Forme e scenari nell`architettura di Richard Meier

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Forme e scenari nell`architettura di Richard Meier
Forme e scenari nell'architettura
di Richard Meier
ALDO CASTELLANO
Professore Associato
del Politecnico di Mi!ano
el post-scritto aggiunto alla riedizione
nel 1975 del catalogo della inostra sui
Five Ai-clritects, Pliilip Jolinson parlava
di Ricliard Meier, allora quaraiitiinenne, come del
"più tradizionale e abbordabile del gruppo [dei
Five], ma già con uii 'classico' alle spalle, la
Siiiitli House; un sincero ammiratore di quella
Ville Savoye, di cui conserva un modello iii scala
nel soggiorno di casa, ma che Le Corbusier odiava alla fine della sua vita; Meier, il niigliore coiioscitore della storia di hitto il gtzippo, il più sh~dioso, lascia intravedere gsandi proinesse, ma è aiicosa giovane come arcliitetto (se ne riparleii a quasantacinque anni d'età), e poi la iiuova direzione
non-corbusieriana espressa nei suoi progetti per
I'Olivetti USA è iniziata? sta iniziando?".
In realtà, già a quell'epoca il cui~iculu~n
professionale di Meier contava una quantità di opere di
non piccola coinplessità e con risultati arcliitettoiiici certamente soipreiideiiti: oltre a una serie di
ville d'altissima qualità, il Twin Parks Nostheast
nel Bronx a New York (1969-72), il Bronx
Developrnental Ceiiter nella stessa città (1970-77)
e l'inizio delllAtlieneuin a New Harinoiiy
(Indiana), coinpletato nel 1979. Si trattava di
architetture di notevole originalità e maturità professioiiale clie solo la forzata prudenza di Jolinson
poteva ancora wlegare nel liinbo delle "grandi
promesse". Ma, tant'è. In effetti, a quaraiihin'aiiiii
un architetto è ancora giovane e ben sappianio
quante delusioni Iianiio riservato anclie di recente
professionisti promettenti celebrati anzi teiiipo.
11 punto più siiigolare delle telegraficlie aniiotazioni di Jolinson era, però, iiii altro: I'iiiten-ogazione finale sull'incertezza circa gli indirizzi
arcliitettonici clie Meier avrebbe assunto o stava
uer assumere. Si era alloiitaiiato finalineilte dal
neo-corbii? Evidenteinente Jolinson auspicava
i~ii'evoliizioiiedel genere e, paventando un'ulteriore pei-inaiieiiza di Meier nella vecchia direzione, si mostrava cauto sui suoi sviluppi fi~turi.
Troppo abituati a considerare l'iinmagiiie, piuttosto che i contenuti dell'arcliitettura, abbiamo
disimparato a leggere il significato dell'orgatiizzazioiie degli spazi arcliitettoiiici e delle soluzioni
tecnico-costriittive clie la rendono possibile: in
una parola, il significato del progetto, che orinai è
ridotto, in genere, alla sola coinposizione di linee
e superfici, in cui una frase o un'assoiianza formale o un assemblaggio di citazioni è diventata la
cifra fondaineritale di uii'opera. Al di là di alciiiii
stileiiii, sciiza dubbio rico~iducibilial maestro di
La Cliaux-de-Foiids negli anni Venti e Trenta,
coine si può considerare Meier 1111 vero arcliitetto
neo-corbu, e la sua arcliitemira una rivisitazione
di quel iiiodello? La sintassi compositiva e la seiisibilità spaziale sono radicalmente differenti tra i
due e ciò è percepibile sin dalle prime opere dell'architetto di New Jersey, se prestiamo atteiizione alla logica dei progetti, analizzaiidone il iiietodo e i risultati costi~~iti,
senza fesniarsi a suggestioni di superficie.
Sappiamo quanto la critica sia diventata iina presenza sempre piìi ingombrante nella culhira architettonica contemporanea. Più clie capire e seguire
l'imprevedibile evolversi dell'arcliitettura, iiiettendo in luce l'iiiespresso e aiutando a raggiungere una maggiore consapevolezza là dove carente,
essa ama spesso ingabbiare, schematizzare, eticliettare e indirizzare le ricerche lungo i percorsi
giudicati opportuni o confacenti al livello raggiunto dal dibattito arcliitettoliico. C'è in essa
quasi una prograininatica sfidiicia nei confronti
del progettista, da prendere, diiiique, sotto tutela
in quanto o troppo giovane o troppo indifeso di
fronte alle insidie e ai trabocchetti del pensiero
arcl~itettoiiico.
La tesi iioii è nuova. Già Oscar Wilde aveva teorizzato la superiorità del lettore rispetto all'autore, quale vero iiiteiprete e creatore dell'arte. Nel
inondo letterario contemporaneo qiiesti eccessi
sono stati posti in luce con denunce circostaiiziate sui guasti irreparabili, clie essi producono
siigli autori come pure sui critici stessi. A proposito del decostruzioiiis~iio,quale punta più alta di
questo genere di critica, Tzvetan Todorov Iia parlato del testo conle ridotto a una sorta di picnic,
in cui l'autore porta le parole e il lettore il senso'.
Anclie Umbei-to Eco, già teorico del1'opei.o opertn, Iia doviito ricorioscere nel 1990 che l'eccessivo ampliarsi dei diritti degli interpreti a scapito
di quelli del testo, aveva condotto la critica a una
fonna inaccettabile di solipsismo del hitto indifferente alla realtà dell'oggetto d'analisi, suggerendo d'intraprendere, tra l'opero aperto e il
testo clrilrso, ancorato sacraliiiente alle sole
intenzioni dell'autore, una terza via fondata siille
dei testo3.
La critica architettoiiica noii è ancora giunta pienamente a questo ricoiioscuiiento delle intenzioni
dell'opera - e ne fa fede una parte importante dell'editoria del settore -, cosicché non è iiifreqiiente
osservare bruschi cainbiaineiiti di direzione non
appena le previsioni aiispicate o solo temute, e gli
indirizzi propagandati o fortemente osteggiati si
trovano a essere clainorosamente sconfessati dall'opera di quegli architetti che sentoiio ancora forte il senso della libeità di ricerca, inalgi-ado tanti
runiori e tanti suggeritori.
In questo senso si può dire clie Ricliard Meier lia
deluso molti critici d'architettuix, i quali ne avevano pronosticato I'implosione in un iieo-corbusiailesiiiio di maniera, sempre più bianco e seiilpre più identico a se stesso.
Come ho già avuto occasione di scrivere4,nulla è
più alieno dalla sensibilità e dall'inipostazione
ciilturale di Meier qualunque forina revivalistica,
qualunque eclettismo storicistico e anche qualunque intellettualisino. È sufficiente uno sguardo
libero da pregiudizi per riconoscere senza difficoltà questo suo atteggiamento, e sin dai primi
passi della sua carriera professionale.
Meier è un architetto genuino - e utilizzo questa
qualificazioiie, seppur generica, per distiiiguerlo
da molti altri clie appaiono essere più teorici dell'architettura che architetti -, il quale parla anzitutto di spazialità. È quasi banale affei~narlo,ina
Meier ama I'arcliitettura concreta, e non si limita
solo a dicliiararlo. Abot~ei labirinti ellittici delle
teorie linguistiche sull'arcliitettura, preferendo
verificare speriinentalinente il proprio metodo
nelle più diverse occasioni, provaiido, correggelido, affinando. Per questa ragione Iia deluso clii si
compiace solo di parlare d'arcliitettiira, e, incurante dei coininitteiiti, degli iltenti e dell'iiitoilio,
considera lo spazio costruito come una sorta di
optional.
La passione di Meier è I'arcliitettura concreta. Per
dirla con le parole di John Hejduk del 1981, è la
sua "continuità nel creare, ricreare e realizzare"; è
il suo "usare poco le parole e iiiolto le immagini",
coine iii quella sua passione notturna che sono i
collage fatti a casa, non per ingannare il tempo,
ma "per mantenere in esercizio gli occhi e le
inteiizioiii
~naiii"~.
Sono i collage, che abbiamo visto iiel
1990 all'october Gallery di Londra, coniposti da
materiali personali della vita qiiotidiaiia, come
biglietti d'iiigresso ai musei, ricevute di taxi, pezzi di giornali stranieri o scontrini di negozi che,
senza una logica contenutistica o topografica o
anche solo biografica, sono combinati per esplorare le senipre iiuove possibilità foimali che possono scaturire dalla combiiiazioiie dei fraliuneilti
di realtà ereditate6.
111passato qualclie critico ha voliito equivocare,
iiiterpretaiido l'istanza di Meier per la concretezza
del fare architettura come una sua certa carenza di
in~pegnosperimentale. A ciò Meier non Iia risposto, prefer&do che i fatti, ossia la sua arcliitettura,
parlassero per lui. E, in effetti, ai fatidici qiiarantacinque anni, di cui scriveva Johiisoii, Meier
poteva presentarsi all'esame della critica con
un'altra opera di grande impegno e qualità: il
Seminario di Hartford (Coiulecticut), del 1978-91.
Da quel iiioineiito è stato un crescendo di incarichi e invenzioni che, pur ititti filmati inconfondibilmente, presentano sorprendenti soluzioni architettoniclie sia nei voluiiii esterni, sia nelle spazialiti intenie e sia nel rapporto di coinplementarità
con il contesto: un rapporto che rifugge da iiliiiietismi, contesiualismi o analogie fo~mali,e clie
senza irifingi~nentisi pone come una vero e proprio dialogo tra il nuovo e il preesistente, iiel tollerante rispetto delle reciproclie specificità.
Nel 1979 ha inizio il Museo d'Atti Applicate di
Francoforte; dell'anno successivo è il capolavoro
di Atlanta, I'Higli Museiiin of Art; del 1982 è
l'ampliamento del Des Moines Alt Center; e poi
ancora il Paiil Getty Center sopra Los Angeles,
che sarà inaugurato nel prossimo autunno, il
Municipio e la Biblioteca centrale de L'Aja, il
Palazzo delle Esposizioni di Ulma, il Museo d'arte coiiteiiiporaiiea di Barcellona, la sede centrale
di Canal Pliis a Parigi, il Museo Arp a
Rolandswerth.. . L'elenco è iiecessariainente
incompleto, ma già consente di farsi un'idea precisa della quantità straordiiiaria di opere di qualità, e tutte con un timbro iiiconfondibile, pur con
una loro peculiare originalità. Forse questo è I'aspetto più intrigante dell'architettura ineieriana:
quello di restare fedele a se stessa, pur nella iilolteplicità delle sue manifestazioni. Credo che il
motivo di ciò riposi nel fatto che, nonostante le
apparenze, I'arcliitetttira meieriana è tutt'altso che
~in'arcliitettiirafonnalistica, un'architettura, cioè,
preoccupata essenzialmeiite al linguaggio della
forma. Al contrario, è un'architettura costituita
anzitutto da conteiiuti spaziali.
Meier è perfettamente consapevole di questo
approccio, che peraltro emerge in modo evidente
anche nella sua opera. In una lectt~re,tenuta al
Royal Institution di Londra nel 1990, così illustrava il proprio modo di fare architettura:
"Quello che cerco di fare è indagare i limiti plastici dell'architettura moderna per iiicludervi il
concetto di bellezza modellata dalla luce. Quello
che desidero è creare una sorta di lirisino spaziale all'interno del canone della forma pura ...
Molte delle mie fonti si trovano nella storia dell'architettura, ma le citazioni e le allusioni non
sono mai letterali; le mie motivazioni sono seinpre interiorizzate, le mie metafore sono seiiipre
architettoniclie.. . I miei principi ordinatori priinari hanno a che fare con una sorta di purezza
che deriva in parte dalla innata distinzione tra
artificiale e naturale, distinzione clie è necessaria
per definire iiiia relazione biunivoca. Per ine gli
interventi dell'uomo sono una messa a punto
estetica dell'ainbiente ... Il mio rigore è una
ricerca di chiarezza che per me ha origine nella
pianta. Sebbene forse trascurata di recente, la
piaiita è la chiave di tutto, clie coritiene nella sua
bidiinensionalità le istruzioni dell'oggetto tridimensionale, ossia dell'edificio. Con la sezione
essa genera I'edificio. Mentre l'alzato tende al
pittorico, la pianta e la seziorie parlano all'architetto di idee di spazio. Coiiiunque è sempre la
pianta l'espressione pii1 coiivinceiite e fondaiiientale dell'idea architettoiiica. Credo clie gli
edifici dovrebbero parlare. L'uso pluriennale nella mia opera di iin vocabolario specifico e internamente compiuto di elementi e temi mi ha fornito i mezzi di espressione coerenti e in evoliizione continua. I1 processo coi1 cui manipolo e
asseinblo questo vocabolario all'interno dei coritesti urbani e storici è diventato più complesso e
comprensivo secondo una mia maturazione intellettuale che è coincisa con il crescente respiro e
complessità delle recenti co~nmesse"'.
In queste parole risulta chiara la cifra originale
dell'architettura meieriana, clie è l'invenzione di
spazialità diverse in base al contesto, al programma e alla destinazione specifica dell'opera. Per
questo motivo è difficile, e direi quasi impossibile, percepire l'essenza delle sue opere sono attraverso la coiiteinplazione degli esterni e ancor
ineno la visione fotografica; occorre percepirne
gli interni, attraversandoli e assaggiandone la
qualità con tutti i sensi.
Richard Meier ha inetabolizzato assai più di qualunque altro architetto contemporaneo la graiidissiina lezione compositiva dell'arcliitettura barocca e tardobarocca italiana e d'area gerrnaiiica.
Eppure nessun particolare linguistico delle sue
opere ne deniincia il debito fondaineiitale. Per un
progettista, la vera conoscenza della storia è
quella interiorizzata, che non si perde nel linguaggio, ma va diritto al metodo della composizione spaziale, ai differenti significati delle spazialità architettoniche.
I1 metodo, ossia la via razionale nell'istruire, è
fondanientale per Meier, e non solo per lui,
ovviamente. Al pari delle teorie, come affermava
Novalis, il metodo è una rete, un seniplice stnimento: solo chi la butta, pesca, tenendo presente,
tuttavia, clie le sile maglie devono sempre essere
comnisurate al tipo di pesca che si intende effettuare, per evitare il rischio di finire a iiiani vuote.
E, in effetti, il metodo è per Meier uno sti-unieiito
per progettare, e assicurare ordine e coerenza alla
coinplessità del processo progettuale. Non possiede alcuna presunzione di assolutezza o di universalità. Da questo punto di vista è molto personale. È un approccio al progetto che si niuove
attraverso la successiva soluzione di alcuni temi
giudicati esseiiziali al fare architettura e affrontati separatametite l'un l'altro, clie si interconnettono, infine, iiell'arcliitettiira costruita.
Questi temi, o criteri distinti ma interrelati, sono
per Meier, "il Programma, diagramina di relazioni funzioiiali da cui dipendono le esigenze e le
prestazioni dell'intero organismo; il Luogo di
collocazioiie e in quale modo il luogo influenzi
l'edificio e I'edificio il luogo; l'Accesso; il
Sistema di Circolazione clie si potrebbe dire si
estenda al di là dei limiti dell'edificio vero e proprio; la Struttura come sistema; e I'Involiicro
definito da un sistema di mura in relazione al
sistema striitturale". Attraverso questo procediiiieiito Meier è in grado di assicurare "uiia dialettica tra sistemi di accesso e di circolazioiie, irivoIiicro e sti-~ittura,prograiniiia e Iiiogo di circolazioiie. Attraverso questi paraiiietri è possibile
aiializzase qualsiasi lavoro di architettura, e coiiiprendere una pai-te del processo specifico attraverso il quale il iiostro lavoro è passato dalla
concezione alla realizzazione"p.
Attraverso questo metodo l'opera realizzata conserva intatta quella unitaria comvlessità che I'architettura richiede per soddisfare esigenze iiiolteplici e talvolta contrastanti.
I1 razionalismo ineieriano non è 1111 lingiiaggio,
ma iiii metodo. Le scatole architettoniclie degli
anni Venti e Trenta non costituiscoiio affatto per
lui alcun imperativo formale, e così aiiclie il
bianco delle superfici lisce o la spigolosità dei
volunii. Tutti questi non son altro che epifenomeni della sua architettura, che non caratterizzaiio la sua sostanza. Pur fedele a uii iiietodo,
diinvstratosi proficoo e adatto a coiitiime sperimentazioni, Meier continua a sorprendere per la
sua capacità di inventare seiiipre nuove spazialità
proprio a partire dal rispetto dei viiicoli specifici
e delle esigenze poste in ciascuiia opera. Spazio
e voliime e stiuttura e materiali, all'intemo di un
contesto e di 1111 progranlina, sono aspetti,
disgiunti ma iiiterrelati, di iina inedesima realtà:
I'arcliitettura.
La Cliiesa del 2000 è iiii altro eseiiipio della
capacità straordiilaria di Meier di iiiailJpolare 10
spazio
strutture, involucri e illateriali, tiltti
cliianiati iiisienie alla costiiizione di i111ambieiite
innovativo, che la seiisibilità dell'arcliitetto ha
saputo interpretare coine rispoiiderite al
Programma, ossia al "diagrainma di relazioni
fliiizioiia~ida ,.i ~ipeiidoilole esigellze
e le
staziolli de1l3intero organisino", per dirla con le
sue stesse parole.
~ i dal
à modello, dalle piante e dalle seziolli si
può immaginare la iiiagia dello spazio interno,
luminoso e articolato tra pareti trasparenti e setti
protettivi, tra ainbienti Lillitari e di lneditazione,
tra funzioni corali e p i ristrette.
~
senzaiiidillgere
a facili e consolatori eroismi inon~imentalistici,
Meier ha presentato anche questa volta un'architettura autentica e a dinieiisioiie umana. E ciò
iioii tanto per le diniensioiii o per i siinbolisiiii
delle forme, facilmente coiiiprensibili, quanto
piuttosto per I'attenzioiie, e dkei quasi l'affetto,
che egli dimostra per gli iiteiiti della propria
architettura, per le loro prevedibili esigenze e.
perché no?, anclie per il loro benessere.
,
Jolilicoli,wPostscript3,,
iil Fil,e Aic,lirects. Eiseiliilnri,
Grcriws, Gii~crtliiirev.Hejriirk. Meiri, con testi di K .
Frainpton e C. Ro\ve, Ne\" York 1975', P. 138.
' Cit. in U. Eco, " A f t e r secret kiiolodge", in Tiiiies
Literc11y Sirppleirierrt. 4551, 22-28 giiigiio 1990, p.666. Si
veda anche I foii~inlistii?rssi. Teoiirr ~Irlellnletrcrirricrn e
iiietorlo critico, (tii.orig. Tliiniie c/c /r lirrér~oriiie,Parigi
1965, 1968'1, a cura di T. Todomv, Torino 1968.
'U.Eco, r~i.t.cit.. p. 666.
' S i veda A. Castellriiio, Alr11itterrio.r rl'niio e Iirce. Uiicr
stoiin S I I Ricliriid iIfeier, Milano 1994.
' J . Hejduk, "Prefazione", iii Riclinid i\.leier, a ciira di
G. Pettana, Venezia 1981, p. 13.
*Cfr.CoIInges, a ciira di L. Nesbitt, Londra 1990; si veda
aiiclie G. Pennena e R. Meier, " A Wliiter Sliade o f Pale",
in ~oiittm,DCXXIX, giiigno 1982, p. 2.
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Foruin, Tlie Neii,i\.iotlerris, Tlie Royal Institution, Londra,
27 settembre 1990, pubblicata iii nbstrnct da T h e
Academy Group, pp. 2-3.
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