salari delle due categorie hanno cominciato a biforcarsi ulteriormente. Nel 1980, l’amministratore delegato di una grande aziendasiportavaacasacirca 40 volte tanto lo stipendio di un lavoratore; nel 1990, 100 volte tanto. Nel 2001, i pacchetti salariali degli amministratori delegati erano lievitati fino a 350 volte quelli dei lavoratori comuni143.Perrenderel’idea, l’amministratore delegato delle General Motors, nel 1968, si portò a casa circa 4 milioni di dollari (secondo il valore attuale), che equivaleva all’incirca a 66 voltelostipendioeibenefici dellavoratoremediodella GM altempo.Nel2005,LeeScott Jr,amministratoredelegatodi Wal-Mart, si è portato a casa 17,5 milioni di dollari, un pacchetto salariale circa 900 volte superiore a quello del lavoratore medio di WalMart. Come si spiega questo impressionante mutamento di direzione? I dirigenti aziendali sono diventati più avidi? I consigli d’amministrazione delle corporationsonodiventatipiù irresponsabili? Gli amministratori delegati più corrotti? Gli investitori più docili? Wall Street più conciliante? Non c’è niente che supporti una di queste teorie. Ecco una spiegazione più semplice. Quarant’anni fa, gli stipendi di tutti in una grande azienda – anche di quelli in cima alla scala aziendale–eranounprodotto della contrattazione tra le aziende, i sindacati di massa e,indirettamente,ilGoverno. Gli oligopoli e i loro sindacati, organizzati per settore, pattuivano direttamente i salari degli operai, e i colletti bianchi capivano che questo influiva anche sui loro salari. Come abbiamo visto, le grandi corporation assomigliavano alle burocrazie delle amministrazioni civili. I massimi dirigenti di queste aziende dovevano ricercare il consenso dei lavoratori sindacalizzati. Dovevano anche mantenere buoni rapporti con i funzionari pubblici affinché potessero essereliberidifissareiprezzi eisalari;ottenereilvialibera delle agenzie regolatrici su prezzi, tariffe e licenze; e continuare ad assicurarsi contrattigovernativi.Sarebbe stato fuori luogo concedersi salarieccessivamentealti. Daallora,laconcorrenza è cresciuta a dismisura. Gli oligopoli sono scomparsi quasi del tutto e le barriere d’ingresso sono diventate più basse che mai. Con sempre maggiore facilità, le aziende rivalipossonoavereaccessoa fornitoriabassocostoinogni parte del mondo. Possono ottimizzare le operazioni con la stessa tecnologia informatica; possono tagliare la loro forza lavoro e sostituire software con altri efficienti offerti da molti degli stessi venditori della concorrenza. Possono facilmente esternalizzare il lavoro fuori dai confini nazionali. Possono ottenere capitali per nuovi investimenti pressoché agli stessi termini. Possono avere accesso a canali di distribuzione altrettanto efficienti, se non identici (Wal-Martelealtrecatenedi ipermercati). Il dilemma che si trovano ad affrontare molte aziende, dunque, è come differenziarsi: come offrire prodotti o servizi superiori a quellidellaconcorrenza–più economici, più veloci o più affascinanti – in modo da attrarre e mantenere consumatori che possiedono strumenticomparativisempre più efficienti; come fare profitti maggiori della concorrenza (o creare una maggiore aspettativa) cosicchédaattrarreinvestitori emassimizzareilvaloredelle azioni dell’azienda. Per fare questo, hanno bisogno della persona giusta al timone dell’azienda. L’amministratore delegato di un oligopolio nell’età non proprio dell’oro non doveva essere particolarmente bravo o sveglio. Non doveva essere spietato o guidato da un’ossessionecompulsivaper il successo. Il successo era quasicertodalmomentochei profittieranoquasicerti.Non doveva preoccuparsi della concorrenza. Era perlopiù un burocrateacapodiungrande sistema di produzione le cui regole erano così standardizzate che richiedevano uno sforzo minimo. L’amministratore delegato di un’azienda moderna, d’altro canto, si trova in una situazione ben diversa. Subisce continuamente la pressione dei rivali, che minacciano di rubargliiclienti,benfelicidi farsi sedurre da un affare più conveniente,odisottrargligli investitori, pronti a mollare tutto al primo accenno di un miglioramento dei titoli di un’azienda concorrente. Il moderno amministratore delegato deve dunque essere abbastanza spietato e motivato da garantire all’azienda un vantaggio competitivo. Non vi sono mosse da manuale da cui trarre insegnamento o strategie ben collaudate a cui ispirarsi. Se vi fossero, la concorrenza le starebbe già mettendoinpratica. I consigli d’amministrazione sono ben consapevoli di ciò ed è per questo che i dirigenti bravi sonocosìrichiesti.L’offertaè molto limitata, perché sono pochi i dirigenti che hanno avutol’opportunitàdiguidare un’azienda e portarla al successo. Inoltre, i consigli d’amministrazione delle aziende più affermate non vogliono correre rischi. Il prezzodapagaresesisceglie la persona sbagliata può esseremoltoaltoedèriflesso immediatamente nel calo di valore delle azioni dell’azienda. È un principio economico elementare: quando la domanda cresce e l’offerta rimane limitata, i prezzi spiccano il volo. Le aziende sono disposte a pagare sempre di più per un amministratoredelegatoeper gli altri massimi dirigenti, perché le aziende rivali stanno facendo lo stesso. E tuttisonodispostiapagaredi più perché subiscono la pressione dei consumatori e degliinvestitori144. Ovviamente, alcuni amministratori delegati mietono profitti enormi nonostanteilcrollodelvalore delleazionidellaloroazienda e altri ricevono buone uscite dacapogiroanchesevengono licenziati.Maquestononpuò durarealungo.Sonopochele aziende che oggigiorno possonorimanerecompetitive se alla loro testa vi è un amministratore delegato che non si guadagna il suo stipendio, incluse le buone uscite. Un amministratore delegato che rimane al suo postograzieairapporticheha col consiglio d’amministrazione dell’azienda non otterrà l’appoggio degli investitori e dei consumatori quanto uno che si guadagna la poltrona col sudore della fronte. I consumatori e gli investitori non danno importanza all’amicizia, alla lealtà o ai sentimenti. I consumatori, come sappiamo bene, vogliono semplicemente i migliori prodotti e servizi possibili, e se non li ottengonoprendonoillargo. Ancora una volta, i numeri ne sono la prova. Tra il1980eil2003,cosìcomeil fatturato medio delle 500 aziendepiùgrandid’America è cresciuto di sei volte, aggiustatoperl’inflazione,di pari passo sono cresciuti i salari degli amministratori delegatidiquelleaziende145. Nel 2005, la ExxonMobil ha fatturato 36 miliardi di dollari. L’ex presidente dell’azienda, Lee R. Raymond, se ne è andato comodamente in pensione con una buona uscita di 140 milionididollari.Standoaun documento di procura presentato dall’azienda alla Securities and Exchange Commission, a Raymond spettavanoaltri258milionidi dollari in titoli, diritti di opzione e compensazione a lungo termine. Una tale cifra può sembrare vergognosa, se non si considerano gli ottimi guadagni ottenuti dagli azionisti nel periodo in cui Raymond era in carica: un ritorno del ben 223%, merito anche dell’acquisto della Mobil da parte della Exxon nel 1998. Anche se gli azionisti di quasi tutte le grandi compagnie petrolifere beneficiarono dell’aumento del prezzo del petrolio, i ritorni delle altre aziende, in confronto,furonopiùbassi:il 205%,inmedia.Quel18%in più, secondo Fadel Gheit, senior analyst del mercato energetico alla Oppenheimer & Company, citato da Alan Murray nel «Wall Street Journal», valeva per quegli azionistichegiàpossedevano azionidellaExxonall’incirca 16 miliardi di dollari. Alla luce di questi numeri, la buona uscita di Raymond appare economicamente ragionevole: si è portato a casa solo il 4% di quel bottino da 16 miliardi di dollari. Interminieconomici,gli amministratori delegati, da che assomigliavano a dei burocrati di alto livello, sono diventati sempre più simili a dellestardiHollywoododel mondodellosport,portandosi a casa una percentuale dei profitti. Le celebrità più famose di Hollywood incassano all’incirca il 15% dei profitti degli studios al box office, e gli atleti possono contare su una fetta sempre maggiore della torta146. Come ci ha rammentato James Surowiecki del «New Yorker», nel 1957 Mickey Mantle guadagnò 60.000 dollari. Nel 2005, Carlos Beltransièportatoacasa15 milioni di dollari. Anche aggiustando le cifre per l’inflazione, gli incassi di Beltran erano 40 volte superiori a quelli di Mantle. Negli anni Quaranta, Clark Cable guadagnava 100.000 dollari a film, che equivalevano all’incirca a 800.000dioggi.TomHanks, d’altro canto, guadagna una mediadi20milionididollari a film147. Gli studios cinematografici e le squadre di baseball sono disposti a pagare queste cifre perché rappresentano una percentuale relativamente piccola dei profitti che generano queste star. Lo stesso motivo per cui le grandi aziende, oggi, offrono stipendi colossali ai loro amministratoridelegati. Questa spiegazione economica non rappresenta una giustificazione sociale o morale per tali compensi astronomici. Significa solamente che come consumatori e come investitori pensiamo che siano giustificati, anche se come cittadini ne siamo disgustati. Circa l’80% degli americani, in due sondaggi del 2006 del «New York Times»edellaBloomberg,ha dichiarato che gli amministratori delegati sono pagati troppo. La reazione degliintervistatièstatapiùo meno la stessa, indifferentemente dalla loro classe sociale o affiliazione politica148. La Securities and Exchange Commission ha recentemente imposto alle aziende di fornire agli azionisti maggiori informazioni sui compensi dei loro massimi dirigenti. Date le circostanze economiche che ho appena menzionato, però, è improbabile che tali informazioni possano frenare l’impennatadeglistipendi.La pubblicazione degli stipendi degli amministratori delegati potrebbe rendere più difficile per alcuni di loro giustificare il loro peso sul bilancio se le azioni dell’azienda hanno perso terreno o il loro valore non è cresciuto più della mediasottolaloroguida.Ma potrebbe anche aumentare la concorrenza per i più celebri amministratori delegati, facendo crescere ancora di piùilorostipendi. I principali banchieri d’investimento e trader guadagnano anche più degli amministratori delegati. Fanno i soldi trattenendo piccole percentuali su transazioni enormi. Nel 2006 – un anno di fusioni e acquisizioni colossali – i massimi dirigenti delle banche d’investimento ottennero bonus che andavanodai20ai25milioni di dollari, mentre i trader si intascarono assegni che ammontavano a 40 o 50 milionididollari149. Ma anche queste cifre impallidiscono di fronte ai profittideimanagerdeifondi hedge. Nel 2005, James Simons della Renaissance Technologies, dichiarò un guadagno di 1,5 miliardi di dollari,perlopiùcompensiper lesueattivitàdimanagement; T.BoonePickensJr,della BP Capital Management guadagnò 1,4 miliardi di dollari; George Soros della SorosFundManagement,840 milioni di dollari; Steven Cohen, della SAC Capital Advisors, 550 milioni di dollari. Il salario netto medio dei 26 manager dei maggiori fondihedge,nel2005,èstato di 363 milioni di dollari, un 45% in più rispetto all’anno precedente150. Questi fondi sonocosìgrandi(arrivandoa totalizzare centinaia di miliardi di dollari) e i ritorni medi per gli investitori così alti(andandodal12%al20% nel2005,moltopiùdeifondi equity) che il 2% sul patrimonioaziendaleoil20% sui profitti che vanno al manager sono briciole in confronto.Ancoraunavolta,i protagonistisiportanoacasa una percentuale dei profitti, ma in questo caso i profitti sono immensi. Tra gli investitorichevihannotratto guadagno – nella forma di frazioni infinitesimali di grandifondipensioneefondi comunichehannoinvestitoin questi enormi hedge – vi siamo, probabilmente, sia io chevoi. Come ho già detto, siamoprofondamentedivisi.I migliori amministratori delegati, banchieri d’investimentoemanagerdei fondi hedge del paese ci hanno procurato grandi profitti. Ma in quanto cittadini, molti di noi sono nauseati dalle cifre che si sono intascati, specialmente in un momento in cui gran partedeilavoratorièfermao sta perdendo terreno. Ogni due settimane, Lee Scott Jr, della Wal-Mart, si porta a casa all’incirca la stessa somma che un dipendente medio dell’azienda guadagna in una vita intera. La Continental Airlines offre al suo presidente in pensione Gordon Bethune e alla sua famiglia un generoso pacchetto sanitario, stando al documento di procura dell’azienda, oltre al compenso pensionistico forfettario di 22 milioni di dollari che la Continental ha offerto a Bethune nel momento in cui ha lasciato l’azienda, nel 2004. Nel frattempo, i dipendenti della Continental sono costretti ad accettare stipendi più bassi e beneficipiùmiseri151. Nel settembre del 2006, la Ford Motor Company, in difficoltà finanziarie, sedusse un nuovo amministratore delegato, Alan Mulally, con l’offertadiuna“salariobase” di 2 milioni di dollari; un bonusdi7,5milionididollari allafirma;opzionietitolidel valoredi15milionididollari; 11 milioni di dollari come compenso per i titoli che avrebbe perso del suo ex impresario, la Boeing; e altri benefici e indennità accessorie non meglio specificati, per un totale di circa 36 milioni di dollari. Allo stesso tempo, ovviamente, la Ford stava freneticamente tagliando i salari. Alla Boeing, Mulally aveva ridotto la forza lavoro di quasi il 60%, «un segno», stando al «Wall Street Journal», che «è in grado di prendere le sofferte decisioni dicuilaFordhachiaramente bisogno»152 (quando Wall Street parla di “decisioni sofferte”intendeferiteancora più profonde inflitte ai dipendenti, di certo non agli azionisti. Tanto che, alla notizia dell’assunzione di Mulally, le azioni della Ford sono salite immediatamente del2%). Il cittadino che è in noi probabilmente è preoccupato dalla concentrazione delle ricchezze del paese nelle mani di un numero sempre più ristretto di persone. È l’equivalente finanziario dell’idrodinamica: grandi flussi di reddito creano concentrazioni ancora maggiori di denaro. Le fortune della famiglia del fondatore di Wal-Mart, Sam Walton, sono stimate all’incirca in 90 miliardi di dollari. Nel 2005, Bill Gates valeva 46 miliardi di dollari; WarrenBuffett,44miliardidi dollari. Allo stesso tempo, semprenel2005,laricchezza combinata del 40% più povero del paese – circa 120 milioni di persone – era stimataintornoai95miliardi didollari153. Dagli anni Settanta in poi, l’1% più ricco del paese – che nel 2004 comprendeva all’incirca un milione e mezzodifamiglie154–hapiù che raddoppiato la sua percentuale del reddito nazionale. Nel 1976, possedeva circa il 20% dell’America. Nel 1998, la stimapiùrecentedisponibile, aveva accumulato più di un terzo delle ricchezze del paese: più del reddito combinato del 90% dei cittadinidelpaese155. In quanto cittadini, probabilmente non riteniamo che una tale disparità giovi alla democrazia. Indebolisce la solidarietà e la reciprocità che sono alla base di una convivenza civile responsabile.Creaunanuova aristocrazia i cui privilegi si perpetuano digenerazione in generazione. Alimenta il cinismo. Ma i super ricchi non sono da incolpare per questa situazione assurda. In gran parte, essa è frutto del mercato. E il mercato reagisce alle nostre pressioni in quanto consumatori e investitori. Questo, però, non lorendepiùgiusto. 6 Siamo anche divisi sulle altre conseguenze del capitalismo moderno: gli effetti sull’ambiente, sulle comunità locali e sulla giustizia sociale. Trenta o quarant’anni fa, questi erano tutelati dal capitalismo democratico. Erano varate leggi a protezione dell’ambiente;leaziendenon erano finanziariamente indotte ad abbandonare le loro comunità di riferimento; codici ben precisi regolavano ciòchepotevaesseredettoin televisione, alla radio e al cinema; e vi erano leggi che punivano le oscenità. Da allora,però,abbiamoottenuto molti benefici in quanto consumatorieinvestitori. Conoscomoltiuominidi mezza età che si professano preoccupati da morire per i crescenti livelli di anidride carbonica nell’atmosfera. Ce l’hannoamorteconlegrandi aziende che continuano a espellerla nell’aria, e coi politici che non alzano neppure un dito. Allo stesso tempo, però, vanno in giro con SUV o furgoncini a quattro ruote motrici. Qualcuno tra i più ricchi possiededegliHumveeedue o tre macchine per il resto della famiglia. I loro stili di vita richiedono numerosi chilowatt di energia, la cui produzionegeneraancorapiù inquinamento atmosferico: case di trecentocinquanta o più metri quadrati climatizzate tutto l’anno, piene di televisori a schermo piatto, stereo senza fili, poltrone massaggianti e vasche idromassaggio. Inoltre,investonoinqualsiasi azienda gli offra ritorni vantaggiosi, senza curarsi dell’impattochequestapossa avere sull’ambiente. Come cittadini sono sinceramente preoccupatidalriscaldamento globale; come consumatori e investitori, però, contribuiscono ad alzare la temperatura. Allo stesso modo, molti di noi continuano ad avere a cuore l’ideale della comunità tradizionale mentre contribuiamo alla sua erosione. Quelli abbastanza anziani da ricordare le vecchie vie commerciali dei paesi e delle città americane ricorderanno la varietà di negozi indipendenti, i rapporti di amicizia che in molti casi i nostri genitori stringevanoconinegoziantie le chiacchierate che si facevano coi vicini e con gli amici lungo la strada. Negli ultimi anni, architetti e urbanisti in tutto il paese hanno cercato di ricreare l’atmosfera e il fascino di queste realtà quasi del tutto dimenticate. Potete trovare le loro realizzazioni all’interno di comunità recintate, complessi condominiali di alto livello, quartieri “neourbani” e anche di qualche aeroportoecomplessodicase popolari. Le vecchie case popolaridiStThomas,aNew Orleans, un tempo una delle borgatepiùmiseredellacittà, sono state convertite in “River Garden”, un’area di sviluppo urbano per famiglie di reddito misto che assomiglia a un vecchio quartiere del XIX secolo. Celebration, in Florida, il contributo della Disney all’odierna ondata di nostalgia, simula «una comunità ricca del fascino di untempo»,standoalsitoweb della città, «con una serie unica di incantevoli negozi e appetitosi ristoranti annidati lungo la spettacolare riva di unlago». Niente di tutto questo è ciò che sembra, però. Per quanto pittoreschi, raramente i negozi in queste pseudocomunità tradizionali sono indipendenti. La maggior parte di essi sono punti vendita di catene nazionali o globali,lecuimarcheelacui atmosfera sono identiche in ogni loro negozio negli Stati Uniti o nel mondo. Come consumatori, comunque, non spendiamo molti soldi in questi viali artificiali. Oggigiorno, gran parte del nostro denaro va a grandi catene di ipermercati come Wal-Martoaimmensioutlet. Oppure, con sempre maggior facilità, facciamo le nostre comperepermezzodeinostri asociali computer. Alcune città, come Berkeley, in California, vietano l’apertura degliipermercati.Mapocoal di là dei confini di Berkeley si trova Emeryville, il cui regolamento urbanistico sembra praticamente un invito a ogni catena di ipermercati al mondo. Nei fine settimana, Emeryville è presad’assalto.Gliideatoridi RiverGardennonsisonofatti scrupoli di alcun tipo, accogliendo un Wal-Mart nel belmezzodelquartiere. I critici accusano WalMart di dissanguare i rivenditori indipendenti americani, ma il responsabile principale non è Wal-Mart. L’assordanterumoredilingue schioccanti che udite è dei consumatori che affollano Wal-Mart. Lee Scott Jr, amministratore delegato di Wal-Mart – il cui ufficio il caso ha voluto si trovi a Bentonville,inArkansas,una piccolacittadinarepubblicana e conservatrice – pensa che i vecchi viali commerciali siano anacronistici. «Vi sono persone che si preoccupano dello sviluppo urbano incontrollato e sognano una vita che assomigli più a quella della mia infanzia, in cui la gente parcheggiava l’auto e camminava lungo le viecommerciali,passandoda un negozio all’altro», ha dichiarato a John Heilemann della rivista «New York». «Homoltorispettoperquesta gente. Penso che sia ben intenzionata. Ma immagina un mondo che penso non riavremo mai più. E non credo che la società debba promuovere quella visione delmondo»156. Se la società debba promuovere o meno quella visione del mondo è una questione aperta: come ricorderete, lo scopo del vecchio Robinson-Patman Act del 1936, prima che venisse distorto dai tribunali, era quello di proteggere i rivenditori indipendenti dalle grandicatene.C’èqualcosadi strano, però, quando alcune associazioni di quartiere ingaggiano una battaglia per tenereWal-Martlontanodalle loro case. Verso la fine del 2004, dopo che Wal-Mart aveva annunciato la sua intenzione di aprire il suo primo negozio nell’area metropolitanadiNewYork,a Rego Park, nel Queens – in un centro commerciale di 12.500 metri quadrati all’intersezione tra Queens Boulevard e Long Island Expressway – varie “associazioni di quartiere” si opposero al progetto, finché Wal-Mart non rinunciò al pianol’annoseguente.Machi condusse la battaglia, e cosa preservarono esattamente a RegoPark?Apochiisolatida dove sarebbe dovuto sorgere Wal-Martvieranogiànegozi di Bed Bath & Beyond, CVS, Pizza Hut, Payless, BaskinRobbins, Old Navy, Dunkin’ Donuts, Subway, Circuit City,SearseMarshalls.Forse la presenza di Wal-Mart avrebbe costretto molte di queste catene alla chiusura, ma è improbabile che molti avrebbero sentito la loro mancanza. L’opposizione all’apertura del negozio WalMart a Rego Park ebbe probabilmente molto a che vedereconlepaurediqueste catene e dei loro dipendenti. Per quanto i cittadini comuni possanoesseresolidaliconla battaglia, le “associazioni di quartiere” che si oppongono all’insediamentodiWal-Mart sono spesso guidate dai sindacatiedallecatenerivali. La ragione è semplice. I prezzi bassi di Wal-Mart costringonolealtrecatenead abbassare i prezzi. Questi significa una riduzione dei profittieunadiminuzionedei salari157. Alcuni ricercatori hanno studiato il mercato del lavoro in certe aree prima e dopol’aperturadiunnegozio Wal-Martehannotrovatoche in seguito i salari di coloro che operavano nel settore della vendita al dettaglio erano diminuiti del 3,5%. Ancora una volta, i consumatori ottengono benefici alle spese dei lavoratori. La cosa paradossaleèchespessosono lestessepersone. Nelfrattempo,quelliche lavorano in città realmente incantevoli come Nantucket, nel Massachusetts, o Berkeley – come cassieri, camerieri, insegnanti, poliziotti o vigili del fuoco – spesso non possono permettersi di abitarci perché il costo della vita là è troppo alto. Il costo degli appartamenti è alto, perché questiluoghisonostudiatiper essereaffascinanti,eilprezzo da pagare include i costi più alti dei rivenditori indipendenti e l’assenza di qualsiasiipermercatoocentro commerciale.Nantucketvieta l’accesso anche alle grandi catene, rendendo i suoi viali commerciali particolarmente deliziosi e incredibilmente costosi. È facile trovare un compromesso tra i valori del cittadino e quelli del consumatore quando uno è abbastanza ricco da potersi permettereentrambi. La tensione tra il consumatore-investitore e il cittadinochesonoinnoipuò assumere aspetti sorprendenti e inquietanti. Per anni ho frequentato una libreria indipendente su Harvard Square,acircadieciisolatida casa mia. Mi piaceva quel negozio, e continua a preoccuparmi molto la moria di librerie indipendenti. Le grandicatenefannoisoldicoi bestseller,ilchevuoldireche i nuovi autori devono appoggiarsi ai rivenditori indipendenti per farsi conoscere. Un giorno, però, sono stato mortificato di scoprire che un numero crescentedilibricheappariva sulle mie librerie proveniva dai negozi Barnes & Nobles presenti negli aeroporti o da Amazon. Evidentemente non avevo avuto – o non avevo trovato – il tempo per fare due passi fino alla mia solita libreria.Quandofinalmenteci sonotornato,hoscopertoche aveva chiuso. Non era solo colpa mia, ovviamente; varie migliaia di persone avranno fatto le stesse scelte che ho fatto io, forse con le mie stessebuoneintenzioni. Di solito il conflitto è impersonaleestandardizzato, come quando le grandi aziende abbandonano le loro comunità di riferimento per trasformarsi in catene di fornitura globali. Lo fanno persoddisfareiconsumatorie gli investitori, alcuni dei quali, ironia della sorte, vivono in quelle stesse comunitàchesitroverannoad affrontare gravi difficoltà economiche.LaBoeinginiziò la sua attività a Seattle, dove le sue fabbriche davano lavoroadecinedimigliaiadi persone. La GE a Schenectady, New York; la General Motors a Detroit; la Kodak a Rochester, New York; la Alcoa a Pittsburgh; la Procter & Gamble a Cincinnati; la Gillette a Boston. Queste aziende costruironocampidabaseball e sponsorizzarono le istituzioni benefiche locali. Le agenzie regolatrici garantivanosufficientisussidi pubblicidasostenerealivello locale buoni servizi aerei, ferroviari, telefonici e di autobus. I politici assicuravanoaquesteaziende uno stabile flusso di contratti governativi. Man mano che il potere passava nelle mani dei consumatori e degli investitori, i rapporti tra le aziende e le loro città di origine si sono indeboliti, quandononsisonorecisidel tutto. Nel corso degli ultimi trent’anni, Pittsburgh, per esempio,hapersotuttelesue fabbriche,quasilametàdella sua popolazione e gran parte del suo quartiere commerciale. Alcuni direbbero che è un posto più piacevole in cui vivere oggi di quando era una città industriale, ma sempre meno personescelgonodiviverelì, el’etàmediadeisuoielettori siavvicinaaisettant’anni.La Alcoamantieneancoralasua sedeufficialeaPittsburgh,in un noto edificio a sei piani della città. Ma poco dopo la sua nomina come amministratore delegato dell’azienda, nel 2001, Alain Belda si insediò nel Lever Building, su Park Avenue, a NewYork,portandosiconsé ladirigenzadell’azienda.Non vi sono placche o cartelli della Alcoa a ufficializzare il trasferimento,madifattoèlì che ora l’azienda ha la sede. In un discorso al New York CityBusinessSummit,Belda haspiegatocosìlasuamossa: «Abbiamo bisogno di avere accesso ai giocatori migliori. E ne abbiamo bisogno quando ne abbiamo bisogno, nontraunasettimana,quando hannounagiornataliberaper venireaPittsburgh.Abbiamo bisogno di vederli a colazione, o anche solo per un caffè, quando ci viene l’idea. E abbiamo bisogno di vederlituttiigiorni»158. Un tempo Pittsburgh ospitava tutte le fabbriche e gli operai di cui la Alcoa aveva bisogno. Ma ora le catene di fornitura globali della Alcoa possono rimediare queste risorse in qualsiasi luogo della terra. I dirigenti della Alcoa fanno regolarmenteaffariingiroper ilmondo.NewYorksoddisfa meglio le esigenze della Alcoa, perché è lì che possono avere accesso immediato ai “giocatori migliori” nel campo della finanza, della giurisprudenza, dellaconsulenzaedeimedia. Sono loro, insieme alla dirigenza della Alcoa, a gestire le catene di fornitura globali dell’azienda e a vendere i prodotti e i servizi della Alcoa in una maniera che soddisfi i suoi investitori (rappresentatidaWallStreet) e consumatori globali (rappresentati da Wal-Mart e dalle altre catene di ipermercati), impegnati in una ricerca incessante dell’affaremigliore. 7 Come cittadini, probabilmente siamo anche preoccupati dalla stabile erosione degli standard di decenza. L’industria dell’intrattenimento riversa sul mercato un torrente maleodorante di sesso e violenza. I film sono più luridiecruentichemai;itesti delle canzoni, più volgari e provocatori; la TV via cavo, più squallida; Internet è un magazzino virtuale del peggiorsudiciumedellaterra; neivideogiochifiguranoteste che esplodono e corpi fatti a pezzi. I conservatori tuonano contro l’involgarimento della cultura americana e danno la colpaallacausadituttiimali, illiberalismo.«Inlineaconil progresso del liberalismo», scriveRobertBork,ilgiurista conservatore convertitosi in un crociato morale, «la cultura popolare [...] celebra l’io libero da ogni vincolo e aggredisce chiunque voglia limitarlo [...]. Sempre più di quellochel’Americaproduce edistribuisceèintrisodiogni perversione e oscenità immaginabile»159. Per Bork e altri conservatori sociali, il cuore della bestia liberale si trova a Hollywood. «Molti a Hollywood insistono nell’arricchire i loro film di oscenità, in quanto considerano la brutalità e l’oscenità dimostrazioni di “autenticità”»160. Personalmente, sono disgustatodacomelacultura popolare riduce le donne a oggetti sessuali, celebra la violenza e scarica questa spazzatura nelle nostre case. Ma non è colpa di Hollywood,edicertononha nulla a che fare col liberalismo. Il crollo della cultura popolare americana è finanziato dai grandi conglomerati mediatici del paese, come la Fox Entertainment(posseduta,per l’appunto, dal miliardario di destra Rupert Murdoch), che distribuisce banali volgarità come Melrose Place e Beverly Hills 90210. Altre grandi corporation stanno usando il sesso e la violenza come veicoli pubblicitari per vendereditutto,dagliarticoli sportivi agli utensili da cucina. Queste aziende non fanno ciò che fanno per corrompere la morale della gente, ma semplicemente perché il sesso e la violenza offrono lauti guadagni. È quello che vogliono i consumatori e coloro che investono nelle aziende che glielo forniscono non potrebbero chiedere di meglio. Se le centinaia di milioni di persone negli Stati Uniti e altrove che consumano questi prodotti non li volessero, questi non avrebbero un mercato. Se i consumatorinonreagisseroin maniera così entusiastica alle pubblicità piene di attori e attrici seminudi, queste non esisterebbero. Ancora una volta, il nemico è dentro di noi. Molti dei difensori dei “valori tradizionali” e critici ferocideimedia,guardacaso, sono gli stessi che celebrano il libero mercato e guardano con sospetto a ogni forma di intervento governativo. Sfortunatamenteperloro,non possonoaverelabottepienae la moglie ubriaca. Devono scegliere tra la libertà di espressione e un Governo paternalista. Se non apprezzanoquellocheititani dei media americani stanno offrendo a una schiera di consumatori più che soddisfatti, questi difensori della moralità devono chiedere al Governo di intervenire per fermare la vendita e l’acquisto di certi prodotti,edevonofarlosenza violareilprimoemendamento dellaCostituzione. Era tutto più semplice nell’età non proprio dell’oro, quando vi era solo una manciatadicanalitelevisivie ognuno doveva ottenere la licenza dalla Federal Communications Commission, che si assicuravachenessunoosasse andare oltre ciò che era comunemente accettato; quando i film dovevano essere approvati dall’autorità censoria di Hollywood; quando la Corte Suprema faceva rispettare le leggi contro la pornografia (il giudicePotterStewart,inuna dichiarazione che divenne celebre, disse una volta che non sapeva definire cosa era osceno, ma sapeva riconoscerloselovedeva).A quel tempo, i consumatori e gli investitori non avevano una gran voce in capitolo. Il potere era nelle mani dei regolatoriediunmanipolodi grandi oligopoli: tre grandi network televisivi, un drappello di grandi studios cinematografici e case discografiche e una piccola schiera di riviste distribuite a livello nazionale. Qualcuno dovrebbespiegareaimoderni conservatoricheaqueltempo il capitalismo democratico imponeva con forza gli standard borghesi di decenza comune. Oggi sono migliaia le aziende dell’industria dell’intrattenimento che competono furiosamente tra loro per attirare consumatori e investitori. Anche i grandi networktelevisivi,chehanno ancora la decenza di tagliare le esternazioni più volgari, aggiranoilorocensoriinterni e i commissari della FCC distribuendo versioni non censurate dello stesso prodotto sui loro siti web161. Unavoltachelospiritodella concorrenza selvaggia è stato liberato anche nel settore dei media, il capitalismo ha inevitabilmente cominciato ad assecondare i nostri istinti piùbassi.Questoperònonlo rende giusto, ed è il nodo centraledeltema. Il reciproco corteggiamento tra il supercapitalismo e i nostri istinti più bassi potrebbe essere alla base anche dell’ondata di obesità che affligge le nostre società. Gli americani e molte altre popolazioni in giro per il mondo hanno oggi facile accesso a una valanga senza precedenti di prodotti ipercalorici e di cibo spazzatura. La forte concorrenza tra le aziende di fast food ha liberato un torrente di cereali zuccherati, grassi spuntini, porzioni enormi di carni fritte, bevande super-zuccherate e un orrendo pane fatto di carboidrati raffinati. La concorrenza tra le aziende produttrici di latticini, pani e dolcihaportatoallacreazione di gelati super-densi, infinite variazioni sul tema dei biscotti al cioccolato e una cornucopia di torte, croissant edolciumi,fatticonzucchero a velo, zucchero granulato, zucchero raffinato, zucchero di canna e zucchero grezzo. La quantità di bevande gassate che consumiamo è salita dagli 88,5 litri a persona del 1970 ai 200 litri dellafinedeglianniNovanta. Laquantitàdigrassopresente neinostricibièaumentatadel 25%trail1970elafinedegli anni Novanta. Il numero di calorie che assumiamo è passatodaunamediadi3.300 al giorno nel 1970 a 3.800 alla fine degli anni Novanta: il doppio della quantità richiesta per soddisfare il fabbisognoenergeticodigran partedelledonneadulte,eun terzo in più del fabbisogno della maggior parte degli uomini,emoltopiùdiquanto abbiano bisogno i bambini e glianziani162. Anche l’età non proprio dell’oro aveva i suoi cibi spazzatura, ovviamente. Ho passato innumerevoli pomeriggi, dopo scuola, ad abbuffarmidibiscottiHostess ripienidicrema.Mal’offerta e l’accessibilità non erano paragonabili a quelli di oggi, enonsubivamolamartellante pubblicità tipica del supercapitalismo.Larichiesta dicibi“biologici”e“naturali” stacrescendo,manonquanto larichiestadicibospazzatura. Nel 1998, le aziende alimentari introdussero poco più di 11.000 nuovi prodotti; più di due terzi di questi erano condimenti, dolci e spuntini, prodotti da forno, bevande gassate, formaggi e gelati163. La consapevolezza del fatto che dobbiamo ridurrelanostraassunzionedi tali delizie non ha cambiato un granché le cose, soprattutto alla luce della crescente concorrenza per lo spaziolimitatomaincostante aumento delle nostre pance e dei nostri fianchi sempre più voluminosi. Anche in questo caso, il fatto che scegliamo liberamente di mangiare queste cose non lo rende giusto. 8 Le conseguenze del supercapitalismo si fanno sentirebenaldilàdeiconfini degli Stati Uniti. Qualche anno fa, quando la Alcatel, un’azienda di proprietà a maggioranza francese, annunciò che avrebbe fatturato meno di quanto previsto, il prezzo delle sue azioni crollò. Tornò a crescere qualche mese più tardi, quando l’azienda prese la decisione molto poco francese di tagliare 12.000 posti di lavoro e mettere in crisi varie comunità. Il presidente francese Jacques Chirac spiegò poi nel suo discorso in occasione dell’anniversario della presa della Bastiglia le cause della crisi: «I pensionati californiani hanno improvvisamente deciso di vendere le loro azioni della Alcatel», affermò stizzito, riferendosi all’enorme fondo pensione dei dipendenti pubblicicaliforniani. I dipendenti pubblici della California – decine di migliaia di anime amanti del mueslicheprobabilmentenon si vedono come dei difensori fanatici del libero mercato – investono i loro risparmi in un enorme fondo pensione chiamato CalPERS, che è instancabilmenteimpegnatoa tagliareipontitraleaziendee i loro dipendenti e le loro comunità di riferimento in giroperilmondo.Cometutti gli amministratori di tali fondi, i dirigenti della CalPERS sanno bene che il loro lavoro è quello di massimizzare il valore di portafoglio dei clienti. La CalPERS aveva investito nella Alcatel perché prometteva bene, purché l’azienda avesse tagliato i costi, come sembrava probabile che avrebbe fatto. Ma quando i dirigenti della Alcatel si mostrarono troppo lenti nel tagliare gli stipendi, la CalPERS fece pressione sull’azienda minacciando di vendere le sue azioni. La CalPERS non ce l’aveva coi francesi.Qualcheannoprima si era lamentata che un’aziendadiservizipubblici tedesca, la RWE, permetteva alle città in cui operava un eccessivo controllo sul suo consiglio d’amministrazione, danneggiando il valore delle azioni dell’azienda. La RWE argomentò che quell’accordo rappresentava un elemento centrale del rapporto di fiducia tra l’azienda e i suoi clienti.LaCalPERSminacciò di mollare le sue azioni della RWE, finché infine l’azienda non si liberò del suo sistema dirappresentanzalocale164. In questo modo, i simpatici dipendenti pubblici della California stanno impietosamente diffondendo il supercapitalismo nella “vecchia Europa”. I dipendentipubblicidellacittà di New York, per canto loro, stanno portando il supercapitalismoinIndonesia con mezzi più controversi. Nel gennaio del 2006, possedevano circa 37 milioni didollaridell’enormeminiera d’oro a cielo aperto della Freemont Mining Company, a Papua, che ha riversato miliardiditonnellatedirifiuti tossici in quello che era un fiumeincontaminato,cruciale per la catena alimentare locale. Nonostante le sofferenze della popolazione locale, l’azienda ha sempre sostenutocheisuoimetodidi smaltimento erano approvati dalle autorità provinciali, forse grazie ai quasi 20 milioni di dollari che la Freemonthaversatosuiconti bancari di numerosi ufficiali dell’esercito e della polizia indonesiani tra il 1998 e il 2004, come ha riportato il «New York Times». Col prezzo dell’oro più alto da venticinque anni a questa parte, però, a più di 550 dollari l’oncia, gli amministratori del fondo pensione di New York non avevano alcuna fretta di vendere le azioni della Freemont. L’unico loro dubbio, stando al sovrintendente della città William C. Thompson Jr, era che la Freemont potesse aver violato il Foreign Corrupt Practices Act (Legge sulle pratichecorrotteall’estero),il cheavrebbemessoarischioil valoredelleazioni165. Anche i consumatori stanno aiutando a diffondere il supercapitalismo, con conseguenze simili. Un lavoro in una fabbrica tessile indonesiana è senza dubbio meglio di un’agricoltura di sussistenzainIndonesia,mai salari reali dei lavoratori tessili indonesiani sono calati regolarmente negli ultimi anni, man mano che i consumatori americani diventavano più abili a reperire l’affare migliore. A causa della crescente concorrenza, grandi produttori come la Nike e rivenditoricomeFootLocker, IntersporteJ.C.Penneyhanno fatto pressione sui loro fornitori e subappaltatori perché abbassassero i costi. Come conseguenza, il prezzo di una maglietta prodotta all’estero per conto di note marche di articoli sportivi è calato dai 3,70 dollari a dozzina del 2000 ai 2,85 del 2003. Una fabbrica in Sri Lanka che fornisce prodotti alla Nike ha riferito un calo nel prezzo per unità del 35% nel corso di un periodo di diciotto mesi. La J.C. Penney pagava 5 dollari per i suoi vestitiperneonatichecinque anni prima pagava 5,75. Come ha dichiarato un operaio di una fabbrica di vestiti indonesiana, «il manager della nostra divisione utilizza spesso [questo calo di prezzi] come scusa per non aumentare i nostristipendimensili»166. Perquantoiconsumatori e gli investitori americani siano all’avanguardia, anche altrove queste categorie stanno scoprendo i benefici dell’economia globale, anche a costo dei valori condivisi nella loro società. Le disuguaglianzesonocresciute pressoché in tutte le economie avanzate, anche nelle cosiddette “socialdemocrazie”167. La spinta maggiore verso la ristrutturazione delle economie europee in chiave corporativista iniziata alla finedeglianniNovanta–che ha comportato acquisizioni poco amichevoli, il licenziamento di dirigenti considerati inefficienti e il trasferimentodelleoperazioni inpaesiincuilamanodopera costava di meno – è venuta dagli europei stessi. L’amministratore delegato della Daimler Chrysler, Dieter Zetsche, per esempio, si trovò a fare i conti con ingenti perdite, man mano che gli europei abbandonavano l’azienda a favore della concorrenza; Zetsche eliminò 26.000 posti di lavoro e chiuse sei stabilimenti europei nel tentativo di tagliare i costi e riconquistare i consumatori e gli investitori che aveva perso. Quando il sindacato degli operai di linea della Volkswagen si oppose alla decisione dell’azienda di estendere le ore di lavoro senza aumentare gli stipendi, l’amministratore delegato WolfgangBernhardminacciò di spostare le operazioni dell’azienda nell’Europa dell’Est o in Asia se non fosse riuscito ad abbassare il costo del lavoro168. «Per moltotempoabbiamopensato che i nostri alti tassi di produttività e la flessibilità della nostra forza lavoro giustificassero stipendi più alti», spiegò Bernhard. «Ora, con l’ascesa di nuovi concorrenti nell’Europa dell’Est e in Asia, vediamo che è possibile ottenere gli stessi livelli di produttività con stipendi molto più bassi»169. Anche le aziende tedescheconmaggioriprofitti sono sotto pressione affinché taglino i costi. Nel 2005, il presidente della Deutsche Bank, Josef Ackermann, annunciò contemporaneamente un aumentodeiprofittidell’87% e un piano per tagliare 6.400 postidilavoroinGermaniae spostarne1.200inpaesidalla manodoperaabassocosto. Nel frattempo, gli stipendi degli amministratori delegati europei stanno lievitando rapidamente ai livellidiquelliamericani.Nel 2005, Jan Bennink, amministratoredelegatodella Royal Numico, un’azienda alimentare olandese, si è portatoacasa13,4milionidi dollari;LordBrownedella BP 18,5 milioni di dollari; Antoine Zacharias, ex presidente del gigante delle costruzionifranceseVinci,tra l’indennitàdilicenziamentoe compensazioni varie, si è intascato 22 milioni di dollari170. Alcuni europei sono preoccupati che le tradizioni egualitarie cattoliche e socialdemocratiche del continentesistianoerodendo, ma il motivo per l’aumento degli stipendi degli amministratori delegati è più prosaico. Man mano che le grandi corporation europee si affacciano sul mondo, i dirigenti di queste aziende si trovano a competere con i loro equivalenti americani. Molto semplicemente, i consumatori e gli investitori globali stanno chiedendo a gran voce i talenti migliori disponibili sul mercato, a qualsiasiprezzo. I salari degli amministratori delegati giapponesisonoancoramolto più bassi di quelli degli americaniodeglieuropei,ma sono anch’essi in crescita, man mano che le aziende giapponesi vengono spronate acercarenuovitalentiingiro per il mondo. Nel 2005, per esempio, Howard Stringer è diventato il primo amministratore delegato americano della Sony. Come altrove, più i consumatori e gli investitori giapponesi si sono fatti esigenti, più hanno cominciato ad aumentare le disuguaglianzedientrateedi reddito in un paese che si vantavadiessere«unasocietà di 100 milioni di persone, tutte appartenenti alla classe media»171. Molte aziende hanno smesso di assumere i dipendentiperunavitaintera e hanno cominciato a eseguire licenziamenti di massa,alegarelepromozioni alle prestazioni e a chiudere le linee di produzione meno redditizie. Solo pochi mesi dopo il suo arrivo, Stringer annunciò il licenziamento di 10.000lavoratori,il7%della forza lavoro della Sony. L’avvento del supercapitalismo ha beneficiato i consumatori e gli investitori giapponesi – nel 2006 la borsa giapponese ha raggiunto il punteggio più alto in quattordici anni e i prezzideiterreninellegrandi città erano in aumento – ma ha lasciato indietro molti lavoratori del paese. Tra il 2001 e il 2006, il numero di giapponesi senza risparmi è raddoppiato. La Cina è diventata un modello di rapido sviluppo economico, con una tasso di crescitaannuodicircail10% dai primi anni Ottanta. È certamente una buona notizia periconsumatoricinesieper tutticolorocheinvestononel paese, ma le conseguenze sociali sono state molteplici. Negli ultimi anni, la differenza di entrate è aumentata drammaticamente. La nuova élite aziendale cinese si è rinchiusa nell’equivalente delle comunitàrecintateamericane, con tanto di mega villoni e piscine,faseguireaisuoifigli corsidigolfedipallanuotoe limandaastudiareall’estero. Allo stesso tempo, molte delle città costiere cinesi si sono riempite di contadini venuti dalle campagne, che soffrono la miseria urbana e la disoccupazione. Stando alla Banca Mondiale, anche se il reddito totale cinese è cresciutodimoltotrail2001 eil2003,ilredditomediodel 10% più povero del paese è calato del 2,5%172. L’inquinamento ha raggiunto livelli tali che gli abitanti di alcune aree urbane indossano regolarmente delle mascherine quando sono all’aria aperta. Circa 24 milioni di acri di terra coltivata – il 10% della terra arabile del paese – sono così inquinatidametterearischio la sicurezza alimentare173. Le disuguaglianze sono in aumento anche in India, nonostante i crescenti livelli di prosperità174. Lo stesso fenomeno si sta verificando in gran parte dell’America Latina, contribuendo alle tensioni di classe. Dieci anni dopoilsuoingressonell’area di libero scambio nordamericano, il PIL del Messico è notevolmente cresciuto ma sono aumentate di molto anche le disuguaglianze di salario. È cresciuto il ceto medio-alto del paese, ma anche il numero dei messicani che vivono in povertà: uno degli argomenti della contesa nelle recenti elezioni presidenziali del2006. Il supercapitalismo ha generatounaprosperitàsenza precedenti per il mondo e questo rappresenta senza dubbio un successo. Man mano che crescono le disuguaglianze, i lavori diventano più precari, vengono recisi i vecchi legami sociali, le vecchie comunità vengono abbandonate, la qualità dell’aria e dell’acqua si deteriora e le culture tradizionali subiscono l’affronto della volgarità commerciale, e il supercapitalismo sta fomentandosemprepiùanche ilmalcontentosociale.Ilfatto chelaspintamaggiorevenga dai consumatori e dagli investitoridituttoilmondo– alcuni dei quali sono loro stessimoltopreoccupatidalle conseguenze sociali del sistema – non rende le cose menodolorose. 9 Selamaggiorpartedelle persone è divisa nel suo giudiziosulsupercapitalismo, perché la parte di noi che consumaeinvestehasempre lameglio?Larispostaèchei mercati sono diventati incredibilmente sensibili alle richieste individuali dei consumatori e degli investitori, ma non sono in grado di soddisfare le richieste della collettività. Mentre Wal-Mart e Wall Street aggregano le richieste dei consumatori e degli investitori in formidabili blocchi di potere, le istituzioni che un tempo aggregavano le volontà dei cittadini si sono indebolite. Le trattative tra i grandi oligopoli e i sindacati di settore non hanno più nessun impatto sull’economia politica nel suo insieme; le associazioni volontarie locali nonhannopiùnessunimpatto sulle scelte dei politici; le agenzie regolatrici non difendono più l’interesse pubblico; gli amministratori delegati non possono più permettersidifaregli“statisti aziendali”. C’è qualcosa di ironico in tutto ciò. Proprio perché il supercapitalismo è così efficiente e dinamico, i cittadini sono più vulnerabili che mai. Se le aziende rinunciano all’assicurazione sanitaria e alla copertura pensionistica dei loro dipendenti, per esempio, un sostegno pubblico nei loro confronti diventa ancora più urgente. Se i lavori e le entrate diventano più precari, il paracadute sociale diventa essenziale. Se lo scopo delle aziende diventa sempre più quello di massimizzare i profitti, vi è bisogno di interventi più decisi in difesa della salute, della sicurezza, dell’ambiente e dei diritti umani per arginare la possibilità che i dirigenti aggirinoleleggiinmateria. Che cosa dovrebbero fare i cittadini, quindi? Non possiamo resuscitare il capitalismo democratico dell’età non proprio dell’oro, e non dovremmo neanche aspirare a ciò. Come consumatori e investitori, forse, facevamo troppi sacrificialtempo.Mavisono buoni motivi per ritenere che ci siamo spinti troppo in là nelladirezioneopposta:verso una società dominata principalmente dai consumatori e dagli investitori, in cui l’idea del bene comune è del tutto scomparsa. Il problema è che le scelte che effettuiamo sul mercato non riflettono appieno i nostri valori in quanto cittadini. Forse faremmo scelte diverse se comprendessimo e riconoscessimo le conseguenzesocialideinostri acquisti e dei nostri investimenti, e se sapessimo che tutti gli altri consumatori e investitori ci seguirebbero nel rifiutare quegli affari vantaggiosi che comportano conseguenze sociali inaccettabili. È invece improbabile che faremmo certi sacrifici se pensassimo di essere gli unici consumatori e investitori a darsi un freno. A volte, l’ascesi solitaria è l’ultimo rifugio dell’idiota di buona volontà. L’unico modo perché il cittadinocheèinnoiabbiala meglio sul consumatore e l’investitorechesonoinnoiè per mezzo di leggi e norme che trasformino i nostri acquistieinostriinvestimenti in scelte sociali oltre che personali. Leggi diverse sul lavoro,cherendanopiùfacile ai dipendenti organizzarsi e reclamare condizioni migliori, per esempio, potrebberoaumentaredipoco il costo dei prodotti e dei servizi, specialmente di quei servizi locali protetti dalla concorrenza globale. Il consumatorecheèinmenon nesaràtroppocontento,mail cittadino che è in me ritiene chesiaunprezzochevalgala pena pagare. Sarei anche a favorediunapiccolaimposta alla fonte sulla vendita dei titoli di borsa, al fine di rallentare leggermente il movimento di capitali e permettereallepersoneealle comunità di avere un po’ più di tempo per adattarsi alle nuove circostanze. Questo potrebbe ridurre di una piccola frazione i ritorni del mio fondo pensione, ma il cittadino che è in me pensa che ne valga la pena. Per molti degli stessi motivi, penso che ci dovrebbero essere degli “interruttori automatici” che impediscano a un’azienda grande e redditizia di licenziare più di una certa percentuale della sua forza lavoro in una determinata comunità nel corsodiunanno. Nonarrivereialpuntodi regolamentare nuovamente l’industriadeltrasportoaereo o ostacolare il libero commercioconlaCinaecon l’India – questo mi costerebbe troppo in quanto consumatore – ma darei il mioconsensoaunsussidiodi disoccupazione prolungato nel tempo, accompagnato da una cassa integrazione e a corsi di formazione professionale che alleggeriscano il peso per i lavoratori che subiscono le conseguenze della deregulation o della fluttuazione dei mercati. E penso che tutti i trattati commercialidebbanoimporre ai paesi partecipanti di consentire ai loro cittadini di formare dei sindacati e di stabilire un salario minimo che sia la metà del salario medio. Sosterrei anche che i congedi per motivi familiari siano retribuiti, per permettere ai lavoratori di imparare nuovi mestieri, o di stare vicino a un bambino appena nato o a un familiare malato senza sacrificare il proprio stipendio. Questi provvedimenti potrebbero costarmiunpo’disoldi,mail cittadino che è in me pensa che ne valga la pena. Non vedo come riusciremo a ricreare dei lavori che sostengano il ceto medio se non miglioriamo radicalmente l’educazione pubblica, il che richiede che gli insegnanti siano pagati abbastanzadaattrarregiovani ditalentonelleauledelnostro paese(laleggedelladomanda e dell’offerta non si ferma sulla soglia delle scuole) e che ne siano arruolati di più, affinché le classi siano meno affollate. Come rimediare i soldi per tutto questo? Per mezzo di una tassazione maggiormente progressiva. Il salario netto degli amministratori delegati, dei banchieri d’investimento, degliamministratorideifondi hedge e delle celebrità ha raggiunto vette così elevate che non penso che tassare di più queste categorie scoraggerebbe le persone di talento dall’intraprendere carriere di questo tipo175. Infine, svincolerei l’assistenza sanitaria dal lavoro e userei i proventi delle tasse – vi ricordo che l’assistenza sanitaria offerta dall’aziendaèdetassata–per offrireatuttiun’assicurazione sanitaria completa. Ma approfondiròquestotemapiù avanti. Forse voi avete un’opinione diversa su questi temi, nel senso che il consumatore-investitorecheè in voi interagisce diversamente col cittadino che è in voi, rispetto ai miei. Il problema è che, come nazione, non abbiamo quasi mail’opportunitàdidiscutere di tali questioni. I nostri dibattiti sui cambiamenti economici, invece, sono monopolizzati quasi sempre dai rappresentanti dei due estremi dello spettro ideologico: quelli che vogliono il meglio per i consumatoriegliinvestitorie quelli che vogliono preservare i posti di lavoro e lecomunitàesattamentecome sono ora. Invece di cercare insieme i modi per ammorbidire i colpi, aiutare chi rimane indietro o rallentare il ritmo del cambiamento – affinché i consumatori possano beneficiare di prodotti miglioriepiùeconomiciegli investitori possano godere di ritorni più alti senza scontrarsi coi nostri valori in quanto cittadini – ci diamo addosso l’un l’altro. I consumatori e gli investitori vincono quasi sempre, anche seavolteicittadinisonocosì determinati da riuscire a fermare temporaneamente le cose,chesitrattidiunnuovo trattato commerciale o dell’apertura di un negozio Wal-Mart. È quello che accade anche tutte le volte che si parla di introdurre leggi ambientali più severe, garanzie sociali più ampie e maggiori tutele per i diritti umani a livello internazionale. Dal momento che molti di questi provvedimenti aumenterebberoiprezziperi consumatori e ridurrebbero i ritornipergliinvestitori,sono spesso politicamente difficili da attuare. Ma il benessere materiale dei consumatori e degliinvestitorinondovrebbe essere l’unico metro di giudizio. Una riduzione dei gas serra giustificherebbe il sacrificio economico se si tratta di salvare il pianeta. Allostessomodo,sipotrebbe sostenere che l’accesso all’assicurazione sanitaria è un bene comune fondamentale. O che il rispetto dei diritti umani, ovunque nel mondo, ha un valoreintrinseco.Nonvoglio, per esempio, che le aziende hi-tech americane forniscano alle autorità cinesi gli strumenti per sopprimere la libertà di parola anche se questo comporta una piccola riduzionedelvaloredellemie azionidiYahoo,diGoogleo dellaMicrosoft. La nostra democrazia sembraincapacediaffrontare questiargomenti,anchesene abbiamo drammaticamente bisogno. Le iniziative dei cittadini, invece, avvengono ai margini del dibattito pubblico, il più delle volte a livellostataleolocale,esono spesso bloccate o indebolite all’insaputa della gente. La California introduce delle regole molto restrittive sulle emissioniinquinanti,soloper vedersele gettare nel cestino dalle corti federali. Il Maryland vara una legge che impone a Wal-Mart di investire l’8% dell’ammontaredeglistipendi nell’assistenza sanitaria per i dipendenti e un giudice federale la stronca. Il consiglio comunale di Chicago aumenta il salario minimo dei dipendenti delle catene di ipermercati e il sindaco, preoccupato che questo possa danneggiare la competitività della città, opponeilveto. Le altre democrazie non sembrano più abili nell’affrontare gli stessi problemi. Attratti dagli affari che offre l’economia globale matimorosidiperdereleloro tradizionali garanzie sul lavoro, gli europei hanno le mani legate. Le loro democrazie sono così paralizzate che i cittadini spesso sono costretti a esprimereleloroopinioniper mezzodiimponentiscioperie boicottaggi. Nel 2006, la Germania introdusse nuove regole che rendevano più facile per le aziende licenziare i dipendenti nei loro primi due anni d’impiego, ma i tentativi del cancelliere Angela Merkel di deregolamentare ulteriormente il mercato del lavoro hanno incontrato un’opposizione totale. Jacques Chirac valutò la possibilità di introdurre una legge che permettesse di licenziare i dipendenti al di sotto dei ventisei anni nei primidueannid’impiego,ma dovette tornare sui suoi passi in seguito a una rivolta popolare. In Italia, l’Unione di centrosinistra di Romano Prodi, nel 2006, ha strappato per pochi voti la vittoria a Silvio Berlusconi, il cui programma di riforme conservatrici aveva allontanato le simpatie di molti cittadini. «I vecchi centri vitali dell’Eurozona sono soffocati dalla disoccupazione e affamati da una crescita lenta», ha commentato compiaciuto l’«Independent» di Londra, «ma i sistemi politici di Francia, Germania e Italia non riescono a produrre le soluzioni necessarie»176. Ma anche in Gran Bretagna le disuguaglianze sono in aumento e il lavoro si fa più precario, e la sua flemmatica democrazia è altrettanto incapace di proporre soluzioniefficaci. AncheilGiapponesista muovendo verso il supercapitalismo, ma la sua democraziaètropposfiancata per rispondere alle sue deleterieconseguenzesociali. La Cina ha abbracciato il supercapitalismo senza avere neanche l’ombra di una democrazia; il malcontento sociale, che si può solo manifestare con marce e sommosse, è represso con la forza. Nell’ottobre del 2006, l’élite politica si è impegnata a riportare l’”armonia sociale” nel paese riducendo il gap economico e proteggendo l’ambiente, ma non è chiaro come farà la Cina a ottenere queste cose. In Messico e in altre parti dell’America Latina, le democrazie non sono abbastanzarobustedariuscire aridistribuirelaricchezzaea resistere ai colpi più duri del supercapitalismo, alimentando una reazione radicale a questo sistema. Parti del mondo musulmano sono in aperta rivolta contro la cultura del supercapitalismo e hanno abbracciato un fondamentalismo che li sta riportando ai tempi premoderni; in tutte queste realtà, la democrazia è, nella migliore delle ipotesi, una vagaaspirazione. Perché è così difficile per la democrazia rispondere alla sfida del supercapitalismo? Perché i valorideicittadininonhanno rappresentanza nell’arena politica? Perché è così difficile creare una versione nuova, moderna del capitalismodemocratico?Èa queste domande che ora proveròadareunarisposta. 115 Il materiale, così come gli studi, sulla dissonanza cognitiva tra l’euforia relativa del consumatore e dell’investitore che sono in noi e le crescenti preoccupazioni del cittadino che è in noi sono altrettanto scarsi. Negli ultimi anni, entrambe le parti hanno avuto la loro schiera di sostenitori. Buone espressioni del consumatore e dell’investitore euforici sono Michael Cox - Richard Alm, Myths of Rich and Poor: Why We’re Better Off Than We Think, New York, BasicBooks,2000;GreggEasterbrook, The Progress Paradox: How Life Gets Better While People Feel Worse, New York,RandomHouse,2003;Lawrence Kudlow, American Abundance: The New Economic and Moral Prosperity, New York, HarperCollins, 1997; Stephen Moore, It’s Getting Better All the Time, Washington D.C., Cato Institute,2000. Buone espressioni del cittadino allarmatosonoRobertBork, Slouching Towards Gomorrah, New York, HarperCollins, 1997; Lou Dobbs, War on the Middle Class: How the Government,BigBusiness,andSpecial InterestGroupsAreWagingWaronthe American Dream and How to Fight Back, New York, Viking, 2006; Byron Dorgan, Take This Job and Ship It: HowCorporateGreedandBrain-Dead Politics Are Selling Out America,New York,ThomasDunne,2006;JeffFaux, TheGlobalClassWar,NewYork,John Wiley & Sons, 2006; David Gordon, FatandMean:TheCorporateSqueeze ofWorkingAmericansandtheMythof Managerial Downsizing, New York, Free Press, 1996; Al Gore, An InconvenientTruth,NewYork,Rodale, 2006 [Una scomoda verità, trad. di MarcoRossari,Milano,Rizzoli,2006]; Jacob Hacker, The Great Risk-Shift: The Assault on American Jobs, Families,HealthCare,andRetirement, New York, Oxford University Press, 2006; Robert Kuttner, Everything for Sale: The Virtues and Limits of Markets, New York, Alfred A. Knopf, 1997; Louis Uchitelle, The Disposable American: Layoffs and Their Consequences, New York, Alfred A. Knopf, 2006; William Wolman, The Judas Economy: The Triumph of CapitalandtheBetrayalofWork,New York, Perseus, 1997 [Il tradimento dell’economia: come il capitale trionfa a spese dell’occupazione, trad. di Marina Astrologo, Milano, Ponte alle Grazie,1997]. 116 Adam Nagourney - Michael Barbaro, “Eye on Election, Democrats Run as Wal-Mart Foe”, in «New York Times»,17agosto2006. 117 «Wall Street Journal», 3-4 dicembre2005,p.A9. 118 Dan Mitchell, “Manufacturers Try to Thrive on Wal-Mart Workout”, in «New York Times», 20 febbraio 2005, p.C1. 119 Sono state effettuate numerose ricerche sull’effetto di Wal-Mart sui prezzi. Vedi, per esempio, Emek Basker, “Selling a Cheaper Mousetrap: Wal-Mart’sEffectonRetailPrices”,in «JournalofUrbanEconomics»58,n.2, settembre 2005, pp. 203-229; Jason Furman, “Wal-Mart: A Progressive Success Story”, New York, New York University, 28 novembre 2005, consultabile all’indirizzo <http://homepages.nyu.edu/~jf1264/walm Vedi anche Jerry Hausman - Ephraim Leibtag, “Consumer Benefits from Increased Competition in Shopping Outlets: Measuring the Effect of WalMart”, MIT and Economic Research Service, U.S. Department of Agriculture, ottobre 2005. Hausman e Leibtag hanno trovato che i prezzi di Wal-Mart, in media, sono del 15-25% più bassi di quelli degli stessi prodotti venduti nei supermercati tradizionali. Per i tipici prodotti per la casa come shampoo, dentifricio e detersivi, i risparmiperilconsumatorechesceglie difareisuoiacquistiaWal-Martvanno dall’1,5% al 3% nel breve termine per poi quadruplicare nel lungo termine. Tra il 1985 e il 2005, Wal-Mart ha tenuto i prezzi dei beni alimentari più bassidel9,1%edeibeninonalimentari del4,2%alivellonazionale. 120 Dati presi da “Residential Energy Consumption Survey, 2001”, U.S. Department of Energy, Energy Information Administration, tavola HC5-3a; “Supplemental Measures of Material Well-Being: Basic Needs, Consumer Durables, Energy, and Poverty,1981to2002”,U.S.Bureauof theCensus,dicembre2005.Vedianche Cox-Alm,op.cit. 121 Paul Liegey, “Hedonic Quality Adjustment Methods for Microwave Ovens in the U.S. CPI”, consultabile all’indirizzo <http://www.bls.gov/cpi/cpimwo.htm>. 122 Bureau of Labor Statistics, Department of Labor; DePaul University, emeroteca, The Tax Foundation, all’indirizzo <http://www.bbhq.com/prices.htm>. 123 Gregg Easterbrook, “What’s Bad for G.M. Is...“, in «Nation», 12 giugno 2005;vediancheJ.McCaracken,“U.S. Automakers in Price Squeeze”, in «DetroitFreePress»,4giugno2004. 124 Dati presi da Air Transport Association,BureauofLaborStatistics, Energy Information Administration, Federal Communication Commission, Paul Kagan Associates, raccolti da ConsumerReports. 125 Hubert B. Herring, “Lower the Fares and They Will Fly (a Bit More Slowly)”, in «New York Times», 5 giugno2005,p.C2. 126 Robert W. Crandall - Clifford Winston, “Unfriendly Skies”, in «Wall Street Journal», 18 dicembre 2006, p. A16. 127 Linda Blake, Trends in the U.S. International Telecommunications Industry, Federal Communications Commission,settembre2005. 128Vedi,ingenerale,Easterbrook,The ProgressParadox. 129 Unaspiegazionepossibileèchele universitàsianoinconcorrenzatraloro per attrarre gli studenti di famiglie di reddito medio-alto disposte a pagare decine di migliaia di dollari l’anno – e che anzi considerano l’alto costo di un’università un elemento di merito – non solo per le aule, i laboratori e i professori, ma anche per sfarzose sale comuni, dormitori forniti di ogni moderno confort ed eserciti di consulenti. Un’altra, come ha notato l’economista William Baumol, è che è più difficile ottenere certi livelli di produttività in industrie che dipendono fortemente dall’interazione umana, come l’educazione e le arti dello spettacolo. 130 Vedi anche U.S. Department of Labor, Bureau of Labor Statistics, Displaced Worker Survey, 2002, consultabile all’indirizzo <http://www.bls.gov/opub/mlr/2004/06/a Vedi anche Lori G. Kletzer, Job Loss from Imports: Measuring the Costs, Washington D.C., Institute for InternationalEconomics,2001. 131 Citato in Jeff Bailey, “Northwest andItsFlightAttendantsAwaitaStrike Ruling”, in «New York Times», 25 agosto2006,p.C3. 132Furman,op.cit. 133 Citato in Ann Zimmerman, “Costco’s Dilemma: Be Kind to Its Workers or Wall Street”, in «Wall StreetJournal»,26marzo2004,p.B1. 134 S. Greenhouse, “How Costco Became the Anti-Wal-Mart”, in «New YorkTimes»,17luglio2005,p.B1. 135 National Compensation Survey: Employee Benefits in Private Industry in the United States, U.S. Department of Labor, Bureau of Labor Statistics, marzo 2006, consultabile all’indirizzo <http://www.bls.gov/ncs/ebs/sp/ebsm000 136 “Employer Health Benefits 2005”, Kaiser Family Foundation and EducationalTrust,2005,p.114. 137 Panel Study of Income Dynamics, consultabile all’indirizzo <http://psidonline.isr.umich.edu>. Vedi Jacob Hacker, The Great Risk Shift, New York, Oxford University Press, 2006; Mark Rank, One Nation, Underprivileged: Why American Poverty Affects Us All, New York, OxfordUniversityPress,2004,p.93. 138 Vedi, per esempio, Pew Social Trends Poll, 30 agosto 2006. A un campione rappresentativo di americani fuchiesto:«Rispettoa20o30annifa, pensicheillavoratoremediodelpaese sia... più precario, meno precario o più o meno nelle stesse condizioni di prima?». Risultati: più precario, 62%, meno precario, 11%, più o meno nelle stesse condizioni di prima, 24%; non sapevaosièrifiutatodirispondere,3%. 139 JamesBanks et al., “Diseases and Disadvantage in the United States and England”, in «Journal of the American Medical Association» 295, n. 16, 3 maggio2006,pp.2037-45. 140 Dati presi da Internal Revenue Service. 141 ThomasPiketty-EmmanuelSaez, “IncomeInequalityintheUnitedStates, 1913-1998”, in «Quarterly Journal of Economics»118,n.1,febbraio2003,, con i dati aggiornati al 2004 presi dal sito degli autori: <www.econ.berkeley.edu/~saez/TabFig20 Il calcolo non include i capital gains. VediancheIanDew-Becker-RobertJ. Gordon, “Where Did the Productivity Growth Go?”, uno studio presentato al BrookingsPanelonEconomicActivity, 8-9 settembre 2005, consultabile all’indirizzo <http://facultyweb.at.northwestern.edu/economics/gordo 142LucienBebchuk-YanivGrinstein, “The Growth of Executive Pay”, in «Oxford Review of Economic Policy» 21, n. 2, 2005, , pp. 283303,consultabileall’indirizzo <http://www.law.harvard.edu/faculty/beb Grinstein.Growth-of-Pay.pdf>. 143 Carola Frydman - Raven E. Saks, “Historical Trends in Executive Compensation, 1936-2003”, in «working paper», 15 novembre 2005, consultabile all’indirizzo <http://tinyurl.com/f3pzz>. Vedi anche lo studio di 200 grandi aziende effettuatodallaPearlMeyer&Partners, della Clark Consulting, “2006 Compensation Report”, consultabile all’indirizzo <http://www.pearlmeyer.com>. Un altro studio della Mercer Human Resource Consulting mostra che nel 2005 la busta paga media degli amministratori delegati delle 350 più grandi aziende d’America era di 6,8 milioni di dollari, inclusi i diritti di opzionemaesclusiipagamentidifferiti, lepensioniealtrivantaggi. 144 Questo fenomeno assomiglia, con qualchedifferenza,aquellodeimercati winner-take-all (il vincitore arraffa tutto), caratterizzati da una grande domanda per pochi giocatori d’eccezione. Vedi Robert H. Frank Philip S. Cook, The Winner-Take-All Society:WhytheFewattheTopGetSo Much More Than the Rest of Us, New York,FreePress,1995. 145 XavierGabaix-AugustinLandler, “Why Has CEO Pay Increased So Much?”, in «MIT Working Paper» n. 06-13, 8 maggio 2006, consultabile all’indirizzo <http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm? abstract_id=901826>. 146CalcolipresidaFadelGheit,senior analyst del mercato energetico per la Oppenheimer & Co., citato in Alan Murray, “Some Executives Get What They Deserve”, in «Wall Street Journal»,19aprile2006,p.A2. 147JamesSurowiecki,“NetWorth”,in «NewYorker»,14marzo2005,p.62. 148 Il sondaggio è stato effettuato nel febbraiodel2006.VediEricDash,“Off to the Races Again, Leaving Many Behind”, in «New York Times», 9 aprile2006,p.C1. 149 Jenny Anderson, “Big Bonuses Seen Again for Wall Street”, in «New YorkTimes»,7novembre2006,p.C1. 150 “The Very Richest Hedge Fund Managers”, in «New York Times», 26 maggio2006,p.C1. 151 Ellen E. Schultz - Theo Francis, “The CEO Health Plan in Era of Givebacks, Some Execs Get Free Coverage After They Retire”, in «Wall Street Journal», 7 settembre 2006, p. A20. 152 “Creative Destruction”, in «Wall Street Journal» 7 settembre 2006, p. A20. 153 EconomicPolicyInstitute,Stateof Working America, 2006-2007, capitolo 5, tavola 5.9; U.S. Bureau of the Census, American Community Survey, 2004. 154Piketty-Saez,op.cit. 155 Edward N. Wolff, “Recent Trends in Wealth Ownership”, in «New York University Working Paper», 12 dicembre1998,tavola2. 156JohnHeilemann,“Unstoppable”,in «NewYork»,15agosto2004,p.23. 157 David Neumark - Junfu Zhang Stephen Ciccarella, “The Effects of Wal-Mart on Local Labor Markets”, in «NBER Working Paper», n. 11782, novembre 2005, consultabile all’indirizzo <http://papers.nber.org/papers/w11782.pd new_windows=1>. 158 Patrick McGeehan, “Top Executives Return Offices to Manhattan”, in «New York Times», 3 luglio2006,p.A1. 159Bork,op.cit.,pp.125,139. 160Ivi,pp.126-27. 161 Vedi, per esempio, Jacques Steinberg, “Censored ‘SNL’ Sketch Jumps Bleepless onto the Internet”, in «NewYorkTimes»,12dicembre2006, p.D1. 162 DatipresidaMarionNestle, Food Politics, Berkeley, University of CaliforniaPress,2002,pp.8-9. 163Ivi,p.25. 164 Robert Reich, “Look Who Demands Profits Above All”, in «Los AngelesTimes»,1settembre2000. 165 Raymond Bonner - Jane Perlez, “New York Urges U.S. Inquiry in Mining Company’s Indonesia Payment”, «New York Times», 28 gennaio2006,p.A6. 166PlayFairattheOlympics,Oxford, Oxfam,2004,p.36. 167 Vedi A. Atkinson, Economic InequalityinoecdCountries:Dataand Explanations, in «CesIFO Discussion Paper»,2003,figura1-9;T.Smeeding, “Public Policy and Economic Inequality: The United States in a Comparative Perspective”, «Luxembourg Income Study Working Paper», n. 367, 2004, figura 3 e figura 4. Dati comparati per molti paesi si trovano in Forster - D’Ercole, Income Distribution and Poverty oecd Countries in the Second Half of the 1990s, in «OECD Social Employment and Migration Working Paper», n. 22, 2005. Stando al Luxembourg Income Survey,ilrapportotrairedditinettidel 10%deicittadinidiredditopiùaltoeil 10%diredditopiùbasso,inGermania, è aumentato da 3.1 nel 1980 a 3.3 nel 2000;inSveziada2.4nel1980a3nel 2000;nelRegnoUnitoda3.5nel1980 a4.6nel2000;enegliStatiUnitida3.7 nel1980a5.4nel2000. 168 “Europe Auto Relations Get Testy”, in «Wall Street Journal», 15 giugno2006,p.A8. 169 “Hard New Realities of the Marketplace for German Labor”, in «New York Times», 26 ottobre 2005, pp.C1,C4. 170 Nel2005,lostipendiomediodegli amministratori delegati delle aziende americane era ancora superiore di più del50%diquellodeimassimidirigenti delle aziende britanniche quotate al FTSE 100, l’indice azionario delle 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange, ma il divario si andava colmando. Nel 1998, i dirigenti americani si portavano a casa quattro volte tanto quello che guadagnavaunamministratoredelegato britannico. Anche gli stipendi degli amministratori delegati delle grandi aziende francesi quotate nell’indice CAC40sonoinaumento,passandodai $780.000 del 1998 ai 3 milioni di dollari del 2004, stando a Proxinvest, societàdiconsulenzaperfondicomuni e fondi pensione. In Germania, un recente sondaggio condotto dal «Welt» ha mostrato un incremento nel 2005 dell’11%nelsalariomediodeimembri dei consigli d’amministrazione delle trenta principali aziende quotate all’indice DAX. Vedi, in generale, Geraldine Fabrikant, “U.S.-Style Pay DealsofChiefsBecomeAlltheRagein Europe”, in «New York Times», 16 giugno2006,pp.A1,C4. 171 Norimitsu Onishi, “Revival in Japan Brings Widening of Economic Gap”,in«NewYorkTimes»,16aprile 2006,p.A1. 172 Andrew Batson - Shai Oster, “As China Booms, the Poorest Lose Ground”, in «Wall Street Journal», 22 novembre2006,p.A4. 173 Thomas Friedman, “Bring in the GreenCat”,in«NewYorkTimes»,15 novembre 2006, p. A27; Jason Dean, “How Capitalist Transformation Exposes Holes in China’s Government”,in«WallStreetJournal», 18dicembre2006,p.A2. 174 JosephStiglitz-AndrewCharlton, Fair Trade for All, New York, Oxford University Press, 2006 [Commercio equopertutti,Milano,Garzanti,2007]. 175 L’economista di Harvard Gregory Mankiw,unexassistentedelpresidente GeorgeW.Bush,hagiustamentenotato nel suo blog che «gli amministratori delegatisonopagatiquellochevalgono perleloroaziende,eilorostipendialti riflettono lo straordinario valore del loro talento. Ma l’offerta di talento è inelasticael’allocazioneditalentonon verrebbescalfitasetuttipagasserodelle alte aliquote d’imposta sul reddito». Citato in David Wessel, “With CEO Pay,SizeDoesMatter”,in«WallStreet Journal»,2novembre2006,p.A2. 176 “The Only Certainty Is More Uncertainty”, in «Independent», 12 aprile2006. 4.Lacrisidella democrazia177 Gli americani stanno perdendo fiducia nella democrazia, come i cittadini di molte altre democrazie. Come ho notato nelle prime pagine di questo libro, trentacinque anni fa gran partedegliamericaniriteneva che il nostro sistema democratico servisse gli interessiditutti.Nelcorsodei decenni successivi, però, quella fiducia è lentamente scemata. Oggi gran parte dei cittadini crede che la politica amministrativa serva gli interessi di pochi grandi gruppi interessati solo a se stessi. Sondaggi effettuati nelle altre democrazie mostrano lo stesso calo di fiducia nelle istituzioni178. Cosaèandatostorto? Nessuna delle solite spiegazioni, come ho già detto, è convincente. Una causa più probabile, in America e in misura minore macrescenteanchealtrove,è ilruolodominantechehanno assunto i soldi in politica, in particolare quelli provenienti dalle grandi corporation179. Ritengo che quel denaro sia un sottoprodotto di quello stesso elemento che ha contribuito al successo economico del supercapitalismo: la concorrenza sempre più forte tra le aziende per attivare i consumatori e gli investitori. Quella concorrenza è filtrata nell’arena politica, con le corporation che sempre più cercano di ottenere un vantaggio competitivo per mezzodiinterventistatali.La perversa conseguenza è stata di ridurre la capacità della democraziadirisponderealle esigenzedellagente. 1 Ildibattitosuquelloche è successo è stato quasi inesistente.Ilcrescenteflusso di denaro riversato dalle corporation a Washington e nelle altri capitali del mondo è sotto gli occhi di tutti. Quello su cui la gente non riesce a mettersi d’accordo è come sia potuto succedere. Risalire all’alba di questo fenomeno può aiutarci a trovareunarisposta. Primachecominciassea fluire questo torrente di denaro dalle corporation, Washington era un posto alquanto decadente, «una città dotata dell’efficienza di unacittàdelSudedelfascino di una città del Nord», come disse John F. Kennedy180. Anche a metà degli anni Settanta, quando lavoravo alla Federal Trade Commission, gran parte del centro era ancora piuttosto malmesso. Ogniqualvolta un lobbistainsistevaperoffrirmi un pranzo, lo portavo in un bar infestato dalle blatte sul lato opposto di Pennsylvania Avenue181, dopodiché non lo rivedevomaipiù.Maquando sono tornato a Washington alla fine degli anni Novanta, hotrovatoun’altracittà.Ilbar non c’era più; la strada ora risplendeva delle facciate lucide degli hotel rimessi a nuovo, dei ristoranti di lusso e dei bistrò alla moda. Il bagliore si estendeva da Georgetown fino al Campidoglio:ufficidicromo, legno lucido e finestre a specchio; condomini ben arredati con tanto di portieri che conoscevano i nomi e i bisogni di ogni singolo inquilino;alberghiconatriiin marmo,tappetispessi,musica d’ambiente e banconi di granito; ristoranti con tovaglioli di lino, menu rilegati in pelle e argenteria pesante, che servivano bistecche da 75 dollari e bottiglie di vino francese da 400.CharliePalmerSteak,ai piedi del Campidoglio, disponeva di una cantina ripiena di 10.000 bottiglie di vino. Il Bistro Bis, a fianco dell’Hotel George, offriva zampe di rana fritte sottilmente impanate e animelle alla zingara. The Palm, sulla Diciannovesima, sfoggiavaprezzidacapogiro, in grado di impressionare anche il funzionario pubblico piùsfinito. Ilflussodidenaroaveva gonfiato tutto ciò che aveva incontratolungolasuastrada: non solo i prezzi dei ristoranti, ma anche i compensi degli avvocati, dei lobbisti e degli esperti di pubbliche relazioni più in vista a Washington, per non parlare dei prezzi delle case, anchenelleconteevicine.Nel 2005, l’Ufficio Censimento del paese includeva le sette contee suburbane di Washington tra le venti contee del paese col maggior redditoprocapite182. Dagli anni Settanta in poi, i finanziamenti ai candidati si sono impennati bruscamente. Con l’aumento dei soldi in circolo, ogni candidato divenne profondamente cosciente del denaro che potenzialmente potevano ricevere i suoi rivali, a meno che il budget dellasuacampagnaelettorale non fosse stato così imponente da spaventare la concorrenza.Diconseguenza, l’attenzionedeisenatoriedei rappresentanti che un tempo erano stati così solleciti nei confronti dei gruppi d’interesse “pluralistici” presenti nei loro Stati o distretti di riferimento – in particolare quelli che si univano in federazioni nazionali – si è concentrata sempre più sulla ricerca di potenzialifinanziamenti.Ela fonte maggiore di denaro destinato alle campagne elettorali proviene dai comitati di azione politica (PAC) aziendali, composti da dirigenti delle corporation e lobbisti del settore che “raccolgono” i contributi degli altri dirigenti e dei loro socid’affari. I contributi diretti sono solo le punte di enormi iceberg di influenza politica che sono cresciuti enormemente negli ultimi decenni, come mostrano i grafici183seguenti. Questa non è solo una versione gonfiata e più costosa del pluralismo dei gruppi d’interesse che aveva così affascinato gli scienziati politici della metà del XX secolo. La quasi totalità di questa attività di lobbying è finanziata dalle aziende. Il contributo dei gruppi non aziendali è irrisorio in confronto. Nel 2005, per esempio,l’AFL-CIOavevasolo seilobbistisulsuolibropaga al Campidoglio. Tra le centinaia di organizzazioni che hanno investito di più in attività di lobbying quell’anno, in cima alla lista figurava la Camera di Commercio statunitense; l’AFL-CIOeraal74°posto.La maggior parte dei gruppi d’interesse – impegnati in cause come la difesa dell’ambiente, l’assistenza ai bambini o i diritti umani – non figurava neanche nella lista184. Notate come anche in questo caso l’escalation sia iniziata negli anni Settanta. Nel1950,eranomenodi100 le aziende che possedevano degli uffici a Washington. A partire dalla metà degli anni Settanta in poi, il business delle lobby è esploso. La National Association of Manufacturers (Associazione nazionale dei fabbricanti) spostò la sua sede a Washington nel 1973, all’incirca nello stesso periodo in cui aprì i battenti nella capitale il Business Roundtable, l’organizzazione formata dagli amministratori delegati del paese, i quali andavano a fare lobbying di personaincittà185.Neglianni Novanta,vieranooramai500 aziende americane che possedevano uffici permanenti a Washington, le quali impiegavano 61.000 lobbisti,tracuiunaschieradi avvocati186. A queste si aggiungevano numerosi centri, istituti e fondazioni sponsorizzati dalle corporation, affollati dei loro esperti di politica e di marketing. Vi erano poi quelle aziende specializzate nella propaganda di politiche pubblichefavoritedaquestao daquellacorporation187. Una simile ondata di lobbying aziendale si è abbattuta anche sulle altre capitali globali negli ultimi anni, man mano che il supercapitalismo si è diffuso nel mondo. Nel 2005, Bruxelles – che ospita la Commissione Europea e altri uffici amministrativi dell’Unione Europea – ospitava all’incirca 10.000 lobbisti, gran parte dei quali rappresentavano grandi aziende globali e organizzazioni industriali188. AvenuedeCortenbergh,oggi, ricorda molto da vicino K StreetaWashington. 2 Alcunispieganoilflusso crescente di denaro versato dalle corporation nelle tasche dei politici con una accordo cheilgrandecapitaleavrebbe stretto col partito repubblicano ai tempi dell’elezione di Ronald Reagan e che ora continuerebbe sotto l’amministrazione di George W.Bush189.Standoaipresunti termini di questo accordo, il grande capitale avrebbe fornito abbastanza soldi ai repubblicani da garantirgli unamaggioranzapermanente, in cambio della quale il partitoavrebbeportatoavanti unprogrammaenergicamente filo-aziendale.Alcunivedono la dimostrazione di questo accordo nel tristemente celebre “K Street Project” dell’amministrazione Bush, con cui Tom DeLay, capogrupporepubblicanoalla Camera, e altri leader repubblicani fecero pressione sulle corporation e sulle associazioni commerciali affinché assumessero solo lobbistirepubblicani. Maèunaspiegazionefin troppo semplicistica. Non chiarisce perché l’attività di lobbying sia cresciuta così tanto anche altrove. E ignora il fatto cruciale che il fenomeno ha riguardato entrambi i partiti. Quando i democratici persero il controllo del Congresso, nel 1994, erano oramai anch’essi dipendenti dai soldi delle corporation. «Le aziende devono parlare con noi, che glipiacciaomeno,perchénoi abbiamo la maggioranza», incalzò il rappresentante democratico Tony Coelho, che in qualità di capo del Democratic Congressional Campaign Committee (Comitatodellacampagnadei democratici al Congresso), negli anni Ottanta, ruppe il ghiaccio tra il partito e le corporationdelpaese.Coelho portò avanti una dura battaglia vittoriosa per ottenere più o meno una parità nei finanziamenti delle aziende ai due partiti. Nel 1990, per esempio, il settore autotrasportato divise i suoi 1,51 milioni di dollari di contributi in parti uguali tra democratici e repubblicani, stando al Center for Responsive Politics. Quell’equilibrioèduratofino a quando i repubblicani ottennero la maggioranza al Congresso,nel1994edèpoi stato ristabilito dopo la vittoria democratica del 2006190 (stando a Political Money Line, un’organizzazione che si occupa dei finanziamenti alla politica, nel primo trimestre del 2007 i PAC hanno dato il 56,6% dei loro contributi al partito democratico)191. Ovviamente, la dipendenza delle corporation dal Congresso democratico, che Coelhodavaperscontato,finì per rendere anche il partito dipendente dalle corporation, come fu evidente qualche meseprimadellasconfittadel 1994, quando molti democratici votarono contro ilpianodiassistenzasanitaria di Bill Clinton perché le corporation che sponsorizzavano il partito vi sieranoopposte. Nonostante quel piano, l’amministrazione Clinton – dicuisonofierodiaverfatto parte – è stata una delle amministrazioni più filoaziendali nella storia americana.Neisuoiprimidue anni di presidenza, quando i democratici controllavano entrambe le camere del Congresso,Clintonspinseper la creazione sia del North American Free Trade Agreement (Trattato nordamericano di libero commercio, NAFTA) che dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, due strumenti di importanza crucialeperilgrandecapitale. Siimpegnòanchearidurreil deficit pubblico, come speravano i trader di Wall Street. Il mondo aziendale non poteva chiedere di meglio. I profitti delle corporation salirono alle stelle,laborsasiimpennòei compensi degli amministratori delegati raggiunsero somme stratosferiche. Questi fatti da soli non indicano che Clinton o qualche altro membro della sua amministrazione fosse particolarmente succube del grande capitale o che le aziende dettassero il programmapresidenziale.Ma laquantitàdidenaroconfluita dalle corporation nelle casse della campagna per la rielezione di Clinton e del Democratic National Committee (Comitato Nazionale del Partito Democratico) e la determinazione con la quale Clinton corteggiò le aziende per ottenerlo, sono certamentefattidegnidinota. L’ospitalità con la quale Clinton assecondò i desideri degli amministratori delegati che volevano passare una notte nella stanza da letto di Lincoln confermò il vecchio detto secondo cui la Casa Bianca è l’unico albergo in cui sono gli ospiti a lasciare uncioccolatinosulcuscino.I soldi erano una garanzia di accesso, anche se non necessariamente di successo. Roger Tamraz, un magnate delpetrolio,offrìalComitato Nazionaledelpartito300.000 dollari per ottenere un incontro personale con Clinton,inducendoilsenatore repubblicano Fred Thompson a chiedere a Tamraz, durante un’udienza del Congresso sullacampagnaperlariforma finanziaria, se ritenesse di avere «un diritto costituzionale affinché i suoi affari fossero valutati dal presidentedegliStatiUnitiin persona».Tamrazrisposecon straordinario candore: «Senatore, porto solo le cose al limite. Perché non dovrei? Voistabiliteleregoleenoile seguiamo. È la politica di sempre»192. Il trattamento paritario che oramai negli ultimi anni le corporation riservano a entrambi i partiti ha influenzato le carriere di molti democratici che, dopo aver servito a Washington, hanno trovato lavori molto redditizi al servizio di grandi corporation. Quando divenne chiaro a tutti che i democratici avrebbero trionfato alle elezioni di medio termine del 2006, il K Street Project di fatto morì. Anticipando un sorpasso dei democratici vari mesi prima delle elezioni, uno dei maggiori studi legali e di lobbying di Washington, la DLA Piper, trasferì la direzione del suo ufficio per gli affari governativi dal repubblicano Thomas F. O’Neil III al democratico James Blanchard, ex governatore e membro del Congresso dal Michigan. «Essere un democratico non mihacreatoproblemi,questo èsicuro»,dichiaròBlanchard al «Washington Post». «Questo sarà un grande anno per i democratici»193. Improvvisamente,larichiesta di personale democratico, anche alle dipendenze di membridimediolivellodella Camera,subìun’impennata. Unsostegnobipartisana entrambi i partiti è ormai diventato obbligatorio per le corporation, poiché per ottenere una maggioranza al Congressodisolitoèrichiesta un’opera di persuasione bipartisan.Dopocheilleader della minoranza democratica al Senato, Tom Daschle, non riuscì a essere rieletto nel 2004, fu assunto dall’ex leader della maggioranza repubblicana al Senato, Bob Dole, per conto della società di lobbying Alston & Bird. «Lui ha molti amici al Senato, e anch’io ho molti amici al Senato», scherzò Dole. «Insieme abbiamo il 51%»194. Le società di lobbying bipartisan sono al servizio di numerose corporation di prim’ordine. Per far passare la legge sull’assistenza per i medicinali del Medicare dell’amministrazione Bush al Campidoglio, la lobby farmaceutica assunse il lobbista democratico Vic Fazio, un ex membro democratico del Congresso, David Beier, che era stato uno dei principali consulenti dipoliticainternadiAlGore eJoelJohnson,untempouno dei principali assistenti del presidente Clinton e del senatore Daschle195. Le compagnie farmaceutiche, inoltre, assunsero Chris Jennings, che aveva assistito Clinton nella stesura del suo odiato piano per l’assistenza sanitaria, e l’ex assistente repubblicanoMarkIsakowitz, che aveva contribuito ad affossare il piano di Clinton. Allo stesso modo, nel 1998, quando le multinazionali del tabacco cercavano l’approvazionedelCongresso sull’accordo che avevano raggiunto con gli alti magistrati di vari Stati sui rimborsi alle vittime del tabacco, chiesero aiuto sia ai lobbisti repubblicani che a quellidemocratici,tracuil’ex assistente di Gore, Peter Knight, l’ex governatore democratico Ann Richards e George Mitchell, ex leader della maggioranza democraticaalSenato. Se i gruppi d’interesse non aziendali hanno avuto una rappresentanza migliore sotto le amministrazioni democratiche, gli interessi delle corporation sono stati rappresentati benissimo sotto le amministrazioni di entrambi i partiti. Alla fine del loro mandato, più della metàdeifunzionariprincipali dell’amministrazione Clinton divennero lobbisti. Il primo direttorelegislativodiClinton lasciòilsuopostodopomeno di un anno per diventare presidente della Hill & KnowltonWorldwide.Anche il vicecapo di gabinetto di Clinton se ne andò dopo menodiunannoperdirigere la US.TelephoneAssociation. Stando al Center for Public Integrity (Centro per l’integrità pubblica), tra il 1998eil2004piùdi2.200ex funzionari di governo di alto livello, sia repubblicani che democratici,hannointrapreso la carriera di lobbisti, così come 200 membri del Congresso196. Nel 2003, più della metà degli ex membri del Congresso che facevano attività di lobbying avevano lavorato per il Partito Democratico. Ora, lavoravano quasi tutti per contodigrandicorporation. Il paragone pertinente non è tra democratici e repubblicani, ma tra coloro che hanno prestato servizio a Washingtonalcunidecennifa equellichelohannofattopiù di recente. Negli anni Settanta, solo il 3% dei membri del Congresso in pensione intraprendeva una carriera da lobbista. Nel 2005, più del 30% dei membri del Congresso – sia repubblicani che democratici – alla fine del mandato passava a lavorare per le societàdilobbying.Segliex funzionari e assistenti oggi sonopiùincliniareinventarsi lobbistinonèperchéquestisi facciano meno scrupoli rispettoacolorochelihanno preceduti a fare i soldi per mezzo dei contatti e dell’esperienza acquisiti durantelaloropermanenzaal Governo, ma perché le opportunità economiche offerte dall’attività di lobbying oggi sono molto maggiori rispetto al passato. Esattamentecomeperiprezzi dei ristoranti e delle case, le tariffe delle società di lobbying sono lievitate enormemente a causa delle grandiquantitàdidenaroche le corporation riversano su Washington.Lasommachei lobbisti chiedono a un nuovo cliente è passata dai 20.000 dollari al mese del 1995 ai 40.000del2005.Nel2006,il salario di partenza di un ex congressista o membro della Casa Bianca con buoni agganci, deciso a diventare lobbista, era di circa 500.000 dollari l’anno. Gli ex presidenti dei comitati e sottocomitati congressuali prendevano fino a 2 milioni di dollari l’anno per influenzare le decisioni dei loroexcomitati. I rapporti tra repubblicani e democratici al Congresso, negli ultimi anni, sono stati particolarmente tesi, soprattutto per via di quelle che vengono definite guerre culturali – su temi quali l’aborto, il matrimonio gay, la ricerca sulle cellule staminali e il Pledge of Allegiance o “giuramento di fedeltà”197 – e delle divergenze sulla politica estera. Questi conflitti di solito riempiono le prime pagine dei giornali perché attirano l’attenzione della gente, come solo le battaglie trapersonaggipubblicisanno fare. Ma non tengono conto dell’attività quotidiana del Congresso, in cui le corporationriesconosemprea comprarsi una voce in capitoloindifferentementedal partitodominante. Un’altrateoriaindividua le cause dell’incremento del flusso di denaro verso Washington nelle dimensioni e nella portata sempre maggiori del governo federale.«Washingtonspende 2.600 miliardi di dollari l’anno e ha l’autorità di decidere tutto della vostra vita», ha tuonato l’ex presidentedellaCameraNewt Gingrich. «Indovinate un po’?C’ègentecheèdisposta a spendere quantità inaudite di denaro per avere una voce in capitolo. Il problema di fondoèilbiggovernmenteil bigmoney»198. Questa teoria non è neanche supportata dai fatti. L’incremento maggiore di spesa pubblica, nel dopoguerra, c’è stato tra il 1947 e il 1973, durante l’età non proprio dell’oro. Come percentuale dell’economia nazionale,laspesapubblicasi è impennata nel 1983, raggiungendoil24%,perpoi assestarsialdisottodel20%. Nel frattempo, una percentuale sempre maggiore della spesa è andata all’assistenza sociale, al Medicare e alla Difesa. È vero che i lobbisti fanno a gara per mettervi le mani sopra. Ma la spesa discrezionale non destinata alla Difesa – che ci si aspetterebbeesserequellapiù appetibile per i lobbisti, poiché gli stanziamenti variano di anno in anno – ha raggiunto il picco nel 1980, arrivando al 5,2% dell’economianazionale,eda alloraèincontinuocalo199.A causa della crescita generale dell’economia, la spesa pubblica è aumentata. Ma i finanziamenti delle corporation ai partiti sono aumentati molto più velocemente. Questa escalation non si spiega neanche con l’incrementodelleregolazioni governative. Come abbiamo visto, gran parte delle principali regolazioni economiche sono state abrogate nel corso degli ultimiquarant’anni.Inbaseal numerodileggipromulgateo proposte pubblicate nel registro federale, le regolazioni sono diminuite costantemente a partire dal 1980. Infine, l’aumento del denaro in politica non può spiegarsi neanche con la necessità delle corporation di contrastare il potere dei sindacati. Come abbiamo visto, la loro influenza è in declino da vari decenni, e la loro attività di lobbying al Campidoglioèquasideltutto oscurata da quella delle corporation. Una terza teoria attribuisce le colpe dell’odierna situazione a una cospirazione di Wall Street e del grande capitale per assumere il controllo del Governo e cooptare entrambi ipartitipolitici.Illoroscopo, secondo questa teoria, è tenere i salari bassi, evitare costosiinterventigovernativi, ridurre le tasse per i ricchi, sfruttare i paesi in via di sviluppo e arricchirsi alle spese di tutti gli altri. «La classe dominante bipartisan, negli Stati Uniti, protegge i suoiclientiprivilegiatimentre lascia tutti noi alla mercé di un mercato globale a briglie sciolte, e di conseguenza brutale e senza pietà», scrive Jeff Faux, fondatore ed ex presidente dell’Economic PolicyInstitute(Istitutoperla politicaeconomica).Ilgrande capitale e il Governo sono impegnati in una «guerra di classe»controilavoratori,ha affermato Lou Dobbs, un giornalistadellaCNN200. Per quanto possa essere seducente questa idea, neanch’essa è supportata dai fatti. Lungi dal cospirare l’una con l’altra, le aziende sono diventate sempre più competitive. Come dimostrerò nelle pagine seguenti, la loro sfida è tracimata nell’arena politica. Le battaglie che hanno quotidianamente luogo nel Congresso, che tengono occupati per settimane o anche per mesi i membri del Congresso, e che impegnano maggiormente gli squadroni di lobbisti e professionisti di pubbliche relazioni di Washington, di solito sono battaglietraaziende,settorio, occasionalmente, industrie concorrenti. Il cittadino che è in noi, oggi, ha più difficoltà a farsi sentire a Washington e nelle altri capitali del mondo non perché il grande capitale è diventato più monolitico, ma per l’esatto contrario: perché la concorrenza tra le aziende è diventata più spietata. Le aziende sono entrate in politica per ottenere o mantenere un vantaggio competitivo sulle loro rivali. Il risultato è una mischia di interessi concorrenti: una cacofonia così assordante da coprire qualsiasi dibattito seriosulbenecomune. 3 Laspiegazionediquello che è successo si trova nel mutamento dell’economia, iniziato negli anni Settanta, provocatodaunaconcorrenza più forte per attirare consumatori e investitori. Il supercapitalismo non si è fermato al confine artificiale che separa l’economia dalla politica. L’obiettivo della moderna corporation – su pressione dei consumatori e degli investitori – è fare qualsiasicosaperottenereun vantaggio competitivo. Per fareciòdevemarciaresuogni campo di battaglia dove potrebbe ottenere tale risultato. Washington – e le altrecapitaliintuttoilmondo in cui vengono prese le decisioni politiche – sono diventate dei campi di battaglia perché le scelte politiche spesso favoriscono alcune aziende o industrie e danneggianoquellerivali201. La quantità di denaro versatadallecorporationnelle taschedeipoliticièaumentata così tanto negli ultimi decenni per via della domanda e dell’offerta. L’offerta di senatori, rappresentanti e membri del gabinettoedellaCasaBianca nonèaumentatadimoltonel corso di questo periodo. Ma la domanda delle corporation interessate a influenzare i processi politici è aumentata di molto, man mano che la concorrenza si faceva più intensa. È stato un po’ come unacorsaagliarmamenti:più unconcorrentepagaperavere accesso alle stanze della politica,piùilsuorivaledeve pagarepercontrobilanciarela suainfluenza. Prendiamo uno degli ultimi arrivati tra le file dei colossi di Washington: Google. Finché non si è aperta agli investimenti pubblicinell’agostodel2004, l’aziendasivantavadiessere un cane sciolto nel mondo di Internet e non osava avventurarsientroiconfinidi Washington. Ma una volta diventata una società per azionimultimiliardaria,aveva bisogno di entrare anch’essa nell’establishment della capitale.Nel2005,Googleha speso più di 500.000 dollari tra consulenti e società di lobbying, e ha aperto un suo complesso di uffici nel Penn Quarter a Washington. I dirigenti e i lobbisti dell’azienda hanno cominciato a finanziare con milionididollarilecampagne elettorali. «È stata la crescita di Google come azienda e come presenza nell’industria checihaspintoaintrattenere rapporticonWashington»,ha dichiarato il suo direttore amministrativo Alan Davidson. «Sono degli ingegneri brillanti», ha detto LaurenMaddox,dellasocietà dilobbyingPodestaMattoon, traicuiclientifiguraGoogle. Ma, ha aggiunto la Maddox, «nonsonodeipolitici»202. La PodestaMattoonconduceuna politica bipartisan, esattamente ciò di cui ha bisogno Google. Anthony Podesta è un democratico di vecchia data, e fratello di John Podesta, l’ex capo di gabinetto di Clinton. Il suo socio, Daniel Mattoon, è un caroamicodell’expresidente della Camera repubblicano Tennis Hastert. Lauren Maddox è stata una degli assistenti principali di Newt Gingrich. Googlenonavevascelta. Yahoo, Microsoft e una miriade di altre società di telecomunicazioni erano già ben rappresentate a Washington. Solo nel 2005, laMicrosofthaspesoquasi9 milionididollariinattivitàdi lobbying, e i suoi dirigenti hanno donato milioni di dollariaipoliticidientrambe le sponde. Yahoo ha speso 1,6 milioni di dollari, stando ai dati del Center for ResponsivePolitics.Vierano varie questioni politiche che potevano influire positivamente o negativamente sulle sorti di Microsoft e Google, in particolare quelle che concernevano le leggi antitrust, la proprietà intellettuale e il commercio internazionale. L’esito di queste scelte poteva spostare l’ago della bilancia nella competizione in favore o a sfavorediGoogle,congrandi conseguenze finanziarie. L’azienda cominciò anche a finanziare le istituzioni di Bruxelles, dove gli europei stavano dibattendo molte delle stesse questioni, e dove Microsoft e Yahoo erano già benpresenti. Ecco un esempio che simboleggiabeneimotiviper cui Google dovette gettarsi nella mischia di Washington: nel 2006, la Microsoft, che possedeva circa l’80% del mercato dei browser di navigazione Internet, annunciò di voler introdurre un nuovo browser – Internet Explorer 7 – che includeva una casella di ricerca che avrebbe portato gli utenti direttamentealnuovomotore di ricerca della Microsoft. Ovviamente, Google voleva che i consumatori potessero andare direttamente alla pagina di Google all’apertura del browser. Allo stesso modo, Microsoft non voleva che gli fosse concessa questa scelta. L’azienda argomentò che questo creava solo confusione nei consumatori, ma il vero obiettivo della Microsoft era portare i consumatori da Google al propriomotorediricerca. Nell’aprile del 2006, Google manifestò le sue preoccupazioni al dipartimento di Giustizia americano e alla Commissione Europea, impiegando tutta la potenza di fuoco della sua nuova squadradilobbistieavvocati diWashingtonperdimostrare alle autorità antitrust, e alla Microsoft, che faceva sul serio. La domanda strategica di fondo che Google stava ponendo alla Microsoft con questadimostrazionediforza era: quanto siete disposti a spendere in spese legali e di lobbying per sostenere una versione di Internet Explorer che escluda Google? La Microsoft aveva già avuto problemi con l’antitrust in passato. Google si dimostrò un avversario molto più pericoloso di quanto non lo fosse stata l’azienda pioniera dei browser Netscape anni prima,quandolaMicrosoftsi mosse per tagliarla fuori dal mercato dei browser, e la questione finì col verdetto di una corte federale che stabiliva che la Microsoft avevaripetutamenteviolatole leggi antitrust, seguito da un accordo col dipartimento di Giustizia.Googleavevamolti piùsoldieprobabilmentepiù idee da investire nella battaglia. La Microsoft aveva cominciato a corteggiare la politica nel 1996, in seguito alla prima denuncia di violazione delle leggi antitrust da parte del dipartimento di Giustizia. Erano le stesse accuse mosse daBruxelles.Primadiallora, lacelebreindifferenzadiBill Gates alla politica aveva tenuto la Microsoft lontano da Washington e da Bruxelles. Ma in poco tempo i dirigenti della Microsoft cominciarono a elargire generosi contributi sia ai democratici che ai repubblicani: 621.000 dollari solo nella prima metà del 1999. L’azienda, inoltre, assunse nove società di lobbying e dieci lobbisti a tempopieno,eunaschieradi espertidipubblicherelazioni. Nel giro di qualche mese, i lobbisti stavano esortando il Congresso a rifiutare la richiesta della divisione antitrust del dipartimento di Giustiziadiunincrementodi budget del 16%, necessario per sostenere la causa legale. Lo sforzo si rivelò un insuccesso – anzi, fece apparire la Microsoft esattamente come il tipo di Leviatano la cui ascesa le leggi antitrust dovevano evitare–mailobbistiebbero piùfortunasuunaltrofronte. Il Congresso ridusse le limitazioni sulle esportazioni di software crittografico del tipo che vendeva la Microsoft, aumentando notevolmente il fatturato dell’azienda203. Dopo la sentenza del giudice Thomas P. Jackson contro la Microsoft, in cui la denunciava come un aggressivo monopolista, l’azienda sguinzagliò i suoi lobbisti ed esperti di pubbliche relazioni contro chiunque potesse influenzare la divisione antitrust nel trovare una possibile soluzione.Duegiornidopola sentenza, i giornali pubblicarono le immagini di Bill Clinton col braccio intorno alle spalle di Bill Gates,mentreelogiavalesue donazioni a scopo benefico: un colpaccio mediatico che «BusinessWeek»definì«una scena dolorosa per [il capo dell’antitrustdeldipartimento diGiustizia]JoelKlein»204. IBM, Oracle e Sun Microsystems sostennero tuttelacausadeldipartimento di Giustizia contro la Microsoft, così come sostennero quella della Commissione Europea. La Oracle arrivò persino a ingaggiare degli investigatori privatidiWashington,iquali trovarono le prove che la Microsoft aveva finanziato uno studio della New York University che sosteneva come la causa dell’antitrust danneggiava i fondi pensione dello Stato, e che aveva segretamente comprato numerose pubblicità a tutta pagina sui più importanti giornali degli Stati Uniti, in cui 240 accademici lanciavano un appello in difesa dell’azienda. Gli investigatori privati della Oracle finirono sotto i riflettori quando uno di loro corruppe un custode perché passasse al setaccio della spazzatura che poteva contenere delle prove incriminantiperlaMicrosoft. In risposta, la Microsoft pubblicò un furioso comunicato in cui dichiarava che «i concorrenti della Microsoft sono impegnati in una campagna serrata per promuovereuninterventodel Governo contro l’azienda». L’amministratore delegato della Oracle, Larry Ellison, insistette che le indagini dell’azienda erano un «serviziopubblico»205. Google, Microsoft, Yahoo, IBM, Sun e Oracle spendono ogni anno milioni di dollari in contributi a Washington, perché comprendono, come dice la lobbista Lauren Maddox, che «il processo politico è un’estensione del campo di battaglia del mercato»206. Questeaziendesonospintein politicadallostessospiritodi concorrenza che le porta a metteresulmercatoprodottie servizi sempre migliori. Se hanno successo, i profitti aumentano, il valore delle azionicresceeiloromassimi dirigenti ottengono salari da capogiro e l’approvazione di Wall Street e dei media di settore. Se falliscono, i profitti calano, il valore delle azioni precipita e i loro massimi dirigenti potrebbero perdere il posto di lavoro (anche se con una generosa indennità). Continuano a pompare sempre più denaro nelle casse di Washington perché la corsa agli armamenticontroilororivali lorichiede. Wal-Mart non aveva nessun rappresentante a tempo pieno a Washington finoal1999epossedevasolo unpiccolocomitatodiazione politica, che nel 1998 versò solo 148.250 dollari. L’ex senatore dell’Arkansas, Dale Bumpers, dichiara di non avere«alcunricordo»chenei ventiquattro anni in cui ha lavorato al Senato Wal-Mart abbia mai fatto lobbying nei suoi confronti. «Semplicemente non si interessavano di quello che accadeva a Washington», dice. «La loro cultura era estranea alle attività di lobbying e ai tentativi di influenzare il processo decisionale»207. Stando a Blanche Lincoln, la senatrice democratica dell’Arkansas che rimpiazzò Bumpers, i legislatori dovevano contattare gli uffici di WalMart, a Bentonville, per metterli al corrente di leggi che avrebbero potuto danneggiare l’azienda. «Li incoraggiavo a essere un po’ più presenti a Washington», dice, «perché pensavo che fosse importante che potessero dire la loro a qualcunaltrooltrecheamee al resto della delegazione dell’Arkansas». Poi accadde a Wal-Mart l’equivalente dello shock antitrust della Microsoft. Era da tempo che l’azienda voleva entrare nel settore bancario, immaginando che i suoi milioni di consumatori avrebbero apprezzato i vantaggi che poteva offrire una banca Wal-Mart, e che questo si sarebbe rivelato un affare estremamente redditizio. Wal-Mart sperava di approfittare di una scappatoia nella legge federale che in genere impediva alle aziende commerciali di possedere delle banche ma che faceva un’eccezioneperleistituzioni di risparmio e di credito. Nel 1999,Wal-Martnetrovòuna chesembravafarealcasosuo a Broken Arrow, in Oklahoma. Ma l’industria bancaria stava seguendo molto da vicino le mosse dell’azienda.Nelmomentoin cui Wal-Mart si apprestò a comprarelabanca,l’industria sguinzagliò una squadra di lobbisti al Congresso, che di corsa mise una toppa alla legge. FuunalezionecheWalMart non si sarebbe scordata facilmente. Quasi subito, il PAC dell’azienda aumentò i contributi ai membri della Camera, ai senatori e ai candidati presidenziali, divenendo uno dei PAC più grandi del paese. Alle elezioni presidenziali del 2004, versò 2,2 milioni di dollariincontributi.Anchese Wal-Mart ha sempre prediletto i repubblicani, alle elezionidimedioterminedel 2006hadatoquasiil30%dei suoi dollari PAC ai democratici. «Abbiamo deciso [...] di impegnarci di più per tessere rapporti e ottenere un sostegno da entrambe le sponde, in particolare coi democratici», ha dichiarato Lee Culpepper, a capo della squadra di lobbisti di Wal-Mart a Washington. L’azienda ha ancheinvestitovarimilionidi dollari per aprire una propria società di lobbying a Washington e assumere una squadra di esperti di pubbliche relazioni. «Hanno veramente affinato l’arte di fare lobbying», ha detto Ron Ence, vicepresidente della Independent Community BankersofAmerica,parlando della crescente influenza di Wal-Mart a Washington. «Li vedi a ogni evento PAC e la fannodapadroni»208. Nel luglio del 2005, Wal-Mart chiese alla Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC)209 e ai regolatori bancari dello Utah l’autorizzazioneadacquistare unacosiddettaindustrialloan company210, che in base alle leggi federali e dello Utah poteva essere controllata anche da un’azienda commerciale. Una industrial loan company non rappresentava esattamente una porta d’ingresso per il mercato bancario, ma era un inizio. Wal-Mart assicurò i funzionari delle agenzie regolatricichel’avrebbeusata solopergestireletransazioni con carta di credito dei suoi clienti. Ma i rivali di WalMart nell’industria bancaria temevano che l’azienda potesse usarla come una cavallo di Troia per entrare nel settore delle banche di paeseediperiferia.Ilobbisti delle banche, dei negozi alimentari, delle drogherie e degli agenti immobiliari calarono in massa sulle commissioni bancarie della Camera e del Senato e inondarono l’FDIC di più di mille reclami in cui si chiedeva all’agenzia di respingerelarichiestadiWalMart. Nel novembre del 2005, l’American Bankers Association, che rappresenta lebanchegrandiepiccoledel paese, avvertì i suoi 4.000 membri che c’era bisogno di una legge che vietasse alle aziende non-finanziarie, inclusa Wal-Mart, di possedereunabanca.«Ilpeso e l’influenza [di Wal-Mart] sarebberonotevoli»,scrisseil presidente dell’associazione. «Bisognaagiresubito»211. Entrambe le parti giustificaronolalorobattaglia in nome dell’interesse pubblico – mentre i suoi oppositori avvertivano che una banca Wal-Mart avrebbe sfruttato i poveri, Wal-Mart sosteneva che il suo ingresso nelmercatobancarioavrebbe abbassato i prezzi di un settore che aveva bisogno di maggiore concorrenza – ma l’interesse pubblico c’entrava ben poco. Era una battaglia per ottenere una vantaggio competitivo. Nel luglio del 2006, l’FDIC annunciò una moratoriasenzaprecedentisu tutte le trattative di acquisto delle banche industriali, bloccando gli sforzi di Wal- Mart. Alla fine, l’azienda rinunciò. I banchieri avevano vinto. 4 Come la battaglia per l’ingresso di Wal-Mart nel settore bancario, molte battaglie che in superficie sembrano essere di carattere meramente politico sono in realtà semplici questioni di concorrenza aziendale, alla cui base c’è il desiderio di maggior profitto. Praticamente qualsiasi legge o norma apparentemente neutrale varata da un Governo va a vantaggio o a svantaggio di qualche azienda, perché rispettarla ha costi che possono modificare gli equilibri di potere tra le aziende. Di conseguenza, a Washington e nelle altri capitali, sono sempre più le aziende o le industrie, la cui posizione competitiva rischia di essere influenzata dalle scelte di un Governo, che chiedono di essere consultate sulle leggi in via di approvazione, piuttosto che i gruppi non aziendali come i sindacati,gliambientalistioi comitatidiquartiere. Esaminando più da vicino alcune delle questioni che hanno impegnato il 109° Congressostatunitense,lecui sessioni si sono tenute dal 2004 al 2006, vi renderete conto dello schema. In quel periodoilCongressoerasotto controllo repubblicano, ma i democratici ebbero un ruolo diprimopianoinmoltedelle successive controversie. A dire la verità, il partito di appartenenza contava poco. Di solito, i repubblicani e i democraticieranopresentida entrambi le parti delle barricate. Una delle decisioni più dibattute riguardò l’abrogazione o meno del divieto di lunga data del Congresso di effettuare sondaggi petroliferi in mare aperto, in particolare al largo della costa della California e nellavastaareadelGolfodel Messico. Com’era prevedibile, il partito del sì includeva tutte le principali società petrolifere, l’AmericanGasAssociatione i gruppi del settore manifatturiero colpiti più duramente dall’aumento del costo della benzina. Ma l’opposizione più dura al progettononvennedaigruppi ambientalisti, come ci si sarebbe potuti aspettare. Di certo, gli ambientalisti si opposero al progetto, ma le loro opinioni non avevano molto peso: non avevano né l’influenza né i soldi necessaripergiocareunruolo di primo piano, e le poche forze di cui disponevano eranoimpegnatesucosìtanti fronti contemporaneamente che furono quasi del tutto assentidalcampodibattaglia. L’opposizione venne soprattutto dall’industria del turismo. Le principali catene di alberghi e ristoranti temevano che un disastro petrolifero avrebbe potuto danneggiare le spiagge incontaminate della Florida o la celebre linea costiera della California, con perdite per numerosi miliardi di dollari. Duegovernatorirepubblicani, Jeb Bush della Florida e ArnoldSchwarzeneggerdella California, si impegnarono attivamente contro il progetto.Moltirappresentanti dei distretti del Golfo vi si opposero. Alla fine, la legge fu modificata così da minimizzareipossibilieffetti negativisulturismo. Anche quelle battaglie che sembrano essere di caratteresocialeo“culturale” spesso nascondono altri interessi. Nell’ottobre del 2006, il Congresso approvò una legge che vietava ogni forma di gioco d’azzardo online. Ufficialmente fu giustificataconlanecessitàdi proteggere la gente da quella che è considerata un’attività immorale che crea dipendenza. Ma in realtà l’iniziativa fu capeggiata propriodaicasinò,piùdi900 negli Stati Uniti, che vedevanonellarapidacrescita del gioco d’azzardo online unapotenzialeminacciaperi loro profitti ma che a loro voltavolevanorimanereliberi daqualsiasirestrizione.Piùè facile giocare online, ovviamente,emenoqualcuno sarà invogliato a guidare per centinaiadichilometrifinoal casinòpiùvicino.Laleggefu una grande vittoria per l’American Gaming Association (Associazione del gioco d’azzardo americano),cherappresentai principali operatori di casinò del paese. Mentre il progetto dileggevenivaapprovatoalla Camera, anche i lobbisti dell’industria delle scommesse ippiche – che negliStatiUnitiregistranoun girod’affaridi1,5miliardidi dollari – incassarono un’importante vittoria, ottenendo un’esenzione dalla legge (dal 2000, avevano versato più di 3 milioni di dollari ai legislatori)212. I lobbisti della Major League Baseball213 si assicurarono chelaleggenonincludesseil fantabaseball,acuiinpartesi attribuisce la ritrovata popolarità dello sport in America. E i lobbisti delle catene di negozi alimentari e dei singoli Stati fecero in modo che la legge non toccasse i biglietti della lotteria. I grandi perdenti furono leaziendedigiocod’azzardo online, gran parte delle quali hannolasedefuoridagliStati Uniti. Molte di queste sono società per azioni, registrate alla borsa di Londra, i cui investitori in passato hanno incluso la Goldman Sachs e fondi comuni affiliati alla Fidelity Investments, per cui vi hanno perduto dei soldi anche alcuni investitori americani.Èimprobabileche la legge abbia una reale influenza sulle abitudini al giocodegliamericani.Eraun sotterfugio.Ilsuoveroscopo era quello di aumentare i profitti di alcuni settori del gioco d’azzardo, a scapito di altri. Un’altra questione controversa fu quella per cui si dovette stabilire se il prezzo del gas fosse stato manipolato o meno e quali azioniintraprendere.Versola fine del 2005, la Camera approvò una legge che autorizzava la Commodity Futures Trading Commission (Commissione di vigilanza deimercatifuturesamericani, CFTC) ad avviare un’indagine sul prezzo del gas, imponeva ai produttori e ai venditori di gas di tenere un registro dei prezziestabilivamultesalate per i trasgressori. Da fuori, sembrava una battaglia tra i cittadini indifesi del New EnglandedelMinnesota,che facevano affidamento sul gas perriscaldarelelorocase,ei soliti titani dell’energia. Ma laleggeerainrealtàoperadei lobbistidell’IndustrialEnergy Consumers of America (Consumatori di energia industriale degli Stati Uniti), una coalizione di corporation chefannounusointensivodi gas, in gran parte grandi aziende manifatturiere e produttori di fertilizzanti. Erano irritate dal fatto che la scarsitàdigasnel2005aveva aperto il mercato agli speculatori. Probabilmente pensate che a opporsi alla legge furono le compagnie petrolifere e del gas, ma in realtà furono gli speculatori finanziari, che si stavano arricchendo con l’instabile mercato del gas. Questi, a loro volta, erano sostenuti dalla lobby dei servizi finanziari. «Faremo tutto ciò che dobbiamo fare per assicurarci che [questo articolo] non passi», dichiarò Robert Pickel, direttore esecutivo dell’International Swaps and Derivatives Association (Associazione internazionale degli swap e degli strumenti derivati), affiancato dalla Bond Market Association (Associazione del mercato obbligazionario), dalla Securities Industry Association (Associazione delle imprese finanziarie) e dalla Futures Industry Association (Associazione dell’industria dei futures). Tutte sostennero la teoria secondo cui il mandato della CFTCavrebbespintolesocietà ditradingversomercatimeno regolati214. Alla fine, la legge fuaccantonata. IlCongresso,inunaltro acceso dibattito, si chiese se concedere o meno agli stranieri il controllo delle compagnie aeree americane. Sembra un tema di interesse pubblico, no? Quali sono le implicazioni per la sicurezza nazionale? Che impatto avrebbe sui posti di lavoro? In realtà, fu principalmente una battaglia tra due lobby dell’industria aerea. La United Airlines era a favore del provvedimento, soprattuttoperchèaltemposi stava riorganizzando in regime fallimentare e aveva bisogno di capitale straniero per rimettersi in piedi. A opporsi vi era la Continental Airlines,chefinanziariamente era così sana da non avere bisogno di capitale straniero, e aveva solo da guadagnarci in termini di clienti e di profittiselaUnitedfalliva215. Isindacatideltrasportoaereo si unirono alla Continental. Alla fine, questa ebbe la meglio. Allo stesso tempo, però, i lobbisti della Continental persero una battaglia altrettanto importante: quella per stabilire se le aziende dovessero mettere da parte abbastanza soldi per finanziare i piani pensionistici. Anche questo, nonostantesembriuntemadi interessegenerale,allafinesi rivelò una sfida tra aziende concorrenti che sarebbero stateinfluenzatediversamente dall’esito del dibattito. I lobbisti delle compagnie aeree ottennero un provvedimento speciale che concedeva alle aziende del settore dieci anni per mettere in ordine i propri piani pensionistici, mentre gran parte delle industrie avevano solo sette anni per farlo. Questo perché la United e la US Airways avevano rinunciato ai loro piani pensionistici quando stavano fallendo – scaricandoli sulla Pension Benefit Guarantee Corporation216 – e le altre compagnie aeree avevano minacciatodifarelostessoa meno che non avessero ottenuto più tempo per mettersi in regola. Ma i lobbisti della Delta e della Northwest riuscirono a infilareun’altraclausolanella legge, che concedeva una deroga di diciassette anni a quelle aziende che avessero congelato i propri benefici pensionistici e negata l’applicazione del piano ai nuoviimpiegati.LaDeltaela Northwest avevano già fatto entrambe le cose mentre erano in bancarotta, quindi avrebberoottenutolaproroga automaticamente. Ma dal momentocheallaContinental non mancavano di certo i soldi, i suoi sindacati non avrebbero mai accettato un congelamento dei fondi; l’azienda, dunque, sarebbe stata costretta a sborsare il denaro molto prima dei suoi concorrenti217. Ancheinquellebattaglie dove ci si aspetterebbe un ruolo di primo piano dei sindacati e un’attenzione al temadeipostidilavoroedei salari – come nello scontro sullaratificaomenodaparte del Congresso del Central American Free Trade Agreement (Accordo centroamericano di libero scambio, CAFTA) – il vero scontro avviene tra settori diversi della stessa industria. In questo caso, tra gli oppositori più forti vi furono l’American Manufacturing Trade Action Coalition (Coalizione manifatturiera americana per l’azione commerciale) e il National Council of Textile Organizations (Consiglio nazionale delle organizzazioni tessili), due associazioni di manifatturieri di prodotti domestici che temevano di perdere con l’accordo quel leggero vantaggio competitivo che ancora possedevano nel produrre tessuti negli Stati Uniti. Tra i leader della Coalition vi era Roger Milliken, presidente della Milliken & Company, una grande azienda di prodotti chimici e tessili non quotata in borsa, con sede a Spartanburg, nel South Carolina. Milliken e i suoi alleati impiegarono grandi quantità di denaro e sforzi lobbistici per bloccare il CAFTA che, nonostante sia la CameracheilSenatofossero sottocontrollorepubblicanoe alla Casa Bianca sedesse un presidente repubblicano, fu uno dei voti in materia commerciale più combattuti nella storia recente: alla fine il provvedimento legislativo passò per soli due voti alla CameraediecialSenato. Più recentemente, i due gruppisonoriuscitiaopporsi consuccessoaunprogettodi legge che avrebbe permesso ad Haiti di utilizzare una percentuale maggiore di tessuti prodotti all’estero, ad esempioinCina,neisuoicapi d’abbigliamento da esportazione, continuando a non pagare dazi sui prodotti esportati negli Stati Uniti. Sedici membri repubblicani del Sud al Congresso sono accorsi in aiuto delle lobby. Queste sono riuscite anche a ottenere l’impegno da parte della Casa Bianca a monitorare da vicino le importazionidalVietnamea imporre tasse anti-dumping su quelle importazioni che danneggiano il mercato americano. Chi uscì perdente dalla battaglia fu la U.S. Association of Importers of Textiles and Apparel (Associazione americana di importatori di tessuti e abbigliamento), che rappresenta la J.C. Penney Companyealtrigrandicatene interessate ad avere prodotti importati ai prezzi più bassi218. Le aziende e le coalizioni di settore di solito si presentano come difensori dell’interesse pubblico, quando in realtà l’unica cosa che rappresentano è una posizionecompetitivarispetto ai loro rivali. Nel 2006 si è fatto un gran parlare dell’applicazione della legge del 2003 sull’assistenza per i medicinalidelMedicare.Agli occhidellagente,laquestione riguardava se e come gli anziani avrebbero avuto accesso a farmaci più economici. Ma agli occhi dell’esercito di lobbisti delle corporation gettatisi nella mischia,eraunabattagliaper decidere i prodotti di quali aziende farmaceutiche sarebberostaticoperti,eseil Governo avrebbe privilegiato i farmaci brevettati o quelli generici. E la battaglia continuò anche dopo l’approvazionedellaproposta di legge, man mano che i funzionari del Medicare cercavano di capire come attuarla. La proposta, per esempio, imponeva al Medicare di coprire «pressoché tutti» gli antidepressivi ma non specificava quali farmaci dovessero essere inclusi. Quando i funzionari decisero di non includere il Lexapro, un farmaco largamente usato per curare la depressione tra gli anziani, la Forest Laboratories, l’azienda produttrice, assunse una squadra di lobbisti per spingere gli amministratori del programma a cambiare decisione. La Forest Labs ottenne il sostegno di vari membri del Congresso e mobilitò le organizzazioni che militavano nel campo dell’igiene mentale. I produttoridegliantidepressivi già coperti dal Medicare si opposero a una nuova decisione. Alla fine, vinse la ForestLabs. Leaziendeproduttricidi farmacigenericiincalzaronoi funzionari del Medicare perché approvassero un sistema di prescrizione elettronica che avrebbe ricordato automaticamente ai medici i casi in cui erano disponibili dei generici. Le aziendeproduttricidifarmaci brevettati vi si opposero. Medicare sposò la causa dei farmaci generici. Il Servizio Investitori di Moody’s – che aveva seguito da vicino tutta la vicenda – avvisò i propri clienti che la decisione avrebbe significato profitti più bassi per le aziende di farmaci brevettati. «Ci aspettiamo implicazioni negative», scrisse sommessamente l’analista di Moody’s, «col crescente potere dei consumatori che potrebbe spingere le aziende farmaceuticheaoffriresconti o rimborsi maggiori o a concentrarsi sui farmaci più economicidelprontuario»219. Molte battaglie possono coinvolgere un apparato governativodopol’altro,man mano che i lobbisti e gli avvocatidellefazioniinlotta si destreggiano per ottenere un vantaggio competitivo. Se perdono in una delle camere del Congresso, forse possono vincerenell’altra,epoiavere lameglioinunacommissione congiunta. Se perdono nella commissione, possono recuperare terreno alla Casa Bianca, che potrebbe minacciare di opporre il veto se il Congresso non cambia idea. Se perdono anche qui, potrebbero ancora recuperare nel dipartimento o nell’agenzia incaricata di applicare la legge. Se non hanno successo neanche lì, possono sempre tornare dai loro alleati al Congresso e chiedergli di fare pressione sul dipartimento o sull’agenzia in questione, o ottenere un emendamento vantaggioso sul prossimo stanziamento di fondi dell’agenzia. Queste battaglie possono andare avanti per anni. Ildibattitosulsignificato della parola “biologico” sull’etichetta di un prodotto alimentare ne è un perfetto esempio.Anchesenel2006il cibo biologico rappresentava ancora, negli Stati Uniti, una nicchia relativamente piccola da 12 miliardi di dollari in un’industria da 500 miliardi di dollari, le sue vendite erano in crescita del 20% l’anno, spingendo Lee Scott JrdellaWal-Martaesclamare di fronte ai suoi azionisti: «Siamo molto eccitati dal cibo biologico, la categoria alimentare in maggiore crescita». Non era una battaglia tra piccoli agricoltorihippydelVermont e giganti senza scrupoli del settore agroindustriale; era una battaglia tra due grandi categorie del settore agroindustriale. Molti alimenti biologici erano prodotti da grandi aziende come la Cascadian Farm, nello stato di Washington, che nel 1999 era diventata una sussidiaria della General Mills220. Dall’altra parte vi erano le aziende alimentari tradizionali,comelaKraft,ei comuni coltivatori di mais, soia e altri tipi di frutta e verdura. La battaglia risaliva agli anni Novanta, quando gli agricoltori che avevano cominciatoausarecolorantie pesticidi non sintetici in risposta alla crescente domanda di prodotti più naturali, si appellarono al dipartimento dell’Agricoltura perché certificasse i loro prodotti come “biologici”. I segmenti agroindustriali più tradizionali, quindi, premettero per standard più elastici, così da poter usare anch’essi l’etichetta sempre più popolare del “biologico”. Quando il dipartimento, alla fine, accettò di abbassare gli standard,ilprimogruppo,ora organizzato in una coalizione chiamata Organic Consumers Association (Associazione dei consumatori di prodotti biologici), intentò una causa contro il dipartimento perché tornasse allo standard originale. Come per molte guerre politico-economiche, ci furono molte battaglie. Dopo la sentenza di un giudicefederale,cheordinava al dipartimento di tornare sui suoi passi, il secondo gruppo – che ora si faceva chiamare con un nome alquanto fuorviante di Organic Trade Association (Associazione del commercio biologico) – riuscìainfilarenelbudgetdel 2006 del dipartimento un emendamento che gli permettevadiutilizzaremais, olio di soia, pomodori e altri ingredienti coltivati con tecniche tradizionali all’interno di prodotti “biologici”, purché non fossero state «commercialmente disponibili»versionipiùpure. Il contenzioso si trasformò in un caso, perché la posta in gioco era molto alta, anche se la gente perlopiùsapevapocooniente della battaglia in corso. I lobbisti di entrambi i gruppi calarono sui membri chiave del Congresso e sui loro assistenti. Charles Sweat, amministratoredelegatodella Earthbound Farm, il principale produttore americano di prodotti biologici di standard elevato, sostenne che l’emendamento permetteva a qualsiasi azienda che non rispettava lo standard, perché non voleva assumersi i costi maggiori degliingredientinonsintetici, di«andaredalsegretario[del dipartimento] e chiedere un’esenzione»221. L’emendamento, comunque, passò. Non giocò certo a sfavore della Kraft che uno dei lobbisti che premeva per l’emendamento fosse Abigail Blunt, moglie del membro della Camera dei RappresentantiRoyBlunt,un repubblicano del Missouri, che diventò capogruppo alla Cameradopoledimissionidi TomDeLay. Le “guerre biologiche” finironoperinvestireancheil latte. Intorno alla metà della decade del 2000, la richiesta di latte “biologico” era così alta che si poteva arrivare a pagare anche il doppio di quello normale. Stando alle norme del dipartimento dell’Agricoltura, affinché possa essere chiamato “biologico”, le vacche che producono il latte devono avere «accesso ai pascoli». Ma il dipartimento non specificava esattamente cosa intendesse con questo, aprendo la strada a una battaglia tra i caseifici con ampipascoliperlemucchee quelli più industriali, che possedevano pascoli molto più piccoli (Wal-Mart comprava gran parte del suo latte “biologico” da enormi caseificida4.000mucchecon spazilimitatiperilpascolo).I lobbistideicaseificiconspazi più ampi presentarono un ricorsoaldipartimento,incui sostenevano che i caseifici industriali ammassavano troppe mucche in spazi ristretti, dove gran parte di queste non pascolavano ma seguivano una dieta ad alto contenutodigrano.Icaseifici industriali risposero che, nonostante i pascoli limitati, levaccheerano«moltosanee felici». I lobbisti di entrambe le parti, inoltre, fecero pressione sui membri del Congressoperchéalorovolta premessero sui membri del dipartimento dell’Agricoltura222. Al momentoincuiquestolibroè andatoinstampa,laquestione eraancorairrisolta. Come conseguenza di questa intensa attività di lobbying, molti degli scontri che avvengono dietro le quinte nel paese – battaglie che possono anche durare anni e coinvolgere i tribunali federali – portano a definizioni ancora più dettagliate di certi termini, come «accesso ai pascoli» o «pressoché tutti» a proposito degli antidepressivi. Gli ideologiconservatorituonano contro la grande quantità di norme (che, come ho già detto,inrealtàsonodiminuite rispetto al 1980) senza rendersi conto che una larga parte di queste entrano in vigore proprio sotto la spinta dei lobbisti e degli avvocati dellecorporation. Nell’età non proprio dell’oro, quando la concorrenza era molto più limitata, non vi era ragione perché si verificassero questi epici scontri. La AT&T, per esempio,avevaunmonopolio virtuale. Nell’era del supercapitalismo, però, le telecomunicazioni sono uno spazioapertoincuila AT&Te le altre aziende competono conleaziendesatellitariecon quelle che offrono servizi Internet e via cavo, e tutte queste a loro volta devono fare i conti con aziende fornitrici di contenuti che offrono informazioni, intrattenimento, prodotti e servizidiricerca. Queste rivalità si riversano di continuo nella politica. Nel 2006, le compagnie telefoniche e di servizi via cavo comunicarono la loro intenzione di far pagare tariffe più alte ai maggiori fornitori di contenuti in rete, comeeBay,GoogleeYahoo, e questi reagirono alla minaccia. Nella battaglia che seguì, entrambe le parti si impegnarono a presentarsi come difensori dell’interesse pubblico: le compagnie telefoniche e di servizi via cavo sostennero che avevano bisogno dei soldi per modernizzare i loro sistemi, affinchépotesserosostenereil trafficoincrescita,echenon volevano far gravare i costi sui singoli utenti; eBay, Google e Yahoo sostennero che tutti hanno il diritto di accedere alle stesse condizioni e pubblicare dei contenuti in rete. Questi ultimi cercarono di far passareunalegge–inbaseal principio dell’astutamente denominata “neutralità della rete” – che impedisse alle compagnie telefoniche e di servizi via cavo di imporre loro tariffe più alte. Queste cercarono di bloccare la legge, in base al principio secondo cui il governo non doveva mettere le mani sulla rete. Solo nel 2006, le due parti hanno speso 50 milioni di dollari in attività pubblicitarie e di lobbying. La guerra si fece particolarmente brutale e insolitamente di dominio pubblico quando le compagnie telefoniche pubblicarono una serie di pubblicità in cui attaccavano Google. Questa battaglia, cometantealtre,andràavanti ancora per molti anni, in una formaonell’altra. Anche se erano dalla stessa parte nella battaglia sulla“neutralitàdellarete”,le compagnie telefoniche e di servizi via cavo si trovarono sufrontioppostinelmomento in cui le compagnie telefoniche ventilarono l’idea di offrire servizi televisivi in concorrenza con gli operatori via cavo. Questi ultimi pensavano di poter bloccare le compagnie telefoniche facendo leva sulla pressione che erano in grado di esercitare le oltre 30.000 autorità locali che dipendevano dagli introiti della TVviacavo(inmediail 5% delle vendite via cavo). Ma nel giugno del 2006, i lobbisti delle compagnie telefoniche riuscirono a far passare un progetto di legge alla Camera che affidava la decisione alla Federal Communications Commission, dove le compagnie erano sicure di avere la meglio. E avevano ragione: sei mesi più tardi, neldicembredel2006,la FCC stabilì che anche le compagnie telefoniche potevano fornire contenuti televisivi. Gli operatori via cavo giurarono di combattere contro la decisione della FCC nelle corti federali. Nel frattempo, le compagnie telefonicheeranoimpegnatea fare lobbying sulle autorità statali per ottenere da loro i permessi, piuttosto che dalle autoritàlocali.Questoscontro coinvolse praticamente tutte le principali società di lobbyingdiWashington:oltre a quelle che rappresentavano lecompagnietelefonicheegli operatori via cavo, anche quelle che lavoravano per le aziendehi-techedisoftware, che contribuivano tutte con milioni e milioni di dollari allecampagnedelCongresso. Anchequestaguerrapromette diimpegnareenormiquantità di tempo e di energia negli anniavenire. Èassolutamentenormale che le corporation che si riuniscono in coalizioni aziendali per far fronte a un certo conflitto in sede legislativa o regolamentare si ritrovinopocodoposuifronti opposti della barricata, come è accaduto alle compagnie telefoniche e di servizi via cavo. L’amministrazione Bush aveva messo su una coalizione di quasi 6.000 membri per sostenere l’estensione permanente dei suoitaglialletassedel2001e del 2003, ma la coalizione si disgregò quasi subito, man mano che i vari gruppi stabilivano priorità diverse. Le aziende hi-tech volevano allargare l’applicazione del credito di imposta sulla ricerca e lo sviluppo; altre, meno dipendenti dall’R&S, ponevano l’enfasi sul taglio delle tasse sui capital gain. Quando i lobbisti delle aziende hi-tech cominciarono ad allontanarsi dalla coalizione e a muoversi per conto loro, la Casa Bianca li criticò pubblicamente per la loro mancanza di fair play223. Ma anche tra le aziende hitech vi erano visioni discordantisultipodiR&Sche il credito sulle imposte avrebbe dovuto coprire, a seconda dell’ampiezza e del tipodiricerchecheportavano avanti. Una delle sfide più ardue di qualsiasi organizzazione commerciale è tenere uniti i suoi membri riguardoleggichepotrebbero influenzare diversamente l’unool’altro. Ovviamente, questi potenti eserciti di lobbisti al soldo delle corporation possono anche allearsi per contrastare iniziative che imporrebbero costi eccessivi a interi settori o comparti dell’economia. Questo accadde nel 109° Congresso, per esempio, quando gli ambientalisti volevano imporrealleaziendediservizi didotarsidicostosisistemidi depurazionescrubber;quando gliattivistiperidirittiumani e per il diritto alla salute volevano che le compagnie farmaceutiche rinunciassero ai brevetti sui farmaci vitali nei paesi poveri; quando le associazioni per la sicurezza alimentare riuscirono ad alzare gli standard in alcuni Stati, spingendo l’industria alimentare a fare pressione sul Congresso perché aggirasselenormestatalicon norme federali più flessibili. Ma la ragione principale per cui questi eserciti esistono non è per difendersi dalla minaccia imminente di una spinta dal basso verso leggi che rispecchino l’interesse pubblico, ma per cercare di ottenere un vantaggio competitivo a favore di un’azienda o di un settore dell’industria, o evitare a queste uno svantaggio competitivo. Un aumento dei costiinunsettoreocomparto (i servizi, i farmaci, i beni alimentari)ponequestiinuno svantaggio competitivo rispetto ad altri settori o industrie. Come conseguenza, la voce dei cittadini viene ridotta al silenzio. E anche i consumatori e gli investitori, comegruppo,nonsonomessi meglio. A differenza della concorrenza sul mercato, la concorrenza politica non porta a prodotti e servizi migliori e più economici, o a ritorni più alti. Porta a nuove leggi e norme che di solito favoriscono la fazione politicamente più potente. Alcuni consumatori e investitori vincono, altri perdono. 5 L’usurpazionedell’arena politica da parte delle corporation influisce anche sulla percezione della gente dei fatti. Parte del lavoro del lobbistaèquellodifornirele prove di una maggiore lungimiranzadelsuopuntodi vista, che di solito richiede il contributo di economisti, politologi e in generale di grandi quantità di dati, e di maestri della parola in grado di far sembrare sensata pressochéqualsiasidecisione. I legislatori devono essere in grado di giustificare le loro decisioni,senondirettamente alla gente, almeno a quei giornalisti che non si fanno comprare.Iregolatoridevono convincere i giudici che non hanno agito arbitrariamente. Poichétuttiigruppicoinvolti devono fare la migliore arringa possibile, grandi quantità di denaro vengono spese per ingaggiare esperti affinché patrocinino idee che sanno non essere vere o solo parzialmentevere.Ciòchene consegue è una forma di corruzione particolarmente odiosa: la corruzione del sapere. Ne ho avuto dimostrazione quando guidavo il policy staff della Federal Trade Commission, alla fine degli anni Settanta. Le corporation pagavano degli “esperti” affinché distorcessero i fatti in modo taledacompiacerlemanonal punto da compromettere la loro integrità professionale. Quando arrivai al dipartimento del Lavoro, negli anni Novanta, gli “esperti” erano diventati molto più sfacciati. Più volte hovistorinomatiprofessorie “senior fellows” dei think tankdiWashingtonsostenere argomentazioni – nelle udienze del Congresso, nei procedimenti regolatori e anche sui media – che non potevano ignorare essere capziose. Raramente ammettevanodiesserepagati dalle corporation o dalle organizzazioni di settore che speravano di trarre un vantaggio economico dalle loroargomentazioni. Tra gli anni Settanta e Novanta, una percentuale sempremaggiorediespertiha sacrificatolapropriaintegrità perché la concorrenza si è fatta più spietata e la posta economicaingiocopiùalta,e lecorporationeilorolobbisti hanno cominciato a pagare sempre di più per le consulenze degli esperti. Gli scrupoli, come qualsiasi altra merce, si possono comprare se il prezzo è giusto224. Nel corso di questi anni, gli esperti sono diventati parte integrante delle cause dibattute dalle corporation nelle corti federali. Sempre più, le cause non sono tra corporation e pubblici ministeri, ma tra corporation in competizione, che si trascinano in tribunale per aver violato copyright o brevetti, adottato pratiche predatorie in violazione delle leggi antitrust, abrogato contratti o tentato di renderli nulli, scaricato o tentato di evitare le proprie responsabilità. Gli esperti delleduepartioffronospesso informazioni e analisi contradditoriesucuiigiudici eilorocancellieriimpiegano oreafarechiarezza.Apartire dagli anni Settanta, le cause tracorporationsonodiventate la forma di controversia legale in più rapida crescita pressolecortifederali225. Le grandi battaglie politiche richiamano eserciti di esperti ben pagati. Nel 2003,inprevisionedell’aspro dibattito sulla proposta di legge sull’assistenza per i medicinali del Medicare, il Pharmaceutical Research and Manufacturers of America investì un milione di dollari in quella che descrisse come «una cassa di risonanza intellettualedieconomisti:un network permanente di economisti e intellettuali che siimpegnerannoacontrastare misuredicontrollodeiprezzi per mezzo di articoli e testimonianze,eaoffrireuna pronta reazione quando necessario», stando ai documenti interni del gruppo pubblicati dal «New York Times». Nei mesi precedenti ladecisionedelCongressodi prendere formalmente in considerazione il progetto di legge, il gruppo versò tra i dueeiduemilioniemezzodi dollari a varie organizzazioni diricercaedianalisipolitica «per creare capitale intellettuale e generare un maggior volume di messaggi da fonti attendibili» in sintonia con l’industria farmaceutica226. Spessobastainsinuareil dubbio su un fatto accertato, per spianare la strada alle aziende o ai produttori, per sostenere che “alcuni esperti sonoindisaccordo”ochec’è un “vivace dibattito” sull’argomento, e che prima di intervenire con norme e regolazioni (o con iniziative mascheratecomeinterventidi interesse pubblico) bisognerebbe aspettare “di aver esaminato tutte le prove”. L’industria alimentare ha finanziato schiere di esperti per smontare le ricerche che dimostrano la relazione tra l’obesità infantile e le malattie in età adulta e tra i prodotti ricchi di grassi e di zuccheroel’aumentodipeso. Non è necessario sponsorizzareunaricercache dimostri il contrario; basta che sollevi abbastanza domande affinché il legislatoreoilregolatoreche voglia prendere le difese dell’industria alimentare possa sostenere in modo credibile di non essere convintosulmaggiorpesodei fatti che può addurre il gruppoopposto. Nel 1998, la Exxon si imbarcòinunacampagnaper dare «sostegno logistico e morale» a chiunque dissentisse con le ricerche scientifiche che testimoniavano il surriscaldamento della terra, «sollevando così delle domande e indebolendo la “teoria scientifica dominante”», stando a documenti interni dell’azienda227. Nel 2005, la ExxonMobil distribuì 2,9 milionididollaria39gruppi che mettevano in dubbio le teorie sul riscaldamento globale. Di fronte a questo, anche la British Royal Society, una delle organizzazioni scientifiche più prestigiose al mondo, si vide costretta ad accusare l’azienda di creare «un’idea falsa [...] secondo cui vi sarebbe un dibattito in seno alla comunità scientifica su questotema»228. Con una cifra adeguata, a quanto pare, si può anche ottenere l’imprimatur di una celebre università. Nel 2002, l’università di Stanford firmò un accordo di dieci anni con la Exxon e altre compagnie energetiche in cambio di 225 milioni di dollari per un “Progetto sul clima e l’energia globale” (Global ClimateandEnergyProject). Poco dopo aver firmato l’accordo, la Exxon pubblicò una serie di pubblicità sulle pagine editoriali del «New York Times» in cui annunciava la sua nuova alleanza con le «menti migliori» di Stanford. Una di queste pubblicità recitava: «Anche se il clima è sempre mutato per cause naturali nel corso della storia della terra, oggi è in corso un animato dibattitosulla[...]rispostadel clima alla presenza di una maggiorequantitàdigasserra nell’atmosfera». Queste parole erano a firma di Lynn Orr, la professoressa di Standfordacapodelprogetto. La pubblicità riportava anche il sigillo ufficiale dell’università229. Anche quando il Governo paga per avere l’opinione di esperti neutrali, nonèdettochelaottenga.Un influente studio accademico del 2006, in cui si sosteneva che gli antidepressivi erano sicuriedefficaciancheperle donne incinte, fu finanziato dalla Food and Drug Administration (Agenzia per gli alimenti e i medicinali). Ma stando al «Wall Street Journal»,diversitraisuoi13 autori, tra i quali figuravano eminentiprofessori,eranosul libro paga delle corporation produttrici di antidepressivi230.Conciònon voglio dire che questi professori – o, se è per questo,gliespertiingenerale – siano coscienti di prendere delle tangenti che compromettono la loro integrità professionale. Gli esseri umani sono straordinariamente bravi a trovare giustificazioni rassicurantiperleloroazioni. I soldi rendono la mente più elastica e più disposta a trascurarefatticheverrebbero invecepresiinconsiderazione da esperti il cui giudizio non siaannebbiatodauncontratto diconsulenza. Il predominio di “esperti” al soldo delle corporation nei dibattiti politici induce la gente a crederechegliunicitemiche contano siano quelli che riguardanoiconsumatoriegli investitori, piuttosto che la società o il pianeta nel suo intero. Anche se le conclusioni in merito ai costi e ai benefici di una certa scelta non fossero viziati dai soldi delle corporation in gradodicomprareilmaggior numero di mercenari, o i più prestigiosi, sarebbero comunque molto parziali. Nelle udienze del Congresso, neiprocedimentiinmateriadi regolazioni, nelle corti d’appello, negli editoriali, nellepubblicitàatuttapagina dei principali quotidiani o nella copertura dei mass media – indifferentemente dalla fazione che rappresentano – il messaggio degli esperti al servizio delle corporationèquasisemprelo stesso: gli interventi pubblici devonoesserevalutatiinbase a un metro utilitaristico, ovvero il loro contributo all’efficienza dell’economia. Sono considerati sensati se i benefici per i consumatoriinvestitori superano i costi e insensatiincasocontrario. Se tali benefici aumentino o riducano le disuguaglianze tra i cittadini, se creino maggiori o minori opportunità per le persone meno fortunate del paese o del mondo, offrano una maggiore o minore sicurezza economica a coloro che non ne hanno, difendano o indeboliscanoidirittiumanie civili,favoriscanoomininola sanità pubblica e l’armonia del paese, sostengano o spoglino le comunità locali, generino un ambiente più o meno pulito, promuovano o ostacolino la causa della tolleranza e della pace nel mondo o, più in generale, rafforzino o indeboliscano la democrazia, non sono questionidegnedinota. Queste cose sono senza dubbiodifficilidamisurareo daquantificare,maciònonle rende meno importanti del benessere dei consumatori e degli investitori. Anzi, alla luce della crescente disuguaglianza economica, precarietà sociale, disgregazione delle comunità locali e minaccia per l’ambiente a cui abbiamo assistitoinquestiultimianni, discutere di questi temi è più urgentechemai. Consideriamo di nuovo la battaglia tra le compagnie telefonicheeglioperatorivia cavo sulla possibilità delle prime di offrire servizi televisivi. Le compagnie telefoniche sostennero che i consumatori avrebbero risparmiato tra i 30 e i 40 dollari al mese; quelle di servizi via cavo contestarono queste cifre e asserirono che la ricezione video sarebbe statainaffidabile.Nonfurono quasi per nulla prese in considerazione le questioni della responsabilità delle aziende e dell’equità delle loro scelte, o delle conseguenzeperlacomunità. Se sono le compagnie telefoniche piuttosto che quelle dei servizi via cavo a offrire i servizi televisivi, i soldi che oggi gli operatori via cavo versano ai paesi e alle città evaporerebbero. Per rimpiazzarli, sarebbe necessario aumentare le impostesulpatrimoniooaltre tassediquestotipo.Inoltre,i cittadini più poveri non godranno delle tariffe più vantaggiose delle compagnie telefoniche perché queste, in base alla legge federale – a differenzadellecompagniedi servizi via cavo, in base alla maggior parte delle concessioni municipali – non sono tenute a portare i loro serviziancheneiquartieripiù poveri231. Da questo punto di vista, la questione non si riduceva a una semplice controversia tra regolazioni e deregulation; si trattava di capire quali norme avrebbero garantito sia l’efficienza che lagiustizia. Allo stesso modo, fu tenutafuoridaldibattitosulla “neutralità della rete” la questione di chi si sarebbe dovuto accollare i costi dell’incrementodellacapacità di banda, tra cui quelli per estendere il servizio anche in queiquartierioinquellearee rurali in cui il servizio era assente. Nel 2006, il Government Accountabilty Office (Ufficio per la responsabilità di Governo) rilevòchenel42%dellecase americane non vi era un computerononvieraaccesso a Internet, e che la maggior parte delle famiglie più povere del paese non aveva accesso alla banda larga232. Forsequesticittadinipossono ancheviveresenzaYouTube. Maèdavedereseilorofigli possano imparare tutto ciò di cui sono capaci senza avere accesso al motore di ricerca diGoogle. O prendiamo l’estenuante battaglia tra i produttori di farmaci brevettati e di generici per la coperturadelMedicare,eper stabilire se i farmacisti e i dottori debbano avere il diritto di sostituire i farmaci generici con quelli brevettati. I produttori di generici sostengono di far risparmiare soldi ai consumatori; i produttori dei farmaci brevettati dicono che gli investitori non finanzieranno losviluppodinuovifarmacia meno che non ottengano in cambio generosi profitti, e questi possono offrirli solo i farmaci brevettati. Erano completamente assenti dal dibattito alcune questioni fondamentali: è giusto che le compagnie pubblicizzino farmaciperiqualièrichiesta la ricetta medica, quando dovrebbero essere i dottori a scegliere la cura più adeguata?Quantoincidonola pubblicità e il marketing sul costo dei farmaci? La differenza tra due farmaci quasi uguali è sufficiente a giustificare la spesa per la loromessasulmercato? Le “guerre biologiche” potrebbero essere viste come battaglie tra diversi gruppi di consumatori e investitori, alcuni dei quali preferiscono standard più alti, mentre altri si accontentano di standard più elastici. Ma la questione deglieffettideipesticidiedei prodotti sintetici sull’ambiente e sulla salute, molto sentita da un gran numerodicittadini,èesclusa dal dibattito. Molti cittadini preferirebbero un dibattito sugli strumenti di cui la società dovrebbe dotarsi per proteggere la catena alimentare, piuttosto che una battaglia sui dettagli di ciò che significa l’etichetta “biologico”. I problemi della Microsoft con la legge antitrust sono stati analizzati da avvocati ed economisti quasi esclusivamente in termini di benefici per i consumatori e ritorni per gli investitori. È la solita storia. Sotto il supercapitalismo, la concorrenzaècosìfortechei consumatori e gli investitori netraggonomoltibenefici.Di conseguenza, negli ultimi anni le autorità antitrust si sono limitate a soppesare i possibili vantaggi per i consumatori nel caso in cui una grande azienda affronti una concorrenza più forte su alcuni prodotti specifici, come il browser della Microsoft, con la possibilità che quelle aziende non abbiano più l’incentivo a creare prodotti nuovi se non possono approfittare dell’esclusiva. Del tutto assenti dai moderni dibattiti antitrust, però, sono le questioni del potere politico chevieneaconcentrarsinelle mani delle grandi corporation,eleconseguenze per le piccole aziende e i cittadini che non possiedono quel potere. Erano preoccupazionidiquestotipo che animarono i primi dibattiti antitrust. Il senatore John Sherman, autore della legge antitrust del 1890 che porta il suo nome, non dava troppo peso ai consumatori e agli investitori. Si preoccupava soprattutto delle «disuguaglianze di condizione, di reddito e [di] opportunità» alimentate dalla concentrazione industriale. Anche secondo Woodrow Wilson l’antitrust era principalmente una questione di giustizia, diretta a mantenere l’economia aperta «alnovizio»e«all’uomoche disponedipococapitale»233. 6 In poche parole: la nostra voce in quanto cittadini – al contrario della nostra voce in quanto consumatori e investitori – vieneascoltatasempremeno. Forse c’è chi comincia a pensare che quello che ha da dire non conta nulla. Non ci troviamo in questa situazione perché le grandi corporation hannocospiratopersoffocare oemarginarelanostravocein quanto cittadini, ma principalmente perché le corporation sono impegnate in una battaglia politica sempre più spietata per ottenere dei vantaggi sulle loro rivali. La sempre più intensa e assordante cacofoniadilobbistiall’opera a Washington e nelle altre capitalidelmondoètalechei cittadini, anche quando alzano la voce, riescono a malapena a farsi sentire dai politici. Il supercapitalismo ha invaso la politica, e inghiottitolademocrazia. Lacompetizionepolitica può assumere le forme più varie. I politici devono rendere conto ai lobbisti che, per conto delle corporation, contribuiscono con somme sempre maggiori alle loro campagne elettorali, anche sotto la spinta dei politici stessi, che temono che il denaro possa andare ai loro avversari. I procedimenti regolatori e le udienze del Congresso sono sempre più intasati dalle testimonianze e dalle ricerche di esperti al soldo di aziende o segmenti dell’industria che potrebbero essere danneggiati dalle politiche proposte. Sempre più,itribunalisonointralciati dagli avvocati delle corporationchesiappellanoa norme o procedure regolatrici, o a sentenze del tribunale, che favoriscano un’azienda o un segmento dell’industriarispettoadaltri, o un pubblico ministero rispetto a un’azienda. E, sempre più, i giornali e i telegiornali fanno da grancassa a storie forgiate dagli esperti di pubbliche relazionidellecorporationper favorire i loro clienti o difenderli dalle teorie create ad arte dagli esperti di pubbliche relazioni delle azienderivali. Man mano che la concorrenza si è fatta più spietata, il costo del biglietto d’ingresso nell’arena politica èaumentato.Gliindividuiei gruppi che hanno altri obiettivi oltre a incrementare al massimo i profitti raramente hanno i mezzi per raggiungerli. I gruppi di “interesse pubblico” che si trovano a Washington impiegano una frazione infinitesimale del budget dei lobbisti delle corporation, e sono pochi quelli che hanno agganci politici al di fuori di Washington. Internet si è dimostrato uno strumento efficace per finanziare le campagne elettorali, e la cosiddetta blogosfera una chiassosavalvoladisfogoper chivogliadirelasua,manon c’è nessun rapporto diretto o sistematico tra questi luoghi di discussione e le istituzioni politiche. Nel frattempo, le istituzioni che un tempo davano voce alle preoccupazioni dei cittadini sono scomparse del tutto. I sindacatisonoancorapresenti a Washington e i loro contributi alle campagne elettorali hanno ancora un peso, specialmente per i democratici,manonsonopiù abbastanzapotentidainfluire sul processo decisionale, se non sulle questioni più importanti che coinvolgono i lavoratori. Le agenzie regolatrici che un tempo avevano il compito di difendere l’”interesse pubblico” sono state progressivamente ridimensionate. I gruppi d’interesse locali, anche se organizzati in federazioni nazionali, riscuotono sempre meno attenzione dai politici, sempre più preoccupati di racimolaredaiPACaziendali, dai dirigenti e dai lobbisti dellecorporationisoldiperle loro campagne elettorali. I gruppid’interessecontinuano aintascarsidiscretesommedi denaro,manonèpiùlìchesi svolge l’azione. Le federazioni come l’American Legion, che nel 1947 era riuscitadasolaafarpassareil GIBill,nonhannopiùpeso.È interessante notare il contrastotralavicendadel GI Bill e quello che è accaduto nel1994,quandoBillClinton cercòdiintrodurreunsistema di copertura sanitaria universale.Nonostanteilfatto che a valutare la proposta fosse un Congresso democratico, la legge venne accantonata. In parte era dovuto al fatto che la proposta era eccessivamente complicata e burocratica. Ma la legge non andò lontano, anche perché non aveva una base popolare che la sostenesse. Quando le corporation si mobilitarono ferocemente contro di essa, Clintonnonavevaimezziper chiamare a raccolta l’opinione pubblica per difenderla234. È vero che a volte le preoccupazioni dei cittadini vengono messe al centro dell’agenda politica, specialmente quando i media riportano, per esempio, la toccante storia della delocalizzazione di un gran numero di posti di lavoro in Asia, o di una devastante fuoriuscita di petrolio da un oleodotto in Alaska. Ma il potere che hanno queste storie di generare un cambiamento politico è limitato.Glielettorihannoun tempo d’attenzione alquanto limitato. Per continuare ad attrarre i lettori e gli spettatori, i redattori e i produttori passano rapidamente al più recente “scandalo della settimana”. Gli attivisti di solito non hanno le risorse per catalizzarequell’indignazione momentaneaetrasformarlain azione politica. I grandi partitisonotroppodipendenti dai finanziamenti delle corporation per rischiare di offendere Wall Street o un numero troppo grande di aziende.Aognimodo,anche se lo sdegno populista permane, raramente genera una reazione nei circoli politici. Di solito viene facilmente reindirizzato contro le élite aziendali e “liberal” del paese. Questo genere di rabbia si presta bene ai comizi di piazza, ma nonèingradodisostenereun movimentopolitico. Come conseguenza, abbiamo assistito a un progressivocalodiattenzione da parte della politica nei confronti delle questioni di giustizia o di equità sociale, nonostanteuncontemporaneo aumento delle disuguaglianze. Il professore dell’Università di Tufts, Jeffrey Berry, e i suoi colleghi hanno studiato da vicino i lavori del Congresso nel1963,nel1979enel1991 (tuttianniincuiidemocratici avevano la maggioranza). I ricercatorisisonoconcentrati supiùdi200dibattitipolitici che sono stati oggetto di udienze o hanno avuto una coperturamediaticaminima.I risultati confermano la tendenza di cui abbiamo parlato. Nel corso degli anni, il Congresso ha dato sempre meno importanza agli interventi economici tesi a ridurre le disuguaglianze, come,peresempio,l’aumento dei salari o la formazione professionale delle fasce più poveredellapopolazione.Nel 1963, il Congresso approvò dieci progetti di legge finalizzatiaridurrelaforbice tra ricchi e poveri. Nel 1979, ne approvò quattro su sette; nel1991,duesusette235. In politica, come sul mercato, il consumatore e l’investitore che sono in noi sono ben rappresentati. Ma il cittadino che è in noi è stato quasi del tutto escluso dal processo decisionale. Io possiedo una manciata di azioni della Microsoft. Non hodubbichelaMicrosoftstia facendotuttociòcheèinsuo potere per alzare al massimo il valore dei miei titoli e attrarreetenereconsénuovi clienti. In quanto azionista dell’azienda, ho implicitamente sostenuto i suoisforzipoliticiperridurre i fondi della divisione antitrust del dipartimento della Giustizia, perché la strategia della Microsoft era finalizzata a rendere più alto ilvaloredellemieazioni.Ma in quanto cittadino, ero indignato. Lo considerai un abusodipotere. In quanto investitore, so benissimo come esprimere il mio disappunto per la Microsoftoperqualsiasialtra azienda. Basta che venda le mie azioni. È la stessa cosa che faccio quando voglio esprimere la mia insoddisfazione come consumatore nei confronti di un’azienda: semplicemente smettodidargliimieisoldie mi affido a un concorrente che mi offra affari più vantaggiosi. Wall Street e Wal-Mart hanno accresciuto il mio potere in entrambi i campi, offrendomi la possibilità di unire le mie esigenze a quelle di molte altrepersone.Ancheimotori di ricerca di Internet accrescono il mio potere; posso trovare l’affare più conveniente in un istante, e concluderlo con un semplice tocco di mouse. In poche parole,ilsupercapitalismomi permette di esprimermi più liberamente che mai come consumatore e come investitore, ma come cittadino,glistrumenticheho a disposizione si sono ridotti drasticamente. Come posso esprimere il mio sdegno per la strategia politica della Microsoft? Non posso più fare affidamento su grandi istituzioni di mediazione perché parlino a nome mio: i sindacati, le federazioni pluraliste, gli stessi partiti politici. La mia voce viene ridottaalsilenzioanchedalla Microsoftstessa,edallealtre aziendechesidannobattaglia per ottenere un vantaggio competitivo per mezzo delle politiche pubbliche. Posso sempre offrire o meno il mio sostegno ai diversi candidati quando vado a votare, scrivereaimieirappresentanti osenatori,allaCasaBiancae ai giornali, versare dei contributi ai partiti o impegnarmiinprimapersona in una battaglia politica. Ma visonopocheprobabilitàche la mia voce venga udita nel mezzodelbaccanoprovocato dallecorporation. Quello che ho detto, sia chiaro, è una semplice spiegazione: dunque, né una giustificazione né una condanna. Ho descritto il modo in cui la nostra democrazia si è evoluta nel corso degli ultimi decenni, via via che il capitalismo è stato rimpiazzato dal supercapitalismo. Lo stesso fenomeno è sempre più evidente in molte altre democrazie,manmanocheil supercapitalismo conquista nuovi territori. Ma sarebbe sbagliato accettare passivamente questa realtà, o più passivamente di quanto non abbiamo fatto in altre situazioni in passato. Possiamo, se lo vogliamo, modellare un capitalismo democratico che sia all’altezza delle nostre aspirazioni più nobili per il XXIsecolo.Maperfareciòè necessario separare il capitalismo dalla democrazia e sorvegliare attentamente il confinetraidue. 177 Il materiale sull’influenza delle corporationsulgovernoamericanonon manca ma è sbilanciato. Tra i libri più stimolanti che ho letto sull’argomento negliultimiannicisonoiduevolumidi William Greider, The Soul of Capitalism, New York, Simon & Schuster, 2003 [Il capitalismo con l’anima, trad. It. di Ornella Gava, Milano, Orme, 2005] e Who Will Tell the People? The Betrayal of American Democracy, New York, Broadway, 2002; e i due libri di Kevin Phillips, Arrogant Capital, Boston, Little, Brown,1994eWealthandDemocracy, NewYork,Broadway,2002[Ricchezza edemocrazia,trad.diRobertoMerlini, Milano, Garzanti, 2005]. Ho anche trovato di grande aiuto David Kay Johnson, Perfectly Legal: The Covert Campaign to Rig Our Tax System to Benefit the Super Rich and Cheat Everyone Else, New York, Portfolio/Penguin,2003. Primacheleelezionidimediotermine del2006invertisserolarotta,variautori hanno analizzato il potere esercitato dalle aziende sulla crescente influenza del partito repubblicano. Su questo tema, ho trovato particolarmente utili John Micklethwait - Adrian Wooldridge, The Right Nation: Why America Is Different, Londra, Allen Lane,2004;E.J.Dionne,Jr, They Only Look Dead, New York, Simon & Schuster, 1996; Jacob Hacker - Paul Pierson, Off Center: The Republican RevolutionandtheErosionofAmerican Democracy, New Haven, Yale UniversityPress,2005. Non manca neanche il materiale sull’influenza delle corporation sulla politica. Vedi, per esempio, Jeffrey Birnbaum, The Lobbyists: How Influence Peddlers Work Their Way in Washington, New York, Times Books, 1992;LeeDrutman-CharlieCray,The People’s Business: Controlling Corporations and Restoring Democracy, San Francisco, BarrettKoehler,2004. Alcuni studi recenti sul tema si sono rivelatiutilieinteressanti,nonostantela loro tendenza a subire il fascino delle cospirazioni. Vedi, per esempio, Joel Bakan, The Corporation, New York, Free Press, 2004 [The Corporation, trad. di Andrea Grechi, Roma, Fandango Libri, 2004]; Carl Boggs, The End of Politics: Corporate Power and the Decline of the Public Spere, New York, St. Martin’s, 1998; Charles Derber, Corporation Nation, New York, St. Martin’s, 1998; Jeff Gates, Democracy at Risk, Cambridge, Massachusets, Perseus, 2000; Mark Green,SellingOut:HowBigCorporate Money Buys Elections, Rams Through Legislation, and Betrays Our Democracy,NewYork,HarperColllins, 2002; Noreena Hertz, The Silent Takeover: Global Capitalism and the Death of Democracy, New York, HarperBusiness, 2003 [La conquista silenziosa: perché le multinazionali minacciano la democrazia, trad. di Dora Bertucci, Roma, Carocci, 2001]; David Korten, The Post-Corporate World, San Francisco, Barrett-Koehler, 2004; Lawrence Mitchell, Corporate Irresponsibility, New Haven, Yale University Press, 2001; Greg Palast, The Best Democracy Money Can Buy, New York, Plume, 2003 [Democrazia in vendita, trad. di Gianni Montanari, Milano, Marco Tropea, 2003]; David Sirota, Hostile Takeover: How Big MoneyandCorruptionConqueredOur Government—and How We Take It Back,NewYork,Crown,2006. 178 Per i sondaggi sulla perdita di fiduciadegliamericanineiconfrontidel governo e del processo democratico, vedi le fonti citate nell’introduzione. Per i dati sulla medesima perdita di fiduciainmoltealtredemocrazie,vedi, per esempio, Citizens and the State, a cura di Hans-Dieter Klingemann Dieter Fuchs, New York, Oxford UniversityPress,1995;MichaelAdams - Mary Jane Lennon, “Canadians, Too, Fault Their Political Institutions and Leaders”, in «The Public Perspective», 3,settembre-ottobre1992,p.19;Susan Pharr, “Confidence in Government: Japan”, per il Visions of Governance for the Twenty-First Century Conference, Bretton Woods, New Hampshire,29luglio-2agosto1996. 179 Anche se il Tillman Act del 1970 ha vietato i finanziamenti diretti delle corporation alle campagne elettorali, il Federal Election Campaign Act del 1971halegalizzatoicomitatidiazione politica(PAC)aziendali.Lesuccessive riformedellaleggesuifinanziamentiai partitihannolimitatoilpoteredeiPAC mahannocreatodellescappatoielegali che permettono contributi illimitati di “softmoney” airappresentantistatalie localideipartitinazionali.IlBipartisan Campaign Reform Act del 2002 (comunemente chiamato McCainFeingold Act) chiuse quella scappatoia ma autorizzò finanziamenti illimitati ai cosiddetti gruppi 527 che non sono sotto il controllo di alcun partito o candidato.Nessunadiquesteriformeha limitato la capacità dei dirigenti delle corporation di “raccogliere” contributi individuali da parte degli altri dirigenti della stessa corporation, o dei lobbisti aziendali di raccogliere i contributi dei dirigenti di un’intera industria, o di qualunque altro di raccogliere i contributi di qualsiasi gruppo di persone. 180 Citato in “Washington”, «Encyclopedia Britannica online», consultabile all’indirizzo <http://www.britannica.com/eb/article24527>. 181 La strada di Washington che collegalaCasaBiancaalCampidoglio. 182 Vedi Kevin Phillips, Arrogant Capital: Washington, Wall Street, and the Frustration of American Politics, NewYork,Little,Brown,1994,pp.2627,32. 183 La stima ufficiale del numero di lobbisti presenti a Washington è probabilmente più bassa della cifra reale perché molte persone che praticano attività di lobbying non sono registrate formalmente come lobbisti. Le norme che impongono l’obbligo di registrazione sono vaghe e le sanzioni perchinonlerispettasonominime.La legge del 1995 finalizzata a schedare i lobbisti è particolarmente debole e i membri del Campidoglio incaricati di farla rispettare sono sempre a corto di risorseesenzaipoteriinvestigativiedi controllo necessari. Le stime sulla quantità di denaro spesa dai lobbisti ogniannosonobasatesuirapportidella Camera dei Rappresentanti e del Senato,esoffronodeglistessilimitiche affliggono le stime del numero di lobbisti. Numerosi studi e autori hanno cercato di documentare il crescente potere delle lobby a Washington nel corso degli ultimi decenni. Vedi, per esempio, Todd Purdum, “Go Ahead, Try to Stop K Street”, in «New York Times»,8gennaio2006,p.A1;Jeffrey Birnbaum, “The Road to Riches Is Called K Street”, in «Washington Post», 22 giugno 2005, p. A1; e Jonathan Rauch, “The Parasite Economy”, in «National Journal», 25 aprile 1992. Vedi anche gli studi del CenterforPublicIntegrityediPolitical MoneyLinenelcorsodeglianni. 184 Center for Public Integrity, <www.publicintegrity.org>. 185 David Vogel, “The Power of Business in America: A Re-appraisal”, in«BritishJournalofPoliticalScience» 13,1979,pp.19-43. 186VediidatipresidaBurdettLoomis - Michael Struemph, “Organized Interests, Lobbying and the Industry of Politics”, una ricerca preparata per l’incontrodelMidwestPoliticalScience Association, 4-7 aprile, 2003, Chicago, Illinois. 187 S. Prakash Sethi, Advocacy Advertising and Large Corporations, Lexington, Massachusets, Lexington Books, 1977, aggiornato in S. Prakash Sethi, “Grass-roots Lobbying and the Corporation”,in«BusinessandSociety Review», aprile 1979, pp. 8-14. Per un’analisideglisforzidellaMobil,vedi Randall Poe, “Masters of the Advertorial”, in «Across the Board», settembre 1980, pp. 15-28. Vedi anche David Liff - Mary O’Conner - Clarke Bruno, Corporate Advertising: The Business Response to Changing Public Attitudes, Washington D.C., Investor ResponsibilityResearchCenter,ottobre 1980. 188 Vedi, per esempio, rapporto EurActiv, “EU and US Approaches to Lobbying”,29agosto2005. 189 Perunresocontopiùapprofondito, vedi John Micklethwait - Adrian Wooldridge, The Right Nation: Conservative Power in America, New York,Penguin,2004[Ladestragiusta: storia e geografia dell’America che si sentegiustaperchéèdidestra,trad.di Aldo Piccato, Milano, Mondadori, 2005]. Vedi anche Nolan McCarty Keith Poole - Howard Rosenthal, Polarized America: The Dance of Ideology and Unequal Riches, Cambridge,MITPress,2006. 190 Robert Kuttner, The Life of the Party: Democratic Prospects in 1988 and Beyond, New York, Viking, 1987, p.62. 191B.Mullins-D.Treftz,“Companies ShiftMoreDonationstoDemocrats”,in «Wall Street Journal», 30 aprile 2007, pp.A1,A9. 192 Citato da Bill Moyers in “Hostel Takeover”, in «Sojourner», luglioagosto1998,p.18. 193 Citato in Jeffrey H. Birnbaum, “Democrats’StockRisingonKStreet”, in«WashingtonPost»,17agosto2006, p.A1. 194ChristopherLee,“DaschleMoving to K Street”, in «Washington Post», 4 marzo2005,p.17A. 195 Robert Pear, “Drug Companies Increase Spending on Efforts to Lobby Congress and Governments”, in «New YorkTimes»,2003,p.A20. 196 Vedi le ricerche condotte dal CenterforPublicIntegrity,consultabili agli indirizzi <http://www.publicintegrity.org/lobby/rep aid=774> e <http://www.publicintegrity.org/lobby/rep aid=678>. 197 Una promessa di fedeltà agli Stati Uniti e alla sua bandiera che viene comunementerecitatanellescuoleenel corso di eventi pubblici. È da sempre oggettodipolemiche,inparticolareper lasuadefinizionedegliStatiUniticome una nazione «sotto la protezione di Dio». 198Ibid. 199 Alice Rivlin, Reviving the American Dream: The Economy, the States and the Federal Government, Washington D.C., Brookings Institution,1992,p.50. 200 Jeff Faux, op. cit., p. 3; Lou Dobbs,op.cit.,p.12. 201 Questo punto è chiaro agli scienziati politici ma perlopiù questi hanno limitato le loro indagini ai finanziamenti alle campagne elettorali, trascurando tutti gli altri sforzi finanziari fatti dalle corporation per influenzare la politica. Vedi, per esempio, Stephen Ansolabehere et al., “Why Is There So Little Money in Politics?”, «Journal of Economic Perspectives» 17, n. 1, 2003, pp. 105130. 202 Kate Phillips, “Once a Maverick, Google Joins the Lobbying Herd”, in «New York Times», 28 marzo 2006, pp.A1,A13. 203 Amy Borrus, “It’s Back to Charm School for Microsoft”, in «BusinessWeek»,8novembre1999. 204 Mike France, “The Unseemly Campaign of Mr. Microsoft”, in «BusinessWeek»,24aprile2000,p.53. 205 “Dirty Dealings”, in «Economist», 29giugno2000. 206 Phillips, “Once a Maverick, GoogleJoinstheLobbyingHerd”. 207 Citato in Michael Crittenden Rebecca Adams, “Mr. Sam Comes to Washington”, in «CQ Weekly», 7 novembre2005,p.1. 208 Citato in Kim Chipman - Lauren Coleman-Lochner,“Wal-MartGirdsfor Showdown with New Congress on Unions, Trade”, in <Bloomberg.com>, 4dicembre2006. 209 Corporation governativa nata nel 1933, in seguito alla grande depressione, per garantire i depositi dellebanchecommerciali. 210 Banca industriale senza sportelli apertialpubblico. 211 Bernard Wysocki Jr, “How Broad Coalition Stymied Wal-Mart’s Bid to OwnaBank”,in«WallStreetJournal», 23ottobre2006,p.A1. 212 Kate Phillips, “Interest Groups Lining Up to Lobby on Web Gambling”, in «New York Times», 20 febbraio2006,p.A6. 213Lalegaprofessionisticadibaseball nordamericana. 214 Michael Schroeder, “Futures TradersResistTighterOversightPlan”, in «Wall Street Journal», 10 febbraio 2006,p.A11. 215 DavidRogers,“HouseDealsBlow to ‘Open Skies’ as It Passes Latest Spending Bill”, in «Wall Street Journal»,15giugno2006,p.A4. 216 Un’agenzia indipendente del Governo creata nel 1974 per incoraggiare e sostenere i fondi pensionevolontariprivatiaprestazione definita, assicurare il pagamento dei beneficipensionisticietenereipremidi assicurazione dei fondi al minimo necessariopersvolgerelelorofunzioni. 217 Deborah Solomon - Evan Perez, “Airlines Split over Pension Package”, in «Wall Street Journal», 31 luglio 2006,p.A3. 218 Greg Hitt, “Textile Makers Tap Political Opportunity”, in «Wall Street Journal»,18ottobre2006,p.A4. 219 Citato in Cristopher Bowe, “US Pharmaceutical Industry Limbers Up for Medicare’s Brave New World”, in «Financial Times», 4 gennaio 2006, p. 2. 220 Vedi, in generale, Michael Pollan, The Omnivore’s Dilemma, New York, Penguin,2006. 221 MelanieWarner,“AStruggleover Standards in Fast-Growing Food Category”, in «New York Times», 1 novembre2005,p.C1. 222Ibid. 223 Brody Mullins - Ethan Wallison, “Another Coalition of the Willing”, in «RollCall»,7maggio2003. 224DavidVogel,“ThePoliticsofRisk Regulation in Europe and the United States”, in Yearbook of European EnvironmentalLaw,NewYork,Oxford UniversityPress,vol.3,p.42. 225 Dati presi da Marc Galanter, “The LifeandTimesoftheBigSix;or,The Federal Courts Since the Good Old Days”, in «Wisconsin Law Review», 1988, pp. 921-54. Vedi anche William Nelson, “Contract Litigation and the Elite Bar in New York City, 19601980”,«EmoryLawReview»39,1990, pp.413-462. 226 Robert Pear, “Drug Companies Increase Spending on Efforts to Lobby Congress and Governments”, in «New YorkTimes»,1giugno2003,p.A20. 227 Paul Krugman, “Enemy of the Planet”, in «New York Times», 17 aprile2006,p.A21. 228 Heather Timmons, “Exxon Accused of Deception on Climate Change, Royal Society in U.K. Complain to Firm”, in «International HeraldTribune»,22settembre2006,p. A1. 229 Jennifer Washburn, “The Best Minds Money Can Buy”, in «Los AngelesTimes»,21luglio2006,p.13. 230 David Armstrong, “Drug Interactions: Financial Ties to Industry Cloud Major Depression Study”, in «Wall Street Journal», 11 luglio 2006, p.A1. 231StephenLabaton,“HouseExpected to Back Bill Favoring Phone Companies”, in «New York Times», 9 giugno2006,p.C1. 232 U.S. Government Accountability Office, Access to Broadband, Washington D.C., U.S. Government AccountabilityOffice,maggio2006. 233 Citato in “Let’s Bring Back Antitrust”, in «Inc. Magazine», ottobre 1982,pp.12-13. 234 Su questo punto, vedi Theda Skocpol, Diminished Democracy. Skocpolhaattentamentedocumentatoil declino delle organizzazioni locali dotatedifederazioninazionali. 235 Jeffrey Berry, The New Liberalism: The Rising Power of Citizen Groups, Washington D.C., BrookingsInstitution,1999,p.56. 5.Lapolitica deviata236 Negli ultimi anni, la corporate social responsibility, o “responsabilità sociale d’impresa” è diventata per moltilarispostaalparadosso del capitalismo democratico. È oggi uno degli argomenti più trattati nelle scuole di business; nel 2006, più della metà di tutti i master in amministrazione aziendale prevedeva almeno un corso sul tema. Più dell’80% dei recruiter delle corporation dice che i neo-laureati delle scuoledibusinessdovrebbero avere una buona conoscenza dell’argomento237. È il soggetto di centinaia di conferenze aziendali ogni anno. Decine di migliaia di dirigenti aziendali si sentono ripetere di continuo dai loro consulenti la sua rilevanza. I più importanti amministratori delegatiepoliticidelmondo, riuniti ogni anno al World EconomicForumdiDavos,in Svizzera, ne discutono solennemente e dichiarano il loro impegno. Numerosi “auditori sociali” misurano l’efficienza con la quale le aziende la praticano, e centinaia di aziende pubblicanoogniannorapporti patinati in cui sbandierano la loro dedizione al principio della corporate social responsibility. Le ONG – organizzazioni non governative con dipendenti a tempo pieno, siti Internet, newsletter e strumenti per la raccolta dei fondi – sviluppanocodicidicondotta aziendale su alcune pratiche specifiche e valutano le corporation in base al loro rispetto di quelle norme. Almeno 800 fondi comuni in tutto il mondo si dicono consacrati a essa. Lo United Nations Global Compact (Patto globale delle Nazioni Unite), siglato a Davos nel 1999,fissòalcuniobiettivida raggiungere sul tema. Nel 2006, erano più di 3.000 le aziende che lo avevano firmato.LaGranBretagnaha anche un ministero appositamentededicato. Gran parte di tutto questo è fatto in buona fede. E c’è chi vi crede sinceramente. In parte ha avuto effetti positivi. Ma è avvenuto quasi tutto al di fuori del processo democratico. E non ha cambiato quasi affatto le regole del gioco. Vederlo come una nuova forma di capitalismo democratico vuol dire non capire la logica del supercapitalismo. Inoltre, distoglie l’attenzione dalla sfida più ardua ma più importante di istituire nuove regole che proteggano e facciano prosperare il bene comune, e impediscano al supercapitalismo di invadere l’arenapolitica. 1 Il successo registrato dalla corporate social responsibility è da attribuire al calo di fiducia nella democrazia.Oggi,iriformisti dicono che è più facile fare lobbying sui dirigenti delle corporation che sui politici; sostengono che sia più efficace cercare di migliorare il comportamento di una corporation piuttosto che di influenzare le scelte di un Governo. «Il Governo non è in grado di dare una risposta allamaggiorepreoccupazione perl’ambiente,eleaziendesi stanno dimostrando più sensibili sull’argomento», afferma Jonathan Lash, presidente del World Resources Institute (Istituto perlerisorsemondiali)238. La sfiducia dei cittadini nei confronti dei politici è perfettamente comprensibile, malasituazioneènondimeno curiosa. Una delle ragioni principali per cui il Governo non riesce a prendere le iniziative necessarie è che, come abbiamo visto, negli ultimi anni le grandi corporation sono diventate molto efficaci nell’impedirgli di fare pressoché qualsiasi cosa per l’ambiente o per qualsiasi altro settore che possa costringere le corporation ad adottare soluzioni che preferirebbero evitare. Perché le aziende dovrebbero improvvisamente diventaresensibiliaqueitemi riguardo ai quali hanno fatto di tutto per bloccare degli interventi governativi? Ovviamente, all’interno di un’azienda, le singole persone incaricate di rendere una corporation socialmente più responsabile probabilmentenonsarannole stesse che fanno attività di lobbyingcontroquelleleggie norme che la renderebbero tale,maquestononcambiala realtà delle cose: nel supercapitalismo, la corporation, per ragioni di concorrenza, deve evitare qualsiasi cosa danneggi – e dare una priorità minima a qualsiasicosachenonaiuti– la massimizzazione dei profitti. La sfiducia nella democrazia può anche rivelarsi una profezia che si avvera, distogliendo l’attenzionedaquellochepuò esserefattoperriformarla.Se è vero che i cittadini di nazioni relativamente piccole non hanno grandi possibilità di influenzare l’operato delle grandicorporationglobaliper mezzo delle loro procedure democratiche, la situazione è diversa per i cittadini degli Stati Uniti o dell’Unione Europea. Ogni corporation che voglia fare affari in luoghi così vasti e floridi deve sottostare alle leggi di quei paesi. Anche lo Stato della California può stabilire leggi ambientali che abbiano un peso, perché gran parte delle aziende globali vuole avereaccessoaunmercatodi quelle dimensioni. Inoltre, moltemultinazionaliconsede negli Stati Uniti o in Europa gestiscono importanti attività a livello globale: Starbucks assorbe una grande percentuale della produzione mondiale di caffè, McDonald’s controlla una fetta importante del mercato mondiale del manzo e del pollo,Wal-Martèlacatenadi negozipiùgrandedelmondo, Home Depot è il maggior acquirente di legname e prodotti in legno al mondo. Le leggi americane ed europee, dunque, possono influire pesantemente sulla condottadellecorporationnel mondo. I cittadini di paesi così grandi e potenti che pensano di poter avere un impatto maggiore spingendo lecorporationamigliorarese stesse piuttosto che intervenendo nel processo democratico per costringerle a farlo semplicemente si sbagliano. È facile comprendere perché il grande capitale abbia abbracciato la filosofia della corporate social responsibility con tale entusiasmo. È una buona pubblicità e rassicura la coscienza dei consumatori. Un voto di fedeltà ai valori dellaresponsabilitàsocialeda parte delle corporation, inoltre, potrebbe anticipare e sostituirsi a un intervento governativo in quelle aree in cuiunaopiùaziendesisiano comportateinmodonegativo, per esempio rovesciando grandi quantità di petrolio in mare per negligenza, o violando i diritti umani all’estero. Una rasserenante promessa di responsabilità può distogliere l’attenzione della gente dalla necessità di leggi o norme più severe, o convincerla che il problema non sussiste affatto. Le corporation che hanno firmatodeicodicidicondotta impegnandosi a comportarsi bene in effetti sembrano essere diventate socialmente unpo’piùresponsabili,mala pressioneesercitatasudiesse per attrarre nuovi consumatori e investitori non sièallentataneancheunpo’. Nel supercapitalismo, non possono essere socialmente responsabili, non in una misura che abbia veramente unimpatto. Allo stesso tempo, i politici vengono sollevati da qualsiasi responsabilità. Possono applaudire qualche atto di apparente virtù aziendale – o in alcuni casi prendersi il merito di aver spintolecorporationasiglare pattiopromettereunmaggior impegno – senza dover prenderealcunainiziativache potrebbe infastidire i consigli d’amministrazione delle aziende che li appoggiano. Non sono tenuti a prendere posizionesumoltiargomenti; si limitano a mostrarsi a favore di un comportamento più virtuoso da parte delle corporation. Una promessa ad agire secondo la responsabilità socialeèancheunaopportuna rassicurazione per quei giovani privilegiati o di talento che vogliono sia i compensi da capogiro che offre una rapida scalata aziendale sia il vantaggio psicologico di pensare che stiano contribuendo a un mondo migliore. Piuttosto che sporcarsi le mani nei vigneti delle cooperative sociali o nelle aule scolastiche dei quartieri più poveridellenostrecittà,onel serviziopubblicoingenerale, si prendono il loro Master of BusinessAdministrationepoi se ne vanno a lavorare per qualche grande azienda che ogni anno pubblica un rapporto su tutte le cose buonechefaperilmondo.In questomodo,possonoaiutare sia se stessi che il mondo, o almenoèquellochepensano. Daquestopuntodivista, la corporate social responsability ha lo stesso peso dello zucchero filato. Piùcerchidiaddentarlaepiù velocemente si dissolve. Uno degli argomenti più gettonati ècheleaziende“socialmente responsabili” sono più redditizie.LaDowChemicals riduce le sue emissioni di anidride carbonica per abbassare i suoi costi energetici. McDonald’s introduce tecniche di macellazione più umane per diminuire i rischi di costosi incidenti sul lavoro e produrremaggioriquantitàdi carne. Wal-Mart adotta confezioni “ecologiche” per i suoi prodotti freschi – buste di plastica trasparenti prodotte con lo zucchero di canna–perchécostanomeno diquelletradizionaliabasedi petrolio. Starbucks offre ai suoi dipendenti part-time l’assistenza sanitaria perché questo riduce il turnover e fa risparmiare soldi all’azienda. LaAlcoastimadirisparmiare ogni anni 100 milioni di dollarigrazieallasuapolitica di risparmio energetico e di difesadell’ambiente239. Misure di questo tipo sono importanti, ma vengono prese non perché sono socialmente responsabili. Vengono prese per ridurre i costi. Definire queste corporation “socialmente responsabili” equivale a distorcere il termine al punto daincluderviqualsiasiazione che un’azienda intraprende per aumentare i profitti, se il caso vuole che questa abbia ancheunimpattopositivosul resto della società. È semplicemente la logica da manuale portata all’estremo, secondo cui ogniqualvolta un’azienda aumenta i suoi profittihaunimpattopositivo sulla società, perché impiega risorse più efficienti, permettendo a quelle inutilizzate di essere impiegate più efficacemente altrove. Da questo punto di vista, tutte le aziende che produconobuoniprofittisono socialmenteresponsabili. Da anni ormai vado sostenendo che la responsabilità sociale e la redditività nel lungo termine convergono. Questo perché un’azienda che rispetta e valorizzaisuoidipendenti,la comunità in cui opera e l’ambiente alla fine ottiene il rispetto e la gratitudine dei suoi dipendenti, della comunitàedell’interasocietà, che si traducono poi in maggiori profitti. Ma non sono mai riuscito a dimostrare questa teoria o a trovare uno studio che la confermi. Dal punto di vista della grande azienda moderna, però, il lungo termine potrebbe risultare irrilevante. Sotto il supercapitalismo, il “lungo termine” è il valore attuale dei guadagni futuri. Non c’è misuramigliorediquestadel valoredelleazioni. Altrettanto confusa è la questione dei cosiddetti investimenti socialmente responsabili in prodotti destinatiaesplodereinfuturo a causa della maggiore sensibilità della gente per un certo tema. Nel 2004, la CalPERS–ilfondopensione dei dipendenti pubblici della California (California Public Employees’ Retirement System)–annunciòinpompa magna che avrebbe investito 200 milioni di dollari in quello che definì il «fiorente settore della tecnologia ambientale». Finanziariamente aveva senso, considerando che le tecnologie ambientali che brucianoicombustibilifossili inmodopiùpulitopotrebbero diventare molto redditizie in futuro. Ma descrivere la mossa della CalPERS come “socialmente responsabile” significa confondere quella che potrebbe essere una buona strategia d’investimento con un’iniziativa finalizzata a rendere migliore la società. I dipendenti pubblici della California non hanno mai detto di voler sacrificare i lororisparmiperilbenessere del pianeta. Se l’intuizione della CalPERS si rivela corretta, i suoi clienti godranno di generosi ritorni. Ma se non è così, questi saranno comprensibilmente adirati. Logicamente, anche i consumatori sono disposti a pagaredipiùperprodottiche consideranopiùefficienti.Ma neanche questo rende i prodotti “socialmente responsabili”. Utensili che consumanodimenoedunque fanno risparmiare soldi ai consumatori, cibi biologici che li fanno sentire meglio, gelati artigianali più gustosi perché prodotti col latte di mucche che hanno accesso a vasti pascoli, salmoni più gustosiperchépescatiinmare aperto piuttosto che negli allevamenti, e le uova di galline ruspanti che fanno sentire i consumatori più protetti dalla salmonella probabilmente valgono il costoextracheiconsumatori sono disposti a pagare. Ma i consumatori non spendono queisoldiinnomediqualche benessere sociale, ma perché vi traggono dei benefici personali. I ristoranti Wendy’s hanno smesso di friggere i loro cibi nei grassi acidi trans, che sono stati eliminati anche dai biscotti OreoedaglisnackFrito-Lay. LaGeneralMillsoraproduce i Cheerios e i Wheaties con cereali integrali. Sono i consumatoriaesserediventati più coscenziosi, non le aziende240. Allo stesso modo, le aziende che offrono salari e benefici generosi per attrarre e tenere con sé dipendenti di alto livello non lo fanno per “responsabilità sociale”, ma per esigenze di management. «Nonèobbligatorioscegliere tra gli ideali e il profitto», afferma una delle numerose pubblicitàdiStarbucksincui l’azienda sbandiera il proprio impegno per la società. «Quandoabbiamocominciato a fornire l’assicurazione sanitaria ai nostri dipendenti part-time,abbiamonotatouna netta diminuzione del turnover»241.Èquichesicrea confusione. Se i profitti di Starbucks sono migliorati da quando l’azienda ha offerto l’assicurazione sanitaria ai suoi dipendenti part-time, vuol dire che non lo sta facendo in nome di qualche ideale; non importa quali fossero le nobili volontà del suo fondatore. Starbucks agisce in nome dei suoi consumatori e investitori. I costi aggiuntivi sono giustificati dai risparmi. Si chiamasmartbusiness. In generale, una grande azienda che sceglie di migliorare la qualità dei suoi prodotti senza aumentare i prezzi, o di migliorare l’efficienza e la produttività perpoterabbassareiprezzio generare profitti e ritorni maggiori per gli investitori, non lo fa per una spiccata sensibilità sociale. Lo fa perché sono buone scelte di management che devono essere – e, considerando le pressioni esercitate dal supercapitalismo, saranno – intraprese indifferentemente dai benefici che apportano allasocietà. L’economista Milton Friedman, anni fa, dichiarò cheilcompitodelleaziendeè quello di fare soldi, non beneficenza242. Friedman sostenne questa teoria in un momento in cui molte aziende avevano ancora abbastanzaspaziodimanovra per essere socialmente responsabili. Come abbiamo visto,legrandiaziendeerano nella maggior parte dei casi degli oligopoli con un ampio potere discrezionale in fatto di prezzi. Quello che voleva dire Friedman era che le aziende non dovrebbero preoccuparsi del sociale, perché non sono preposte a portare avanti tali politiche. Che siate d’accordo o meno con lui, nel supercapitalismo alle aziende non è data la possibilità di essere coscienziose. La concorrenza è così forte che gran parte delle aziende non possono fare scelte a favore della collettivitàsenzafarnepagare ilprezzoaiconsumatorieagli investitori, che passerebbero alla concorrenza. Anche se alcuni singoli consumatori o investitori fossero disposti a compiere un sacrificio, senza una legge che impone a tutte le aziende e quindi a tutti i consumatori e gli investitori difarelostesso,leloroscelte nonavrebberoalcuneffetto. 2 Man mano che l’economia si è incamminata verso il supercapitalismo, le aziende che al tempo di Friedman erano note per il loro impegno sociale sono stateseveramentepunitedagli investitori. La Cummins Engine, uno dei pionieri del movimento della corporate social responsability, di fronte alle pressioni degli investitori dovette abbandonare le sue paternalistiche politiche occupazionali e i generosi contributiallecomunitàincui operava. La Dayton Hudson, un’altra azienda un tempo rinomata per la sua politica socialmente responsabile, da quando rischiò di venire inghiottitadaun’acquisizione ostile, negli anni Ottanta, ha dedicato tutta la sua attenzione ai consumatori e agli investitori. La Levi Strauss, anch’essa un tempo incimaallalistadelleaziende socialmente più responsabili degli Stati Uniti, in parte per via della sua scelta di appoggiarsi ad aziende manifatturiere locali, subì un drammatico calo di profitti negli anni Novanta e dovette abbandonare ciò che rimaneva della sua produzione domestica. La Polaroid, un altro pioniere, dichiarò fallimento nel 2001. Le azioni della catena britannicadinegoziMarks& Spencer, che si era classificata ai primi posti in unsondaggiosullecondizioni di lavoro nel mondo, erano così malridotte che nel 2004 l’azienda subì un tentativo di acquisizione ostile243. Sia la Body Shop International che la Ben & Jerry’s erano state sbandierate come due tra le aziende socialmente più responsabilidelpaese,finché gli investitori non hanno relegato la fondatrice del BodyShop,AnitaRoddick,a una funzione consultiva e la Ben & Jerry’s non è stata compratadallaUnilever. In regime di supercapitalismo, una promessaall’impegnosociale non cancella la dedizione ossessivaall’importanzadegli azionisti. Il celebre motto degli anni Cinquanta di George Merck244 – «La medicina è per la gente. Non per il profitto. Quello viene dopo» – incarnava alla perfezione l’ideale della responsabilità sociale245. L’azienda vi prestò fede quando, negli anni Ottanta, sviluppò e distribuì senza costiunfarmacopercurarela “cecità del fiume” che affliggeva le nazioni povere deitropiciepiùrecentemente quando ha deciso di distribuire i farmaci contro l’AIDS in Botswana. I profitti però non arrivarono, e negli ultimi anni il titolo dell’azienda è crollato. Forse èperquestochel’aziendasiè sforzata di mettere sul mercato il suo antidolorifico Vioxx il prima possibile, una scelta decisamente poco responsabile.LaEnron,prima che crollasse, era classificata tra le cento migliori aziende degli Stati Uniti in cui lavorare, aveva ricevuto numerosi premi ambientali, era stata tra le prime grandi aziende a pubblicare un triple-bottom-line in cui riportava i suoi progressi nel campo sociale e ambientale ed era rinomata per le sue generose iniziative di filantropia. Col senno di poi, è difficile credere che la dedizione della Enron per la società fosse più sincera di quellaperisuoiinvestitori246. Allo stesso tempo, gli investitori non puniscono quelle aziende o industrie redditizie ma rinomate per il loro disprezzo dei valori sociali. Nei primi anni del nuovosecolo,laExxonMobil aveva il ritorno sul capitale investito più alto di qualsiasi altra compagnia petrolifera. Gli azionisti accorsero verso l’azienda nonostante fosse considerata “criminale” dai gruppi ambientalisti per le sue appariscenti campagne contro i combustibili non fossili e l’effettiva esistenza del riscaldamento globale247. Gli analisti di Wall Street e i banchieri d’investimento pensano solo al profitto, così come la maggior parte di coloro per conto dei quali gestiscono i risparmi. «Gli investitori non si rifiutano di comprare [le azioni di una certaazienda]perchépensano che il suo amministratore delegato sia pagato più del dovuto, così come i membri delsindacatononboicottanoi negozi non sindacalizzati che vendono prodotti importati a prezzi invitanti», afferma Anthony M. Maramarco, managing director della Babson Capital Management248. Il malcostume sociale non è necessariamente dannoso per gli affari. Poche industriesonostatescreditate come quella del tabacco, ma le multinazionali del tabacco nonhannoalcunadifficoltàa ottenere i soldi degli investitori in cerca di buoni ritorni. Le aziende che producono alcolici o armi da fuoco, che profittano del gioco d’azzardo e che pubblicano riviste e film pornografici se la cavano abbastanza bene a Wall Street;moltediquestehanno superato anche l’indice S&P 500249. Le azioni delle aziende legate alla Difesa, considerate moralmente riprovevoli da alcuni, hanno anch’esse superato l’indice S&P 500 a partire dagli anni Ottanta250. È possibile che le aziende che realizzano prodotti dannosi siano costrette a fare meglio della media per attrarre capitali. Forse esiste un premio per il vizio così come esiste un premio per il rischio. Ma è più probabile che agli investitorisemplicementenon gliene importi niente. Hanno dato istruzioni ai gestori dei loro fondi pensione o dei fondicomunidiaumentareal massimo il valore dei propri risparmi, a qualsiasi costo. Il distaccodellenostredecisioni dimercatodaglieffettisociali è, lo ripeto, uno degli aspetti fondamentali del supercapitalismo. Gliinvestitorichehanno a cuore la moralità delle grandi aziende possono piazzare i loro soldi in quelli che vengono chiamati “fondi di investimento socialmente responsabili”, che escludono alcune delle industrie più nocive. Ma sono pochi gli investitori che lo fanno. Nel 2004, il totale delle azioni controllate da questi fondi ammontava a meno del 2% del totale delle azioni dei fondi comuni in circolazione sulla borsa statunitense251. In Europa, i fondi comuni socialmente responsabili rappresentano una percentuale minore: circa lo 0,33%. Se tali fondi fruttassero meglio dei fondi comuni tradizionali attirerebbero più investitori, ma raramente è così. E comunque, il portafoglio della maggior parte dei fondi “socialmente responsabili” include pressoché tutte le grandi aziende presenti nel portafoglio dei fondi comuni classici. Nel 2004, 33 fondi socialmente responsabili possedevano azioni di WalMart, 23 fondi possedevano azioni della Halliburton, 40 possedevano azioni della ExxonMobil e quasi tutti possedevano azioni della Microsoft, nonostante le sue scaramucce con l’antitrust. All’albadel XXIsecolo,molti possedevano azioni della Enron, di WorldCom e della Adelphia,enessunadiqueste aziende brillava per i suoi contributiallacollettività252. È vero, gli investitori chiedono una migliore corporate governance. Ma una governance migliore rende le aziende più sensibili allerichiestedegliinvestitori, nondeisuoidipendenti,delle comunità o della società nel suointero. Le probabilità che in futuro un consiglio d’amministrazione possa nuovamente accettare una tenda da doccia con decorazioni floreali da 6.000 dollari come quella che inconsapevolmente gli azionisti della Tyco hanno comprato all’ex presidente dell’azienda, Dennis Kozlowski; i 100 milioni di dollari che gli azionisti della Adelphia Communications hannoinvolontariamentedato all’ex amministratore delegato dell’azienda, John Rigas; il dominio quasi assoluto che l’ex amministratoredelegatodella WorldCom, Bernard Ebbers, aveva sull’azienda – solo alcunidegliscandalichesono venutiallaluceneiprimianni del 2000 – con buona speranza diminuiranno con una migliore corporate governance. Quando gli azionisti avranno maggiore voce in capitolo nella scelta dei dirigenti di un’azienda, quando coloro che rivestono carichepiùaltealsuointerno dovranno firmare personalmente i bilanci e i loro stipendi saranno più trasparenti, probabilmente i dirigenti avranno un maggiore incentivo a fare quellopercuihannoottenuto laresponsabilitàfiduciaria. Iniziative di questo tipo, però, non renderanno gli amministratori delegati più responsabili nei confronti della società. Al contrario, maggiore è il potere che gli investitori hanno sugli amministratori delegati e sui massimi dirigenti di un’azienda,maggiorisaranno le probabilità che questi ultimi taglino i salari nella corsa verso profitti più alti, abbandonino le tradizionali comunità di riferimento dell’aziendaesiappogginoa catene di fornitura globali, assecondino i desideri più volgari dei consumatori, costringano i lavoratori nei paesi in via di sviluppo a operare in condizioni di insicurezza e malsane, e devastino l’ambiente, se questi comportamenti antisociali servissero a incrementare i profitti e il valoredelleazioni. Alcuni sostengono che i consigli d’amministrazione delle corporation dovrebbero rappresentare tutti gli stakeholders253 – tra cui i dipendenti, le comunità e la società in generale – e lo considerano il modo per conciliare gli interessi degli investitoriconquellidelresto della società. L’idea di “capitalismo degli stakeholder”, ricorderete, fu avanzata da Walter Lippmann, Adolf Berle e GardinerMeansall’iniziodel XXsecolo,etrovòespressione negli “statisti aziendali” dell’età non proprio dell’oro. Comprendo il fascino di questaidea.Hafunzionatoin altri tempi e in altri luoghi. Per molti anni, le aziende tedesche hanno avuto due consigli d’amministrazione: uno tradizionale, che rappresentava coloro che avevanodelcapitalearischio, e un secondo, che rappresentavaglistakeholder. Alcune aziende americane, come la United Airlines, hanno sperimentato forme limitatedirappresentanzadei dipendenti sindacalizzati in cambio di proroghe o riduzioni degli aumenti degli stipendi e dei benefici. Sono stato uno dei primi a manifestare il proprio entusiastico appoggio per la decisionedellaUnited. Ma è difficile che un consigliodistakeholderpossa funzionare sotto il supercapitalismo. Qualsiasi azienda che sacrifichi una parte dei ritorni degli azionisti a favore di un gruppodistakeholderperderà isuoiinvestitori,chepossono facilmente traghettare i loro soldi verso aziende che offrono ritorni più alti. E a ogni modo, si è già rivelato abbastanza difficile assicurarsi che i membri dei consigli d’amministrazione tradizionali rappresentino gli interessidegliazionisti. Laredditivitàpresuntadi un’azienda è facilmente calcolabile tramite il valore delle sue azioni. Ma non esiste un metro di giudizio altrettanto preciso per misurare il servizio reso dall’azienda agli stakeholder. Sono stati fatti degli sforzi ammirevoli per calcolare la triple-bottom-line di un’azienda:lasuacapacitàdi generarevalore,oltrecheper gli azionisti, anche per i dipendentielasocietànelsuo intero. Nessuno di questi tentativi, però, è riuscito a superare l’ostacolo principale: nel supercapitalismo, l’unica forma di pressione che ha qualche effetto è quella che vienedaiconsumatoriedagli investitori. Se ogni consiglio d’amministrazione diventasse un’assemblea in cui diversi gruppi di stakeholder stabilisseroilsalariominimo, gli standard di sicurezza, le politiche ambientali e così via,leaziendesitroverebbero a competere su piani radicalmente diversi. Presumibilmente, quelle con gli standard, e quindi i costi, più bassi e i profitti più alti attirerebbero i consumatori e soddisferebbero le volontà degliinvestitoriconmaggiore facilità. Senza leggi che dettino standard per tutte le aziende, i consigli degli stakeholder saranno sempre svantaggiati. Nel supercapitalismo, quindi, la vaga promessa di una democrazia societaria si riveladeltuttoillusoria. Ifattiindicherebberoche i consumatori, come gli investitori, non hanno abbastanza a cuore la responsabilitàsocialealpunto da sacrificarsi economicamente per essa. Dopounostudioapprofondito dei dati, il mio collega professoreDavidVogel,della Haas School of Business dellaUniversityofCalifornia, a Berkeley, ha concluso che «le pratiche sociali e ambientali della stragrande maggioranza delle aziende non hanno avuto alcun impattosullelorovendite»254. Ai consumatori piace essere associati alle aziende più simpatiche; specialmente a quei consumatori che possono permettersi il prezzo della simpatia. Non a caso Starbucks compra innumerevoli spazi pubblicitarisuigiornaliincui elenca i finanziamenti dell’azienda ai corsi di alfabetizzazione per bambini («inapparenza,puòsembrare chelaletturanonabbiamolto achevederecolcaffè,peròa tutto a che vedere con un’azienda che vuole mettere in pratica i suoi ideali e relazionarsipositivamentecol mondo»)255.Il brandimage è sempre più importante. Nell’etànonpropriodell’oro, il valore contabile della maggior parte delle aziende consisteva in risorse fisiche, comefabbricheeattrezzature, oltre ai soldi depositati in banca. Oggi, all’alba del XXI secolo, questi hard assets, o beni materiali, rappresentano solo un terzo del valore azionario dell’azienda tipo; il resto è composto da beni intangibili: brevetti, knowhow e la forza del brand. Questo è uno dei motivi per cui l’image advertising256 è divenuto così importante e le aziendespendonounafortuna in attività di relazioni pubbliche: 3,7 miliardi di dollarisolonel2005257.Inun universo di blog e di chat room, l’immagine delle corporation è sempre a rischio. Ma, come abbiamo detto, c’è una differenza tra i desideri privati del consumatore e gli ideali pubblici del cittadino. La maggior parte dei consumatori cerca la convenienza, punto. Quasi il 50% dei consumatori intervistati in un sondaggio del 2002 ha affermato di avere a cuore la difesa dell’ambiente, ma che stava alleaziendeoccuparsene,non a loro. Stando a un altro studio, i consumatori comprano prodotti ecologici solo quando non costano più dei prodotti standard, hanno almeno la stessa qualità ed efficienza di questi ultimi, appartengono a una marca fidata, sono disponibili nei negozi in cui sono soliti fare la spesa e non richiedono un cambio significativo delle loroabitudini258. Dopo aver scelto espressamentediadottareuna tecnicadipescadeltonnoche proteggesse i delfini, la Starkistpubblicòunaseriedi pubblicitàincuideclamavala lungimiranzadell’azienda. La Starkist registrò in poco tempo un aumento del livello di approvazione dei consumatori e della sua fetta dimercato.Mal’aziendanon sipotevapermetteredialzare i prezzi per coprire i costi dellenuovetecnichedipesca. Come spiegò J.W. Connolly, presidente della casa madre della Starkist, «i consumatori volevanounprodottochenon minacciasse i delfini ma non eranodispostiaspenderviun po’ di soldi in più. Tra un prodotto dolphin-safe e uno più economico, la gente sceglie quest’ultimo. Anche se costa solo un penny di meno»259. I consumatori dicono di avere a cuore la responsabilitàsociale,manei fatti pochi sono disposti a pagare per essa. In un sondaggio europeo del 2004, tre quarti degli intervistati si dichiarano disposti a cambiare i loro consumi a causa del comportamento socialeeambientaledialcune aziende,masoloil3%dicedi averlo effettivamente fatto260. Anche quando viene chiesto loro di definire la “responsabilità sociale”, i consumatori la descrivono in termini di appagamento personale piuttosto che di bene comune. In un sondaggio co-sponsorizzato dal «Wall Street Journal», fu chiesto agli intervistati di citare 43 attività che influenzano positivamente l’opinione che hanno delle corporation.Incimaallalista figuravano: «Prendersi la responsabilità per i loro prodotti/servizi e onorare le garanzie» e «Creare prodotti eservizidialtaqualità»261. Iconsumatoridichiarano di volere che le aziende rispettino i diritti umani all’estero.Nel1993,dopogli eventi di piazza Tiananmen, la Levi Strauss decise di cominciare a chiudere la sua produzione in Cina a causa dello stato dei diritti umani nel paese, una decisione molto apprezzata al tempo262. MaiconsumatoridellaLevi’s noneranodispostiapagaredi piùperdeijeansprodotticon costi più alti in paesi che rispettavano i diritti umani. Nel 1998, quindi, l’azienda ritornò sui suoi passi. O si appoggiava alle aziende manifatturiere cinesi o rischiava «di rimanere indietro nella competizione per il mercato globale dell’abbigliamento», come spiegò Peter Jacobi, presidente della Levi Strauss263. D’altra parte, un attacco coordinato contro Wal-Mart, nel 2004, da parte di numerosi sindacati e gruppi ambientalisti e studenteschi potrebbe aver sortito qualche effetto.IprofittidiWal-Mart continuavano a crescere man mano che l’azienda apriva nuovi negozi, ma hanno subito un rallentamento nel 2005, così come i profitti dei singoli negozi. Questo potrebbe essere dovuto al colpo sferrato al portafoglio dei clienti di Wal-Mart dall’aumentodelprezzodella benzina e dal declino dei salari.Maunrapportoredatto dalla McKinsey & Company per conto di Wal-Mart, reso pubblico da un gruppo antiWal-Mart, rivelò che tra il 2% e l’8% degli ex clienti dell’azienda aveva smesso di frequentare i suoi negozi a causa delle «cattive notizie pubblicate sui giornali»264. Approfondiròquestotemapiù avanti. 3 È da molto tempo che i riformisti sociali denunciano gli abusi delle corporation al fine di mobilitare la gente a favore di nuove leggi o regolamenti che vi pongano un freno. Il libro della giornalista investigativa Ida Tarbell, The History of the Standard Oil Company, pubblicato nel 1904, in piena era progressista265, ispirò la causa antitrust che portò allo scorporo dell’azienda. Il classico del 1906 di Upton Sinclair, La giungla, svelò i retroscena dell’industria dell’impacchettamento della carneespianòlastradaverso le prime norme sulla salute e lasicurezza.Illibrodel1966 diRalphNaderUnsafeatAny Speed rivelò l’indifferenza dell’industria delle automobili alla sicurezza e portò alla creazione della National Highway Safety Administration (Agenzia nazionale per la sicurezza in autostrada). Lo scopo di questi e altri scoop giornalistici non era spingere lesingoleaziendeacambiare rotta,mafomentareun’azione politicachecostringesse tutte le aziende a farlo. Tali sforzi non sostituivano l’azione politica, ma ne costituivano unpresuppostonecessario. Apartiredallafinedegli anni Sessanta, i riformisti feceropressionesulleaziende che avevano rapporti col Sudafrica perché aderissero a delle linee guide antidiscriminazione note come “Principi di Sullivan”, dal nome di Leon Sullivan, reverendo e membro del consiglio d’amministrazione della General Motors. Tra le formedipressioneadottatevi erano anche boicottaggi da parte dei consumatori e degli investitori nei confronti delle aziende che non firmavano. L’obiettivo,però,erapolitico: costringere il governo del Sudafrica a rinunciare all’apartheid. Il movimento anti-apartheid riuscì infine a spingere il Congresso a imporre sanzioni economiche alSudafrica;altripaesifecero lo stesso. Molte aziende abbandonarono il paese. Alla fine,l’apartheidcrollò. Su scala minore, la campagna del 1995 di Greenpeace contro le intenzioni della Shell Oil di affondare una vecchia piattaforma petrolifera nel Mare del Nord britannico aveva anch’essa un chiaro obiettivo politico. Anche se fu lanciato un boicottaggio dell’azienda, l’obiettivo della campagnanoneraumiliarela Shell ma stimolare un’azione politica che impedisse a qualsiasi compagnia petrolifera di abbandonare le proprie piattaforme semplicemente affondandole nell’oceano. La campagna fu unsuccesso.LaCommissione Oslo-Parigi stabilì, nel 1998, che ogni piattaforma di questo tipo doveva essere smantellata e smaltita a terra266. Queste campagne avevanoloscopodicambiare le regole del gioco. I consumatori e gli investitori probabilmente finirono col pagareleggermentedipiùper cose come l’oro, visto che le sanzioni economiche del Congresso non rendevano disponibile quello delle miniere sudafricane, o il petrolio, proveniente da piattaforme che ora avevano costi di smaltimento più alti. Ma questi piccoli aumenti di prezzo con ogni probabilità erano giustificati dalle conquiste sociali che li determinavano, come aveva decretato il processo democratico267. I sindacalisti fanno pressione sulle grandi aziende perché consentano ai lavoratori di decidere liberamente se formare un sindacato o meno; anche in questo caso, l’obiettivo politicoèquellodialteraregli equilibridipoteretrapadroni edipendenti. Senza uno specifico obiettivo politico, la corporate social responsibility è solo l’espressionedell’influenzadi un certo gruppo su una specifica azienda o industria, edunqueèdeltuttoarbitraria. Un fondo di investimento socialmente responsabile dovrebbeescludereleaziende che producono energia nucleare, come sostengono alcuni antinuclearisti? Quegli ambientalisti che sostengono che l’energia nucleare è l’alternativa migliore ai combustibili fossili non sarebbero d’accordo. Dovrebbero essere privilegiate le uova prodotte dalle aziende agroindustriali che impiegano galline ruspanti, come sostengono alcuni animalisti? C’è chi preferisce le galline in batteria perché questo limita il loro contatto con uccelli migratori potenzialmente portatori di aviaria. I consumatori e gli investitori socialmente responsabili dovrebbero boicottare le aziende che producono ogni tipo di bevanda alcolica, tra cuiilvinoelabirra,osoloi liquori? Dovrebbero evitare tutte le società di comunicazione che producono materiali violenti odicaratteresessuale,osolo quelle che cadono sotto la sogliadelladecenza? Senza un processo politico che stabilisca quali sono le priorità, le risposte a queste domande sono del tutto arbitrarie. La democrazia elettorale è una faccenda difficile e complicata, nel migliore dei casi. Come abbiamo visto, le corporation hanno invaso il sistema politico al punto che le voci dei cittadini si possono a malapena sentire. Ma non c’è altro modo per determinare gli obblighi sociali del settore privato se non attraverso il processo democratico. Rendere le società “socialmente più responsabili” è un obiettivo meritevole, ma possiamo perseguirlopiùefficacemente cercando di far funzionare megliolademocrazia. Fare pressione sulle aziende perché rendano più virtuosi i loro comportamenti è un meccanismo arbitrario che dovrebbe essere lasciato ai politici. Prendete le laceranti controversie negli Stati Uniti su temi come i diritti dei gay, l’aborto e le armidafuoco.IlCongressoe i singoli Stati vi si sono destreggiati per anni; alcune battaglie sono arrivate anche nelle corti statali e federali. Anche se non vi sarà mai un consenso unanime su certe questioni, almeno il processo democratico e i tribunali offrono gli strumenti per trovare un equilibrio tra le varie posizioni. A differenza delsettoreprivato. Nel 2006, l’American Family Association (Associazione delle famiglie americane), un’organizzazione no-profit con sede a Tupelo, nel Mississippi, criticò Wal-Mart peraveraderitoallaGayand Lesbian Chamber of Commerce e lanciò un boicottaggio dell’azienda268. All’inizio,Wal-Martdifesela propria scelta e sfidò il boicottaggio. Ma quando una coalizione di gruppi religiosi intimò alle farmacie WalMart di non vendere il contraccettivo d’emergenza comunemente noto come “pillola del giorno dopo”, Wal-Mart si arrese. Quando numerose associazioni femminili chiesero a WalMartdirimettereinvenditala pillola, l’azienda tornò parzialmente sui suoi passi: rese disponibile la pillola ma prese le difese dei farmacisti che per motivi personali si rifiutavano di venderla. Le associazioni femminili continuaronoafarepressione sull’azienda perché obbligasse i suoi farmacisti a fornirelapillola269. Qual è la scelta socialmente responsabile che Wal-Mart deveprendere?L’aziendanon ha gli strumenti per prendere una decisione equilibrata, se non vedere quale delle due è menodannosaperiprofitti. L’American Family Association organizzò anche un boicottaggio della Ford Motor Company per aver pubblicatodellepubblicitàsu alcune riviste per gay. Come conseguenza,laFordsmisedi pubblicarle. Non sorprende che la decisione dell’azienda abbiaadiratogliattivistiperi diritti dei gay. «Come dovremmo reagire quando i nostri amici ci dicono: “Gay, sentite, dobbiamo troncare i rapporti perché abbiamo la destra religiosa alle calcagna”?», si chiese Kevin Cathcart, direttore esecutivo del Lamda Legal Defense Fund.«Nondovrestistringere accordi coi prepotenti e mollareituoiamici»270.Dopo vari incontri coi leader di numerosi gruppi per i diritti deigay,laFordannullòlasua decisione271, spingendo l’American Family Association e altri 43 gruppi religiosi a ripristinare il boicottaggio. «Non possiamo stare a guardare mentre la Forddàilsuosostegnoauna politica finalizzata alla distruzione della famiglia, e non lo faremo», dichiararono i gruppi in una lettera all’amministratore delegato della Ford, William Clay FordJr272. Nel 2004, Focus on the Family, un altro gruppo religioso conservatore, incitò i consumatori a boicottare i due prodotti principali della Procter & Gamble, il detergente Tide e il dentifricio Crest. L’azienda aveva irritato il gruppo per aver preso pubblicamente le difese di un’ordinanza della cittàdiCincinnatichevietava la discriminazione contro gli omosessuali. Nel frattempo, l’Action League of Chicago, un’organizzazione antiabortista, decretò il boicottaggio delle bambole American Girl, di proprietà dellaMattel,perchél’azienda avevadonato50.000dollaria un’organizzazione di nome Girls, Inc., che offriva corsi doposcuola a ragazze svantaggiate su temi che andavano dalla prevenzione delle gravidanze all’abuso di droga e che, in una delle sue pubblicazioni, aveva appoggiato la decisione della Corte Suprema nel caso Roe v.Wade273.Piùrecentemente, la National Rifle Association (Associazionenazionaledelle armidafuoco)haminacciato di erigere centinaia di cartelloni in cui avrebbe descritto il gigante del petrolioConocoPhillipscome un nemico dei possessori di armi da fuoco. La ConocoPhillips aveva attirato verso di sé le ire della NRA prendendo parte a una causa per bloccare una legge dell’Oklahoma che permetteva ai dipendenti di portare armi da fuoco sul postodilavoro.Unportavoce della ConocoPhillips disse chel’aziendaerapreoccupata per la sicurezza dei suoi dipendenti274. In casi come questi, le aziende si trovano nel mezzo di un fuoco incrociato. Dal momentochequestebattaglie hanno luogo al di fuori dei tradizionali canali politici e sono indirizzate ad aziende specifiche, costringono i dirigenti delle corporation ad assumereloscomodoruolodi politici che cercano un equilibrio tra visioni contrastantidelbenecomune. Ma i dirigenti non hanno gli strumentiperprenderequeste scelte. Sono stati assunti per soddisfare le richieste dei consumatori e degli investitori. È per questo che, per quanto possano essere convincenti o irritanti gli attivisti di una o dell’altra parte, alla fine le corporation devono fare ciò che è necessario per ridurre i costi. Seun’aziendadovessecedere di fronte a una richiesta che impone dei costi aggiuntivi all’impresa, un concorrente che non ha preso parte all’accordo prenderebbe rapidamente il suo posto. AncheseungiornoWal-Mart si convincesse ad aumentare gli stipendi e offrire una migliorecoperturasanitariaai suoi dipendenti – portando l’azienda ad aumentare i prezzipercompensareicosti aggiuntivi–un’altracatenadi ipermercati prenderebbe il suoposto,offrendosalaripiù bassi e benefici sanitari più esigui e quindi prodotti più economici. Alla fine degli anni Novanta, la Nike finì nel mirino di numerose organizzazioni che denunciavano il trattamento subito dai lavoratori stranieri nelle fabbriche dell’azienda situate nei paesi poveri. Il fumetto di Garry Trudeau, Doonesbury, attaccò l’aziendaperunasettimanadi fila. Alla fine la Nike istituì un meccanismo di controllo delle aziende a cui subappaltava il lavoro, licenziando i manager più autoritari, rimpiazzando forme di colla cancerogene con equivalenti solubili in acqua e permettendo ai sindacati l’accesso ad alcuni stabilimenti. Ma un decennio più tardi, la Nike si trovò a competere con aziende come la New Balance, che non disponevanoditalisistemidi controllo.Gliattivistidunque presero di mira la New Balance, denunciando, nel gennaio del 2006, che gli operai delle sue fabbriche cinesieranocostrettiafaregli straordinari per dei salari da fameeincondizionidilavoro insicure275.Forseungiornola New Balance si assumerà le sue responsabilità. Ma cosa dovrebbe impedire alla Adidas, alla Airwalk e a centinaia di altre aziende di prendereilsuoposto?Senon si cambiano le regole del gioco,nelsupercapitalismole aziende meno “socialmente responsabili” godranno sempre di un vantaggio competitivo. È una corsa senzafine. Inoltre, non solo non dovrebbe spettare alle corporationstabilireciòcheè meglio per la collettività, ma nel supercapitalismo queste sono spesso incapaci di offrire servizi che sono per loro natura pubblici. Costringerleafarlofasorgere ladomandasetaliservizinon sarebbero amministrati meglio dal settore pubblico. La campagna contro WalMart, nelle sue numerose pubblicità a tutta pagina, denunciavache«isalaribassi e i benefici miseri offerti da Wal-Mart costringono decine di migliaia di dipendenti dell’azienda a ricorrere al Medicaid276, ai buoni alimentarieaglialloggiperi poveri.Sipotrebbedefinirela “Tassa Wal-Mart”. E ogni anno, in tasse federali, costa ai cittadini 1,5 miliardi di dollari»277. Il problema con questoragionamentoèchegli StatiUnitihannogiàsceltodi offrire il Medicaid, i buoni alimentari e gli alloggi ai poveri, anche se questi lavorano. Si è deciso che era piùefficientechetalibenefici venisserooffertidalGoverno, e che i datori di lavoro informasseroilorodipendenti sottopagati della loro esistenza, piuttosto che farli gravaresulsettoreprivato.Se vogliamo cambiare le regole e imporre alle aziende di offrire salari e benefici sanitari sufficientemente alti da non costringere nessun dipendente a ricorrere all’assistenza governativa, dovremmo sforzarci di raggiungere questo obiettivo per mezzo del processo democratico. Ma ha poco senso rimproverare un’azienda, anche se delle dimensionidiWal-Mart,solo perché segue le regole del gioco. Dovremmo cambiare le regole del gioco, come sostengono i critici di WalMart? È un tema di cui varrebbe la pena discutere, maciònonavviene.Daparte mia, credo che il salario minimo dovrebbe essere portato al livello di circa la metàdellostipendiomediodi un lavoratore. Questo era il rapporto in vigore durante l’età non proprio dell’oro, e mi pare ancora oggi un compromesso ragionevole. Ma i critici di Wal-Mart vogliono anche che l’azienda offra ai suoi dipendenti una buona copertura sanitaria, che, secondo me, non è più una responsabilità che dovrebbero assumersi le aziende. Abbiate la pazienza di seguire un attimo il mio ragionamento, perché questo è esattamente il tipo di discussione che dovremmo affrontare piuttosto che concentrarci unicamente su Wal-Mart.Laragionepercui le aziende hanno cominciato a offrire ai loro dipendenti l’assicurazionesanitariaèche questa era una forma di pagamento detassata. Questo, nell’età non proprio dell’oro, larendevaattraentesiaperle aziende che per i dipendenti, prima che i costi dell’assistenza medica schizzassero alle stelle e la concorrenza si facesse più intensa.Anchesel’assistenza sanitariaaziendaledaallorasi è progressivamente ridotta, nel 2006 rappresentava ancora la principale agevolazionefiscaledituttoil sistema fiscale federale americano. Stando a una stima recente, se si cominciassero a tassare i benefici sanitari, le aziende pagherebbero 126 miliardi all’anno di tasse in più278. In altre parole, l’assistenza sanitaria aziendale rappresenta un sistema sanitariostataleombrada126 miliardi di dollari l’anno già perfettamentefunzionante. Maèunsistemaassurdo. Non ne avete diritto proprio quando è probabile che voi e la vostra famiglia ne avreste più bisogno: quando perdete il lavoro e il vostro reddito precipita. E di questi tempi, come abbiamo visto, nessun lavoro è garantito. Perché gravare con questo ulteriore peso sui dipendenti che vengono licenziati, escludendoli da questo sistema sanitario ombra? Inoltre, il sistema distorce il mercato del lavoro. Trattiene molte persone dal cambiare lavoro per paura di perdere l’assicurazione sanitaria e i benefici che ricevono al momento. E invita i datori di lavoro ad aggirare il sistema, assumendo dipendenti giovani e in buona salute piuttosto che persone più anziane e dunque più a rischio. Il sistema incoraggia anche le aziende a spingere i dipendenti sposati a passare sull’assicurazione sanitaria delconiuge,cosìdascaricare i costi sull’azienda di quest’ultimo. È un sistema che funziona al contrario. In generale, meno paghi, meno garanzie sanitarie hai. Anche se si riuscisse a convincere Wal-Mart a migliorare la copertura sanitaria per i suoi dipendenti di reddito più basso, questo non cambierebbe il quadro più ampio delle cose nel paese. I lavoratori meno pagati di solito non godono di alcuna coperturasanitaria.Piùaltoè lo stipendio, migliore è la copertura sanitaria, con i massimi dirigenti e le loro famiglie che beneficiano di piani sanitari in grado di garantire cure mediche nelle migliori strutture del paese praticamente per qualsiasi acciacco si possa immaginare.Diconseguenza, il nostro sistema sanitario stataleombrada126miliardi didollaribeneficiasoprattutto lefascediredditopiùalte. Per tutti questi motivi, sonoarrivatoallaconclusione che l’assicurazione sanitaria dovrebbe essere svincolata dal lavoro. Invece di condannare le aziende come Wal-Martperchéoffronouna misera copertura sanitaria, dovremmo dire alle aziende di rinunciare a offrire qualsiasi forma di assistenza sanitaria e eliminare l’intero sistema sanitario ombra da 126 miliardi di dollari. Sarebbe molto più utile investire quel denaro in un sistema sanitario universale accessibile a tutti, indifferentemente da quanto guadagnano,dovelavoranoo ancheselavorano. Ma non possiamo affrontare questa conversazione finché continuiamoabatterciperché Wal-Mart offra una migliore copertura sanitaria ai suoi dipendenti e finché questa battaglia avviene al di fuori del processo democratico. Trasformandola in una crociata morale contro Wal- Mart,gliattivistitrasformano quellochedovrebbeessereun dibattito nazionale sulle politiche pubbliche del paese in un una battaglia sul brand imagediunasingolaazienda. 4 Anche se le guerre d’immaginesullevirtùdiuna singola azienda possono ricorrere a tutto il repertorio delle campagne politiche, i loro esiti non sono affatto politici. Non viene eletto né deposto nessuno, né attuato alcun programma o piattaforma politica o cambiata alcuna legge. La questione di fondo di queste guerre non è quale sia la miglior politica possibile, ma quanto sia proba un’azienda. È un surrogato della politica: una distrazione di massa dai problemireali. I protagonisti della campagna contro Wal-Mart hannodescrittolabattagliain terminialtisonanti.«Questaè un’offensiva contro un modello aziendale», ha dichiarato Carl Pope, un leader di vecchia data del movimento ambientalista che si è unito alla battaglia nel 2005. «Non vogliamo far chiudere Wal-Mart»279. Andrew Grossman, direttore esecutivo di Wal-Mart Watch, una coalizione di gruppi anti-Wal-Mart, ha chiarito: «Stiamo concentrando i nostri sforzi su Wal-Mart perché influisce sucosìtantiaspettidellavita americana». Grossman ha ammesso che Wal-Mart offre molti prodotti di qualità ai prezzi più bassi che ci siano, mahaaggiuntochequesto«a volte ha un alto costo per la società». L’obiettivo dichiaratodellacampagnaera far guadagnare a Wal-Mart «più soldi, ma in maniera responsabile»280. Cosa significa questo esattamente? Cosa volevano ottenere veramente i promotori della campagna? La campagna ha fatto usodipubblicitàsullastampa e in televisione, di video, libri, siti web, eventi e anche di un film. I membri del più grande sindacato degli insegnanti degli Stati Uniti hanno lanciato un boicottaggio dell’azienda, esortandoglistudentieiloro genitori a non comprare gli articoli scolastici nei negozi Wal-Mart. Un sistema telefonico automatico ha contattato decine di migliaia di persone nello Stato natale di Wal-Mart, l’Arkansas, alla ricerca di potenziali informatori che rivelassero notizie scomode per l’azienda. È stato distribuito inInternetunkitinformativo sucomeimpedireaWal-Mart di aprire un negozio nella propriacittà. Il movimento è guidato dapersoneconun’esperienza politica diretta. Paul Blank, uno degli organizzatori, è statoildirettorepoliticodella campagna presidenziale di Howard Dean. Chris Kofinis, un altro dei promotori, ha contribuitoallacampagnaper arruolare il generale Wesley Clark nelle elezioni presidenziali del 2004. Jim Jordan è stato il direttore della campagna presidenziale di John Kerry. Tracy Sefl ha lavorato per il Democratic National Committee, per il quale era incaricata di diffondere sui media cattive notizie su George Bush nel 2004. Wal-Mart ha risposto con una contro-campagna multimiliardaria diretta a dipingere l’azienda come amica dei lavoratori, attenta all’ambiente e socialmente responsabile. Anch’essa ha assunto la sua squadra di politici navigati, guidati da Michael Deaver, un tempo il curatore d’immagine di Ronald Reagan, e Leslie Dach, uno dei consulenti mediatici di Bill Clinton, che ha anche assistito Al Gore ai dibattiti presidenziali del 2000, coadiuvati da Jonathan Adashek, che ha diretto la strategia nazionale dei delegati per conto di John Kerry,eDavidWhite,cheha aiutato a organizzare, nel 1998, la rielezione della repubblicana del Connecticut NancyJohnson.Ilconsulente del gruppo è Terry Nelson, che è stato direttore politico nazionale della campagna di GeorgeBush,nel2004. Ha lanciato una serie di pubblicità televisive in cui dipendenti neri, ispanici e di sesso femminile lodano i benefici e le opportunità di carriera offerte dall’azienda. Ha comprato spazi pubblicitari sui giornali in lingua asiatica e ispanica per raggiungere il maggior numero di consumatori possibili, pubblicità a tutta pagina sui principali quotidiani del paese e ampi spazi su specifici media d’élite, accusando i critici dell’azienda di distorcere la realtà.«Quandoinostricritici manipolano la realtà per servire i loro interessi economici e potenziali ci sentiamo in dovere di difenderci», era la frase di H. Lee Scott Jr citata in una pubblicità a due pagine sulla «New York Review of Books». Wal-Mart ha prodotto anche degli spot televisivi che ricordavano molto da vicino lo spot realizzato da Bill Clinton per lacampagnapresidenzialedel 1992, Un luogo chiamato speranza (A Place Called Hope). La pubblicità di WalMart inizia con un’immagine della prima bottega di Sam Walton. «È iniziato tutto con un grande sogno in una piccola cittadina», recita una sonora voce narrante. «Il sognodiSamWalton». Come ha riportato il «New York Times», il “consigliodiguerra”diWalMart si riunisce tutte le mattine alle 7, esamina la rassegna stampa e video che riguarda l’azienda e ogniqualvolta trova delle critiche telefona immediatamentealgiornalista ediffondemessaggisulwebe comunicati stampa in cui controbatte. Tiene aggiornati ibloggeresuggeriscelorogli argomenti dei post. Ha organizzato e finanziato un gruppo che si chiama Working Families for WalMart(Famiglielavoratriciper Wal-Mart) e ha arruolato i fornitori dell’azienda nella battaglia. La squadra di Wal-Mart descrive la sua controcampagna con un linguaggio comunemente riferito alle battaglie politiche. L’hanno definita “candidato Wal- Mart”. Robert McAdam, un ex stratega politico al Tobacco Institute chiamato a bordo come responsabile delle corporate communications, dice che Wal-Mart sta prendendo di mira «gli elettori indecisi»: quei consumatori che non hanno ancora sviluppato un’opinione negativa nei confronti dell’azienda. Descrive coloro che sono andati a vedere il film anti- Wal-Mart come «profondamente credenti nel loro punto di vista», che probabilmente avevano costruito già precedentemente. «Loro hanno la loro base. Noi abbiamolanostra.Mac’èun gruppo al centro a cui cerchiamotuttidiarrivare»281. Wal-Mart, come conseguenza di tutto questo trambusto, è rinata come un’azienda socialmente responsabile? Immediatamente in seguito alla devastazione causata dall’uragano Katrina, WalMart donò 15 milioni di dollari in contanti al BushClinton Katrina Fund e offrì vari milioni di dollari all’Esercito della Salvezza e alla Croce Rossa americana. Nel giro di qualche giorno, l’azienda offriva a tutti i dipendenticostrettifuoricasa dall’alluvione 1.000 dollari come assistenza d’emergenza –circatresettimanedisalari, esentasse – e lavori temporanei negli altri negozi delpaese.L’aziendaspedìpiù di cento camion di merci ai centridievacuazione;offrìai cittadini delle zone colpite razioni gratuite dei farmaci con prescrizione; e destinò almenounadozzinadiedifici Wal-Mart per essere usati come rifugi, banche del cibo e centri di comando della polizia282. Wal-Martsièimpegnata aessere–oadapparirecome – un’azienda più vicina ai lavoratori e alle comunità in cui opera. Ha inaugurato un ufficio per la promozione della diversità e ha esteso l’assicurazione sanitaria ai bambini dei lavoratori parttime.Haannunciatounpiano per aiutare i piccoli rivenditori vicini ai negozi Wal-Mart.Edèdiventata–o almeno così sembrerebbe – ambientalista convinta. Ha lanciato un programma per incentivare il riciclo delle buste della spesa e degli altri materialidiplasticacheisuoi consumatori di solito spediscono nelle discariche; ha iniziato a sperimentare l’utilizzo di alberi e altre piante nei suoi parcheggi per assorbire le emissioni di anidride carbonica e l’acqua contaminata;sièimpegnataa investire nell’energia solare ed eolica, a utilizzare lampadine a risparmio energetico e a riciclare i materiali impiegati nella pavimentazione esterna dei suoinegozi.L’amministratore delegato Scott, nel 2006, ha dichiarato che l’azienda si sarebbe appoggiata esclusivamente a fonti di energia rinnovabile «che tutelino le risorse e l’ambiente»283. Tutti questi sforzi sono encomiabili, ma anche sommati, ammontano comunque a una frazione irrisoria del fatturato annuale diWal-Mart.Alcunidiquesti impegni, come quello di privilegiare le energie rinnovabili,nonhannoalcuna precisa scadenza: lo stesso Scott ammette di non avere «un’idea precisa di come metterle in pratica»284. E non è chiaro quanto rimarrà viva l’attenzione nei confronti della “responsabilità sociale” quando e se la pressione sull’azienda dovesse allentarsielacampagnaantiWal-Mart giungere alla fine, come presumibilmente dovrà accadere un giorno. Non è necessario essere particolarmente cinici per immaginarecheWal-Martsta facendo il minimo indispensabile, in termini economici,percontrastaregli effetti negativi della campagna di denuncia. È ciò che le impone il supercapitalismo. Non c’è modo di sapere se un successivo studio della McKinsey abbia informato Wal-Mart di aver recuperato la clientela persa o se vi è invece ancora un 2% o 3% che non vi mette più piede e dunque l’immagine dell’azienda necessiti di un’ulteriore spolverata. Ma possiamostarecerticheWalMartprestagrandeattenzione ai sondaggi, e calibra le sue azionidiconseguenza. Ricordate,poi,cheWalMart rappresenta un caso particolare. È un’istituzione enorme, ubiqua e molto visibile–ilpiùgrandedatore dilavorod’Americaeunodei più grandi al mondo – il che la rende particolarmente sensibile alle tattiche essenzialmente politiche dei suoi avversari. Per quanto la campagna anti-Wal-Mart sia riuscita a migliorare il comportamento dell’azienda, è improbabile che le stesse tattiche possano essere altrettanto efficaci con la maggior parte delle altre aziende. La capacità della moderna corporation di comprarsi una via d’uscita pressoché da qualsiasi problema di pubbliche relazioni suggerisce che le campagne finalizzate a rendere le aziende “socialmente più responsabili” difficilmente riusciranno a stabilire nuove norme di comportamento aziendale. Questo anche se propongono standard precisi, e sempre che qualche rivale non corra a riempire il vuoto lasciato da un’azienda che si assume costi più alti. È probabile che entrambe le parti impieghino tecniche prettamente politiche nella battaglia, e che qualche candidato politico critichi la condottadiun’azienda.Main questi contesti la politica reale – quella dei conflitti e delle deliberazioni democratiche – è del tutto assente. 5 Lo zelo con il quale le corporation hanno abbracciato la filosofia della responsabilità sociale potrebbe indurre la gente a illudersi che non esistano problemi che necessitano urgentemente della nostra attenzione.Vivideespressioni di bontà aziendale possono finire per oscurare quei problemicheunademocrazia dovrebbe affrontare – che senza dubbio affronterebbe – se la gente ne comprendesse lerealiimplicazioni.Epoiché il tempo d’attenzione della gente è sempre più breve, queste manifestazioni temporanee possono prevenire soluzioni permanenti. In seguito ai brontolii della Federal Communications Commission e dei politici conservatori in merito ai contenuti violenti e sessuali dellaprogrammazioneofferta dalle compagnie via cavo, all’inizio del 2006 gli operatori hanno annunciato unpianoperoffrirecanaliper tutta la famiglia, affinché i genitori possano controllare ciò che guardano i loro figli. «A questo punto non serve più alcuna legge», ha affermato il senatore repubblicanodell’AlaskaTed Stevens, presidente del Senate Commerce Committee, dopo le rassicurazioni delle aziende fornitrici di servizi via cavo. «Dobbiamo prima vedere se il piano funziona»285. Ma le compagnie via cavo avevano già fatto promesse di questo tipo in passato, senza mai tenervi fede. Con ogni probabilità, queste continueranno a privilegiare programmi violenti e sessualmente espliciti finché il Congresso o l’FCC non le fermerà, perché cose di questo tipo vendono molto bene. Non molto tempo fa, la Kraft Foods ha annunciato che avrebbe smesso di pubblicizzare alcuni prodotti rivolti a bambini al di sotto dei12anni.Lanotiziaèstata accolta come un radioso esempio di responsabilità sociale. Ma non era affatto così. Uno studio governativo pubblicato poco prima che la Kraft facesse il suo annuncio aveva concluso che la pubblicitàrivoltadirettamente ai bambini contribuiva all’obesità infantile; due progetti di legge del Congresso proponevano di regolamentare tali pubblicità. L’iniziativadellaKraftaveva lo scopo di prevenire l’introduzione di queste leggi e mantenere un livello di discrezionalità nella scelta delle sue pubblicità. Afferma Michael Mudd, il principale organizzatore della strategia anti-obesità della Kraft: «Se l’industriadeltabaccopotesse tornare indietro di venti o trent’anni, riformare le sue strategie di comunicazione, disarmare i suoi critici e sacrificare qualche centinaio di milioni di dollari, sapendo ciò che sanno oggi, non credete che lo farebbe in un batter d’occhio? È la stessa opportunità che oggi si presentaanoi»286.Manmano che montava la pressione popolare per una legge che vietasse le pubblicità di cibo spazzaturarivolteaibambini, l’annunciodellaKraftèstato seguitodall’impegnodaparte della General Mills, di McDonald’s e della CocaCola di dedicare almeno la metà delle loro pubblicità mirate ai bambini alla promozione di «stili di vita salutari»287. Ma le aziende si sono guardate bene dal dire cosa intendevano per stili di vita salutari, e come questi sarebbero coesistiti con gli stili di vita con ogni probabilità poco salutari che avrebbero reclamizzato con l’altra metà del loro budget pubblicitario. Allo stesso modo, la News Corporation, il conglomerato mediatico di Rupert Murdoch, ha recentemente lanciato una campagna pubblicitaria multimiliardaria di sensibilizzazione nei confronti dei potenziali pericoli che la rete presenta per le adolescenti. Pensate si tratti di un caso di responsabilità sociale? Ricredetevi. Diversi alti magistrati statali avevano minacciato iniziative legali contro MySpace, di proprietà della News Corp., affinché introducesse degli strumenti gratuiti che permettessero ai genitori di bloccare l’accesso al sito dal loro computer di casa. Ma misure di questo tipo avrebbero leso i profitti della News Corporation. L’azienda, dunque, ha deciso di lanciare la sua campagna “responsabile” nella speranza di bloccare qualsiasi misura legale288. Manifestazioni di virtù aziendale come questa possono indurre la gente a illudersichecisipossafidare di un’azienda affinché faccia ciò che è meglio per la società, anche a spese dei consumatoriedegliazionisti. Nel 2002, la British Petroleum cambiò il proprio nome in BP e iniziò a presentarsi come una compagnia petrolifera attenta all’ambiente e con una visione che andava “Oltre il petrolio” (“Beyond Petroleum”), a includere l’energia solare ed eolica. In una campagna pubblicitaria da 200 milioni di dollari gestita dall’agenzia pubblicitaria Ogilvy & Mather, la BP trasformò il suologodaunoscudoinuno sprazzodisoleverde,gialloe bianco dall’aspetto decisamente più naturalista. L’amministratore delegato dellaBP,LordJohnBrowne, cominciò a parlare dei rischi del riscaldamento globale e disse che l’azienda aveva la responsabilità sociale di affrontareilproblema289. Nonostante il suo cambio d’immagine, la BP continua a essere uno dei principali produttori di petrolio crudo sul pianeta. Anche se si è impegnata a investire otto miliardi di dollari nelle energie alternative nel corso di dieci anni, circa 800 milioni di dollaril’anno,questaèancora una cifra irrisoria rispetto al fatturato annuale della BP di piùdi20miliardididollarie alle sue spese in conto capitale che negli ultimi anni hanno superato i 14 miliardi di dollari290. Nel 2006, col petroliointornoai70dollaria barile e la BP che mieteva profitti record, sarebbe stato lecito aspettarsi che un’azienda impegnata ad andare «oltre il petrolio» investissedipiùnellefontidi energia non fossile. Ma gli investitoridellaBPnonerano interessati a essere socialmente responsabili. Volevanomassimizzareiloro ritorni, e i ritorni dei combustibili non fossili erano, nella migliore delle ipotesi, a diversi anni di distanza,mentreiritornidella produzione di petrolio erano ingenti e immediati. Nell’estate del 2006, il Congresso approvò un progetto di legge sull’energia che destinava poche briciole allaricercadifontidienergia non fossile e lauti compensi allecompagniepetrolifereper l’esplorazione e per lo sviluppo di combustibili fossili. È probabile che la campagna pubblicitaria della BP abbia rafforzato l’opinione della gente secondo cui il settore privato si stava già prendendo cura delproblema. Nelfrattempo,laBPnon sembrava troppo preoccupata dall’opinione pubblica. Nel marzodel2005,lacorrosione delle condutture e dell’attrezzatura della compagnia a North Slope, in Alaska, portò a una fuoriuscita di un milione di litri di petrolio, il più grave incidente del genere mai avvenuto in quel fragile territorio. I critici accusarono la BP di non investire abbastanza nella prevenzione degli incidenti. Infine, nel 2006, dopo essere stata costretta dal Governo statunitenseaispezionaretutti i suoi oleodotti per mezzo di undispositivoautomaticoche striscia lungo le condutture, l’azienda rilevò danni agli oleodotti talmente estesi che fu costretta a chiudere un raccordo di 25 chilometri verso l’oleodotto TransAlaska. E nonostante gli sforzi dei lobbisti e degli avvocati della BP a Washington, l’azienda finì sotto indagine per un’esplosione avvenuta nel suo stabilimento di Texas City,cheprovocòlamortedi 15operaiecostòallaBPuna sanzione di 21,3 milioni di dollari da parte delle agenzie per la sicurezza. Una commissione federale per la sicurezza individuò le cause della tragedia nei tagli della BP ai costi per la manutenzione e la sicurezza291.Iregolatoridella Commodity Futures Trading Commission accusarono la BP di manipolare il prezzo del propano approfittando dellasuaposizionedominante sul mercato, aumentando quindi il costo del riscaldamento di milioni di famiglie al picco della domandainvernale292.Inoltre, l’azienda era sotto indagine da parte dell’Environmental Protection Agency (Agenzia per la protezione dell’ambiente) per violazione delle norme sull’inquinamento dell’aria e da parte del dipartimento del Lavoro e della Chemical Safety and Hazard Investigation Board (Commissione per la verifica della sicurezza e dei pericoli chimici) per violazione delle norme sulla sicurezza. Forse tutti questi illeciti e queste negligenze sarebbero venuti alla luce comunque, ma è probabile che gli sforzi della BP per presentarsi come un’azienda socialmente responsabileabbianomitigato lo sdegno della gente e frenato la richiesta per una riformapiùgenerale. Le manifestazioni di virtùaziendalepossonoanche oscurare realtà che altrimenti alimenterebbero la richiesta di riforme. Ricordate il fermento mediatico nei confronti delle aziende che sfruttavano i lavoratori all’estero,allametàdeglianni Novanta? I produttori e i grandi rivenditori di abbigliamento evitarono l’introduzione di qualsiasi leggeonormapromettendodi istituire misure di autocontrollo. Elaborarono codici di comportamento volontari e iniziarono a monitorare le loro fabbriche all’estero, in particolare in Cina, dove si trovava la maggior parte di queste. Stando a uno studio dei documenti interni dell’industria condotto da «Business Week» alla fine del 2006, però, quei codici vengono continuamente violati.Moltefabbrichecinesi mantengono due libri contabili, per ingannare i revisori, e distribuiscono copioni ai dipendenti da recitare in caso di interrogatorio. Gli amministratoridellefabbriche cinesi si lamentano che la continua pressione da parte delle aziende americane per tagliare i costi è un forte incentivoadelinquere.Male aziende americane continuano a sbandierare i codici di comportamento a testimonianza della loro responsabilità sociale. E, stando sempre a «Business Week»,icodici«hannoavuto un ruolo importante nel generare un sostegno politico negli Stati Uniti a favore dei crescenti legami commerciali conlaCina»293. Ciò che rende possibile aggirare il processo politico sono,comehodettoprima,la brevità della memoria delle gente e del tempo d’attenzione dei media. La gente se ne dimentica perché in generale dimentica le cose con gran facilità. Può anche essere persuasa con un’astuta campagna pubblicitaria che un’azienda un tempo disprezzataperlesuepratiche disoneste sia ora sinceramente consacrata al bene comune. Di recente, la GE è stata celebrata come un’azienda all’avanguardia nelladifesadell’ambienteper le restrizioni che si è autoimposta sulle emissioni di gas serra. Ma la gente e i media sembrano essersi dimenticati di quando la GE contaminòilfiumeHudsone i suoi affluenti con scorie tossiche di PCB, della tenace battagliadell’aziendacontroi regolatori federali per non effettuare la bonifica e della sua intensa attività di lobbyingperevitarequalsiasi norma che la costringesse ad accollarsi una fetta maggiore deicosti294. Il Governo statunitense non aumenta gli standard di efficienza energetica delle automobili da vari decenni, e non ha preso nessuna iniziativa seria per tassare ulteriormente la benzina al fine di riflettere meglio il reale costo sociale del petrolio. Questo in parte è dovuto al fatto che ogniqualvolta si diffonde una domanda forte per una maggiore efficienza energetica,igrandiproduttori di automobili si riscoprono nuovamente amici dell’ambienteesiimpegnano a migliorare l’efficienza energetica delle loro macchine. Finché l’interesse della gente non cala. Nel 2000,laForderalaprincipale produttrice di SUV e furgoncinidelNordAmerica, equestiveicolieranonotiper i loro consumi da capogiro (quando la Sierra Club sponsorizzò un concorso per trovareunnomeeunoslogan pubblicitarioperl’ultimo SUV della Ford, che consumava più di 3,5 litri ogni venti chilometri, il primo premio andò a «Ford Valdez: hai guidato una petroliera di recente?295»)296. Ma quell’annolaFordanticipòle pressioni politiche su di essa e su altre aziende automobilistiche per una loro maggiore attenzione verso l’ambiente impegnandosi volontariamente a migliorare del 25% l’efficienza energeticadeisuoiSUV.Due anni più tardi, quando i profitti della Ford cominciarono a calare e i consumatori chiedevano ancora a gran voce le grandi macchineadaltoconsumo,la Ford ritornò sui suoi passi. Arrivò anche a fare lobbying e una campagna pubblicitaria contro una proposta di legge del Senato per aumentare gli standard di efficienza energetica297. Nel 2005, quando il prezzo del petrolio iniziò una rapida ascesa e l’interesse dei consumatori periSUVepericamioncini ad alto consumo cominciò a calare, la Ford annunciò al mondointerodiaverritrovato la passione per l’efficienza energetica. Si impegnò ad aumentare di dieci volte la produzione di auto ibride entroil2010. Starbucks e Ben & Jerry’s, come ho già detto, sono rinomate per la loro responsabilità sociale, ma anche questi modelli di virtù aziendale potrebbero aver rassicurato il pubblico più di quanto le due aziende meritassero. Da quando il presidente di Starbucks, Howard Schultz, ha scelto di trasformare la sua catena di caffè in una corporation dal cuore d’oro, non ha perso occasione per pubblicizzare i suoi «principi guida», come «creare un piacevole ambiente di lavoro» e altri. Malepoliticheoccupazionali diStarbucksnonsonoproprio senza macchia. Alla fine del 2005, il National Labor Relations Board (Consiglio nazionale delle relazioni sindacali) – controllato, voglio sottolineare, dai repubblicani – denunciò che l’azienda stava impedendo a molti dei suoi dipendenti di diversi negozi del paese di iscriversi al sindacato, e che ne aveva licenziato almeno uno che aveva «sostenuto e favorito» il sindacato298. La litania ipnotizzante a proposito della bontà di Starbucks maschera la realtà di un’azienda estremamente pragmaticaquandositrattadi controllare i costi, come le impone di fare il supercapitalismo. Ma la rassicurante campagna di pubbliche relazioni dell’azienda rischia anche di distogliere l’attenzione da un importante dibattito pubblico sulla necessità di una maggiorelibertàsindacaledei lavoratori, specialmente di colorochelavoranoinsettori dell’economia al riparo dalla concorrenzaglobale. Ben & Jerry’s pone una grande enfasi sull’impegno dell’azienda in difesa delle foreste tropicali. La campagna aiuta a vendere gelati perché rinforza l’immagine di Ben & Jerry’s come un’azienda affabile. Salta all’occhio, però, la totale mancanza nelle pubblicità dell’azienda di qualsiasi avvertimento sui pericoli legati al consumo di gelati grassi e superzuccherati,deltipochevende Ben&Jerry’s.Salvaguardare l’Amazzonia è senza dubbio un obiettivo ammirevole, ma lo è anche salvaguardare la gente dall’obesità e dal diabete. Ben & Jerry’s, ovviamente, non ha nessun obbligo morale o legale a fornire cibi più salutari. In base al supercapitalismo, l’azienda farà tutto ciò che è in suo potere per attirare i consumatori e appagare gli investitori. Il problema è che molti, a livello inconscio, potrebberoessereconvintidal marketing accattivante dell’azienda a fidarsi di essa anche per quel che concerne la propria salute. Come la strategia della Kraft Foods, anchequestamiraaprevenire qualsiasi forma di pressione pubblicasullaFoodandDrug Administration per vietare le pubblicitàdiprodottigrassie zuccheratidiretteaibambini. 6 Negli ultimi anni, i politici hanno preso l’abitudine di rimproverare pubblicamenteleaziendeche in una maniera o nell’altra hanno seguito una condotta riprovevole. I dirigenti colpevoli di solito sono trascinati di fronte a qualche comitatodelCongresso,dove vengono severamente criticati. Ma raramente ne segue qualche iniziativa legislativa che costringa le aziende a comportarsi diversamenteinfuturo. L’idea secondo cui mettereallagognaun’azienda e infangarne temporaneamente la reputazione contribuisca a migliorarneilcomportamento è un ulteriore diversivo dalla necessità di norme che bilancino gli interessi dei consumatori e degli investitoriconquellidelresto della società. Inoltre, dà ai politici l’opportunità di rimanere in buoni rapporti conleaziendeeleindustrie– raccogliendocontribuitiperle campagne elettorali, godendosi partite a golf coi dirigenti, sfruttando i lobbisti aziendali per favori di vario tipo – dando allo stesso tempo ai cittadini l’impressione di trattare “severamente”imalfattori.Di nuovo, la gente è portata a credere che la democrazia funzioni quando in realtà l’unica cosa che funziona veramente sono le operazioni diPR. Quando il prezzo del petrolio salì alle stelle, nel 2005 e nei primi mesi del 2006, le compagnie petrolifere realizzarono profitti straordinari, mentre milioni di americani furono costrettiapagaredipiùperla benzina e per riscaldare le loro case. Questo generò numerose pressioni sul Congresso perché imponesse alle compagnie petrolifere una “tassa sulle sopravvenienze attive” (windfall profit tax), ma non cifudibattito.IlCongressosi limitò a rimproverare le compagnie petrolifere e a criticarlepubblicamente.Man mano che il prezzo del petrolio e i profitti delle aziende del settore raggiungevano livelli record, il senatore Chuck Grassley, un repubblicano dell’Iowa e presidentedelSenateFinance Committee (Consiglio nazionale delle relazioni sindacali), diffuse una lettera in cui rimproverava l’industria del petrolio e del gas ed esortava le aziende a devolvere il 10% dei profitti di quel trimestre a istituzioni caritatevoli per aiutare le famiglie più povere a pagare le bollette del gas per il riscaldamentodellelorocase. «Avete la responsabilità di aiutare gli americani meno fortunatiadaffrontareglialti costi del riscaldamento», disseGrassley299. L’ammonimento di Grassleyfinìsututteleprime pagine dei giornali ma ovviamente non sortì alcun effetto. Perché le compagnie petrolifere avrebbero dovuto volontariamente dar via i propri soldi? L’unico effetto della gogna fu quello di far apparire Grassley e i suoi colleghi particolarmente compassionevoli, e rassicurare una porzione dell’opinione pubblica che il Congresso stava “facendo qualcosa” a proposito del prezzo del petrolio e dei profitti stratosferici delle aziende del settore. Ma poiché qualsiasi dibattito serio sull’opportunità di una tassa sulle sopravvenienze attive fu deviato dalla mossa di Grassley, la gente non ha mai avuto l’opportunità di decidere se l’utilizzo di una parte dei profitti delle compagnie petrolifere per aiutare le famiglie a basso reddito valesse il rischio che le aziende, private di una parte dei loro profitti, investissero meno nell’esplorazione e nello sviluppo, portando i prezzi ancorapiùaltinelfuturo. Quando la negligenza della BP a North Slope provocò la chiusura temporanea del più grande campo petrolifero del paese, nell’agosto del 2006, il Congresso chiese ai dirigenti dellaBPdiveniredipersona arenderecontodell’accaduto. Nel corso dell’udienza, i membri di entrambi i partiti accusarono i dirigenti di grossolana negligenza. Joe Barton, un repubblicano del Texas e presidente della commissione,tuonò:«Seuna dellecompagniepetroliferedi maggiorimportanzaalmondo non riesce a fare la manutenzionebasenecessaria per mantenere in funzione il giacimento della baia di Prudhoe senza interruzioni, forse non dovrebbe gestire l’oleodotto. Sono ancora più preoccupato dalla cultura aziendale della BP di apparente disprezzo per la sicurezza e l’ambiente. E questo da un’azienda che nelle sue pubblicità si vanta di salvaguardare l’ambiente. Vergogna, vergogna, vergogna»300 I membri della commissione poi fecero il terzo grado ai dirigenti della BP per capire perché l’aziendaperben14anninon avessesvoltoleoperazionidi ispezione e di manutenzione che venivano effettuate ogni due settimane sull’oleodotto Trans-Alaska, a cui si aggancianoglioleodottidella BP. I dirigenti della BP si impegnarono solennemente a starepiùattentiinfuturo. Ma né i membri del Congressonéidirigentidella BP posero l’accento sulla questione più pertinente di tutte: le frequenti ispezioni dell’oleodotto Trans-Alaska erano imposte dalla legge, mentre lo stesso non era richiesto per gli oleodotti secondari come quelli gestiti dalla BP. Se la commissione avesse avuto veramente a cuorechelaBPmigliorassei propri costumi, avrebbe introdotto una legge per eliminare questa scappatoia legale.Teneteamentechela BP avviò l’ispezione interna che portò alla chiusura dell’oleodotto solo dopo essere stata costretta dal Governo, in seguito all’incidente del 2005. La commissione non introdusse nessuna legge perché le udienze erano solo una sceneggiata. Barton e i suoi colleghi avevano sponsorizzato numerosi progetti di legge a favore dell’industria petrolifera e non erano certo pronti a rinnegare tutto proprio ora. La gogna dei dirigenti della BPperlaloroirresponsabilità sociale non ha portato beneficio in alcun modo alla gente. I dirigenti delle corporation non sono autorizzati da nessuno – men che meno dai loro consumatori e investitori – a trovareuncompromessotrai profittieilbenecomune.Non hanno neanche gli strumenti per prendere decisioni morali di questo tipo. È per questo che viviamo in una democrazia,incuiilgoverno dovrebbe fare queste scelte a nomedeicittadini. Prendeteladecisionenel 2005diYahoo,quandopassò alleautoritàcinesiinomidei dissidenti che avevano utilizzato l’e-mail di Yahoo convinti di rimanere nell’anonimato. Uno di questi, un giornalista, fu condannato a dieci anni di carcere per aver diffuso all’esterounmessaggiocheil suo giornale aveva ricevuto dalleautoritàcinesi,incuigli veniva intimato di non dare troppospazioalquindicesimo anniversariodegliincidentidi piazza Tiananmen. Un altro, che Yahoo aiutò a rintracciare, fu condannato a ottoanni,eunterzoaquattro anni. Non ci è dato sapere quanti altri dissidenti si trovino nelle prigioni cinesi grazie alla collaborazione di Yahooconleautoritàdiquel paese. Ladecisionedelcolosso, per un po’ di tempo, scatenò un putiferio negli Stati Uniti. I dirigenti dell’azienda spiegarono che non avevano altrasceltachesottostarealla legge cinese se volevano avere accesso a quell’enorme e crescente mercato. Yahoo disse anche che la sua presenza in Cina era necessaria per aiutare il cammino del paese verso la democrazia. «Ho sempre pensato che fosse meglio giocaresecondoleregoledei governi e affermare una nostra presenza», ha dichiarato il presidente di Yahoo a una conferenza sul Web a San Francisco. «Parte del nostro ruolo in qualsiasi piattaforma mediatica è far entrare tutto quello che possiamo in quei paesi e aiutare, lentamente, le personeadapprezzarelostile divitaoccidentaleelanostra cultura e a imparare»301. Il ruolo di Yahoo? Nessuno ha mai incaricato l’azienda di essere l’ambasciatore della cultura occidentale né l’arbitro che decide come sia meglio presentare questa alla Cina.Questononèilcompito di nessuna multinazionale. Tant’è che gran parte di queste fanno di tutto per evitare di essere associate a qualsiasi cultura, nazionalità o ideologia in particolare, a meno che non ne possano trarre qualche vantaggio economico. L’accusa più forte alla decisione di Yahoo è venuta da Liu Xiaobo, un dissidente cinese di Pechino che ha passato anche un periodo in prigione,inunaletteraaperta indirizzata al fondatore dell’azienda, Jerry Yang. «Devo dirle che la mia indignazione e il mio disprezzo nei confronti di lei e della sua azienda non sono inferiori all’indignazione e al disprezzo che provo per il regimecomunista»,hascritto, stando a una traduzione disponibile sul sito Internet delChinaInformationCenter, con sede in Virginia. «I profittilarendonoinsensibile alla moralità. Le è mai passato per la testa che dovrebbe vergognarsi di essere considerato un traditore dai suoi consumatori?». Liu non dà molto peso alle argomentazioni di Yahoo. «Ciò che ha detto in sua difesa indica che la sua ricchezzaeconomicanonpuò nasconderelapovertàdelsuo spirito e la sua mancanza di integritàmorale».Laletterasi chiudevaconunanotaamara. «Ilsuogloriosostatussociale non nasconde la sua sterile moralità e il suo portafogli rigonfio non è che la dimostrazione del suo immiseritostatusdiuomo»302. Entrambe le posizioni – siaquelladiYahoochequella di Liu – riflettono un equivoco fondamentale sul ruolo della moderna corporation in una democrazia. Yahoo non è un’entità morale, e nessuno l’ha autorizzata a trovare un equilibrioeticotraspediredei dissidenti in prigione e diffondere la cultura e la democrazia americane in Cina. I dirigenti di Yahoo hannounasolaresponsabilità sotto il supercapitalismo: far guadagnare gli azionisti e soddisfare i consumatori. In questo caso, uno dei principali “consumatori” di YahooerailGovernocinese, perché rappresentava la porta d’accesso a tutti gli altri consumatori cinesi. A meno che non via sia una legge americana che glielo impedisca, Yahoo continuerà a fare ciò che gli chiede il Governo cinese, perché la posta economica in gioco e i potenziali profitti sono troppi alti perché faccia altrimenti. LaCinaèilsecondomercato di internet più grande al mondo dopo gli Stati Uniti. Nel 2006, erano già più di 100 milioni i cinesi connessi alla rete. All’attuale ritmo di diffusione di internet nel paese, nel giro di un paio di anni vi saranno in rete più cinesicheamericani. Anche Google è finito nel mirino dell’opinione pubblicaquandohacreatoper leautoritàcinesiunaversione censurata del suo motore di ricerca, eliminando i risultati per parole incendiarie come “diritti umani” e “democrazia”. «Penso sia arrogante entrare in un paese dove abbiamo appena cominciato a fare affari e dirgli come fare le cose», ha dichiarato a un gruppo di giornalisti stranieri Eric Schmidt, l’amministratore delegato di Google303. Ma la decisione di Google di cooperare con le autorità cinesi non aveva nulla a che vedere con l’arroganza o con la modestia. Come la decisionepresadaYahooera dettata solamente dal desiderio di profitto, come doveva essere. Qualche giornoprimadellerivelazioni sulla complicità dell’azienda negli abusi del governo cinese, Google si dimostrò eroicamente arrogante nei confronti del governo statunitense, che aveva chiesto all’azienda informazionisullericerchedi materiale pedopornografico effettuate sul suo motore di ricerca, oltre a un campione casuale di un milione di parole chiave immesse nel motore di ricerca. Il governo USAstavacercandoconsensi per ripristinare il Child OnlineProtectionAct(Legge per la salvaguardia dei bambini online), i cui parametrieranostatigiudicati troppo elastici e quindi in violazione del primo emendamento dalla Corte Suprema.Googlesirifiutòdi collaborare304. Perché Google ha scelto di collaborare con le autorità cinesi e non con quelle americane? Se avesse veramentevolutocomportarsi secondo morale, avrebbe resistito alle richieste di un regime totalitario e sarebbe venuto incontro a quelle di una democrazia. Ma la moralità non c’entra un bel niente. L’accesso all’enorme mercato cinese dipendeva dall’acquiescenza del Governo cinese e Google, come Yahoo, avrà pensato che l’unico modo per ottenerlaerafaretuttociòche le chiedevano le autorità cinesi. Google non voleva rischiare di essere messa alla porta,mentrelaMicrosoftera libera di distribuire il suo motorediricercasulmercato cinese. L’accesso ai consumatori americani, d’altro canto, non dipende dall’acquiescenza del Governostatunitense.Google puòvendereilpropriomotore di ricerca agli americani indifferentemente dal fatto che soddisfi le richieste del Governo o meno, contro le qualiGoogleeraanchepronta a dare battaglia in tribunale. Anzi, il rifiuto di Google di accontentare il Governo era anche giustificato economicamente, perché i suoiconsumatorisisarebbero rivoltati se l’azienda avesse fornito al Governo informazioni su di loro. La differenza,ovviamente,èche gli Stati Uniti sono una democrazia e la Cina no. I dirigenti di Google non si sono mai posti il dilemma morale dell’opportunità di collaborare con alcuni Governi e con altri no. Non hanno l’autorità per prendere decisioni di questo tipo. Il loro compito è far arricchire gliazionisti. Qualsiasidecisionesulla “responsabilità sociale” di Yahoo o di Google dovrebbe essere lasciata al processo democratico statunitense; è negli Stati Uniti che le aziende hanno la sede e si presume che i suoi cittadini abbiano interesse a difendere i diritti umani nel mondo. Una delle sedi adatte in cui stabilire i doveri di queste aziende è il Congresso, di fronte al quale sono stati chiamati a testimoniare i dirigenti di entrambe le corporation. I membri del Congresso avrebbero dovuto chiedersi se era il caso di vietare alle aziende hi-tech americane di cooperare con regimi dittatoriali, anche a costo di rimetterci economicamente. Ma la questione non è mai stata affrontata. Il Sottocomitato della Camera sui Diritti Umani ha tenuto alcune udienze nel febbraio del 2006. Oltre a Yahoo e Google, furono convocati anche i dirigenti dellaMicrosoftedellaCisco. La Microsoft aveva cancellato i blog che non erano graditi al governo cinese; la Cisco aveva fatto affari con la polizia cinese, progettando un sistema di Internet wireless capace di individuareisingoliutenti,un sistemadisorveglianzavideo, unostrumentoperintercettare automaticamenteletelefonate e uno per spiare le e-mail di qualsiasicittadinocinese. Il repubblicano del New Jersey Christopher Smith, presidente della sottocommissione,dichiaròal «NewYorkTimes»diessere sconvolto.«Sitrattadiaiutare una dittatura. È vergognoso che [queste aziende] si rendano complici della repressione dei dissidenti»305. Smith accusò Yahoo di aver stretto un «rapporto nauseante». Mise in ridicolo la giustificazione ufficiale dell’azienda, dicendo che se Anne Frank avesse spedito i suoi diari via e-mail e i nazisti avessero voluto trovarla, probabilmente Yahoo gliel’avrebbe consegnata se questo avesse aiutato a portare la cultura americana nella Germania nazista. Tom Lantos, uno dei democratici alla guida del comitato e l’unico superstite dell’Olocausto di tutto il Congresso,chieseaidirigenti riuniti, «Vi vergognate? Sì o no?». Definì il loro comportamento«disdicevole» echieselorocomeriuscivano a dormire la notte. James Leach, un repubblicano dell’Iowa, accusò Google di essere «un funzionario del Governo cinese», aggiungendo che «se volessimoimparareausarela censura,verremmodavoi»306. Smith, poi, propose un progetto di legge per vietare alle aziende americane, tra le altre cose, di collaborare alla censura, ma nessuno si aspettava che passasse, e nessun membro del Congresso, incluso Smith, si impegnò perché non fosse così. Poco dopo, il dipartimento di Stato annunciò che stava creando unataskforcepermonitorare le aziende hi-tech americane che collaboravano alla repressione della libertà di parola in Cina. Mettere su unataskforceèunodeimodi per dare l’idea che Washington si stia impegnando su un tema quando in realtà non sta facendounbelniente. Se il Governo USA avesse veramente a cuore i diritti umani in Cina, potrebbe approvare domani stessounaleggechevietialle aziende americane di aiutare ilGovernocineseasoffocare la libertà di parola dei suoi cittadini, esattamente come un tempo vietò il commercio col Sudafrica e tuttora mantiene un embargo nei confrontidipaesicomeCuba e la Birmania, e così come è riuscito a costringere quasi tutte le principali banche del mondo a troncare i rapporti conlaCoreadelNord307.Ma non illudetevi. Nonostante le accuse indignate del Congresso, e nonostante la retorica dell’amministrazione Bush sulla diffusione della democrazia nel mondo, i diritti umani non sono una priorità né per il Congresso néperlaCasaBianca.Piùdi ogni altra cosa, le aziende americane vogliono avere accesso all’enorme mercato cinese senza interferenze di alcun tipo. Nel corso delle udienze, Robert Wexler, un democratico della Florida, e un altro membro del Sottocomitato sui Diritti Umani portarono il ragionamento di Lantos alla sua logica conclusione e si chiesero se il Congresso si sarebbe dovuto vergognare peraverconcessoallaCinalo statusdipartnercommerciale privilegiato. In un raro momento di candore, Dana Rohrabacher,unrepubblicano della California, difese l’innocenza del Congresso. «Chi ha fatto lobbying per ottenere quello status?», chiese, scaricando la responsabilità su coloro che avevano fatto pressioni sul Congresso perché autorizzasse le concessioni commerciali.«Dai.Sonostate lecorporation»308. I lobbisti di Yahoo, Google, Microsoft e Cisco capivano le preoccupazioni dell’opinione pubblica nei confronti dell’operato di queste aziende in Cina. Presumibilmente, capivano anche che la gente voleva essere rassicurata che il Congresso stesse “facendo qualcosa”. Con ogni probabilità, cooperarono col Congresso nell’architettare la gogna pubblica e mediatica delle aziende. Quasi certamente, sapevano che il Congressononavrebbepreso nessunainiziativaconcreta. Nel frattempo, come era prevedibile, i consumatori e gli investitori di queste aziende rimasero imperturbabili.Fuminacciato un boicottaggio (booyahoo.blogspot.com esortò «i cittadini di Internet amantidellalibertàasmettere di usare i servizi di Yahoo a causa delle loro politiche repressive»), ma non si concretizzò. Reporter senza frontiere, un’organizzazione con sede a Parigi, convinse due dozzine di aziende di asset management “socialmente responsabili”, che gestivano circa 21 miliardi di dollari, a firmare una risoluzione in cui si chiedeva alle aziende di Internetdidaregaranziechei loroprodottinonfosserousati perviolareidirittiumaniedi introdurre e sostenere risoluzioni da parte degli azionistiafavoredellalibertà di espressione. Ma le risoluzioni non arrivarono mai. Un analista della UBS avvertìisuoiclientiche«una pubblicità negativa danneggerà il brand di Google»309, ma non fu così. Unapropostapresentataauna delle riunioni annuali degli azionistidellaCiscochiedeva all’azienda di elaborare e implementare una politica di difesa dei diritti umani, ma non se ne fece niente. C’era forsequalcunochesiilludeva che gli investitori avrebbero mollatolaCisco,laMicrosoft e Google per via di questo pasticcio? Al contrario, l’accesso al mercato cinese avrebbe quasi certamente incrementato i profitti e il valore delle azioni delle aziende. Qualcuno forse si illudeva che i consumatori americaniavrebberoscaricato questeaziende?Impossibile. Queste aziende non avevano violato alcuna legge statunitense aiutando le autorità cinesi a violare i diritti umani nel loro paese. Avevanosolamenteseguitole regole del gioco. Nel supercapitalismo, è tutto quello che possiamo e che dovremmo aspettarci dalle aziende.Porrelaquestionein terminimorali–elencandole malefatte delle aziende e dei loro dirigenti – ha solo distolto l’attenzione dalla questione più spinosa ma più importante dell’opportunità o meno di cambiare le regole delgioco. Quando Joe Biden, un candidato alle elezioni presidenziali del 2008, attaccò Wal-Mart per il trattamento riservato dall’azienda ai suoi dipendenti, gli fu dato il merito di avere a cuore i lavoratori americani, senza che avesse dovuto introdurre alcuna legge per costringere Wal-Marteisuoiconcorrenti a comportarsi diversamente. Quando John Kerry, il candidato democratico alle presidenzialidel2004,accusò i vertici delle aziende che esternalizzano il lavoro all’estero di essere «amministratori delegati alla Benedict Arnold»310, anche a luifudatoilmeritodiaverea cuore i milioni di lavoratori americani che hanno perso il lavoro e i cui salari sono fermi da anni. Il suo sfogo, però, servì solo a mascherare la triste realtà del fatto che Kerry non aveva alcun piano perfrenarequestatendenza,e continuaanonaverlo. 7 Un altro mezzo che le aziende usano per aggirare qualsiasi intervento governativo è prendere l’iniziativa in difesa dell’interesse pubblico, come chiesedifareallecompagnie petrolifere il senatore Grassley. All’inizio dell’amministrazioneBush,la Casa Bianca si imbarcò in un’iniziativa chiamata “Leader climatici” (Climate Leaders), in cui il presidente chiese in pompa magna alle aziende più inquinanti del paese di ridurre le loro emissionidigasserraalmeno del 10% entro la fine del decennio. L’iniziativa poteva far pensare che l’amministrazione prendesse sul serio i rischi del riscaldamento globale, ma non era così. Nel gennaio 2004, solo cinquanta delle mille aziende americane più inquinanti avevano accettato di diventare “Leader climatici” e ridurre le loro emissioni, e di queste solo quattordici si posero degli obiettivi specifici. Anche se le aziende produttrici di energia sono quelle che inquinano di più, solo sei di queste aderirono. Nel giro di qualche anno, l’iniziativa era silenziosamente morta. Un rapporto del 2004 del World Economic Forum di Davos plaudì gli sforzi di alcune multinazionali lungimiranti nel ridurre le loro emissioni digasserra,maconcluseche lescelteindividualinonsono sufficienti a contrastare i cambiamenticlimatici311. Certochenonlosono.Il supercapitalismo non permette gesti di altruismo che nuocciano ai profitti. Nessuna azienda può “volontariamente” accollarsi dei costi a meno che non lo facciano anche i suoi concorrenti, che è la ragione per cui nel supercapitalismo l’intervento statale è l’unica maniera di far fare alle aziende scelte che compromettano i profitti. Come ha concluso il professor David Vogel in seguito a un’analisi delle cosiddette iniziative ambientalistevolontarienegli Stati Uniti e in Europa, sono poche le aziende che le intraprendono in assenza di norme o della minaccia di queste ultime312. Suggerire che esista un vasto bacino inutilizzatodibontàaziendale da poter sfruttare vuol dire illudere gravemente i cittadini, e ancora una volta distogliere l’attenzione dall’importantecompitodella scelta di queste norme. Nel caso specifico, il fiume di iniziative aziendali “volontarie”percontrastareil cambiamento climatico sta distogliendo l’attenzione pubblica dalla necessità di introdurre leggi e norme più severe per affrontare seriamenteilproblema. È più o meno la stessa storia con la filantropia aziendale. Le aziende fanno beneficenza esclusivamente nellamisuraincuigarantisce lorounritornod’immagine,e dunque maggiori profitti. Gli azionisti non affidano i loro soldiallecorporationaffinché queste li diano via, a meno che ciò non garantisca loro ritorni maggiori. Quando lo tsunami nel 2005 devastò l’Indonesia e altre aree costieredelSudestasiatico,il presidente Bush chiese alle corporation americane di offrire il loro aiuto alle vittime. Dopo che molte di queste ebbero versato vari milioni di dollari, Bush le lodò per la loro generosità. «Uno degli aspetti meno discussi del mondo degli affari statunitense è il gran benechefanno,inparticolare alle comunità in cui operano», disse. «Lo tsunami ha messo il settore privato americano di fronte a uno spartiacque. Penso che abbia inaugurato una nuova era di responsabilità sociale per le grandi aziende»313. Le sue parolefuronoaccolteconuno scroscio di applausi, ma non avevano alcun senso. Gli amministratori delegati delle aziende che hanno devoluto dei soldi alle vittime del disastro non erano mossi dall’altruismo:noneranoloro i soldi che hanno donato, ma degli azionisti. Se l’hanno fatto era perché pensavano che gli azionisti avrebbero beneficiato del ritorno d’immagine che questo avrebbe generato. Altrimenti, avrebbero violato il loro contratto fiduciario con gli azionistierischiatochequesti ultimi li abbandonassero a favore di aziende che non sperperano i loro soldi. Quando gli azionisti investono in un’azienda, non si aspettano che i loro soldi vengano usati a scopo di beneficenza. Investono per ottenere ritorni proficui. Gli azionisti che vogliono fare beneficenza lo possono fare dilorospontaneavolontà,alle condizionichedecidonoloro. Il pericolo maggiore è che queste ostentate manifestazioni di filantropia aziendaleinducanolagentea credere che le corporation abbiano degli impulsi caritatevoli su cui è possibile fare leva in qualsiasi momento. Un terremoto che colpì il Pakistan nell’ottobre del2005uccisepiùdi87.000 persone e creò un numero di profughitrevoltesuperiorea quello dello tsunami nell’Oceano Indiano. Ma all’inizio l’amministrazione Bush si impegnò a donare solo500.000dollari,unacifra talmente irrisoria che fu sbeffeggiatadagranpartedei pachistani314. Bush, quindi, promisediaumentaregliaiuti e chiese a cinque delle principali corporation americane di mettere su un’imponente raccolta di fonditraleaziendedelpaese. La General Electric contribuì conpiùdi5milionididollari incontanti,assistenzamedica e attrezzature energetiche; la Pfizer diede 1 milione di dollari alle agenzie di soccorso e 5 milioni in medicine e prodotti per l’assistenzamedica;laXerox, 1 milione in contanti; Citigroup,3milioni.Intotale, le aziende raccolsero una sommadicirca100milionidi dollari, spingendo il presidente a reiterare pubblicamente la sua gratitudine. «Se non fosse intervenuta la comunità internazionale», disse ai dirigenti, «avremmo lasciato la porta aperta a influenze islamichepiùradicali»315. A dire il vero, la comunità internazionale è stata molto meno presente di quanto avrebbe dovuto. Il Pakistan aveva bisogno di miliardi di dollari, non di centinaia di milioni, e il primapossibile.Senelgirodi due settimane furono distribuitipiùdi3miliardidi dollari alle aree colpite dallo tsunami, ben sei settimane dopo il terremoto erano arrivati al Pakistan solo 17 milionididollari.Standoalle Nazioni Unite, il totale degli aiuti versati ammontò a malapena a un quarto di quello che sarebbe stato necessario. Il vuoto, in parte, fu riempito dai gruppi islamisti radicali. Il ministro dell’Interno pachistano dovettericonoscerechequesti erano «il nodo vitale dell’operazionedisalvataggio edisoccorso»316. All’indomani dell’uragano Katrina, nell’estate del 2006, il presidente chiese alle grandi corporation di fornire un aiuto. E lo fecero. Steve Odland, amministratore delegato di Office Depot, offrì all’incirca 17 milioni di dollari di materiali d’ufficio, acqua, batterie e attrezzature scolastiche. Come ho già detto, Wal-Mart donò vari milionididollari.«Siamouna parte talmente integrante di questecomunitàcheabbiamo il dovere di intervenire», spiegò Lee Scott di Wal- Mart. Ma il senso di responsabilità non c’entrava niente. Come abbiamo visto, una spettacolare manifestazione di generosità aziendale era esattamente ciò di cui aveva bisogno per contrastareglieffettinegativi della campagna anti-WalMart317. Lecorporationnonsono nate per fare beneficenza. I più grandi filantropi del mondo,BilleMelindaGates, non utilizzano i soldi della Microsoft, ma quelli della loro vasta fortuna personale. L’unico motivo per cui una corporation decide di aiutare la gente con i soldi degli azionisti è perché questo porta benefici al suo brand image, ma questa logica ha dei limiti. All’indomani dell’uragano Katrina, Scott della Wal-Mart fu molto chiaroinmeritoailimitidella generosità della sua azienda. «Non possiamo spedire tre camion di merci a chiunque ce lo chieda», disse, rifiutando una richiesta di 2.000 coperte. «Alla fine di tutto questo, dobbiamo ancora avere un’azienda sana tra le mani»318. I contributi delle grandi aziende rappresentano una frazione infinitesimale di quello che dispensailsettorepubblico. Le manifestazioni di gratitudineneiconfrontidelle corporationsonodiventateun marchiodifabbricadellavita pubblicaamericana,manonè chiaro chi è che dovrebbe esseregratoachi.«Ajay,sali quassù,perfavore»,disseBill Clinton, chiamando sul palco duranteunadellesueannuali raccolte fondi aziendali uno dei dirigenti di Citigroup, Ajay Banga. Di fronte a una platea di amministratori delegati e investitori milionari, Clinton lodò Citigroup per aver destinato 5,5 milioni di dollari all’educazionedellefascepiù povere della popolazione319. Ma chi stava lodando veramente Clinton? I 5,5 milionididollarinoneranodi Banga. Con ogni probabilità, venivano dai profitti di Citigroup. Se gli azionisti hanno beneficiato indirettamente del ritorno d’immagine positivo in terminidimaggioriguadagni, allora non meritano nessun ringraziamento.Senonhanno ottenuto alcun beneficio, Banga e gli altri dirigenti di Citigroup dovrebbero essere criticati per aver sperperato i soldi degli azionisti. In seguitoagliuraganiKatrinae Rita, e allo tsunami indonesiano, la Croce Rossa pubblicòunapubblicitàadue pagine sul «New York Times» in cui ringraziava i suoi oltre 225 “donatori” per il loro contributo superiore a unmilionedidollari.Lalista includeva anche alcune famiglie e istituti, ma perlopiù erano società per azioni. Alcune di queste erano segnalate per le donazioni effettuate dai loro dipendenti o clienti ma la maggior parte di esse aveva investitoatitoloufficiale.«Vi ringraziamo per il sostegno che ci avete dato nel momento più difficile dei nostri 125 anni di servizio in America»320, recitava la pubblicità. Anche qui, non era chiaro chi stesse ringraziandolaCroceRossa. Le corporation, a volte, fanno anche del bene, ma queste espressioni di gratitudine inducono la gente a credere che le aziende faccianocertecoseinmaniera disinteressata, e che vi sia “qualcuno” in particolare che vada ringraziato. Ma un’azienda disinteressata non esiste, così come non esiste nessun “io” aziendale. Nel supercapitalismo, le aziende esistono solo per servire i consumatori e così facendo fararricchiregliinvestitori.È questo il loro servizio alla società. 8 Democrazia e capitalismo si sono scambiati i ruoli. Come abbiamo visto, il capitalismo ha invaso la sfera della politica. Le leggi vengonogiustificateinbasea logiche politiche che hanno pocoonullaachevederecon le reali motivazioni delle corporationedeilobbistiche hannofattopressioniperloro conto, o dei politici che le hanno votate. Norme, tasse, agevolazioni fiscali e sussidi vengono giustificati in nome dell’”interesse pubblico”, ma nella maggior parte dei casi sono la conseguenza di intenseattivitàdilobbyingda parte di aziende e industrie alla ricerca di un vantaggio competitivo l’una sull’altra. I cittadini sono completamente esclusi dal processo decisionale. Le loro voci vengono soffocate. Le giustificazioni ufficiali servono a mascherare quello che avviene realmente, ovveroqualiaziendevincono equaliperdono. Allo stesso tempo, una sortadidemocraziafasullaha invaso la sfera del capitalismo. I politici e gli attivisti lodano le aziende quando si comportano “responsabilmente” e le criticano quando non lo fanno. Ma in entrambi i casi nonvièalcunaleggeonorma che definisca ciò che è responsabile. L’idea che le aziende siano soggetti morali con responsabilità sociali distoglie l’attenzione della gente dalla necessità di stabilire tali leggi e norme. Inoltre, suggerisce l’idea che le aziende siano moralmente equivalenti ai cittadini, con tanto di diritti, tra cui quello di essere rappresentate in democrazia. Le lodi e le critiche vengono presto dimenticate, e influiscono a malapena sul comportamento dei consumatori e degli investitori. Nel frattempo, il vero processo democratico è lasciato in mano alle aziende e alle industrie che cercano unvantaggiocompetitivo. Il primo passo per rimettere la democrazia e il capitalismo ai loro posti è capire cos’è reale e cosa non loè. 236 Il materiale sulla corporate social responsibilityèampioecrescente.Trai libri più recenti, i migliori che ho trovato sono stati David Vogel, The Market for Virtue, Washington D.C., Brookings Institution, 2006; Michelle Micheletti, Political Virtue and Shopping: Individuals, Consumerism and Collective Action, New York, Palgrave Macmillan, 2003 e David Henderson, Misguided Virtue: False Notions of Corporate Social Responsibility, Londra, Institute of EconomicAffairs,2001.Granpartedei libri sul tema pongono l’accento sulla redditività della corporate social responsibility. Vedi, per esempio, Christine Arena, Cause for Success: Ten Companies That Have Put Profits Second and Come in First, Novato, California, New World, 2004; Michael Hopkins, The Planetary Bargain: Corporate Social Responsibility Matters, Londra, Earthscan, 2003; Ira Jackson - Jane Nelson, Profits with Principles: Seven Strategies for Delivering Value with Values, New York, Currency/Doubleday, 2004; Kevin Jackson, Building Reputational Capital: Strategies for Integrity and Fair Play That Improve the Bottom Line, New York, Oxford University Press, 2004; Malcolm McIntosh et al., Corporate Citizenship: Successful Strategies for Responsible Companies, Londra, Financial Times, 1998; Robert Willard, The Sustainability Advantage: Seven Business Case Benefits of a Triple Bottom Line, Gabriola Island, BritishColumbia,NewSociety,2002. 237 Entrambi i sondaggi sono presi da RonaldAlsop,“RecruitersSeekMBAs Trained in Responsibility”, in «Wall Street Journal», 13 dicembre 2005, p. B6., 238 Citato in Claudia H. Deutsch, “Companies and Critics Try Collaboration”, in «New York Times», 17maggio2006,p.E1. 239 Per informazioni sugli sforzi della Dow per ridurre le sue emissioni di CO2, vedi il sito dell’azienda sull’energia e i cambiamenti climatici, all’indirizzo <http://www.dow.com/energy>. Sull’adozione da parte di McDonald’s di tecniche di macellazione più umane, vedi Joby Warrick, “Big Mac’s Big VoiceinMeatPlants”,in«Washington Post», 10 aprile 2001, p. A11. Sul passaggio di Wal-Mart agli imballaggi ecologici,vediHaroldBrubaker,“WalMart Picks Corn for Its Packaging”, in «HoustonChronicle»,BusinessSection, 21 ottobre 2005, p. 4. Sull’assicurazione sanitaria dei dipendenti di Starbucks, vedi Lisa Schmeiser, “Perks Can Aid Bottom Line”, in «Investor’s Business Daily», 17 ottobre 2005, p. A10. Vedi anche DavidVogel,TheMarketforVirtue, p. 130. 240 Sulle reazioni delle aziende alle preoccupazionideiconsumatorisuicibi grassi, vedi “Wendy’s Cuts Trans Fats in Fries and Chicken”, in «Consumer Affairs», 9 giugno 2006, consultabile all’indirizzo <http://www.consumeraffairs.com/news0 “OreoTakesonaNewTwistwithNew Varieites That Contain Zero Grams of Trans Fat Per Servine”, in «PR Newswire», 6 aprile 2004; “Frito-Lay Chips Down-to Zero Trans Fat”, in «HoustonChronicle»,BusinessSection, 28settembre2003,p.1. 241 Pubblicità a tutta pagina di Starbucks, «New York Times», 24 luglio2005,p.13. 242 Milton Friedman, “The Social Responsibility of Business Is to IncreaseProfits”,in«NewYorkTimes Magazine»,13settembre,1970. 243 Per esempi di come gli investitori hanno spinto le aziende a sacrificare il profitto in nome della “responsabilità sociale”, vedi, sulla Cummins Engine, Michael Oneal, “Global Economy Strains Loyalty in Company Town”, in «ChicagoTribune»,4aprile2004;sulla Dayton Hudson, Caroline Mayer, “Dayton Hudson Acts to Fend Off Hafts”, in «Washington Post», 20 giugno1987,p.C1;sullaLeviStrauss, “Levi Strauss Announces Intention to Close Six Plants”, Associated Press State&LocalWire,8aprile2002;sulla Polaroid, Claudia Deutsch, “Deep in Debt Since 1988, Polaroid Files for Bankruptcy”,in«NewYorkTimes»,13 ottobre 2001; sulla Marks & Spencer, Michael Skapinker, “Why Corporate Laggards Should Not Win Ethics Awards”, in «Financial Times», 21 luglio2004,p.8. 244 Fondatore della compagnia farmaceutica Merck & Co., una delle piùgrandiaziendedelsettorealmondo. 245 Peter Landers - Joann Lublin, “Merck’s Big Bet on Research by Its Scientists Comes Up Short”, in «Wall Street Journal», 28 novembre 1993, p. A1. 246 Su questo punto, vedi Alison Maitland, “Scandals Draw Attention to ‘Superficial’ Measures”, in «Financial Times»,10dicembre2002,p.A1. 247 Felicity Barringer, “ExxonMobil BecomesFocusofaBoycott”,in«New YorkTimes»,12luglio2005,p.A19. 248ClaudiaH.Deutsch,“NewSurveys Show That Big Business Has a P.R. Problem”, in «New York Times», 9 dicembre2005,p.C1. 249 Realizzato da Standard & Poor’s nel1957,l’indiceseguel’andamentodi un paniere azionario formato dalle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione. 250 Vedi Dan Ahrens, Investing in Vice: The Recession-Proof Portfolio of Booze, Bets, Bombs and Butts, New York, St. Martin’s, 2004. Vedi anche Oaul Koku - Aigbe Akhigbe - Thomas Springer, “The Financial Impact of Boycotts and Threats of Boycott”, in «Journal of Business Research» 40, 1997,n.1,pp.15-20. 251 Jeffrey Hollender - Stephen Fenichell, What Matters Most: How a Small Group of Citizen Pioneers Is Teaching Social Responsibility to Big Business and Why Big Business Is Listening, New York, Basic Books, 2004,p.47. 252PaulHawken,SociallyResponsible Investing,Sausalito,California,Natural CapitalInstitute,ottobre2004. 253Conquestoterminesiindividuanoi soggetti “portatori di interessi” nei confronti di un’iniziativa economica, siaessaun’aziendaounprogetto. 254 David Vogel, The Market for Virtue…,cit.,p.73. 255 Pubblicità a tutta pagina di Starbucks, in «New York Times», 10 agosto2006,p.A7. 256 Una tecnica pubblicitaria che consiste nell’infondere al prodotto una personalità unica e attraente piuttosto checomunicareinformazionisudiesso, come fa invece la pubblicità informativa. 257“DoWeHaveaStoryforYou!”,in «Economist»,21gennaio2006,p.57. 258 Dara O’Rourke, “Market Movements: Nongovernmental Strategies to Influence Global Production and Consumption”, in «Journal of Industrial Ecology» 9, 2005, n. 1-2, che cita J. Makower, “Whatever Happened to Green Consumers?”, Organic Consumer Association,luglio-agosto2000. 259 David Vogel, The Market for Virtue…,cit.,p.135. 260 Michel Capron - Françoise Quairel-Lanoizelée, Mythes et réalités de l’enterprise responsable, Parigi, La Découverte,2004,p.57. 261 David Vogel, The Market for Virtue…,cit.,p.54. 262Ivi,p.154. 263Ibid. 264MichaelBarbaro,“ANewWeapon forWal-Mart:AWarRoom”,in«New YorkTimes»,1novembre2005,p.A1. 265 Unperiododiriformeprogressiste che andò dalla decade del 1890 agli anniVentidelxxsecolo. 266 David Vogel, The Market for Virtue…,cit.,p.112-113. 267 Alcuni boicottaggi, soprattutto in Europa, hanno portato all’introduzione di pratiche comunemente accettate molto simili a leggi vere e proprie, come l’etichetta “Rugmark” che certifica che tappeti e tappetini non siano stati prodotti sfruttando il lavoro minorile, o l’accordo per escludere il mercurio dalle batterie. Sorge però il dubbio che se la concorrenza potesse offrire prodotti non certificati a prezzi molto più bassi, i consumatori sarebbero tentati di trascurare le conseguenzesocialidelleloroscelte.Se vi è un’intesa generale su certe norme, sarebbebenetrasformarleinleggi. 268 Vedilapetizioneonlinedell’AFA, all’indirizzo <http://www.afa.net/Petitions/IssueDetail id=220>. 269 Ann Zimmerman, “Morning-After Pill Comes to Wal-Mart”, in «Wall Street Journal», 18-19 marzo 2006, p. A2. 270 Jeremy Peters, “Gays Pressure Ford to Reject Boycott Group”, in «NewYorkTimes»,13dicembre2005, p.C4. 271 Jeremy Peters, “Ford, Reversing Decision,WillRunAdsinGayPress”, «NewYorkTimes»,15dicembre2005, p.C3. 272 Donald E. Wildmon, presidente, American Family Association, lettera indirizzata al presidente Bill Ford, 10 gennaio2006,consultabileall’indirizzo <http://afa.net/fordletter.asp>. 273 Lasentenzadelgiudice,diportata storica per la legislazione sull’aborto statunitense, decretò che la maggior parte delle leggi contro l’aborto in vigorenegliStatiUnitiviolavaildiritto costituzionale alla privacy e abolì tutte leleggistataliefederalichelimitavano o negavano l’aborto che non rispettasserotalediritto. 274 Sull’esortazione ai consumatori di Focus on the Family di boicottare i prodottiProcter&Gamble,vediDavid Kirkpatrick, “Conservatives Urge Boycott of Procter & Gamble”, in «NewYorkTimes»,17settembre2004, p. A18. Sul tentativo di boicottaggio delle bambole American Girl da parte dell’Action League of Chicago, vedi Laura Berman, “Don’t Drag Girls into Debate”, in «Chicago Sun-Times», 28 novembre 2005, p. 61. Sulle pressioni della National Rifle Association sulla ConocoPhillips, vedi Ralph Blumenthal, “N.R.A. Fights Energy Giant over Stance on a Lawsuit”, in «New York Times», 3 agosto 2005, p. A13. 275 Sulla Nike, vedi Tom McCawley, “Inside Track: Racing to Improve Its Reputation”, in «Financial Times», 21 dicembre 2000, p. 14; sulla New Balance, vedi Chris Reidy, “Labor Group Hits New Balance”, in «Boston Globe»,7gennaio2006,p.4. 276 Programma federale che provvede a fornire aiuti agli individui e alle famiglieconbassoredditosalariale. 277 Il testo di questa pubblicità è apparsosunumerosigiornali.Vedi,per esempio,«NewYorkTimes»,20aprile 2005, p. A20. È consultabile anche sul sito di Wal-Mart Watch <http://walmartwatch.com/pdf/ad-nyt042005.pdf>. 278 Questa stima si trova in Executive Office of the President of the United States, Office of Management and Budget, Analytic Perspectives, Budget oftheUnitedStatesGovernment,Fiscal Year 2006, Washington D.C., U.S. Government Printing Office, 2006, p. 324. 279StevenGreenhouse,“Opponentsof Wal-Mart to Coordinate Efforts”, in «New York Times», 3 aprile 2005, p. A12. 280Ibid. 281MichaelBarbaro,“ANewWeapon forWal-Mart:AWarRoom”,p.A1. 282 Sulla risposta di Wal-Mart all’uragano Katrina, vedi Michael Barbaro - Justin Gillis, “Wal-Mart at Forefront of Hurricane Relief”, in «Washington Post», 6 settembre 2005, p.d1. 283 Sulle iniziative a difesa dell’ambiente di Wal-Mart, vedi Mark Gunther, “The Green Machine”, in «Fortune»,7agosto2006.Scottècitato in Matther Wald, “What’s Kind to Nature Can Be Kind to Profits”, in «New York Times», 17 maggio 2006, p.E1. 284 Matther Wald, “What’s Kind…, cit.,p.4. 285 Jennifer Kerr, “Comcast to Help Shield Kids from Smut on TV”, in «Detroit Free Press», 13 dicembre 2005,p.4. 286SarahEllison,“WhyKraftDecided toBanSomeFoodAdstoChildren”,in «WallStreetJournal»,31ottobre2005, p.A1. 287 Andrew Martin, “Leading Makers Agree to Put Limits on Junk Food Advertising Directed at Children”, in «New York Times», 16 novembre 2006,p.C1. 288 Julia Angwin, “News Corp. Sets Online-Safety Ads”, in «Wall Street Journal»,10aprile2006. 289 Joe Nocera, “Green Logo, but BP IsOldOil”,in«NewYorkTimes»,12 agosto2006,p.C1. 290 Ibid. Vedi anche Eric Reguly, “FactsDiscolourBP’sGreenImage”,in «Globe and Mail», 21 settembre 2006, p.B2. 291 Jim Carlton, “BP Finds New Pipeline Rupture Caused by Corrosion inAlaska”,in«WallStreetJournal»,17 aprile 2006, p. 14. Vedi anche Ralph Blumenthal, “Company Deficiencies Blamed in 2005 Texas Explosion”, in «NewYorkTimes»,21marzo2007,p. A15. 292 Jad Mouawad, “BP Named in Inquiry on Pricing”, in «New York Times»,29giugno2006,p.C1. 293 Dexter Roberts - Peter Engardio, “Secrets, Lies, and Sweatshops”, in «BusinessWeek»,27novembre2006,p. 50. 294 “Waiting for GE”, in «New York Times», 26 marzo 2006, Sezione 14 WechesterWeeklyDesk,p.15. 295 Il nome si riferisce alla Exxon Valdez,unasuperpetrolieradiproprietà della Exxon Mobil che il 24 marzo 1989 si incagliò in una scogliera dello stretto di Prince Williams, in Alaska, disperdendoinmareoltre38milionidi litridipetrolio. 296 David Vogel, The Market for Virtue…,cit.,p.122. 297Ibid. 298 Carol Hymowitz, “Big Companies Become Big Targets Unless They Guard Images Carefully”, in «Wall Street Journal», 12 dicembre 2005, p. B1. 299 “Mr. Grassley Goes Begging”, in «New York Times», 14 novembre 2005,p.20. 300FelictyBarringer,“PanelQuestions BPonManagingAlaskaOil”,in«New York Times», 8 settembre 2006, p. A16. 301TomZeller,Jr,“ToGoGlobal,Do You Ignore Censorship?”, in «New YorkTimes»,24ottobre2005,p.C3. 302Ibid. 303 Jim Yardley, “Google Chief Rejects Putting Pressure on China”, in «New York Times», 13 aprile 2006, p. C7. 304 Jon Swartz, “Google, Justice DepartmentFaceOffonSearch/Privacy Issue”, in «USA Today», 14 marzo 2006,p.3B. 305 TomZellerJr,“ToGoGlobal,Do YouIgnoreCensorship?”. 306 JosephNocera,“EnoughShameto Go Around on China”, in «New York Times»,18febbraio2006,pp.B1,B13; TomZellerJr,“WebFirmsAreGrilled on Dealings in China”, in «New York Times»,16febbraio2006,p.C1. 307 JosephNocera,“EnoughShameto Go Around on China”, pp. B1, B13. Vedi anche Joel Brinkley, “U.S. SqueezesNorthKorea’sMoneyFlow”, in«NewYorkTimes»,10marzo2006, p.A12. 308 Tom Zeller Jr, “Web Firms Are GrilledonDealingsinChina”,p.C1. 309SullarisoluzionediReportersenza frontiere, vedi Tom Zeller, “Critics Press Companies on Internet Rights Issues”, in «New York Times», 8 novembre2005.L’analistadellaUBSè citatoinLeeDrutman,“GoogleMayBe the Least of Three Evils”, in «Providence Journal», 21 febbraio 2006. 310 Celebre combattente della rivoluzioneamericana,passatopoidalla parte dei britannici. Da allora il suo nome, negli Stati Uniti, è diventato sinonimoditraditore. 311 David Vogel, The Market for Virtue…,cit.,p.131,132. 312Ibid.,p.134. 313“CorporateSocialResponsibilityin Action:PrivateSectorSummitonPostTsunami Rehabilitation and Reconstruction”, Asia Society, WashingtonD.C.,12maggio2005. 314 Elizabeth Davies, “Earthquake Tragedy: West’s Response Condemned as Slow and Inadequate”, in «Independent»,11ottobre2005,p.1. 315 William Holstein, “The Impact of Image on the Bottom Line”, in «New YorkTimes»,9aprile2006,p.C13. 316 HusainHaqqani-KennethBallen, “Earthquake Relief: If We Don’t Help Pakistan, Al-Qaeda’s Friends Will”, Carnegie Endowment for International Peace,17novembre2005. 317 Alan Murray, “The Profit Motive HasaLimit:Tragedy”,in«WallStreet Journal»,7settembre2005,p.A2. 318Ibid. 319 Celia W. Dugger, “Clinton, Impresario of Philanthropy, Gets a Progress Update”, in «New York Times»,1aprile2006,p.A9. 320 Una copia della pubblicità della Croce rossa è visibile al seguente indirizzo <http://www.nestlewatersna.com/PDF/ARC_wsj_ad_122805 6.Guidapraticaal supercapitalismo Per ricapitolare: man mano che il potere è passato nelle mani dei consumatori e degli investitori, il supercapitalismohafinitoper trionfare. Questi hanno oggi unasceltapiùampiachemai e possono passare da un’azienda all’altra, alla ricerca dell’affare migliore, con una facilità senza precedenti. E la concorrenza tra aziende per attrarre e tenereconséiconsumatorie gliinvestitorisifasemprepiù forte. Questo vuol dire prodotti migliori e più economici, e ritorni più alti. Ma col trionfo del supercapitalismo, anche le sue conseguenze sociali negative hanno assunto dimensioni preoccupanti. Tra queste vi sono una crescente disuguaglianzasociale,conla maggior parte dei frutti della crescitaeconomicachevanno ai più ricchi, una maggiore precarietà sul lavoro, l’instabilità o la perdita delle comunità tradizionali, la devastazione ambientale, la violazione dei diritti umani all’estero e un’infinità di prodotti e servizi che assecondano i nostri istinti più bassi. Queste conseguenze sono sentite più negli Stati Uniti che in qualsiasi altra economia avanzata,perchésonoilposto in cui il supercapitalismo ha preso maggiormente piede. Le altre economie, però, che seguono a ruota, hanno cominciato a registrare molti deglistessiproblemi. Lo strumento appropriatoperaffrontaretali questioni è la democrazia. È lì che dovremmo poter esprimere i nostri valori in quanto cittadini, scegliere quello che vogliamo per noi in quanto consumatori e investitoriequellocheinvece vogliamo in quanto collettività. Ma la stessa concorrenza che ha alimentatoilsupercapitalismo ha contagiato il processo politico. Le grandi aziende hannoassoldatounesercitodi lobbisti, avvocati, specialisti ed esperti di pubbliche relazioni, e investito sempre di più nelle campagne elettorali.Questohasoffocato levocieivalorideicittadini. Man mano che questa trasformazione prendeva piede, le vecchie istituzioni che avevano dato voce ai cittadini nell’età non proprio dell’oro – i sindacati organizzati per settore, le organizzazioni civiche locali, gli “statisti aziendali” che rendevano conto a tutti gli stakeholder e le agenzie regolatrici – sono state spazzate via dal ciclone supercapitalista. Invece di salvaguardare la democrazia dagli inquietanti effetti collaterali del supercapitalismo, molti riformistihannoconcentratoi loro sforzi nel modificare il comportamento di specifiche aziende,lodandoleperlaloro sensibilità sociale o criticandole per la loro irresponsabilità sociale. Questo, però, ha influito marginalmente sulla condotta delleaziendeingenerale.Più di ogni altra cosa, ha distolto l’attenzione della gente dalla necessità di riformare la democrazia. 1 Le idee su come alleviare gli effetti più negativi del supercapitalismo non mancano, e ne ho suggerito alcune alla fine del terzo capitolo. Magari non siete d’accordo, ma non siamo in grado di affrontare un dibattito serio perché le politiche pubbliche sono diventate sempre più ininfluenti in politica. Nuove idee vengono tirate fuori a ogni tornata elettorale, ma non hanno pressoché nessun impatto sulle decisioni che vengono prese a elezioni concluse.Illavoroquotidiano del Congresso, dei comitati e dei dipartimenti e delle agenzie del Governo è stato preso in ostaggio dalle corporation alla ricerca di un vantaggio competitivo. Gran parte delle nuove leggi e norme vengono promulgate sulla spinta di qualche azienda o segmento d’industria; i conflitti e i compromessi hanno quasi sempre come protagoniste le aziende o le industrie. Se viene ventilata un’iniziativa di Governo che potrebbe alzareicostidivarieaziende o industrie, queste si alleano persconfiggerla. Senza una democrazia chesiaingradodimetterlein pratica,leideesu“quelloche andrebbe fatto” non hanno alcunvalore.Ladomandapiù pressante, dunque, è come tornare a far funzionare la democrazia. Anche a questo sono state date molte risposte: c’è chihasuggeritodifinanziare le campagne elettorali per le cariche più importanti col denaro pubblico, di imporre agli enti televisivi e radiofonici che utilizzano le frequenze pubbliche di ospitare gratuitamente gli annunci elettorali dei candidati alle elezioni generali, di proibire ai lobbisti di raccogliere eccessive somme di denaro dailoroclientidadestinareai politici, di eliminare i regali fatti dalle corporation o dai lorodirigentiaglistudilegali, di proibire i viaggi-regalo a politici e assistenti e le feste “in onore” di politici organizzate coi contributi delle corporation, di proibire agli ex politici e funzionari pubblici di fare attività di lobbying per almeno cinque annidopoaverlasciatoilloro posto, di pretendere che i lobbisti rivelino per intero i costi delle loro attività e di esigere che tutti gli esperti chiamati a testimoniare nelle udienze legislative e regolatrici dichiarino i rapportieconomicichehanno con le parti interessate. Ognuna di queste riforme dovrebbe essere monitorata e fattarispettaredaunispettore generale indipendente col poterediindagaregliabusie imporre sanzioni severe ai trasgressori321. Sarebbero tutte misure positive. Ma la questione di come applicarle non fa che sollevare un interrogativo ancora più profondo. Non sarà possibile ottenere alcuna riforma finché i politici saranno dipendenti da quelle stesse corporation il cui potere si vuole limitare. Il sistema non può essere riparato dall’interno. La rivelazione occasionale di un qualche episodio di esplicita corruzione genera sufficiente sdegnonellagentedaindurre i politici a impegnarsi solennementeperriformareil sistema. Ma queste promesse vengono dimenticate non appena la rabbia si assopisce elamemoriasiannebbia. A ogni modo, il problemaprincipalenonsono le tangenti e le mazzette nel senso stretto del termine, che non sono così diffuse. Ma è l’intrusione del supercapitalismo in ogni aspetto della democrazia: il potere dei lobbisti, degli avvocati e degli esperti di relazioni pubbliche al soldo delle corporation sull’intero processo politico; il denaro aziendale che inquina l’attività quotidiana di Governo, soffocando la voce deicittadini.Nonsolodevono essere drasticamente ridotti i contributi privati alle campagne elettorali, ma anche i soldi spesi dalle corporation in attività di lobbying e di pubbliche relazioni finalizzate a influenzare l’esito delle decisionipolitiche. Una speranza di salvaguardare la democrazia dal supercapitalismo risiede nel fatto che gran parte delle corporation sarebbero ben felici di non spendere questi soldi se avessero la certezza che anche la concorrenza si astenesse dal farlo. In questo senso, le aziende potrebbero essere disposte a una tregua nella corsa politica agli armamenti. Qualche anno fa, prima che il McCainFeingold Act mettesse un frenotemporaneoalflussodi soft money (finanziamenti indiretti ai partiti politici per pubblicità a carattere tematico, che spesso si trasformano in attacchi abbastanza espliciti agli altri candidati), centinaia di dirigenti aziendali riuniti nel Committee for Economic Development – tra cui quelli della General Motors, della Xerox, della Merck e della Sara Lee Corporation – diederoilloroappoggioauna riformapiùdecisadelsistema di finanziamento delle campagne elettorali. Il presidente del comitato, Charles Kolb, riassunse così la posizione del gruppo: «Queste persone stanno dicendo: siamo stanchi di doverversaresoldiadestrae amanca.Lapoliticadovrebbe esserequalcosachevaoltrela semplice riscossione di denaro dalle corporation»322. È anche grazie a loro se il McCain-Feingold Act è passato. Èpossibilecheinfuturo le corporation trovino ulterioriaccordiperlimitarei finanziamenti alla politica, magari proibendo ai lobbisti di sollecitare donazioni ingentidapartedelleaziende clienti e abolendo i regali ai politicidapartedelleaziende stesseedeilorodirigenti.Nel 2002, l’amministratore delegato della BP, Lord Browne, annunciò che l’azienda aveva deciso di porre fine a tutti i contributi ai candidati politici in giro per il mondo. «Dobbiamo essere molto cauti nei nostri rapporti con il processo politico», disse, «non perché non sia importante, ma al contrarioperchélalegittimità ditaleprocessoècrucialesia per la società che per un’azienda come la nostra cheoperaall’internodiquella società»323.Masaràmoltopiù difficile convincere le grandi aziende a non inondare più Washington e le altre città capitali di lobbisti, avvocati ed esperti di pubbliche relazioni.Tant’èchelaBPsi è guardata bene dal mettere un termine ai suoi rapporti conquestepersone. Perché sia efficace, qualsiasi tregua deve essere sostenuta da una legge. Una tregua volontaria non potrebbe garantirsi l’appoggio di ogni singola grande azienda. I potenziali benefici offerti dalla possibilità di stipulare liberamente vantaggiosi accordi politici sarebbero troppo appetitosi per rinunciarvi. Basterebbe questo per vanificare qualsiasi sforzo collettivo; finché alcune grandi aziende continueranno a riversare denaro a Washington e nelle altre capitali, le altre si sentirannoobbligateafarelo stesso. Ma l’ostacolo principale aqualsiasiprogettodiriforma risiede nella dura realtà del fatto che gran parte dei politici e dei lobbisti vuole continuareaestorceresoldial settore privato. È così che i politici si tengono aggrappati al potere e i lobbisti ai loro soldi. 2 Una vera riforma del sistema avverrà solamente quando e se lo vorrà la maggioranza dei cittadini. Affinché questo avvenga, la gente deve comprendere molti aspetti dell’attuale sistema che gli vengono tenutinascosti.Ancheimedia devono comprenderli ed essereprontiacomunicarlial momento giusto. Le mezze verità, i miti e le distorsioni che ora oscurano il confine tra il settore privato e quello pubblicorendonoimpossibile per i cittadini capire dove finisce l’uno e inizia l’altro. Questa confusione è un ostacolo al tentativo di salvare la democrazia dal supercapitalismo. Una guida pratica al supercapitalismo dovrebbe iniziare con un avvertimento ai cittadini a guardarsi bene da quei politici che accusano le corporation e i loro dirigenti per le negative conseguenze sociali del supercapitalismo, che siano i salari e i benefici bassi o in diminuzione, la disoccupazione, le disuguaglianze economiche, il riscaldamento globale, i prodotti osceni, o qualsiasi altra cosa di cui comunementecisilamenta.I dirigenti aziendali hanno la responsabilità di rispettare la legge e dovrebbe rispondere dieventualiillegalità.Manon cisipuòenoncisidovrebbe aspettare da loro niente di più. Il loro compito è quello di soddisfare i consumatori e cosìfacendofararricchiregli investitori. Se non riescono a farloallapari,senonmeglio, della concorrenza, saranno punitidaiconsumatoriedagli investitori che spenderanno i lorosoldialtrove. I dirigenti delle corporation non sono coinvolti in qualche cospirazione diabolica. Le conseguenze sociali negative delle loro azioni sono la logica conseguenza dell’aumento della concorrenza per dare ai consumatori e agli investitori affari sempre migliori. Questo può esigere il trasferimento di lavoro all’esterno, dove la manodoperaèpiùeconomica, il rimpiazzo di persone con computer e software, o l’opposizione ai sindacati. Può avvenire a spese dei rivenditori indipendenti, che non possono offrire prezzi bassi neanche lontanamente paragonabili a quelli delle grandi catene, o di intere comunità, che perdono il principale datore di lavoro, costretto a esternalizzare il lavoroall’esteroperrimanere competitivo. Può necessitare del talento di celebri amministratoridelegatipagati come stelle del baseball. O può avvenire a spese dell’atmosfera terrestre. Può anche dipendere dal riempire l’etere di prodotti violenti e adaltotassoerotico,oinostri stomaci di cibo spazzatura. Può comportare l’abuso dei diritti umani all’estero o lo sfruttamento del lavoro minorile nel Sudest asiatico. Finchétuttoquestoèlegale,e finché sono contenti i consumatori e gli investitori, le corporation e i loro dirigenti continueranno a praticarlo. Questo non lo rende giusto, ma l’unico modo per renderlo sbagliato – l’unico modo per impedire alle aziende di offrire ai consumatori e agli investitori affari che abbiano un tale costo sociale – è renderlo illegale. Non ha senso criticare le aziende solo perché seguono le regole del gioco; se vogliamo che giochino diversamente, dobbiamo cambiare le regole delgioco. Ne segue che la gente deve guardarsi anche da quei dirigenticheaffermanochela loro azienda sta agendo in nome del “bene comune” o del suo impegno per la “responsabilità sociale”. Alle aziende non importa un tubo del bene comune. Essere buone non è il loro compito. Possonofaredellecosebuone per migliorare il loro brand image,alfinediaumentarele vendite e i profitti. Possono fare scelte redditizie che il caso vuole abbiano effetti collaterali positivi per la società.Manonfarannodelle cose buone solo perché sono tali. Allo stesso modo, quandoidirigentiaziendalio i lobbisti e gli avvocati che agiscono per conto loro combattono una battaglia politica o legale, non credete a una sola parola di quello chediconoiloroportavoceo i loro “esperti” quando sostengono che lo fanno in nome dell’interesse pubblico. Può darsi che l’esito benefici veramente l’interesse pubblico, ma le aziende non sono motivate a fare niente solo perché è nell’interesse pubblico. Il loro unico movente legittimo, lo ripeto, è quello di soddisfare i consumatori al fine di generare profitti che soddisfino gli investitori. L’unica ragione per cui sostengonounacertabattaglia politica o legale è far avanzareoproteggerelaloro posizione competitiva. L’unica ragione per cui sostengono di farlo in nome dell’interesse pubblico è ottenere l’appoggio dei cittadini e fare politicamente levasudiesso. Spero risulti chiaro che dovreste anche guardarvi da quei politici che sostengono chelagentepuòaffidarsialla cooperazione“volontaria”del settore privato per raggiungerequalcheobiettivo di carattere pubblico. Le corporation e i loro dirigenti non hanno alcuna licenza di utilizzare i soldi degli azionisti per opere di interesse pubblico. Possono anche decidere di donare “volontariamente” dei soldi a una causa meritevole, o di limitare le emissioni inquinanti, o di creare nuovi posti di lavoro in un certo luogo, ma solo se questo aumenta i profitti, garantisce unritornod’immaginetaleda aumentareiprofitti,ometteil frenoaqualchenuovaleggeo norma che costerebbe loro ancoradipiù.Manegliultimi casi, queste buone azioni “volontarie”sarannoconogni probabilità limitate e temporanee, solo finché sussistano le condizioni che le hanno rese necessarie. In queste circostanze, dovreste sempre chiedervi perché, se l’obiettivo di carattere pubblico è così meritevole, i politici non si sforzano di disporre una legge che costringa il settore privato a raggiungerlo. Siate altrettanto scettici riguardo a quei politici che criticano una corporation anche quando questa non ha infranto alcuna legge o l’accusano di non prendere un’iniziativaquandononviè una legge che la obbliga a farlo. Informatevi se quel politico si impegna in prima persona per cambiare le regole del gioco affinché questaetuttelealtreaziende siano costrette a cambiare il lorocomportamentoinbasea una legge. Se il politico in questionenonfanulladitutto ciò, potete stare certi che le sue parole di condanna servono solo a mascherare il suorifiutodifarequalcosadi concreto per risolvere il problema. Guardatevi anche dagli sforzi concertati di attivisti e riformisti – nella forma di campagne di opinione pubblica, boicottaggi e movimenti civici – per costringere una singola azienda a comportarsi in modo socialmente più responsabile. Informatevi sullospecificoobiettivodella campagnainquestione.Sevi trovate d’accordo con esso, chiedetevisenonsarebbepiù utile cambiare la legge o la normativainmateriaaffinché tutteleaziendesianocostrette a modificare il loro comportamento alla stessa maniera. A volte, come abbiamo visto, i riformisti prendono di mira delle aziende specifiche al fine di coinvolgere la gente in una battagliapolitica;altrevoltei sindacati concentrano i loro sforzi su una singola azienda al fine di costringerla a concedere ai suoi dipendenti unarappresentanzasindacale. Queste strategie riformiste possono anche rivelarsi efficaci. Ma qualsiasi attacco ben orchestrato nei confronti di aziende specifiche per costringerle a modificare il loro operato in una misura taledaprovocareunaumento dei costi o una diminuzione dei profitti dovrebbe essere guardatoconsospetto.Anche se socialmente utile, l’obiettivo perseguito rischia di apparire ingiustificato alla lucediunaumentodeicostio di una diminuzione dei profitti. E comunque, una volta che un’azienda è stata costrettaadaccettarecostipiù alti e ritorni più bassi, le aziende concorrenti il cui comportamento è rimasto quello di sempre e che godono di costi più bassi e ritorni più alti potrebbero prendere il suo posto, vanificandoognisforzo. In generale, la sede più adatta per discutere delle responsabilità delle aziende nei confronti della gente è il processo democratico, non i consigli d’amministrazione. I riformisti dovrebbero concentrare i loro sforzi per cambiare le leggi e le norme vigenti e mobilitare la gente verso questo obiettivo. Se la campagna contro Wal-Mart, peresempio,hal’obiettivodi costringere l’azienda ad accettare i sindacati, questo dovrebbe essere detto chiaramente.Sehal’obiettivo di sensibilizzare la gente nei confronti di modifiche della legge sul lavoro che renderebbero più facile per i dipendenti a basso reddito formare dei sindacati, ci si dovrebbe concentrare direttamente su questo. La battaglia legislativa che ne seguirebbe rafforzerebbe la democrazia piuttosto che indebolirla. La cosa più utile che possano fare i riformisti è ridurre gli effetti deleteri del denaro aziendale sulla politica, e dare più voce ai cittadini.Nessunaltrariforma è altrettanto importante. La cosa migliore che possano fare quei dirigenti aziendali che siano veramente animati da buone intenzioni è tenere la loro azienda fuori dall’arena politica. Se la responsabilità sociale ha qualche senso, essa consiste proprio nell’astenersi dal corromperelademocrazia. 3 Un’ultima verità, la più importanteditutte,chemerita diesseresottolineata,èchele aziende non sono persone. Sono finzioni giuridiche, nient’altrochepilediaccordi contrattuali. Sì, esistono “culture aziendali”, stili e norme dominanti come in qualsiasi altro gruppo. Ma la grande azienda in sé non possiede una dimensione materiale. Questo è particolarmente vero nel supercapitalismo, ora che le aziendesistannorapidamente trasformando in catene di fornitura globali. Le corporation non dovrebbero avere maggiore libertà di parola, diritti giuridici o rappresentazione politica di qualsiasi altro pezzo di carta su cui sono scritti dei contratti. I politici o i giudici che vogliono concedere tali diritti alle aziende sono in malafede, o non comprendono gli effetti del supercapitalismo. Certi diritti dovrebbero essere una prerogativa esclusiva delle persone. Quando alle aziende vengono attribuite qualità antropomorfiche – quando, per esempio, vengono definite dai media come nobiliovolgari,patriotticheo traditrici, rispettose della legge o criminali, o con qualsiasi altro attributo umano – la gente è portata a credere che non siano così diverse da noi. Anche la convezione linguistica, negli Stati Uniti e altrove, di associare i verbi direttamente alle aziende – come «Microsoft sta tentando di…»,o«Wal-Martvuole…» – rafforza inconsciamente l’idea che queste entità abbiano una volontà propria (ibritannici,conlalorotipica impeccabilità,usanoilplurale per descrivere l’operato delle aziende: «[i dirigenti della] Rolls-Royce stanno considerando»,ecosìvia). Questa illusione antropomorfa porta a riconoscerealleaziendediritti e doveri che appartengono esclusivamente alle persone. Questo rende sfumato il confine tra capitalismo e democrazia e conduce a una serie di politiche pubbliche sbagliate. Prendete, per esempio, l’imposta sul reddito aziendale. La gente è erroneamente convinta che le corporation la paghino e quindiabbianodirittoaessere rappresentate nel processo democratico, secondo il vecchio adagio “nessuna tassazione senza rappresentanza”. Ma solo le persone pagano le tasse. In realtà, l’imposta sul reddito aziendale viene pagata, indirettamente, dai consumatori,dagliazionistie dai dipendenti dell’azienda. Vari studi hanno tentato di determinare esattamente in qualemisuralatassagravisui tregruppi,maladistribuzione rimane tuttora poco chiara. Ciò che è chiaro è che l’imposta sul reddito aziendale è inefficiente e ingiusta. È inefficiente perché le corporation possono detrarre dallaloroimpostasulreddito aziendale gli interessi pagati suldebitomanonidividendi. Questo spinge le aziende ad affidarsi troppo al debito di finanziamento per quanto riguarda il valore azionario e atrattenereiprofittipiuttosto che ridistribuirli sotto forma didividendi.Ilrisultato,negli ultimianni,èstatochemolte corporation hanno accumulatograndiquantitàdi denaro che poi hanno utilizzato per comprare altre aziende o ricomprarsi le loro azioni. I mercati di capitali sarebberomoltopiùefficienti se i profitti accumulati fossero ridistribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi. Le decisioni di milioni di azionisti in merito a come e quando reinvestire questi fondi sarebbero, con ogni probabilità, più lungimiranti delle decisioni prese da un ristretto numero didirigentiaziendali.Abolire l’imposta sul reddito aziendale,dunque,aiuterebbe i mercati di capitali a funzionaremeglio. L’imposta sul reddito aziendale, inoltre, è ingiusta perchégliutilinondistribuiti degliinvestitoridiredditopiù basso sono tassati a un’aliquota che spesso è più alta di quella sulle altre entrate, mentre gli utili degli azionisti di reddito più alto sonotassatiaun’aliquotache spesso è più bassa di quella che pagano sul resto del reddito.Comeabbiamovisto, nel supercapitalismo gli investitori hanno molto più poterediqualchedecenniofa. Le loro decisioni su dove investire i loro soldi per massimizzare i profitti sono simili a qualsiasi altra decisione che prendono su come incrementare i loro guadagni. A rigor di logica, nonvièalcunmotivopercui i loro utili “aziendali” dovrebbero essere tassati diversamente dal resto delle loro entrate. Abolire l’imposta sul reddito aziendale e trattare tutte le entrateaziendalicomeentrate personali degli azionisti porrebbe fine a questa anomalia. Un’idea avanzata dal professoreLesterThurowdel MIT è di eliminare l’imposta sul reddito aziendale e far pagareagliazionistiperconto loro le tasse sugli introiti generati dalla corporation, che gli utili vengano ridistribuiti o meno. Questo costringerebbe la corporation a rivelarsi per quello che è realmente: una partnership di azionisti. Tutti gli utili aziendali sarebbero trattati come entrate personali. Questo non creerebbe grandi problemi agli azionisti. Man mano che il reddito “aziendale” si accumula nel corso dell’anno, l’azienda tratterrebbeletassedovutein base allo scaglione dell’azionista, come fa il datoredilavorodell’azionista col suo salario. Alla fine dell’anno, gli azionisti riceverebbero dall’impresa l’equivalente di un modulo delle tasse W-2324 che gli indica il reddito che deve essere aggiunto al resto delle loro entrate e a quanto ammonta l’imposta sul reddito trattenuta. In questo modo, gli azionisti pagherebbero automaticamente le tasse sui “loro” utili aziendali a un’aliquota appropriata alle loroentrate325. Questo risolverebbe entrambi i problemi. Le corporation non sarebbero incoraggiate a trattenere gli utili e le tasse sarebbero più basse per gli azionisti di reddito più basso e più alte pergliazionistidiredditopiù alto326. Tra le altre cose, questa riforma servirebbe anche a sfatare il mito secondo cui le corporation pagano le tasse e dunque meritano una rappresentanza politica. Ripeto, le aziende non dovrebbero avere né dirittinéresponsabilitàinuna democrazia. Queste cose spettano esclusivamente alle persone. Altrettanto ambigui e ingiusti sono i casi in cui le aziende vengono ritenute penalmente responsabili per i misfatti dei loro dirigenti o degli altri dipendenti. La responsabilità penale delle corporation non solo rinforza l’illusione antropomorfa – dopotutto, i criminali godono di diritti pressoché in tutti i sistemi legali democratici – mafinisceperarrecaredanno a un gran numero di innocenti. Prendete il caso della ArthurAndersen,l’exsocietà contabile condannata per ostruzione della giustizia a causa della distruzione, per mano di alcuni partner dell’azienda, di documenti che testimoniavano le certificazioni di bilancio che questi avevano redatto per la Enron nel momento in cui il gigante dell’energia stava implodendo, poco prima che la Securities and Exchange Commission desse il via all’indagine. Quando la Andersen fu condannata, nel 2002, i suoi clienti abbandonarono l’azienda e assunsero altre società contabili. Il numero dei dipendentisceseda28.000ad appena 200, che si occuparono delle pratiche di chiusura dell’azienda. La stragrande maggioranza dei dipendenti della Andersen nonavevanullaachevedere con la Enron ma finì comunque per perdere il proprio posto di lavoro. Alcuni senior partner si spostaronoversoaltresocietà contabili o di consulenza. Joseph Berardino, l’amministratore delegato della Andersen al tempo, ottenne un posto profumatamente pagato in un fondo private equity. Altri senior partner formarono una nuova società contabile. Moltidipendentidilivellopiù basso, però, non furono così fortunati. Tre anni dopo la condanna,ungrannumerodi questi era ancora senza un lavoro, stando a un associato dellaAndersenchegestivaun sito internet per gli ex dipendenti dell’azienda. Inoltre, i partner e i dipendenti in pensione persero una porzione sostanziale dei loro benefici pensionistici. La Corte Suprema infine revocò la condanna, ma a quel punto era troppo tardi. L’azienda non esisteva più. Un ex dipendente ha scritto sul sito web: «Vuol dire che possiamo lanciare una class action contro il dipartimento della Giustizia per aver rovinatelenostrevite?»327. Le aziende non possono agire con intento criminale perché, a differenza degli umani, non possiedono una coscienza. Il nome Arthur Andersen poteva richiamare quello di una persona, ma la societàcontabilenoneraaltro cheunafinzionegiuridica.La CorteSupremaharevocatola decisionedeltribunaleperché il giudice di prima istanza non aveva comunicato alla giuria che questa doveva trovare le prove che la Andersen era cosciente di compiere un illecito. Ma come può una giuria, in qualsiasi circostanza, dimostrare che un’azienda “era cosciente” di qualcosa? Un’aziendanonèingradodi distinguere il bene dal male; un’azienda non sa un bel niente. E non agisce di sua spontanea volontà. Solo le persone sanno distinguere il bene dal male e solo loro scelgono di agire in una manieraonell’altra328.Questo è uno dei fondamenti della democrazia. D’altra parte, la responsabilità civile – laddove un’azienda è multata acausadelleazioniillegalidi alcuni dirigenti o dipendenti che profittano da essa – è perfettamente coerente con l’idea di responsabilità personale. Non vi è motivo percuigliazionistioglialtri dipendentidovrebberogodere dei frutti di azioni illegali, compresi quelli di cui non sono a conoscenza. Ma la multa deve essere proporzionale a ciò che è stato ottenuto illegalmente. Pene economiche che superano l’ammontare ottenutoillegalmentealpunto da mettere a rischio l’esistenza dell’azienda assomigliano più a pene criminali, e non dovrebbero esserepermesse. Allo stesso modo, non ha senso criticare o penalizzare quelle aziende americane che esternalizzano il lavoro all’estero o lasciano i loro profitti in altri paesi. Così come non ha senso che il Governo statunitense favoriscaleaziendeconsede negli Stati Uniti rispetto a quelle con sede altrove, secondo l’idea che sarebbero in qualche modo più patriottiche delle altre. Le aziendenonsonopatriottiche. Credere che debbano esserlo –oanchesolochepotrebbero esserlo,inbaseallalogicadel supercapitalismo–servesolo ad antropomorfizzare ulteriormente le corporation, e a sfumare i confini tra i contratti legali che costituiscono un’azienda e i diritti e le responsabilità di cui solo le persone fisiche possono essere titolari. Sotto il supercapitalismo, tutte le multinazionali, indifferentemente da dove abbianolasede,assomigliano sempre più l’una all’altra perché competono tra di loro perattirareiconsumatoriegli investitori di tutto il mondo. Tutte si stanno trasformando in catene di fornitura globali, sempre alla ricerca dell’offerta migliore in qualsiasipartedelmondo. I dirigenti che esternalizzano il lavoro all’estero non sono dei traditori della patria. Non possono sacrificare dei vantaggi per i loro clienti e investitori in nome di un presunto dovere patriottico dell’azienda di assumere più americani e in generale di comportarsi come un cittadino responsabile. Se lo facessero, i clienti e gli investitori abbandonerebbero la loro azienda a favore di altre che offrano prodotti e servizipiùconvenientigrazie all’esternalizzazione del lavoro all’estero. Nel 2006, come abbiamo visto, le aziende USA ricoprivano quasi la metà delle importazioni americane. Il principale importatore di lavatriciprodotteinGermania è la Whirpool. La forza lavoroamericanadell’azienda è rimasta invariata dal 1990, mentre la sua forza lavoro all’estero è triplicata. Due terzi dei suoi utili, però, vengono ancora dai consumatori americani329. Anche Wal-Mart si sta trasformando in un’azienda globale, crescendo più rapidamente all’estero che negliStatiUniti. Perlostessomotivo,non hamoltosensolimitarealcuni contratti militari alle cosiddetteaziendeamericane. Il motivo ufficiale per cui questo viene fatto è che le aziende americane effettuerebbero la ricerca, il design ingegneristico e la produzione negli Stati Uniti, trattenendo informazioni cruciali per la sicurezza del paese all’interno dei confini nazionali. Ma, in realtà, sempre più le aziende americane legate alla Difesa si appoggiano alle stesse catene di fornitura globali delle altre imprese. Una buona parte del software militare è prodotto all’estero. Nel 2006, il 90% di tutti i circuiti stampati erano prodotti all’estero. Se gli appaltatori della Difesa dovesseroprodurretuttonegli Stati Uniti, i costi della Difesa sarebbero ancora più astronomici di quanto siano oggi330. Altrettanto discutibile è l’idea di limitare certe responsabilità pubbliche alle aziende americane. Crea confusione tra chi possiede un’azienda e chi effettivamente vi lavora, e presupponechelanazionalità dei dirigenti o degli altri dipendenti di un’azienda globale influisca in qualche maniera sul suo operato. Nel 2006, il Congresso diede ragioneaquestalogicafallace quando intervenne per impedire alla Dubai Ports World, di proprietà dell’emiro del Dubai, di assumere la gestione di sei porti americani, ritenendola un pericolo per la sicurezza nazionale. Ma a quel tempo circa l’80% dei porti americani era già gestito da aziendestraniere,tracuiisei portiinquestione.Granparte di queste aziende assumeva personale americano per la manutenzione quotidiana dei porti per via della loro esperienza. Il chief operating officer della Dubai Ports World era americano, così come il suo ex amministratore delegato e i dirigentiportualidell’azienda britannicachevolevavendere isuoiappaltiallaDubaiPorts World. E a ogni modo, l’attività ordinaria nel porto sarebbe comunque stata gestita da scaricatori, impiegatietecniciamericani. E la sicurezza del porto sarebbe rimasta nelle mani della guardia costiera, della dogana,dellapoliziaportuale e del governo americani, che decidono e applicano le regole331. Sovvenzionarelaricerca delle aziende americane è altrettanto privo di logica. Non rende gli Stati Uniti più competitivi,perchéleaziende americanestannoconducendo R&S in tutto il mondo. Sovvenzioni di questo tipo nonfannoaltrochefinanziare ricerche che sarebbero state condotte comunque, permettendo alle corporation di allocare ancora più denaro alla ricerca all’estero. La Microsoft ha recentemente annunciatouninvestimentodi 1,7 miliardi di dollari in India,lametàdeiqualiandrà al suo centro di R&S a Hyderabad, nel sud dell’India. All’inizio del 2006, la IBM ha annunciato l’imminente apertura di un laboratorio per lo sviluppo del software a Bangalore, in India. La Dow Chemical sta costruendo un centro di ricerca a Shanghai che impiegherà più di 600 ingegneri, e un grande stabilimento in India. In un sondaggio effettuato dall’Unione delle Accademie Nazionali americane, il 38% delleoltre200multinazionali americane ed europee intervistate hanno dichiarato di avere intenzione di spostare una percentuale crescentedelloroR&SinCina e in India, e di dover diminuire quello negli Stati UnitieinEuropa332. L’obiettivo del governo statunitense dovrebbe essere quello di rendere più competitivi gli americani e non le aziende americane. È una distinzione importante, compresaanchedagranparte dei dirigenti aziendali americani. Le grandi aziende sonoentitàglobali;lepersone no. «La verità è che, come azienda, abbiamo molte opzioni», ha detto William Banholzer, chief technology officer della Dow. «Personalmente, però, quello che mi preoccupa è che una forza lavoro innovativa nei campi della scienza e dell’ingegneria è cruciale per l’economia. Se perdiamo quella, a lungo andare gli StatiUnitinerisentiranno»333. Il governo federale dovrebbe sovvenzionare l’R&S di base di qualsiasi azienda, indifferentemente da dove questa ha la sede, purché assuma lavoratori americani, sviluppando le conoscenze sul campo degli ingegneri e degliscienziatidelpaese. Non ha alcun senso trattare le aziende come “persone” col diritto di contestare in un tribunale leggi e norme dello Stato. Quel diritto spetta esclusivamente ai cittadini reali. Gli investitori, i consumatori e i dipendenti posseggono già il diritto di rivolgersiauntribunale–sia come individui che come membri di una class action – per contestare leggi e norme che ritengono arrechino un dannoeconomico.Nonhanno bisogno di essere rappresentati da una corporation. Inoltre, dal momento che quasi tutte le grandicorporationdipendono dal capitale di investitori presenti in tutto il mondo, legittimareleaziendeacitare in giudizio il Governo conferisce nei fatti ad alcuni investitori non-americani il dirittoditentaredirovesciare leggienormeamericane.Chi non è un cittadino americano non dovrebbe godere di tale diritto,amenochelaleggeo la norma in questione non violi qualche trattato internazionale. Altrimenti, le decisioni prese democraticamente rischiano di essere rovesciate da persone che non sono neanchecittadiniamericani. Ed è proprio quello che succede ogniqualvolta un’azienda decide di intraprendere un’azione legale.Nelgennaiodel2005, nove multinazionali dell’industria automobilistica fecero causa alla California per bloccare la nuova legge dello Stato sulle “macchine pulite”,cheimponediridurre del 30% le emissioni delle macchine vendute in California entro il 2016, adducendo che la legge rappresentavaunalimitazione incostituzionalealcommercio interstatale. La maggioranza degliazionistidialmenosette delleaziendeeracompostada cittadini non-americani, ma nonostantequestoiltribunale ha concesso loro il diritto di contestare, e potenzialmente rovesciare,unaleggeemanata dai cittadini della California. Non ha senso. Tale diritto dovrebbe essere accordato solo ai cittadini americani, e permettendosoloallepersone di iniziare un procedimento legale, e non alle aziende, si otterrebbe esattamente questo. Qualsiasi cittadino o gruppo di cittadini americani che ritiene di essere danneggiato dalla nuova legge della California – tra cui gli investitori americani della Toyota – deve avere il diritto di contestarla, ma non gli investitori non americani dellaGeneralMotors. Infine, il punto più importante di tutti è che, dal momentochesololepersone possono essere cittadini, solo a loro dovrebbe essere concesso il diritto di partecipare al processo decisionale democratico. I consumatori, gli investitori, i dirigenti e tutti gli altri dipendenti hanno il diritto di difendere i loro interessi in democrazia. Ma come concluseloscienziatopolitico di Yale, Charles Lindblom, molti anni fa, non è né etico né logico concedere alle corporation una voce in capitolo nel processo decisionale334. A lungo i lobbisti antisindacalihannospintoper l’approvazione di quelle che chiamano “leggi per la protezione della busta paga”, ufficialmente finalizzate a proteggere i membri del sindacato dall’obbligo di sostenere indirettamente, per mezzo delle loro quote sindacali, attività politiche con cui non si trovano d’accordo. In base a queste leggi – già in vigore in vari stati – un sindacato non può investire denaro in attività politiche, tra cui il lobbying, se queste non sono state espressamente approvate dai membri del sindacato. La cosa più ovvia sarebbe adottare lo stesso principio per difendere gli azionisti dall’obbligo di sostenere indirettamente,permezzodei loro investimenti, attività politiche con cui non si trovano d’accordo. Le “leggi per la protezione degli azionisti”335 renderebbero necessaria l’approvazione degli azionisti per qualsiasi attivitàpoliticadapartedella corporation. Se un’azienda decide di investire, diciamo, 100.000 dollari in attività politichenelcorsodiunanno – per attività di lobbying, contributi elettorali, regali e feste in onore dei politici di turno – gli azionisti che non desiderano che il loro denaro venga utilizzato a tale scopo riceverebbero degli utili speciali o delle azioni in più in base alla loro quota pro rata della spesa. I fondi comuni e i fondi pensione dovrebbero rendere i loro azionisti consapevoli di tali attività politiche, e cercare il loro accordo. Queste attività, dunque, sarebbero finanziate dagli azionisti che decidono di spendere per esse una porzione dei profitti dell’azienda. Ancheseaccettiamoche le attività politiche delle corporationriflettonolescelte del consumatore e dell’investitore che sono in noi, il cittadino che è in noi nonhaneancheminimamente lo stesso potere politico. Un’altramanieradiovviarea questo squilibrio potrebbero essere quella di offrire ai contribuenti un credito di imposta, diciamo, di 1.000 dollari l’anno, che potremmo destinare a tutte quelle organizzazioni che si battono persostenereinostrivaloriin quanto cittadini, come quelli che lottano per un aumento del minimo sindacale, per un ambientepiùpulitooperuna riduzione dei contenuti violentiesessualineiprodotti video e musicali. L’organizzazione dovrebbe essere no-profit, ma la scelta del gruppo spetterebbe a noi. Questo aiuterebbe ad amplificare la voce dei cittadiniinpolitica336. Questi sono solo alcuni esempi di come potremmo assicurarci che i diritti e le responsabilità del fatto di essere cittadini di una democrazia siano garantiti solo alle persone. Insieme ad altre misure – l’abolizione dell’imposta sul reddito aziendale, l’eliminazione della responsabilità penale dellecorporation,lafinedella retoricasullanecessitàchele aziende siano patriottiche, la cancellazionedeldirittodelle corporation di contestare in un tribunale le leggi dello Stato – offrono una visione realistica e coerente della corporation come finzione giuridica e delle persone comecittadini.Inquestolibro hopresoprincipalmentecome modello di riferimento gli Stati Uniti, ma la stessa logica vale per qualsiasi democrazia. 4 Il trionfo del supercapitalismo ha portato, indirettamente e involontariamente, a un declinodellademocrazia.Ma questo non è inevitabile. Possiamo avere una democrazia vibrante e al contempo un capitalismo vibrante. Perché sia così, le due sfere devono rimanere nettamente distinte. L’obiettivo del capitalismo è servire al meglio i consumatori e gli investitori. Lo scopo della democrazia è realizzare degli obiettivi che non possiamo conseguire individualmente. Quando le aziende sembrano prendere a cuorelaresponsabilitàsociale o utilizzano la politica per acquisire o conservare un vantaggio competitivo, gli argini delle due sfere si rompono. Siamo tutti consumatori emoltidinoisonoinvestitori, e in quanto tali cerchiamo di ottenere le migliori offerte possibili. È così che partecipiamo all’economia di mercato e godiamo dei frutti delsupercapitalismo.Maquei benefici personali hanno quasi sempre un costo sociale. Siamo anche dei cittadinichehannoildirittoe la responsabilità di partecipare al processo democratico. Il potere di ridurre quei costi sociali, rendendo così il prezzo reale dei beni e dei servizi che acquistiamo il più basso possibile, è dunque nelle nostre mani. Ma possiamo farcela solo se ci assumiamo seriamente le nostre responsabilità in quanto cittadini,esalvaguardiamola nostra democrazia. Il primo passo, che spesso è il più difficile, è cominciare a vederelecoseperquelloche sono. 321 Ognuna di queste riforme sarebbe anche stata in linea col primo emendamento della Costituzione. Al momento di scrivere, la Corte suprema è nettamente divisa sul fatto se i finanziamenti alle campagne elettorali violino o meno il primo emendamento. First National Bank of Boston v. Bellotti, 435 U.S. 765 (1978) era una causa iniziata da un gruppo di grandi corporation interessate a spendere il loro denaro per pubblicizzare la loro posizione su questioni statali. La legge del Massachusetts vietava alle corporation di comprare spazi pubblicitari per il sostegno a cause politiche. La Corte Suprema sentenziò che la legge del Massachusetts violava ilprimoemendamento.Dodiciannipiù tardi, però, la Corte decretò la costituzionalità di una legge del Michigan che limitava i finanziamenti delle corporation alle campagne politiche. Vedi Austin vs Michigan State Chamber of Commerce 494 U.S. 652(1990). 322 Don Van Natta, Jr, “Defying Senator, Executives Press Donation RulesChange”,in«NewYorkTimes», 1settembre1999,p.A1. 323 John Browne, “Leading Toward a Better World? The Role of Multinational Corporations in Economic and Social Development of PoorCountries”,3aprile2002,discorso alla Harvard University, consultabileall’indirizzo <http://greenmoneyjournal.com/article.m newsletterid=2&articleid=177>. 324 Il modulo più diffuso negli Stati Uniti. 325 Lester Thurow, The Zero-Sum Society,NewYork,BasicBooks,1980 [La società a somma zero, trad. di Daniele Tirelli, Bologna, il Mulino, 1980]. 326 Questa integrazione tra reddito aziendale e individuale già avviene nei cosiddette S corporation che hanno meno di cento azionisti ed emettono solo un tipo di azioni. Per una grande società per azioni con diversi tipi di azioni ordinarie e privilegiate, e i cui azionisticambianonelcorsodell’anno; sarebbe certamente più complesso attribuiregliutiliaisingoliazionisti,ma i computer potrebbero risolvere il problema. Vedi John McNulty, “Corporate Income Tax Reform in the UnitedStates:ProposalsforIntegration oftheCorporateandIndividualTaxes”, in «International Tax and Business Lawyer»,xii,1994,pp.161-259. 327 Jonathan Glater - Alexei Barrionuevo, “Decision Rekindles Debate over Andersen Indictment”, in «New York Times» 1 giugno 2005, p. C1. 328Ipubbliciministerisostengonoche è difficile dimostrare la volontà dei singoli individui in circostanze che coinvolgono un gran numero di persone,comenellegrandicorporation. Questo non giustifica in alcun modo l’estensione della pena anche agli impiegati di basso livello, che sono quelli con le minori probabilità di essere stati coinvolti nell’attività criminalemaanchequellicherischiano di soffrire più di tutti nel caso la corporation dovesse restringersi o scomparire completamente a causa delleazionidipochi. 329 Louis Uchitelle, “Globalization: It’s Not Just Wages; for Whirlpool, High-Cost Germany Can Still Have Advantages”,in«NewYorkTimes»,17 giugno2005,p.C1. 330Vedi,peresempio,“IsOffshoringa National Security Threat?”, in «CIO Magazine»,13novembre2006,p.1. 331 Simon Romero - Heather Timmons, “A Ship Already Sailed: AmericaCededItsSeaportTerminalsto Foreigners Years Ago”, in «New York Times»,24febbraio2006,p.C1. 332 William Broad, “Advisory Panel Warns of an Erosion of the U.S. CompetitiveEdgeinScience”,in«New YorkTimes»,13ottobre2005,p.A16. 333 Steve Lohr, “Outsourcing Is Climbing the Skills Ladder”, in «New YorkTimes»,16febbraio2006,pp.C1, C17. 334 Charles Lindblom, Politics and Markets,NewYork,BasicBooks,1977 [Politica e mercato, trad. di Luciano Aleotti,Milano,Etas,1979]. 335 Questa idea mi fu suggerita da JohnWilson. 336 Questa idea mi fu suggerita da Stephen Sugarman, un professore di giurisprudenza della University of California,aBerkeley. Sommario Prefazione Prefazione.Ilparadosso 1. L’età non proprio dell’oro 2. La strada verso il supercapitalismo 3.Lamentedivisa 4. La crisi della democrazia 5.Lapoliticadeviata 6. Guida pratica al supercapitalismo TableofContents Leterre Colophon Frontespizio Prefazione Supercapitalismo Dedica Esergo Introduzione. Il paradosso 1.L’etànonproprio dell’oro 2.Lastradaversoil supercapitalismo 3.Lamentedivisa 4. La crisi della democrazia 5. La politica deviata 6. Guida pratica al supercapitalismo Sommario