Alici marinate

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Alici marinate
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CUCINA NOSTRANA LIBRI IN VETRINA
Alici marinate
La cucina spagnola rassomiglia tanto
a quella siciliana. Le ragioni sono diverse: il
mite clima e il sole, che permettono un’infinità di colture; le influenze arabe, dovute
alla contemporanea dominazione alle
soglie dell’anno Mille; le profonde radici
religiose, che influiscono anche sulla cucina tradizionale delle feste. Nei monasteri
di stretta clausura, i riti della cucina erano
un grande momento di allegria e di spirito
di inventiva, soprattutto in occasione di
celebrazioni legate alle ricorrenze di santi
protettori, oltre che alla Pasqua e al Santo
natale. I piatti simili, fra Sicilia e Spagna,
sono tanti, dal coniglio in agrodolce, ad
altre preparazioni a base di ortaggi , specialmente peperoni e peperoncini, per non
parlare del pesce: gamberi, calamari,
cozze, che trovano riscontro in tante ricette accattivanti.
A proposito della religiosità, poi, i
dolci conventuali hanno basi comuni come
i ripieni profumati da aromi di cannella e di
vaniglia e sono preparati con mandorle,
noci, nocciole, fichi secchi, datteri, proprio
come quelli siciliani. Glasse di zucchero e
decorazioni colorate da frutta candita, fettine di arancia o di limone, petali di fiori
brinati, completano sempre queste prelibatezze.
Ricetta di Aprile
Dose per 4 persone
600 grammi di piccole alici
6 limoni
1 spicchio di aglio, olio d’oliva, sale,
pepe, prezzemolo tritato, peperoncino.
Preparazione
Diliscare e lavare le alici in acqua corrente, scolarle, sistemarle in un recipiente
insieme con il succo di tre limoni e farle
marinare per almeno mezz’ora.
Scolarle ancora bene, eliminando il
liquido scuro che si sarà formato, riporle a
raggiera nel piatto di portata, condirle con
l’olio, l’aglio e il prezzemolo tritati, il sale,
il pepe, il peperoncino e coprile con il
succo degli altri tre limoni.
Servire subito.
Eleonora Consoli
Santo Sgroi, Il palazzo dei panni sporchi
Bastogi - pag 93 Euro 7,75
Confesso che non conoscevo Santo Sgroi fin quando non
mi è capitato tra le mani questo racconto. Le note biografiche mi
rendevano diffidente (è parente di Terence Hill ed è stato campione di “Lascia e raddoppia”), non mi aiutavano di certo ad un
approccio critico nei suoi confronti. Poi, quasi per scommessa, mi
sono immerso nella gradevole lettura del suo libro: è stata una sorpresa. L’autore dosa abilmente un verismo tipicamente verghiano
con uno stile che lo decodifica modernamente, nel senso che riesce a sviluppare in
maniera originale il proprio percorso letterario. La storia è solo un pretesto (un ragazzo che viene ingaggiato dal proprietario di uno stabile per ordinare un pollaio) per raccontare sinceramente un mondo arcaico siciliano caro allo scrittore, fatto di mendicanti, venditori ambulanti, donne innamorate e uomini gradassi. Personaggi familiari
ma che non riconosciamo più, che riescono ad entrare in maniera fotografica nel
nostro immaginario, come ci rimane impressa la lotta tra due galli: “…Ad un tratto,
ad una speronata più violenta dell’avversario, cadde, si rialzò a fatica, cadde ancora e
ancora più stentatamente si rialzò. Barcollava come se avesse il capogiro, aveva già
perduto tutta la sua arroganza, era già un insieme di penne inutili…”
Domenico Trischitta
STORIE DI PIETRE
IL MANIERO DI CALATABIANO
Di origine araba Calatabiano (da Kalaat, castello e Biano, primo signore della cittadina) ha un maniero che risale proprio alla dominazione musulmana in Sicilia, intorno l’anno Mille, ma che fu poi ricostruito dagli aragonesi. Grande splendore ha avuto con i normanni, gli svevi e gli angioini. Ma è Giovanni Crujllas, figlio di Berengario, consigliere e
vicario del Regno, a ristrutturare il castello nei primi anni del 1400. Il terremoto del gennaio
del 1693, però, ha ridotto lo storico maniero in un ammasso di ruderi. Oggi, infatti, è possibile vedere soltanto una parte di quelli che furono i bastioni, le mura merlate le testimonianze di torri e abitazioni rurali, i resti di una chiesetta e le prigioni del castello scavate nella
roccia. “Bello e agile - scrive Antonino Alibrando- è l’arco voluto da Giovanni Crujllas che
doveva dividere in due un grande salone, cuore di ogni cerimonia. Quel che rimane del
castello ci fa immaginare con chiarezza quanto possenti fossero le mura di cinta e come
ampio fosse lo spazio destinato alle stanze del barone e dei domestici. La tradizione popolare vuole che nell’ambito del castello sorgesse un tempo anche un mulino a vento”.
Mentre i ruderi di questo storico castello sorgono in collina, un altro maniero sorge sempre
nel territorio di Calatabiano: è il castello di San Marco, sul litorale jonico, sorto nel XVII
secolo a difesa della costa contro gli attacchi della pirateria Ottomana. Furono proprio i
Gravina Crujllas, signori di Calatabiano, a voler questo baluardo che aveva soprattutto scopi
di difesa militare. Ai quattro lati della grande costruzione, in ottimo stato di conservazione, vi sono quattro torri cilindriche. L’edificio si eleva su due piani e lo fa sembrare, a chi lo
dovesse visitare oggi, una bella villa signorile e non un castello medievale.
Antonio Di Paola