Cecco Angiolieri

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Cecco Angiolieri
ITALIANO
CLASSE III
(prof.ssa Midolo)
LA SCUOLA COMICO – REALISTICA / CECCO ANGIOLIERI
LEGGENDO LE POESIE DI CECCO ANGIOLIERI L’IDEA CHE PRENDE FORMA È
QUELLA CHE LUI FOSSE UN UBRIACONE DEDITO ALLA BELLA VITA. IN REALTÁ LA
SUA FAMIGLIA ERA MOLTO AGIATA ED ANCHE MOLTO ACCULTURATA. LA VITA
DISSOLUTA CHE LUI RACCONTA NEI SUOI SONETTI IN REALTÁ È UNA FINZIONE
POETICA = SCUOLA COMICA. HA LASCIATO CIRCA 100 SONETTI.
SI FOSSI FOCO
S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi' madre.
Si fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.
IL SONETTO HA UN’IMPOSTAZIONE CLASSICA: 2 QUARTINE A RIMA INCROCIATA
ABBA ABBA E 2 TERZINE A RIMA ALTERNATA. QUESTO SONETTO, COSTRUITO
SULL’ANAFORA “si fosse” RIPETUTA AD OGNI STROFA, OFFRE L’IMMAGINE UN PÓ
CUPA E PESANTE DEL POETA TRANNE NELL’ULTIMA STROFA DOVE SI CAPISCE CHE
STA SCHERZANDO.
PARAFRASI:
Se io fossi fuoco brucerei il mondo
Se fossi vento lo tempesteri
Se fossi acqua lo annegherei
Se fossi Dio lo manderei in fondo agli ocenai
Se fossi papa mi divertirei
perché metterei nei guai tutti i cristiani,
se fossi imperatore, bene lo farei
a tutti taglierei la testa
se fossi morte andrei da mio padre
se fossi vita non starei con lui
la stessa cosa farei con mia madre
se fossi Cecco come io sono e sono sempre stato
mi prenderei tutte le donne giovani e belle:
le zoppe, le vecchie le lascerei agli altri.
TRE COSE SOLAMENTE M’ENNO IN GRADO
Tre cose solamente m'ènno in grado,
le quali posso non ben ben fornire,
cioè la donna, la taverna e 'l dado:
queste mi fanno 'l cuor lieto sentire.
Ma sì mme le convene usar di rado,
ché la mie borsa mi mett' al mentire;
e quando mi sovien, tutto mi sbrado,
ch'i' perdo per moneta 'l mie disire.
E dico: " Dato li sia d'una lancia! ",
ciò a mi' padre, che mmi tien sì magro,
che tornare' senza logro di Francia.
Ché fora a torli un dinar più agro,
la man di Pasqua che ssi dà la mancia,
che far pigliar la gru ad un bozzagro.
ANCHE QUESTO SONETTO HA UNA STRUTTURA CLASSICA. NOTIAMO DELLE
FIGURE RETORICHE: SINEDDOCHE (DONNA E DADO, perché indica una parte per il tutto,
cioè tutte le donne e il gioco), METONIMIA (TAVERNA, cioé bere vino – MIA BORSA cioè i
soldi).
PARAFRASI:
Solo tre cose mi piacciono
delle quali però non posso usufruire
le donne, il vino e il gioco
mi fanno sentire felice
mi è impossibile usarle spesso
perché i miei denari non me lo consentono
e quando ci penso tutto mi dispiaccio
che a causa dei soldi non posso soddisfare i miei desideri
e dico: “che mio padre venga colpito da una lancia”
che mi tiene così a stecchetto (mi dà pochi soldi)
che me ne tornerei dalla Francia pur senza mangiare1
che sarebbe più difficile fargli tirare fuori dei soldi
anche la mattina di Pasqua che di solito si dà la mancia
che far prendere a un bozzagro2 una gru.
1
Si riferisce alla parola LOGRO del testo che era l’impalcatura sulla cui somma veniva messo il cibo.
Dunque può avere due significati: o quello di invito o quello di cibo.
2
Il bozzagro è un uccello inadatto a catturare una gru, ecco perché lo usa come termine di paragone nei
confronti del padre che neanche il giorno di Pasqua tira fuori i soldi.