Gente di tutte le generazioni al concerto di Jovanotti. Capita anche
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Gente di tutte le generazioni al concerto di Jovanotti. Capita anche
Da Il Giornale di Brescia – 6 novembre 2006 Gente di tutte le generazioni al concerto di Jovanotti. Capita anche che un papà si dimentichi del bimbetto che ha sulle spalle e incominci a farlo oscillare pericolosamente «Siamo tutti fortunati, perché Lorenzo ci regala un sogno» di Carlos Passerini «Per me Jovanotti è "Serenata rap"», dice una biondina quindicenne. «Per me Lorenzo è "L’ombelico del mondo"» ribatte un ventenne stile rasta. «Per me è quello di "Penso positivo"» esclama una signora già oltre i cinquant’anni. «Io sono cresciuto con "La gente della notte"» racconta uno sui 25-30 anni. Ma c’è un «comune sentire» dei jovanottini? Il mondo dei fans di Jovanotti è straordinariamente vario. Te ne accorgi subito, appena varchi l’ingresso. Anzi no, ancor prima: dal parcheggio. Ragazzi e ragazze, papà, mamme, persone... di una certa età. C’è di tutto al concerto di Jovanotti. Ci pensi un po’ su e ti chiedi cos’è che accomuna tutta questa gente. Davvero, ci pensi e non riesci a darti una risposta. Poi, d’un tratto, «il Lorenzo» entra, canta e capisci. Sì, capisci. Accanto a me c’è un signore. Mezz’età, distinto. Nella vita potrebbe benissimo essere un professionista, o un funzionario pubblico. Porta sulle spalle un bimbetto, il figliolo direi. Parte «Non m’annoio» e il tizio, rapito, dà fuori di matto, dimentico del pargolo del... piano di sopra, e si mette a cantare a squarciagola: «E non m’annoio, io non che non m’annoio, non m’annoio, io non che n...». Il bambino dondola paurosamente: la moglie, furiosa, blocca il marito, lo insulta e gli requisisce il bimbetto. Arriva il momento della fase impegnata, quella che caratterizza il «Jovanotti-pensiero» degli ultimi sette-otto anni, lontana anni luce da quella precedente, spensierata e giovincella. Quella, per intenderci, tanto cara al «papi» di cui sopra. «Il mio nome è mai più», «Salviamoci», «La linea d’ombra»: qui la scena è tutta dei diciotto-ventenni. L’età dei sogni, della rabbia, ma anche dell’incertezza nel futuro: «È la mia età, si sa come si era ma non si sa dove si va». Laggiù, dove le luci dei riflettori lasciano spazio al buio della penombra, c’è una ragazza. Ha i capelli lisci e lunghi. Dal palco partono le note di una bellissima canzone del 1995: «Io ti cercherò negli occhi delle donne che nel mondo incontrerò/ e dentro quegli sguardi mi ricorderò di noi/ chissà se si chiamava amore». Sui suoi occhi, e su quelli di qualcun altro, scende un velo di tristezza. Dieci e mezza, «Mi fido di te». Cantano tutti, anche i più piccoli. «Dottore, che sintomi ha la felicità?» chiede Jovanotti. E chi lo sa, vien da dire. La felicità è relativa, è un concetto, una sensazione, intimamente legata ad ognuno di noi. Per un poeta francese, ad esempio, la felicità era «camminare dietro un vecchio cane mangiando ciliegie». Ti fa pensare, Jovanotti. Arriva il momento di una delle sue canzoni simbolo, quella che più o meno tutti abbiamo canticchiato, almeno una volta, sotto la doccia, o in un momento felice della nostra vita. «Sono un ragazzo fortunato, perchè mi hanno regalato un sogno, sono fortunato perchè non c’è niente che ho bisogno». Tutti ballano, saltano e cantano. Anche chi, e sono in tanti, proprio così fortunato non è.