Alici marinate
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Alici marinate
48 CUCINA NOSTRANA LIBRI IN VETRINA Alici marinate La cucina spagnola rassomiglia tanto a quella siciliana. Le ragioni sono diverse: il mite clima e il sole, che permettono un’infinità di colture; le influenze arabe, dovute alla contemporanea dominazione alle soglie dell’anno Mille; le profonde radici religiose, che influiscono anche sulla cucina tradizionale delle feste. Nei monasteri di stretta clausura, i riti della cucina erano un grande momento di allegria e di spirito di inventiva, soprattutto in occasione di celebrazioni legate alle ricorrenze di santi protettori, oltre che alla Pasqua e al Santo natale. I piatti simili, fra Sicilia e Spagna, sono tanti, dal coniglio in agrodolce, ad altre preparazioni a base di ortaggi , specialmente peperoni e peperoncini, per non parlare del pesce: gamberi, calamari, cozze, che trovano riscontro in tante ricette accattivanti. A proposito della religiosità, poi, i dolci conventuali hanno basi comuni come i ripieni profumati da aromi di cannella e di vaniglia e sono preparati con mandorle, noci, nocciole, fichi secchi, datteri, proprio come quelli siciliani. Glasse di zucchero e decorazioni colorate da frutta candita, fettine di arancia o di limone, petali di fiori brinati, completano sempre queste prelibatezze. Ricetta di Aprile Dose per 4 persone 600 grammi di piccole alici 6 limoni 1 spicchio di aglio, olio d’oliva, sale, pepe, prezzemolo tritato, peperoncino. Preparazione Diliscare e lavare le alici in acqua corrente, scolarle, sistemarle in un recipiente insieme con il succo di tre limoni e farle marinare per almeno mezz’ora. Scolarle ancora bene, eliminando il liquido scuro che si sarà formato, riporle a raggiera nel piatto di portata, condirle con l’olio, l’aglio e il prezzemolo tritati, il sale, il pepe, il peperoncino e coprile con il succo degli altri tre limoni. Servire subito. Eleonora Consoli Santo Sgroi, Il palazzo dei panni sporchi Bastogi - pag 93 Euro 7,75 Confesso che non conoscevo Santo Sgroi fin quando non mi è capitato tra le mani questo racconto. Le note biografiche mi rendevano diffidente (è parente di Terence Hill ed è stato campione di “Lascia e raddoppia”), non mi aiutavano di certo ad un approccio critico nei suoi confronti. Poi, quasi per scommessa, mi sono immerso nella gradevole lettura del suo libro: è stata una sorpresa. L’autore dosa abilmente un verismo tipicamente verghiano con uno stile che lo decodifica modernamente, nel senso che riesce a sviluppare in maniera originale il proprio percorso letterario. La storia è solo un pretesto (un ragazzo che viene ingaggiato dal proprietario di uno stabile per ordinare un pollaio) per raccontare sinceramente un mondo arcaico siciliano caro allo scrittore, fatto di mendicanti, venditori ambulanti, donne innamorate e uomini gradassi. Personaggi familiari ma che non riconosciamo più, che riescono ad entrare in maniera fotografica nel nostro immaginario, come ci rimane impressa la lotta tra due galli: “…Ad un tratto, ad una speronata più violenta dell’avversario, cadde, si rialzò a fatica, cadde ancora e ancora più stentatamente si rialzò. Barcollava come se avesse il capogiro, aveva già perduto tutta la sua arroganza, era già un insieme di penne inutili…” Domenico Trischitta STORIE DI PIETRE IL MANIERO DI CALATABIANO Di origine araba Calatabiano (da Kalaat, castello e Biano, primo signore della cittadina) ha un maniero che risale proprio alla dominazione musulmana in Sicilia, intorno l’anno Mille, ma che fu poi ricostruito dagli aragonesi. Grande splendore ha avuto con i normanni, gli svevi e gli angioini. Ma è Giovanni Crujllas, figlio di Berengario, consigliere e vicario del Regno, a ristrutturare il castello nei primi anni del 1400. Il terremoto del gennaio del 1693, però, ha ridotto lo storico maniero in un ammasso di ruderi. Oggi, infatti, è possibile vedere soltanto una parte di quelli che furono i bastioni, le mura merlate le testimonianze di torri e abitazioni rurali, i resti di una chiesetta e le prigioni del castello scavate nella roccia. “Bello e agile - scrive Antonino Alibrando- è l’arco voluto da Giovanni Crujllas che doveva dividere in due un grande salone, cuore di ogni cerimonia. Quel che rimane del castello ci fa immaginare con chiarezza quanto possenti fossero le mura di cinta e come ampio fosse lo spazio destinato alle stanze del barone e dei domestici. La tradizione popolare vuole che nell’ambito del castello sorgesse un tempo anche un mulino a vento”. Mentre i ruderi di questo storico castello sorgono in collina, un altro maniero sorge sempre nel territorio di Calatabiano: è il castello di San Marco, sul litorale jonico, sorto nel XVII secolo a difesa della costa contro gli attacchi della pirateria Ottomana. Furono proprio i Gravina Crujllas, signori di Calatabiano, a voler questo baluardo che aveva soprattutto scopi di difesa militare. Ai quattro lati della grande costruzione, in ottimo stato di conservazione, vi sono quattro torri cilindriche. L’edificio si eleva su due piani e lo fa sembrare, a chi lo dovesse visitare oggi, una bella villa signorile e non un castello medievale. Antonio Di Paola