Ode al vento occidentale

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Ode al vento occidentale
Maria Ilenia C.²
Ode al vento occidentale
PERCY BYSSHE SHELLEY
1
I poeti sono i legislatori
misconosciuti del mondo.
(Percy Bysshe Shelley)
2
Il titolo originale dell'Ode al Vento
Occidentale di Percy Bysshe Shelley è Ode
to the West Wind (Ode del Vento
dell'Ovest), a volte tradotto anche come
Ode al vento di Ponente.
L'ode è costituita da cinque strofe
(stanzas), in ognuna delle quali viene
descritto l'effetto del vento sulla natura e
sull'uomo, ed è scritta in terza rima, una
forma sonettistica intermedia tra quella
petrarchesca e quella shakespeariana.
In questa poesia l'autore auspica che
l'umanità possa rigenerarsi come la
natura sotto l'effetto del vento, e che il
poeta possa avere nella società un ruolo
di eminente attivismo.
Quest'opera ha tre livelli interpretativi:
- Il primo è l'arrivo del vento freddo come
agente atmosferico;
- Il secondo livello è il vento visto come
aria di rivoluzione che porta quindi novità
e una nuova società;
- Il terzo livello è il vento visto come
l'ispirazione che ha il poeta, che quindi
porta quest'ultimo a scrivere le sue opere.
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STROFA I
4
Nella prima parte del componimento
l'autore pronuncia la sua prima
invocazione al vento dell'Ovest, elogiando
le sue qualità.
Dapprima Shelley nei versi passa da uno
stato d'animo fervido ed eccitato (fine
prima e tutta seconda terzina), per poi
descrivere una scena oscura e fredda
(terza terzina). Sono gli stati d'animo del
poeta, che si rispecchia perfettamente nel
vento, come un essere umano che cambia
posizione sentimentale, dall'allegro al
triste.
Nella prima parte il vento è descritto come
"fonte di vita", che distrugge e crea, simile
ad un potere epidemico lanciato da un
incantatore che provoca febbri rosse e
gialle.
Di conseguenza Shelley cambia tematica e
colore nella terzina, descrivendo il vento
occidentale anche come trasportatore di
piccoli corpi nei loro sepolcri bui, come
appunto le oscure e gelide tombe di
marmo della società umana.
Nelle ultime due terzine invece il poeta
offre uno scenario più pacato e piacevole,
né agitato e neanche opaco. Si tratta della
declamazione della Primavera, sorella
mitologica di Zefiro, uno dei tanti venti
comandati dal dio Eolo.
Da qui Shelley passa a descrivere un
pascolo pieno di pecore e montoni, per
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pascolo pieno di pecore e montoni, per
aiutarsi nel finale della sua prima
invocazione, simile a quella di Gabriele
D'Annunzio alla sua Eurota ne La pioggia
nel pineto:
«Oh tu Vento selvaggio occidentale, àlito
della vita d’Autunno, oh presenza invisibile
da cui
le foglie morte sono trascinate, come
spettri in fuga
da un mago incantatore, gialle e nere,
pallide e del rossore della febbre,
moltitudini
che il contagio ha colpito: oh tu che guidi
i semi alati ai loro letti oscuri
dell’inverno in cui giacciono freddi e
profondi
come una spoglia sepolta nella tomba,
finché la tua azzurra sorella della
Primavera
non farà udire la squilla sulla terra in
sogno
e colmerà di profumi e di colori vividi
il colle e la pianura, nell’aria i lievi bocci
conducendo
simili a greggi al pascolo; oh Spirito
selvaggio,
tu che dovunque t’agiti, e distruggi e
proteggi: ascolta, ascolta!»
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VARIAZIONI A TEMA
09.07.2014 - @MariaIlenia
Vento selvaggio che scuote gli ormeggi del
cuore facendoli vacillare con tremore sublime:
questo tu sei, come bora
d'occidente.#Shelley14/01
09.07.2014 - @MariaIlenia
«Oh Spirito selvaggio,
tu che dovunque t’agiti, e distruggi e proteggi:
ascolta, ascolta!»
#Shelley14/01
09.07.2014 - @MariaIlenia
Impeto d'aura selvatica, ascolta un cuore che
t'implora e che nell'Autunno del suo tempo
attende la Primavera della vita.
#Shelley14/01
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STROFA II
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La seconda strofa è anch'essa divisa in
due parti corrispondenti a due differenti
stati d'animo. Nelle prime due terzine il
poeta continua la sua invocazione,
esaltando ancora di più la potenza del
vento nell'imperare su quasi tutti gli
oggetti della natura: foglie, nuvole,
pioggia, piante, ecc.. Inoltre Shelley fa un
secondo riferimento alla mitologia, come
nella prima strofa con Zefiro, facendo
entrare in scena le Menadi. Infatti il poeta
paragona il fruscio delle foglie a quello dei
capelli delle famose baccanti, che
seguivano le orge di Dioniso e non erano
mai coscienti in quel che facevano per
l'ubriachezza.
Dalla metafora della capigliatura, Shelley
entra nel secondo stato d'animo, quello
negativo, paragonando questa bellezza
all'arrivo imminente di una tempesta,
com'è consono e naturalissimo per il
vento anche nella realtà. Infatti Shelley,
declamando il rumore del vento poco
prima del temporale, lo paragona al
lamento funebre, che chiude un'esistenza.
Successivamente anche altri rumori e
suoni si sommano a questo, rinchiuso in
una cupola, da cui si sprigiona la
tempesta del temporale:
«Tu nella cui corrente, nel tumulto
del cielo a precipizio, le nuvole disperse
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del cielo a precipizio, le nuvole disperse
sono spinte qua e là come foglie appassite
scosse dai rami intricati del Cielo e
dell’Oceano,
angeli della pioggia e del fulmine, e si
spargono
là sull’azzurra superficie delle tue onde
d’aria
come la fulgida chioma che s’innalza
sopra la testa d’una fiera Menade, dal
limite
fioco dell’orizzonte fino alle altezze
estreme dello zenit,
capigliatura della tempesta imminente.
Canto funebre
tu dell’anno che muore, al quale questa
notte che si chiude
sarà la cupola del suo sepolcro immenso,
sostenuta a volta
da tutta la potenza riunita dei vapori
dalla cui densa atmosfera esploderà una
pioggia
nera con fuoco e grandine: oh, ascolta!»
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VARIAZIONI A TEMA
11.07.2014 - @MariaIlenia
Turbini di grandine avvolgono un vento
chiomato di foglie librate nell'aria.
Frattanto, pioggia e fulmini dominano sul
mare.
#Shelley14/02
11.07.2014 - @MariaIlenia
«Le nuvole disperse
sono spinte qua e là come foglie appassite
scosse dai rami intricati del Cielo e
dell’Oceano»
#Shelley14/02
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STROFA III
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La terza strofa contiene l'ultima
invocazione al vento occidentale. Shelley,
dopo aver parlato nelle strofe precedenti
della potenza del vento, della sua
costituzione e degli effetti devastanti e allo
stesso tempo affascinanti che provoca,
adesso esalta la sua fortuna.
Egli, ritenendo il Vento un essere
immortale che ha fatto sempre parte della
terra e della Natura, lo ammira in quanto
ha accompagnato l'esistenza di intere
generazioni sorte e cadute anni e secoli
prima della venuta al mondo del poeta
stesso. Infine nella seconda parte di
questa strofa, Shelley declama in maniera
esaltante per l'ultima volta la grandezza
del vento, scrivendo che ha potere perfino
sulle onde dell'oceano e dei mari,
ingrossandole e ammansendole a suo
piacimento:
«Tu che svegliasti dai loro sogni estivi
le acque azzurre del Mediterraneo, dove
si giaceva cullato dal moto dei flutti
cristallini
accanto a un’isola tutta di pomice del
golfo
di Baia e vide in sonno gli antichi palazzi e
le torri
tremolanti nel giorno più intenso
dell’onda, sommersi
da muschi azzurri e da fiori dolcissimi al
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da muschi azzurri e da fiori dolcissimi al
punto
che nel descriverli il senso viene meno!
Tu per il cui sentiero la possente
superficie d’Atlantico si squarcia
e svela abissi profondi dove i fiori
del mare e i boschi fradici di fango, che
indossano
le foglie senza linfa dell’oceano, conoscono
la tua voce e si fanno all’improvviso grigi
per la paura e tremano e si spogliano: oh,
ascolta!»
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VARIAZIONI A TEMA
13.07.2014 - @MariaIlenia
«Tu svegliasti dai sogni estivi
le acque azzurre del Mediterraneo dove
si giaceva cullato dal moto dei flutti cristallini»
#Shelley14/03
13.07.2014 - @MariaIlenia
«Tu per il cui sentiero la possente
superficie d’Atlantico si squarcia
e svela abissi profondi»
#Shelley14/03
13.07.2014 - @MariaIlenia
«I boschi fradici di fango conoscono
la tua voce e si fanno all’improvviso grigi
per la paura e tremano e si spogliano»
#Shelley14/03
13.07.2014 - @MariaIlenia
Muschi azzurri, fiori dolcissimi del mare, foglie
senza linfa dell'oceano:
il vento occidentale scuote la natura degli
abissi.
#Shelley14/03
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STROFA IV
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Nella quarta strofa incomincia
l'invocazione vera e propria di Shelley
verso il vento occidentale.
Il poeta, seguendo i tipici canoni del
romanticismo, vorrebbe fuggire dalla sua
triste, dolente e piatta vita terrena, per
sparire via con l'oggetto del suo desiderio:
lo spiffero eterno appunto. Infatti qui
Shelley intende formare una vera e
propria unione tra sé e il vento,
paragonandosi a una foglia morta, a una
nuvola oppure alle onde del mare. Solo
accoppiandosi col vento, come fantastica
un allegro ragazzino negli anni della sua
infanzia, il poeta può finalmente trovare
la pace. Dato che l'ode fu pubblicata poco
dopo la stesura del Prometeo liberato, in
questa strofa si possono trovare molte
analogie con la figura di Prometeo, il
titano che si ribellò agli Dei. Anche Shelley,
schiacciato dalle pesanti catene delle
regole della vita terrena, desidera
fortemente liberarsi e fuggire via,
indipendente da ogni affanno e dovere.
Prometeo, appunto, disobbedì alle regole
di Zeus, rubando il fuoco e donandolo alla
razza umana, allora senza alcun potere in
Terra.
Tuttavia in questa strofa l'invocazione di
Shelley non è completa, perché ancora
priva di convinzione. Infatti il poeta sa
bene di non poter essere accontentato,
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bene di non poter essere accontentato,
così sprofonda bruscamente nella
depressione:
«Fossi una foglia appassita che tu potessi
portare;
fossi una rapida nuvola per inseguire il
tuo volo;
un’onda palpitante alla tua forza, e
potessi
condividere tutto l’impulso della tua
potenza,
soltanto meno libero di te, oh tu che sei
incontrollabile!
Potessi essere almeno com’ero
nell’infanzia, compagno
dei tuoi vagabondaggi alti nei cieli, come
quando
superare il tuo rapido passo celeste
sembrava appena un sogno; non mi
rivolgerei
a te con questa preghiera nella mia
dolente
necessità. Ti prego, levami come un’onda,
come
una foglia o una nuvola. Cado
sopra le spine della vita e sanguino! Un
grave
peso di ore ha incatenato, incurvato
uno a te troppo simile: indomito, veloce
ed orgoglioso.»
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VARIAZIONI A TEMA
15.07.2014 - @MariaIlenia
«Fossi una foglia appassita che tu potessi
portare;
fossi una rapida nuvola per inseguire il tuo
volo»
#Shelley14/04
15.07.2014 - @MariaIlenia
O vento d'occidente, come un’onda palpitante
alla tua forza, potessi io condividere tutto
l’impulso della tua potenza!
#Shelley14/04
15.07.2014 - @MariaIlenia
Vorrei librarmi nell'aria libera come te,
valicare i confini e gli orizzonti; incontrollata,
correre a sfiorare labbra e visi.
#Shelley14/04
15.07.2014 - @MariaIlenia
Potessi essere almeno com’ero nell’infanzia,
quando superare il tuo rapido passo celeste e
vagabondo
sembrava appena un sogno.
#Shelley14/04
15.07.2014 - @MariaIlenia
Prima era l'aquilone di una bambina, ora è il
sogno di una donna.
Entrambi implorano, vento, di essere
trasportati lontano.
#Shelley14/04
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15.07.2014 - @MariaIlenia
«Ti prego, levami come un’onda, come una
foglia o una nuvola.
Cado sopra le spine della vita e sanguino!»
#Shelley14/04
15.07.2014 - @MariaIlenia
Un grave peso di ore ha incatenato, incurvato
una a te troppo simile: indomita, veloce ed
orgogliosa.
Orsù dunque, liberami!
#Shelley14/04
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STROFA V
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Nella quinta strofa Shelley, non potendo
compiere le sue ideali metamorfosi, invoca
il Fato di poter diventare un albero,
cosicché fosse il Vento in persona ad
entrare nel suo corpo e ad uscirne, come
in qualsiasi pianta terrestre. Solo così
Shelley si sarebbe trovato in completo
stato di grazia, attraversato in ogni
momento dal vento e dai suoi mille
spifferi. Ma il poeta non intende fermarsi
qui, infatti il suo messaggio di pace e
libertà dev'essere divulgato. Così egli,
ancora umano nel suo nuovo essere,
mediante le foglie staccate e sparse dal
vento, può consegnare a ciascuno i suoi
versi profetici, scritti nei petali e nelle foglie
stesse del suo "ego":
«Fa’ di me la tua cetra, com’è della foresta;
che cosa importa se le mie foglie cadono
come le sue! Il tumulto
delle tue forti armonie leverà a entrambi
un canto
profondo e autunnale, e dolcemente triste.
Che tu sia dunque il mio spirito, o Spirito
fiero!
Spirito impetuoso, che tu sia me stesso!
Guida i miei morti pensieri per tutto
l’universo
come foglie appassite per darmi una
nascita nuova!
E con l’incanto di questi miei versi disperdi
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E con l’incanto di questi miei versi disperdi
come da un focolare non ancora spento,
le faville e le ceneri, le mie parole fra gli
uomini!
E alla terra che dorme, attraverso il mio
labbro,
tu sia la tromba d’una profezia! Oh, Vento,
se viene l’Inverno, potrà la Primavera esser
lontana?»
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VARIAZIONI A TEMA
16.07.2014 - @MariaIlenia
«Fa’ di me la tua cetra, com’è della foresta;
che cosa importa se le mie foglie cadono
come le sue!»
#Shelley14/05
16.07.2014 - @MariaIlenia
Il suono del vento ricorda quello della Pioggia
Nel Pineto, che fa degli arbusti «stromenti
diversi sotto innumerevoli dita».
#Shelley14/05
16.07.2014 - @MariaIlenia
«Il tumulto
delle tue forti armonie leverà a entrambi un
canto
profondo e autunnale, e dolcemente triste.»
#Shelley14/05
16.07.2014 - @MariaIlenia
Un canto dolcemente triste, come lo sguardo
di un uomo che osserva il mare in tempesta.
E affonda nei propri pensieri.
#Shelley14/05
16.07.2014 - @MariaIlenia
Il vento diventa mezzo di rinascita, come la
Fenice: morire e risorgere dalle proprie ceneri,
faville nel fuoco della vita.
#Shelley14/05
16.07.2014 - @MariaIlenia
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16.07.2014 - @MariaIlenia
Con l’incanto dei miei versi disperdi
come da focolare non ancor spento,
le faville e le ceneri, le mie parole fra gli
uomini!
#Shelley14/05
16.07.2014 - @MariaIlenia
«E alla terra che dorme, attraverso il mio
labbro,
tu sia la tromba d’una profezia!»
#Shelley14/05
16.07.2014 - @MariaIlenia
«Vento, se viene l’Inverno, potrà la Primavera
esser lontana?»
E sarà più dolce il calore del sole, dopo il
rigore del freddo.
#Shelley14/05
ODE AL VENTO OCCIDENTALE - Percy Bysshe Shelley
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Wednesday, July 16 2014
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