Maria Montessori e l`attivismo italiano

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Maria Montessori e l`attivismo italiano
Maria Montessori in un francobollo commemorativo
Maria
Montessori
e l’attivismo
italiano
Capitolo 4
1. Maria Montessori
2. Le sorelle Agazzi
3. Giuseppina Pizzigoni
4. Maria Boschetti Alberti
A
fine Ottocento si avverte in Italia la necessità di una riforma dell’educazione
della prima infanzia. Il metodo diffuso,
una contaminazione di quello di Ferrante Aporti e di quello di Fröbel, mostra sempre più i suoi
limiti: poco spazio dato all’attività spontanea
dei bambini e molto alle parole della maestra,
ambienti non sempre adeguati, un insegnamento spesso artificioso e mnemonico. Il rinnovamento necessario non tarda a giungere, e sarà
un rinnovamento vigoroso, che porterà il nostro paese all’avanguardia mondiale nell’educazione della prima infanzia. Il merito è di Maria
Montessori, la protagonista indiscussa della pedagogia italiana del Novecento. La sua ricerca
non ha dato solo un contributo fondamentale
alla fondazione scientifica della pedagogia, ma
è giunta alla elaborazione di un metodo che,
sperimentato con successo, si è diffuso in tutto
il mondo, mantenendo nel tempo la sua vitalità
ed il suo valore.
La pedagogia montessoriana interpreta uno
dei temi più vivi dell’attivismo: quello della liberazione dell’infanzia dal peso dell’educazion
tradizionale, che ne disconosce le esigenze eed
i diritti. La scienza è messa al servizio di una
finalità umanistica, che è quella di restituire
libertà, gioia e creatività all’infanzia, ponendo
così, al contempo, le basi per una società mi-
gliore, pacifica e serena.
Ma Maria Montessori non è l’unica protagonista dell’attivismo italiano. Figure meno note, e
tuttavia meritevoli ancora oggi di attenzione,
sono quelle delle sorelle Agazzi (il cui metodo è
stato per anni contrapposto a quello Montessori), di Giuseppina Pizzigoni e di Maria Boschetti
Alberti. Se Montessori ha creato delle istituzioni educative autonome, le altre autrici che studieremo in questo capitolo si sono mosse, con
differenti gradi di autonomia, nell’ambito della
scuola pubblica, stimolando con la loro sperimentazione coraggiosa il rinnovamento delle
nostre istituzioni scolastiche.
▪ 1. Maria
Montessori
1. 1. Nota biografica
Maria Montessori nasce a Chiaravalle, nelle
Marche, nel 1870. Cinque anni dopo si trasferisce con la famiglia a Roma, dove frequenta
il Regio Istituto Tecnico “Leonardo Da Vinci”,
ottenendo il diploma nel 1890. In contrasto con
il padre e con gran parte dell’opinione pubblica dell’epoca, che considerava gli studi tecnicoscientifici inadatti alle donne, decide di iscriversi al corso di laurea in medidica dell’Università
“La Sapienza”, dove si laurea nel 1896, prima
donna italiana laureata in medicina. Lo stesso
anno è a Berlino, dove interviene al Congresso
femminile in rappresentanza delle donne italiane, sostenendo il diritto delle donne ad avere un
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Maria Montessori
■ Keiron. Pedagogia 2.0
uguale salario a
parità di lavoro.
Nel 1898 interviene a Torino al
primo Congresso
Pedagogico Nazionale, proponendo un ordine
del giorno con il
quale chiede che
la scuola si occupi dei bambini
con difficoltà di
apprendimento attraverso l’istituzione di classi
aggiuntive, mentre per i bambini con deficit più
gravi propone la creazione di istituti medicopedagogici, ponendo al contempo il problema
della formazione scientifica degli insegnanti.
Quale risposta alle esigenze poste dall’ordine
del giorno nasce la Scuola Magistrale Ortofrenica, che ha il compito di preparare gli insegnanti specializzati nel lavoro con bambini con
deficit intellettivi, che Montessori dirige per
due anni.
Nel 1898 dalla relazione con un assistente di
psichiatria, Giuseppe Montesano, nasce il figlio Mario; la coppia decide di non sposarsi ed
il bambino viene affidato ad una famiglia che
vive in campagna. Tornerà a vivere con la madre nel 1912.
Nel 1899 è presente a Londra, su invito del ministro Baccelli, per rappresentare l’Italia all’International Council of Woman.
Dopo aver conseguito una seconda laurea in
filosofia, viene nominata docente di igiene e di
antropologia presso il Magistero di Roma.
Nel 1906 si impegna per la concessione alla
donne del diritto di voto, firmando un proclama affisso in diverse città italiane e facendo domanda di iscrizione alle liste elettorali.
come è noto, in Italia le donne acquisiranno
il diritto al voto solo dopo la caduta del fascismo, nel 1946.
Il 6 gennaio 1907 inaugura a Roma, nel popolare quartiere San Lorenzo, la prima Casa dei
bambini, seguita da una seconda ad aprile,
sempre nello stesso quartiere, mentre ad ottobre apre una Casa nel quartiere Umanitaria a
Milano.
In un volume intitolato Il metodo della pedagogia
scientifica (1909), che avrà grandissimo successo anche all’estero, mette a punto quello che
da allora si chiamerà Metodo Montessori. Per
diffonerlo, nasce nel 1924 l’Opera Nazionale
Montessori. Il rapporto col fascismo, buono
all’inizio, si deteriora inevitabilmente, anche in seguito alle critiche fatte da Giuseppe
Lombardo Radice, che sostiene la superiorità
e maggiore “italianità” della pedagogia delle
sorelle Agazzi e la scarsa originalità di quella
di Montessori. Nel 1934 si arriva alla chiusura
delle scuole Montessori da parte del regime; lo
stesso anno Montessori si dimette dall’Opera
Nazionale e in compagnia del figlio viaggia
all’estero: prima in Spagna, poi in Inghilterra,
infine in India, dove approfondisce i rapporti
con la Società Teosofica, cui si era iscritta già
nel 1899. In una serie di opere approfondisce
il significato pedagogico e psicologico del suo
metodo: Il segreto dell’infanzia (1936), La scoperta del bambino (1948), Educazione e pace (1949),
La mente del bambino (1949) Muore nel 1952 a
Noodwyk, in Olanda.
1. 2. L’educazione dei
bambini frenastenici
La pedagogia di Montessori ha in origine una
impostazione rigorosamente scientifica e positivistica, cui si affiancherà con gli anni una più
ampia visione filosofica, etica e perfino religiosa, cui non sarà estranea l’influenza della teosofia.
Come abbiamo visto, al Congresso Pedagogico
del 1898 Montessori pone il problema dell’educazione dei bambini con deficit intellettivi, che
allora si definivano frenastenici. Convinta della
possibilità di ottenere risultati notevoli con questi bambini attraverso una educazione guidata
da rigorosi principi scientifici, Montessori visita gli istituti all’avanguardia in Inghilterra ed
in Francia. Viene così a conoscenza dell’opera
dei medici francesi Jean Marc Gaspard Itard
e Édouard Séguin, che considererà i suoi maestri. Il primo era noto per il caso di Victor
dell’Aveyron, un ragazzo cresciuto in una fore-
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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
Vincenzo Irolli, Il riposo dello scolaretto
to culminante è l’educazione morale, intesa
come educazione della volontà e del sentimento. In questo periodo Montessori ritiene indispensabile che l’educatore eserciti la
propria autorità sul bambino e lo costringa
all’ubbidienza attraverso il comando. “Il
maestro che comanda - scrive - è una volontà che s’impone al bambino deficiente, il
quale manca di volontà; e si sostituisce alla
sua o spingendolo all’azione o inibendo i
suoi impulsi”. Per essere efficace il maestro
deve fare attenzione a non comandare ciò
che non può ottenere, e deve curare la voce,
il gesto e la minica.
1. 3. La liberazione
del bambino
sta ed in tutto e per tutto simile alle bestie, che
Itard aveva cercato di rieducare. Séguin, allievo
di Itard, aveva elaborato un metodo per l’educazione dei bambini frenastenici che cercava di
riattivare in loro gradualmente l’intelligenza stimolando i sensi e la muscolatura con
esercizi e materiali adatti. Questa gradualità si ritrova anche nelle lezioni tenuta da
Montesori alla Scuola Magistrale Ortofrenica, pubblicate ne L’autoeducazione nelle scuole
elementari (1919). Prima di educare un bambino frenastetico bisogna occuparsi del suo
corpo, ristabilire delle condizioni di benessere e stimolare i sensi. Con dei bagni freddi
o caldi e massaggi si svilupperà la sensibilità, con una dieta attenta e regolata si eviteranno i disturbi intestinali, quindi con una
serie di esercizi appositi si stimolerà prima
la muscolatura e poi i diversi sensi. A questo
punto è possibile passare all’educazione intellettuale, cominciando dall’apprendimento della lettura, che avverrà attraverso lettere in legno che il bambino dovrà toccare,
abituandosi al gesto della scrittura; si passa
quindi a quelle che Montessori chiama “lezioni oggettive”, nelle quali si mostrerà in
modo breve ed essenziale, ma ripetuto nel
tempo e con diverse prospettive, un oggetto
vicino all’esperienza del bambino. Momen-
A spingere Montessori verso lo studio dell’educazione dei bambini frenastenici c’è una preoccupazione umanitaria: quella di lavorare per
l’emancipazione, la crescita, il miglioramento di
soggetti che sono al margine dell’umanità, relagati tradizionalmente nei manicomi e considerati irrecuperabili. C’è una continuità tra la sua
lotta politico-culturale in favore delle donne e la
sua ricerca scientifica nel campo dell’educazione dei bambini frenastenici. In entrambi i casi
si tratta di un lavoro per la liberazione e l’integrazione nella società di soggetti esclusi. Ma
sono soltanto le donne ed i bambini frenastenici
in questa condizione di esclusione? Ben presto
Montessori si rende conto che il soggetto escluso e marginalizzato per eccellenza nella società
è il bambino; non solo quello frenastenico, ma
anche quello in salute fisica e mentale.
La società ha fatto progressi enormi nel riconoscimento dei diritti personali degli adulti,
ma non si può dire lo stesso dei diritti del bambino. In nome della stessa educazione si sono
compiute e si compiono violenze sui bambini.
È normale rivolgersi al bambino con durezza e
sottoporlo a castighi; se è vero che le punizioni
corporali sono sempre meno accettate, è anche
vero che spesso i genitori si credono in dovere
di dare ai figli qualche schiaffo. “Eppure – scrive Montessori nel Segreto dell’infanzia – si sono
aboliti i castighi corporali per gli adulti, perché
avviliscono la dignità umana e sono una vergo-
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■ Keiron. Pedagogia 2.0
gna sociale. Ma esiste villania maggiore dell’offendere e battere un bambino? È evidente che la
coscienza dell’umanità è sommersa in un sonno
profondo”.
Luogo di violenza per il bambino è anche la
scuola. Le scuole, i luoghi in cui si compie il
lavoro delicatissimo e cruciale dell’educazione,
sono edifici squallidi, pensati e progettati dal
punto di vista dell’adulto, sì che un bambino
vi si perde. Con indosso una uniforme, il bambino dovrà sedere ad un banco per ore ed ore,
immobile, in potere della maestra, costretta a
sottomettersi all’insegnamento, più che ad apprendere realmente. Tale è la sua condizione,
che Montessori lo paragona al Cristo: il banco è
come la croce, che costringe a subire immobile il
supplizio. Ma come il Cristo il bambino risorge:
“Come ha detto Emerson, il bambino è l’eterno
Messia, che sempre ritorna fra gli uomini decaduti, per condurli nel regno dei Cieli”.
Questo paragone non sembri eccessivo. Per
Montessori è nel bambino che risiede ogni possibilità di cambiamento e di riscatto per l’umanità. L’unica possibilità di avere una umanità
felice, libera dal flagello della violenza e della
guerra, risiede nel bambino, nella sua possibilità di prendere una direzione diversa rispetto
a quella che è stata presa dai suoi genitori e dai
suoi insegnanti. Come è evidente, l’educazione
non deve dunque replicare nel bambino l’adulto, riprodurre il mondo esistente con i suoi limiti, ma deve essere occasione per una trasformazione e liberazione radicale. Perché ciò sia
possibile, occorre da un lato il senso profondo
del rispetto verso il bambino e la coscienza dei
suoi diritti, e dall’altro lo sguardo scientifico,
che consente di liberare l’infanzia dal peso di
superstizioni, errate credenze, suggestioni apparentemente rispettose dell’infanzia, e che in
realtà l’alienano. Quando non è costretto a stare
immobile in un banco, il bambino viene fatto
vivere in un mondo di balocchi, di fantasie, di
fiabe, di immaginazione. Si ritiene che questo
sia il mondo proprio del bambino. Nulla di più
falso, per Montessori. Il bambino, quando non
si trova in condizioni di alienazione, non si perde in fantasie, ma si concentra e lavora in modo
disciplinato ed attento. Affinché emerga questo
aspetto dell’infanzia, occorre che al bambino
venga offerto un ambiente adatto, che non abbia nulla della violenza strutturale delle scuole
tradizionali e gli dia la possibilità di fare esperienze creative autonome.
1. 4. La Casa dei bambini
Le prime due Case dei bambini nascono a Roma
in un quartiere, il San Lorenzo, caratterizzato da
degrado abitativo e da una forte criminalità, in
cui i bambini molti bambini crescevano per strada. La scelta non è casuale, ma risponde all’intento di contribuire al risanamento del quartiere,
avviato dall’Istituto Romano di Beni Stabili con il
restauro delle abitazioni. Per affrontare il degrado sociale si pensa di istituire degli asili infantili,
affidandone l’organizzazione a Montessori. La
proposta le consente di mettere in pratica le sue
idee pedagogiche, realizzando anche i suoi ideali umanitari e di liberazione femminile. La Casa
dei bambini è pensata come una struttura educativa al servizio del cambiamento del territorio.
La direttrice della Casa ha l’obbligo di risiedere
nel quartiere e di mettere a disposizione della
sua gente la sua cultura e le sue competenze; è
una sorta di operatrice per lo sviluppo comunitario. Il regolamento della Casa impone ai genitori
alcuni obblighi: dovranno portare i figli puliti e
collaborare con le maestre nel loro lavoro educativo. Così le Case avviano la trasformazione
delle famiglie, tolgono i bambini dalle strade, offrono alle donne la possibilità di affrancarsi dalle
incombenze legate alla cura dei figli e di dedicarsi a sé stesse. C’è, dietro questa impostazione,
la consapevolezza che non è sufficiente studiare
scientificamente il bambino per giungere ad una
educazione efficace; occorre considerare anche
l’ambiente familiare e sociale in cui cresce. Come
afferma nel discorso inaugurale della seconda
Casa dei bambini, “invano cercherà la pedagogia
scientifica di migliorare le nuove generazioni se
non giunge ad influire anche sull’ambiente ove
le nuove generazioni sorgono e crescono”. Tuttavia questa esigenza di apertura all’ambiente
sociale, realmente essenziale, non ha trovato in
Montessori un adeguato sviluppo, e restauna affermazione di principio, più che una direzione
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d’azione. Il bambino, più che partecipare attivamente alla vita sociale del quartiere, resta legato
al suo materiale, impegnato nel suo processo di
autoeducazione.
Dal punto di vista strutturale, la Casa dei bambini è l’esatto contrario delle scuole. Se queste,
come abbiamo visto, sono pensate e progettate
dal punto di vista dell’adulto, la Casa dei bambini, ed è questa una grande novità, è realmente
a misura di bambino: le sedie, i tavoli, tutto l’arredamento è proporzionato alle misure dei bambini. I tavolini, oltre che piccoli, sono leggeri, in
modo che i bambini stessi possano trasportarli.
Le credenze sono ad altezza di bambino, e così
anche il lavabo. Alle pareti ci sono dei piccoli
quadri ed una grande riproduzione della Madonna della Seggiola di Raffaello, che per Montessori è l’emblema delle Case dei bambini.
Questa scelta innovativa riguardante il setting
scolastico esprime concretamente la centralità
del bambino nell’educazione.
L’altra innovazione della Casa è il materiale.
1. 5. Il materiale e gli esercizi
MAria Montessori in una Casa dei bambini
La scuola tradizionale ha il suo fondamento nel-
la parola dell’insegnante, che spiega alla classe
gli argomenti che di volta in volta intende proporre agli studenti. La lezione può far ricorso
anche a dei materiali di supporto, il cosiddetto
materiale oggettivo, che però è ancora legato alle
esigenze dell’insegnante, più che a quelle degli
alunni. Gli oggetti fanno riferimento agli argomenti da spiegare, e non hanno alcun rapporto
con le esigenze psichiche dei bambini. Al contrario, il materiale montessoriano nasce dalla
ricerca scientifrica sullo sviluppo sensoriale ed
intellettuale dei bambini, ed è progettato affinché i bambini possano usarlo da soli, sviluppando attraverso l’esercizio le proprie facoltà e
al tempo stesso riflettendo sulle proprie strategie cognitive. Esso, afferma Montessori, è per il
bambino “come una scala che di grado in grado
lo aiuta a salire”. Ogni materiale è adatto ad una
determinata fase di sviluppo, ed al tempo stesso
aiuta il bambino a passare alla fase successiva. Il
bambino non dipende più dalla voce dalla maestra, non è più il destinatario passivo della sua
lezione, ma costruisce da sé i proprio apprendimenti, conquistando il senso dell’autonomia ed
acquisendo fiducia in sé stesso.
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Maria Montessori in compagnia dei bambini
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Il materiale montessoriano nasce da una lunga
sperimentazione e da un progressivo raffinamento, a partire dal materiale usato da Itard e
Séguin nell’educazione dei bambini frenastenici.
Lo scopo del materiale è quello di avviare l’educazione dei sensi mettendo ordine nel caos delle
impressioni che il bambino riceve normalmente,
ed intervenendo anche tempestivamente per correggere eventuali disfunzioni. Solo questo lavoro
prelimirare sui sensi per Montessori consentirà
poi in modo naturale lo sviluppo dell’intelligenza. Il materiale non è in alcun modo imposto al
bambino, ma suscita il suo immediato interesse,
poiché risponde ad un suo bisogno funzionale.
Per questo il bambino nella Casa è libero di scegliere il materiale che preferisce, che sarà anche
quello più adatto ai suoi bisogni di crescita. La
maestra vigilerà soltanto sul suo uso corretto.
Gli oggetti che costituiscono il materiale sono ordinati secondo una specifica qualità fisica e sensoriale: vi sono oggetti che riguardano la forma,
altri il colore, altri ancora il suono, il peso, la ruvidezza, e così via. Il materiale isola una sola qualità e la presenta in forma graduale, andando da
un minimo ad un massimo, in modo che il bambino possa affinare la propria capacità di percezione cogliendo la differenza di intensità degli
stimoli sensoriali. Per far acquisire al bambino la
capacità di riconoscere i colori si useranno così
delle tavolette intorno alle quali sono avvolti dei
fili di seta colorati con nove tinte diverse, ognuna delle quali presentata in sette diverse gradazioni, per un totale di 63 tavolette. Con questo
materiale è possibile organizzare diversi giochi,
chiamando i bambini a disporre le tavolette secondo il colore e l’intensità della gradazione. Per
educare il tatto si usano tavolette ricoperte di
carta liscia o vetrata e smerigliata, anche qui con
diverse gradazioni; i bambini le sfiorano con le
dita e gli occhi chiusi, riconoscendo le differenze.
Per educare la percezione dei suoni si fa ricorso
a scatole cilindriche che contengono oggetti che
fanno rumori diversi (sabbia, pietre ecc.) ed a
campane che emettono suoni corrispondenti alle
sette note. E così via.
Gli esercizi con i materiali si svolgono secondo
tre momenti. Al principio il bambino deve riconoscere l’identità, mettendo insieme oggetti simili; in seguito è portato a riconoscere i contrasti, individuando gli estremi di ogni gradazione;
infine dovrà saper distinguere le somiglianze,
ordinando il materiale secondo la gradazione.
Il materiale è costruito con forme attraenti e colori vivaci, in modo da attirare spontaneamente
il bambino; inoltre è fatto per stimolare l’attività
del bambino, per essere cioè spostato, manipolato eccetera. Molti oggetti poi sono autocorrettivi,
ossia sono costruiti in modo tale che il bambino
può rendersi conto immediatamente dell’errore.
Ciò fa sì che il bambino, mentre usa il materiale, possa riflettere sui suoi errori ed imparare da
essi, giungendo autonomamente alla soluzione.
Oltre agli esercizi con il materiale nella Casa
vi sono esercizi di vita pratica, che riguardano il mantenimento dell’ordine e della pulizia
dell’ambiente e della persona. Il bambino dovrà così imparare a muovere silenziosamente le
sedie, a trasportare gli oggetti, a camminare in
punta di piedi, a spolverare, a versare acqua nei
recipienti, a vestirsi e lavarsi da sé, a mangiare
usando le posate, ad apparecchiare la tavola, a
marciare ritmicamente eccetera.
1. 6. La maestra
Come già accennato, il ruolo della maestra nella
Casa è principalmente quello di vigilare sull’uso
corretto del materiale da parte dei bambini. Si
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tratta di un ruolo ben diverso da quello tradizionale. L’educazione nella Casa è sostanzialmente autoeducazione: i bambini si educano da
sé lavorando con il materiale, non dipendono
dalla maestra e dalle sue lezioni. Nella scuola
tradizionale l’iniziativa spetta all’insegnante;
ora invece l’insegnante è chiamata a farsi da
parte, ed a lasciare che il bambino faccia da sé.
Scrive Montessori: “Gli oggetti e non l’insegnamento della maestra sono la cosa principale: ed
essendo il bambino che li usa, egli, il bambino,
è l’entità attiva e non la maestra”. Il suo compito è di fare da collegamento tra il bambino ed
il materiale, che naturalmente dovrà conoscere bene, non in modo esteriore, ma per averlo
adoperato lei stessa a lungo, sperimentandone
in prima persona le caratteristiche e le difficoltà. Presenterà il materiale ai bambini mostrando
loro l’uso corretto e vigilerà sul suo uso corretto. Nel caso in cui qualche bambino ne faccia un
uso errato, la maestra deve intervenire: in modo
dolce, se il bambino è tale, in modo più energico ed autirevole, se il bambino mostra una certa
disposizione al disordine. L’ordine, l’armonia,
l’operosità silenziosa caratterizzano l’atmosfera
dalle Casa dei bambini. Per custodire questa atmosfera, la maestra deve vigilare anche affinché
“il bambino che sta assorto nel suo lavoro non
sia disturbato da nessun compagno”. Come è
stato osservato da non pochi critici, questo che
a Montessori appare come un disturbo può essere nulla più che l’espressione di una esigenza
di socialità, che nella Casa viene sacrificata allo
sviluppo sensoriale attraverso il lavoro individuale.
Del resto, nella Casa dei bambini è raro che si
verifichino problemi disciplinari. Nelle classi,
affollate anche da cinquanta bambini, vige l’ordine più assoluto. Un risultato che non è ottenuto con rimproveri e comandi, mezzi che per
Montessori sono privi di utilità per raggiungere lo scopo, ma semplicemente con il lavoro. I
bambini non si abbandonano al disordine perché sono concentrati nelle loro attività, intenti
al lavoro. se un bambino esprime irrequietez-
za muscolare, non serve a molto intimargli di
star fermo, poiché quel suo comportamento è
espressione di un bisogno di coordinamento
motorio che dev’essere soddisfatto. Bisognerà cercare dunque gli esercizi adatti a rendere
armoniosi i suoi movimenti, raggiungendo al
contempo l’obiettivo di ristabilire la disciplina
turbata dal suo comportamento.
1. 7. Lo sviluppo infantile
Il profondo ripensamento del ruolo della maestra che abbiamo appena visto è in Montessori
la conseguenza della sua concezione scientifica
dello sviluppo infantile. Una convinzione diffusa vuole che il bambino venga costruito, plasmato dall’adulto, che dirige la sua evoluzione
psichica. Per Montessori non è solo un errore: è
una forma di arroganza, con la quale l’adulto si
attribuisce un potere quasi divino sul bambino.
E’ una convinzione pericolosa, perché può ostacolare il naturale processo di sviluppo psichico
e personale, che Montessori con un termine che
ha qualcosa di religioso, chiama incarnazione.
Considerare il bambino come un essere che si
incarna vuol dire scorgere in lui un progetto
originario, una serie di inclinazioni che esistono già alla nascita, e che si svilupperanno con il
tempo. Gli animali riescono poco tempo dopo
la nascita a raggiungere l’autonomia, mentre
i neonati restano a lungo non autosufficienti.
Ma l’animale non fa che replicare la sua specie,
mentre l’essere umano è un individuo irripetibile. Si potrebbe dire, scrive Montessori nel Segreto dell’infanzia, che l’animale è un oggetto fabbricato in serie, mentre l’uomo è come un oggetto
lavorato a mano: “ognuno è diverso dall’altro,
ognuno ha un proprio spirito creatore, che ne
fa un’opera d’arte della natura”. Questo spirito
creatore, questa molla interiore che, attraverso
un processo che durerà anni, creerà l’individuo
unico ed irripetibile, è chiamato da Montessori
embrione spirituale. E’ una energia misteriosa
e creativa, che presiede all’opera della autocreazione del bambino; una forza che ha bisogno di
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Nicolai Petrovich Bogdanov Belski, Un esercizio complicato
un ambiente positivo per compiere la sua opera,
esattamente come l’embrione fisico ha bisogno
dell’ambiente del ventre materno per svilupparsi. Lo sviluppo è l’impresa faticosa con la quale
l’embione spirituale costruisce l’individuo assimilando progressivamente l’ambiente. Sapere
questo, vuol dire guardare il bambino con occhi
nuovi, imparare un nuovo rispetto: “Quel corpicciuolo tenero e grazioso che adoriamo ricolmandolo di cure soltanto fisiche e che è quasi
un giocattolo nelle nostre mani, assume un altro
aspetto e incute riverenza, ‘Multa debetur puero
reverentia’”. La massima di Quintiliano acquista
ora un nuovo valore: il bambino incute rispetto per la grandiosità della sua impresa, perché
costruendo sé stesso il bambino costruisce al
contempo anche l’umanità. Non è vero, afferma
Montessori, che l’uomo è il padre del bambino.
E’ vero il contrario. “Bisognerebbe dire: l’uomo
è stato costruito dal bambino: costui è il padre
dell’uomo”.
Il bambino alla nascita non è guidato da schemi
di comportamento innati, ma non è nemmeno
totalmente in balia dell’ambiente. Piuttosto, ha
la capacità di acquisire dall’ambiente le infor-
mazioni che sono necessarie per la sua crescita.
Questa capacità è per Montessori il fatto fondamentale per comprendere lo sviluppo psichico
nei primi tre anni di vita. La mente del bambino, a differenza di quella dell’adulto (che per
imparare deve far ricorso alla volontà ed all’attenzione) ha la capacità di imparare acquisendo in modo inconscio dall’ambiente ciò di cui
ha bisogno. Montessori la chiama, per questo,
mente assorbente, precisando che il modo in
cui la mente assorbe è diverso da quello della
spugna, che assorbe l’acqua senza riuscire poi
a trattenerla. La mente del bambino assorbe informazioni che resteranno per tutta la vita e costituiscono la base del suo carattere futuro.
Questo assorbimento non avviene in modo casuale, ma segue delle leggi ben precise ed alcuni periodi sensitivi. Esistono nel bambino
delle energie che gli consentono di assorbire in
modo inconscio dall’ambiente le informazioni
di cui ha bisogno, e che Montessori chiama nebule. Quando una nebula si attiva, il bambino
è sensibile in modo particolare ad alcuni stimoli, quelli che in quel momento sono importanti
per la sua crescita. Quando ad esempio giunge il momento della nebula del linguaggio, il
bambino riesce improvvisamente a distinguere
il linguaggio umano dagli altri suoni e rumori, e se qualcuno gli parla prova un piacere che
manifesta con il sorriso. Emerge con chiarezza
l’importanza assoluta dell’ambiente per lo sviluppo psichico del bambino. Se, quando è attiva
una particolare nebula, il bambino non riceve
dall’ambiente gli stimoli necessari, accade un
ritardo nello sviluppo che può essere difficile
colmare in seguito.
Fino all’età di tre anni dunque l’educazione
coincide con la vita stessa. In questa fase psicoembrionale il bambino assorbe inconsciamente
dall’ambiente ciò di cui ha bisogno. Non occorre
che qualcuno ad esempio gli insegni a parlare:
impara da sé. Da adulti non ricorderemo le cose
avvenute in questa fase, perché la personalità non era ancora completa. Le cose cambiano
verso i tre anni d’età con l’emergere della co-
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scienza. Nella prima fase il bambino ha creato
le funzioni fondamentali; ora queste vengono
sviluppate e condotte all’unità. Se prima si limitava ad assorbire l’ambiente circostante, anche
se in modo creativo, ora ha una sua volontà, e
dunque agisce consapevolmente sull’ambiente.
Adesso il bambino mostra una naturale attitudine alla astrazione ed a seguire l’ordine e l’esattezza dei procedimenti logici: sviluppa quella
che Montessori chiama mente matematica. Le
difficoltà che molti bambini hanno con la matematica sono il segno di un cattivo procedimento
educativo. Se vengono messi a contatto con del
materiale adatto, come quello montessoriano,
e si assegnano loro dei compiti che richiedono
precisione ed esattezza, i bambini mostrano
una spontanea attrattiva per la matematica e lavorano con interesse ed attenzione.
1. 7. La normalizzazione
Uno dei problemi eterni della pedagogia è quello del rapporto tra autorità e libertà. Da una
parte v’è chi pensa che il bambino, lasciato a sé,
si abbandonerebbe alle proprie tendenze negative, per cui è necessario l’intervento correttivo
dell’adulto; dall’altra si obietta che è l’autorità
a deviare il naturale svolgimento delle facoltà
del bambino, che solo nella libertà possono svilupparsi in modo armonico. Dal punto di vista
di Montessori questa è una falsa alternativa. Gli
educatori autoritari impongono un ordine ed
una disciplina che sono inevitabilmente falsi,
perché legati solo alla paura ed all’imposizione dell’adulto. Quando questi limiti vengono
eliminati da un approccio libertario si ha, nota
Montessori, “uno scatenamento disordinato di
impulsi non più controllati perché erano stati
prima controllati soltanto dalla volontà degli
adulti”. Questa non è vera libertà, e non favorisce la crescita del bambino.
Nella Casa dei bambini avviene qualcosa di diverso. Regna una disciplina che tuttavia nonha alcun bisogno del ricorso all’autorità. Come
è possibile? Grazie al lavoro. I bambini sono
chiassosi, disordinati, distratti, capricciosi, pigri
se non hanno qualcosa da fare; qualcosa, s’intende, che sia importante per loro. Nella Casa
trovano molte attività interessanti da fare e si
concentrano facilmente nel lavoro. Il bambino
viene così disciplinato non dall’intervento autoritario della maestra, ma dall’ambiente stesso,
che non gli consente di distrarsi perché ad ogni
passo esige la sua attenzione.
Montessori chiama normalizzazione questa riconquista delle sue qualità positive da parte del
bambino. Il bambino disciplinato, che lavora e
si concentra (e si apre all’altro, diventando socievole ed altruista), è null’altro che il bambino
vero, il bambino normale. Deviato è invece il
bambino che le tendenze disgregatrici e diseducative dovute all’ambiente esterno ed all’intervento dell’adulto costringono ad una fuga
nella fantasia. E’ un bambino spezzato, perche
non gli si consente di incarnare l’intelligenza
nell’azione, esprimendosi attraverso il movimento e facendo esperienze concrete; non gli
resta dunque che la via dell’immaginazione.
La Casa dei bambini si configura dunque come
un luogo di guarigione. “Si direbbe - conclude
Montessori ne La mente del bambino - che i bambini fanno esercizi di vita spirituale, avendo trovato una via di perfezionamento e di ascesa.”
1. 8. Una pedagogia
per la pace
Nella sua lunga vita Maria Montessori ha assistito alle due guerre mondiali, all’affermarsi
dei nazionalismi, delle persecuzioni razziali,
dell’odio in tutte le sue forme. Una delle preoccupazioni costanti della sua ricerca è quella
della pace; ed è significativo che la sua ultima
opera, La mente del bambino, si chiuda con una
riflessione sull’amore. Per quanto sembri essere
stato cacciato via dal mondo, l’amore è in realtà
una grande energia cosmica, anzi è l’universo
stesso, il principio che guida il mondo inanimato e quello animato, spingendo costantemente
verso l’armonia e l’unità. Anche quando i cuori
▪9▪
■ Keiron. Pedagogia 2.0
sembrano essersi inariditi, c’è un modo semplice ed infallibile per riscoprire l’amore: guardare un bambino. Ovunque il bambino suscita
immediatamente amore, dolcezza, tenerezza.
“Il bambino - scrive - è una sorgente d’amore;
quando lo si tocca, si tocca l’amore”. Se si cerca
poi di comprendere l’amore, si scoprono affinità
significative con la mente assorbente. L’amore è
la capacità di accettare senza giudicare, di comprendere, di armonizzare. Non è forse questo
che fa il bambino?Alla fine del suo percorso,
Montessori mostra così che gli adulti, che hanno la pretesa di educare i bambini, dovranno
imparare da loro ciò che è assolutamente indispensabile per la sopravvivenza della specie.
“Lo studio dell’amore e la sua utilizzazione ci
porteranno alla sorgente dalla quale esso zampilla: il Bambino. Questa è la strada che l’uomo
dovrà percorrere nel suo affanno e nei suoi travagli, se egli, come aspira, vuole raggiungere la
salvezza e la unione dell’umanità”.
▪ 2. Le sorelle
Agazzi
Rosa Agazzi
2. 1. Nota biografica
Le sorelle Rosa (1866-1951) e Carolina Agazzi
(1870-1945) sono nate a Vologno, in provincia di
Cremona, figlie di un artigiano del legno con la
passione per la
musica. Dopo
essersi diplomate entrambe
alla Scuola normale di Brescia
hanno iniziato
ad
insegnare
nel 1899 nella
stessa scuola di
Nave, un paese del bresciano: Rosa era
insegnante ele-
mentare (in una classe con 73 bambini), mentre a Carolina furono affidati circa 125 bambini
dell’asilo. Successivamente si sono spostare in
diversi asili della zona, ispirandosi al metodo
aportiano ed a quello fröbeliano, non mancando di introdurre elementi originali, come la
musica al pianoforte. Nel 1895 le due sorelle
si ritrovano a lavorare insieme all’asilo della
borgata di Mompiano, grazie all’intervento di
Pietro Pasquali, pedagogista fröbeliano e direttore delle scuole elementari di Brescia, che
diventerà il principale sostenitore del metodo
Agazzi. All’asilo di Mompiano le sorelle metteranno a punto il loro metodo sperimentale, che
presto riceverà ampi riconoscimenti ufficiali
ed influenzerà anche la politica scolastica dello Stato, pur senza raggiungere la notorietà e la
diffusione internazionale del metodo Montessori. Contribuirà allla diffusione del metodo la
casa editrice La Scuola, una delle più importanti
realtà editoriali italiane nel campo dell’educazione. Carolina Agazzi è autrice di un libro di
Consigli alle famiglie (1903), mentre la sorella, più
prolifica, ha scritto tra l’altro: La lingua parlata
(1910), L’arte delle piccole mani (1927), Guida per le
educatrici dell’infanzia (1929) e Conversazioni sulla
scuola materna (1950).
2. 2. Il metodo
La formazione e le prime esperienze educative
delle sorelle Agazzi avvengono all’insegna del
fröbelismo, metodo di cui tuttavia non tardano
a cogliere i limiti, soprattutto per come esso si
presenta nei suoi continuatori ed epigoni. Intervenendo nel 1898 al congresso pedagogico di
Torino (lo stesso cui partecipa Maria Montessori), Rosa Agazzi propone la sua critica al fröbelismo, che è in realtà soprattutto una critica
all’applicazione formale e stanca che del metodo fanno le maestre. Non bisognava rinunciare
a Fröbel, ma reinterpretarne lo spirito, sfrondandolo invece dagli elementi più astratti ed
intellettualistici, come il misticismo ed un uso
rigido del materiale (i doni). Il punto di parten-
▪ 10 ▪
za di questo ripensamento non poteva essere
che il bambino: occorreva tornare a considerare
la realtà del bambino nella sua autenticità e freschezza e rispettarne soprattutto la libertà. Non
più il bambino sottoposto ad infiniti esercizi per
modellarne il comportamento, ma il bambino
che vive nell’asilo come a casa propria: e la denominazione di scuola materna vuole evidenziare questa continuità. I bambini sono operosi
non meno che nelle Case dei bambini montessoriane, ma in questo caso si tratta soprattutto di
attività di vita pratica. I bambini non sono assistiti, ma devono occuparsi loro stessi di tutto ciò
di cui ha bisogno la scuola. Da un lato, dunque,
devono prendersi cura di sé (lavarsi – cosa cui si
riserva una cura particolare – pettinarsi, vestirsi
ecc) ed aiutare i bimbi più piccoli che non sono
autonomi, dall’altro devono compiere tutte le
attività necessarie alla vita collettiva: andare a
prendere l’acqua, lavare le stoviglie, sistemare
la provvista della legna, pulire le suppellettivi...
I bambini sono costantemente all’opera, sotto
lo sguardo attento dell’educatrice, che vigila
che tutto si svolga in ordine. In queste attività
pratiche si incarna l’ideale di una vita operosa e
solidale, che è un ideale al tempo stesso etico ed
estetico. I bambini apprendono l’importanza e
la bellezza dell’ordine e dell’armonia tanto delle
cose quanto degli atti, e si aprono alla collaborazione ed al sostegno reciproco. Sanno di avere
la responsabilità della casa che abitano; quelli
più grandi, di cinque o sei anni, hanno inoltre la
responsabilità di insegnare a quelli più piccoli,
di tre anni, la cura personale. In un simile ambiente educativo la massima libertà individuale
si armonizza così naturalmente con la collaborazione ed il lavoro comune.
Anche la scuola materna agazziana ha il suo
materiale. Non si tratta di materiale scientifico,
appositamente preparato, ma proprio degli oggetti di uso comune e collettivo, che i bambini
imparano ad usare nelle loro attività quotidiane. Vi sono poi gli oggetti personali, ognuno dei
quali ha un suo contrassegno, una immagine facilmente riconoscibile (oggetti comuni per i più
piccoli, forme
geometriche
per i più grandi), che è segno
distintivo
di
ogni bambino
ed indica la
sua proprietà
d e l l ’o g g e t t o .
Atteaverso
i
contrassegni i
bambini imparano a riconoscere e rispettare il principio di proprietà, ma non solo. Ogni
contrassegno ha un nome, che viene ripetuto più
volte. Ascoltando il nome del proprio contrassegno e quello dei contrassegni altrui, il bambino arricchiscono il proprio lessico, associando il
nome all’immagine. Si avvia così l’educazione
linguistica, che verrà completata con il dialogo
vivo con la maestra. In fine, vi sono le cianfrusaglie senza brevetto, cose di nessuna importanza che si trovano normalmente nelle tasche
dei bambini: bottoni, pezzi di spago, conchiglie,
scatolette, tappi di sughero e così via. Questo
materiale eterogeneo e povero dà vita ad un
vero museo delle cianfrusaglie ed è la base per
una grande varietà di esercizi che permettono
l’affinamento della percezione sensoriale e del
gusto estetico. I materiali casuali raccolti in una
scatola possono ad esempio servire per un esercizio di discriminazione e riconoscimento dei
colori, oppure possono essere divisi in base al
materiale, o ancora in base alla grandezza. Tutto è affidato alla creatività della maestra e dei
bambini, che sapranno trarre di volta in volta
le migliori occasioni di esperienza dal materiale
disponibile. Ogni attività è accompagnata dal
dialogo e dalla discussione. La maestra stimola l’espressione spontanea dei bambini, senza
però fermarsi ad essa, ma invitandoli anche a
riflettere sulle parole, distinguendo ad esempio
le parole di due sillabe da quelle di tre sillabe,
o analizzando i diversi accenti. L’espressione
▪ 11 ▪
Carolina Agazzi
■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
■ Keiron. Pedagogia 2.0
linguistica si sublima poi nel canto, che ha una
importanza centrale nel metodo agazziano. anche in questo caso, i bambini vengono invitati
al canto spontaneo attraverso l’imitazione della
maestra, e gradualmente sono indotti a riflettere sulla giusta intonazione ed affinano la propria voce, fino a giungere all’armonia del canto
comune.
Se Montessori, partita da una visione rigorosamente scientista, è approdata con gli anni ad
una spiritualità non priva di influenze orientali, la pedagogia delle sorelle Agazzi si inserisce
nella cornice della tradizione cattolica: un dato
da considerare, se ci si interroga sulle ragioni
del successo del metodo agazzano in quell’Italia
fascista che invece ha considerato con sospetto,
fino a rifiutarlo come una visione del mondo
estranea ed eterodossa, il pensiero montessoriano.
▪ 3. Giuseppina
Pizzigoni
3. 1. Nota biografica
Giuseppina Pizzigoni (1870-1947) è nata a Milano. Conseguito a diciotto anni il diploma di
maestra, vince un concorso pubblico e inizia a
lavorare come maestra. Dopo diverse esperienze didattiche, che vedono il suo entusiasmo
educativo scontrarsi con la noia della routine
delle scuole pubbliche, matura l’idea di una
scuola nuova, in cui l’insegnamento sia basato
sull’esperienza. “Avevo idea chiara e volontà
forte, – scrive – ma non potevo pensare di rinunciare al mio posto in Comune per dedicarmi
al mio ideale. Sapevo anche che, se mi fossi presentata ai miei superiori, dicendo il mio sogno
di capovolgere il metodo in uso nelle scuole elementari, mi sarei molto probabilmente sentita
rispondere : ‘Faccia il suo dovere e non sogni
tanto! Stia, stia quieta per carità!’.Troppo ardito
appariva allora il mio sogno! Pensai che saggio
era presentarsi alle Autorità scolastiche, ag-
guerrita di appoggi sicuri e di fondi. Fra i miei
amici (ne avevo allora meno di oggi, ma allora
avevo anche meno nemici) riuscii a formare un
Comitato promotore per l’attuazione del mio
sogno didattico; ed ebbi subito con me personalità non dubbie e uomini di fede e di scienza...”. Grazie a questi sostenitori, tra i quali un
ministro e diversi scienziati, riesce a fondare
nel 1911, nel quartiere popolare della Ghisolfa
a Milano, la scuola sredimentale Rinnovata, che
comincia con due sole sezioni e 64 studenti e
cresce progressivamente, fino a quando si rende
necessaria la costruzione di un nuovo edificio.
Quest’ultimo, progettato secondo le precise indicazioni pedagogiche di Pizzigoni, viene inaugurato nel 1927 ed è ancora oggi la sede della
scuola. Lo stesso anno nasce l’Opera Pizzigoni,
con il compito di promuovere la diffusione del
suo metodo.
Tra gli scritti di Pizzigoni: La scuola elementare
rinnovata secondo il metodo sperimentale (1914);
Linee fondamentali e programmi della scuola elementare rinnovata secondo il metodo sperimentale
(1922); Le mie lezioni ai maestri delle scuole elementari d’Italia (1931).
3. 2. La Rinnovata
La scuola di Pizzigoni nasce da alcune intuizioni pedagogiche supportate da uno sguardo
attento alle innovazioni educative nelle diverse
parti del mondo. Maestra nella scuola pubblica, ha parole molto dure per il suo verbalismo,
l’inerzia, la scarsa salubrità dell’ambiente stesso, che non è adatto a formare persone in salute.
Non c’è da meravigliarsi se i bambini cercano
di fuggire da scuola: “Il bambino che vorrebbe
per ogni nonnulla marinare la scuola, quello
che ci va piangendo, quello che progredisce in
pallore o che si fa miope o nervoso, si ribellano
attivamente o passivamente a uno stato di cose
incompatibile con la loro natura, ma nello stesso tempo ci ammoniscono”. La scuola è un ambiente insano perché costringe all’immobilità e
ad una disciplina militare che confligge con il
▪ 12 ▪
bisogno di libertà, e non consente una esperienza concreta del mondo ed una vera vita sociale.
Alla base dell’idea sperimentale della Rinnovata c’è l’esigenza di tutelare la salute dei bambini,
offrendo un ambiente igienico e salubre, ma soprattutto favorendo la vita all’aperto ed il contatto con la natura. Gli ampi spazi all’aperto che
fanno parte della struttura della Rinnovata sono
parte integrante della scuola e costituiscono una
risorsa educativa fondamentale. Le uscite in
giardino servono per osservare da vicino quella natura che nella scuola tradizionale si studia
sui libri; ma anche la vita sociale va osservata e
studiata, ed a questo servono le uscite in città.
La Rinnovata adotta quello che poi si chiamerà
tempo pieno, protraendo le attività scolastiche
fino alle sei del pomeriggio ed eliminando sia
il doposcuola che i compiti a casa. In questo
modo sarà permesso anche ai figli dei poveri
fare, a scuola, quelle attività che i figli dei ricchi
fanno fuori dalla scuola.
Motivato da preoccupazioni igieniche e salutiste è anche il rifiuto di ogni precocizzazione
nell’apprendimento del leggere e dello scrivere.
Pur dichiarando di condividere l’impostazione pedagogica di Maria Montessori (al punto
di sostenere che i piccoli studenti provenienti
dalle Case dei bambini montessoriane potranno
continuare utilmente la loro educazione nella
Rinnovata), Pizzigoni è nettamente in disaccordo su questo punto. “Io trovo nelle statistiche
che il difetto della miopia ha una frequenza del
3, del 5% avanti l’ingresso nella scuola, e diventa oltre il 20% durante la scuola. L’occhio del
bambino, che è di regola ipermetropico, per lo
sforzo di accomodamento si avvia alla miopia.
C’è tanto da fare, a mio parere, senza preoccuparsi del meccanismo del leggere e dello scrivere!”. Il bambino imparerà a leggere quando sarà
il momento opportuno, senza alcuna forzatura,
con la consapevolezza che nel frattempo potrà
imparare molte altre cose.
Alle lezioni verbali nella Rinnovata si sostituiscono le lezioni basate sull’osservazione e
sull’esperiemento. Ecco come Pizzigoni descri-
ve una di queste lezioni: “Devo parlare in 5a
classe della pressione atmosferica che si esercita
in ogni senso. Perché mi appoggerò tutta alla
fede che gli scolari hanno in me? Ecco invece una latta vuota in cui ho versato un mezzo
bicchier d’acqua; la metto sopra una fiamma a
spirito. Gli scolari si rendono conto del vapore
che esce dall’apertura superiore della latta; capiscono che, dopo qualche tempo, l’acqua se ne
è andata quasi tutta in vapore, scacciando l’aria
dall’interno del recipiente. Ora la latta è piena
di vapor acqueo. Chiudo l’apertura, tolgo la latta dal fuoco e spengo la fiamma. I ragazzi sono
tutt’occhi.... Pum! pim! pam!... La latta cede a
destra, a sinistra, di su, di giù si storta, si piega,
si contorce con movimenti inaspettati e rapidi....
L’attenzione e l’allegria sono al colmo; e tutti a
una voce gridano: ‘E’ la pressione dell’aria!’”. E’,
senza dubbio, il racconto di una leziona alternativa, in grado di tener desta l’attenzione degli
studenti. Tuttavia mancano ancora il fare in prima persona degli studenti, l’esperimento e l’osservazione diretta; la maestra resta una mediatrice indispensabile tra gli studenti e gli oggetti
da conoscere. Va però considerata, riguardo al
“fare”, l’importanza che nella Rinnovata ha il
lavoro, che è tra i suoi aspetti più innovativi ed
interessanti. Lavoro che sarà diverso a seconda
dei sessi, anche se alla Rinnovata vige la coeducazione di ragazzi e ragazze: i maschi si dedicheranno al lavoro della terra e della materia
(legno, plastilina ecc.), mentre le ragazzine impareranno a cucinare ed a fare i lavori domestici. Se giunge alla intuizione dello stretto legame
▪ 13 ▪
Un cortile della Rinnovata
■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, e del
valore formativo di quest’ultimo, Giuseppina
Pizzigoni non riesce a concepire il lavoro al di
fuori degli schemi di genere; e chiederle di più
vuol dire forse non tenere in debito conto la situazione storica nella quale si è sviluppata la
sua esperienza educativa.
Nonostante la sua impostazione sperimentale, la scuola di Pizzigoni non rinuncia all’educazione religiosa, che è naturalmente quella
cattolica, anche se ricondotta a quelle massime
della morale evengelica che possono essere considerate anche quale base dell’etica civile. Oltre
alle lezioni di “morale religiosa” sono previste
delle lezioni di catechismo vere e proprie, alle
quali però sono dispensati dal partecipare gli
studenti non cattolici.
▪ 4. Maria
Boschetti
Alberti
4. 1. Nota biografica
Nata a Montevideo in Uruguay da una famiglia di emigrati svizzeri e formatasi alla Scuola Normale di Locarno, Maria Boschetti Alberti
(1884-1951) ha cominciato giovanissima, a quindici anni, la sua carriera di maestra itinerante
in alcuni paesini svizzeri. L’inizio non è dei migliori: insegna secondo l’uso corrente, ma ciò la
annoia e ne spegne ogni entusiasmo. La scuola
le sembra rigida, fredda, un luogo privo di gioia e di reale contatto umano. Scriverà nel Diario
di Muzzano (1939), la sua opera principale: “In
quei tempi – fino al 1916 – non avevo amore per
i miei scolari. Eravamo anzi nemici. Io, da una
parte, sulla cattedra, ritta, severa come una divinità antica: loro, dall’altra, separati da me da
un muro di ghiaccio. Non potendo amare i miei
alunni, non amavo neanche la scuola”. Decisa
a reagire a questo stato di cose, intraprende del
1916 un viaggio in Italia, al fine di conoscere
le innovazioni
pedagogiche del nostro
paese e trarne
ispirazione. A
Milano e Roma
visita
scuole
per
bambini
anormali, ma
è soprattutto il
metodo Montessori a richiamare la sua attenzione. A Milano
visita l’Umanitaria, una scuola per poveri retta
secondo il metodo montessoriano, e ne viene
fortemente colpita.
Nominata maestra a Muzzano (presso Lugano),
nel 1917, comincia subito la sua sperimentazione educativa, provando ad adattare il metodo
montessoriano alla scuola pubblica. Le sue innovazioni suscitano nell’ambiente del paese
una ostilità che sfocia in una indagine richiesta
dai genitori degli alunni, in base alla quale le
vengono contestate una serie di mancanze di
carattere formale e burocratico. si trasferisce
quindi ad Agno, dove ha modo di sviluppare le
proprie sperimentazioni educative rendendosi
progressivamente autonoma dal metodo Montessori e dando vita a quella che, con un termine
di Lombardo Radice, chiamerà scuola serena,
che presto suscita interesse e consensi di alcuni autorevoli esponenti del mondo pedagogico,
tra i quali Adolphe Ferrière.
Tra le sue opere, oltre al citato Diario di Muzzano:
La disciplina nella libertà (1927), La scuola serena di
Agno (1928), Ricordi della scuola di Agno (1938).
4. 2. La scuola serena
Tra le cose che Boschetti Alberti aveva ammirato maggiormente all’Umanitaria c’era la serenità, l’ordine, il piacere spontaneo con il quale i
ragazzi si dedicavano al lavoro scolastico, così
apertamente in contrapposizione con la noia ed
il malessere che aveva sperimentato nella sua
scuola. Come fare per introdurre anche nella
▪ 14 ▪
Maria Boschetti Alberti
■ Keiron. Pedagogia 2.0
■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
scuola pubblica questo clima sereno e positivo? Boschetti Alberti cominciò, a Muzzano, con
alcune innovazioni ispirate al metodo Montessori. La vita scolastica cerca di armonizzare le
esigenze del singolo e della comunità. Di qui i
due principi fondamentali dell’ordine, che è rispetto della vita comune, e della libertà, che è
la salvaguardia dei bisogni individuali. Per favorire l’apprendimento vengono introdotti dei
materiali ispirati a quelli montessoriani, anche
se meno raffinati ed autoprodotti, ma le innovazioni più importanti sono con ogni probabilità
quelle che riguardano la relazione tra la maestra e gli studenti. Con grande cura e sensibilità
Boschetti Alberti cerca di creare degli spazi di
confronto e di espressione, dedicando del tempo alla libera conversazione con gli studenti –
per lo più figli di contadini – e mettendo a loro
disposizione un quaderno sul quale potranno
annotare tutto ciò che vorranno.
I risultati furono negativi, giudicati con i parametri della scuola di allora: e di qui le ostilità di
cui s’è detto. Ma Boschetti Alberti operava ad un
livello più profondo: risvegliare negli studenti
un amore reale per il sapere, rispettarne l’identità culturale e la differenza, dar loro la parola.
Ad Agno il suo metodo si fa più consapevole.
Il senso della scuola le si chiarisce come segue:
“far passare alcune ore del giorno in un ambiente di calma a questi poveri ragazzi che vivono fra persone affaticate e stanche in un ambiente nervoso; far conoscere il bello, inebriare
del bello questi poveri tipi che hanno tanto di
lurido e di squallido intorno a loro; far respirare in un ambiente di educazione e di
finezza queste povere anime che già conoscono parecchie, troppe brutture della vita e
che di educazione e di finezza non hanno
alcuna idea”. Viene in primo piano, nella riflessione di Boschetti Alberti, il tema della qualità
della vita scolastica, che in genere viene sacrificato al risultato, al sistema di apprendimenti
che si chiede alla scuola di far raggiungere agli
studenti. La scuola non è vera scuola se non vi
si sta bene; e non educa, ossia non fa crescere
nella verità e nella bellezza, se non v’è il massimo rispetto della individualità degli alunni.
L’autoritarismo, la freddezza nei rapporti umani, le punizioni ed i ricatti, che così tristemente
caratterizzano spesso la scuola, sono incompatibili con qualsiasi autentica educazione.
La scuola serena esige anche un setting adeguato. Quello tradizionale (i banchi e la cattedra) è pensato in base ad esigenze non educative, ma di controllo. Che fare? In una scuola
privata sperimentale si possono ripensare gli
spazi; nella scuola pubblica basta mettere i banchi lungo le pareti e liberare lo spazio, come
Boschetti Alberti fece. La giornata scolastica
ad Agno comincia con la preghiera, cui segue
l’accademia, un’ora dedicata al bello ed al bene
affidata interamente alla creatività degli studenti. Durante quest’ora potevano leggere una
poesia, mostrare un disegno, allestire insieme
una rappresentazione teatrale, curando anche
l’aspetto dell’aula. E’ la scuola libera da ogni impaccio burocratico, pura espressione; ed è, anche, l’educazione etica ed estetica sfondata da
ogni moralismo e da ogni passiva trasmissione
di valori e regole morali. I bambini si appassionano spontaneamente al bello, perfezionano il
gusto, riflettono sul bene attraverso le storie,
entrano con leggerezza nel mondo dei valori.
Il problema di conciliare la necessità di seguire
un programma ministeriale con il bisogno di rispettare i ritmi e la libertà di apprendimento di
ciascuno studente è risolto da Boschetti Alberti
redigendo un programma per ogni disciplina,
con una sreie di temi tra i quali lo studente poteva scegliere quelli più vicini ai suoi interessi. I
progressi compiuti venivano verificati durante
il controllo del lavoro, che seguiva l’accademia.
Non si trattava di un controllo dei compiti svolti, ma del necessario intervento di indirizzo e di
sostegno al lavoro autonomo. Lo studente è il
protagonista del suo apprendimento; ma la maestra gli dà suggerimenti, gli indica gli errori, lo
incoraggia e stimola interessi ulteriori. Lo studente apprende realmente, se parte da propri
interessi; e può partire dai propri interessi solo
▪ 15 ▪
■ Keiron. Pedagogia 2.0
se viene lasciato libero. E’ su questa intuizione
che si basa tutto il lavoro della scuola di Agno.
Dopo il controllo del lavoro è il momento della lettura da parte della maestra, cui seguiva il
lavoro libero. Boschetti Alberti distingue due
aspetti della libertà del lavoro scolastico: la libertà di modo e la libertà di tempo. La prima è la libertà di lavorare secondo il metodo
preferito, senza alcuna necessità di uniformità.
Gli studenti possono lavorare da soli o in gruppo, usare il quaderno o la lavagna, e così via.
La libertà di tempo è la possibilità di seguire i
propri personali tempi di apprendimento, scegliendo quanto tempo dedicare ad un argomento o ad un esercizio. Nel pomeriggio le lezioni
continuano con la conferenza di uno studente a
turno su un argomento specifico. La disciplina
della conferenza è fissa (ogni giorno è dedicato
interamente ad una delle tredici materie di stu
dio), ma anche in questo caso lo studente ha la
libertà di scegliere quale argomento trattare
all’interno di quella disciplina. La giornata scolastica si conclude con una nuova sessione di
lavoro libero.
Come si vede, si tratta di una scuola che ha al
centro lo studente, con i suoi bisogni ed interessi, secondo la grande lezione dell’attivismo. La
scuola pubblica viene liberata dall’interno, per
così dire, con un’azione che mostra la possibilità di aprire le iestituzioni anche quando esse
paiono ormai sclerotizzate, di introdurre in esse
il soffio dell’innovazione e la possibilità della
gioia.
▪ 16 ▪
■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
▪ Testi
1. Il bambino costruttore
dell’uomo
In questo passo de La mente del bambino Montessori opera un vero rovesciamento della visione dominante del bambino: non è più debole, passivo, destinatario delle cure dei genitori, ma capace di acquisire
autonomamente le conoscenze e le informazioni di
cui ha bisogno. Il rapporto tra adulto e bambino si
rovescia: non è l’adulto che costruisce il bambino, attraverso le cure e l’educazione, ma è il bambino che,
con il suo grande lavoro di crescita, costruisce l’uomo futuro.
Consideriamo le relazioni di diversi psicologi
che hanno studiato il bambino dal primo anno
di vita. Che cosa se ne deduce? Che la crescenza dell’individuo, in luogo di essere affidata al
caso, deve essere diretta scientificamente con
migliore cura; il che consentirà di raggiungere
un migliore sviluppo dell’individuo. L’idea in
cui tutti concordano è che l’individuo più curato e assistito è destinato a crescere più forte, più
equilibrato mentalmente e con un carattere più
energico. In altre parole, il concetto conclusivo è
che oltre che dall’igiene fisica il bambino dovrà
essere protetto da un’igiene mentale. La scienza
ha fatto altre scoperte intorno al primo periodo
della vita: nel bambino si sono rese manifeste
energie assai maggiori di quanto generalmente
non s’immagini. Al suo nascere, psichicamente
parlando, il bimbo è nulla; e non solo psichicamente, giacché al suo nascere egli è incapace di
movimenti coordinati e la quasi immobilità degli arti non gli consente di far nulla; né può parlare, anche se vede quello che accade intorno a
lui. Dopo un dato periodo di tempo, il bambino
parla, cammina, e passa da una conquista ad
un’altra fino a costruire l’uomo in tutta la sua
grandezza e intelligenza. Ed ecco che una verità
si fa strada; il bambino non è un essere vuoto,
che deve a noi tutto ciò che sa e di cui l’abbiamo
riempito. No, il bambino è costruttore dell’uomo, e non esiste uomo che non sia stato formato
dal bambino che egli era una volta. Le grandi
energie costruttive del bambino, di cui abbiamo
già più volte detto, e che hanno attratto l’attenzione degli scienziati, sono rimaste sinora celate sotto un complesso di idee formatesi intorno
alla maternità; si diceva: la mamma ha formato
il bambino, essa gli insegna a parlare, a camminare, ecc. Ora tutto questo non è affatto opera
della madre, ma conquista del bambino. Ciò
che la madre crea è il neonato, ma è il neonato che produce l’uomo. Se la madre muore, il
bambino cresce ugualmente e compie la costruzione dell’uomo. Un bambino indiano condotto in America e affidato alle cure di americani
imparerà la lingua inglese e non l’indiana. Non
dalla madre, quindi, viene la conoscenza del
linguaggio, ma è il bambino che si appropria
del linguaggio come si appropria delle abitudini e dei costumi della gente fra cui si trova a
vivere. Non vi è dunque in queste acquisizioni
alcunché di ereditario, e il bambino, assorbendo dall’ambiente che gli è intorno, plasma da se
stesso l’uomo futuro.
Riconoscere questa grande opera del bambino
non significa diminuire l’autorità dei genitori;
quando essi si persuaderanno di non essere i costruttori, ma semplicemente i collaboratori della costruzione, tanto meglio potranno compiere
il proprio dovere e aiuteranno il bambino con
una più vasta visione. Soltanto se questo aiuto
è dato convenientemente il bambino realizzerà
una buona costruzione; così l’autorità dei genitori non si fonda su una dignità a sé stante, ma
sull’aiuto che essi danno ai loro figli, ed è questa
la vera e grande autorità e dignità dei genitori.
Ma consideriamo anche da un altro punto di vista il bambino nella società umana.
L’idea marxista ha disegnato la figura dell’operaio, quale è modernamente acquisita dalla nostra coscienza : l’operaio produttore di benessere e ricchezza, collaboratore essenziale nella
grande opera del vivere civile, riconosciuto tale
▪ 17 ▪
■ Keiron. Pedagogia 2.0
dalla società agli effetti dei suoi valori morali ed
economici, avente diritto moralmente ed economicamente a essere provveduto dei mezzi e
materiali necessari a compiere il suo lavoro.
Ora portiamo quest’idea nel nostro campo. Rendiamoci conto che il bambino è un operaio e che
il fine del suo lavoro è di produrre l’uomo. I genitori provvedono, è vero, a questo lavoratore i
mezzi essenziali di vita e di lavoro costruttivo,
ma il problema sociale nei riguardi dell’infanzia va considerato di ben maggiore importanza, perché il lavoro dei bambini non produce
un oggetto materiale, ma crea l’umanità stessa:
non una razza, una casta, un gruppo sociale,
ma l’intera umanità. Se si considera questo fatto, risulta chiaro che la società deve prendere in
considerazione il bambino, riconoscendone i diritti e provvedendo ai suoi bisogni. Quando noi
prenderemo la vita stessa a oggetto della nostra
attenzione e del nostro studio, potremo giungere a toccare il segreto dell’umanità e avremo
nelle nostre mani il potere di governare e aiutare l’umanità. Anche noi, quando parliamo di
educazione, predichiamo una rivoluzione, in
quanto grazie ad essa ogni cosa che noi oggi conosciamo verrà trasformata. Io considero questa l’ultima rivoluzione: una rivoluzione non
violenta, e tanto meno cruenta, che esclude anzi
ogni benché minima violenza, perché quando
vi fosse ombra di violenza la costruzione psichica del bambino sarebbe ferita a morte.
La costruzione della normalità umana va difesa. Tutti i nostri sforzi non hanno forse mirato
a rimuovere gli ostacoli sulla via dello sviluppo
del bambino e ad allontanarne i pericoli e le incomprensioni che lo circondavano?
Questa è l’educazione intesa come aiuto alla
vita; un’educazione dalla nascita, che alimenti
una rivoluzione scevra di ogni violenza e che
unisca tutti per un fine comune e li attragga verso un solo centro. Madri, padri, uomini di stato,
tutti converrano nel rispettare e nell’aiutare questa delicata costruzione, elaborata in condizioni
psichicamente misteriose, sotto la guida di un
maestro interiore. È questa la nuova luminosa
speranza dell’umanità. Non ricostruzione, ma
aiuto alla costruzione che l’anima umana è chiamata a condurre a termine, costruzione intesa
come sviluppo di tutte le immense potenzialità
di cui il bambino, figlio dell’uomo, è dotato.
(M. Montessori, La mente del bambino, Garzanti, Milano 1999, pp. 14-16.)
2. L’embrione spirituale
Ogni bambino ha in sé, fin dalla nascita, l’oscuro
progetto di quello che sarà, e che potrà realizzare solo
se troverà un ambiente favorevole, che gli offra il nutrimento culturale di cui ha bisogno senza soffocarlo
imponendogli un progetto estraneo. Di qui l’importanza dell’assoluto rispetto del bambino e della sua
autonomia.
Il fenomeno del bambino inerte alla nascita è
sempre stato constatato, dando luogo a riflessioni filosofiche: ma non ha finora attirato l’attenzione dei medici, né dei psicologi, né degli
educatori: è rimasto uno dei tanti fatti evidenti
per i quali non c’è altro da fare che constatarli.
Molti fatti restano così per lungo tempo messi
da un lato, chiusi a chiave tra i depositi del subconscio.
Nella pratica della vita consueta, però, queste
condizioni della natura infantile hanno portato molte conseguenze, che rappresentano un
gran pericolo per la vita psichica del bambino.
Esse hanno fatto pensare erroneamente che non
fossero passivi soltanto i muscoli, cioè che non
fosse inerte soltanto la carne: ma che il bambino
stesso fosse inerte, un essere passivo e vuoto di
vita psichica. E innanzi allo spettacolo magnifico sì, ma tardivo del suo manifestarsi, l’adulto
osò farsi la convinzione erronea di essere lui ad
avere animato il bambino con le sue cure, coi
suoi aiuti. Se ne fece un dovere e una responsabilità; l’adulto apparì a se stesso come il plasmatore del bambino e il costruttore della sua
vita psichica. Suppose di poter compiere dal di
▪ 18 ▪
■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
fuori un’opera creativa, dando stimoli, direttive
e suggestioni, affinché si svolgano nel bambino
intelligenza, sentimento e volontà.
L’adulto si è attribuito un potere quasi divino: ha finito per credere di essere lui il Dio del
bambino e pensò di se stesso come è detto nella
Genesi : «Io creerò l’uomo a mia immagine e somiglianza». La superbia è stato il primo peccato
dell’uomo: quel sostituirsi a Dio è stato la causa
della miseria di tutta la discendenza.
Infatti se il bambino porta in sé la chiave del
suo proprio enigma individuale, se ha un disegno psichico e delle direttive di sviluppo, esse
debbono essere potenziali ed estremamente
delicate nei tentativi di realizzazione. E allora
l’intervento intempestivo dell’individuo adulto, volitivo ed esaltato dal suo illusorio potere,
può cancellare quei disegni o deviarne le occulte realizzazioni.
L’adulto può veramente cancellare il divino disegno fin dalle origini dell’uomo, e sempre, di
generazione in generazione, l’uomo crescerà
deformato nella sua incarnazione.
Questo è il grande, è il fondamentale tra i problemi pratici dell’umanità. Tutta la questione è
qui: che il bambino possegga una vita psichica
attiva anche quando non può manifestarla, perché deve a lungo elaborare nel segreto le sue
difficili realizzazioni.
Questo concetto suggerisce una visione impressionante: quella di un’anima imprigionata,
oscura, che cerca di venire in luce, di nascere e
di crescere e che va a poco a poco animando la
carne inerte, chiamandola col grido della volontà, affacciandosi alla luce della coscienza con lo
sforzo di un essere che nasce. E nell’ambiente lo
attende l’altro essere dal potere enorme, gigantesco, che lo afferra e quasi lo stritola.
Nell’ambiente nulla è preparato per ricevere
quel fatto grandioso che è l’incarnazione di un
uomo: perché nessuno lo vede e perciò nessuno l’aspetta (non v’è nessuna protezione per lui,
nessun aiuto).
Il bambino che si incarna è un embrione spirituale che deve vivere a spese dell’ambiente,
ma come l’embrione fisico ha bisogno di un
ambiente speciale quale è il seno materno, così
questo embrione spirituale ha bisogno di essere
protetto da un ambiente esterno animato, caldo
d’amore, ricco di nutrimento: dove tutto è fatto
per accogliere e niente per ostacolare.
Una volta che sia compresa questa realtà, l’attitudine dell’adulto verso il bambino deve cambiare. La figura del bambino, embrione spirituale che si sta incarnando, ci scuote, ci impone
nuove responsabilità.
Quel corpicciuolo tenero e grazioso che adoriamo ricolmandolo di cure soltanto fisiche e che
è quasi un giocattolo nelle nostre mani, assume
un altro aspetto e incute riverenza. “Multa debetur puero reverentia”.
L’incarnazione avviene attraverso occulte fatiche: tutto attorno a questo lavoro creativo sta un
dramma sconosciuto, che non fu ancora scritto.
A nessun essere creato spetta quella sensazione faticosa del volere che ancora non esiste, ma
che dovrà comandare: e dovrà comandare cose
inerti, per farle attive e disciplinate. Una vita
incerta e delicata affiora appena alla coscienza,
mettendo i sensi in rapporto con l’ambiente, e
subito si propaga attraverso i muscoli, nel perpetuo sforzo di realizzarsi.
Avviene uno scambio fra l’individuo, o meglio
l’embrione spirituale, e l’ambiente; grazie ad
esso l’individuo si forma e si perfeziona. Cotesta attività primordiale, costruttiva, è analoga
alla funzione di quella vescichetta che nell’embrione fisico rappresenta il cuore, e che assicura
lo sviluppo e la nutrizione di tutte le parti del
corpo dell’embrione, in quanto si alimenta attraverso i vasi sanguigni della madre, suo ambiente vitale. L’individualità psichica si sviluppa e si organizza per l’azione di cotesto motore
in relazione con l’ambiente. Il bambino si sforza
di assimilare l’ambiente, e da tali sforzi nasce
l’unità profonda della sua personalità.
Questa lenta e graduale azione costituisce un
continuo appropriarsi dello strumento da parte
dello spirito, il quale deve continuamente vegliare, con sforzo, per la sua sovranità, affinché
▪ 19 ▪
■ Keiron. Pedagogia 2.0
il movimento non muoia nell’inerzia e non si
meccanizzi. Esso deve comandare continuamente affinché il movimento, libero dal dominio d’un
istinto fisso non conduca al caos. L’esercizio di
questo sforzo produce uno sviluppo sempre attivo di energia costruttiva e contribuisce all’opera
perpetua dell’incarnazione spirituale.
Così si forma, da sola, la personalità umana,
come l’embrione e il bambino si trasformano nel
creatore d’uomini, nel Padre dell’uomo.
In realtà, che cosa hanno fatto il padre e la madre? Il padre ha agito unicamente dando una
cellula invisibile. La madre, oltre a una cellula
germinativa, ha dato l’ambiente vivo adatto, con
i requisiti necessari alla protezione e allo sviluppo, affinché la cellula germinativa si segmentasse tranquillamente per attività propria, producendo il neonato inerte e muto. Quando si dice
che il padre e la madre hanno costruito il figlio,
si ripete un’espressione inesatta. Bisognerebbe
dire: l’uomo è stato costruito dal bambino: costui
è il padre dell’uomo.
Si deve considerare sacro lo sforzo occulto
dell’infanzia: quella laboriosa manifestazione
merita un’accogliente aspettativa, poiché in questo periodo di formazione si determina la personalità futura dell’individuo.
Da tale responsabilità nasce il dovere di studiare
e penetrare con approfondimento scientifico le
necessità psichiche del bambino e di preparargli
un ambiente vitale.
Siamo ai primi balbettii di una scienza che si
deve sviluppare molto, e alla quale l’adulto deve
fornire la collaborazione della sua intelligenza
per conseguire, attraverso lunghi sforzi, l’ultima parola nella conoscenza della formazione
dell’uomo.
(M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, Garzanti, Milano 1989, pp. 46-49.)
3. La disciplina attiva
Nella scuola tradizionale la disciplina è intesa come
silenzio ed ordine, cose che si possono ottenere con
dei bambini soltanto al prezzo dell’imposizione. nella
Casa dei bambini la libertà ha il solo limite del rispetto degli altri, e l’insegnante evita ogni intervento che
possa soffocare la spontaneità dei bambini.
Ecco un’altra obiezione facile nei seguaci della
scuola comune. Come ottenere la disciplina in
una classe di fanciulli liberi di muoversi?
Certamente nel nostro sistema abbiamo un
concetto diverso della disciplina; la disciplina,
anch’essa, deve essere attiva. Non è detto che
sia disciplinato solo un individuo allorché si è
reso artificialmente silenzioso come un muto e
immobile come un paralitico. Quello è un individuo annientato, non disciplinato.
Noi chiamiamo disciplinato un individuo che è
padrone di se stesso e quindi può disporre di sé
ove occorra seguire una regola di vita.
Tale concetto di disciplina attiva non è facile né a
comprendersi, né ad attuarsi ma certo esso contiene un alto principio educativo: ben diverso
dalla coercizione assoluta e indiscussa alla immobilità.
E’ necessaria alla maestra una tecnica speciale
per condurre il fanciullo su tale via di disciplina, ove esso dovrà poi camminare tutta la vita,
avanzando indefinitamente verso la perfezione.
Come il bambino, allorché impara a muoversi
anziché a star fermo, si prepara non alla scuola,
ma alla vita, sì che diviene un individuo corretto per abitudine e per pratica anche nelle sue manifestazioni sociali consuete; così il bambino si
abitua ora a una disciplina non limitata all’ambiente scuola, ma estesa alla società.
La libertà del bambino deve avere come limite l’interesse collettivo: come forma ciò che noi
chiamiamo educazione delle maniere e degli
atti. Dobbiamo quindi impedire al fanciullo tutto quanto può offendere o nuocere agli altri, o
quanto ha significato di atto indecoroso o sgarbato. Ma tutto il resto — ogni manifestazione
avente uno scopo utile qualunque essa sia e
sotto qualsiasi forma esplicata — deve essergli
non solo permesso, ma deve venire osserva-
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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
to dal maestro: ecco il punto essenziale. Dalla
preparazione scientifica il maestro dovrebbe
acquisire non solo la capacità, ma l’interesse di
osservatore dei fenomeni naturali. Egli nel nostro sistema dovrà essere un “paziente” assai
più che un “attivo”; e la sua pazienza sarà composta di ansiosa curiosità identifica e di rispetto
al fenomeno che vuole osservare. Bisogna che il
maestro intenda e senta la sua posizione di osservatore.
Tale criterio conviene riportare nella scuola dei
piccini, che dispiegano le prime manifestazioni
psichiche della loro vita. Noi non possiamo sapere le conseguenze di un atto spontaneo soffocato quando il bambino comincia appena ad agire: forse noi soffochiamo la vita stessa. L’umanità
che si manifesta nei suoi splendori intellettuali
nella tenera e gentile età infantile, come il sole si
manifesta all’alba e il fiore al primo spuntar di
petali, dovrebbe essere rispettata con religiosa
venerazione: e se un atto educativo sarà efficace, potrà essere solo quello tendente ad aiutare
il completo dispiegamento della vita.
Per far questo è necessario evitare rigorosamente l’arresto di movimenti spontanei e l’imposizione
di atti per opera d’altrui volontà: a meno che non
si tratti di azioni inutili o dannose, perché queste
devono essere soffocate, distrutte.
(M. Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 1999, pp. 53-55.)
4. Il materiale
Il materiale scientifico montessoriano si occupa dello sviluppo sensoriale, e per questa via favorisce il
più generale risveglio dell’intelligenza, consentendo
anche al bambino di mettere ordine negli stimoli che
provengono dall’ambiente.
Il nostro materiale per lo sviluppo dei sensi ha
una storia sua propria. Rappresenta una selezione, basata su accurati esperimenti psicologici, del materiale usato da Itard e Séguin nei loro
tentativi di educare bambini deficienti e mentalmente menomati, degli oggetti usati come prove in psicologia sperimentale e di una serie di
materiali da me designati nel primo periodo del
mio lavoro sperimentale. Il modo con cui questi differenti mezzi furono usati dai bambini, le
reazioni in essi provocate, la frequenza con cui
essi usarono questi oggetti, e soprattutto lo sviluppo che essi resero possibile, ci offrirono man
mano criteri degni di fiducia per la eliminazione, la modifica e l’accettazione di questi mezzi
come materiale delle nostre scuole. Colore, dimensioni, forma, insomma tutte le loro qualità
furono sperimentalmente stabilite. Poiché in
questo libro non trattiamo di questo periodo
del nostro lavoro, vale la pena di menzionare
questo fatto.
Per evitare malintesi e confutare le critiche
espresse dopo che il nostro metodo fu noto in
tutto il mondo, può essere egualmente utile stabilire lo scopo della nostra educazione dei sensi.
L’ovvio valore dell’educazione e del raffinamento dei sensi, allagando il campo della percezione, offre una sempre più solida e ricca base allo
sviluppo dell’intelligenza. Per mezzo del contatto e dell’esplorazione dell’ambiente l’intelligenza innalza quel patrimonio di idee operanti, senza le quali il suo funzionamento astratto
mancherebbe di fondamento e di precisione, di
esattezza e di ispirazione. Questo contatto è stabilito per mezzo dei sensi e del movimento. Se
è possibile educare e raffinare i sensi, anche se
ciò è soltanto un’acquisizione temporanea nella
vita degli individui che più tardi non li usano
in modo così ampio e costante come in certe
professioni specificamente pratiche e sensoriali, il valore di questa educazione dei sensi non
diminuisce, perchè proprio in questo periodo di
sviluppo si formano le idee fondamentali e le
abitudini dell’intelligenza.
Vi è anche un altro lato importante di questa
educazione. Il bambino di due anni e mezzo o
tre che viene alle nostre Case dei Bambini ha,
negli anni precedenti della sua vita molto attivi
e mentalmente svegli, accumulato e assorbito
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■ Keiron. Pedagogia 2.0
una quantità di impressioni. Questo notevole
fatto, la cui importanza può essere difficilmente esagerata, avvenne, però, senza alcun aiuto
o guida dall’esterno. Impressioni essenziali e
casuali sono tutte accumulate assieme, creando
una confusa, ma considerevole ricchezza nella
sua mente subcosciente.
Con il graduale manifestarsi della consapevolezza e della volontà diventa imperativo il bisogno di creare ordine e chiarezza e distinguere
tra l’essenziale e il casuale. Il bambino è maturo
per una riscoperta del proprio ambiente e della
ricchezza interiore di impressione che ne ha riportato. Per rendersi conto di questo bisogno,
il bambino richiede una esatta guida scientifica,
come quella resa possibile dalla nostra dotazione strumentale e dai nostri esercizi. Egli può essere paragonato a un erede inconscio dei grandi tesori che possiede, ansioso di apprezzarli
attraverso la conoscenza di un esperto di professione, e di catalogarli e classificarli, in modo
d’averli a sua piena ed immediata disposizione.
Se par possibile il dubbio sulla permanenza di
un’accresciuta e raffinata attività sensoriale in
certe sfere d’azione della vita, quest’ultimo fatto sembra certo un’acquisizione della massima
durata. Generalmente il primo scopo dell’educazione dei sensi è stato considerato come la
ragione dell’importanza attribuitale nel nostro
metodo, mentre il secondo non è per noi inferiore, anzi è in realtà il suo primo motivo. La nostra esperienza e quella dei nostri seguaci sono
soltanto servite ad avvalorare la nostra idea.
In conclusione possiamo menzionare il grande
servigio reso dal nostro materiale sensoriale e
dagli esercizi eseguiti con esso per la scoperta
di difetti nelle funzioni dei sensi in un periodo
in cui può ancora esser fatto molto per porvi rimedio.
Il materiale sensoriale è costituito da un sistema di oggetti, che sono raggruppati secondo
una determinata qualità fisica dei corpi — come
colore, forma, dimensione, suono, stato di ruvidezza, peso, temperatura, ecc. Così, p. es.: un
gruppo di campane riproducono i toni musica-
li; un insieme di tavolette che hanno differenti
colori in gradazione; un gruppo di solidi che
hanno la stessa forma e graduate dimensioni: e
altri che invece differiscono tra loro per la forma
geometrica; cose di differente peso e della medesima grandezza: ecc., ecc.
Ogni singolo gruppo rappresenta la medesima
qualità, ma in gradi diversi: si tratta quindi di
una graduazione dove la differenza tra oggetto
e oggetto varia regolarmente ed è, quando possibile, matematicamente stabilita.
Simile criterio generico va però soggetto a una
determinazione pratica che dipende dalla psicologia del bambino e sarà scelto con l’esperienza, come adatto a educare, solo un materiale che
effettivamente «interessa» il piccolo bambino e
lo trattiene in un esercizio spontaneo e ripetutamente scelto. Ogni gruppo di oggetti — materiale dei suoni, materiale dei ecc. — presentando una graduazione, ha dunque agli estremi il
«massimo» e il «minimo» della serie, che ne delimitano i limiti, i quali, più propriamente, sono
fissati dall’uso che ne fa il bambino. Questi due
estremi, se avvicinati, dimostrano la differenza
più palese che esista nella serie e perciò stabiliscono il più spiccato contrasto che sia reso possibile col materiale. Il contrasto essendo rilevante
rende evidenti le differenze e il bambino anche
prima di esercitarsi è capace di interessarsene.
(M. Montessori, La scoperta del bambino, cit., pp. 109111.)
5. La prima educazione
linguistica
Per Rosa Agazzi l’educazione linguistica deve partire dalla valorizzazione del patrimonio conoscitivo e
linguistico che il bambino già possiede quando va a
scuola. Fondamentale è il ruolo dell’educatrice, che
dovrà avere una pronuncia impeccabile e scegliere gli
esercizi più adeguati per i bambini.
Nella ristretta cerchia della sua vita, il bambi-
▪ 22 ▪
■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
no incontra una considerevole quantità di cose
di cui la famiglia e la scuola gl’insegnano il
nome. Non è quindi necessario, e tanto meno
opportuno, esercitandolo nel linguaggio, uscire
dall’ambito delle cose note. Anziché affaticare
la memoria coll’estendere soverchiamente la
conoscenza di nuovi nomi, conviene insistere
sulla pronuncia chiara di quelli che il bambino
già conosce o sente ripetere dalle persone che lo
circondano.
Non si dimostrerà mai abbastanza come le cose
si presentino all’occhio e alla osservazione del
bambino sotto molteplici aspetti, a seconda
dell’esercizio col quale lo si intrattiene. Un oggetto può dare motivo a percezioni e intuizioni
di qualità, di quantità, di forma, di uso ecc.; ed
è appunto dall’incontro di cose note e di percezioni nuove che il linguaggio nasce spontaneo e
le idee si associano.
La pronuncia
Saper pronunciare è condizione indispensabile
per saper parlare.
L’educatrice che non dà la dovuta importanza
all’emissione della parola, trascura una parte
del suo compito, che è quello di porre le basi
per facilitare al futuro alunno della scuola elementare l’apprendimento dell’alfabeto.
L’acquisto di una buona pronuncia abbraccia,
come nell’insegnamento del canto, la funzione
uditiva e la ginnastica dei muscoli labiali. La
percezione uditiva riceve chiarezza dalla viva
voce dell’educatrice ed è rafforzata dalla percezione visiva: due stimoli contemporanei che
invitano la voce e le labbra dell’alunno alla ripetizione della parola udita e apparsa sulle labbra
della maestra.
Nell’insegnamento della lingua, due fattori
sono indispensabili:
a) l’educatrice che sa, e sa farsi imitare; b) la
scelta dell’esercizio.
Purtroppo,
nell’insegnamento
linguistico
come in qualche altro ramo dell’educazione
infantile, si nota ancora un grande empirismo.
Chi scrive avverte il difetto senza avere la pre-
tesa di saperne suggerire il rimedio. E lo avverte, anzitutto, per mettere sull’avviso chi va preparando le nuove educatrici, affinchè si dia la
necessaria importanza a questa preparazione.
Educatrice, fammi sentire come parli e ti dirò come
insegni la parola.
Alcune maestre, da troppo tempo avvezze a
parlare in fretta, a ingoiare sillabe, a non dare
alla parola il naturale accento, alla frase la dovuta espressione, alle riprese di fiato la necessaria importanza, avrebbero bisogno, più che di
consiglio, di scuola. Quanto ne avvantaggerebbero i nostri scolari! Questi e, per conseguenza,
il popolo non potranno mai liberarsi dai naturali difetti se l’insegnante stessa non sente la necessità di dar forma e colore alla parola.
La chiarezza della pronuncia si ottiene coll’esercizio.
Cominciamo pertanto col dire che non dobbiamo soverchiamente preoccuparci se il bambino
è talvolta privo di qualche consonante: in questo difetto bisogna lasciar fare al tempo. Il tardivo, però, verrà utilmente aiutato dall’educatrice mediante esercizi individuali o collettivi, di
breve durata, poiché si sa che non saranno mai
divertenti.
L’esercizio diverte quando ha principio da
una sensazione. Le cose, scelte con opportunità, vengono in nostro soccorso: nel loro nome,
esse presentano gli elementi della parola: vocali, consonanti, sillabe, accenti; più le sappiamo rendere attraenti e varie nei loro caratteri di
grandezza, di piccolezza, di forma, di colore, di
materia, più il bambino si sente disposto a ripeterne il nome.
Nello stabilire, in questi esercizi, una gradazione metodica, ci accorgiamo che la nostra lingua
non ci permetterebbe egualmente di segnare
una base concreta, quale risulta, ad esempio,
quella di una raccolta di cose dal nome monosillabo.
Assai proficuo sarebbe esercitare il bambino ad
unire la vocale a una sola consonante. Offrirgli, cioè, un gruppo di nomi risultanti da tutta la serie delle sillabe di cui la nostra lingua è
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■ Keiron. Pedagogia 2.0
ricca. Queste sillabe isolate, vale a dire emesse
con una sola apertura delle labbra, faciliterebbero assai la via all’apprendimento delle parole
complesse. I monosillabi nostri, invece, hanno
significato astratto. L’educatrice inizi l’esercizio
del linguaggio approfittando di quelli che offrono qualche interesse ai sensi del bambino: la ripetizione del verso di qualche animale: muh!...
- co... co... - be... - bu... bu...; qualche voce avverbiale accompagnata dall’azione: su, giù; qua, là;
no, sì; qualche pronome: tu, te...; voci esclamative: oh!, ah!, uh!, ih!, eh!, sempre accompagnate
dal gesto.
Un ripiego, s’intende, tanto per prendere le
mosse da monosillabi, perchè il bambino possa
sperimentare (e all’osservazione del fatto lo dovrà portare l’educatrice stessa) come le parole
sono formate di parti, ciascuna delle quali vuole
una propria apertura delle labbra. La bocca si
muove una, due, tre, quattro o più volte, a seconda che la parola è più o meno lunga. Non
si creda che il bambino si disinteressi dell’esperimento, che anzi lo attrae al punto ch’egli ne
fa oggetto di passatempo coi compagni; e non
è raro il caso che dia luogo a qualche divergenza, sulla quantità delle parti di cui una parola
si compone. L’educatrice, sempre vigile, approfitta di questi casi per portare luce e ritornare
sull’esercizio.
Il museo delle cianfrusaglie agazziano costituisce
una riserva di materiali di origine umile, che si rivelano preziosissimi se usati in modo creativo grazie
all’inventiva dell’educatrice.
è facile conciliare l’idea di abbondanza coll’idea
di economia. All’opposto, qui s’intende parlare
di un museo accessibile a tutte le borse, perché
si vuol applicare un grande principio ormai in
disuso: Nessuna cosa è inutile quando si sappia
trarne benefico vantaggio.
Oh non dubiti, l’educatrice! Io le auguro, sì, i
mezzi pecuniari per procurarsi una bella collezione di animali artificiali, e minuscoli mobili
di casa, e arnesi da lavoro; le auguro di poter
sperimentare i migliori ritrovati per esercitare
i sensi; le auguro del denaro, insomma. Ma tutto sta nel saperlo spendere a dovere, per non
ingrossare le file di certe educatrici solite a
profonderlo in oggetti inutili, in capricci d’occasione, in istrumenti scientifici che non sanno
adoperare, in enormi bambole ricche di riccioli
e di abiti di seta, anche laddove i bimbi che le
debbono guardare non hanno la possibilità di
cambiarsi la camicia. In certi casi è da preferirsi
la povertà alla disponibilità di denaro scompagnata dal discernimento.
Tornando a noi, il nostro museo non costa nulla:
si potrebbe perfino chiamarlo il “museo dei poveri”, se non avesse il pregio di giovare quanto
e più di quello dei ricchi.
Non me ne faccio un merito: intendo invece attirare su di esso l’attenzione delle giovani educatrici, perchè si guardino dall’imparare il noto
ritornello : “Non si può far nulla, perchè manca
il museo”.
Manca il museo? Ebbene, io v’insegno a prepararlo. Prima, però, guardiamoci bene in faccia.
Siete voi educatrici da senno o da burla? Volete
far carriera lavorando o facendovi rimorchiare?
Se appartenete alla seconda specie, andate pure;
il mio consiglio non è affare per mestieranti.
No? Siete un’anima buona, felice di poter dare
il vostro contributo all’educazione dell’infanzia? Oh, allora venitemi accanto, ch’io sarò lieta
d’insegnarvi tante piccole cose.
Si è accennato poc’anzi, e non a caso, a un museo abbondante. L’espressione potrebbe far venir meno qualche buona intenzione, poiché non
a) Il materiale
Stabilito il principio che nessuna cosa è inutile,
cominciamo col mettere in serbo tutto ciò che
(R. Agazzi, La lingua parlata, La Scuola, Brescia 1952,
pp. 149-152.)
6. Un museo che
non costa nulla
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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
passa sotto il nome di “inezia” e che, probabilmente, potrebbe finire fuori della finestra.
Naturalmente per questa raccolta si deve badare
che le cose sian pulite e di piccole dimensioni,
condizione quest’ultima necessaria per poterle
raggruppare e collocare in armadi o sopra mensole.
Ecco, pertanto, alcuni elementi della raccolta:
scatolette, bottoni, semi, noccioli, tubetti, fili, fettuccine, figurine, boccette, tappi, campionari di
tessuti, di carte, ninnoli vari, palline, vasetti, sacchetti, cartoline ecc.
Materie varie: cera, ferro, stagno, marmo, legno,
pelle, vetro ecc.
Si aggiunga a queste cose tutto quanto ci può fornire il lavoro manuale (anche dell’educatrice), e
cioè: frutta di creta, fiori e foglie artificiali, piccoli
indumenti, parecchi utensili di casa, borsette e
cestini, forme ritagliate in carta o in cartoncino
ecc.
La piccola industria, oggi, offre anch’essa cosucce utili e graziose a prezzo irrisorio. Come si può
non approfittarne? Nel nostro museo, un tavolinetto, una sedia da pochi soldi, diverranno motivi di linguaggio e di confronti, fonte di attività
immaginativa.
L’arte di educare non deve avere preconcetti di
mezzi: più si serve di mezzi semplici, più si avvicina ai bisogni delle classi meno abbienti; ne arricchisce l’intelligenza, perchè la piega all’osservazione delle umili cose, le quali sono, della vita,
parte non trascurabile; alimenta e disciplina le
facoltà immaginative, perchè insegna al fanciullo ad apprezzare e a giovarsi, ne’ suoi giuochi,
anche delle cose che sono poco più del nulla.
care.
Quando l’educatrice pone in mano ai bambini
una cosa, deve tosto rammentare che in essi parla la voce dell’istinto [dell’impulso]. Non invano
si è accennato altrove a un graduale esercizio di
contatto colle cose. Oh, guai a chi credesse di poter affidare agli educandi questo o quel materiale
qui menzionato, senza la necessaria preparazione!
Le cose, nel nostro caso, sono mezzi di cui l’educatrice si serve per insegnare al fanciullo a superare la
lotta fra ristinto [l’impulso] che s’impone e la ragione
che si va facendo strada.
Il gesto, il consiglio, la parola persuasiva, l’esempio dell’educatrice sono le sentinelle pronte a
prevenire o a correggere qualche mossa disordinata; talvolta a reprimere un volontario atto
scompi-gliatore. Reprimere? In certi casi, sì. Il
transigere, in chi educa, talvolta, quando non è
comoda scappatoia, è sintomo di debolezza: due
cause che effettuano il ritardo di una conquista.
Avvedutezza ci vuole, energia e spirito di sacrificio.
Perciò qualsiasi metodo o sistema sarà sempre lettera
morta se chi è chiamato a educare non avrà dianzi appreso l’arte di disciplinare se stesso e le proprie anioni.
Il contegno della maestra-educatrice deve essere
inappuntabile: situazione morale che imprime
responsabilità a ogni suo atto che non sia conforme alla parola educazione, presa nel suo più
largo significato.
Il maestro non può insegnare se non quello che
sa: l’educatore non può mostrarsi all’educando se non
attraverso il proprio costume.
(R. Agazzi, La lingua parlata, cit., pp. 38-41.)
b) L’uso del materiale
È più facile preparare un museo che saperlo adoperare.
Chi inventa un esercizio non fa che seguire un
impulso dell’intuizione; e lo sforzo mentale ha
termine all’apparire dell’idea snebbiata. Ma chi
lo deve applicare, se ha stoffa di educatore, deve
sempre coordinare uno scopo didattico a finalità educative. Egli segue il concetto dell’istruire per edu-
7. Socievolezza
Nel testo che segue sono indicati alcuni degli esercizi
utilizzati nella scuola materna agazziana per favorire
la socialità ed il rispetto dell’altro.
La scuola di grado preparatorio accoglie bambi-
▪ 25 ▪
■ Keiron. Pedagogia 2.0
ni che vengono da diverse classi sociali. Si trova
fra essi il buono, il meno buono, il dispettoso, il
docile, il caparbio, il gentile per contratte abitudini famigliari, il rozzo figlio della strada, il
sudicio, il pulito, il prepotente, l’indifferente,
l’egoista, il timido, il sofferente... e via sulla scala dei difetti naturali e acquisiti.
Salta subito all’occhio la necessità di creare intorno a questa massa eterogenea, ancora estranea all’uso della ragione, un’atmosfera che sia
per tutti respirabile, un’atmosfera permeata di
sana libertà in cui l’arte della educatrice, infiltrandosi nel giuoco, mira a raggiungere un primo stato di equilibrio fra le varie manifestazioni
di vita, condizione questa indispensabile nella
preparazione dell’ambiente educativo. Si tratta
di far giungere all’animo infantile le prime sensazioni di una vita basata sull’ordine, ovunque
frutto di tolleranza, di generosità, soprattutto di
reciproco rispetto.
Per chi, leggendo il titolo — “Socievolezza” —
a capo di questo primo gruppo di esercizi, non
trovasse il nesso logico col titolo del libro, è utile dire subito che socievolezza qui è un insieme
di giuochi, esercizi, lezioncine occasionali diretti a stabilire rapporli di affettività fra la piccola
società infantile, unico plausibile punto di partenza per gettare i primi rudimenti del diritto e
del dovere.
Le cose, le azioni verranno in aiuto dell’educatrice. Non v’ha motivo, sia pure di poco rilievo,
che non offra materia d’intrattenere la mente
del bambino, per natura proclive alla curiosità.
Una palla, un rumore, una scatola che si capovolge, un’ondata di vento che fa sbattere le invetriate, una moneta, un vestito nuovo, un bambino che strilla, son tutte cause che fermano la
di lui attenzione, punto di appoggio su cui la
maestra dirige la sua tattica di educatrice.
Non è vero che si educhi facendo ai bimbi lunghe chiaccherate intorno a cose e a fatti nuovi; talora poche parole, un gesto, una mossa
espressiva dello sguardo sono più che sufficienti per suggestionarne lo spirito. Come sapete
che hanno penetrato il vostro pensiero? Un im-
provviso silenzio, un drizzarsi repentino della
testa, l’intensità dello sguardo, l’involontaria
imitazione dell’espressione del vostro viso, un
lungo respiro finale sono atti rivelatori di movimento psichico.
E se ha capito, perchè tace il bambino?
Per la semplice ragione che non sa ancora esprimersi colla parola il proprio pensiero: questo è
quanto ci proponiamo di insegnargli dopo che
gli avremo spianata la via alla socievolezza. E’
bene però tener présenle che l’esercizio della socievolezza non deve essere ristretto da confini
di tempo, né da limite di lezioni. Se v’ha scuola
senza confini è questa e se v’ha ramo dell’educazione meno coltivato nella famiglia e nella
scuola è ancora questo. Non creda l’educatrice
di perdere tempo occupandosene!
La massima “istruire per educare” dovrebbe
trovar posto in ogni momento della vita scolastica. (...)
La palla
M. Chi vuol giocare con me? Tutti?... Verrete
uno alla volta. Giocheremo con questa palla.
Come la chiamate voi — la balla? — No, non va
bene dire balla, diciamo tutti: palla. — Virginio,
va là in fondo alla scuola. Che vuoi da me? - V.:
La palla. - M.: E tu, Emilio, che vuoi? - E.: La
palla.
Un po’ per uno
M.: Ora giocheranno insieme due bambini, Firmo e Nicola. Firmo, ecco la palla, lanciala verso Nicola e di’ con bella voce: Nicola, prendi la
palla! — Adesso a te, Nicola, lanciala qui e dì a
Firmo: Firmo, prendi la palla! (Dopo una breve
partita la M. invita i due bambini a cedere ad
altri il balocco).
Egoista (Lezione occasionale)
Un bambino: Voglio giocare sempre io! — M.:
Sei bravo, tu, di giocare? - B.: Sì. — M.: Fammi
vedere! (Mentre il bambino giuoca, la maestra
toglie dall’armadio una palla più bella e la porge ad un bambino d’indole buona). — M.: A te,
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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
Clemente, fa giocare Catina. — Il bambino: La
voglio io quella palla lì! Subito! - M.: No, caro,
questa che hai tu è la palla per i bambini che
non la voglion dare agli altri e quella è la palla
che si dà ai bambini che lasciano giocare anche i
compagni. Diventa buono e te la darò.
Sì, no
Ogni mattina la M. osserva le mani e la faccia
dei bambini. — M.: Ti sei lavato le mani? (Insegna a rispondere sì o no); non castiga per non
abituare i bambini a mentire.
Alcuni vogliono che i bambini rispondano sissignora, nossignora. In omaggio all’uso e alla
deferenza, col tempo si potrà insegnare anche
il sissignora e il nossignora, ma per il momento
contentiamoci del sì e del no. Dopo tutto queste
sono le risposte più naturali e più brevi che noi
possiamo dare, senza mancare di rispetto a chichessia.
M.: E la faccia l’hai lavata? Ti sei anche fatto
pettinare? Toccate la faccia; che è? Mostrate le
mani; che sono? E’ sporca la vostra faccia? E’
netta? E le mani come sono?
Pulire il naso
M.: Vedo delle belle faccine e delle belle manine, ma vedo anche dei nasi sporchi. Non avete
il fazzoletto? Fatelo vedere. Come lo chiamate
voi? (Indicando il fazzoletto). Dobbiamo pulire
il naso tutti insieme? Io faccio così (Fa vedere).
E voi, come fate? (Corregge).
Quando il naso è netto, il fazzoletto si mette via
subito. Dove lo mettete? Dove l’avete messo?
Che è questa? (La tasca). Che cosa avete messo
in tasca? (Sempre il dialetto prima e l’italiano
poi).
Non vogliamo fanciulli sporchi
M.: Avete mai visto dei bambini che mettono
le mani in bocca? O le dita nel naso? O che si
grattano la testa? O che prendono i piedi con
le mani? O che tengono il moccio al naso? Vi
piacciono? Oh, io non li posso soffrire! Come
sono schifosi! Emilio, (bambino della III se-
zione) vieni qui; quando vedi un bambino che
porla le mani alla bocca, che dici tu? — E.: Via
la mano dalla bocca! — M.: Bravo, così si dice.
Ascolta, Luigia (della III sezione); se tu vedrai
un bambino, col moccio al naso, non gli dirai
niente? — L.: Sì, dirò: pulisci il naso col fazzoletto! (Altre domande simili ad altri bambini della
sezione superiore prima e ai piccini poi. E’ utile
far accompagnare le parole con qualche gesto
espressivo della mano).
Alla bottega (Giuoco)
I bambini (un grande con un piccolo per mano)
vanno a fare spesa dalla Maestra, con soldi di
carta. Un giorno la Maestra vende frutta, altra
volta pane, caramelle, fagioli ecc.
Bambini: Per piacere, tre soldi di fagioli.
M.: Ecco tre soldi di fagioli. (Fa un cartoccetto
con fagioli veri, o con ghiaia, e li porge).
Bambini: Grazie! Buon giorno!
Sporchi, non si entra
M.: Ah! Carlino stamattina non si è lavato! Non
sei un bel bambino, veh, oggi! (Ai bambini) Vi
piace toccare queste mani? — B.: No! - M.: Dare
un bacio su questa faccia? — B.: No! - M.: Nemmeno a me piace. Presto, presto, dell’acqua...
Lavati, Carlino, altrimenti oggi ti tocca star fuori di scuola. Noi non li vogliamo i bambini sporchi!
Dove sarà?
(I bambini sono sempre disposti su due schiere,
senza più attenersi alla distinzione dei sessi).
M. : Io vo’ cercando una bambina che ho perduto. Si chiama Cesira: dove sarà mai? (La bambina corre dalla maestra dicendo: Sono io, Cesira;
oppure sono io la bambina che avete perduta. I
piccolini potranno dire semplicemente: “Eccomi!” Ritornello...).
Visite
(La maestra manda una parte dei bambini fuori
di scuola, e dice agli altri):
M.: Questa sarà la vostra casa: i bambini che
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■ Keiron. Pedagogia 2.0
sono fuori verranno, uno alla volta, a trovarvi.
Sarete voi gentili nel salutarli? E farete sentire
chiaro il loro nome?
I bambini rientrano, e ciascuno alla sua volta domanda: E’ permesso? -—I compagni, che
sono rimasti in sala, rispondono: Avanti! Addio,
Carlo; addio, Maria; addio, Elisa; ecc.
Saggio di memoria
La Maestra nasconde un bambino e fa cenno a
parecchi di uscire di scuola. Il bambino nascosto
si presenta e dice il nome dei compagni assenti.
Tutti in azione
E’ utile e divertente far eseguire delle azioni o
finte azioni senza che i bambini sappiano sempre esprimerle con parole.
M.: Dobbiamo portar da beccare alle galline?
Dobbiamo salutare quelli là che passano? Dobbiamo scaldare le mani ai più piccini, che sono
fredde? Dobbiamo mangiare la pappa? Scaldare le nostre mani? Lavare la faccia? Spolverare
il vestito? ecc.
Si soccorra chi cade
Una fra le azioni che nella Scuola materna è bene
far eseguire frequentemente è quella di rialzare
un compagno che cade. Per solito, il bambino
che vede cadere una persona si mette a ridere,
pessima abitudine che si riscontra anche fra gli
adulti.
La Maestra un giorno insegna ai bambini il giuoco “Piè zoppo”. E’ impossibile che tutti sappiano dare saggio di equilibrio prolungato. Perciò
ecco là bambini che cadono. La Maestra corre a
rialzarli, a pulirli se si sono impolverati, a domandare se si sono fatti male, poi cerca di ottenere il silenzio.
M : Questo giuoco è carino, vi fa saltellare come
tanti passerini, ma sarebbe ancora più bello se
qualcuno di voi andasse a rialzare i bambini caduti.
Avete visto che ci vado sempre io? Rincresce a
me che si facciano del male, poveri piccini! Sentite, prima di continuare questo giuoco, faccia-
mone un altro. (Sceglie alcuni bambini). Questi
bimbi faranno una corsa e ad un mio cenno cadranno tutti in terra; noi andremo a rialzarli, a
pulire i loro indumenti, a domandare se si son
fatti male. Se qualcuno si fa male, conducetelo a
me, penserò io a guarirlo. In questa scatola (mostra una scatola) tengo tante cose che possono
fare del bene alle persone che si fanno del male.
Proviamo?
(R. Agazzi, Come intendo il museo didattico, La Scuola,
Brescia 1976, pp. 13-25.)
8. Cos’è la Rinnovata
Nel testo che segue Giuseppina Pizzigoni presenta
sinteticamente, nelle sue lezioni ai maestri, la storia
e l’impostazione pedagogica della Rinnovata. Si noti
l’insistere sul tema dell’italianità, che è diventato
centrare con l’avvento del fascismo.
Ed ora vi dirò in sintesi che cosa è la “Rinnovata”.
E’ sorta quale esperimento di differenziazione
didattica per virtù del Comune di Milano, del
Ministero dell’Educazione, della Cassa di Risparmio e di un gruppo di benemeriti cittadini
che hanno ascoltata la mia voce.
Oggi è una scuola speciale del Comune, sorretta da una Associazione, che si appoggia ad Enti
statali, ad Enti locali e ai propri soci.
La “Rinnovata” non è già figlia di lunghi studi
e di profonde meditazioni; essa è la traduzione
pratica del mio intuito pedagogico. E però ha
dato il la alla riforma del ‘23.
Avrei, è vero, potuto scrivere in un volume le
mie idee; ho preferito fare una scuola, sicura
che il fatto compiuto e imponente sarebbe stato
più persuasivo che non le parole.
E penso con commozione a quei maestri che già
hanno portato il mio pensiero nel Veneto e in
Sicilia, in Piemonte e in Sardegna, a Ravenna e
nel Lazio, in Valle d’Aosta e lungo la Riviera,
e sui monti e in riva ai laghi e nelle Colonie di
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■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
questa nostra Italia benedetta, per la quale mi è
gioia aver dato la parte migliore di me.
Il mio pensiero pedagogico?
E’ necessario crescere i nostri ragazzi forti fisicamente e spiritualmente; crescerli buoni ed
anche istruiti.
E’ necessario allargare il nostro concetto di scuola fino a sentire che scuola è il mondo.
E’ necessario convincersi che ogni cosa, ogni fatto, ogni uomo che venga a contatto col bambino
gli è maestro.
E’ necessario che il maestro di classe veda il suo
compito precipuo nel procurare questi sani contatti, affinchè da essi derivi quel fatto di suprema bellezza che è l’educazione.
E’ necessario sostituire al verbalismo scolastico
l’esperienza personale del ragazzo, quale mezzo di apprendimento; esperienza guidata dal
maestro sui centri spontanei di interesse per il
bambino, quali: il lavoro in genere, la ricerca individuale, la terra, gli animali, le piante; la verità sempre.
E finalmente è necessario convincersi che la
Scuola d’Italia deve preoccuparsi di formare
gl’ltaliani.
S. E. il Ministro dell’Educazione Nazionale lasciò scritto nel 1923 in un album della “Rinnovata”, in seguito a una sua attenta visita:
“Con viva ammirazione per questa scuola di libertà
e di disciplina, di verità e di attività, di religiosità e
di nazionalità”.
Egli ha così riassunto il Programma della “Rinnovata”.
Infatti gli scolari della “Rinnovata” sono liberi
di adempiere al loro dovere; nella “Rinnovata”
si vive la vita e si studia la vita: base della vita e
dello studio è la verità trascendentale, la verità
scientifica, la verità morale: verità sempre! Mezzo del metodo di apprendimento è l’attività del
ragazzo.
L’educazione religiosa e l’educazione con carattere nazionale sono la base, il punto di partenza
e lo scopo di tutto il nostro lavoro educativo.
La “Rinnovata” è scuola gioconda, scuola viva,
perchè è scuola di vita e non di parole.
Oggi la “Rinnovata” è fra le opere di profilassi
antitubercolare, perchè è scuola all’aperto per i
ragazzi normali. (...)
Nel 1921 il voto del Congresso di igienisti tenutosi a Trento fu il seguente:
“Tutte le scuole d’Italia dovrebbero trasformarsi sul
tipo della “Rinnovata” di Milano, perchè l’Italia possa avere la scuola igienica per tutti i suoi bambini”.
Oggi la “Rinnovata” è anche indicata come un
modello di scuola rurale, per lo sviluppo che
ha dato allo studio dell’agricolture, così da innamorare dei lavori dei campi figli di operai
dell’officina.
Che cosa è la “Rinnovata”?
E’ un’istituzione nata nel 1911 umilmente in due
piccoli padiglioni döcker sperduti fra i campi e
gli orti operai della Ghisolfa e in povertà francescana, ma subito sorretta da personalità non
dubbie: l’astronomo Giovanni Celoria, il noto
neurologo Prof. Eugenio Medea, il noto psicologo Dott. Zaccaria Treves, il poeta Giovanni
Bertacchi, gl’industriali Paravia, Marelli e Bisleri, per dirvi i nomi dei primissimi.
Perchè volli la “Rinnovata”?
La volli per un bisogno del mio spirito, tediato
dalla vita scolastica del tempo;
per amore grande ai bambini, che sentivo sacrificati fisicamente e intellettualmente;
per amore grande al mio Paese, il quale deriva
la sua forza dalla gioventù sana e ben preparata
alla vita.
In che consiste la “Rinnovata”?
Come nel 1911, allorchè sorse, le ragioni della
sua vita sono oggi le stesse:
combattere, stroncandolo alla radice, il verbalismo scolastico; utilizzare ai fini dell’educazione
l’attività fattiva dei bambini;
tenere in gran conto la personalità dei singoli,
pure non dimenticando la collettività;
educare il ragazzo senza trascurare nessuna
delle sue esigenze fisiopsichiche;
educare il ragazzo d’Italia;
orientare ed avviare il ragazzo italiano alla professione che risponda alla sua vocazione: ciò
che naturalmente esige la ricerca della vocazio-
▪ 29 ▪
■ Keiron. Pedagogia 2.0
ne dei singoli.
La “Rinnovata” non è già il lussuoso fabbricato che il Comune di Milano volle dare alla mia
scuola a testimonianza di quanto apprezzi il
mio lavoro. La “Rinnovata” è la riforma spirituale della scuola; quella riforma da me proposta e vissuta dal 1911 ad oggi, e che S. E. il
Ministro Gentile ordinò con la riforma a tutta
Italia nel 1923.
(G. Pizzigoni, Le mie lezioni ai maestri d’Italia, La Scuola, Brescia, 1961, prima lezione.)
9. La libertà di tempo
La libertà di tempo, una delle due libertà fondamentali della scuola di Agno (con la libertà di modo o di
metodo) consiste nel rispetto dei tempi di apprendimento e degli interessi degli studenti. Lasciati liberi,
essi giungono naturalmente a concentrarsi nello studio ed a lavorare.
Una volta due visitatrici forestiere mi domandarono quali erano nella scuola serena le cose più
importanti, alle quali dare maggior peso. Risposi che, una fra le altre, era la libertà di tempo.
Allora sorridendo mi dissero:
— “Oh! la libertà di tempo! L’abbiamo già anche noi. Sul nostro orario è scritto: dalle 2 alle 4
lavoro libero”.
Com’è difficile l’intendersi anche fra persone
che lavorano al medesimo fine!
La libertà di tempo (la liberté du moment) è cosa
ben diversa.
Quantunque rappresenti un sacrosanto diritto
del fanciullo, nelle scuole comuni non è rispettata. Nelle scuole comuni alle 9 il ragazzo deve
interessarsi all’aritmetica, alle 10 della lingua,
alle 11 della storia. Quando una specie d’interesse per l’aritmetica comincia a svegliarsi nel
fanciullo, trach!... Per un segno dell’orologio
l’interesse è spento; il ragazzo deve cominciare
ad interessarsi della lingua. Ma non è una macchina il fanciullo, che possa essere montata ad
ore! Ma l’interesse non è un ordigno che possa
farsi scattare a piacimento!
Eppure la libertà di tempo è un diritto sacrosanto del fanciullo, diritto che dovrebbe essere
garantito dal codice svizzero. Il ragazzo che è
interessato all’aritmetica, deve poter continuare
per ore ed ore o ; per giorni fino ad interesse
esaurito. Fino a tanto che dura l’interesse, un lavoro non deve essere interrotto; così come non
deve essere imposto di continuare un lavoro
quando l’interesse è esaurito.
Non è naturale, non è umano tagliare bruscamente un lavoro intellettuale nella sua massima tensione, né forzare l’intelletto a rivolgersi
verso un oggetto nuovo dal quale non è attirato
spontaneamente. Poi c’è un’altra legge principale che non bisogna trascurare, legge stabilita da
madre natura: la legge del compenso.
Quando un ragazzo ha fatto uno sforzo, deve
potersi riposare; per esempio dopo un lavoro d’aritmetica, l’alunno deve poter disegnare
o leggere una novella, o sfogliare un giornale:
perchè è legge di natura che l’intelletto si riposi
cambiando lavoro.
C’è il tipo che può lavorare giorni e giorni in
aritmetica, e c’è il tipo che si stanca dopo venti minuti. Ma il ragazzo che lavora alla ricerca
d’una regola aritmctica per giorni e giorni, poi
lascerà l’aritmetica per un certo tempo; mentre
quello che si stanca dopo venti minuti, e si riposa con un lavoro leggero, ripigli era l’aritmetica
magari due o tre volte al giorno.
Se innumerevoli sono le differenze da tipo a
tipo, certamente noi maestri in una lezione collettiva non potremo mai arrivare a far evitare
lo sforzo. Tutt’al più noi potremo intervenire
quando si mostrano segni esterni di stanchezza;
ma allora sarà troppo tardi, l’intelletto sarà già
troppo affaticato; e gli effetti della fatica intellettuale nella adolecenza sono disastrosi.
Ammessa la nostra impossibilità di intervenire,
dobbiamo ritenere come indispensabile la libertà di tempo.
Il fanciullo sente benissimo, per legge di natura, quando lo sforzo comincia, e sa benissimo
▪ 30 ▪
■ 4. Maria Montessori e l’attivismo italiano
riposarsi appena sente un senso di stanchezza.
Seguendo l’ordine di natura, si riposerà cambiando di lavoro, nella libertà di tempo.
Nella scuola serena si vedono cogli occhi e si
toccano con le mani, i gravi torti che si fanno ai
ragazzi privandoli della libertà di tempo; nella
scuola serena, sanguina il cuore al pensiero di
una così grave ingiustizia che si fa sotto l’apparenza d’un sacrosanto dovere.
Ed ecco in qual modo queste ingiustizie si possono vedere:
Quello che la Montessori chiama la concentrazione dell’attenzione, è un fatto vero, naturale, che
succede ad ogni fanciullo posto nell’ambiente di
libertà; un fatto naturale come la comparsa del
primo dente e il primo movimento di deambulazione. La Montessori lo chiama concentrazione
dell’attenzione e pare credere che si faccia unicamente sul suo materiale.
Deve essere invece una concentrazione di interesse, e può farsi su qualsiasi cosa. Il fanciullo che
entra nell’ambiente di libertà, venga da casa o
venga dalla scuola comune, è divagato, distratto, inquieto, annoiato. Poi ad un tratto (dopo un
tempo breve o più lungo secondo i tipi) si fissa su d’una materia; fa, rifa, ripete. È l’interesse che si concentra; e da questo primo centro si
estenderà a poco a poco alle altre materie finché
diventerà generale.
Allora noi diciamo che l’alunno si è ordinato, perchè tutto ciò che esisteva nel suo intelletto allo
stato di caos, ha cominciato a fissarsi. Questa è
una legge naturale. Il fanciullo, sano, normale,
una volta concentrato nell’interesse, non si dimostrerà mai più, neppure una volta, divagato, distratto, inquieto, annoiato: sarà invece sempre
attento, interessato, concentrato su qualunque
lavoro egli farà, su qualsiasi materia egli studierà. E questo perchè il fanciullo sano e normale, è
capace di sviluppo in tutte le direzioni.
Se nella scuola serena si vede un ragazzo il quale abbia già vissuto il fenomeno della concentrazione dell’interesse, restare ancora ozioso,
disattento, inquieto, si deve senz’altro cercare la
nuova causa fisica o psichica prima di attribuire
a malavoglia, a indisciplina, a pigrizia quel nuovo stato del ragazzo
La malavoglia, la pigrizia, l’indisciplina degli
allievi sono effetti del cattivo ambiente scolastico: levate le cause, non si vedranno mai e mai
più questi effetti.
Nella scuola serena l’ambiente è sano: dunque
sono perfettamente sconosciuti gli effetti deleteri su indicati.
(M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, La
Scuola, Bergamo 1964, pp. 91-94.)
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■ Keiron. Pedagogia 2.0
Antonio Vigilante, Keiron. Pedagogia 2.0 | www.keiron.info | Licenza CC BY-NC-ND 3.0
▪ Oltre il manuale
Libri
Spunti per la ricerca
Tutte le opere di Maria Montessori sono disponibili in edizioni recenti presso l’editore Garzanti di Milano. Moltissimi sono anche gli studi su Montessori. Per una introduzione si può
leggere il libro della sua allieva Grazia Honegger Fresco: Maria Montessori. Una storia attuale
(L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2008). Si
può poi approfondire con Giacomo Cives, Maria Montessori. Pedagogista complessa (ETS, Pisa
2001), Clara Torna, La pedagogia di Maria Montessori tra teoria e azione (FrancoAngeli, Milano
2007) e Raniero Regni, Infanzia e società in
Maria Montessori. Il bambino padre dell’uomo (Armando, Roma 2007). Sul femminismo di Maria
Montessori è utile il libro di Valeria P. Babini
e Luisa Lama Una donna nuova. Il femminismo
scientifico di Maria Montessori (FrancoAngeli,
Milano 2000). Molte informazioni sono nel sito
dell’Opera Nazionale Montessori (http://www.
operanazionalemontessori.it).
1. Approfondisci i rapporti tra Montessori ed il
Le opere di Carolina e di Rosa Agazzi non sono
più disponibili sul mercato editoriale. Anche
gli studi sono pochi. Da segnalare la collana “Il
pensiero di Rosa Agazzi” dell’editore Junior di
Bergamo ed il volume di Francesco Altea Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi. Un valore educativo
intatto nel tempo (Armando, Roma 2011).
Ugualmente non disponibili sono le opere di
Giuseppina Pizzigoni. Tra gli studi: L’ asilo infantile di Giuseppina Pizzigoni. Bambino e scuola in
una pedagogia femminile del Novecento, di Sandra
Chistolini (FrancoAngeli, Milano 2009) e Olga
Rossi Cassottana, Giuseppina Pizzigoni e la «Rinnovata» di Milano, La Scuola, Bergamo 2004. Ricco di informazioni è il sito dell’Opera Pizzigoni
(http://www.operapizzigoni.it).
regime fascista.
2. Sul caso del “ragazzo selvaggio dell’Aveyron”
Itard ha scritto un libro, disponibile in italiano
presso in due edizioni (Armando, Roma 2007;
SE, Milano 2003). Alla vicenda è dedicato anche
un film di François Truffaut, Il ragazzo selvaggio
(1970).
3. La teosofia ha influenzato in modo profondo non pochi intellettuali italiani, oltre a Maria
Montessori (ad esempio Roberto Assagioli).
Cerca di saperne di più.
4. Nella controversia Montessori-Agazzi erano
in ballo diverse questioni, tra le quali quella
dell’italianità, che era un tema di fondo del fascismo. Cerca informazioni sulla querelle e cerca
di interpretarla considerando la situazione storica.
5. Giuseppina Pizzigoni abolisce i compiti a
casa. Sulla questione dei compiti esiste un dibattito minoritario ma interessante, in particolare in Francia (in Italia c’è il libro di Maurizio
Parodi, Basta compiti!, Sonda, Torino 2012).
6. Maria Boschetti Alberti ha effettuato dei cambiamenti nella scuola elementare, per introdurre le due libertà di modo e di tempo. In che
modo è possibile cambiare dall’interno (cioè in
modo non istituzionale, ma per libera iniziativa
di docenti e studenti) nella scuola secondaria,
affinché anche in essa vi siano queste due libertà?
Non risultano studi su Maria Boschetti Alberti.
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