Lo schiaccianoci - Teatro alla Scala

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Lo schiaccianoci - Teatro alla Scala
Il giardino dei fiocchi di neve
Michele Porzio
Esiste nello Schiaccianoci una congiunzione di temi e
di tinte espressive, dalle inflessioni crepuscolari alla
delicata nostalgia per l’infanzia, tale da farne l’opera
più compiuta della maturità di Čajkovskij e forse il più
sfaccettato e poliedrico dei suoi capolavori. Dono
precipuo della partitura è il gioco dell’ambiguità e
dell’intersecarsi del comico con il malinconico,
dell’ingenuo e del fiabesco con una calibrata sapienza
formale, e del momento decorativo e apparentemente
divagante, con l’essenzialità di scrittura. […]
Se Lo schiaccianoci svetta sulla coeva produzione
dell’autore, lo deve alla sua efficacia nell’instaurare
un’atmosfera teatrale che resterà peculiare, specifica e
irripetibile; quella che Verdi chiamava appunto, con
icastica espressione, “la tinta dell’opera”. […]
Sotto la scorza di un’apparenza nostalgica, l’ultimo
balletto di Čajkovskij si distingue anche per una nota di
modernità che consente di incorporare le componenti
mimiche nel flusso più vivo della vicenda; inoltre già si
annuncia l’oggettivismo, il distacco dall’espressione
viscerale del sentimento – di cui testimonia la netta
avversione del compositore per Wagner – che
troverà i suoi immediati proseliti in Stravinskij e,
nel balletto, in Balanchine. […]
Al di là dell’armoniosa grazia che pervade
l’intera partitura, a eternarla nel
repertorio anche sinfonico hanno
contribuito i suoi lati sfuggenti, la sua
riposta magia, l’incantesimo natalizio
del bianco, della neve che si stende su
ogni cosa col soffice della
confortevolezza ma anche col gelo
dell’inquietudine. Il mondo poetico
dello Schiaccianoci è diviso tra la
nostalgia per un’infanzia che volge alla
fine e l’incertezza per una adolescenziale
felicità del cuore, che resta nel vago di
una primavera promessa. […]
(traduzione di Marinella Guatterini)
[...] Coreografo di formazione ed estro moderno-contemporaneo, lei si è accostato ai classici del repertorio di due
secoli or sono molto di recente, perché lo ha fatto?
rompere la barriera tra scena e platea, creare immediatamente un contatto diretto con il pubblico, anche quello
adulto.
Come è forse noto, sono stato impegnato, sino a qualche
mese fa, nel ruolo di direttore artistico del Teatro Mikhailovskij di San Pietroburgo e anche in onore della città russa ho voluto allestire La Bella addormentata, omaggio sui
generis, poiché reinventato nei passi, a Marius Petipa, il
grande deus ex machina del balletto tardo-romantico. Il
successo di quel balletto ha indotto il Sovrintendente del
Teatro a commissionarmi un altro classico del repertorio
ottocentesco. Non sempre, devo ammettere, ho accettato le sue sollecitazioni, ma in questo caso l’ho fatto con
piacere: per la travolgente musica di Čajkovskij e anche
per la storia che vi è narrata.
L’ambientazione del suo Schiaccianoci non è ottocentesca, né fantasmagorica, c’è un motivo?
L’incipit del suo Schiaccianoci è alquanto singolare. Drosselmeyer, l’ambiguo personaggio, o mago, che tira le fila
del racconto, parla al pubblico e mostra tre burattini formato mignon che introducono la coreografia...
Questa scelta nasce da due esigenze precise. Non ho mai
amato la scena del primo Atto in cui Drosselmeyer introduce appunto dei burattini più o meno riconoscibili come
Arlecchino, Colombina o inerenti alla storia del balletto in
generale. Inoltre, il Teatro Mikhailovsky ha un grande
pubblico composto di bambini. Il mio Drosselmeyer parlava a loro, come oggi vuole parlare ai piccoli presenti al
Teatro alla Scala, nell’intento di coinvolgerli subito nella
vicenda a cui assisteranno. In questo modo ho voluto
Ho ambientato il mio balletto nel 1918, l’anno successivo
alla Rivoluzione d’Ottobre e della fine della Prima guerra
mondiale; l’eleganza dei lunghi costumi in seta delle danzatrici, l’ampiezza delle gonne e gli smoking maschili mi
hanno consentito maggiore libertà e inventiva nella creazione dei passi rispetto alle crinoline ottocentesche o ai
più pesanti costumi maschili. L’immagine complessiva acquista, a mio avviso, un maggior fascino.
Lei stesso ha definito il suo balletto “neoclassico”, in che
senso?
L’utilizzo della tecnica accademica, nel mio caso, non veicola i passi tradizionali, ma passi nuovi di mia invenzione,
pur senza prescindere da quella tecnica. D’altra parte ciò
che resta oggi dello Schiaccianoci originale è assai poco,
e anche di quel poco, come il pas de deux del secondo
Atto, non ho fatto uso. Da Lev Ivanov e da Marius Petipa
non ho voluto prendere nulla. Nello stesso tempo ho rispettato musica e libretto. Molti coreografi odierni hanno
tentato e ancora tentano vie diverse: cercano novità mutando la vicenda, ammodernando la storia, o cambiandola del tutto. In questo caso dovrebbero scegliere una musica diversa da quella di Čajkovskij, ma di solito non lo
fanno; preferiscono, magari, scompaginarne l’ordine e i
numeri della partitura. Sino ad oggi ho creato solo tre
classici: La Bella addormentata, appunto Lo schiaccianoci
e un Romeo e Giulietta non sulle punte, ma in tutti e tre
ho mantenuto fede alla musica e ai libretti. Avvicinarsi a
un classico, anche se del Novecento come Romeo e Giulietta, significa, per me, rispettarne le componenti essenziali e i personaggi.
imbottiti e imitativi; più che danzare, strisciano. Io ho immaginato una guerra vera e ho vestito i miei topi da aviatori con unghie e denti in evidenza; i loro avversari sono
veri soldati. In una città come San Pietroburgo, dove
l’esercito è molto presente, mi sono forse lasciato influenzare, ma nello stesso tempo ho voluto creare topi danzanti, agili, battaglieri e una vera guerra dove il Re dei Topi viene pugnalato a morte, decretando la vittoria dello
Schiaccianoci. L’occasione di trasformare in danza anche
questa sezione del primo Atto del balletto era troppo invitante perché me la lasciassi sfuggire.
Nelle danze di carattere lei ha optato, insieme al suo scenografo-costumista, per l’introduzione di oggetti significativi...
Sì, certo; tengo a dire che tutto l’allestimento scenico, ma
anche i costumi, sono nati da una stretta collaborazione
con Jérôme Kaplan. Tutti gli oggetti di scena, veri o virtuali cioè in proiezione, sono essenziali: un grande ventaglio per la Danza spagnola; due grandi timoni per la Danza russa interpretata da quattro marinai; uno scheletro
d’ombrello per la Danza cinese; un enorme plumcake per
il Valzer dei Fiori nel Regno dei dolci e un cuore per il pas
de deux del secondo Atto. Una simile e stretta collaborazione si è verificata anche per la creazione della Bella addormentata. Il motivo è che non amo quei décors e costumi che fanno scomparire la danza o prevaricano la coreografia. Tutto deve essere estremamente calibrato.
Tuttavia nel suo Schiaccianoci manca un elemento di solito comune, la neve... anche nel famoso Valzer dei Fiocchi
di neve fluttuanti nella tempesta...
È vero, ma ho sostituito la neve con le stelle. Oggi abbia-
Parliamo della sua movimentatissima battaglia tra topi e
soldati, assai diversa dagli amabili o antichi scontri tra
animali ed eserciti degli Schiaccianoci abituali...
Figurini di Jérôme Kaplan
per Lo schiaccianoci di Nacho Duato.
Dicembre 2013, San Pietroburgo
In alto: Valzer dei fiori nell’Atto II.
Teatro Mikhailovskij,
San Pietroburgo, dicembre 2013.
A destra: i topi e il loro arrogante
Re si accingono a combattere
nell’Atto I dello stesso balletto,
creato a San Pietroburgo
nel dicembre 2013.
mo una tecnologia molto avanzata e anche il Natale si
avvale di questi strumenti tecnologici prima inesistenti.
Inoltre, Maša, che da voi si chiamerà Clara, sogna. E i sogni viaggiano nell’universo, in un cosmo stellato, non è
necessario vi sia un paesaggio di neve. Lo stesso libretto
originale puntualizza che la ragazzina si sveglia da un sogno, creatosi chissà dove.
Per allestire il suo Schiaccianoci lei si è avvalso della lettura di Der Nussknacker und der Mäusekönig (Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi) di E.T.A. Hoffmann, lo scrittore settecentesco ma già pre-romantico che ha anticipato molta
letteratura onirica e fantastico-grottesca alla Edgar Allan
Poe, o come Petipa si è avvalso del libretto più edulcorato
di Alexandre Dumas?
Ho letto entrambi, ma l’inquieto testo di Hoffmann l’ho
tradotto coreograficamente in senso contemporaneo, e
da lontano. Ciò che più mi premeva, infatti, era dare un
volto fresco e vicino ai nostri tempi a tutti i personaggi.
Maša/Clara, a esempio, è una ragazzina odierna, attiva,
che corre insieme ai suoi compagni maschi. Non è uno
stereotipo, non si addormenta sulla poltrona, né vi si ritrova alla fine del balletto. È umana e sbarazzina come
potrebbe esserlo una giovinetta di oggi. [...]
Neoclassico, senza neve, conciso: possiamo definire il suo
Schiaccianoci minimalista?
Credo sia soprattutto molto concentrato, senza fronzoli.
Mi sono rivolto al mondo dei giovani, abituati alla velocità dei media odierni. Di solito i classici del repertorio, anche se ammodernati, come non piace a me, sono troppo
lunghi; mentre vi sono dettagli e forse più che dettagli,
scene pantomimiche, che andrebbero tagliate. L’importante è la coreografia, sono i passi e forse attenersi a una
certa velocità più up to date. [...]
Tutti i testi e le immagini sono tratte dal programma di sala
Lo schiaccianoci, Teatro alla Scala, stagione 2014-15.
I topi che di solito abitano questo balletto sono statici,
Foto Stas Levshin/Teatro Mikhailovskij
I giocattoli del Paese della Magia stanno celebrando la
vittoria contro il Re dei Topi, interpretando danze diverse
di Paesi di tutto il mondo. Clara e il Principe sono felici.
Clara sa che dovrà lasciare questo sogno meraviglioso,
ma che lo serberà per sempre nel suo cuore.
Grazie allo Schiaccianoci mi è stata offerta la prima
possibilità di lavorare a San Pietroburgo, e sono felice di
parlarne poiché sono francese, vivo a Parigi, ma mio
nonno era russo: ha lasciato quel Paese dopo la
Rivoluzione e si è trasferito in Francia, dove ha incontrato
mia nonna. Così, grazie a questo ramo della famiglia, mi è
diventata abituale quella cultura russa di cui si è sempre
sentito un senso di nostalgia. Sono stato felicissimo
quando ho ottenuto la prima commissione in Russia: nel
2011 ho lavorato, infatti a Mosca, al Teatro Bol’šoj, con
Alexei Ratmansky per il balletto Lost Illusions e con
immenso piacere ho accettato l’offerta di creare scene e
costumi per Lo schiaccianoci al Teatro Mikhailovsky della
stessa città. Penso che San Pietroburgo sia il luogo più
adatto perché il balletto è nato qui, e qui è ha debuttato in
origine.
Sono entrato nel mondo della scena casualmente, almeno
in parte. Ero ancora molto giovane. Ho disegnato la mia
prima scenografia quando avevo vent’anni. Proprio per
caso ho partecipato a una competitiva selezione in una
scuola di teatro – e l’ho fatto per accompagnarvi un
amico. È una scuola molto famosa, con il nome sulla
cresta dell’onda: l’École de la Rue Blanche. Una grande
quantità di personaggi famosi si sono diplomati proprio
qui, per lo più attori, come Fanny Ardant, a esempio. Mi
sono sottoposto alla selezione per scenografi, sebbene
pensassi di fare qualcosa di più simile al disegno o
all’illustrazione. Ma mi è sempre piaciuto costruire piccole
cose, ed ora provo grande gioia quando creo modellini
teatrali che copiano in scala la scena del palcoscenico.
Quand’ero giovano pensavo di diventare un architetto.
L’architettura è un’occupazione davvero eccitante, ma alla
fine mi sembrò troppo accademica; essere un architetto è
quasi la stessa cosa che essere un ingegnere. Il lato
creativo e artistico della professione hanno la stessa
importanza; a causa di tutto ciò la scenografia fu, alla fine,
la scelta più logica per me.
Ho disegnato la mia prima scenografia quand’ero ancora a
scuola, e anche allora mi impegnai nel disegno di costumi
teatrali. Molto spesso nelle grandi produzioni c’è un artista
preposto alla cura delle scenografie e un altro a quella dei
costumi, ma questo approccio mi pare un errore.
Guardando al passato e agli artisti che si sono davvero
imposti, come Léon Bakst, non possiamo che constatare
che si occupavano di entrambe le cose. Ciò significa che
esiste una maggiore correlazione nelle estetiche, nel colore
e in tutto ciò che concerne l’assetto scenico e le decisioni
prese al riguardo. Ci sono molti più vantaggi quando un
unico artista si occupa di tutto in una produzione.
All’inizio mi sono dedicato all’opera, in varie città e per
diversi festival. Ciò mi capita talvolta ancora oggi. Lavorare
nel teatro musicale è molto diverso rispetto all’allestimento
di pièces teatrali, cosa che ugualmente mi viene richiesta,
di tanto in tanto. È una forma d’arte più restrittiva e non
così ricca dal punto di vista visuale. Nel teatro musicale
invece pensi agli effetti visivi e di solito puoi contare su vari
cambi di scena. Nel teatro di parola devi lavorare
maggiormente sul testo, con i suoi significati, il che
comporta un considerevole sforzo intellettuale. Tuttavia, io
ancora preferisco il teatro seducente, incantevole e magico
– ed è ciò che mi dà il mondo del balletto. D’altra parte le
commissioni più interessanti mi sono giunte proprio
dall’entourage della danza. Amo il balletto classico e nello
stesso modo la danza moderna. Il balletto russo – come
tutti sanno – è noto per la sua vasta gamma estetica.
Intervista a Nacho Duato - Marinella Guatterini
In alto: Lo Schiaccianoci di Nacho Duato; Atto I: battaglia
tra lo Schiaccianoci e il Re dei Topi,Teatro Mikhailovskij,
San Pietroburgo, 2013.
A destra: Drosselmeyer e la bambola Principessa,
nello Schiaccianoci di Nacho Duato, Teatro Mikhailovskij,
San Pietroburgo, dicembre 2013.
Foto Stas Levshin/Teatro Mikhailovskij
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Atto secondo
Il celebre scenografo e costumista Jérôme Kaplan
ha collaborato con il coreografo Nacho Duato per la
realizzazione di una nuova produzione dello Schiaccianoci.
Parigino autentico, apporta una sorta di famigliare
nostalgia per la cultura russa nel décor e negli abiti di
scena per il balletto.
Foto Jack Devant/Teatro Mikhailovskij
Foto Irina Lipneva/Teatro Mikhailovskij
È la vigilia di Natale. Tra poche ore il pendolo batterà i
rintocchi della mezzanotte – tempo di magia e di sogni.
La nostra storia ha inizio proprio quando l’affettuoso ma
misterioso zio Drosselmeyer riunisce tutti i bambini della
famiglia per offrire loro i doni natalizi: una bellissima Principessa, un Principe attraente e un malvagio Re dei Topi.
Per ultima la sorpresa più originale: un pupazzo Schiaccianoci, che Drosselmeyer affida alla sua figlioccia Clara.
La bambina, affascinata dallo Schiaccianoci, coccola e
conforta il suo giocattolo preferito.
La serata giunge al termine; gli ospiti se ne vanno e la famiglia Stahlbaum si ritira per la notte. Clara, preoccupata
per il suo amato Schiaccianoci, ritorna di nascosto all’albero di Natale per controllare che sia ancora lì e si addormenta tenendolo tra le braccia.
Quando l’orologio batte la mezzanotte cominciano ad accadere cose strane. I giocattoli intorno all’albero prendono
vita, mentre la stanza è invasa da un esercito di topi, guidati
dal loro malvagio Re. Lo Schiaccianoci si desta e attacca i
topi alla guida del suo esercito di soldatini. Il Re dei Topi viene ucciso e i suoi seguaci fuggono, portandosi via il corpo
ormai privo di vita del loro sovrano. Lo Schiaccianoci si trasforma in Principe e conduce Clara verso il Paese della Magia, ove sono accolti da fiocchi di neve danzanti.
Foto Irina Lipneva/Teatro Mikhailovskij
Atto primo
Lo schiaccianoci nella versione
di Nacho Duato, al Teatro Mikhailovskij
di San Pietroburgo, dicembre 2013.
Uno Schiaccianoci tra le stelle
Un parigino dalla sensibilità russa
Lo schiaccianoci - Il soggetto
Definirei il mio Schiaccianoci neoclassico, anche se per certi versi
è classico: qui la cosa più importante, tuttavia, non è il virtuosismo,
ma qualcosa di più che proviene direttamente dal cuore. Questo
Schiaccianoci non somiglia alla mia Bella addormentata, perché
le storie narrate sono molto diverse. Inoltre, La Bella addormentata
è forse il balletto più accademico di Marius Petipa; è ricco di tecnica
stupefacente e di parti coreograficamente molto complesse.
Viceversa, mi sembra che Schiaccianoci offra maggiori possibilità
di creare danze liberamente. Non propongo una mia personale
versione della favola, né vi aggiungo nulla. Ho tagliato qua e là la
musica, ma ho mantenuto la storia quasi senza alcun cambiamento.
L’unica cosa che davvero non capisco è: se il Re dei Topi viene
colpito a morte alla fine del primo Atto, come può essere ancora
vivo nel secondo? Nella mia versione lo faccio morire
nel primo Atto, mentre la Danza spagnola apre l’Atto secondo.
Nacho Duato